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Nuova e Nostra - N° 21-22/2018 8 CREDO LA RISURREZIONE DELLA CARNE… I l 2 novembre per tanti di noi è un giorno molto caro: la memoria di quanti ci hanno preceduto abita il nostro cuore e le parole non bastano a colmare i ricordi. Qualcosa di inde- scrivibile ci pervade profondamente e ci interpella. I cristiani affermano che i defunti vivono in Dio. Ma la certezza della beatitudine non toglie la soffe- renza: essa, invece, attesta che, in Dio e per Dio, la sofferenza, il dolore, la morte non sono più l’ultima parola. Ci sorregge, nella memoria di quanti ci hanno preceduto, la certezza che tut- ta la vicenda umana da Dio è accolta, trasformata e riconsegnata all’uomo stesso. Il cammino di ogni uomo è diretto verso il momento dell’incontro con Dio. Ma la morte non ha l’ultima pa- rola. Anche il nostro corpo mortale, nella sua vicenda storica, conta agli occhi di Dio. Per questo i cristiani proclamano nel “Credo”: “Credo la ri- surrezione della carne”. Ma che signi- fica? E come questa certezza interpel- la e dà senso al quotidiano vivere? UNA LOGICA DI VITA Se vogliamo comprendere l’afferma- zione “Credo la risurrezione della car- ne”, bisogna rileggere l’esistenza sto- rica di Gesù, la sua lotta per la verità, per la giustizia a favore degli oppressi e degli esclusi. Se Dio fa rialzare suo Figlio tra i morti è perché la sua esi- stenza è stata giusta, veritiera, rivela- trice dell’amore di Dio. Dio risuscita Gesù per contestare ciò che di lui era stato detto e fatto. La risurrezione non significa solamen- te che la morte non ha l’ultima paro- la o che il corpo concreto nella sua vicenda storica conta agli occhi di Dio. Occorre andare ancora più in profondità: ciò che Dio conferma, risu- scitando il Figlio, è un modo di morire quale conseguenza di un certo modo di vivere. Più precisamente: ciò che è pas- sibile di risurrezione non è la vita in- tesa nella sua genericità; è, invece, l’e- sistenza umana concreta nella misura in cui essa raggiunge e si identifica a quella di Gesù: cioè un’esistenza dona- ta, un’esistenza condivi- sa, un’esistenza radical- mente e ostinatamente protesa a Dio e agli uo- mini. Così compresa, la risur- rezione di Gesù invita a ripensare innanzitutto l’“al di qua” prima anco- ra che l’“al di là”: la ri- surrezione giudica la storia in cui viviamo pri- ma ancora che proiet- tarci oltre. Essa afferma, infatti, che l’ultima paro- la, su questa terra, spet- ta alla promessa di Dio e alla sua fedeltà e non al disimpegno e all’infe- deltà dell’uomo. E la fe- deltà di Dio raggiunge - sin da adesso - tutto l’uo- mo poiché nella concre- tezza della storia è la corporeità che permette all’uomo di esprimere tutto ciò che egli è e fa. La stessa lotta di Gesù nella sua vita, per ristabilire il vero volto di Dio e il profondo senso della vita dell’uomo, è stata una “lotta cor- porea”: la lotta di un corpo minaccia- to e, alla fine, ucciso. Una “lotta” a fa- vore di quanti, nella concretezza della storia, non avevano una speranza e un futuro; ad essi Gesù consegna fiducia e coraggio chiamandoli alla condivi- sione e ad una rinnovata dignità ogni giorno, là dove essi vivevano. Risusci- tando Gesù, Dio conferma l’azione del Figlio e attesta che solo il modo con il quale Gesù ha vissuto è la via che porta alla risurrezione. LA RISURREZIONE DELLA CARNE I cristiani affermano: “Credo la risur- rezione della carne”. La fede cristiana non si limita al concetto greco di im- mortalità dell’anima, ma afferma che Dio ridà vita all’intero essere umano. I cristiani credono non nell’immortalità “naturale” dell’anima (come i Greci), ma nella fedeltà creatrice di Dio che non si arresta di fronte alla morte. L’apostolo Paolo afferma che la fede nella risur- rezione del corpo è un dato “fonda- mentale” del cristianesimo fin dalle origini (1Cor 15, 12-14). Se sfogliamo, poi, le pagine dei primi Padri della Chiesa avremo una chiara compren- sione dell’immensa importanza, per la Chiesa del II secolo, della speranza nella risurrezione del corpo. Proprio nella seconda metà del II secolo sor- gono, però, dei gruppi di cristiani (o pseudocristiani) che negano la risur- rezione del corpo. Così si esprime San Giustino: “Vi ho detto che uomini che si chiamano cristiani, ma sono atei e empi eretici, insegnano cose che so- no assolutamente blasfeme... Se in- contrate persone che si qualificano cristiane... ma osano bestemmiare il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacob- be, e affermano che non c’è risurrezio- ne dai morti, non riconosceteli come cri- stiani”. Quanti negavano la risurrezio- ne dei corpi ragionavano così: “La sal- vezza appartiene solo all’anima, e il corpo, derivato com’è dalla terra, è incapace di parteciparvi”. La risposta cristiana è, invece, espressa in questi termini: “La salvezza appartiene all’uo- mo intero, e cioè all’anima e al corpo”. La fede nella risurrezione della carne, che appartiene fin dalle origini al pa- trimonio della fede cattolica, si misura Piero della Francesca - Resurrezione - 1460 ca.

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Nuova e Nostra - N° 21-22/2018

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CREDO LA RISURREZIONE DELLA CARNE…

Il 2 novembre per tanti di noi è ungiorno molto caro: la memoria diquanti ci hanno preceduto abita il

nostro cuore e le parole non bastanoa colmare i ricordi. Qualcosa di inde-scrivibile ci pervade profondamente eci interpella. I cristiani affermano chei defunti vivono in Dio. Ma la certezzadella beatitudine non toglie la soffe-renza: essa, invece, attesta che, in Dioe per Dio, la sofferenza, il dolore, lamorte non sono più l’ultima parola. Cisorregge, nella memoria di quanti cihanno preceduto, la certezza che tut-ta la vicenda umana da Dio è accolta,trasformata e riconsegnata all’uomostesso. Il cammino di ogni uomo è direttoverso il momento dell’incontro conDio. Ma la morte non ha l’ultima pa-rola. Anche il nostro corpo mortale,nella sua vicenda storica, conta agliocchi di Dio. Per questo i cristianiproclamano nel “Credo”: “Credo la ri-surrezione della carne”. Ma che signi-fica? E come questa certezza interpel-la e dà senso al quotidiano vivere?

UNA LOGICA DI VITASe vogliamo comprendere l’afferma-zione “Credo la risurrezione della car-ne”, bisogna rileggere l’esistenza sto-rica di Gesù, la sua lotta per la verità,per la giustizia a favore degli oppressie degli esclusi. Se Dio fa rialzare suoFiglio tra i morti è perché la sua esi-stenza è stata giusta, veritiera, rivela-trice dell’amore di Dio. Dio risuscitaGesù per contestare ciò che di lui erastato detto e fatto.La risurrezione non significa solamen-te che la morte non ha l’ultima paro-la o che il corpo concreto nella suavicenda storica conta agli occhi diDio. Occorre andare ancora più inprofondità: ciò che Dio conferma, risu-scitando il Figlio, è un modo di morirequale conseguenza di un certo modo divivere. Più precisamente: ciò che è pas-sibile di risurrezione non è la vita in-tesa nella sua genericità; è, invece, l’e-sistenza umana concreta nella misurain cui essa raggiunge e si identifica aquella di Gesù: cioè un’esistenza dona-

ta, un’esistenza condivi-sa, un’esistenza radical-mente e ostinatamenteprotesa a Dio e agli uo-mini.Così compresa, la risur-rezione di Gesù invita aripensare innanzituttol’“al di qua” prima anco-ra che l’“al di là”: la ri-surrezione giudica lastoria in cui viviamo pri-ma ancora che proiet-tarci oltre. Essa afferma,infatti, che l’ultima paro-la, su questa terra, spet-ta alla promessa di Dioe alla sua fedeltà e nonal disimpegno e all’infe-deltà dell’uomo. E la fe-deltà di Dio raggiunge -sin da adesso - tutto l’uo-mo poiché nella concre-tezza della storia è la corporeità chepermette all’uomo di esprimere tutto ciòche egli è e fa. La stessa lotta di Gesùnella sua vita, per ristabilire il verovolto di Dio e il profondo senso dellavita dell’uomo, è stata una “lotta cor-porea”: la lotta di un corpo minaccia-to e, alla fine, ucciso. Una “lotta” a fa-vore di quanti, nella concretezza dellastoria, non avevano una speranza e unfuturo; ad essi Gesù consegna fiduciae coraggio chiamandoli alla condivi-sione e ad una rinnovata dignità ognigiorno, là dove essi vivevano. Risusci-tando Gesù, Dio conferma l’azione delFiglio e attesta che solo il modo con ilquale Gesù ha vissuto è la via che portaalla risurrezione.

LA RISURREZIONEDELLA CARNE

I cristiani affermano: “Credo la risur-rezione della carne”. La fede cristiananon si limita al concetto greco di im-mortalità dell’anima, ma afferma cheDio ridà vita all’intero essere umano.I cristiani credono non nell’immortalità“naturale” dell’anima (come i Greci), manella fedeltà creatrice di Dio che non siarresta di fronte alla morte. L’apostoloPaolo afferma che la fede nella risur-

rezione del corpo è un dato “fonda-mentale” del cristianesimo fin dalleorigini (1Cor 15, 12-14). Se sfogliamo,poi, le pagine dei primi Padri dellaChiesa avremo una chiara compren-sione dell’immensa importanza, per laChiesa del II secolo, della speranzanella risurrezione del corpo. Proprionella seconda metà del II secolo sor-gono, però, dei gruppi di cristiani (opseudocristiani) che negano la risur-rezione del corpo. Così si esprimeSan Giustino: “Vi ho detto che uominiche si chiamano cristiani, ma sono ateie empi eretici, insegnano cose che so-no assolutamente blasfeme... Se in-contrate persone che si qualificanocristiane... ma osano bestemmiare ilDio di Abramo, di Isacco e di Giacob-be, e affermano che non c’è risurrezio-ne dai morti, non riconosceteli come cri-stiani”. Quanti negavano la risurrezio-ne dei corpi ragionavano così: “La sal-vezza appartiene solo all’anima, e ilcorpo, derivato com’è dalla terra, èincapace di parteciparvi”. La rispostacristiana è, invece, espressa in questitermini: “La salvezza appartiene all’uo-mo intero, e cioè all’anima e al corpo”. La fede nella risurrezione della carne,che appartiene fin dalle origini al pa-trimonio della fede cattolica, si misura

Piero della Francesca - Resurrezione - 1460 ca.

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di Arcangelo Bagni

con difficoltà dovute all’incontro dicontesti culturali diversi da quello bi-blico che spesso pregiudicano tanto laportata quanto la comprensione delmessaggio biblico stesso. E’ in que-st’ottica di sana polemica che si com-prende la scelta dell’affermazione“credo la risurrezione della carne”.Questa scelta avviene per evitare in-debiti spiritualismi o dannose con-trapposizioni tra corpo e anima.L’idea biblica di risurrezione non puòessere paragonata in alcun modo all’i-dea greca dell’immortalità. Secondo laconcezione greca, l’anima dell’uomo -incorruttibile per natura - entra nel-l’immortalità divina dal momento incui la morte la libera dai legami delcorpo. Secondo la concezione biblica,l’uomo è invece una realtà unitaria. E laBibbia conserva questa fondamentaleprospettiva anche quando considera idiversi aspetti dell’esistenza umana.Infatti, in essa noi troviamo parolequali “carne”, “anima”, “spirito”; esse,tuttavia, non sono mai usate in modoseparato perché da sole non possonoparlare dell’uomo biblico che è realtàunitaria e non frammentata o frantu-mata. Pertanto non è biblica né cristianala concezione dell’antico filosofo grecoPlatone o quella del moderno Cartesioche - di fatto - rompono l’unità dell’uo-mo, considerando anima e corpo comedue sostanze separate e complete in sestesse, solo accidentalmente unite.

NESSUNACONTRAPPOSIZIONE

Fin dalle origini, nella riflessione cri-stiana, la vita futura viene espressa at-traverso due affermazioni: “risurrezio-ne della carne” e “risurrezione dei mor-ti”. Questo modo di esprimersi indicache l’uomo, nella sua totalità e nonsolo in una sua parte, è chiamato allapienezza. Afferma il teologo J. Guillet:“Un dato è innegabile: il corpo di Ge-sù risorto è veramente il corpo cheegli aveva prima di morire, lo stessoche ha sofferto. Certamente si trovain un’altra condizione, capace di muo-versi come vuole, senza nessun limitedi spazio e di peso. Ma non è il corpodi un fantasma: misteriosamente, esi-ste una continuità fra il suo stato at-tuale e quello di prima... [Gesù] Ci

tiene a dimostrare che non è cambia-to, che non ha solamente un corpoche si può toccare, ma anche gesti fa-miliari, già conosciuti... La continuitàdel corpo prende ora tutto il suo si-gnificato; è completamente naturale,dal momento che Gesù rimane l’uo-mo che era”.Ripensare questa affermazione dellafede cristiana implica, innanzitutto,evitare di introdurre inutili e dannosecontrapposizioni tra anima e corpo.La proposta biblica della risurrezionecoinvolge tutto l’uomo. Allora, nonpossiamo dire: “io ho un’anima, ho uncorpo, come due oggetti di cui sarem-mo proprietari”. Dobbiamo, invece,dire: “io sono anima e corpo”.Al di fuori di questo “anima e corpo”,infatti, non c’è “io”, l’”io” non esistepiù. Non possiamo dire neppure: “iosono un’anima”, perché essere un’ani-ma significa “animare” un “corpo”.Una separazione assoluta e totale di ani-ma e corpo, e quindi una totale assenzadi relazione, non può evidentemente esi-stere per la fede cristiana. Bisogna chesia mantenuto un certo rapporto, siapure incompleto e oscuro per la no-stra esperienza, verso il corpo e ilmondo. La fede cristiana confessa, in-fatti, che i morti - che vivono pressoDio - restano congiunti con noi inCristo Gesù e nello Spirito Santo nel-l’unica comunione dei Santi.

UN’ESISTENZARICONSEGNATA

Nella risurrezione, tutta l’esistenzaumana è accolta, trasformata e ricon-segnata all’uomo stesso: “Dio amaqualcosa di più che le molecole chenel momento della morte si trovanonel corpo. Egli ama un corpo che è se-gnato da tutta la fatica, ma anche dal-la nostalgia inappagata di un pellegri-naggio, che nel corso di questo pelle-grinaggio ha lasciato dietro di sé mol-te tracce in un mondo che da questetracce è stato reso umano... Risurre-zione del corpo significa che di tuttociò per Dio non è andato perdutonulla, perché egli ama l’uomo. Tutte lelacrime egli ha raccolto, e non un sor-riso gli è sfuggito. Risurrezione delcorpo significa che l’uomo in Dio nonritrova solo il suo ultimo momento,

ma la sua storia” (W. Breuning).Non ci sono due mondi o due vite.Non c’è, da una parte, il tempo chescorre, passa, si degrada; e, dall’altra,l’eternità, stabile e di valore infinito edefinitivo. C’è una sola vita, che sta di-ventando diversa mediante la fede e ilBattesimo, ma che non è altra vita. Al-lora “ogni uomo, quando ritorna aDio, non porta a Dio soltanto un’ani-ma senza corpo, ma la sua persona, incui ciò che ha compiuto in amore èinscritto per sempre” (G. Greshake).In questa prospettiva, il ricordo deinostri cari diventa una memoria crea-trice: ciò che di bene hanno fatto ciconferma che la strada della risurre-zione è la via del bene, del dono; ciòche possono avere commesso di malediventa occasione per invocare, pertutti, il perdono di Dio che è padre.Un Dio che gioisce per il perdono,che ritrova se stesso nel perdonare:egli è dono e perdono senza limite.Egli è fedele alle sue promesse, persempre. Allora, anche le lacrime diventanopreghiera e anche il pianto può aprir-si all’invocazione: chiedere a Dio checonfermi ciascuno nella via del benenonostante tante esperienze negativee che aiuti a sperare sebbene ci sianotanti motivi per non sperare. Questegiornate spingano i credenti a diven-tare instancabili compagni di viaggiodi quanti dalla morte sono prematu-ramente segnati negli affetti profondie, a volte, in modi strazianti. Solo l’a-micizia profonda, l’affetto sincero, lacondivisione di dubbi e di barlumi disperanza possono parlare di risurre-zione a chi, ancora nel dolore, sta cer-cando. Di fronte alle tombe, comprendiamocome il silenzio si trasformi in suppli-ca. E, dialogando con questo “silenzioparlante”, il passato ci diventa presen-te e, in questo dialogo, tra noi e quan-ti ci hanno preceduto, si apre in noiuna speranza inattesa, un sogno: ritro-varsi tutti- un giorno- nel grande gi-rotondo di Dio. Questa è la nostrasperanza. Questa è la promessa diDio. E Dio è fedele alle proprie pro-messe.

Nuova e Nostra - N° 21-22/2018

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