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Corso di: LABORATORIO DI PREPARAZIONI

ESTRATTIVE E SINTETICHE DEI FARMACI

Docente: Prof. Stefania Villae-mail:[email protected]

tel. 02-50319368

http://users.unimi.it/stefaniavilla/

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Lezioni frontali: 3 crediti = 24 ore

Lunedì 15.30-17.30 aula A, Via Balzaretti

Martedì 15.30-17.30 aula B, Via BalzarettiEsercitazioni in laboratorio: 5 crediti = 80

ore

II turno dal 13, 16, 20, 23, 27, 30 APRILE; 4, 7, 11 MAGGIO dalle 8.30 alle 17.30 orario continuato

IV turno:14, 15, 16, 17, 18, 21, 22, 23, 24 GIUGNO dalle 8.30 alle 17.30 orario continuato

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• La sicurezza in laboratorio

• Progettazione dell’esperimento, cenni di retrosintesi e ricerca nelle banche dati, assemblaggio della vetreria e scelta delle attrezzature,

• Isolamento dei prodotti di reazione:

• La filtrazione

• La cristallizzazione e la purificazione per ricristallizzazione

• L’essiccamento

• La liofilizzazione

• La sublimazione

• Cromatografia di adsorbimento: TLC e cromatografia su colonna

• L’estrazione:

-estrazione con imbuto separatore

-estrazione in continuo

-estrazione di composti organici acidi e basici

• Distillazione

• I prodotti naturali

PROGRAMMA DEL CORSO

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Tecniche di estrazione di prodotti naturali:-enfleurage, macerazione, espressione, distillazione, estrazione con solventi, estrazione con fluidi supercritici, estrazione con l’ausilio delle microonde, estrazione con l’ausilio degli ultrasuoni, estrazione con liquidi pressurizzati

Cenni di sintesi peptidica: - metodi classici in soluzione, metodi in fase solida e metodi in fase liquida- la scelta dei gruppi protettori- metodi per l’introduzione e la rimozione di gruppi protettori- metodi di attivazione e accoppiamento degli amminoacidi

Spiegazione delle esperienze di laboratorio:

TLC

Separazione acido acetil salicilico - difenidramina

Ricristallizzazione dell’acido acetil salicilicoEstrazione della trimiristina dalla noce moscata Estrazione della caffeina dal theEstrazione dell’eugenolo dai chiodi di garofanoSintesi del Paracetamolo e ricristallizzazioneSintesi dell’acetato di isopentile (essenza di banana)Sintesi della lidocainaSintesi del dipetide protetto Phe-Phe

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Programma delle esercitazioni A.A. 2009-20101) - Analisi TLC di sostanze di interesse farmaceutico

- Separazione della miscela Acido acetilsalicilico/Difenidramina mediante estrazione acido-base

2) - Ricristallizzazione dell’acido acetilsalicilico- Estrazione della Trimiristina dalla noce moscata e purificazione per cristallizzazione

3) - Estrazione della Caffeina dal the e purificazione per cristallizzazione

4) - Estrazione dell’Eugenolo dai chiodi di garofano e purificazione cromatografica

5) - Sintesi del Paracetamolo e purificazione per cristallizzazione6) - Sintesi dell’aroma di banana (acetato di isopentile) e

purificazione per distillazione7) - Sintesi della Lidocaina e purificazione per cristallizzazione8) - Protezione della L-Fenilalanina con il gruppo Boc9) - Liberazione della L-Fenilalanina etilestere dal suo sale

cloridrato- Sintesi del dipeptide Boc-N-Phe-Phe-COOEt

10) - Purificazione del dipeptide Boc-N-Phe-Phe-COOEt per via cromatografica

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“Nessuno aveva speso molte parole per insegnarci a difenderci dagli acidi, dai caustici, dagli incendi e dalle esplosioni: sembrava che, secondo la rude morale dell’Istituto, si contasse sull’opera della

selezione naturale per eleggere fra di noi i più adatti alla sopravvivenza fisica e professionale”.

Primo Levi

Molti chimici che lavorano abitualmente con apparecchi e sostanze pericolose tendono infatti a sopravvalutare la propria capacità ed esperienza, quindi a sottovalutare i rischi a cui espongono se stessi e gli altri trascurando le necessarie precauzioni.

LA SICUREZZA IN LABORATORIO

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La sicurezza e la prevenzione degli infortuni

Principali cause di incidenti o infortuni in un laboratorio chimico:

Distrazione; Incoscienza; Insipienza; Troppa sicurezza di sé.

E’ indispensabile che chi lavora in laboratorio sia perfettamente a conoscenza dei pericoli ed operi con la massima cautela mettendo in atto tutte le norme di prevenzione anche nei riguardi dei compagni di laboratorio. La sicurezza in laboratorio non può essere realizzata semplicemente con una serie di istruzioni, ma deriva da una attitudine mentale a metterle costantemente in pratica da parte di chi opera in laboratorio e, soprattutto da chi ne ha la supervisione e la responsabilità.

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La sicurezza in laboratorio consiste in una serie di norme atte a:

Evitare emergenze (incendi, esplosioni, avvelenamenti); Prevenire intossicazioni croniche agli operatori e danni

all’ambiente. Le maggiori fonti di pericolo nell’ambito di un laboratorio chimico sono:

Le sostanze chimiche; Gli apparecchi elettrici; Gli apparecchi in vetro specie se impiegati in operazioni a

pressione elevata o ridotta, ad alta temperatura, ecc.

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Rischi di tipo chimico: esposizione cronica ed acuta a composti chimici La pericolosità della maggior parte dei composti chimici non è nota, in quanto la loro tossicità non è mai stata studiata, né lo sarà mai in quanto lo studio del profilo tossicologico di un composto può costare fino a 1 milione di dollari. In pratica gli unici composti per cui esistono profili tossicologici ed ecotossicologici specifici sono quelli che devono essere approvati prima dell’uso: farmaci, additivi alimentari e pesticidi. Vale quindi la regola della massima prudenza che fa considerare tutti i composti potenzialmente pericolosi. L’assenza di informazioni specifiche sulla manipolazione e sulla tossicità di un composto non significa che il prodotto sia innocuo, ma soltanto che non esiste una documentazione tossicologica al riguardo.

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Come valutare la pericolosità di un composto chimico

Informazioni sulla tossicità di un composto chimico commercialepossono essere ricavate dalla sua etichetta, dove compaiono in formaabbreviata e/o sottoforma di pittogrammi.

La normativa CEE prevede infatti che sul contenitore di ogni reattivocommerciale siano presenti informazioni adeguate ad un suo correttouso e smaltimento.

I simboli di pericolosità vengono assegnati ai vari prodotti chimici inbase ai rischi che essi comportano. La gradazione di pericolo vieneindicata come pedice. Inoltre sono generalmente presenti le frasi disicurezza o di rischio che possono essere interpretate in base aglielenchi presenti nei cataloghi delle ditte fornitrici.

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Una classificazione delle sostanze chimiche pericolose in otto classi è stata proposta dauna apposita commissione della CEE.

Sostanze infiammabili: vanno conservate e manipolate in modo che non siverifichino le condizioni che possono dare origine alla combustione; si conservano inrecipienti ben chiusi riempiti per non più di 2/3 del volume e vengono immagazzinati inarmadi metallici ben ventilati se possibile in ambienti separati. Le sostanzeinfiammabili devono essere scaldate o evaporate sempre sotto cappa, lontano dafiamme, resistenze elettriche, motori elettrici in funzione o superfici molto calde;

Sostanze esplosive e comburenti: valgono le stesse regole delle sostanzeinfiammabili, vanno conservate in ambienti separati resistenti alle esplosioni, separatidalle sostanze infiammabili e maneggiati sotto cappa muniti delle opportuneprecauzioni.

Sostanze tossiche e nocive: In pratica vengono classificate come sostanze tossichequelle che comportano gravi rischi di intossicazione acuta e cronica, con esito ancheletale, come sostanze nocive quelle che comportano rischi minori e limitati. Lesostanze tossiche vanno maneggiate sotto cappa utilizzando i guanti. Dopo l’uso ènecessario lavare accuratamente le mani e i guanti ed eliminare ogni residuo disostanza dal banco di lavoro e dai recipienti. Le sostanze tossiche vanno conservatein recipienti sigillati e posti in armadi chiusi a chiave con indicazione di pericolo benvisibile.

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Sostanze corrosive e sostanze irritanti: si definiscono sostanze corrosivequelle che a contatto con la pelle o con le mucose, esercitano un’azionedistruttrice dei tessuti; sostanze irritanti quelle che esercitano un’azioneinfiammatoria. Per l’utilizzo valgono le stesse norme di sicurezza descritte inprecedenza. Le bottiglie contenenti liquidi corrosivi vanno conservate negliscaffali più bassi in vassoi di materiale inattaccabile in grado di contenereinteramente il liquido in caso di rottura dei recipienti.

Sostanze radioattive: la conservazione e l’impiego di tali sostanze sonosubordinate a norme di legge e regolamenti dettagliati, data la loro pericolositàed il possibile rischio di contaminazioni a lungo termine.

Per i reattivi commerciali esistono delle schede di sicurezza che evidenziano lapericolosità dell’uso e precauzioni nell’impiego. Una copia di queste schede deveessere conservata in laboratorio.

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Ai fini legali le sostanze cancerogene sono classificate in tre categorie:

Categoria 1: sostanze note per effetti cancerogeni sull’uomo; composti per cui esiste una relazione provata causa-effetto tra l’esposizione e lo sviluppo di una neoplasia (benzene, bis-clorometiletere, sali di cromo VI, epicloridrina);

Categoria 2: sostanze fortemente sospettate di essere cancerogene per l’uomo; Categoria 3: sostanze sospettate di essere cancerogene su cui però non esistono

informazioni sufficienti per una valutazione completa. A questi composti sono associate le frasi di rischio R45 (può provocare il cancro) o R49 (può provocare il cancro per inalazione). Alle sostanze potenzialmente cancerogene o sospettate di esserlo sono attribuiti il pittogramma Xn e la frase di rischio R40 (può provocare danni irreversibili). La chemical Society inglese ha commissionato un’indagine epidemiologica retrospettiva su morbilità e mortalità dei chimici rispetto alle altre classi di lavoratori. I risultati sono stati incoraggianti, in quanto è risultato che addirittura i chimici vivono leggermente più a lungo di altri lavoratori appartenenti allo stesso gruppo sociale. Sono risultati leggermente più alti rispetto alla media alcuni tipi di tumori come le leucemie.

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Esposizione a solventi Dal punto di vista pratico uno dei pericoli più comuni e generalizzati che si incontrano in un laboratorio di chimica organica è rappresentato dall’inalazione dei solventi. I solventi sono utilizzati in modo massiccio, sia per le reazioni che per le purificazioni cromatografiche. A parte alcuni solventi dipolari aprotici come il DMSO e la DMF, la maggior parte dei solventi organici ha una tensione di vapore apprezzabile a temperatura ambiente. La pericolosità dell’esposizione ad un solvente può essere valutata prendendo in esame parametri quali la temperatura di ebollizione, la tensione di vapore a temperatura ambiente, il valore limite di esposizione (VLE) e la soglia olfattiva. I valori della soglia olfattiva sono molto variabili, in quanto la sensibilità varia in modo apprezzabile da persona a persona. Tutti gli odori danno poi il fenomeno della sensibilizzazione, per cui dopo un certo tempo di esposizione ad un odore non è più possibile la sua percezione. Un solvente ideale ha bassa tossicità (valore elevato di VLE) e bassa soglia olfattiva. In questo modo è facile rivelare la sua presenza nell’ambiente già a basse dosi, lontane da quelle tossiche.

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Idrocarburi (pentano, esano, cicloesano, benzene, toluene): l’ampia gamma di VLE (3 ppm per ilbenzene, 1800 ppm per il pentano) indica notevoli diversità di tossicità, legate al metabolismo diquesti composti. Benzene ed esano hanno metaboliti tossici, responsabili rispettivamente dellaattività cancerogena e neurotossica, ed andrebbero sostituiti con toluene e cicloesano che hannoun metabolismo più benigno.

Alogenoalcani (cloroformio, diclorometano, tetracloruro di carbonio): andrebbero evitati il piùpossibile in quanto tossici per il fegato (tetracloruro di carbonio) o cancerogeni per gli animali(cloroformio, diclorometano).

Alcoli (metanolo, etanolo): il metanolo ha una discreta tossicità, legata soprattutto all’azione lesivasul nervo ottico (la retina contiene una altissima concentrazione dell’enzima alcoldeidrogenasi, chetrasforma il metanolo in formaldeide); l’etanolo è poco tossico, aumenta, tuttavia, la tossicità epaticadei solventi alogenati.

Esteri (acetato di etile): è un composto poco tossico e quindi il solvente ideale in laboratoriosoprattutto per la lavorazione delle reazioni;

Eteri (etere, diossano, tetraidrofurano): l’etere è poco tossico, il rischio maggiore è legato alla suainfiammabilità; tetraidrofurano e diossano sono irritanti per le vie aeree, ed il diossano ècancerogeno per gli animali da esperimento.

Solventi dipolari aprotici (acetone, acetonitrile, DMSO, DMF): l’acetone è uno dei solventi menotossici in assoluto; l’acetonitrile presenta tossicità paragonabile a quella dei cianuri, ma con effettimeno rapidi ed intensi. DMF e DMSO non sono particolarmente tossici, ma hanno elevatapermeabilità attraverso l’epidermide.

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Esposizione a reattivi con tensione di vapore apprezzabile

Alcuni reattivi di uso comune hanno tensione di vapore apprezzabile atemperatura ambiente. Nella tabella sono riportati i valori limite diesposizione a quelli più comuni.

La tensione di vapore del mercurio è circa 400 volte superiore allaVLE. E’ quindi necessario evitare al massimo la dispersione delmercurio in seguito a rottura accidentale di termometri, fuoriuscite davacuometri o valvole di sfogo dei gas.

I metodi migliori per raccogliere le goccioline di mercurio sono:

Solidificazione con ghiaccio secco; Formazione dell’amalgama con zolfo; Aspirazione con pipetta Pasteur.

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Il contatto con un composto chimico può avvenire per tre vie:

1. Ingestione: (via orale) si tratta della via più grave e diretta, ma anche quella più facile da prevenire con alcune semplici precauzioni:

Non assaggiare mai i composti che si sono preparati né alcun reagente (saccarina, aspartame, nitroglicerina);

Non usare la bocca per aspirare soluzioni in pipetta. Usare esclusivamente sistemi meccanici di aspirazione;

Non consumare e conservare alimenti e bevande in laboratorio, né usare vetreria di laboratorio come surrogato di stoviglie (ultrapotenza analgesica degli addotti di Diels-Alder della tebaina).

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2. Inalazione: (via respiratoria); riguarda i gas, i liquidi volatili (solventi) e le polveri. Il pericolo è duplice, sia a livello locale (vie respiratorie e polmoni) che a livello sistemico (assorbimento alveolare e passaggio in circolo).

L’inalazione di solventi non è completamente eliminabile, soprattutto in un laboratorio affollato, ma può essere limitata e ridotta a livelli non nocivi osservando alcune semplici misure precauzionali:

• Lavorare sempre in un ambiente aerato;• Maneggiare i solventi bassobollenti sotto cappa;• Maneggiare le polveri portando opportune mascherine a protezione di bocca e naso.

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3. Assorbimento cutaneo: (via transdermica); i comuni solventi sono tutti assorbiti attraverso la pelle e, in generale, ogni liquido lipofilo a basso peso molecolare è potenzialmente in grado di attraversare la barriera cutanea.

Un caso interessante è quello del DMSO: il composto in se non è tossico (è stato persino considerato come trattamento per l’artrite reumatoide), ma facilita il passaggio attraverso la pelle e le mucose di sostanze idrofile.

Nel fegato il DMSO è in parte metabolizzato a dimetilsolfuro e quest’ultimo è escreto anche per via linguale, per cui se ne può sentire il sapore dopo un contatto cutaneo.

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L’assorbimento cutaneo di composti chimici può essere limitato prendendo le seguenti precauzioni:• Indossare sempre il camice;• Indossare guanti quando si maneggiano composti chimici. Pur non garantendo di per sé una protezione efficace contro i liquidi lipofili, i guanti possono essere sfilati rapidamente in caso di contatto accidentale;• Indossare preferibilmente pantaloni lunghi piuttosto che gonne e pantaloni corti;• Non utilizzare scarpe aperte come i sandali;• Gli occhi meritano poi precauzioni particolari. Acidi e basi concentrate, agenti ossidanti (bromo, permanganato) e disidratanti (acido solforico, anidride acetica, anidride fosforica) possono provocare lesioni irreversibili. Per questo motivo bisogna sempre portare gli occhiali di protezione.

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Occhiali di protezione: quando si lavora con sostanze irritanti o corrosive o si eseguono operazioni che comportano rischi di esplosione o di schizzi di materiale, è indispensabile proteggere gli occhi con adeguati occhiali di sicurezza. Per una protezione maggiore si usano schermi facciali o visiere, particolarmente indicate per le distillazioni sotto vuoto o altre operazioni che comportino rischi di esplosione.E’ buona regola comunque usare SEMPRE gli occhiali da laboratorio anche quando si eseguono operazioni apparentemente non pericolose.

Guanti di gomma: quando si lavora con sostanze tossiche corrosive o irritanti o con gas liquefatti, bisogna sempre utilizzare guanti di protezione. I guanti di lattice, comunemente utilizzati in laboratorio sono resistenti alla maggior parte dei solventi, agli acidi e alle basi diluiti ed alla maggior parte dei reagenti organici, purché il contatto non sia prolungato. Comunque devono essere sostituiti spesso anche se non presentano lacerazioni apparenti.

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Criteri per la conservazione dei solventi e dei reagenti

Le norme per la corretta conservazione dei reattivi commerciali sonoindicate direttamente sull’etichetta delle frasi di sicurezza.

Solventi e reattivi infiammabili non dovrebbero mai essere conservatiin frigoriferi privi dell’opportuna protezione contro la formazioneaccidentale di scintille.

All’interno di un frigorifero non c’è ventilazione ed i vapori tendono adaccumularsi formando miscele esplosive o alte concentrazioni dicomposti tossici.

Tutti i liquidi contenuti in frigo vanno accuratamente chiusi con tappi avite o setti di gomma, mai con tappi di vetro specie se non siliconati(diminuita adesione a freddo). Per minimizzare le reazionifotochimiche è conveniente utilizzare contenitori di vetro scuro.

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Smaltimento di rifiuti organici e salvaguardia ambientale

La lotta all’inquinamento e la tutela dell’ambiente sono esigenze a cuiil chimico non può sottrarsi, iniziando a comportarsi responsabilmentesul luogo di lavoro.

L’esempio più generale è quello dei solventi; i solventi andrebberoriciclati il più possibile ed usati sempre con criterio e parsimonia,cercando, per quanto riguarda la cromatografia, di utilizzare miscelefacilmente recuperabili (esano-acetato di etile, etere di petrolio-acetato di etile).

Il modo migliore per distruggere i solventi è la combustione, effettuatain appositi inceneritori. I solventi da smaltire vanno quindi divisi in dueclassi di raccolta, quelli alogenati e quelli non alogenati, in quantol’incenerimento dei solventi alogenati necessita di catalizzatorispeciali.

La sintesi organica utilizza spesso solventi che, per loro natura sonoinstabili, tossici o esplosivi e che quindi è necessario distruggereprima di inviare allo smaltimento.Le procedure di distruzione sono sempre operazioni pericolose, chevanno eseguite da personale specializzato munito delle opportuneprotezioni.

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Incendi ed esplosioni

I rischi di incendio ed esplosione possono essere limitati dalla conoscenza dei composti che possono provocare questi eventi e da una opportuna prevenzione a livello di programmazione dell’esperimento.

Incendi ed esplosioni sono però a volte imprevedibili. Come commentato in un editoriale di una rivista chimica “ any chemical reaction that proceeds smoothly under normal conditions, can proceed violently in the presence of an idiot”.

La maggior parte dei solventi organici con l’eccezione di quelli ad alto grado di alogenazione (la combustione è una reazione di ossidazione e il carbonio in questi composti ha già un numero di ossidazione elevato) sono facilmente infiammabili.Il pericolo incendiario di un solvente può essere valutato esaminando due parametri:

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Il pericolo incendiario di un solvente può essere valutato esaminando due parametri:

Il punto di fiamma (Fp, flash point): la più bassa temperatura alla quale un liquido emette vapori in concentrazione sufficiente a formare una miscela infiammabile con l’aria alla superficie del liquido. Tutti i composti con punto di fiamma inferiore alla temperatura ambiente possono incendiarsi se lasciati aperti all’aria a questa temperatura.

Intervallo di infiammabilità (Lf; limits of flammability): gamma di

concentrazione di un composto nell’aria suscettibile di incendiarsi in presenza di una fiamma o di una scintilla (sigaretta). Quanto più ampio è l’intervallo di infiammabilità, tanto più è facile che si verifichino le condizioni per lo sviluppo di un incendio. L’intervallo di infiammabilità è importante per ambienti chiusi (frigoriferi, armadi).

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Per una corretta utilizzazione dei solventi organici, attenersi a questeregole generali:

Evitare di lavorare in ambienti confinati o chiusi con circolazionedi aria insufficiente (aumento della pressione relativa delcomposto infiammabile nell’aria); cercare di lavorare sempresotto cappa;

Mai fumare in laboratorio; Accertarsi che non esistano fiamme accese nelle vicinanze o

fonti di calore quali termomanti o piastre riscaldanti; Qualunquefonte di calore al di sopra dei 300 °C ha la capacità di innescareincendi;

Accertarsi che non ci siano apparecchi elettrici che generanoscintille nelle vicinanze;

Utilizzare camici di cotone.

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Esistono tre categorie di esplosivi a cui si fa riferimento con le frasi di rischio con i codici R1-R6, R16 e R18:

Miscele gassose di idrogeno, acetilene e ossido di azoto (II) con l’aria;

Composti contenenti un gruppo riducente ed uno ossidante all’interno della stessa molecola ad es. nitrati inorganici NH4NO3, esteri nitrici di polioli (nitroglicerina), polinitroderivati aromatici (acido picrico, trinitrotoluene), nitrofenoli e loro sali alcalini;

Composti contenenti un legame debole la cui rottura richiede meno di 50 Kcal/mol; acetiluri di metalli pesanti, perossidi e idroperossidi, soluzioni concentrate di acqua ossigenata, peracidi, aloammine, sali di diazonio, diazoderivati, azidi, clorati e perclorati.

Data la stabilità dei radicali a-ossigenati, gli eteri di alcoli non terziari subiscono facilmente auto-ossidazione, con formazione di perossiemiacetali, meno volatili degli eteri corrispondenti.

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La distillazione di eteri bassobollenti (etere etilico, THF) porta quindi ad una rapida concentrazione dei perossidi nel pallone di distillazione.

E’ pertanto di estrema importanza che questi eteri siano sempre distillati in presenza di agenti riducenti (Na metallico) usando il benzofenone come indicatore non solo di anidricità, ma anche di assenza di perossidi (l’anione radicale blu-verde ottenuto per trasferimento elettronico dal metallo al benzofenone è distrutto da acqua e perossidi). Il pericolo dovuto alla formazione di perossidi è indicato dalla frase di rischio R19.

Il diazometano è un gas esplosivo, normalmente usato sotto forma di sale di Lewis con l’etere. Questo liquido giallo e bassobollente mantiene la tossicità ed esplosività del prodotto puro ed è preparato a partire da opportuni precursori del tipo N-metilico-N-nitrosoammidici, a loro volta potenti mutageni.

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Superfici smerigliate possono innescare la deflagrazione del diazometano ed è quindi imperativo generare ed utilizzare il prodotto usando vetreria apposita priva di superfici smerigliate.

Un altro pericolo è rappresentato dalla estrazione di soluzioni fortemente basiche con cloroformio. In ambiente fortemente alcalino avviene una -eliminazione con formazione di diclorocarbene, che per la sua grande reattività può portare ad esplosioni improvvise quando si agita l’imbuto separatore.

Una comune fonte di incendio è rappresentata dai catalizzatori che si usano per l’idrogenazione catalitica, che, allo stato ridotto in cui si trovano al termine della reazione sono altamente piroforici. Il filtro usato per la filtrazione non va mai lasciato seccare, ma smaltito immediatamente.

Agenti riducenti (LiAlH4), reattivi organometallici (BuLi) e metalli alcalini possono facilmente infiammarsi in presenza di acqua

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Estintori idrici: l’acqua viene spinta fuori dalla pressione di un gas, in genere anidride carbonica, che viene prodotto all’interno dell’estintore al momento dell’uso. Non sono molto usati nei laboratori chimici in quanto l’acqua può reagire con molte sostanze o addirittura, in caso di incendio di solventi immiscibili con essa, può espandere l’incendio anziché soffocarlo. Si possono utilizzare per spegnere incendi di materiali ordinari (legno, plastica, gomma, stoffa), purché non siano in prossimità di apparecchi elettrici sotto tensione;Estintori a schiuma: poiché la schiuma (formata per via chimica o meccanica) è in genere di natura acquosa, tali estintori presentano molte delle controindicazioni di quelli ad acqua; ad esempio non sono adatti per spegnere incendi di apparecchi elettrici sotto tensione. Si possono utilizzare per spegnere incendi di solventi organici, purché di estensione limitata;Estintori a tetracloruro di carbonio: sono molto efficaci per l’estinzione di incendi estesi implicanti apparecchi elettrici sotto tensione. Poiché per pirolisi delle sostanze in essi contenuti si generano vapori tossici (fosgene), l’area dell’incendio deve essere ben ventilata dopo lo spegnimento;

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Estintori ad anidride carbonica: sono i più usati nei laboratori chimici per la loro efficacia contro incendi di varia natura. Dato che l’anidride carbonica non lascia residui, il getto dell’estintore può essere diretto anche su apparecchi delicati o fragili. Non sono indicati per spegnere incendi provocati da metalli reattivi, idruri o composti metallorganici. Se è stata usata una quantità elevata di anidride carbonica, l’ambiente dovrà essere ben ventilato per evitare il pericolo di asfissia;

Estintori a secco o a polvere chimica: contengono generalmente sabbia asciutta mista a sostanze inorganiche (bicarbonato di sodio, farina fossile) e sostanze resinose. La polvere viene soffiata fuori da un gas sotto pressione, e forma una crosta sulla sorgente d’incendio isolandola dall’atmosfera. Sono efficaci contro incendi di varia natura; in particolare sono gli unici da usare per incendi dovuti a metalli reattivi, idruri metallici, metallo-alchili ed altri composti metallorganici.

E’ opportuno disporre anche di un’apposita coperta da utilizzare per spegnere gli incendi degli abiti.

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FASE STAZIONARIA

FASE MOBILE

materiale granulare omogeneo fatto aderire sotto forma di strato sottile su un supporto piano. L’insieme del supporto e della fase stazionaria viene chiamato LASTRINA.

normalmente scorre lungo la fase stazionaria per capillarità oppure per gravità.

CROMATOGRAFIA SU STRATO SOTTILE (THIN LAYER CHROMATOGRAPHY - TLC)

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SUPPORTI

VETRO: spessore 1-2 mm, facile da maneggiare, rigido ma fragile e pesante.Le lastrine hanno dimensioni variabili, in genere 20 cm x 20 cm, 10 cm x 20 cm , 5 cm x 20 cm .

ALLUMINIO: sono disponibili in commercio dei fogli dallo spessore di 0,2 mm già rivestiti di fase stazionaria, dai quali è possibile ritagliare lastrine con le dimensioni desiderate. Sono facili da maneggiare, leggere e flessibili, ma sono facilmente deformabili.

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La fase stazionaria è un materiale solido polare (come gel di silice, allumina e cellulosa) mentre la fase mobile è apolare;

la separazione di miscele è dovuta principalmente a fenomeni di adsorbimento (formazione di legami non

covalenti, quali ponti idrogeno, Van der Waals, dipolo dipolo, tra le sostanze e i siti attivi della fase stazionaria)

CROMATOGRAFIA NORMALE CROMATOGRAFIA NORMALE

La fase stazionaria è non polare con proprietà di liquido, mentre la fase mobile è relativamente polare; la separazione è dovuta principalmente alla ripartizione dei composti tra le

due fasi liquide.

CROMATOGRAFIA IN FASE INVERSACROMATOGRAFIA IN FASE INVERSA

Le fasi stazionarie più usate sono quelle Le fasi stazionarie più usate sono quelle POLARIPOLARI

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FASI STAZIONARIE SOLIDEKIESELGHUR: si tratta di acido silicico amorfo di origine fossile, noto anche come “terra di diatomee” o “diatomite”. Viene lavorato in modo da ottenere una polvere con particelle molto porose.

GEL DI SILICEE’ il materiale più usato. Sostanza amorfa e porosa è il prodotto di polimerizzazione dell’acido ortosilicico. Si ottiene per calcinazione a partire da una soluzione acida di silicato di sodio. La polimerizzazione dell’acido silicico, con eliminazione di acqua, porta alla formazione di granuli porosi sulla cui superficie sono presenti i siti attivi Si-OH.

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Sul mercato sono disponibili diversi tipi di gel di silice, caratterizzati da vari gradi di purezza granulometria,

contenenti o meno un legante, che di solito è gesso (gel di silice G)

Il gel di silice può inoltre essere addizionato di uno o più indicatori di fluorescenza.

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ALLUMINAPreparata a partire da una sospensione di idrossido di alluminio per calcinazione moderata (500°C). La capacità adsorbente dell’allumina, come anche quella del gel di silice, dipende dalla quantità residua di acqua, essendo quest’ultima in grado di bloccare i siti attivi superficiali essenziali per l’adsorbimento stesso.Si può ottenere allumina in tre forme: acida, basica e neutra, in funzione del pH della sospensione acquosa di partenza.L’allumina usata in TLC è generalmente basica (sospensione acquosa al 10% a pH 9,5).

CELLULOSAcostituisce l’evoluzione della cromatografia su carta, rispetto alla quale consente tempi di esecuzione più brevi.Si utilizza cellulosa di alta qualità, macinata e trattata in modo da ottenere fibre di lunghezza ottimale. Sono disponibili in commercio lastre di cellulosa naturale e di cellulosa microcristallina ad elevata purezza. Anche in questo caso possono essere addizionati indicatori di fluorescenza.

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FASE MOBILELa fase mobile è costituita da un solvente o da una miscela di solventi (eluenti) che possono avere polarità diversa, caratteristica ricavabile dalle serie eluotrope presenti in letteratura.

Serie eluotropa

In cromatografia di adsorbimento esprime la forza di un solvente in funzione dell’adsorbente impiegato e si ottiene misurando il calore che si sviluppa quando un solvente puro viene fatto interagire con silice o allumina: si indica con ε.

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Scelta della fase mobile

1)Fase stazionaria e fase mobile devono interferire il meno possibile fra di loro indipendentemente dalla natura delle sostanze da separare.

2)I componenti della miscela da separare devono poter interagire con entrambe le fasi.

3)Il campione deve essere molto solubile nell’eluente.

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PROCEDURE OPERATIVEPROCEDURE OPERATIVEIl campione, disciolto in opportuno solvente, viene deposto sulla lastrina come MACCHIA MACCHIA (spot) o come STRISCIA, STRISCIA, utilizzando opportuni capillari di vetro (volume variabile da 1 a 10 µL) o siringhe.

La lastrina così allestita viene posta quindi all’interno della CAMERA DI ELUIZIONE, normalmente un recipiente di vetro di forma e volume opportuni dotato di coperchio a tenuta. La fase mobile (eluente) viene posta sul fondo del recipiente. Il grado di saturazione della camera è fondamentale per la buona riuscita della separazione cromatografica.

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SVILUPPO ASCENDENTESVILUPPO ASCENDENTEE’ la tecnica più diffusa. La semina è realizzata lungo una linea parallela al bordo inferiore dalla lastrina, a circa 1 cm da esso.La lastrina viene quindi appoggiata verticalmente all’interno della camera, assicurandosi che il solvente non lambisca o ricopra gli spot di semina.

L’eluente risale la lastrina per capillarità e viene fatto correre fino a circa 1 cm dal bordo superiore della lastrina. I tempi di eluizione variano da 20 minuti a qualche ora, dipendentemente dall’eluente.

> 0,5 cm

10 cm

1 cm

1 cm

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A+B+Clinea di semina

Fronte del solvente

A

B

C

SEPARAZIONE DELLA MISCELA

ST

D A

ST

D B

cam

pion

e

ST

D C

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CROMATOGRAFIA BIDIMENSIONALE

Seminando un singolo spot in un angolo della lastrina (1) è possibile effettuare una prima separazione utilizzando un opportuno eluente (2). Successivamente, ruotando la lastrina di 90°, si possono eluire ulteriormente le macchie ottenute con un solvente diverso (3). Questa tecnica è particolarmente utilizzata per la separazione di miscele particolarmente complesse e degli amminoacidi.

11 3322

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Questa tecnica prevede l’impiego di una lastra circolare con uno sviluppo orizzontale.Nel foro centrale della lastrina si pone uno stoppino di cotone o di carta da filtro che permette il pescaggio dell’eluente dal fondo della camera.Le specie chimiche migrano dal centro della lastra (dove sono state seminate attorno al foro o direttamente sulla parte dello stoppino che fuoriesce) verso la periferia dando luogo, al posto degli spot tipici della cromatografia ascendente, ad anelli concentrici.

SVILUPPO SVILUPPO CIRCOLARECIRCOLARE

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Quando lo sviluppo è completato, si estrae la lastrina dalla camera di eluizione, si indica il livello raggiunto dal fronte del solvente e si evapora l’eluente all’aria o con un phon. Se gli analiti non sono termolabili, è possibile asciugare in stufa a 100-105°C per qualche minuto.

Per rendere visibili gli spots di sostanze non colorate possono essere utilizzate varie procedure:

• Rivelazione con raggi UV

• Rivelazione con reagenti chimici

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RIVELAZIONERIVELAZIONE CON RAGGI UVCON RAGGI UV

Sostanze FLUORESCENTI

Sostanze non FLUORESCENTI

Si irraggia la lastrina con lampade UV che emettono a 252 e 366 nm

MACCHIE LUMINOSE MACCHIE LUMINOSE SU FONDO SCURO

la fase stazionaria deve essere impregnata con una sostanza

fluorescente

MACCHIE SCURE SU FONDO FLUORESCENTE

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RIVELAZIONE CON REAGENTI CHIMICIRIVELAZIONE CON REAGENTI CHIMICI

A) Reattivi di uso generale:

VAPORI DI IODIO: sono specifici per composti che contengono doppi legami.

H2SO4 in etanolo + riscaldamento: permette la carbonizzazione delle sostanze organiche con comparsa di spot scuri su fondo bianco.

KMnO4: reattivo ossidante che porta alla formazione nel sito di reazione di macchie scure per la formazione di MnO2

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B) Reattivi specifici (gruppi funzionali o classi di sostanze)

NINIDRINA: per amminoacidi e zuccheri.

DRAGENDORFF: bismuto subnitrato + HCl +KI, per alcaloidi.

REATTIVO CLORO-PLATINICO: per alcaloidi.

FAST BLUE: complesso di Zn + o-anisidina, per cannabinoidi.

ANISALDEIDE IN H2SO4: per steroidi, terpeni, fenoli, saponine.

ARGENTO ACETATO: per caffeina.

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1) SPECIFICITA’2) RIPRODUCIBILITÀ3) EFFICIENZA4) RISOLUZIONE5) CAPACITÀ

CARATTERISTICHE della TLC:

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SPECIFICITA’

è la capacità di una tecnica analitica di separare una sostanza dagli altri componenti interferenti di una miscela, permettendone una identificazione inequivocabile e senza dubbi.

La specificità di una analisi in TLC è legata alla mobilità cromatografica dei componenti la miscela, espressa dal fattore di ritenzione assoluto.

L’adozione di differenti metodologie di rivelazione delle macchie (UV o chimica) rende la tecnica in esame ancora più specifica.

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(corsa della sostanza sulla lastra) è determinata da

Equilibrio di forze adsorbenti al supporto e di solubilizzazione nell’eluente

Viene espressa comefattore di ritenzione

assoluto (Rf)

ds

di

ds

di

Rf= di / ds

dove:di = distanza percorsa da un

componenteds= distanza percorsa dal solvente

MOBILITÀ CROMATOGRAFICA

(cromatografia normale)

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RIPRODUCIBILITA’

La riproducibilità dell’ Rf, a parità di fase stazionaria e mobile, non è elevata perché dipende da diversi fattori:

• omogeneità dello strato di fase stazionaria, che dipende sia dalle caratteristiche delle particelle, che devono essere il più uniformi possibile, che dalla tecnica di deposizione dello strato;

• spessore dello strato; per le analisi in TLC si utilizzano generalmente strati aventi spessore di circa 250 µm;

• temperatura: deve essere mantenuta costante per evitare variazioni delle proporzioni in miscele di eluenti, dovute al cambiamento della tensione di vapore dei solventi stessi;

• grado di saturazione della camera di eluizione;

• volume di semina della miscela da separare. Con strati di 250 µm i migliori risultati si ottengono seminando 5-10 µg di campione.

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Rf relativo (Rrel ) è

dato dal rapporto

R rel = Rf A / Rf st

dove:

Rf A = Rf assoluto del componente A

Rf st = Rf assoluto di uno standard di

riferimento

Non esistendo però una sostanza standard di riferimento sempre valida a cui rapportarsi, per effettuare una analisi identificativa di una sostanza in TLC è necessario seminare, sulla medesima lastrina accanto alla miscela in esame, i componenti puri (standard) che ci si aspetta di trovare, effettuando il riconoscimento per confronto diretto tra gli Rf degli spot incogniti con quelli degli standard seminati.

Essendo queste condizioni non facilmente riproducibili, per confrontare i risultati di più corse cromatografiche è possibile utilizzare, al posto del fattore di ritenzione assoluto, il fattore di ritenzione relativo:

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EFFICIENZA

è la capacità del sistema cromatografico di mantenere compatta la macchia durante l’eluizione.

Dipende da diversi fattori, alcuni dei quali sono:

- GRANULOMETRIA della FS: è espressa dal diametro medio delle particelle e deve essere la più piccola possibile.

- QUALITA’ DELL’IMPACCAMENTO della FS: lo strato sottile deve essere il più possibile uniforme e omogeneo.

- MISCELA ELUENTE

- CONDIZIONI SPERIMENTALI

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RISOLUZIONE

Esprime la capacitàdel sistema di fornire, alla fine dell’eluizione,macchie ben distinte fra di loro. Dipende dalla specificitàe dall’efficienza

del sistema.Viene definita dalla seguente relazione:

dRs=

wA+ wB

2

Dove: d=distanza fra i centri delle due macchiewA e wB= diametro di ciascuna macchia

misurato lungo la direzione della corsa dell’eluente

Due macchie si possono considerare risolte se Rs> 1

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Efficienza bassa

bassa elevata elevata

Risoluzione insuff. buona insuff. elevata

La RISOLUZIONE è legata all’ EFFICIENZA e alla SPECIFICITÀ

Specificità buona

bassa

bassa

buona

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CAPACITA’Quantità di campione che può essere depositata sulla lastrina per ottenere una buona separazione. Quantità eccessive determinano infatti macchie di forme irregolari che possono rendere scarsa la separazione e/o equivoca l’identificazione dei componenti della miscela

Fronte del solvente

EFFETTO BORDO

:

salita non uniforme della fase mobile dovuta alla non uniformità della fase stazionaria o alla cattiva ambientazione della camera di eluizione

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ANALISI QUANTITATIVA

La TLC è una tecnica tipicamente utilizzata a fini qualitativi. La determinazione quantitativa delle sostanze eluite non è infatti semplice, e richiede una rigida standardizzazione della procedura cromatografica.In particolare devono essere controllati i seguenti parametri:

• quantità di campione depositato e diametro degli spot;• tempo di evaporazione del solvente dallo spot;• temperatura alla quale è mantenuto il sistema;• tempo di eluizione e corsa del solvente;• temperatura e tempo di essiccamento della lastrina.

La determinazione quantitativa può essere quindi effettuata con le seguenti modalità:• eluizione in parallelo della miscela in esame e di soluzioni standard a concentrazione nota, seguita dal confronto tra le aree degli spot (errore 20-30%);• uso di fotodensitometri e analizzatori di immagine (Tecnica TLC-Tlsee) con creazione di densitogrammi (errore 1-2%);• asportazione della macchia ed estrazione con solvente (errore 2%), con successiva analisi quantitativa della soluzione con altra metodica.