CORRIERE DELL A'SERA Mercoledì 7 giugno COLLOQUI CON...

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CORRIERE DELL A'SERA Mercoledì 7 giugno 1961, COLLOQUI CON MEI' Nella pienezza della gioia, della pace, di una vita ricca an- che di ogni bene della terra e di soddisfazioni mondane, era stato colto nel dolore dal tra- Era nato a Calcutta nel 186 in una famiglia dalle tradizio millenarie — di rango qua regale. Suo nonno, che visse lungo in Inghilterra durante regno di Vittoria, di cui fu am co, era chiamato il Principe T gore. Ricchissimo e splendid dissipò gran parte dei suoi aver Di ben altra natura era inve suo padre — uomo tutto spir tuale, liberatosi per il Primo da le tradizioni e leggi di casta considerato un « santo ». N Tagore, per natura appassiona ribelli, vi è una impossibili di non andare fino in fondo su la propria via, incapaci di s guire i cammini già battuti d gli altri. Perciò, come egli a fermò nel suo discorso a M lano, fu per indisciplina un pe simo scolaro. La scuola, qua era intesa allora in tutto il mo do, gli apparve una prigion dell'intelligenza, buona solo produrre dei «pappagalli am rnaestrati». Se vogliamo con scere Tagore fanciullo lo do biamo cercare nel primo at dell'Ufficio Postale, dove mi d ceva di aver voluto fissare i su ricordi quando, ragazzo, chius con gli altri fratelli sotto guardia di un vecchio pedagog in una camera della casa nate na, spiava dalla finestra la bel lezza del mondo — il mond della divina libertà. Del suo viaggio in Inghilterr sui diciassett'anni, confessò pub blicamente quanto erano stat deluse le speranze di chi ve 1 aveva mandato per istruirsi. M a me confidò che proprio in que periodo della sua prepotente intollerante gioia del vivere s era staccato anche dalla tradi zione religiosa dei suoi. «I passavo allora in famiglia pe una specie di ateo, di misere dente, e i miei ne soffrivano sen za capirmi. A dire il vero no ero proprio tale, ma sentivo i bisogno di ricreare a me stess una fede mia». Della sua poesia erotica gio vanile noi conosciamo poco e in forma imperfetta in Europa. N indoviniamo qualcosa attraverso «Il Giardiniere», che apparve quando il Tagore era conosciuto come mistico, e che fu libro quasi popolare durante il peno do della prima grande guerra benchè l'incanto musicale e poe tico ne andasse quasi smarrito nella traduzione. «La poesia tradotta — mi diceva l'autore a proposito di Dante — è come una farfalla che abbia perduto i colori delle ali. Non ve ne rimane in mano che il gracile scheletro ». Certo a noi — più superficiali ammiratori suoi — molta parte di ciò che Io aveva reso «poeta popolare » nel suo paese sfuggiva. Ma egli, pur con la sua naturale modestia. ci spiegava le ragioni per cui la sua poesia era stata considerata come una rinascita sul tronco millenario della letteratura san- scrita. Tagore aveva infatti rin- novato la stessa lingua poetica del suo popolo per farsene uno strumento di espressione. Però la sua grandezza di poe- ta sarebbe rimasta più a lungo circoscritta nella sfera della sua popolarità nazionale e, all'este- ro, in quella degli studiosi di letteratura indiana, se qualcosa di assai importante non fosse avvenuto nel segreto della sua vita spirituale, che lo doveva mettere a contatto con le aspi- razioni, in quel momento, del- l'inquieto Occidente. Se il do- lore non gli avesse aperto il petto a una fede mistica. Quando infatti apparve « Gi- taniali », per la prima volta tra- dotto in inglese, i lettori europei ebbero subito l'impressione di non trovarsi di fronte a una opera d'arte giudicabile solo con criteri estetici, ma a una grande e sincera esperienza religiosa. Cosa era avvenuto nell'appas- sionata anima del poeta d'amo- re? Con discrezione osai chie- derlo. Mi rispose con gravità e con poche parole. Nel cupo e tormentato gen- naio del 1925, Rabindranath Ta- gore giungeva a Milano, invi- tato da un gruppo di ammira- tori e studiosi, a parlare al Cir- colo Filologico milanese. Quan- do il prof. Fornichi gli aveva rivolto la nostra domanda, egli non immaginava certo che in Italia sarebbe giunto dopo il quasj colpo di Stato del 3 gen- naio — in uno dei momenti più drammatici della nostra vita po- litica. Ma fu proprio per l'im- preveduto contrasto che il pub- blico milanese si commosse di simpatia per il poeta bellissimo, dai capelli e dalla barba can- didi, fluenti — figura di veggen- te antico — che avrebbe potuto servir di modello a Michelan- gelo. Per cui assistemmo a una accoglienza che non fu solo di letterati o di intellettuali, ma, nel vero senso, popolare, con manifestazioni che si svolsero dalla sorprendente ovazione al Teatro della Scala, alla adunata del Teatro del Popolo, gremito di fanciulli, di maestri, di stu- denti, rovesciantisi in lieto tu- multo in via Manfredo Fanti, senza distinzione di classi o di partiti. Ciò che sorprese e in- quietò le autorità del Regime: vinceva su lo sgomento la li- bertà della poesia. In quei giorni — dopo il suo discorso, che era quasi un mes- saggio — egli si ammalò: il fi- glio dell'Oriente non reggeva al nostro clima grigio, freddo e nebbioso. Ma la familiarità che si era stabilita tra noi, permise a mia moglie e a me di assi- sterlo e di passar lunghe ore con lui. In quelle conversazio- ni, in cui sottovoce pareva che parlasse a se stesso — gli occhi socchiusi, il capo chino sul pet- to — egli ci fu prodigo di con- fidenze, di alti pensieri, di me- morie, quasi frugasse dentro di sè, nei ricordi della sua vita; non sermoneggiando mai, ma toccando al centro vivo della sua esperienza e della sua ispira- zione — per cui le note che scrissi subito dopo i colloqui, e qualche sua pagina (in inglese) che mi lasciò — sono frammen- ti di una autobiografia interiore di quello straordinario poeta. c5: 1 1 ni si a a- ce 1- ei ti 1- e- a- f- ì- s- le n- e a o- b- to oi o la o r- o EEG E qui le note sui nostri col- loqui prendono uno speciale in- teresse, se riesaminate dopo trentacinqu'anni — sullo sfon- do dei grandi avvenimenti po- litici e delle guerre paurose da cui emergono la nuova Europa e l'India libera. Tagore non era un nemico dell'Inghilterra. Riconosceva i beni che da essa erano stati largiti al suo paese. L'Inghilter- ra — ammetteva — aveva por- tato in India la sua civiltà, ave- va introdotto nella scuola le scienze che insegnano « a ren- dere più comoda la vita », aveva costruito città, ferrovie, ponti, strade, e aperto le vie al com- mercio e ai progressi, in tutti i rami, del mondo anglosassone. Ma Tagore riteneva che tutto ciò non avesse portato che « qualche vantaggio materiale ». Bisognava — secondo lui — toc- care alle radici più fonde — scendere fino alla vena nascosta della sua grandezza più vera. « L'Inghilterra ha in mano l'In- dia — mi diceva — come certi mariti tengono in loro legittimo a Potere una bella donna. Ne pos- _ seggono il corpo, ma non ne comprendono l'anima. Per pene- trare nello spirito di una donna, a come di una Nazione, occorre l'amore ». Ed è proprio perchè con pas- sione ne seppe penetrare l'ani- _ mo che Tagore e per il suo po- Polo, in questo primo centena- rio della sua nascita, qualcosa - più che un suo grande poeta: _ un precursore, un veggente, Un fattore dei suoi destini — l'edu- catore e la guida. E questa tra- sfigurazione della sua complessa figura è naturale — è ciò che - avviene per ogni eroe naziona- le. Ma ciò che egli sentiva di essere è ciò che ha confessato in pubblico a Milano: « Alcuni dicono che io sono - un profeta, altri che io sono un saggio, un Maestro... No, no... non crede- - telo. Io sono semplicemente un , poeta». E insisteva su questo - punto con una certa irritazione per chi voleva travisare la sua figura o la voleva ricondurre a propri modelli e interpretazioni, creando un Tagore convenzio- nale da cenacolo di mistici o dì intellettuali. E poeta lo ab- biamo sentito, mia moglie ed io — in quei nostri colloqui in cui parlava con accento sem- plice, spontaneo, fresco, proprio di quei grandi fanciulli della terra che ebbero il dono di tra- sformare in bellezza ogni cosa che toccano e vedono. Non era che una volgarissima camera di albergo quella in cui si svolgevano i nostri colloqui — ma in essa sentivamo compiersi davvero quella magica trasfigu- razione di cui, parlando d'altri, diceva: « Se tra i fatti più ba- nali di cronaca che si leggono distrattamente all'ora del tè, un poeta vero ne coglie uno (la storia di due amanti infelici o di un bimbo abbandonato) quel fatto assume un valore eterno e vive attraverso i millenni... come nessun altro fatto...». Nè mai potrò dimenticare una sua fuggevole descrizione, quasi senza aggettivi, dell'Himalaya alto nei cieli, lontano, veduto in una mattina di primavera dalla collina fiorita d'alberi di frutta: una visione di purità sor- gente dalla terra e quasi non più terrestre. Tommaso Gallarati Scotti FRANCESCO SAVERIO NITTI: Scrit- ti politici - 2. vol. - Laterza - Li- re 2.500. Le riviste di Piero Gobetti, a cura di L. Basso e L Anderllni . Ed Feltrinelli - L 8000 CAMILLO SENSO DI CAVOUR: D,- scorsi parlamentari - Voi XII - Ed La Nuova Italia - L 3500 FURIO MONICELLI: La searetama - Vallecchl _ L. 800 FEDERICO CHABOD: L'Italia con- temporanea - 1918-1948 - Einaudl - L. 800. LIBRI RICEVUTI gico richiamo a una diversa realtà. Accanto alla moglie e ai figli giovinetti — morti — tra le lacrime a cui sempre va con- fuso qualche rimorso, anch'egli fu ricondotto a sentire il mi- stero e a scoprire la ragione suprema della -vita. Nel collo- quio non nascondeva alcune po- tenti impressioni «nell'ora della morte, accanto a persone ama- te, quando gli parve di com- prendere per la prima volta che cosa fosse quel sonno, quella specie di riposo, che non era immobilità e non era fine». Fu per lui come una rivelazione, in cui tutte le cose assumevano un significato di « comunicazioni dell'Invisibile re ». Ed è ciò che egli mi diceva di aver voluto esprimere nel secondo atto del suo dramma prediletto, dove tutto aveva per il fanciullo — e fanciullo è il poeta — un suo significato « terrestre » e dove anche un semplice ufficio posta- le diventa qualcosa di arcano nella fantasia del piccolo am- malato, ma in cui solo la mor- te rivela di quale vero Signore nascosto sia in qualche modo ufficio il mondo in cui viviamo — spesso come ciechi. Ciò che caratterizza, tuttavia, il rivolgimento spirituale di Ta- gore è che per esso non si stac- cò dal mondo; non rifiutò, in un ascetismo buddistico, la sua par- tecipazione alla vita, Non rinun- ciò alla poesia. Sentì solo che la poesia doveva essere per lui ispiratrice di una « vita nuova ». Volle perciò essere un edu- catore cominciando a istituire quelle scuole in Santiniketan do- ve fu maestro secondo quei prin- cipi didattici di autoscoperta nel- la libertà, più che di imposta conoscenza di oggetti esteriori. Egli stesso descriveva gli inizi di questa scuola socratica: « lo sceglievo un angolo delizioso e solevo tenere le mie lezioni sot- to qualche grande albero om- broso. E ai miei scolari inse- gnavo tutto ciò che potevo. Giuocavo anche con essi. A se- ra recitavo loro brani dei nostri epici antichi e cantavo i miei versi. Poi cercai di creare in- torno a essi una atmosfera di cultura, ma di una cultura che fosse insieme lavoro e vita, mu- sica, preghiera e poesia ». Con questo egli pensava anche di collaborare a un risveglio dello spirito del suo popolo secondo le tradizioni venerande e il ge- nio della sua stirpe.

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CORRIERE DELL A'SERA

Mercoledì 7 giugno 1961,

COLLOQUI CON MEI'

Nella pienezza della gioia, della pace, di una vita ricca an-che di ogni bene della terra e di soddisfazioni mondane, era stato colto nel dolore dal tra-

Era nato a Calcutta nel 186 in una famiglia dalle tradizio millenarie — di rango qua regale. Suo nonno, che visse lungo in Inghilterra durante regno di Vittoria, di cui fu am co, era chiamato il Principe T gore. Ricchissimo e splendid dissipò gran parte dei suoi aver Di ben altra natura era inve suo padre — uomo tutto spir tuale, liberatosi per il Primo da le tradizioni e leggi di casta considerato un « santo ». N Tagore, per natura appassiona

ribelli, vi è una impossibili di non andare fino in fondo su la propria via, incapaci di s guire i cammini già battuti d gli altri. Perciò, come egli a fermò nel suo discorso a M lano, fu per indisciplina un pe simo scolaro. La scuola, qua era intesa allora in tutto il mo do, gli apparve una prigion dell'intelligenza, buona solo produrre dei «pappagalli am rnaestrati». Se vogliamo con scere Tagore fanciullo lo do biamo cercare nel primo at dell'Ufficio Postale, dove mi d ceva di aver voluto fissare i su ricordi quando, ragazzo, chius con gli altri fratelli sotto guardia di un vecchio pedagog in una camera della casa nate na, spiava dalla finestra la bel lezza del mondo — il mond della divina libertà.

Del suo viaggio in Inghilterr sui diciassett'anni, confessò pub blicamente quanto erano stat deluse le speranze di chi ve 1 aveva mandato per istruirsi. M a me confidò che proprio in que periodo della sua prepotente intollerante gioia del vivere s era staccato anche dalla tradi zione religiosa dei suoi. «I passavo allora in famiglia pe una specie di ateo, di misere dente, e i miei ne soffrivano sen za capirmi. A dire il vero no ero proprio tale, ma sentivo i bisogno di ricreare a me stess una fede mia».

Della sua poesia erotica gio vanile noi conosciamo poco e in forma imperfetta in Europa. N indoviniamo qualcosa attraverso «Il Giardiniere», che apparve quando il Tagore era conosciuto come mistico, e che fu libro quasi popolare durante il peno do della prima grande guerra benchè l'incanto musicale e poe tico ne andasse quasi smarrito nella traduzione. «La poesia tradotta — mi diceva l'autore a proposito di Dante — è come una farfalla che abbia perduto i colori delle ali. Non ve ne rimane in mano che il gracile scheletro ». Certo a noi — più superficiali ammiratori suoi — molta parte di ciò che Io aveva reso «poeta popolare » nel suo paese sfuggiva. Ma egli, pur con la sua naturale modestia. ci spiegava le ragioni per cui la sua poesia era stata considerata come una rinascita sul tronco millenario della letteratura san-scrita. Tagore aveva infatti rin-novato la stessa lingua poetica del suo popolo per farsene uno strumento di espressione.

Però la sua grandezza di poe-ta sarebbe rimasta più a lungo circoscritta nella sfera della sua popolarità nazionale e, all'este-ro, in quella degli studiosi di letteratura indiana, se qualcosa di assai importante non fosse avvenuto nel segreto della sua vita spirituale, che lo doveva mettere a contatto con le aspi-razioni, in quel momento, del-l'inquieto Occidente. Se il do-lore non gli avesse aperto il petto a una fede mistica.

Quando infatti apparve « Gi-taniali », per la prima volta tra-dotto in inglese, i lettori europei ebbero subito l'impressione di non trovarsi di fronte a una opera d'arte giudicabile solo con criteri estetici, ma a una grande e sincera esperienza religiosa.

Cosa era avvenuto nell'appas-sionata anima del poeta d'amo-re? Con discrezione osai chie-derlo. Mi rispose con gravità e con poche parole.

Nel cupo e tormentato gen-naio del 1925, Rabindranath Ta-gore giungeva a Milano, invi-tato da un gruppo di ammira-tori e studiosi, a parlare al Cir-colo Filologico milanese. Quan-do il prof. Fornichi gli aveva rivolto la nostra domanda, egli non immaginava certo che in Italia sarebbe giunto dopo il quasj colpo di Stato del 3 gen-naio — in uno dei momenti più drammatici della nostra vita po-litica. Ma fu proprio per l'im-preveduto contrasto che il pub-blico milanese si commosse di simpatia per il poeta bellissimo, dai capelli e dalla barba can-didi, fluenti — figura di veggen-te antico — che avrebbe potuto servir di modello a Michelan-gelo. Per cui assistemmo a una accoglienza che non fu solo di letterati o di intellettuali, ma, nel vero senso, popolare, con manifestazioni che si svolsero dalla sorprendente ovazione al Teatro della Scala, alla adunata del Teatro del Popolo, gremito di fanciulli, di maestri, di stu-denti, rovesciantisi in lieto tu-multo in via Manfredo Fanti, senza distinzione di classi o di partiti. Ciò che sorprese e in-quietò le autorità del Regime: vinceva su lo sgomento la li-bertà della poesia.

In quei giorni — dopo il suo discorso, che era quasi un mes-saggio — egli si ammalò: il fi-glio dell'Oriente non reggeva al nostro clima grigio, freddo e nebbioso. Ma la familiarità che si era stabilita tra noi, permise a mia moglie e a me di assi-sterlo e di passar lunghe ore con lui. In quelle conversazio-ni, in cui sottovoce pareva che parlasse a se stesso — gli occhi socchiusi, il capo chino sul pet-to — egli ci fu prodigo di con-fidenze, di alti pensieri, di me-morie, quasi frugasse dentro di sè, nei ricordi della sua vita; non sermoneggiando mai, ma toccando al centro vivo della sua esperienza e della sua ispira-zione — per cui le note che scrissi subito dopo i colloqui, e qualche sua pagina (in inglese) che mi lasciò — sono frammen-ti di una autobiografia interiore di quello straordinario poeta.

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E qui le note sui nostri col-loqui prendono uno speciale in-teresse, se riesaminate dopo trentacinqu'anni — sullo sfon-do dei grandi avvenimenti po-litici e delle guerre paurose da cui emergono la nuova Europa e l'India libera.

Tagore non era un nemico dell'Inghilterra. Riconosceva i beni che da essa erano stati largiti al suo paese. L'Inghilter-ra — ammetteva — aveva por-tato in India la sua civiltà, ave-va introdotto nella scuola le scienze che insegnano « a ren-dere più comoda la vita », aveva costruito città, ferrovie, ponti, strade, e aperto le vie al com-mercio e ai progressi, in tutti i rami, del mondo anglosassone. Ma Tagore riteneva che tutto ciò non avesse portato che « qualche vantaggio materiale ». Bisognava — secondo lui — toc-care alle radici più fonde — scendere fino alla vena nascosta della sua grandezza più vera. « L'Inghilterra ha in mano l'In-dia — mi diceva — come certi mariti tengono in loro legittimo

a Potere una bella donna. Ne pos-_ seggono il corpo, ma non ne

comprendono l'anima. Per pene- trare nello spirito di una donna,

a come di una Nazione, occorre l'amore ».

Ed è proprio perchè con pas-sione ne seppe penetrare l'ani-

_ mo che Tagore e per il suo po- Polo, in questo primo centena- rio della sua nascita, qualcosa

- più che un suo grande poeta: _ un precursore, un veggente, Un

fattore dei suoi destini — l'edu-catore e la guida. E questa tra- sfigurazione della sua complessa figura è naturale — è ciò che

- avviene per ogni eroe naziona-le. Ma ciò che egli sentiva di essere è ciò che ha confessato in pubblico a Milano: « Alcuni dicono che io sono-un profeta, altri che io sono un saggio, un Maestro... No, no... non crede-

- telo. Io sono semplicemente un , poeta». E insisteva su questo - punto con una certa irritazione

per chi voleva travisare la sua figura o la voleva ricondurre a propri modelli e interpretazioni, creando un Tagore convenzio-nale da cenacolo di mistici o dì intellettuali. E poeta lo ab-biamo sentito, mia moglie ed io — in quei nostri colloqui in cui parlava con accento sem-plice, spontaneo, fresco, proprio di quei grandi fanciulli della terra che ebbero il dono di tra-sformare in bellezza ogni cosa che toccano e vedono.

Non era che una volgarissima camera di albergo quella in cui si svolgevano i nostri colloqui — ma in essa sentivamo compiersi davvero quella magica trasfigu-razione di cui, parlando d'altri, diceva: « Se tra i fatti più ba-nali di cronaca che si leggono distrattamente all'ora del tè, un poeta vero ne coglie uno (la storia di due amanti infelici o di un bimbo abbandonato) quel fatto assume un valore eterno e vive attraverso i millenni... come nessun altro fatto...».

Nè mai potrò dimenticare una sua fuggevole descrizione, quasi senza aggettivi, dell'Himalaya alto nei cieli, lontano, veduto in una mattina di primavera dalla collina fiorita d'alberi di frutta: una visione di purità sor-gente dalla terra e quasi non più terrestre.

Tommaso Gallarati Scotti

FRANCESCO SAVERIO NITTI: Scrit-ti politici - 2. vol. - Laterza - Li-re 2.500.

Le riviste di Piero Gobetti, a cura di L. Basso e L Anderllni . Ed Feltrinelli - L 8000

CAMILLO SENSO DI CAVOUR: D,- scorsi parlamentari - Voi XII - Ed La Nuova Italia - L 3500

FURIO MONICELLI: La searetama - Vallecchl _ L. 800

FEDERICO CHABOD: L'Italia con-temporanea - 1918-1948 - Einaudl - L. 800.

LIBRI RICEVUTI

gico richiamo a una diversa realtà. Accanto alla moglie e ai figli giovinetti — morti — tra le lacrime a cui sempre va con-fuso qualche rimorso, anch'egli fu ricondotto a sentire il mi- stero e a scoprire la ragione suprema della -vita. Nel collo- quio non nascondeva alcune po- tenti impressioni «nell'ora della morte, accanto a persone ama- te, quando gli parve di com-prendere per la prima volta che cosa fosse quel sonno, quella specie di riposo, che non era immobilità e non era fine». Fu per lui come una rivelazione, in cui tutte le cose assumevano un significato di « comunicazioni dell'Invisibile re ». Ed è ciò che egli mi diceva di aver voluto esprimere nel secondo atto del suo dramma prediletto, dove tutto aveva per il fanciullo — e fanciullo è il poeta — un suo significato « terrestre » e dove anche un semplice ufficio posta- le diventa qualcosa di arcano nella fantasia del piccolo am-malato, ma in cui solo la mor- te rivela di quale vero Signore nascosto sia in qualche modo ufficio il mondo in cui viviamo — spesso come ciechi.

Ciò che caratterizza, tuttavia, il rivolgimento spirituale di Ta- gore è che per esso non si stac- cò dal mondo; non rifiutò, in un ascetismo buddistico, la sua par- tecipazione alla vita, Non rinun- ciò alla poesia. Sentì solo che la poesia doveva essere per lui ispiratrice di una « vita nuova ».

Volle perciò essere un edu-catore cominciando a istituire quelle scuole in Santiniketan do- ve fu maestro secondo quei prin-cipi didattici di autoscoperta nel- la libertà, più che di imposta conoscenza di oggetti esteriori. Egli stesso descriveva gli inizi di questa scuola socratica: « lo sceglievo un angolo delizioso e solevo tenere le mie lezioni sot- to qualche grande albero om- broso. E ai miei scolari inse-gnavo tutto ciò che potevo. Giuocavo anche con essi. A se- ra recitavo loro brani dei nostri epici antichi e cantavo i miei versi. Poi cercai di creare in- torno a essi una atmosfera di cultura, ma di una cultura che fosse insieme lavoro e vita, mu- sica, preghiera e poesia ». Con questo egli pensava anche di collaborare a un risveglio dello spirito del suo popolo secondo le tradizioni venerande e il ge-nio della sua stirpe.