CORSO DI DIRITTO CIVILE A.A. 2015/2016 - e-l.unifi.it · IL CONTRATTO: PROFILI E QUESTIONI Prof....
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CORSO DI DIRITTO CIVILE A.A. 2015/2016
IL CONTRATTO: PROFILI E QUESTIONI
Prof. Giovanni Furgiuele
con la collaborazione
della Dott.ssa Giulia Tesi e dell’Avv. Marco Rizzuti
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DIRITTO CIVILE
Prof. GIOVANNI FURGIUELE
Lezioni a cura della Dott.ssa Giulia Tesi
INTRODUZIONE
1. Profili introduttivi sul corso di diritto civile………………………………………………………………pag. 2
2. La definizione di contratto: riflessioni sul contenuto dell’articolo 1321 del codice
civile……………………………………………………………………………………………………………………………pag. 5
3. Gli effetti obbligatori e gli effetti reali del contratto………………………………………………….pag. 13
4. L’attività di interpretazione……………………………………………………………………………………pag. 25
2
INTRODUZIONE
1. Profili introduttivi sul corso di diritto civile.
Il corso prende l’avvio con alcune considerazioni di carattere
introduttivo che tenderanno a mettere in risalto alcuni aspetti
specifici del ragionamento tecnico giuridico che costituiscono gli
strumenti utili a capire lo svolgimento ulteriore del corso stesso.
Innanzitutto, vale la pena soffermarsi sul concetto di diritto civile. La
prima domanda da porsi è, quindi, inerente al significato di diritto
civile e alla differenza che sussiste fra quest’ultimo e le cosiddette
istituzioni di diritto privato.
Potrebbe, a tal proposito, sembrare che il diritto civile rappresenti
soltanto una sommatoria di concetti e argomenti che si vanno ad
aggiungere a quelli che normalmente sono impartiti con
l’insegnamento di diritto civile.
In altre parole, l’obiettivo dell’insegnamento di diritto civile potrebbe
essere quello di migliorare la preparazione dello studente attraverso
la conoscenza di dati oggettivi ulteriori rispetto a quelli che sono già
presenti nel suo bagaglio culturale.
Noi, però, non riteniamo che il diritto civile abbia come unico
obiettivo quello di integrare la preparazione che viene fornita
dall’insegnamento del diritto privato.
Al contrario, per comprendere a pieno il significato del corso di diritto
civile è opportuno riflettere su entrambi i termini in questione: diritto
e civile.
Per quanto concerne il diritto, bisogna prendere atto del fatto che
esistono, a livello dottrinale, diversi modi di concepire il medesimo.
Che cos’è il diritto civile?
Il concetto di diritto
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In primo luogo, per diritto possiamo intendere, nient’altro che
l’indicazione di un complesso di norme. Prendiamo, ad esempio, gli
articoli del Codice Civile: essi non sono altro che una serie di norme
Pertanto, è possibile caratterizzare il diritto come una serie di norme,
con la conseguenza che la conoscenza dello stesso passa attraverso la
conoscenza, nell’ambito della materia di cui ci stiamo occupando, del
contenuto degli articoli del Codice Civile
In tal modo, si dà una visione statica del mondo giuridico. In altri
termini, ciò che è stato stabilito nel 1942 e che costituisce il contenuto
del Codice Civile ci dice che cosa sussiste dal punto di vista dei
rapporti giuridici privatistici.
Non si ritiene, però, che questo sia l’unico modo di concepire il diritto.
Esso non è soltanto il complesso delle norme che provengono dallo
Stato, dalla Comunità europea o da qualsiasi altro organo dotato di
potere legislativo.
Quello appena descritto è solo un modo di descrivere il fenomeno
giuridico che, riferendo il tutto al complesso delle norme, esalta il
profilo statico del mondo giuridico.
Accanto a questa visione ce ne sono altre. Non è possibile, in questa
sede, ingigantire la questione facendo riferimento a tutte quelle teorie
che si pongono in contrasto con la concezione puramente normativa
del diritto.
È opportuno, però, porre l’attenzione su due aspetti.
Il complesso di norme che rappresenta il materiale originario del
fenomeno giuridico costituisce, nella vita di tutti i giorni, il
riferimento al realizzarsi di un’attività interpretativa svolta dalla
dottrina e dalla giurisprudenza. Quando si parla di diritto si vuole,
quindi, fare riferimento soprattutto al materiale da cui si origina
l’attività di interpretazione. Da questo punto di vista, l’interpretazione
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non rappresenta un momento secondario, ma un momento di
realizzazione dinamica (e, quindi, non statica) del fenomeno giuridico.
Quando si dice che una norma ha una certa estensione, quando, cioè,
si realizza, nella visione dei soggetti a cui compete l’attività di
carattere interpretativo, una certa immagine si dà una specifica
visione del fenomeno giuridico. Ciò, in altri termini, significa fare
riferimento ad un complesso di norme senza, però, soffermarsi
soltanto sul mero dato normativo.
Tutto quanto sopra detto comporta l’attribuzione, al termine diritto,
di un’estensione che va al di là del profilo normativo.
Il diritto civile, quindi, è certamente un complesso di norme, ma non è
soltanto quello. Quella che si svolge a livello normativo è soltanto una
parte del discorso giuridico.
Pertanto, per capire cosa si intende per diritto significa, anche, andare
al di là del dato normativo. In questo contesto, quindi, lo svolgimento
dell’attività interpretativa si realizza attraverso l’utilizzo di tutto ciò
che caratterizza, in maniera essenziale e costitutiva, il momento
dell’interpretazione (principi, regole, attività, valutazioni).
Nella sostanza, il diritto non è solo un complesso di norme ma, in
senso più autentico e reale, è ciò che si realizza in un certo momento a
seguito dello svolgimento dell’attività di interpretazione.
Soffermiamoci, ora, sul termine civile. Come detto sopra, il diritto civile è
un momento dell’insegnamento privatistico. È, quindi, opportuno
mettere in relazione il diritto civile e le istituzioni di diritto privato.
Quest’ultimo insegnamento ci dà un’immagine, per così dire, statica
della disciplina privatistica. Viceversa, nell’ambito di questa logica,
l’insegnamento civilistico indica un riferimento ad un’attività
ulteriore che si arricchisce del momento interpretativo.
Il diritto civile
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In altri termini, il diritto civile non ha soltanto una funzione di
integrazione, per così dire, contenutistica ma, anche, una funzione di
integrazione sotto il profilo del metodo.
Il corso di diritto civile in questione non si pone come obbiettivo
soltanto l’arricchimento delle nozioni statiche di istituzioni di diritto
privato. Il corso in questione seguirà un diverso approccio
metodologico che sarà utile per esprimere risposte e conoscenze
rispetto a problemi che si pongono nell’ambito del rapporto fra
soggetti privati. In altre parole, il corso avrà ad oggetto la valutazione,
intesa in senso ampio e preciso, di ciò che costituisce la disciplina dei
rapporti a livello civilistico.
Fatta questa breve premessa in ordine all’immagine del diritto civile,
veniamo ora al contenuto del corso che avrà ad oggetto il contratto.
2. La definizione di contratto: riflessioni sul contenuto
dell’articolo 1321 del codice civile.
Come è stato detto al termine del paragrafo precedente, il corso in
questione avrà ad oggetto il contratto.
Pertanto, in questa prima parte introduttiva, occorre, innanzitutto,
soffermarsi sulla definizione di contratto.
Nell’ambito della suddetta valutazione relativa al significato di diritto
civile, bisogna fare un primo riferimento al testo normativo.
Com’è noto, infatti, esiste un articolo, il quale contiene una definizione
di contratto.
Il riferimento è, chiaramente, all’articolo 1321 del c.c. – “Nozione” – il
quale, appunto, si preoccupa di definire il contratto.
Innanzitutto, è interessante soffermarsi sulla rubricazione dell’articolo
Articolo 1321 c.c.
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(“Nozione”), con la quale il legislatore pensa di aver definito il suo
compito, ossia dire cosa lui intende per contratto.
L’articolo 1321 c.c. così recita: “Il contratto è l’accordo di due o più
parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico
patrimoniale”.
Il contratto, secondo il codice civile, è, quindi, un accordo fra due o
più parti finalizzato al raggiungimento di un determinato obbiettivo,
consistente nella costituzione, nella regolamentazione o
nell’estinzione di un rapporto giuridico di tipo patrimoniale.
Ad avviso di chi scrive, tale definizione merita alcuni approfondimenti
che verranno poi ampliati nel proseguo del corso. Gli
approfondimenti in questione riguardano il concetto di parte, il
concetto di accordo, il significato di rapporto giuridico ed, infine, la
patrimonialità del rapporto medesimo.
Per quanto riguarda il concetto di parte, esso costituisce, nel suo
significato tecnico, il riferimento ad un centro di interessi. Tale
concetto, quindi, non vuole far riferimento ad un solo soggetto
(persona fisica o giuridica), ma, al suo interno, possono essere
ricompresi anche una pluralità di persone fisiche (o giuridiche)
portatrici di un medesimo centro di interessi.
Il concetto di parte è, quindi, un concetto tecnico che, di per se, non
pone particolari problemi di carattere giuridico.
I problemi nascono, invece, rispetto al concetto di accordo.
L’accordo può essere, innanzitutto, inteso in modo atecnico nel senso di
ritenerlo sussistente ogniqualvolta le parti la pensino alla stessa
maniera. Nella sostanza, lo stesso è un’intesa della volontà di Tizio
rispetto alla volontà di Caio; vi è una configurazione unitaria della
valutazione di quello che il contenuto del contratto.
Il concetto di parte
Il concetto di accordo
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Quello appena descritto è il modo di considerare l’accordo in senso
comune, ossia l’intesa fra due parti che valutano in maniera unitaria un
certo fenomeno.
Questo, però, non è il significato del concetto di accordo di cui
all’articolo 1321 c.c.; non è questo l’accordo utile alla formazione del
contratto.
L’accordo in senso comune è il frutto di una valutazione atecnica del
contratto che dà luogo ad un’immagine non conforme al contenuto
della normativa civilistica.
Per comprendere meglio quanto sopra detto, prendiamo in esame
alcune ipotesi specifiche.
Prendiamo, in primo luogo, la cosiddetta riserva mentale. In questo
caso, Tizio dice una cosa di cui però è consapevole di non volere quello
specifico contenuto e, per questo, utilizza una specifica valutazione, in
termini espressivi di un linguaggio, che non è corredata da una reale
volontà.
La riserva mentale, quindi, in certe ipotesi, fa sorgere degli
interrogativi perché, secondo la valutazione del legislatore, prevale,
nonostante la mancanza di volontà di una parte, comunque il
contratto.
La scelta del legislatore si sostanzia sul profilo del difetto di
conoscenza, nella controparte, della situazione, in forza della quale il
soggetto che dichiara la sua volontà la esprime non volendo
realmente il contenuto della stessa. In questi casi, quindi, prevale
l’immagine dell’accordo rispetto ad una situazione di reale
conoscenza delle cose.
L’operazione è, evidentemente, complessa: nelle suddette ipotesi
nasce il contratto anche se manca, nell’ambito di una parte, la volontà
specifica del contenuto dello stesso.
L’accordo in senso comune e l’accordo in senso legale
La riserva mentale
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In tali situazioni, quell’accordo che fa prevalere la logica contrattuale
è non accordo in senso comune, ma accordo in senso legale.
Nell’ipotesi di riserva mentale, in sostanza, prevale l’immagine legale
dell’accordo, in quanto manca, in capo ad una delle parti, la volontà
specifica.
Un’altra ipotesi da prendere in considerazione è quella dei cosiddetti vizi
del volere: errore, violenza e dolo. Si tratta, come è noto, di ipotesi che
costituiscono motivo di impugnazione del contratto.
Per quanto riguarda l’errore, esso è, secondo quanto è stabilito
dall’articolo 1428 del c.c., causa di impugnativa del contratto quando
siamo in presenza di errore essenziale e di errore riconoscibile.
Nei casi in cui, però, l’errore non è riconoscibile o essenziale prevale
la situazione per come risulta dichiarata.
Il medesimo discorso vale, anche, per la violenza e per il dolo.
Bisogna, anche, aggiungere che i vizi del volere costituiscono motivo
di impugnazione del contratto per annullamento. Ciò significa che,
diversamente da quanto previsto nelle ipotesi di nullità del contratto,
l’impugnativa deve essere esercitata entro precisi limiti di tempo,
altrimenti l’azione si prescrive e rimane fermo il contratto così come è
stato concluso. Anche in questi casi, quindi, prevale, non tanto
l’accordo reale, quanto piuttosto l’accordo dichiarato.
In altre parole, nelle ipotesi sopra descritte (come, anche, nei casi di
riserva mentale) quel concetto di accordo descritto dall’articolo 1321
c.c. non è, sostanzialmente, reale ed effettivo perché, da un punto di
vista giuridico, le cose vanno in maniera completamente diversa.
Il legislatore, nei casi descritti, tende a far prevalere la necessità della
conservazione dello schema giuridico contrattuale. Tale scelta
determina una situazione che non ricade nell’ambito della visione
normale e corrente del concetto di accordo che, nelle ipotesi in
Errore, violenza e dolo
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questione, aggiunge alla sua consistenza una dimensione ulteriore:
non è l’accordo in senso comune, è l’accordo in senso legale.
Quanto detto vale, in genere, anche rispetto ad altre situazioni di
invalidità del contratto: nelle ipotesi, per esempio, di rescissione o di
risoluzione del contratto che possono essere esercitate entro precisi
limiti temporali trascorsi inutilmente i quali si ha la prevalenza
dell’accordo (non in senso comune, reale) in senso legale.
Vi è, anche, altro. Prendiamo la disciplina delle cosiddette condizioni
generali di contratto. Si tratta di modi, altamente diffusi, di conclusione
di una relazione di carattere contrattuale. Tizio, per esempio, va a
comprare una macchina e, al momento dell’acquisto, gli vengono
sottoposte una serie di condizioni generali di contratto di cui, nella
maggior parte dei casi, ignora il contenuto completo.
In queste ipotesi, non siamo nell’ambito dell’accordo come fusione di
due volontà; prevale, anche in questi casi, l’idea di accordo in senso
legale che, com’è evidente, non ha nulla del concetto comune di
accordo.
Vi sono, anche, ulteriori complicazioni rispetto al concetto di accordo.
Nella disciplina dettata dal codice civile esiste l’articolo 1324 c.c. –
“Norme applicabili agli atti unilaterali” – il quale così recita: “Salvo
diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano,
in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto
patrimoniale”.
Gli atti unilaterali sono quegli atti che sono perfetti sulla base di
un’esclusiva manifestazione di volontà proveniente da una sola parte.
Più nello specifico, gli “atti unilaterali tra vivi” sono quegli atti che
sono destinati a produrre effetti nell’ambito di un rapporti fra
persone entrambe in vita: ciò significa che la norma in commento non
Le condizioni generali di contratto
Articolo 1324 c.c.
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riguarda gli atti testamentari che, per quanto riguarda gli effetti, si
rifanno al momento della morte del testatore.
Detto ciò, secondo quanto stabilito dall’articolo 1324 c.c., agli atti
unilaterali fra vivi aventi natura patrimoniale si applica la medesima
disciplina prevista per il contratto.
La suddetta uniformazione di disciplina pone, però, dei problemi per
quanto concerne la distinzione fra atto unilaterale e contratto.
In questo contesto, vi è un’altra norma che deve essere richiamata, ossia
l’articolo 1333 c.c.1 – “Contratto con obbligazione del solo proponente” – il
quale stabilisce: “La proposta diretta a concludere un contratto da cui
derivano obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge
a conoscenza della parte alla quale è destinata”.
In sostanza, secondo quanto stabilito dalla norma in commento, la
proposta, da cui scaturiscono obbligazioni per il solo proponente,
sfugge alle normali regole dell’irrevocabilità.
Al secondo comma dell’articolo si aggiunge che il destinatario “può
rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o
dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”.
In un caso di questo genere, quindi, si dà luogo ad un procedimento
particolare di configurazione del rapporto contrattuale.
Nella sostanza, si hanno delle situazioni di difficoltà di chiarimento
per quanto concerne il rapporto fra atto unilaterale proveniente da
una parte e rapporto contrattuale. Tali situazioni, evidentemente,
complicano il concetto di accordo.
Veniamo, ora, ad analizzare il concetto di “rapporto giuridico” richiamato
dall’articolo 1321 del codice civile.
1 A livello interpretativo, l’articolo 1333 c.c. pone una serie di difficoltà; tra l’altro si tratta di una norma, per così dire, vecchia già presente nel Codice di Commercio del 1882 e che poi è stata trasfusa nel Codice Civile del 1942.
Articolo 1333 c.c.
Il rapporto giuridico
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Rispetto al suddetto concetto è possibile fare una prima valutazione
ragionando in termini di derivazione dell’articolo 1321 del codice
civile. Tale articolo, essendo un articolo del codice, si disegna di
situazioni che ricadono all’interno della disciplina del codice
medesimo.
Pertanto, il rapporto giuridico è un rapporto che si realizza all’interno
dell’ordinamento giuridico dello Stato da cui proviene lo stesso
Codice Civile.
Questa, però, non è l’unica possibilità che può essere riferita al
concetto di rapporto giuridico. Esiste, infatti, una pluralità di
ordinamenti giuridici, per cui, il contratto interessare riguardare
rapporti giuridici che si realizzano in ordinamenti giuridici diversi
(nell’ordinamento giuridico comunitario; nell’ordinamento giuridico
regionale; nell’ordinamento giuridico canonico).
Questo, evidentemente, moltiplica le immagini di rapporto giuridico e
complica, di conseguenza, l’idea di contratto.
Soffermiamoci sul concetto di “patrimoniale” che caratterizza il
rapporto giuridico al quale si riferisce l’articolo 1321 del codice civile.
Solitamente, quando si fa riferimento a qualcosa che ha valore
patrimoniale si intende significare che una certa situazione ha una
sua rilevanza dal punto di vista economico.
Nell’ambito dei rapporti giuridici, però, non è detto che tutte le
relazioni siano relative ad una materia patrimoniale.
Per comprendere meglio il concetto di “patrimoniale” al quale si
riferisce l’articolo 1321 c.c. è opportuno leggere, anche, l’articolo
1174 c.c. – “Carattere patrimoniale della prestazione” – il quale, nella
normativa generale in materia di obbligazioni, stabilisce che la
prestazione “deve essere suscettibile di valutazione economica e deve
corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale del creditore”.
Il concetto di patrimoniale
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Anche tale norme suscita qualche perplessità. Innanzitutto, parrebbe
che essa voglia delimitare l’ambito delle obbligazioni, limitandole
esclusivamente a quelle di carattere patrimoniale. In realtà, non è
proprio così perché ci sono tutta una serie di ipotesi che hanno una
loro rilevanza anche al di là del loro valore economico.
Facciamo un esempio banale: Tizio si obbliga gratuitamente, nei
confronti di una certa persona, ad andare a suonare il violino in un
determinato giorno. Ed aggiunge che, qualora non si presentasse,
pagherà una somma di danaro. Tale ipotesi ricade nell’ambito
dell’articolo 1174 c.c.?
In sostanza, l’articolo 1174 c.c. è una norma che necessita di
interpretazione in modo tale da darne una lettura più ampia o più
ristretta a seconda dei valori che si vogliono far prevalere.
In altre parole, la patrimonialità è concetto relativo che si manifesta a
seconda della disciplina della prestazione. È opportuno, nella
sostanza, valutare il complesso della disciplina per caratterizzare, in
senso patrimoniale o meno, la prestazione.
In conclusione, la valutazione del contenuto dell’articolo 1321 c.c. è
critica. In base a quanto finora detto, l’articolo in commento non ha un
reale contenuto normativo perché, nella sostanza, non ci dice
concretamente ed effettivamente che cos’è il contratto.
Dalle considerazioni fatte emerge l’inutilità dell’articolo 1321 c.c. che
non costituisce una chiave di lettura, un modo per definire lo schema
contrattuale. Esso offre semplicemente l’immagine comune del
contratto. Se, viceversa, si sposta l’attenzione sugli aspetti giuridici
del contratto, il discorso si complica e il contenuto dell’articolo 1321
c.c. mostra tutte le sue carenze.
La nozione di contratto che emerge dall’articolo in commento è,
quindi, parziale ed illusoria rispetto alla vera immagine del contratto.
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Tutte le situazioni sopra illustrate pongono in evidenza la necessità di
sottoporre l’articolo 1321 c.c. ad un procedimento interpretativo, ad
un’analisi del significato reale del contenuto della norma.
Evidentemente, l’articolo 1321 c.c. costituisce un puro oggetto di un
riferimento di carattere testuale ma nulla di più: vi è una complessità
di situazioni che deve essere illustrate per capire come ci si deve
comportare quando siamo in presenza della materia contrattuale.
In questo senso, il concetto comune di contratto – come fusione di
volontà – si differenzia dal concetto legale di contratto.
Da un punto di vista operativo, l’articolo 1321 c.c. a nulla serve perché
non è altro che una conformità al concetto normale di accordo.
Pertanto, la prima lezione metodologica che si può ricavare da quanto
finora detto è quella di dire che la regola prevista nell’ambito di una
norma non deve essere esaltata, ma deve essere vista nel suo
specifico significato.
In altre parole, la valutazione che dobbiamo fare del contratto è una
valutazione che tenga conto della complessità delle ipotesi.
3. Gli effetti obbligatori e gli effetti reali del contratto.
L’altro aspetto che dobbiamo prendere in considerazione in questo
primo capitolo introduttivo concerne gli effetti del contratto.
Quando si parla di effetti del contratto, l’obbiettivo è quello di capire a
cosa serve il contratto, ossia quale è la risultanza, da un punto di vista
effettuale, che scaturisce dalla situazione di carattere contrattuale.2
2 È importante sottolineare che, in questa sede, verrà trattato l’argomento del contratto in generale sarebbe, però, altrettanto interessante analizzare, anche dal punto di vista effettuale, la situazione specifica delle singole tipologie contrattuali (compravendita; locazione; mandato).
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Sotto il profilo di carattere generale, si deve distinguere fra due
tipologie di effetti: effetti obbligatori ed effetti reali.
Gli effetti obbligatori del contratto riguardano le obbligazioni che
scaturiscono dal contratto stesso. In questo senso, il contratto serve a
costituire rapporti obbligatori fra le parti.
Per esempio, nel contratto di locazione, il proprietario dà in locazione
il bene e da ciò scaturisce un obbligo, di consegna del bene, a suo
carico ed a carico al locatorio consistente nel pagamento del canone.
Gli effetti reali del contratto costituiscono l’applicazione, a seguito del
rapporto contrattuale, di una delle situazioni che si sostanziano della
realità (diritto di proprietà ed altri diritti reali minori). In altri
termini, effetto reale significa effetto giuridico che ha attinenza ad una
res, ossia sul godimento o sulla titolarità del bene.
Quando si distingue fra effetti reali ed effetti obbligatori del contratto,
bisogna, anche, tener presente che gli stessi possono realizzarsi
all’interno del medesimo contratto. Dal contratto di compravendita,
per esempio, scaturisce il diritto di proprietà in testa al compratore
(effetto reale), ma si ha anche l’obbligo, in capo al compratore, di
pagamento del prezzo di vendita (effetto obbligatorio).
La questione relativa agli effetti – obbligatori e reali – del contratto deve
essere analizzata prendendo in considerazione il contenuto dell’articolo
1376 del codice civile.
L’articolo 1376 c.c. – “Contratto con effetti reali” – prevede che nei
“contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di un
cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale
ovvero di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si
acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente
manifestato”.
Effetti obbligatori
Effetti reali
Articolo 1376 c.c.
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Il principio che scaturisce da tale articolo è quello in forza del quale
l’effetto reale è una conseguenza del puro e semplice consenso
manifestato dalle parti alla stipulazione di un contratto.3
Pertanto, in virtù dell’accordo, dinanzi al quale si sia in presenza di
una situazione contrattuale, si produce l’effetto acquisitivo del diritto
di proprietà o di altro diritto reale.
In altre parole, secondo l’articolo 1376 c.c., l’effetto reale, cioè il
trasferimento, si realizza in virtù del “consenso delle parti
legittimamente manifestato”.
E’, quindi, sufficiente l’accordo circa il trasferimento affinché si abbia
immissione del compratore nell’ambito del diritto di proprietà. Ciò
vuol significare che la sussistenza in senso giuridico di un contratto
perfeziona la fattispecie prevista dall’articolo 1376 c.c. e la
produzione dell’effetto reale.
La valorizzazione del consenso delle parti come momento
determinante ai fini della produzione dell’effetto reale suscita, però,
alcune perplessità.
L’articolo in commento sembra sottolineare un’ovvietà ma, come
proveremo a spiegare fra un attimo, non è proprio così. Il principio
del consensualismo è il frutto di una valutazione legislativa, di una
disciplina introdotta dal legislatore.
3 A livello storico comparatistico, l’articolo 1376 c.c. è il frutto del perfezionamento di una precedente disciplina contenuta nel Codice Civile del 1865, la quale si esprimeva in maniera non chiara e non definitiva rispetto alla logica del consensualità. In linea storico generale, il principio del consensualismo trova la sua origine nell’ambito del Code Civil francese del 1804. Sulla scorta della normativa codicistica francese, il principio in commento trasmigra, oltre che in Italia, anche in Spagna. Viceversa, nell’ordinamento tedesco si ha una visione diversa. Il Codice Civile germanico non ripete, infatti, il principio del consensualismo ma inquadra il fenomeno sulla base delle vicende che sono proprie dei rapporti di obbligazione, per cui, a seguito dell’adempimento dell’obbligazione si avrà l’immissione nella proprietà o nella titolarità del diritto reale.
Il principio del consensualismo
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Innanzitutto, riflettiamo brevemente sul contenuto dell’articolo 1376
del codice civile. Nella norma si parla di “contratti che hanno per
oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata”, ciò
significa che il principio del consensualismo opera esclusivamente
nelle ipotesi di contratti che stabiliscono il trasferimento di una cosa
individuata in modo specifico; viceversa, non opera nelle ipotesi di
contratti aventi ad oggetto cose generiche perché, in tali casi, è
necessaria l’individuazione.
L’articolo continua facendo riferimento a quei contratti che hanno ad
oggetto “la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il
trasferimento di un altro diritto”. Tale specificazione tende ad
ampliare le ipotesi di operatività del principio del consensualismo
che, secondo quanto previsti dall’articolo 1376 c.c., opera anche al di
fuori delle vicende proprie della realità (ad esempio, nell’ambito del
trasferimento dei diritti di credito o della cessione del contratto).
La norma in commento stabilisce, poi, che, nei contratti sopra
descritti, la proprietà o il diritto “si trasmettono e si acquistano per
effetto del consenso”. A questo proposito, è necessario porsi una
domanda: quand’è che, nell’ambito della logica dell’articolo 1376 c.c.,
il consenso è causa del verificarsi di certi effetti?
Il consenso può essere inteso come la pura e semplice situazione di
accordo ed intesa fra due soggetti. In realtà non è proprio così,
almeno che non si voglia sconfessare la disciplina di quelle ulteriori
situazioni di validità del consenso: in certi casi, per esempio, non sarà
sufficiente solo l’accordo, ma sarà necessaria anche una determinata
formalizzazione dell’accordo.
Infine, alcune perplessità sorgono anche in riferimento al fatto che il
consenso debba essere “legittimamente manifestato”. Non si
comprende bene cosa voglia significare questa ulteriore
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caratterizzazione del consenso: forse sarebbe stato più opportuno
parlare di consenso legalmente manifestato.
Dopo aver fatto queste prime valutazioni critiche sul contenuto
dell’articolo 1376 c.c., soffermiamoci su una valutazione sistematica del
principio del consensualismo.
A tal proposito, verranno, di seguito, analizzate una serie di fattispecie
che risultano contrarie al principio giuridico del consensualismo e per
le quali, dunque, si può senz’altro ritenere che il consenso (l’accordo
contrattuale tra le parti) non costituisce l’unico presupposto
necessario affinché si realizzi l’effetto reale.
La disamina delle fattispecie che sollevano dei dubbi circa l’effettiva
portata del principio del consensualismo, deve iniziare con l’analisi
della norma di cui all’articolo 1155 c.c. – “Acquisto di buona fede e
precedente alienazione ad altri” – il quale così recita: “Se taluno con
successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse
che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre,
anche se il suo titolo è di data posteriore”.
L’articolo in questione, evidentemente, non tiene conto della logica
dell’articolo 1376 c.c., in quanto la considerazione in termini di
consensualità non è ripetuta.
La norma si occupa dell’ipotesi in cui il venditore venda il medesimo
bene mobile a soggetti diversi. In questo caso, se ci calassimo nella
logica dell’articolo 1376 c.c. dovremmo dire che l’effetto traslativo
sarà prodotto esclusivamente dal contratto che è stato stipulato per
primo perché la situazione consensuale si è già realizzata.
Viceversa, secondo quanto stabilito dall’articolo 1155 c.c., si detta una
regola di carattere particolare per disciplinare situazione di conflitto
fra contratti, offrendo una valutazione secondo la quale a seguito
della stipulazione del contratto si ha l’immissione nel possesso del
Considerazioni critiche sul principio del consensualismo
Articolo 1155 c.c.
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bene. Pertanto, nel caso in cui il bene venga alienato a soggetti diversi
prevale chi per primo ne ha acquistato il possesso in buona fede,
indipendentemente dal momento di stipulazione del contratto.
Secondo la suddetta logica, ciò che acquista rilevanza è una visione
procedimentale che, per la realizzazione dell’effetto traslativo,
necessita, oltre che della stipulazione del contratto, anche di ulteriori
elementi (acquisto del possesso; buona fede del possessore).
Quanto sopra detto vale per i beni mobili. Per quanto concerne, invece, i
beni immobili, occorre considerare il contenuto dell’articolo 2644 del
codice civile. La norma è collocata nell’ambito del Libro VI del Codice
Civile e si pone all’interno della disciplina della trascrizione.
A proposito di questo articolo, ci si deve chiedere quale sia il
collegamento con quanto sancito al primo comma di esso e l’articolo
1376 c.c., nel caso in cui oggetto della compravendita sia un bene
immobile.
Secondo l’articolo 1376 c.c. sulla base della data di un certo contratto
si verificherebbe l’effetto traslativo, perciò un soggetto non potrebbe
più disporre della cosa e, dunque, un’eventuale alienazione successiva
sarebbe destinata a soccombere: ma ciò è, altrettanto, vero quando
oggetto del trasferimento è un bene immobile?
La risposta non può che essere negativa, in quanto alla luce del
secondo comma dell’articolo 2644 c.c., dopo che vi sia stata la
trascrizione del titolo, contro colui che ha eseguito la trascrizione non
possono essere opposti diritti acquistati da altri verso il suo autore
anche se l’atto di acquisto di essi risalga a data anteriore a quello di
colui che ha trascritto. Pertanto, se da un lato, l’articolo 1376 c.c.
sembra essere espressione di un principio, dall’altro lato, si riscontra
che esso non vale per i trasferimenti immobiliari, in quanto non
Articolo 2644 c.c.
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sembrano in alcun modo giuridicamente compatibili le due norme
messe a confronto.
Entrando nel merito dell’articolo 2644 c.c. – “Effetti della trascrizione”
– esso, come abbiamo già detto, è dettato nell’ambito della disciplina
della trascrizione. Anche in questo caso, come nelle ipotesi
precedentemente elencate, si ha una disciplina di carattere
particolare.
La stipulazione del contratto, che ricade nell’ambito dell’elencazione
contenuta nell’articolo 2643 c.c. – “Atti soggetti a trascrizione” – non
dà luogo immediatamente all’acquisto in proprietà.
E’, infatti, necessario che alla stipulazione del contratto faccia seguito
il fenomeno della trascrizione. Pertanto, acquista colui che ha
trascritto per primo, indipendentemente dalla data del contratto di
acquisto.
La catena traslativa, quindi, implica un riferimento all’esistenza di una
stipulazione contrattuale cui faccia seguito la trascrizione; soltanto se
la trascrizione si verifica tempestivamente, non preceduta da una
precedente trascrizione effettuata da colui che ha acquistato in un
momento successivo, il procedimento è completo e dà luogo
all’acquisto della proprietà.
Anche questa ipotesi si presta ad un’interpretazione complessiva del
fenomeno traslativo, nel senso di comprendere al suo interno la
trascrizione così che essa dia luogo all’effetto acquisitivo non tanto, e
non solo, a seguito della stipulazione del contratto, quanto, piuttosto,
a seguito della trascrizione.
Vediamo, anche, il contenuto dell’articolo 2645 c.c. – “Altri atti
soggetti a trascrizione” – secondo cui: “Deve del pari rendersi pubblico,
agli effetti previsti dall’articolo precedente, ogni altro atto o
provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti
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immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo
2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è
richiesta a effetti diversi”.
In sostanza, l’articolo in commento tende ad un’estensione, in sede
interpretativa, fra i casi espressamente previsti (articolo 2643 c.c.) ed
altri casi che producono effetti analoghi. Pertanto, in questi ultimi
casi, la trascrizione, qualora si realizzi in un momento anteriore,
risulta determinante ai fini dell’effetto acquisitivo.
Nelle ipotesi di cui agli articoli 2644 e 2645 c.c. si attribuisce, quindi,
rilevanza ad un procedimento che, da un lato, comprende il contratto
e, dall’altro, comprende la trascrizione e che dalla combinazione di
questi due elementi fa scaturire l’effetto acquisitivo.
Altro caso da considerare, nell’ambito delle norme in maniera di
trascrizione, è quello previsto dagli articoli 2684 – “Atti soggetti a
trascrizione” – e 2685 – “Altri atti soggetti a trascrizione” – c.c., i quali
disciplinano la trascrizione dei beni mobili registrati.
Secondo quanto stabilito dall’articolo 2684 c.c., sono soggetti a
trascrizione “per gli effetti stabiliti dall’articolo 2644”: 1) “i contratti
che trasferiscono la proprietà o costituiscono la comunione”; 2) “i
contratti che costituiscono o modificano diritti di usufrutto […]”; 3) “gli
atti fra vivi di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti”; 4) “le
transazioni […]”; 5) “i provvedimenti con i quali nel giudizio di
espropriazione si trasferiscono la proprietà o gli altri diritti […]”; 6) “le
sentenze […]”.
Pertanto, anche in riferimento a beni mobili registrati vale quanto
sopra detto circa la necessaria presenza della trascrizione, ai fini della
realizzazione dell’effetto acquisitivo.
L’impostazione che emerge dalle norme sopra citate la si rinviene, anche,
nell’ambito dell’articolo 1265 c.c. in materia di cessione del credito.
Articoli 2684 e 2685 c.c.
Articolo 1265 c.c.
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Anche in questo caso, prevale la necessità di tutelare l’acquirente
piuttosto che colui che cede il proprio credito. Per questa ragione, la
norma prevede che se “il medesimo creditore ha formato oggetto di più
cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al
debitore, o quella che è stata prima accettata dal debitore con atto di
data certa, ancorché essa sia di data posteriore”.
In sostanza, nell’ipotesi in commento, prevale la cessione che è stata
notificata o accettata per prima, nel senso di attribuire rilevanza, non
tanto all’atto della cessione, quanto piuttosto al compimento di una
serie di attività ulteriori che completano il procedimento acquisitivo.
Ancora, occorre prendere in considerazione l’articolo 1380 del codice
civile (il quale, tra l’altro, si colloca nell’ambito della disciplina generale
degli effetti del contratto) che così recita: “Se, con successivi contratti,
una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di
godimento (si pensi al diritto che consegue, in capo al locatore, a
seguito della stipulazione di un contratto di locazione) relativo alla
stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha
conseguito.
Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quello
che ha il titolo di data certa anteriore.
Sono salve le norme relative agli effetti della trascrizione”.
Prendiamo, ad esempio, l’ipotesi di una pluralità di contratti di
locazione. Seguendo la logica dovrebbe prevalere il contratto che è
stato stipulato per primo o che, comunque, ha data certa anteriore
rispetto agli altri.
Come emerge dalla lettera dell’articolo in commento, la logica seguita,
in questo caso, dal legislatore è diversa da quella sopra espressa: ciò
che è determinante, infatti, è il godimento del bene concesso in
locazione.
Articolo 1380 c.c.
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Infine, si segnala anche il contenuto degli articoli 2913-‐2917 c.c. che
disciplinano il pignoramento. Si tratta di un’ipotesi estranea al
meccanismo della circolazione ma che risulta comunque interessante
ai fini del discorso che stiamo affrontando.
In particolare, l’articolo 2913 c.c. – “Inefficacia delle alienazioni del
bene pignorato” – così recita: “Non hanno effetto in pregiudizio del
creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli
atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, salvo gli effetti
del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri”.
Secondo la disciplina codicistica, quindi, il pignoramento tende ad
immobilizzare giuridicamente l’atto nel momento di inizio dell’attività
esecutiva, con la conseguenza che l’atto medesimo, se posto in essere
successivamente al pignoramento, risulta privo di effetti.
In base a quanto è stato finora detto, dal complesso delle disposizioni
analizzate emerge un qualche cosa rispetto all’effetto traslativo: in
particolare, risulta che, nell’ambito delle ipotesi che abbiamo visto, per
quanto concerne l’effetto traslativo si tende a valorizzare, non la
logica del contratto, ma la logica del comportamento successivo alla
stipulazione del contratto stesso.
Il punto centrale del discorso che stiamo affrontando, quindi,
concerne il momento di realizzazione dell’effetto traslativo: cosa
determina l’acquisto, per esempio in materia di compravendita, del
diritto di proprietà? Poniamoci un, ulteriore, interrogativo: cosa è il
diritto di proprietà? E’ un titolo che scaturisce da un contratto? E’ un
diritto privato che consegue, esclusivamente, alla stipulazione del
contratto? Oppure è qualcosa di diverso? Se si ragiona ritenendo la
proprietà come ipotesi che scaturisce dal contratto è sufficiente, per
aversi acquisto in proprietà, che si abbia la stipulazione dell’accordo.
Articoli 2913 e ss. c.c.
Visione procedimentale
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Da ciò, deriverebbe una definizione della proprietà come regola di
disciplina del rapporto fra due privati con esclusione dei terzi.
In realtà non è proprio così. Sulla base, infatti, degli articoli che
abbiamo, precedentemente, analizzato risulta che la proprietà è un
diritto che opera nei confronti di tutti; si parla di proprietà nei
confronti di tutti i soggetti. Nella sostanza, quanto detto finora è ciò
che determina la circolazione.
La sconfessione del principio consensualistico di cui all’articolo 1376
c.c. non è superabile neppure attraverso quei tentativi di recupero
effettuati da certa dottrina. Alcuni autori del passato hanno, per
esempio, proposto la distinzione fra proprietà relativa – che configura
il rapporto intercorrente fra venditore e compratore – e proprietà
assoluta – che configura le vicende che intercorrono fra il proprietario
ed i terzi. Con la conseguenza che il contratto dà luogo all’acquisto
della proprietà relativa, mentre la trascrizione dà luogo all’acquisto
della proprietà relativa.
Si tratta di un giuoco di parole. Ci si chiede, però, quale sia l’utilità di
questa impostazione. Parlare di proprietà in senso relativo è una
contraddizione in termini, mentre, appare più realistico ritenere che
la proprietà, viceversa, è un diritto che opera, comunque, nei
confronti di tutti.
Altri interpreti, per recuperare il contenuto dell’articolo 1376 c.c.,
fanno riferimento al concetto di opponibilità.
La stipulazione del contratto rende il diritto opponibile nei confronti
della controparte. Opponibilità si ha, però, anche quando, sulla base
della stipulazione del contratto, gli effetti che da esso scaturiscono si
impongono, non soltanto nei confronti dell’altra parte, ma nei
confronti di tutti.
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Si tratta di un modo di procedere che, pur avendo una sua utilità,
appare privo di fondamento, in quanto tende ad eliminare la sostanza
delle norme giuridiche a favore di espedienti puramente tecnici.
Pertanto, il fenomeno circolatorio è un fenomeno complesso che
necessita di valutazioni di carattere ulteriore che non possono essere,
per così dire, relegate esclusivamente al contratto stipulato fra le
parti.
Naturalmente, con ciò non si vuole affermare che ciò che risulta dalla
vicenda puramente contrattuale sia privo di conseguenze giuridiche:
si vuole, solamente dire che l’acquisto in proprietà deriva, non solo
dal contratto, ma da una catena procedimentale di cui il contratto è
solo una parte.
La verifica, sopra fatta, dei dati normativi (articoli 1155, 2644 ecc. del
Codice Civile) conferma la prospettiva di carattere procedimentale
per l’acquisto del diritto di proprietà. Il compimento di determinate
operazioni se poste in essere, non dalla controparte del contratto di
compravendita, ma da un terzo può dar luogo all’acquisto in proprietà
da parte del terzo stesso.
In sostanza, non si tiene conto, ai fini dell’acquisto, della priorità della
stipulazione di un contratto traslativo, viceversa, si tiene conto del
realizzarsi di una catena procedimentale a cui consegue l’effetto
traslativo.
25
4. L’attività di interpretazione.
Questa prima parte introduttiva termina con alcune riflessioni
sull’attività di interpretazione. Prima di procedere con le suddette
riflessioni, occorre sottolineare che, in questa sede, si parla
dell’interpretazione della norma; le questioni relative
all’interpretazione del contratto verranno, invece, affrontate
nell’ultima parte del corso.
In primo luogo, cerchiamo di riflettere sul concetto di fenomeno
giuridico. Come sopra accennato, in maniera forse troppo superficiale
si potrebbe dire che il fenomeno giuridico si sostanzia, semplicemente
ed esclusivamente, nella conoscenza del contenuto delle norme che
risultano dai vari testi di legge.
Far coincidere il significato del fenomeno giuridico esclusivamente a
quanto sopra detto sarebbe, però, troppo riduttivo.
Pertanto, per ampliare il panorama entro cui muovere la nostra
riflessione, prendiamo in considerazione tre diverse posizioni
sostenute, in primo luogo, da tre importanti autori che, come
vedremo, appartengono a mondi giuridici ed epoche storiche diverse.
Innanzitutto, prendiamo in esame la posizione di H. Kelsen.4 Kelsen è il
difensore della teoria del diritto come complesso di norme. Per avere il
diritto ci vuole la norma, la norma precede il diritto, alla norma
consegue il diritto. È un discorso chiuso quello di Kelsen. Egli è un
autore che opera dalla fine dell'ottocento fino alla metà del novecento
e nasce in Austria e vive all'interno del mondo culturale di stampo
germanico, dove risulta l'esaltazione della dimensione del carattere
normativo e normativo vuol dire esaltare il profilo che caratterizza le
vicende giuridiche, nel senso di derivare il fenomeno giuridico dallo
4 H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, II ed., Milano, Edizioni di Comunità, 1954.
Kelsen
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Stato. La norma esaltata è quella che viene posta dallo Stato, è lo Stato
l'autore del complesso delle norme.
Altra posizione significativa e quella sostenuta da Santi Romano,5 il
quale propone una visione ulteriore e più ampia rispetto a quella
sostenuta da Kelsen.
Esso non limita il diritto alla pura e semplice dimensione costituita
dal complesso delle norme, ma intravede la dimensione della realtà
giuridica in una dimensione più ampia della pura e semplice esistenza
del dato normativo, perché propone tutta una serie di aspetti, principi
e frammenti, soluzioni e concetti che sono all'origine dell'evoluzione
del modo di essere del fenomeno interpretativo, ossia del fenomeno
da cui risulta l'effettiva sostanza riconducibile all'interno del concetto
di norma. L’Autore elabora il concetto di ordinamento giuridico.
L'ordinamento giuridico è quello che risulta, certo dalle norme, ma
anche dall'attività ulteriore. Il diritto non è solo norma, ma è
ordinamento e, quindi. lo si ha in tutte le situazioni in cui siamo in
presenza di fenomeni organizzativi, di complessi sociali. Da ciò risulta
la cosiddetta pluralità degli ordinamenti giuridici.
E’ significativo e importante ricordare che Santi Romano non è un
autore di cultura germanica, ma italiana, e si colloca fra la seconda
metà dell'ottocento e la prima del novecento.
Infine è interessante tener presente la posizione di un autore di cultura
angloamericana a noi contemporaneo. Si tratta di R. Dworkin,6 il quale
ragiona in ordine ai problemi specifici che si pongono da un punto di
vista del carattere normativo, indagando certi aspetti dal punto di
vista di ciò che è necessario fare per risolvere alcune domande di
carattere particolare. 5 SANTI ROMANO, L’ordinamento giuridico, II ed., Firenze, 1946. 6 R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, in Collezione di testi e studi classici del pensiero politico e economico europeo nel Novecento, Milano, 1982; ID., Taking rights seriously, Cambridge, 1978.
Santi Romano
Dworkin
27
Ci si pone in una logica profondamente attenta al profilo dinamico
dell'ordinamento, andando a verificare come nascono le regole.
L’Autore esalta il profilo argomentativo e si pone in una logica
dinamica per passare da una situazione giuridica vecchia ad una
situazione giuridica nuova. Ed esalta non la molteplicità delle visioni,
cioè non ragiona in ordine a ciò che si caratterizza nel senso di
pluralità di profili diversi, di valutazioni diverse, ma considera giusta
solo una soluzione. In particolare, Dworkin pone l’accento sul
collegamento fra etica e diritto. In altri termini, una parte del discorso
giuridico è rappresentato da aspetti etici, cioè aspetti particolari di
una valutazione tipica.
I tre modelli proposti si riflettono, evidentemente, sull’immagine di
interpretazione: per Kelsen essa si sostanzia esclusivamente nella
lettura del testo; per Santi Romano si hanno, viceversa, diversi punti
di arrivo che influiscono sul fenomeno interpretativo; infine per
Dworkin l’interpretazione è la fonte diretta da cui scaturisce l’idea
giuridica.
Alla base di una concezione del diritto non esclusivamente ristretto alla
lettera della norma vi è, evidentemente, il fenomeno
dell’interpretazione.
In materia di interpretazione, occorre fare riferimento, in primo
luogo, all’articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, il
quale così recita: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire
altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole
secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una
controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe;
se il caso rimane dubbio, si decide secondo i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato”.
L’interpretazione
Art. 12 preleggi
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La norma suscita, evidentemente, delle perplessità. L’interpretazione
è un’attività che, sulla base di ciò che risulta dalla lettera del primo
comma dell’articolo 12 preleggi, appare bloccata al significato
letterale delle parole e (si aggiunge poi) all’intenzione del legislatore.
Il che fa nascere problemi. Che significa questa espressione? Il
Giudice, che determina il senso di determinate norme, legge soltanto
la norma e la applica alla lettera? E’ quella l’intenzione del legislatore?
Il secondo comma poi amplia le possibilità nel senso che precisa che
se una controversia non può essere decisa con una precisa
disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o
materie analoghe e, se il caso rimane ancora dubbio, si decide
secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.
L’articolo 12 delle preleggi, nella sostanza, offre una risposta rispetto
alla miriade di possibilità che possono darsi in ordine
all’interpretazione di una determinata norma. Nell’intenzione del
legislatore (sia del 1942 che del 1865, che conteneva una disposizione
simile) questo era lo scopo della norma. Il legislatore riteneva di aver
risolto tutti i problemi interpretativi così disponendo. Tuttavia questa
è una fantasia, non è la realtà.
Non è detto che si possano risolvere tutti i problemi che
caratterizzano l’attività interpretativa sulla mera lettura del dato
normativo, o anche semplicemente ricorrendo alle altre modalità
interpretative elencate dall’art. 12. preleggi. E’ questa la ragione per
cui il nostro corso non prenderà in esame solo i dati normativi, ma
anche le sentenze, per poter ragionare così ad ampio spettro degli
argomenti oggetto del corso, con le relative problematiche.
Quando si parla di interpretazione non si può ragionare solamente
sulla base della lettura di un certo dato normativo. Il giurista deve
procedere, nella maggior parte dei casi, all’attribuzione di un senso
Interpretazione come attribuzione di senso
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alla norma che è chiamato ad interpretare.
In altre parole, l’interpretazione non è, semplicemente,
riconoscimento di senso ma è, nella maggior parte dei casi,
attribuzione di senso alla norma con cui il giurista è chiamato a
confrontarsi.
A ciò consegue che, nello svolgimento dell’attività interpretativa, il
giurista è influenzato da vari fattori (fattori economici, religiosi,
morali, etici) che contribuiscono all’attribuzione del senso della
norma.7
7 Si veda, a tal proposito, H. G. GADAMER, Verità e metodo, Bompiani, 2000.