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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA SOCIALEAnnuario di Diritto del lavoro N. 52

LEGGE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL DIRITTO

DEL LAVORO POST-STATUTARIO

ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIO DI DIRITTO DEL LAVORO

NAPOLI, 16-17 GIUGNO 2016

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ISBN 9788814221293

La pubblicazione degli Atti delle giornate di studio AIdLASS ha fruito di un contributo concesso dall’Università di Napoli

“Federico II”

TUTTE LE COPIE DEVONO RECARE IL CONTRASSEGNO DELLA S.I.A.E.

© Copyright Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Milano - 2017

Via Busto Arsizio, 40 - 20151 MILANO - Sito Internet: www.giuffre.it

La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i Paesi.

Stampato da Tipografia Galli & C. S.r.l. - Varese

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ELENCO DEI PARTECIPANTI

Aimo MariapaolaAlaimo AnnamariaAlbi PasqualinoAles EdoardoAlessi CristinaAndrioli Bazila Peron Rita de CássiaAngelini LucianoAramini FedericaAuriemma SimoneAvogaro MatteoAvondola AriannaAzzarecco AntonioAzzoni MarcoBalletti EmilioBarbera MarziaBarbieri MarcoBasenghi FrancescoBasso StefaniaBavaro VincenzoBellardi LauralbaBellavista AlessandroBellomo StefanoBelmonte FrancescoBettini Maria NovellaBiasi MarcoBolego GiorgioBollani AndreaBorghi PaolaBoscati AlessandroBozzao PaolaBresciani IlariaBrino VaniaCairoli StefanoCalafà LauraCaloja MicaelaCalvellini GiovanniCampanella PieraCanavesi Guido LuigiCangemi Vincenzo

Cantilena AdrianoCaragnano RobertaCarinci Maria TeresaCarinci FrancoCarta CinziaCartoceti GretaCasale DavideCasillo RosaCastelli AriannaCataudella Maria CristinaCavallini Gionata GoloCentamore GiulioCerreta MicheleCester CarloChiaromonte WilliamChietera FrancescaCiucciovino SilviaClemente CarmelaComandè DanielaConsonni GabrieleCorallo FrancescoCorazza LuisaCordella CostantinoCoscia CarmenD’Ascola SimoneD’Avino EmiliaDe Angelis LuigiDe Falco FabrizioDe Felice AlfonsinaDe Luca MicheleDe Luca Tamajo RaffaeleDe Marco CinziaDe Michel FrancescaDe Michele VincenzoDe Rosa MaddalenaDe Santis ChiaraDel Conte MaurizioDelfino MassimilianoDelogu Angelo

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Dentici Lorenzo MariaDessì OmbrettaDi Carlo TizianaDi Casola AlessandroDi Corrado GiovanniDi Meo RosaDi Noia FrancescoDi Stasi AntonioDiana MicheleD’Onghia MadiaDonini AnnamariaEsposito MarcoFalsone MaurizioFargnoli DanielaFenoglio AnnaFerluga LoredanaFerrante VincenzoFerrara Maria DoloresFerraresi MarcoFerrari PaolaFerraro FabrizioFicari LuisaFilì ValeriaFiorillo LuigiFoglia LauraFontana GiacomoForlivesi MicheleFraioli Antonio LeonardoGabriele AlessiaGadaleta FrancescoGaeta LorenzoGalardi RaffaeleGaleano MarziaGalleano SergioGambacciani MarcoGambardella AngelaGargiulo UmbertoGarilli AlessandroGarofalo DomenicoGarofalo CarmelaGentile RiccardoGiaconi MartaGiasanti LorenzoGiordano Francesco SaverioGiovannone MariaGramano ElenaGrandi BarbaraGreco Maria Giovanna

Guarriello FaustaImberti LucioImperio MicheleIngrao AlessandraIzzi DanielaLa Porta Clemente DavideLaforgia StellaLama LorenzoLamberti FabiolaLamberti MariorosarioLanotte MassimoLassandari AndreaLazzari ChiaraLazzeroni LaraLeccese VitoLevi AlbertoLima AlessandroLoffredo AntonioLozito Marco SantinoLuciani VincenzoLudovico GiuseppeLunardon FiorellaMagnani MariellaMainardi SandroMaio ValerioMarcianò AngelaMarimpietri IvanaMarinelli MassimilianoMarinelli FrancescaMartone MichelMarzani MarcoMattarolo Maria GiovannaMattei AlbertoMaurelli RobertoMc Britton MonicaMenegatti EmanueleMenghini LuigiMerlo SaraMezzacapo DomenicoMieli GiorgioMiracolini MarcellaMocella MarcoMonda PasqualeMontenegro Rondelli CristianeMonterossi LuisaMurena ClaudiaMutarelli Matteo MariaNadalet Sylvain

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Nappi SeverinoNatullo GaetanoNegri GiuliaNicolosi MarinaNicosia GabriellaNogler LucaNunin RobertaNuzzo ValeriaOcchino AntonellaOlivelli PaolaOlivelli FilippoOlivieri AntonelloOrlandini GiovanniPace DomenicoPalladini SusannaPallini MassimoPanizza GiovanniPantano FabioPasqualetto ElenaPassalacqua PasqualePelliccia LuigiPensabene Lionti GiuseppinaPerra RosannaPersiani MattiaPerulli AdalbertoPeruzzi MarcoPessi RobertoPietra ValeriaPiglialarmi GiovanniPinto VitoPisani CarloPizzoferrato AlbertoPizzuti PaoloPoli DavidePreteroti AntonioProia GiampieroPutaturo FedericoPutignano NicolaQuadri GiulioQuaranta MarioRanieri MauraRatti LucaRazzolini OrsolaRecchia Giuseppe AntonioRiccardi AngelicaRicci MaurizioRiccobono AlessandroRitschel Andrea

Romei RobertoRonchi AdelaideRota AnnaRusso MariannaRusso MatteoRyzha IuliaSala-Chiri MaurizioSalimbeni Maria TeresaSalomone RiccardoSalvaggio VincenzoSalvalaio ManuelaSantagata De Castro RaffaelloSantini FabriziaSantoni FrancescoSantucci RosarioSaracini PaolaScarano LorenzoScarpelli FrancoScarponi StefaniaSchiavetti FlaviaSchiuma DanielaSerrapica ClaudiaSigillò Massara GiuseppeSiotto FedericoSomvilla MichelaSonnati SilvioSpeziale ValerioSpinelli CarlaSqueglia MicheleSuppiej BartolomeoTagliamonte AlfonsoTebano LauraTesta FeliceTomassetti PaoloTosi PaoloTrojsi AnnaTufo MarcoTullini PatriziaVarva SimoneVenditti LuciaVentura AlessandroVergari SergioVettor TizianaVianello RiccardoVigliotti Gennaro IliasVilla EsterVillani GiovanniVimercati Aurora

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Vincieri MartinaVinciguerra MariaVitali MonicaZilio Grandi Gaetano

Zilli AnnaZoli CarloZoppoli AntonelloZoppoli Lorenzo

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CRONACA DEL CONGRESSO

Le giornate di studio A.I.D.La.S.S. 2016 si sono tenute a Napolinei giorni 16 e 17 giugno 2016. L’organizzazione è stata curata daiproff. Francesco Santoni, Lorenzo Zoppoli, Alfonsina De Felice,Antonello Zoppoli, Luigi Fiorillo e Lucia Venditti con la collabo-razione dell’Università degli studi di Napoli “Federico II” e grazieal contributo di numerosi enti. Dopo gli interventi di saluto delRettore, del Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza e delPresidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli, ilavori sono stati aperti dal Presidente dell’Associazione, prof.Maurizio Ricci e sono proseguiti sotto la presidenza, a turno, deiproff. Francesco Santoni, Mario Rusciano e Giulio Prosperetti. Nelcorso dei lavori sono stati proclamati i vincitori dell’edizione 2016dei premi « Ludovico Barassi » e « Francesco Santoro Passarelli ».

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Parte Prima

RELAZIONI E INTERVENTI

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Giovedì 16 giugno 2016 - pomeriggio

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PRESENTAZIONE

LA LEGISLAZIONE DEL LAVOROTRA FLESSIBILITÀ E OCCUPAZIONE

di MAURIZIO RICCI

1. A prescindere dalle differenti valutazioni nel merito deiprovvedimenti legislativi del 2014/2015 (leggi nn. 78/2014 e 183/2014 e gli otto decreti legislativi), si può anticipare come talicontenuti rappresentino un vero e proprio spartiacque rispetto aldiritto del lavoro, sviluppatosi dopo l’entrata in vigore dello sta-tuto dei lavoratori. Dal punto di vista dei modelli, probabilmenteora giunge a compimento una svolta iniziata alcuni anni or sonocon l’emanazione della legge delega n. 30/2003, proseguita neglianni immediatamente successivi e culminata — tra l’altro — indue importanti novità legislative: l’art. 8, legge n. 148/2011 e lalegge n. 92/2012.

Proprio le due leggi del 2014 rappresentano un’ideale prosecu-zione della legge. n. 92, portando a conclusione l’intento del legi-slatore dell’epoca con l’inversione, da regola a eccezione, dellanorma della reintegrazione nel posto di lavoro, là dove si applicaval’art. 18 dello statuto dei lavoratori. Oggi, il sostanziale ruoloresiduale di tale articolo si accompagna all’altrettanto netto ridi-mensionamento della nozione di sindacato maggiormente rappre-sentativo, sulla cui modifica ha inciso non il legislatore, rimastoinerte per alcuni decenni nonostante i reiterati solleciti della Cortecostituzionale, ma prima il referendum del 1995, poi la stessaConsulta (sent. n. 231/2013).

Fortemente ridimensionati gli artt. 18 e 19 dello statuto deilavoratori, si è progressivamente modificato in misura sempre piùampia il diritto del lavoro, ora alle prese con la necessità, semprepiù avvertita dal legislatore, di fronteggiare le sfide della globaliz-

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zazione (non casualmente la scelta del Consiglio Direttivo dell’As-sociazione di prevedere una relazione comparata) e dei profondimutamenti nell’economia, cambiando radicalmente i valori, untempo ritenuti consolidati: di qui l’introduzione di nuove nozioni-simbolo (flessibilità, precarietà, derogabilità, individuale, diffe-renza) al posto di altre (rigidità, stabilità, inderogabilità, collet-tivo, eguaglianza).

In realtà, se si fa riferimento all’evoluzione del diritto dellavoro dalle origini in poi, ci si accorge come queste diadi sianosempre state presenti e le nozioni indicate per prime non rappre-sentino certo una novità. Infatti, a seconda dei periodi e deimutevoli orientamenti di politica del diritto del legislatore nelcorso degli anni, le leggi man mano emanate sono state maggior-mente influenzate o dal primo gruppo di valori oppure dal secondoe, in questo, ha esercitato un sicuro condizionamento il mutevoleassetto dei sistemi politici, economici e sociali.

2. Infine, alcune osservazioni conclusive sulla legislazione delbiennio 2014/2015.

La prima riguarda la frequente, notevole genericità dell’og-getto, dei princìpi e dei criteri direttivi contenuti nella delega,tanto che tra i primi commentatori non è mancato chi ha parlatodi “delega in bianco”, paventando un possibile contrasto con ildettato dell’art. 76 Cost.

Se l’istituto della delega legislativa nel nostro ordinamento haavuto una progressiva espansione, divenendo lo strumento perattuare il programma di governo, la Corte costituzionale, lungi dalsindacare circa la discrezionalità politica al suo ricorso, evita chequesto strumento sia allontanato dal disegno costituzionale, se-condo il quale l’attribuzione della funzione legislativa al governoha carattere “eccezionale” rispetto alla sua “regolare” attribuzioneal parlamento ex art. 70 Cost.

La seconda considerazione riguarda le coperture economichecon le quali conseguire alcuni degli ambiziosi obiettivi della leggedelega (p. es., in materia di universalizzazione delle tutele in casodi disoccupazione involontaria o di sostegno alla genitorialità).Presenza fissa di ogni intervento riformatore degli ultimi anni, conil che spesso si depotenziano i possibili effetti benefici, è la dispo-sizione per effetto della quale dagli interventi “non [debbano]derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”,

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insieme con quella secondo cui, per gli adempimenti dei decretiattuativi della delega, si prevede che le amministrazioni compe-tenti vi provvedano “attraverso una diversa allocazione delle ordi-narie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazionealle medesime amministrazioni”. Una previsione normativa, que-sta, che rischia di relegare nell’alveo di mere dichiarazioni diprincipio, senza alcuna effettiva applicazione, buona parte degliobiettivi contenuti nella delega.

In realtà, non è da escludere che non vi siano “nuovi e maggiorioneri”, ma questi ultimi sono rimessi ad altri provvedimenti.Infatti, la legge di stabilità 2015 va in questo senso, prevedendo“un apposito fondo, con una dotazione di 2.200 milioni di euro perciascuno degli anni 2015 e 2016 e di 2.000 milioni di euro annui adecorrere dall’anno 2017”, per fronteggiare le maggiori risorse oc-correnti per l’attuazione dei nuovi interventi. Peraltro, è appena ilcaso di ricordare che una parte consistente del finanziamento inproposito (3,5 miliardi di euro) è stata prelevata da un capitolo dispesa destinato al Sud, con un impiego, perciò, al di là dell’origi-nario campo di applicazione del suddetto capitolo.

La terza considerazione, la più importante per gli effetti di si-stema, riguardaunprofilodipoliticadel diritto.Nel riscrivere alcuneimportanti regole della materia, il legislatore sembra (aver scelto di)attribuire maggiore rilievo alle ragioni dell’impresa rispetto a quelledei lavoratori in un quadro caratterizzato da un intervento sosti-tutivo dell’autonomia individuale rispetto a quella collettiva, da unruolo essenzialmente obbligato della contrattazione collettiva perallentare le residue rigidità legali, da un ridimensionamento dellanozione di sindacato maggiormente rappresentativo.

Nella produzione lavoristica del biennio 2014/2015, sono radi-calmente mutate le tecniche normative finora utilizzate nel dirittodel lavoro. A differenza del passato, il fulcro è ora rappresentato dauna maggiore flessibilità nella gestione del rapporto di lavoroindividuale (tra cui, lo ius variandi, i controlli sul lavoratore), masoprattutto da una rilevante flessibilità in uscita, compensata daun favor nell’incentivare i rapporti di lavoro a tempo indetermi-nato a tutele crescenti rispetto a forme di lavoro temporaneo oprecario. Cambia l’impostazione di fondo del legislatore: la finalitànon è più tutelare il lavoratore nel rapporto individuale di lavoro,quanto garantirgli un efficace sostegno nel mercato del lavoro.Infatti, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire con nuove

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politiche attive, per ricollocare il lavoratore in altri impieghi atempo indeterminato, la cui diffusione dovrebbe essere incentivataanche dalla previsione di una decontribuzione robusta, seppurcaratterizzata da un regime transitorio.

Come si è rilevato, paradigmatiche sono state alcune dellescelte compiute: si prenda, ad esempio, l’introduzione del contrattoc.d. “a tutele crescenti” e la correlata modifica dell’art. 18 St. lav.o, ancora, la revisione della disciplina delle mansioni, di cui all’art.2103 c.c., nonché quella dei controlli per gli impianti audiovisivi.

Con la prima si è reso più flessibile il recesso dei lavoratori,misura, questa, che dovrebbe essere compensata dalla generalizza-zione del contratto a tutele crescenti, con la contemporanea ridu-zione di alcuni dei rapporti di lavoro flessibili, per incrementarel’occupazione stabile anche attraverso la decontribuzione per lenuove assunzioni. Con la seconda, invece, si è assicurata unamassiccia dose di flessibilità gestionale riguardo alle mansioni deilavoratori, anche se è fondato il dubbio di un eccesso di delega daparte del legislatore delegato.

Sempre finalizzata a recuperare un’intensa flessibilità gestio-nale è la modifica legislativa nei controlli a distanza sui lavoratori,con la radicale sostituzione sia dell’impostazione sia del contenutodella norma, divenuta obsoleta a quasi cinquant’anni dalla suaapprovazione. Con la nuova disciplina vi è un netto ridimensiona-mento del fattore mediazione/controllo sindacale, prima garantitodal previgente art. 4 st. lav.: il potere dell’imprenditore è assog-gettato ai soli limiti della normativa sulla protezione dei datipersonali, né è più affermato un principio generale di divieto dicontrollo a distanza dell’attività dei lavoratori.

Seppur in presenza di alcune modifiche auspicabili, le scelte dellegislatore sembrano aver determinato una significativa diminu-zione dell’apparato protettivo del lavoratore e un rafforzamentodei poteri del datore di lavoro.

Allo stato, il giudizio complessivo sull’intensa produzione legi-slativa dell’ultimo biennio non può che restare sospeso. Occorreràaspettare un certo arco temporale, non influenzato neanche dalladecontribuzione triennale per i contratti a tutele crescenti, pervalutare effettivamente se l’ambizioso progetto del legislatore avràsuccesso o no, traducendosi in minori tutele e diritti nel rapporto dilavoro in cambio di assunzioni non più precarie o temporanee emaggiori garanzie nel mercato del lavoro, attraverso politiche

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attive, che favoriscano una maggiore occupabilità dei disoccupatie degli inoccupati, nonché attraverso ammortizzatori sociali asostegno del reddito.

Al momento, si può partire dal superamento, ormai irreversi-bile, di una fase garantista molto importante nel diritto del lavoro,il cui epicentro è stato lo statuto dei lavoratori, anche se, neisuccessivi decenni, i suoi principi ispiratori sono stati declinati conmodalità più flessibili dallo stesso legislatore, dall’autonomia col-lettiva e dalla giurisprudenza.

Quanto al futuro, andrà verificata la tenuta dello scambio(minori tutele nel rapporto di lavoro/maggiori garanzie nel mer-cato del lavoro, attraverso politiche attive e ammortizzatori so-ciali) e, soprattutto, i risultati concreti in termini di incremento dinuova occupazione a tempo indeterminato. In ogni caso potrebbeporsi un problema di scarsa tutela dei diritti dei lavoratori, al di làdelle intenzioni dello stesso legislatore.

Specie sul versante dell’effettività di un più efficace funziona-mento del mercato del lavoro, sarà fondamentale il ruolo dell’An-pal, che dovrà curare il raccordo delle differenti fasi del processo dirioccupazione (dall’orientamento alla ricollocazione professionale,dal sostegno al reddito, alla vera e propria ricollocazione), oltre asviluppare un equilibrato rapporto tra livello nazionale e locale,operazione, questa, particolarmente ambiziosa e di non facile rea-lizzazione. Per promuovere efficaci politiche attive, il legislatore hapreso atto dei tempi non brevi sia per riconvertire professional-mente i lavoratori disoccupati/inoccupati con specifici interventiformativi sia per rioccuparli: perciò, punta a un’efficace forma-zione, finalizzata a consentire l’acquisizione di competenze profes-sionali in virtù del contratto di ricollocazione. Nel contempo,Naspi e Asdi hanno la funzione di garantire un sostegno al redditodei lavoratori disoccupati, affinché, attraverso l’applicazione delprincipio di condizionalità, si attivino per la loro ricollocazione nelmercato del lavoro.

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RELAZIONI

« LA TERZA DIMENSIONE DEL DIRITTO »:LEGGE E CONTRATTO COLLETTIVO

NEL NOVECENTO ITALIANO

di LORENZO GAETA

SOMMARIO: 1. Una cronistoria. — 2. L’alba dell’industrializzazione: la “legge” contro il

contratto collettivo. — 3. A cavallo dei due secoli: il pragmatismo fragile dei probiviri.

— 4. La concettualizzazione dei primi del Novecento: una legge per il contratto

collettivo? — 5. Il primo tentativo fallito. — 6. 1907: due impostazioni nuove e una

(semisconosciuta) legge. — 7. Gli anni Dieci: la rinuncia alla legge e la soluzione

“negazionista”. — 8. I “ruggenti Venti”: il corporativismo prima del corporativismo?

9. Il primo incontro. — 10. Le “cose nuove” della legge del 1926. — 11. Il contratto

collettivo fascista: pubblicistico, corporativistico o privatistico? — 12. Il contratto

collettivo fonte nel codice del ritorno al diritto privato. — 13. I due contratti collettivi

del Regno del sud. — 14. L’“emanazione” dei contratti collettivi nella Repubblica

sociale. — 15. Quel “pasticciaccio” (brutto?) dell’art. 39 della Costituzione. — 16. Il

contratto collettivo “di diritto comune” nella “glossa ordinaria” di Santoro Passarelli.

— 17. Le omogeneizzanti continuità degli anni Cinquanta. — 18. Il contratto collet-

tivo “ricopiato” del 1959. — 19. The times they are a-changin’: il nuovo rapporto tra

legge e contratto collettivo negli anni Sessanta. — 20. La versione “neoclassica” del

principio del favor. — 21. La legge del 1966 sui licenziamenti: un contratto collettivo

in maschera? — 22. La “breve vita felice” del garantismo e del sostegno. — 23. Le

nuove teorie civilistiche dei primi anni Settanta. — 24. La crisi e la svolta del 1977:

l’inizio della fine dell’inderogabilità unilaterale. — 25. I primi anni Ottanta: i disagi

della dottrina e le gestioni “al ribasso”. — 26. La concertazione e il mutamento della

funzione del contratto collettivo. — 27. La seconda metà degli anni Ottanta tra nuove

teorie e nuovi progetti di legge. — 28. Anni Novanta parte I: i salvataggi della

contrattazione “in perdita”. — 29. Anni Novanta parte II: la contrattazione integra-

tiva come governo della flessibilità. — 30. A cavallo del nuovo millennio: teorie, ancora

teorie. — 31. I rinvii del XXI secolo: meno gestione del mercato del lavoro. — 32. ...

e più deroghe peggiorative. — 33. Finale di storia “controfattuale”: perdurante

validità della “terza dimensione del diritto”. — 34. Finale di fantascienza: “incontri

ravvicinati del terzo tipo”.

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1. Una cronistoria.

La ricostruzione diacronica del rapporto tra legge e contrattocollettivo può seguire due percorsi, intrecciati tra loro (1): unorelativo a ciò che di volta in volta la legge dice, non dice o sidesidera che dica sul contratto collettivo, che quindi riflette l’at-teggiamento astensionistico o dirigistico del sistema statale neiconfronti di quello “sociale”; l’altro relativo al ruolo giocato divolta in volta dalla legge e dal contratto collettivo nel determinareil contenuto dei rapporti di lavoro, dove la “naturale” prevalenzagerarchica della legge si stempera in svariati mix regolatori.

In ogni caso, il contratto collettivo mette in crisi le usualicategorie giuridiche: esso, per il diritto, non è certo parificabile allalegge; al più, in un certo momento, ne avrà l’« anima » ma mai il« corpo » (la frase di Francesco Carnelutti (2) è tanto famosa che trapoco la troveremo nei Baci Perugina); ma è qualcosa in più di unsemplice contratto; non è mera manifestazione di autonomia pri-vata ma non ancora incarnazione di una potestà pubblicistica: una« terza dimensione del diritto ». La definizione, di due padri nobilidel nostro diritto del lavoro, che in contesti del tutto differentihanno descritto allo stesso modo una sensazione, costituirà un filoconduttore dell’indagine, che propone una cronistoria di questetormentate « intersezioni » (3), seguendo il più possibile un percorsodi “storia delle idee”. Essa non prenderà in considerazione, per lesue troppe peculiarità, il « masso erratico » costituito dal contrattocollettivo « inautentico » del lavoro pubblico (4).

2. L’alba dell’industrializzazione: la “legge” contro il contratto col-lettivo.

In principio, imperversa l’esasperato atomismo giuridico pro-clamato dalla rivoluzione francese e confermato dai codici liberaliottocenteschi: sono inammissibili entità intermedie tra singoli e

(1) Un’osservazione analoga in MARIUCCI, La contrattazione collettiva, Bologna, 1985,301 ss.

(2) CARNELUTTI, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1928,108.

(3) MAZZOTTA, Il diritto del lavoro e le sue fonti, in Riv. it. dir. lav., 2001, I, 231.(4) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2000, 255.

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Stato, e contratti che non siano rigorosamente individuali. Nel 1873,in una Roma da poco diventata capitale del Regno, dove ferve l’edi-lizia e prosperano i primi “palazzinari” ante litteram, l’appena co-stituita società dei muratori e manovali scrive al sindaco perchéfaccia da mediatore rispetto a un accordo coi padroni sulle tariffe el’orario di lavoro. L’autore della lettera, Osvaldo Gnocchi Viani,viene prontamente arrestato su iniziativa dello stesso ministro degliinterni per aver cospirato contro la sicurezza dello Stato (5).

3. A cavallo dei due secoli: il pragmatismo fragile dei probiviri.

L’approccio del diritto nei confronti della nuova fattispecie è,quindi, difficile. Addirittura un noto esponente del “socialismogiuridico” chiede che la legge intervenga per « eliminare le coali-zioni degli operaj che ammazzano il movimento industriale il qualericerca per il proprio sviluppo serenità, calma, persistenza,pace » (6). Il contratto collettivo diventa, così, un ottimo paradi-gma della crisi dello Stato liberale ottocentesco nei confronti degliinteressi dei gruppi, riguardo ai quali non riesce a prendere legiuste misure giuridiche (7), che non siano repressive.

Il primo incontro del diritto “regolativo” col contratto collet-tivo avviene davanti ai probiviri (8). Ma il pragmatismo autorefe-renziale di questi uomini (e donne, non dimentichiamolo) chestanno costruendo a pezzi il diritto del lavoro fa sì che essi non sioccupino mai di problemi dogmatici come la natura del contrattocollettivo e la sua collocazione nel sistema delle fonti. Esso è« confinato nel recinto di un diritto minore » (9), confuso con leconsuetudini e i regolamenti di fabbrica.

(5) CROCELLA, Dalle corporazioni alle società di mutuo soccorso (1860-1880), in AGO-STINO, BREZZI, CASULA, Movimento operaio e organizzazione sindacale a Roma (1860-1960),Roma, 1976, 23; sulla figura di Gnocchi Viani, DELLA PERUTA, Osvaldo Gnocchi Viani nellastoria del movimento operaio e del socialismo, Milano, 1997.

(6) VADALÀ PAPALE, Il codice civile italiano e la scienza, Napoli, 1881, 95.(7) VANO, Riflessione giuridica e relazioni industriali tra Ottocento e Novecento: alle

origini del contratto collettivo di lavoro, in MAZZACANE (a cura di), I giuristi e la crisi dello Statoliberale in Italia tra Otto e Novecento, Napoli, 1986, 132.

(8) Ampiamente, CAPPELLETTO, Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collettivoe i probiviri, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 1198 ss.

(9) PASSANITI, Storia del diritto del lavoro. I — La questione del contratto di lavoronell’Italia liberale (1865-1920), Milano, 2006, 422 s.

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Ma quando, con argomentazioni piuttosto fragili, qualche col-legio afferma che il salario fissato dal contratto collettivo vaapplicato anche contro la divergente pattuizione individuale,esprimendo un principio « di ordine pubblico » (10), Enrico Redentilo accusa di aver confuso un contratto con una legge, deformandoil consenso delle parti individuali: l’attività dei probiviri è apprez-zabile fin tanto che conferisce giuridicità a principi della prassi edell’equità, che però non violino in alcun modo il diritto vi-gente (11). Anche Lodovico Barassi ha ribadito con chiarezza illimite rigoroso imposto alle giurie, quello del rispetto « dell’odiernodiritto materiale » (12). In una parola, i probiviri possono crearediritto, ma non diritto alternativo.

4. La concettualizzazione dei primi del Novecento: una legge per ilcontratto collettivo?

Redenti, Barassi, poi Messina: entrano in campo i ragazzi pocopiù che venticinquenni che forgeranno il diritto del lavoro. Lamateria del contratto collettivo passa dall’empirismo alla concet-tualizzazione. Il percorso inizia esattamente nel 1900, quandoPhilipp Lotmar (lui sì un maturo cinquantenne...) offre una siste-mazione (13) lontanissima dalle soluzioni del mondo anglosassone,dove le parti sociali adottano prassi che permettono l’adattamentocontinuo delle regole al mutamento delle circostanze (Otto Kahn-Freund la chiamerà continuous bargaining (14)), e dove quindi iltema inizia a essere impostato sul piano dell’effettività, nel quale lavincolatività degli accordi dipende non da regole formali ma dai

(10) Per tutte, Alimentari Milano 1 febbraio 1901, in Mon. trib., 1901, 198; sul tema,VOZA, L’inderogabilità come attributo genetico del diritto del lavoro. Un profilo storico, in Riv.giur. lav., 2006, I, 229 ss.

(11) REDENTI, Il contratto di lavoro nella giurisprudenza dei probiviri, in Riv. dir.comm., 1905, I, 356, poi in ID., Scritti e discorsi giuridici di un mezzo secolo, Milano, 1962, 558e 550.

(12) BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano, 1901, 811, n. 2.Un (quasi) isolato giudizio positivo sull’intervento dei probiviri in materia di contrattocollettivo viene da LESSONA, La giurisdizione dei probiviri rispetto al contratto collettivo dilavoro, in Riv. dir. comm., 1903, I, 224 ss.

(13) LOTMAR, Die Tarifverträge zwischen Arbeitgebern und Arbeitnehmern, in Arch. soz.Gesetzgebung und Statistik, 1900, 1 ss.

(14) KAHN-FREUND, Labour and the Law, London, 1977, 52 ss.

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rapporti di forza tra le parti. Nei sistemi di civil law, invece, le partisociali intrattengono tra loro rapporti solo periodici, che si esauri-scono con la stipula di un contratto collettivo “staticamente”considerato; non conta, perciò, l’effettività fattuale delle regoleconcordate ma la loro efficacia giuridica (15).

Alla ricerca di un convincente inquadramento tecnico, Lotmarreinterpreta, allora, gli schemi civilistici classici, cercando di attri-buire al « contratto di tariffa » la capacità di fissare regole diretta-mente efficaci per i lavoratori iscritti e in grado di resistere ad attidispositivi individuali. Anche se il suo rigore civilistico rischia di« svuotare la contrattazione collettiva di ogni potenzialità conflit-tuale ed innovativa, e [...] omologarla a quella individuale » (16), lacostruzione del giurista tedesco produce una scossa nel mondo deldiritto del lavoro, anche italiano (17), disabituato a trattare ma-teriali così poco “nobili”.

Ai primi del Novecento, il contratto collettivo diventa argo-mento “alla moda” tra i nostri giuristi. Come in ogni esperimentoscientifico, prima di imboccare la strada che si rivelerà vincente, siregistrano alcuni tentativi, distanti tra loro, che percorrono vierivelatesi poi cieche, accomunati però da un dato fondamentale.

C’è chi segue la dottrina francese, come il romanista AlfredoAscoli, che in questo modo finisce però con lo svalutare la portatainnovativa del contratto collettivo, ridotto a mera sommatoria dicontratti individuali. Egli, comunque, legge il contratto collettivosoprattutto come strumento della lotta di classe, da scongiurare atutti i costi, con il semplice inserimento del diritto “di classe” nel« sistema logico del nostro diritto civile »: « basta sostituire ilgruppo o la classe all’individuo e tutto corre logicamente » (18).

(15) GIUGNI, Contratti collettivi di lavoro, in Enc. giur. Treccani, VIII, 1988, 159 ss. Ilriferimento classico al sistema britannico è WEBB S. & B., Industrial Democracy, London-New York-Bombay, 1897.

(16) VARDARO, L’inderogabilità del contratto collettivo e le origini del pensiero giuridico-sindacale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1979, 558.

(17) Sul ruolo di Lotmar, NOGLER, Lotmars Aufklärung der Arbeitsverträge: « manchesUnrecht kann den Verlust seines Inkognitos nicht überleben », in FARGNOLI (Hg.), PhilippLotmar: letzter Pandektist oder erster Arbeitsrechtler?, Frankfurt/M., 2014, 101 ss.; PEDRAZZOLI,Philipp Lotmar e il nostro giuslavorismo: un secolo di influssi e suggestioni, in Studi inmemoria di Mario Giovanni Garofalo, Bari, 2015, 733 ss.

(18) ASCOLI, Sul contratto collettivo di lavoro (a proposito di recenti Sentenze), in Riv.dir. comm., 1903, I, rispettivamente 99 e 104.

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In una prolusione romana, il commercialista (e “socialistagiuridico”) Cesare Vivante, minimizzata la portata innovativa diun contratto collettivo ridotto a mero accordo « preparatorio »,incapace di mutare il tipo del contratto « quale ci fu tramandatodal diritto romano », chiede anch’egli che la legge operi il « ricono-scimento dei gruppi sociali come persone giuridiche » (19).

Il filosofo del diritto (ma anche alto burocrate ministeriale)Lorenzo Ratto, teorico del superamento del contratto individualedi lavoro, individua il futuro proprio nel contratto collettivo, chepuò però trovare adeguato sbocco concettuale non nella « supersti-zione dottrinale » della logora libertà contrattuale codicistica, manel suo riconoscimento pubblicistico: il contratto concluso da as-sociazioni registrate e controllate è strumento funzionale alla pacee all’armonia sociale e rende perciò inutile la lotta di classe (20).

Il conflitto, quindi, va istituzionalizzato, e il contratto collet-tivo regolato per legge è visto come il migliore antidoto agli scioperie alle agitazioni.

Perciò, quando interviene Giuseppe Messina, con uno scrittoelegante e dogmatico ma attento alla realtà fattuale (21), lamateria è già abbondantemente dissodata. Messina non segue ilpandettismo di Lotmar, dissentendo su alcuni punti nodali, so-prattutto in tema di efficacia soggettiva e di inderogabilità (22).Al momento, per lui, il contratto collettivo non può avere forza dilegge tra le parti individuali, che possono stipulare pattuizionianche peggiorative, pena una semplice sanzione risarcitoria per ilsuo inadempimento. Questa efficacia meramente obbligatoria puòessere superata solo con leggi che attribuiscano al contrattocollettivo valore di fonte sovraordinata al contratto individuale;leggi, però, « suggerite dall’iniziativa dei gruppi », in grado dicogliere « le affinità, per così dire, elettive intercedenti tra lasostanza delle forme giuridiche attuali e quella degli istituti verso

(19) VIVANTE, Le nuove influenze sociali del diritto privato, in Annuario della RegiaUniversità di Roma, 1903, rispettivamente 33 e 17.

(20) RATTO, Il contratto collettivo di lavoro, Roma, 1903.(21) MENGONI, Il contributo di Giuseppe Messina allo sviluppo del contratto collettivo nel

diritto italiano, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, Milano, 1978, 443.(22) ROMAGNOLI, I “concordati” di Giuseppe Messina: nota introduttiva, in Giorn. dir.

lav. rel. ind., 1986, 107 ss.

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cui s’indirizza il moto sociale » (23). Per il momento, il contrattocollettivo è fonte di produzione diversa dalla legge, assimilabile aun regolamento.

Il coro, quindi, è unanime: l’unica via per conferire “autorità”al contratto collettivo non può che essere la legge (24). Se a fineOttocento la richiesta di un intervento legislativo riguardava lecondizioni dei lavoratori e la socializzazione del diritto privato, aiprimi del Novecento la prospettiva si è ribaltata, riguardandoora la regolazione dell’attività dei gruppi e il funzionamentodella contrattazione collettiva: cioè l’ingabbiamento del nuovofenomeno nelle rassicuranti maglie delle categorie civilistiche (25).

5. Il primo tentativo fallito.

Ma quando scrive Messina, una legge già si è cercato di farla.Nel 1901, la resuscitata Commissione per la riforma del contrattodi lavoro esamina varie proposte sul riconoscimento giuridico deisindacati e sulla natura e l’efficacia del contratto collettivo da essisottoscritto (26), in un dibattito singolarmente simile a quello chesi svolgerà decenni più tardi alla Costituente. Ma i liberali tuonanocontro mostruosità giuridiche che prevedano interventi autorita-tivi sui contratti, i socialisti ritengono politicamente poco conve-niente e giuridicamente poco convincente che si sacrifichi, con ilvecchio diritto contrattuale liberale, anche il nuovo dirittoespresso autonomamente dai gruppi professionali.

Sulla scorta di questi lavori, il disegno di legge governativoCocco Ortu — Baccelli del 1902 (27) prevede che datori e lavoratorisi facciano rappresentare nella stipulazione del contratto dallerispettive associazioni iscritte presso l’ufficio del lavoro, e che ledeliberazioni da queste prese a maggioranza vincolino anche idissenzienti (artt. 9-10). Ma, impallinato da destra e da sinistra, da

(23) MESSINA, I concordati di tariffa nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. dir.comm., 1904, I, 459.

(24) Sul tema, CAZZETTA, L’autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuridico trafascismo e repubblica, in Quad. fior., 1999, 530.

(25) PASSANITI, Storia, cit., 144 ss. e 437 ss.(26) Ivi, 216 ss.(27) CAVAGNARI, Studi sul contratto di lavoro col testo del progetto di legge sul contratto di

lavoro presentato alla Camera dei deputati, Roma, 1902.

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imprenditori e da operai, il progetto non riesce a fare nemmeno unpassaggio parlamentare (28).

6. 1907: due impostazioni nuove e una (semisconosciuta) legge.

Nel 1907 esce la prima monografia dedicata al contratto col-lettivo (a tacere di un pretenzioso volume di Biagio Nicotra (29)):è la tesi di laurea — discussa due anni prima — di AlbertoGalizia (30), che critica aspramente l’individualismo della dottrinafrancese e rivisita alla radice le ricostruzioni di Lotmar e diMessina, proponendo idee innovative sulla dimensione collettivadella relazione di lavoro e sull’elemento associativo come base delcontratto collettivo, col corrispondente ridimensionamento del-l’autonomia privata, che però non vengono riprese, anche perchél’autore muore sul Piave nella Grande guerra. In ogni caso, an-ch’egli chiede al legislatore di regolare il contratto collettivo « inmodo più conforme a la realtà sociale » (31), pur consapevole deiproblemi che ne scaturiranno.

Emergono chiari i pregi e i limiti della dottrina dell’età giolit-tiana: una visione realistica dei limitati margini di utilizzo deldiritto vigente, unita alla consapevolezza dei pericoli di una invo-luzione autoritaria insiti nei progetti di regolamentazione legisla-tiva della materia; ma, al tempo stesso, l’incapacità di progettareinterventi alternativi di promozione o sostegno della nuova realtàsociale (32).

Sempre nel 1907, muovendosi su un terreno molto simile, HugoSinzheimer attribuisce al contratto collettivo una funzione “nor-mativa”, ammettendo che le parti sociali possano produrre dirittoattraverso propri organi del tutto indipendenti da quelli pub-blici (33). Si tratta di una rivoluzione ideologica nel campo deirapporti legge-contratto collettivo, della quale in verità non molti

(28) PINO, Modelli normativi del rapporto di lavoro all’inizio del secolo, in Pol. dir.,1984, 225.

(29) NICOTRA, Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, 1906.(30) GALIZIA, Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, 1907.(31) Ivi, 229.(32) VARDARO, L’inderogabilità, cit., 569.(33) SINZHEIMER, Der korporative Arbeitsnormenvertrag. Eine privatrechtliche Untersu-

chung, I, Berlin, 1907.

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in Italia si accorgono, relegando la nuova ricostruzione a un’elu-cubrazione più che altro sociologica (34).

Ancora nel 1907, il Consiglio superiore del lavoro, anche quidopo dibattiti estenuanti, produce una relazione incentrata sulriconoscimento per legge delle associazioni sindacali, con conse-guente facoltà di stipulare contratti collettivi, distinti in tre diffe-renti categorie con discipline altrettanto differenziate; accolta conscetticismo, la relazione viene affidata in una nuova versione al suocritico più intransigente, proprio Messina, la cui proposta però —lasciando insoluto il problema dell’erga omnes — non riesce aottenere il consenso necessario per essere trasfusa in un vero eproprio disegno di legge (35).

Il rapporto tra legge e contratto collettivo diventa, quindi, loscoglio contro cui si infrange il tentativo liberale di una riformacomplessiva del diritto del lavoro. Da allora, di leggi generali sulcontratto di lavoro, men che meno su quello collettivo, non si parlapiù. In una lettera a Galizia, pubblicata a mo’ di prefazione allibro, Emanuele Gianturco constata amaramente come i tempi nonsiano maturi per una legge che disciplini « i lineamenti sommi delcontratto di lavoro », e sia meglio ripiegare su interventi setto-riali (36). Uno di questi è la l. 16 giugno 1907, n. 337, sulle risaie(dove lavorano tantissime donne: singolare l’imprinting femminiledel contratto collettivo, tra “probivire” e mondariso!); secondol’art. 18, co. 2, « nei contratti ai quali partecipano contemporanea-mente venti o più locatori di opera, la sottoscrizione del contrattopuò da essi delegarsi a tre fra gli stessi lavoratori che partecipanoalla convenzione ». Se Gianturco grida al miracolo del contrattocollettivo riconosciuto per legge, Redenti non è neanche sicuro chesi tratti di un “contratto collettivo”, quanto di un contratto“cumulativo” (37). In ogni caso, questa del 1907 è la prima leggeche ne parla.

(34) CAZZETTA, L’autonomia, cit., 543 ss.; NOGLER, La scienza giuslavoristica italianatra il 1901 e il 1960 e Hugo Sinzheimer, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2001, 549 ss.

(35) Sulla vicenda, ROMAGNOLI, La IX sessione del Consiglio superiore del lavoro. Peruna storia del diritto sindacale in Italia, in St. storici, 1971, 356 ss.

(36) GALIZIA, Il contratto collettivo, cit., VII; sul punto, GAETA, Emanuele Gianturco, illavoro e il codice mancato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1083 ss.

(37) REDENTI, Contratto “cumulativo” di lavoro e licenziamento, in Riv. dir. comm.,1907, II, 145, che polemizza sul punto con NICOTRA, Il contratto collettivo, cit.

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7. Gli anni Dieci: la rinuncia alla legge e la soluzione “negazioni-sta”.

Gli anni Dieci vedono pertanto acquietarsi il moto fino adallora impetuoso della richiesta di una “legge sindacale”. Lo testi-monia l’atteggiamento di Redenti, che, da fautore dell’interventostatale, si dice ora contrario all’irrigidimento del contratto collet-tivo in norme di diritto, perché sarebbe ormai maturata tra le partisociali e tra i giuristi « la convinzione della [sua] giuridica obbliga-torietà » (38). E la contrattazione collettiva continua a essere vistacome antidoto al conflitto: Carnelutti la preconizza « seria e quietacome la contrattazione di borsa » (39).

La sciagura della guerra attenua ogni dissidio. Ma, in pienoconflitto, la seconda edizione dell’opera di Barassi sembra imboc-care una strada diversa, nel senso di minimizzare la portata giuri-dica del contratto collettivo. La parte ad esso ora dedicata (40)appare « quasi un dover di cronaca » (41). La legittimazione delcontratto collettivo è agganciata al riconoscimento per legge di unarappresentanza operaia nel Consiglio superiore del lavoro (r.d. 11agosto 1904, n. 474), ma la trattazione non propone una compren-sione dogmatica della contrattazione collettiva come fenomenosociale; anzi, conclude rilevando come « la struttura atomistica delnostro diritto finisca per frazionare in rapporti individuali anche iconcordati collettivi » (42).

8. I “ruggenti Venti”: il corporativismo prima del corporativismo?

Barassi non si confronta con le teorie di Sinzheimer, che in unnuovo libro descrive il processo di « autonormazione sociale »: leregole dei rapporti collettivi non sono più diritto individuale sta-tale, ma diritto sociale originato e gestito dai gruppi autonomi (43);

(38) REDENTI, La riforma dei probiviri, in Riv. dir. comm., 1910, I, 638.(39) CARNELUTTI, Le nuove forme di intervento dello Stato nei conflitti collettivi del lavoro,

in Riv. dir. pubbl., 1911, 413 ss.(40) Ampiamente, CASTELVETRI, Il diritto del lavoro delle origini, Milano, 1994, 331 ss.(41) VANO, Riflessione giuridica, cit., 147.(42) BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II, Milano, 1917, 42.(43) SINZHEIMER, Ein Arbeitstarifgesetz. Die Idee der sozialen Selbstbestimmung im

Recht, Berlin, 1916.

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il contratto collettivo è “corporativo”, trovando legittimazione edefficacia nell’ambito di tale sistema, svincolato da quello privati-stico statale.

Uno sviluppo dogmatico in qualche modo assimilabile è offertodalla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici di SantiRomano, che riconosce come l’impresa costituisca « un mondogiuridico a sé, completo nel suo genere e nei suoi fini » e come irapporti collettivi di lavoro non possano essere ridotti sotto ilprofilo contrattuale, « se non sacrificando alcuni elementi di talirapporti, o almeno deformandoli ». L’analisi di Romano fa riferi-mento proprio al contratto collettivo e alle difficoltà della dottrinanell’inquadrarlo, « se non ammettendo che esso si svolge, nel me-desimo tempo e con atteggiamenti diversi e magari contrari, nellerispettive orbite di due distinti ordinamenti giuridici » (44). Lastrada è tracciata per chi si vuole incamminare verso la riconside-razione del ruolo “normativo” di un contratto collettivo interno aun suo nuovo sistema.

Il clima scientifico, nei primi anni Venti, è peraltro caratteriz-zato dagli studi dei giuspubblicisti sul cosiddetto “Stato sinda-cale”. Le sfumature e le distanze sono molteplici: a studiare leinterrelazioni tra lo Stato e il nuovo universo del sindacato, che aquesto va confrontandosi, se non contrapponendosi (45), sonostudiosi del calibro di Orlando, Ranelletti, Rocco (46); ma il temaè tirato da destra e da sinistra, finanche da Gabriele D’Annunzio,che agli occhi di molti fa del suo esperimento fiumano di « demo-crazia diretta che ha per base il lavoro produttivo » (47) il modelloideale di Stato sindacale.

In questo contesto, una prolusione del 1922 del commercialista

(44) ROMANO, L’ordinamento giuridico. Studi sul concetto, le fonti e il carattere deldiritto, Pisa, 1917, rispettivamente 76, 114 e 128 s.

(45) GROSSI, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, 2000, 155ss.; MARCHETTI, L’essere collettivo. L’emersione della nozione di collettivo nella scienza giuridicaitaliana tra contratto di lavoro e Stato sindacale, Milano, 2006, 151 ss.

(46) ORLANDO, Lo “Stato sindacale” e le condizioni attuali della scienza del dirittopubblico, in Riv. dir. pubbl., 1924, I, 3 ss.; RANELLETTI, I sindacati e lo Stato, in Politica, 1920,I, 257 ss.; ROCCO, Crisi dello Stato e sindacati, in Politica, 1921, I, 1 ss.

(47) Così l’art. 2 della Carta del Carnaro del 1920, su cui DE FELICE (a cura di), LaCarta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di Gabriele D’Annunzio, Bologna, 1973.

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Lorenzo Mossa (48), ritenuta uno dei più interessanti manifestiprogrammatici della giuslavoristica italiana (49), propone unavisione moderna del diritto del lavoro, non più considerato indivi-dualisticamente, ma coordinato, inserito nella comunità socialedell’impresa; un diritto incontenibile nelle regole civilistiche, ma« libero », nella realtà pulsante delle relazioni sociali. La ricostru-zione, che valorizza il ruolo dei gruppi nella formazione del diritto,imbevuta delle idee della Freirechtsschule e dei continui riferimentia Sinzheimer, viene presto liquidata come espressione di un ap-proccio sociologico e ideologico (50).

Emergono perciò netti i contorni di un substrato ideologico escientifico all’interno del quale il “corporativismo” è espressione dipluralismo, di autonomia, appunto di libertà. Molto lontano, evi-dentemente, dalle deviazioni semantiche che da noi lo leganonecessariamente all’esperienza fascista (51). Il cammino della re-lazione tra legge e contratto collettivo, che sembra al tempo del“biennio rosso” avviato verso una profonda considerazione dell’au-tonomia del sistema sindacale, viene però interrotto dalla virataautoritaria impressa dal fascismo.

9. Il primo incontro.

I r.d. 10 settembre 1923, nn. 1955-1956, cioè i regolamentiattuativi della legge sull’orario di lavoro, danno sostanzialmenteavvio al filone della “regolamentazione dei confini” tra legge econtratto collettivo nel disciplinare le relazioni di lavoro. Si inau-gura la tecnica del rinvio: la prima lascia al secondo il compito dicompletare o di adattare o in determinate ipotesi di derogare le suedisposizioni. Non manca, poi, un intervento definitorio del con-tratto collettivo, ritenuto (art. 5, r.d. n. 1956/1923) quello stipulatofra le associazioni dei datori e dei lavoratori, che hanno ottenuto ilriconoscimento col r.d.l. 29 ottobre 1922, n. 1529, per un capriccio

(48) MOSSA, Il diritto del lavoro, Sassari, 1923; poi sviluppata in importanti studi,raccolti in ID., L’impresa nell’ordine corporativo, Firenze, 1935.

(49) CAZZETTA, L’autonomia, cit., 550 ss.; ma già CASANOVA, Il diritto del lavoro neiprimi decenni del secolo: rievocazioni e considerazioni, in Riv. it. dir. lav., 1986, I, 230 ss.

(50) PERGOLESI, Il diritto del lavoro come diritto libero, in Riv. it. fil. dir., 1924, 301.(51) GROSSI, Scienza giuridica, cit., 175 ss.

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della storia emanato proprio mentre Benito Mussolini sta rice-vendo l’incarico di primo ministro.

Quindi, c’è già quasi tutto: definizione, rinvio in bianco, “gui-dato”, derogatorio. Un altro futuro caposaldo dei rapporti tra leggee contratto collettivo lo pone subito dopo la legge sull’impiegoprivato, quando afferma l’inderogabilità delle sue disposizioni,« salvo il caso di particolari convenzioni od usi più favorevoliall’impiegato » (art. 17, co. 1, r.d. 13 novembre 1924, n. 1825). È ilprincipio del favor, per ora operativo nei rapporti tra legge econtratto (individuale), ma presto — a torto o a ragione — gene-ralizzato.

A completare davvero il quadro, c’è anche un particolareintervento “invasivo” della legge sugli accordi collettivi, volto aribadire le reali gerarchie: il r.d. 18 aprile 1923, n. 833, spostandola data della festa del lavoro, intima: « tutte le pattuizioni inter-venute tra industriali e operai per la giornata di vacanza in talgiorno dovranno essere applicate pel 21 aprile e non pel 1° mag-gio ».

Ma il sistema complessivo non ha modo di essere rodato,perché di lì a pochissimo il fascismo, imponendosi come regime,compie la svolta.

10. Le “cose nuove” della legge del 1926.

Nel 1925 si susseguono, in rapida successione, tre eventi checambiano il corso della nostra storia. Il 18 agosto la Fiat concludeun accordo con le commissioni interne a maggioranza comunista,che viene criticato dalla Fiom ma che stupisce e preoccupa nonpoco l’ambiente industriale e il governo (52); il 30 agosto a PerugiaAlfredo Rocco tiene un discorso, che colpisce molto Mussolini, doveteorizza uno Stato gerarchizzato in cui impresa, sindacato e partitosono sottoposti a una direzione autoritaria che previene qualsiasicontrasto dialettico (53); il 2 ottobre Confindustria e sindacatifascisti firmano il “patto di palazzo Vidoni”, in cui si riconosconoreciprocamente come unici rappresentanti delle parti sociali, po-

(52) CORDOVA, Le origini dei sindacati fascisti 1918-1926, Bari, 1974.(53) ROCCO, La dottrina politica del fascismo, in ID., Scritti e discorsi politici, III,

Milano, 1938, 1093.

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nendo le basi per la riforma complessiva dell’ordinamento sinda-cale.

La l. 3 aprile 1926, n. 563, codifica l’accordo. L’art. 10, co. 1,dispone che i contratti collettivi stipulati dalle associazioni legal-mente riconosciute diventino efficaci per tutti i datori e lavoratoriappartenenti alla categoria e che, se stipulati da associazioni re-gionali o nazionali, vengano pubblicati sulla Gazzetta ufficiale (co.4). L’art. 54, r.d. 1 luglio 1926, n. 1130, afferma l’inderogabilità delcontratto collettivo da parte di quello individuale, pena la sosti-tuzione automatica delle clausole difformi, a meno che queste nonsiano migliorative per il lavoratore.

La legge, quindi, ha fatto cambiare pelle al contratto collet-tivo, assimilandolo all’interno del sistema statale. Come mai, al-lora, Carnelutti, nella prima pagina del primo numero della primarivista di diritto del lavoro, con un’altra frase consegnata allastoria, afferma che « di massima, non ci sono cose nuove dadire » (54)? In realtà, la svolta verso un contratto collettivo ergaomnes e inderogabile è stata la speranza di un’intera generazione digiuristi liberali, lui per primo (55); perciò, queste cose non sononuove, perché lui le ha già dette: « infatti, quello che dirò qui hocominciato a insegnarlo, giusto quindici anni fa, all’UniversitàCommerciale di Milano » (56).

È la « vena sottilmente illiberale » (57) del giolittismo. Ci sonoanche prove materiali di questa continuità tra il prima e il dopo: èproprio Messina a dettare l’art. 10 della legge del 1926, il cui co. 5,peraltro, ripete esattamente la sua ricostruzione sulla responsabi-lità delle parti per l’inadempimento del contratto collettivo (58).Poi, sia Messina che Barassi fanno parte del pool di consulentichiamato a elaborare la Carta del lavoro del 1927 (59), il “catechi-smo” del corporativismo fascista, che contiene dichiarazioni sullanatura e la funzione del contratto collettivo (III-IV); sul suo

(54) CARNELUTTI, Sindacalismo, in Dir. lav., 1927, 3.(55) Su Carnelutti profeta del corporativismo fascista, COSTA, Lo Stato immaginario.

Metafore e paradigmi nella cultura giuridica italiana fra Otto e Novecento, Milano, 1986, 382ss.

(56) CARNELUTTI, Sindacalismo, cit., 4.(57) VARDARO, L’inderogabilità, cit., 584.(58) RAVÀ, Giuseppe Messina, in Dir. fall., 1946, 32 ss.(59) NOGLER, Messina, Giuseppe, in BIROCCHI, CORTESE, MATTONE, MILETTI (dir. da),

Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), Bologna, 2013, 1335.

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processo formativo (XI); sulle materie di sua competenza esclu-siva, cioè sanzioni disciplinari, periodo di prova, orario di lavoro(XI), costituzione di casse mutue per le malattie (XXVIII) eretribuzione (XII); sulle materie dove deve intervenire a comple-tare le previsioni di legge, come il riposo domenicale (XV).

In realtà, né la legislazione del 1926 né tanto meno la Carta dellavoro trasformano formalmente il contratto collettivo in unafonte oggettiva. Perciò, Carnelutti può sfornare il suo famososlogan sulla forma del contratto e l’anima della legge, per esprimeretutta la difficoltà di qualificare un « ibrido ».

11. Il contratto collettivo fascista: pubblicistico, corporativistico oprivatistico?

Proprio la veste assunta dal contratto collettivo dà l’avvio ariflessioni più complessive, che in quegli anni coinvolgono i mag-giori giuristi, non solo del lavoro. Il dibattito teorico, spessoraffinato, vede sostanzialmente contrapporsi, pur tra mille sfuma-ture, due grandi orientamenti. C’è chi — come appunto Carnelutti— è ben contento di uno status quo in cui alla fine si è dato vita al« sindacato puro »: non più piazzaiolo e rivendicativo, ma maturo econsapevole, che può svolgere compiti di pacificazione socialeanche grazie al contratto collettivo; col nuovo sistema, « il processodi depurazione del sindacalismo è compiuto », e il contratto collet-tivo entra così a far parte del « regno del diritto », ma in una nuovaforma, perché, accanto al diritto privato e a quello pubblico, sipone ormai il diritto collettivo del lavoro, cui strumento principe èproprio il “nuovo” contratto collettivo, che incarna una « terzadimensione del diritto » (60).

A questa corrente fa da sponda, in un certo senso, la teorizza-zione di Widar Cesarini Sforza sul diritto collettivo come « dirittodei privati », che travalica la mera dimensione privatistica ma nonsfocia comunque nel diritto pubblico (61).

(60) Rispettivamente, CARNELUTTI, Il diritto corporativo nel sistema del diritto pubblicoitaliano, in Atti del primo convegno di studi sindacali e corporativi, Roma, 1930, 44; ID.,Sindacalismo, cit., 9.

(61) CESARINI SFORZA, Corso di diritto corporativo, Padova, 1932, 7 ss., dove riferimentia ID., Il diritto dei privati, Milano, 1929.

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Dall’altro lato della barricata, ci sono i teorici più “fedeli allalinea” del regime, impegnati nel programma di rigenerazione delladisciplina; essi considerano la legislazione del 1926 solo un punto dipassaggio, non certo di arrivo. In un dibattito sul nuovo diritto dellavoro, Alberto Asquini e Nicola Stolfi vengono accusati di nonsaper interpretare i tempi nuovi (62): parlare di diritto “del lavoro”sa di vecchio, e meno che mai di diritto “sindacale”, nozione ormai« giustiziata » nel 1926 (63): è il diritto corporativo la materiagiovane, destinata al futuro.

Ma i teorici del corporativismo “puro” si spingono oltre, perchésarebbe riduttivo leggere la legislazione del 1926 nei termini dimero passaggio da una logica privatistica a una statualistica; essichiedono a gran voce la più completa fusione dell’ordinamentocollettivo del lavoro, quindi del sindacato e dei suoi “prodotti”,nello Stato corporativo totale. La ricostruzione di Carnelutti, pre-sentata nel 1930 al primo convegno di studi sindacali e corporativi,viene pesantemente criticata due anni dopo, nella seconda edizionedi quel convegno, da un teorico del corporativismo come ArnaldoVolpicelli (64), che la giudica riduttiva e individualistica (65).

È in questo clima teorico che il contratto collettivo comincia aessere studiato da tanti all’interno di un ordinamento diverso daquello statale, che non è più ormai diritto privato ma è anchequalcosa di diverso, di più, del diritto pubblico. Molti rivisitano leteorie pluraliste, che proprio durante il fascismo vedono una dif-fusione molto ampia (66), e si scontrano, anche qui con polemichedilanianti (67), con gli statalisti a oltranza (68).

(62) ASQUINI, STOLFI, Il nuovo diritto del lavoro nel sistema giuridico moderno, in Dir.lav., 1927, 912 ss., contestati da BRUGI, LESSONA, DE SEMO, Il nuovo diritto del lavoro nelsistema giuridico moderno, ivi, 543 ss.

(63) COSTAMAGNA, Ancora in merito al “diritto del lavoro”, in Dir. lav., 1928, 545 ss.(64) VOLPICELLI, I presupposti scientifici dell’ordinamento corporativo, in Atti del

secondo convegno di studi sindacali e corporativi, Roma, 1932, 125 ss.; ID., Corporativismo eproblemi fondamentali di teoria generale del diritto (nuova replica al prof. Carnelutti), in Arch.st. corp., 1932, 609 ss.

(65) Su questa polemica, ampiamente, MARTONE, Un antico dibattito. Ferrara, 1932: ilsecondo convegno di studi sindacali e corporativi, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi.L’omaggio dell’accademia a Mattia Persiani, Padova, 2005, 493 ss.

(66) Lo osserva GIUGNI, Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Milano,1960, 15 ss.

(67) Su cui CAZZETTA, L’autonomia, cit., 586.

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In ogni caso, dalla « legificazione cingolata » (69) è uscito uncontratto collettivo del quale la legge “si può fidare”: concluso daassociazioni controllate e registrate, dotate di personalità giuridica,ad esso si può tranquillamente affidare la regolazione completa dimaterie ben determinate, la loro integrazione, la loro deroga insenso migliorativo per i lavoratori. In definitiva, un’ottima fonteassimilabile a un regolamento, come nelle ricostruzioni di iniziosecolo (70).

Perciò, la lettura dei rapporti tra legge e contratto collettivonel ventennio fascista è molto più complessa di quanto possasembrare (71). Tanti, poi, non riescono a dimenticare che il con-tratto collettivo è stato fino a quel momento un istituto eminen-temente privatistico, applicando perciò la pratica dello « smista-mento del nuovo sotto le caselle note » (72). Intanto, al contrattocollettivo si applicano le regole interpretative del contratto e nonquelle della legge (art. 16, co. 1, l. n. 563/1926, che suscita peraltronon pochi dissensi e dispute applicative (73)). Poi, alcuni — inparticolare un giovane studioso che presto si farà notare — gliriconoscono comunque natura giuridica esclusivamente contrat-tuale: esso vincolerebbe i suoi destinatari solamente perché essistessi lo hanno voluto attraverso i propri rappresentanti (74). PerBarassi, si tratta di « un contratto e nulla più di un contratto » (75);e come lui la pensa un altro convinto contrattualista, PaoloGreco (76).

Il diritto fascista, poi (si tratta di una pagina davvero poconota), conosce anche dei contratti collettivi di natura sicuramente

(68) Tra questi, MAZZONI, L’ordinamento corporativo. Contributo alla fondazione di unateoria generale e alla formulazione di una dommatica del diritto corporativo, Padova, 1934, 55ss.

(69) ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1995, 99.(70) Per tutti, BALELLA, Lezioni di legislazione del lavoro, Roma, 1927, 151 ss.(71) Per una panoramica storica, JOCTEAU, La contrattazione collettiva. Aspetti legisla-

tivi e istituzionali 1926-1934, in La classe operaia durante il fascismo, Milano, 1981, 91 ss.(72) STOLZI, L’ordine corporativo. Poteri organizzati e organizzazione del potere nella

riflessione giuridica dell’Italia fascista, Milano, 2007, 57.(73) Riassunte in BALLESTRERO GENTILI, Note in tema di interpretazione dei contratti

collettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 840 ss.(74) SANTORO PASSARELLI, Contratto e rapporto collettivo, in Riv. dir. pubbl., 1933, 357

ss.; ID., Legislazione del lavoro, Padova, 1936, 5 s.(75) BARASSI, Diritto sindacale e corporativo, Milano, 1938, 245.(76) GRECO, Il contratto collettivo di lavoro, Roma, 1929, 100.

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non pubblicistica e non applicabili erga omnes: quelli validi per lecolonie, in particolare per l’Africa orientale (77).

La contrattazione collettiva si svolge ora « seria e quieta »,come si voleva. Fortemente burocratizzata, contiene a mala penale inevitabili tensioni del mondo del lavoro, mostrando anchequalche segnale di vitalità (78). Il colpo finale a un corporativismomai elevatosi dal ruolo di facciata propagandistica, con la con-ferma delle tradizionali radici privatistiche della materia, l’asse-sterà paradossalmente proprio la norma che fa assurgere il con-tratto collettivo a fonte del diritto, il codice civile del 1942. Unanno prima del 25 luglio, è sempre Dino Grandi l’esecutore.

12. Il contratto collettivo fonte nel codice del ritorno al diritto privato.

Con il codice civile del 1942 il contratto collettivo entra tra le« norme corporative » (art. 5 disp. prel. c.c.), diventando quindiformalmente fonte del diritto (art. 1, n. 3, disp. prel. c.c.). Gli artt.2067-2081 ripetono sostanzialmente le previsioni della legislazionedel 1926: vi spicca un art. 2077 nel quale « la colonizzazione delcontratto collettivo ad opera della legge raggiunge uno dei suoipunti più alti » (79), riproponendo il meccanismo “autoritario” (80)dell’inderogabilità peggiorativa da parte della pattuizione indivi-duale, con conseguente sostituzione automatica delle clausole dif-formi. Esso diventa così « la forma di esercizio, sotto il controllodello Stato, di una potestà normativa » (81). Ma l’inserimentoformale tra le fonti statali avviene in posizione subordinata, poichéil contratto collettivo — e non c’è favor che tenga — non puògerarchicamente derogare « alle disposizioni imperative delle leggie dei regolamenti » (art. 7 disp. prel. c.c.); può, invece, bene

(77) Per tutti, PERGOLESI, Corporativismo coloniale, Roma, 1937, 167 ss.(78) GIUGNI, Esperienze corporative e post-corporative nei rapporti collettivi di lavoro in

Italia, in Il Mulino, 1956, 3.(79) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, cit., 227.(80) VARDARO, Le origini dell’art. 2077 c.c. e l’ideologia giuridico-sindacale del fascismo,

in Materiali st. cult. giur., 1980, 437 ss.(81) MENGONI, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, in Jus, 1975,

167, poi in ID., Diritto e valori, Bologna, 1985, 263.

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integrare e completare i numerosi rinvii che il codice fa adesso (82), in una fitta trama destinata a lunga vita.

In realtà, il riconoscimento delle norme corporative tra le fontidel diritto è una sorta di “atto dovuto”. La nuova codificazione,imperniata sull’individualismo contrattuale, scontenta non poco iteorici della pubblicizzazione del diritto del lavoro e ancor più ifautori dell’autonomia del nuovo diritto corporativo, del qualemolti leggono il tradimento (il sistema ormai « non è più corpora-tivo se non di nome » (83)); per non parlare di chi ha vagheggiatoun diritto libero e autonomo (84).

13. I due contratti collettivi del Regno del sud.

Il fascismo è appena caduto e l’Italia badogliana è ancoraformalmente in guerra « a fianco dell’alleato germanico », quandola norma che sopprime tutti gli organi corporativi (r.d.l. 9 agosto1943, n. 721) detta le prime regole emergenziali relative agli« accordi economici collettivi » stipulati dai sindacati che hannoriacquistato la libertà, disponendo che essi « diventano obbligatoririspetto alle associazioni e ai singoli rappresentanti delle categoriecui essi si riferiscono » solo dopo l’approvazione dell’autorità go-vernativa, « previe le modificazioni del caso » (art. 4). È il momentonel quale l’ingerenza del potere politico è la più elevata in assolutoe la forbice tra legge e contratto collettivo si avvicina maggior-mente, fin quasi ad annullare ogni differenza: la stessa autorità cheemana la legge può dettare anche le regole del contratto collettivo.

L’8 settembre 1943 divide in due anche le norme giuridiche diun Paese spezzato. Il Regno “del Sud” solo dopo molto tempo sirisolve a sciogliere i sindacati fascisti (d.lgt. 23 novembre 1944, n.369), ma nella norma che rimodella il diritto transitorio in materiadi contratti collettivi, l’art. 43, inserisce un inciso destinato a darelavoro per anni ai giuslavoristi. Infatti, essa prevede la contempo-ranea vigenza di due tipi di contratti collettivi: quello stipulato dai

(82) SCOGNAMIGLIO, Il codice civile e il diritto del lavoro, in Le ragioni del diritto. Scrittiin onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995, 1253.

(83) MAZZONI, La “crisi” del diritto corporativo e la validità del corporativismo, in Dir.lav., 1943, I, 117 ss.

(84) MOSSA, Il diritto del lavoro nel Codice civile, in Arch. st. corp., 1942, 98 ss.

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sindacati liberi e approvato — ed eventualmente modificato — dalgoverno e quelli corporativi, che continuano a restare in vigore« salvo le successive modifiche ». Evidentemente, la legge, nellacertezza di un’imminente regola generale per i nuovi contratticollettivi, tale da rendere obsoleto il riferimento ad altre tipologie,per far fronte a ovvie esigenze contingenti, pensa di sancire l’ul-trattività dei contratti collettivi corporativi, fonte di diritto ogget-tivo. Senza badare ai tanti problemi che la norma susciterà.

Innanzitutto, quello della natura giuridica dei contratti ultrat-tivi, che qualcuno addirittura vorrebbe equiparati alla legge inforza del recepimento da parte della fonte che ne proroga lavigenza, qualcun altro per converso vorrebbe trasformati in con-tratti di diritto privato per il venir meno della fonte di produzione,altri ancora vorrebbero del tutto caducati per la soppressione degliorgani che hanno loro dato vita (85). Prevalsa la tesi che natura edefficacia soggettiva del contratto collettivo ultrattivo sono identi-che a quelle originarie (86), ci si divide sul significato da attribuirealle « successive modifiche » (87); quali siano le fonti legittimate adapportarle: se solo la legge, o — come sostengono i più — anche inuovi contratti collettivi liberi (88); se, poi, questi ultimi possanoapportare anche modifiche peggiorative: ed è la tesi che prevale(fermi, ovviamente, i diversi ambiti di efficacia soggettiva), sulrilievo che altrimenti l’art. 43 sarebbe del tutto superfluo, riba-dendo un principio generale, e incongruo, inibendo ogni evoluzionedell’autonomia collettiva (89).

In definitiva, una situazione di grande confusione, tipica di unmomento di emergenza, nel quale c’è però da garantire maggior-mente la tutela delle condizioni lavorative, in primo luogo unaretribuzione non massacrata dalla terribile inflazione dei tempi diguerra. Essendo, quindi, le tariffe salariali dei contratti collettivicorporativi ormai del tutto inadeguate, per applicare a tutti i

(85) Sul dibattito, per tutti, BORTONE, CURZIO, Il contratto collettivo, Torino, 1984, 5 ss.(86) SANTORO PASSARELLI, Durata transitoria delle norme corporative, in Foro it., 1951,

I, 578 ss.(87) SIMI, I vecchi contratti collettivi e le loro successive modifiche, in Dir. lav., 1950, II,

381.(88) SANTORO PASSARELLI, Contratto collettivo e norma corporativa, in Foro it., 1949, I,

1069.(89) Riassuntivamente, GIUGNI, Contratti collettivi, cit., 161.

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lavoratori quelle concordate nei nuovi contratti collettivi, si esco-gita un sistema singolare: si trasfonde, cioè, il contenuto delcontratto collettivo in una norma di legge, facendogli acquisireefficacia erga omnes (90).

Questo escamotage viene presto abbandonato — anche se forsetornerà in mente a qualcuno una quindicina d’anni più tardi — emano a mano si fanno strada i nuovi contratti collettivi, assogget-tati al diritto privato.

14. L’“emanazione” dei contratti collettivi nella Repubblica sociale.

Dall’altra parte della barricata, cioè nella Repubblica sociale,si proclama invece il fallimento del corporativismo, già nell’aria datempo: lo celebra ora ufficialmente il “manifesto di Verona”, veroe proprio programma fondativo del nuovo Stato. Ammettendo,quindi, l’esistenza delle classi, si vuole dar vita a una nuovastruttura dell’impresa e della produzione, in contrasto col dirittoprivato vigente, quello codificato poco più di un anno prima.

L’ordinamento della Repubblica sociale, se non giuridica-mente inesistente, è grandemente condizionato dalla sudditanzanei confronti del Terzo Reich, dalla assoluta precarietà della situa-zione e dal cupio dissolvi della consapevolezza della fine immi-nente. I suoi esperimenti “anticapitalistici” vanno quindi riguar-dati non tanto come recupero del “fascismo di sinistra” delleorigini, quanto piuttosto come l’ennesima mistificazione scenogra-fica di un regime in dissoluzione: ciò vale anche per il nuovoordinamento sindacale, varato ai primi del 1945, ma ben radicatoin vari programmi operativi e progetti costituzionali.

Innanzitutto, per l’art. 117 del progetto di Costituzione, maiapprovato, « la disciplina del rapporto di lavoro è affidata alla leggeo alle norme da emanarsi dall’organizzazione professionale ricono-sciuta. Tali norme si inseriscono automaticamente nei contratti

(90) Ad esempio, il d.lgs.lgt. 2 novembre 1944, n. 303: sulla premessa che, « inmancanza di un ordinamento sindacale di diritto, deve provvedersi con atto legislativo arendere efficaci verso tutti gli appartenenti alle categorie interessate gli accordi convenutia Roma il 13 ottobre 1944 fra le associazioni di prestatori d’opera e di datori di lavoro difatto esistenti », si espongono in 12 articoli i contenuti di detto accordo: RIVA SANSEVERINO,Contratto collettivo di lavoro, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 59.

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individuali, i quali possono contenere norme diverse ma soltantopiù favorevoli al lavoratore ».

Il decreto del Duce 18 gennaio 1945, n. 3, si apre con la solenneaffermazione che « il lavoro, in ogni sua manifestazione, costituiscela base della Repubblica sociale italiana » (art. 1). Populistica-mente, si afferma che il proprietario che non lavori, almeno comedirigente o tecnico, non può iscriversi ai sindacati (art. 2), riunitinella grande Confederazione generale del lavoro, della tecnica edelle arti, che ha la rappresentanza obbligatoria delle parti so-ciali (91). Il sindacato nazionale « emana » i contratti collettivi, maqueste « norme [...] sono sottoposte ad esame degli organi corpo-rativi nazionali i quali, dopo averle approvate, ne ordinano lapubblicazione nella Gazzetta Ufficiale » (art. 17, co. 1).

A Salò, quindi, si adotta una soluzione al problema dell’effica-cia dei contratti collettivi molto simile a quella del Regno: è unparadosso solo relativo, perché la situazione di emergenza è ovvia-mente la stessa, e la scelta di sottoporre il contratto collettivoall’approvazione di organi governativi appare l’unica in linea conle prevalenti esigenze di ordine pubblico del tempo di guerra.

In ogni caso, le norme sul lavoro del « sedicente governofascista repubblicano » vengono abrogate dal Comitato di libera-zione nazionale dell’Alta Italia; il decreto porta una data partico-lare, il 25 aprile 1945.

15. Quel “pasticciaccio” (brutto?) dell’art. 39 della Costituzione.

Dopo la Liberazione, la situazione è quindi piuttosto varie-gata: accanto ai contratti collettivi ultrattivi, coesistono i pochicontratti liberi trasfusi in norme di legge e, soprattutto, i contrattiliberi senz’altra specificazione. L’ordinamento sindacale fascista,formalmente ancora in vigore, è praticamente svuotato di conte-nuto a seguito dell’eliminazione di tutti i suoi organismi.

Ma in quei concitati anni, « neppure in via transitoria e prov-visoria, si è ritenuto opportuno di colmare questa interminabile

(91) Decreto del Duce 20 dicembre 1943, n. 853: GALANTI, Socializzazione e sindaca-lismo nella Repubblica sociale italiana, Roma, 1949, 106 s.

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vacatio » (92). Perciò tutti, senza alcuna esclusione, attendono unnuovo « ordinamento sindacale di diritto », soprattutto da partedella Costituzione che ci si accinge a scrivere (93).

All’Assemblea Costituente, dove abbondano i professori uni-versitari di ogni disciplina giuridica, non c’è alcun giuslavorista: lamateria sta emergendo dalle ceneri del diritto corporativo (94) e glistudiosi stanno prudentemente aspettando che “passi la nottata”.Perciò, tanti diventano lavoristi “sul campo” (95), primo fra tuttiil leader della Cgil Giuseppe Di Vittorio, la cui relazione presentataalla terza sottocommissione diventa in breve punto di riferimentoper un diritto da costruire (96).

Senonché, in quel 1946 ancora vicino ai retaggi giuridici delfascismo, l’unico ordinamento sindacale al quale si pensa è unordinamento statale. Democratico, ma pur sempre pubblicistico. Ilnodo della posizione giuridica del sindacato trova perciò soluzionein una mediazione tra chi lo vuole come una sorta di ente pubblico,riconosciuto e controllato dallo Stato, e chi lo vuole libero, svin-colato da rapporti con il potere pubblico: un equilibrio moltodelicato tra l’esigenza del sindacato di libertà e autonomia el’esigenza opposta di ottenere da esso le garanzie necessarie perpotergli affidare alcune funzioni di carattere pubblico.

L’unica strada percorribile perché lo Stato garantisca al sin-dacato prerogative altrimenti inattingibili pare a tutti l’attribu-zione della personalità giuridica: alla Costituente lo ribadisceautorevolmente Costantino Mortati, che la ritiene condizione in-dispensabile perché il sindacato possa esercitare la funzione, « in-dubbiamente pubblicistica », di stipulare contratti colletti-

(92) SCOTTO, Considerazioni sulla emananda legislazione del lavoro secondo l’articolo 39della Costituzione, in Dir. lav., 1948, I, 227 ss.

(93) SERMONTI, Per la ricostruzione di un ordinamento sindacale di diritto, in Dir. lav.,1946, I, 177 ss.; RIVA SANSEVERINO, Il contratto collettivo nella legislazione italiana, ivi, 3 ss.

(94) ICHINO, I primi due decenni del diritto del lavoro repubblicano: dalla Liberazionealla legge sui licenziamenti, in ID. (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Italia repubblicana.Teorie e vicende dei giuslavoristi dalla Liberazione al nuovo secolo, Milano, 2008, 4 ss.

(95) PASSANITI, La Costituente tra cronaca e storia. Il nodo giuslavoristico nell’ordinedemocratico, in GAETA (a cura di), Prima di tutto il lavoro. La costruzione di un dirittoall’Assemblea Costituente, Roma, 2014, 23 ss.

(96) GAETA, Le parole sull’ordinamento sindacale, in FARINA (a cura di), Le parole diGiuseppe Di Vittorio. La persona, il lavoro, il sindacato, la Costituzione, Roma, 2016, 93 ss.

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vi (97). Le condizioni alle quali subordinare il riconoscimento delsindacato vengono risolte in maniera “leggera”, imponendo —peraltro solo nel dibattito finale in Assemblea plenaria — l’unicorequisito del possesso di « un ordinamento interno a base demo-cratica ».

È una soluzione ancora figlia del passato (98), nonché di unpresente che vede un sindacato unico, forte e glorificato dallaResistenza. I costituenti cuciono il nuovo « ordinamento sindacaledi diritto » addosso al sindacato unitario, senza considerare cosasuccederebbe se esso si frantumasse, come puntualmente avverràsolo uno o due anni dopo. Anzi, c’è chi propone di inserire unespresso riconoscimento della Cgil come « ente giuridico che riuni-sce i sindacati » (99). Alla fine, comunque, la faticosa opzione chepassa tiene conto di un possibile pluralismo sindacale.

Intorno al sistema che si sta costruendo cresce l’attesa deigiuslavoristi: « La nuova Costituzione ci darà, a quanto sembra, frale tante e varie disposizioni, anche la legge sindacale », profetizzaUbaldo Prosperetti (100). Resta da legare il nodo della natura delsindacato a quello dell’efficacia dei contratti collettivi.

Infatti, naturale prerogativa della riconosciuta personalitàgiuridica è quella di poter stipulare contratti collettivi efficaci neiconfronti di tutti i lavoratori appartenenti alla categoria. I costi-tuenti hanno in mente un solo modello di contratto collettivo, nondissimile da quello corporativo (si propone anche di scrivere che « ilcontratto collettivo di lavoro ha efficacia di legge »). La quadraturadel cerchio consiste, allora, nell’adattare un modello potenzial-mente autoritario al nuovo sistema democratico dei rapporti dilavoro, in modo tale da imporre ai tanti datori di lavoro « egoisti »,che nella natura non cogente del contratto collettivo trovano unascusa per non applicarlo, l’obbligo di « rispettare i contratti come leleggi sociali ». Soluzione anche qui facilitata dalla presenza di ungrande sindacato unitario.

(97) Sul dibattito alla Costituente, LAZZERONI, Libertà sindacale e contrattazione col-lettiva: una norma impegnativa, in GAETA (a cura di), Prima di tutto, cit., 229 ss.

(98) TARELLO, Teorie e ideologie nel diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo laCostituzione, Milano, 1967, 20.

(99) I socialisti Michele Giua ed Emilio Canevari (uno dei firmatari del “patto diRoma” del 1944): LAZZERONI, Libertà sindacale, cit., 242.

(100) PROSPERETTI, Verso i nuovi contratti collettivi, in Dir. lav., 1947, I, 51.

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Tra l’opzione che ammette alle trattative il sindacato col maggiornumero di iscritti tra i lavoratori interessati e quella che ammette tuttii sindacati, in proporzione al numerodegli iscritti, prevale ampiamentelaseconda:unasoluzionechegiàallora ingeneranonpochidubbitecnicisu questa nuova entità del sindacato “di coordinamento”.

Qui, probabilmente, il costituente non è lungimirante, imma-ginando, a torto, che i sindacati accetteranno il compromesso dellaregistrazione, del conferimento della personalità giuridica o dell’in-tervento della legge, pur di stipulare ibridi contratti collettivi conefficacia generalizzata. Mai i costituenti pensano a una contratta-zione collettiva privatistica, con efficacia limitata ai soli iscritti,quanto meno come ipotesi residuale, né al fatto che il contrattocollettivo possa originare anche solo dalla capacità di imposizionedel sindacato alla controparte (101).

L’art. 39, con le sue forti incrostazioni corporative, dà vita a unvero « pasticciaccio » (102), che provocherà un’ulteriore divarica-zione — ora più ora meno pronunciata — tra concezione privatisticae pubblicistica dell’attività sindacale (103). Ma i giuslavoristi, per ilmomento, non attendono altro che un nuovo ordinamento sindacalesu cui iniziare a lavorare. Prima ancora che in Parlamento, i progettidi legge attuativi vengono presentati sulle riviste: Francesco San-toro Passarelli è tra i “primi firmatari” di uno « schema per la di-sciplina dei sindacati e dei contratti collettivi » (104). Ma presto dal-l’entusiasmosipassaalladelusione:dimezzo c’èundirompenteQua-rantotto, che in pochissimo tempo fa franare lo sfondo politico esindacale alla base del nuovo ordinamento. Inizia una nuova storia,che vede ancora una volta la dottrina protagonista principale.

16. Il contratto collettivo “di diritto comune” nella “glossa ordinaria”di Santoro Passarelli.

Parte subito l’anestetizzazione della Carta fondamentale, an-

(101) LAZZERONI, Libertà sindacale, cit., 234 s.(102) Rispettivamente, MANCINI, Libertà sindacale e contratto collettivo erga omnes, in

Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 570 ss.; ID., Costituzione e movimento operaio, Bologna, 1976,170.

(103) LIEBMAN, Contributo allo studio della contrattazione collettiva nell’ordinamentogiuridico italiano, Milano, 1986, 81.

(104) In Dir. lav., 1949, I, 3 ss.

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che se l’art. 39 si rivela forse la più costituzionale delle inattuazionidella Costituzione (105). In ogni caso, questa circostanza inizia daallora a costituire il connotato stesso della materia, creando unlimite invalicabile: finché non interviene una legge attuativa, la viaper sperimentare altre soluzioni resta irrimediabilmente bloccata;“non avrai altro contratto collettivo al di fuori di me”, sembratuonare la norma.

Il vuoto normativo viene quasi naturalmente occupato dallestrutture giuridiche di sempre, il “vecchio” diritto privato. Ilterreno è fertile per seminare una nuova teoria generale di grandeportata e impatto. E infatti, la materia viene subito “occupata” daun grande privatista, Francesco Santoro Passarelli, che la rifondaalla radice. La sua opera (106), una sorta di manifesto del nuovoassetto liberista del Paese (è stato icasticamente detto, una sua« glossa ordinaria » (107)), condiziona profondamente gli orienta-menti teorici e ideologici del nostro giuslavorismo (e non solo). Lasistematica e il metodo pandettistici danno vita a una rappresen-tazione svolta esclusivamente tramite le categorie civilistiche del-l’autonomia collettiva e individuale (anche se il prezzo di questelimpide geometrie ordinanti rischia di essere piuttosto salato, cioèla minimizzazione della normativa lavoristica costituzionale).

La “scelta di campo” dei giuslavoristi si celebra simbolica-mente nel 1954 in un congresso a Taormina (108). Tra l’opzionepubblicistica, patrocinata da Mortati, che intende risistemare lamateria alla luce della fonte costituzionale e teorizza la funzionepubblica del sindacato, e quella privatistica, caldeggiata da San-toro Passarelli, che vuole il ritorno alle origini e vede nella pubbli-cizzazione un pericoloso retaggio del passato regime (109), s’im-pone di gran lunga la seconda. Il “modello costituzionale” del

(105) ROMAGNOLI, Diritto sindacale (storia del), in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino,1989, 655.

(106) In particolare, SANTORO PASSARELLI, Istituzioni di diritto civile, Napoli, 1944, poiDottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, giunte nel 1966 alla 9ª edizione, ristampatanel 2012; ID., Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1945, giunte nel 1995 alla 35ª edizione; ID.,Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero, in Riv. it. sc. giur., 1949, 138 ss.

(107) CIANFEROTTI, 1914. Le Università italiane e la Germania, Bologna, 2016, 177.(108) CAZZETTA, L’autonomia, cit., 617 ss.(109) MORTATI, Il lavoro nella Costituzione, in Dir. lav., 1954, I, 149 ss.; per l’altra

relazione, rimasta inedita, ci si può riferire a SANTORO PASSARELLI, Spirito del diritto del lavoro,in Dir. lav., 1948, I, 273.

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diritto del lavoro (110) non sfonda e da allora i privatisti dominanoincontrastati (111). Nel suo manuale, Santoro Passarelli potràscrivere che « alle norme regolanti direttamente il rapporto dilavoro la Costituzione non apporta sostanziali innovazioni » (112):il che è come dire, carneluttianamente, che « di massima, non cisono cose nuove da dire ».

Anche il contratto collettivo è, quindi, riportato alla “ragionecomune”. Santoro Passarelli, che nega al contratto collettivo “vir-tuale” dell’art. 39 la natura di fonte del diritto (113), a maggiorragione la nega ai contratti collettivi liberi, per i quali rispolvera ladefinizione di contratti « di diritto comune » (114) (utilizzata giàdurante il fascismo per identificare quelli del periodo libe-rale (115)). La sua ricostruzione dell’« autonomia privata collet-tiva » coniuga magistralmente i due poli: l’interesse collettivo delgruppo costituisce sintesi, e non somma, degli interessi individuali,destinati a soccombere di fronte ad esso (116). Così che, ricapito-lando gli esiti della sua teoria proprio riguardo al tema dell’efficaciadel contratto collettivo come legge di tutti gli appartenenti a ungruppo, Santoro Passarelli conclude che in tal modo il fenomenogiuridico « viene quasi ad assumere una terza dimensione » (117).

Ora, il primato della legge sul contratto collettivo viene affer-mato non in base alle norme sulla gerarchia tra le fonti, masemplicemente applicando le regole generali sul rapporto tra leggee atti di autonomia privata, secondo le quali la legge prevale sulleprevisioni difformi della contrattazione collettiva, rendendolenulle e sostituendole automaticamente (artt. 1339 e 1419, co. 2,

(110) COSTA, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, in BA-LANDI, CAZZETTA (a cura di), Diritti e lavoro nell’Italia repubblicana, Milano, 2009, 28.

(111) ROMAGNOLI, La Costituzione delegittimata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 829.(112) SANTORO PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1969, 15.(113) SANTORO PASSARELLI, Esperienze e prospettive giuridiche dei rapporti fra i sinda-

cati e lo Stato, in Riv. dir. lav., 1956, I, 1 ss.(114) SANTORO PASSARELLI, Derogabilità dei contratti collettivi di diritto comune, in Dir.

giur., 1950, 299 ss. (il titolo cambia in Inderogabilità dei contratti collettivi di diritto comune,in ID., Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, 217).

(115) NOGLER, Il contratto collettivo. La funzione normativa, Torino, 2007, 282.(116) SANTORO PASSARELLI, Autonomia collettiva, cit.; ID., Norme corporative, autono-

mia collettiva, autonomia individuale, in Dir. econ., 1958, 1187.(117) SANTORO PASSARELLI, Lineamenti attuali del diritto del lavoro in Italia, in Riv. dir.

lav., 1953, I, 3.

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c.c.). Perciò, alla fine, la logica della gerarchia delle fonti, espulsadalla porta, riaffiora dalla finestra (118).

Negli anni Cinquanta, le dottrine privatistiche — che hanno ilmerito innegabile di superare definitivamente il modello corpora-tivo, garantendo comunque la volontarietà del nuovo sistema (119)— influenzano molto i giudici. Anzi, sul versante dei rapporti tracontratto collettivo e contratto individuale, questi col tempo ac-creditano al primo una forza che va ben al di là del mero atto diautonomia privata: innanzitutto, con una criticata opera-zione (120), gli applicano l’art. 2077 c.c., parificandolo in sostanzaal contratto collettivo corporativo e ritenendolo quindi una fontedi integrazione degli effetti del contratto individuale, prevalentesulle sue determinazioni difformi (121) (attirandosi gli strali diSantoro Passarelli, che giunge allo stesso risultato ragionando peròprivatisticamente in termini di mandato rappresentativo (122)); igiudici, poi, applicano autonomamente i minimi salariali dellacontrattazione collettiva anche ultra partes, quando il trattamentodel contratto individuale non realizzi la retribuzione proporzionatae sufficiente dell’art. 36 Cost. (123), e utilizzano altri espedienti perestendere la portata soggettiva del contratto collettivo (124);creano in definitiva un microsistema molto anglosassone, nel qualeil contratto collettivo acquisisce “di fatto” il ruolo di fonte.

Questo sistema, nel quale lo Stato rinuncia alla regolamenta-zione del contratto collettivo, sicuro che il controllo sui conflittisarà garantito dal sistema politico e dai giudici, regge per tutti glianni Cinquanta, anche perché « l’interscambio legge-contratta-zione si svolge comunque su poste modeste »: la legge si occupasostanzialmente di fasce perimetrali del lavoro dipendente, lacontrattazione si occupa di fissare minimi salariali e norma-tivi (125). E si tiene in piedi anche grazie a una tacita definizione

(118) VARDARO, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, Napoli, 1984, 102.(119) CARABELLI, Libertà e immunità del sindacato, Napoli, 1986, 33 ss.(120) Per tutti, MAZZONI, Certezza del diritto e autonomia privata nell’odierno diritto del

lavoro, in Dir. econ., 1956, 1223 ss.(121) Cass. 12 maggio 1951, n. 1184, in Foro it., 1951, I, 691.(122) SANTORO PASSARELLI, Autonomia collettiva, cit., 138 ss.(123) SCOGNAMIGLIO, Sull’applicazione dell’art. 36 Cost. in tema di retribuzione del

lavoratore, in Foro civ., 1951, 352.(124) RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Torino, 1986, 57 ss.(125) MARIUCCI, La contrattazione collettiva, cit., 306 s.

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di competenze tra le due “fonti”, che vuole l’autonomia collettivatitolare di una sorta di “riserva assoluta” nella regolazione delrapporto di lavoro.

Una struttura così delicata, le cui ambiguità non sono irrile-vanti (126), mostra segni di cedimento proprio alla fine del decen-nio. Davanti alle esigenze di un sistema moderno di relazioni dilavoro, la soluzione privatistica, dove il limitato ambito di efficaciasoggettiva e oggettiva del contratto collettivo trova l’unico corret-tivo di faticose operazioni giurisprudenziali, appare sempre menoadeguata.

La dottrina lavoristica, però, è stranamente silenziosa e ac-quiescente, forse soggiogata dalla personalità di Santoro Passa-relli (127). Nei quindici anni successivi alla Liberazione — notaGiuseppe Pera — « gli studi relativi ai vari e ardui problemi deldiritto sindacale nella ritrovata democrazia non hanno avuto, nelcomplesso, quello svolgimento e quell’approfondimento che sa-rebbe stato necessario » (128).

17. Le omogeneizzanti continuità degli anni Cinquanta.

I giudici, quindi, accreditano una sorta di continuità tra con-tratto corporativo e contratto privatistico, sia applicando a que-st’ultimo l’art. 2077, sia ritenendogli trasferiti automaticamentetutti i riferimenti che le leggi, in primis il codice civile, fanno al« contratto collettivo ». L’opzione della decontestualizzazione edell’omogeneizzazione del contratto collettivo è fondata sull’atti-tudine a regolare le condizioni di lavoro, che è ritenuta esatta-mente la stessa nei due tipi di contratto collettivo, differentisoltanto per il diverso ambito soggettivo di applicazione (129).

Allo stesso modo sembra comportarsi il legislatore degli anniCinquanta, che opera numerosi rinvii al contratto collettivo, quasipensando di avere davanti una fonte sottordinata alla legge, ma

(126) TARELLO, Teorie e ideologie, cit., 14 ss.(127) Sul tema, GIUGNI, Il diritto sindacale e i suoi interlocutori, in Riv. trim. dir. proc.

civ., 1970, 369 ss.(128) PERA, Problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, 1960, 16.(129) RIVA SANSEVERINO, Artt. 2060-2134, in SCIALOJA, BRANCA (dir. da), Commentario

del codice civile, Bologna-Roma, 1964.

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comunque applicabile in via generale (130) e che finisce con l’ac-quisire efficacia erga omnes nel momento in cui diventa parte dellanorma che lo richiama. Basi sulle quali alcuni studiosi fonderannoricostruzioni del contratto collettivo come contratto “nominato” ocontratto “tipico” (131).

La neoistituita Corte costituzionale interviene su una di questeleggi, quella che impone di applicare all’apprendista il contrattocollettivo, in particolare le sue tariffe retributive (art. 11 c, l. 19gennaio 1955, n. 25), affermando che essa non attribuisce surret-tiziamente al contratto un’impropria efficacia erga omnes, ma gliassegna la rilevanza di un fatto il cui verificarsi integra e perfezional’efficacia del precetto legale (132). Nasce uno schema di ragiona-mento che si diffonde presto, « fino a diventare uno dei pilastri chehanno sostenuto il peso dei rapporti di cooperazione funzionale tralegge e contratto collettivo », contribuendo a « coonestare la fun-zione para-legislativa del contratto post-corporativo » (133).

Inizia, poi, un leggero attrito tra legge e contratto collettivo aproposito della possibilità per il sindacato di rivedere anche insenso peggiorativo una determinata disciplina, in cambio di con-cessioni da parte datoriale su altri piani ritenuti in quel momentopiù importanti. Per ora, l’ammissibilità di queste deroghe riguardaistituti di importanza secondaria (134). Col tempo, il problemadegenererà.

18. Il contratto collettivo “ricopiato” del 1959.

Negli anni Cinquanta si continuano a presentare progetti dilegge sul contratto collettivo. Quello del 1951 del ministro dellavoro, Leopoldo Rubinacci (135), è però l’ultimo del governo; il

(130) ASSANTI, Rilevanza e tipicità del contratto collettivo, Milano, 1967, 97.(131) Rispettivamente, BALLETTI, Contributo alla teoria dell’autonomia sindacale, Mi-

lano, 1963, 346 ss.; GRASSELLI, Contributo alla teoria del contratto collettivo, Padova, 1974, 29ss.

(132) C. cost. 26 gennaio 1957, n. 10, su cui SUPPIEJ, Pluralismo dei contratti collettivie significato di un rinvio legislativo, in Riv. dir. lav., 1957, II, 215 ss.

(133) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, cit., 236.(134) DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, 1976, 119

ss.(135) Camera, n. 2380/1951, in Riv. giur. lav., 1952, I, 62 ss.

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vincolismo delle sue previsioni provoca la reazione compatta di unsindacato allora diviso quasi su tutto. Da quel momento in avanti,e per lungo tempo, disegni attuativi verranno presentati dai partitidi destra, più per dovere rituale che per reale convinzione: si èormai capito che per tanti motivi, storici e contingenti (136), lanorma costituzionale è destinata a un lungo sonno (anche unaproposta del Cnel del 1960 (137) cadrà nel vuoto). Si cercano,allora, vie alternative per garantire ai contratti collettivi l’efficaciaerga omnes. Vi tendono due proposte del 1953: una di Di Vittorio,che prevede l’estensione a tutti i lavoratori dei contratti collettivisottoscritti fino a quel momento dalle grandi confederazioni; l’altradal leader della Cisl, Giulio Pastore, che prevede l’attribuzione diefficacia generale ai contratti collettivi presentati da un sindacatonazionale, sentito il parere di una costituenda commissione (138).

Alla fine, passa il sistema studiato dal ministro del lavoro EzioVigorelli, che affida a decreti legislativi il compito di “ricopiare” iltesto dei contratti collettivi, trasformandoli così in norme di legge.La l. 14 luglio 1959, n. 741, patrocinata dai sindacati, consente dinon incrinare uno status quo tutto sommato tranquillizzante (139),e viene salvata dalla Corte costituzionale perché « transitoria edeccezionale », a differenza di quella analoga dell’anno successivo (l.1 ottobre 1960, n. 1027): l’unica via per l’erga omnes rimane quellaindicata dall’art. 39 (140).

Il « diritto sindacale transitorio » (141) della l. n. 741/1959desta più di un problema, quanto alla natura del contratto collet-tivo trasfuso in decreto legislativo: le sue disposizioni, infatti, nonpossono « essere in contrasto con norme imperative di legge » (art.5), mentre sono derogabili in melius per il lavoratore da parte delcontratto collettivo di diritto comune e del contratto individuale(art. 7). C’è chi riconosce ai contratti “ricopiati” piena natura di

(136) Per tutti, RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 6 ss.(137) In Foro it., 1961, IV, 154 ss.(138) Rispettivamente, Camera, nn. 21 e 23/1953.(139) PROIA, GAMBACCIANI, Il contratto collettivo di diritto comune, in PROIA (a cura di),

Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, Padova, 2014.(140) C. cost. 19 dicembre 1962, n. 106, su cui, per tutti, GHERA, Note sulla legittimità

della disciplina legislativa per la estensione dei contratti collettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ.,1963, 1177 ss.

(141) CARULLO, Diritto sindacale transitorio, Milano, 1960.

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atto legislativo e chi gliela nega completamente (142), passandoattraverso tante posizioni intermedie (143), con evidenti conse-guenze: conflitti con la legge, applicabilità dei canoni ermeneutici,ricorribilità in Cassazione, proponibilità di eccezioni di incostitu-zionalità (144). Resta, però, forte il dubbio che la norma comportiuna semplice estensione dell’ambito soggettivo di regole che re-stano contrattuali. Per citare Carnelutti al contrario, qualcosa cheha il corpo della legge ma l’anima del contratto!

19. The times they are a-changin’: il nuovo rapporto tra legge econtratto collettivo negli anni Sessanta.

I Sessanta sono gli anni del cambiamento: Bob Dylan incita lagente a nuotare se non vuole affondare come un sasso, perchél’acqua dei tempi nuovi sta inondando tutto. Nel nostro campo, unsalvagente lo butta nel 1960 Gino Giugni con la sua teoria dell’or-dinamento intersindacale (145), ritenuto originario, autoprodut-tivo di regole pragmatiche, talvolta confliggenti con quelle dell’or-dinamento statale — con cui convive e dal quale non ha bisogno dilegittimazioni —, ma dotate di efficacia tanto più vincolantequanto maggiore è l’autolegittimazione degli attori e la loro forzaall’interno del sistema. La ricostruzione, tributaria della lezione diSantoro Passarelli quanto al rifiuto di ogni interferenza pubblici-stica (146), rielaborando l’esperienza pluralista anglosassone delleindustrial relations e le teorie dei giuslavoristi weimariani, crea unordinamento autonomo e pluralista, nel quale il contratto collet-tivo, la cui forza è fondata sulla rappresentatività degli agenticontrattuali, non si scontra con la legge; siamo, peraltro, in unmomento nel quale il sindacato rappresenta lavoratori sostanzial-mente omogenei e le relazioni industriali stanno evolvendo verso

(142) Rispettivamente, PERSIANI, Natura ed interpretazione delle norme delegate suiminimi di trattamento ai lavoratori, in Riv. dir. lav., 1963, I, 244; MAZZONI, Illegittimitàcostituzionale della nuova legge, in Dir. econ., 1959, 1244.

(143) Sul punto, RICCI M., Il contratto collettivo fonte e l’art. 39 Cost., in Il sistema dellefonti nel diritto del lavoro, Milano, 2002, 144 ss.

(144) Riassuntivamente, BORTONE, CURZIO, Il contratto collettivo, cit., 24 ss.(145) GIUGNI, Introduzione, cit.(146) RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 50.

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l’affermazione di un sistema sindacale “di fatto”, quasi indifferenterispetto al parallelo sistema giuridico statualistico e alle sue lacune.

Si è, poi, capito che il modello dell’art. 39 non si realizzerà: nellaprolusione con cui sale in cattedra a Bologna, Federico Mancini il-lustra i motivi tecnici e politici del diminuito interesse del sindacatonei confronti di un modello formalistico di contratto collettivo aefficacia generale (147); lo scritto ha un forte impatto tra i giusla-voristi: dopodi esso, nonostantequalche tentativodi recupero (148),« non sarà più in discussione il come dare attuazione ai tre ultimicommi dell’art. 39, bensì soltanto il come modificarli o sosti-tuirli » (149). Il sindacato, poi, sembra puntare molto sulla “nuovafrontiera” della contrattazione decentrata, che nel 1962 riceve unriconoscimento formale: Umberto Romagnoli ne fornisce una let-tura potenzialmente svincolata dal contratto nazionale (150).

Si avvia pertanto un generale processo di superamento dellagerarchia delle fonti, a favore di una ripartizione delle competenzetra legge e contratto collettivo, dove la legge detta principi generalia tutela di valori costituzionali o per raggiungere determinatiobiettivi di politica economica (151), “riconosce” il contratto col-lettivo relativamente a singoli provvedimenti dei quali è chiamatoa integrare i contenuti, non invade lo spazio affidato per la disci-plina dei contratti di lavoro a un contratto collettivo sempre più“normativo”, in grado di rendere invalide le clausole difformi delcontratto individuale.

In verità, la tesi della “riserva di contratto collettivo” suicontenuti del rapporto di lavoro viene negata proprio agli inizidegli anni Sessanta dalla Corte costituzionale (152). Ma la riparti-zione delle competenze è nell’ordine naturale delle cose; è — comemolto in quel periodo — anch’essa “di fatto”.

20. La versione “neoclassica” del principio del favor.

Sempre a proposito di “regolamentazione dei confini” tra legge

(147) MANCINI, Libertà sindacale, cit., 593.(148) PERA, Problemi costituzionali, cit.(149) ICHINO, I primi due decenni, cit., 46 s.(150) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo di impresa, Milano, 1963.(151) C. cost. 14 dicembre 1965, n. 88 e 22 maggio 1968, n. 60.(152) La già citata C. cost. 19 dicembre 1962, n. 106.

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e contratto collettivo, a metà degli anni Sessanta si assiste allaripresa teorica di un tradizionale criterio guida, il favor nei con-fronti del lavoratore. Fondato sulla ricordata norma del 1924(relativa peraltro al rapporto tra legge e autonomia individuale),trascurato dal fascismo, che lo riserva ai soli rapporti tra contrattocollettivo e individuale, ma praticato dalla giurisprudenza conl’obiettivo di ammorbidire le rigidità di un sistema fondato sullagerarchia tra legge e contratto collettivo, lo si vuole vedere orarinvigorito dallo spirito complessivo della Costituzione.

Nella ricostruzione di Aldo Cessari, la rigida primazia delladisciplina legale rispetto a quella collettiva e di entrambe rispettoa quella individuale è attenuata, fino a essere sostituita, dal prin-cipio del favor, chiamato a dirimere ogni conflitto (153). L’indero-gabilità in pejus rispetto ai contratti individuali deriva dall’atto diadesione del singolo al sindacato, implicante l’accettazione delpotere di questo di dettare regole nella propria sfera di inte-ressi (154).

Valente Simi non mette in discussione il principio gerarchico,ma vede il favor operativo sul piano “fattuale” dei rapporti tralegge e autonomia collettiva. La legge conserva il suo carattere diimperatività e inderogabilità nel garantire il « minimo protettivo »,grazie alla sostituzione delle difformi previsioni dell’autonomiaprivata, collettiva e individuale, ma « soltanto quando l’atto diautonomia non sia conforme ai fini che l’ordinamento giuridicointende raggiungere » (155).

Queste dottrine supportano una ricostruzione classica del rap-porto tra legge e contratto collettivo, incentrata sul delicato equi-librio tra rispetto del principio formale di gerarchia e contempera-mento col principio funzionale del favor, dove la fonte primariapone le condizioni minimali inderogabili di disciplina del rapportodi lavoro, mentre la fonte contrattuale può liberamente muoversinegli spazi non occupati dalla prima, integrandola e migliorandola,purché in modo più favorevole al lavoratore. È il modello che tra

(153) CESSARI, Il favor verso il prestatore di lavoro subordinato, Milano, 1966.(154) Oltre a quest’ultimo, anche CATAUDELLA, Adesione al sindacato e prevalenza del

contratto collettivo sul contratto individuale di lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, 544 ss.(155) SIMI, Il favore dell’ordinamento giuridico per i lavoratori, Milano, 1967, 96.

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poco entrerà in crisi profonda (156), trascinandosi dietro anchel’idea della sussistenza di un generale principio di favore neirapporti tra legge e autonomia collettiva (157).

Un altro importante orientamento di quegli anni — quello diCecilia Assanti — si muove su una parallela linea di supporto alruolo del contratto collettivo, avallando la giurisprudenza sullaperdurante operatività dell’art. 2077 c.c., che si ritiene del tuttoespungibile dall’apparato predisposto per il contratto collettivocorporativo, rispetto al quale quello di diritto comune costitui-rebbe l’altro tipo « di una specie essenzialmente unitaria » (158).

21. La legge del 1966 sui licenziamenti: un contratto collettivo inmaschera?

Un dibattito presto dimenticato si sviluppa e muore in brevis-simo tempo quando la l. 15 luglio 1966, n. 604, sui licenziamentiindividuali, viene accusata di aver recepito il contenuto di unaccordo interconfederale del 1965, conferendogli efficacia generale.Si afferma, infatti, che la legge, ricopiando alla lettera l’accordo —anche nelle imprecisioni terminologiche —, aggirerebbe l’art. 39,che, come dimostrato dalla vicenda della “legge Vigorelli”, prevedel’unico modo legittimo di conferimento dell’efficacia generale a uncontratto collettivo; né la soluzione rivestirebbe quei requisiti diprovvisorietà ed eccezionalità a suo tempo ritenuti uniche giusti-ficazioni di una deviazione dal modello costituzionale (159).

Si replica seccamente rilevando l’opportunità di un interventodel legislatore che, innestandosi sulla strada tracciata dalla con-trattazione collettiva, determini i modi in cui questa può svolgersicon maggiore efficienza, consolidando in legge quanto acquisitocon un ampio consenso contrattuale (160). E la storia finisce lì.

(156) VARDARO, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, in Lav. dir.,1987, 229 ss.

(157) Per tutti, RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 82 ss.(158) ASSANTI, Rilevanza e tipicità, cit., 73.(159) Per tutti, SERMONTI, La legge sui licenziamenti individuali (una miniera di

controversie), in Dir. lav., 1966, I, 343.(160) GIUGNI, Iniziativa legislativa ed esperienza sindacale in tema di licenziamento, in

Riv. giur. lav., 1966, I, 123 ss.

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22. La “breve vita felice” del garantismo e del sostegno.

L’Aidlass dedica il suo congresso nazionale del 1967 a unariflessione complessiva sul contratto collettivo, sulla scorta di unarelazione di Gino Giugni (161). I tempi non potrebbero essere piùpropizi, perché il diritto sindacale sta cambiando vorticosamente.Il contratto collettivo sta allargando notevolmente l’ambito dellesue funzioni, all’interno di un sistema fondato sempre più solida-mente su basi fattuali; quindi, anche su una non vincolatività dellivello contrattuale superiore su quello inferiore, in un momentonel quale i fermenti “dal basso” stanno mettendo in crisi gli assetticonsolidati dell’organizzazione sindacale e dei modelli di contrat-tazione (162).

Per uno di quei paradossi a cui la storia ci ha abituati, proprioGiugni, teorico dell’astensionismo legislativo, svolge un ruolochiave nella stesura della l. 20 maggio 1970, n. 300, lo statuto deilavoratori, la carta costituzionale del lavoro attesa da più divent’anni.

Molto dice lo statuto nella materia dei rapporti collettivi. Èuna forte eccezione alla regola, fino a quel momento dominante, diun sindacato poco desideroso di assoggettarsi a discipline legisla-tive, timoroso di interventi oppressivi e geloso delle proprie prero-gative e della sua capacità di dettare regole autonome; ora, invece,il sindacato si fida di un legislatore “amico” e accetta di farsiconfezionare una normativa su misura. È l’incontro tra ordina-mento statale e ordinamento intersindacale (163), dove anzi ilprimo “sostiene” il secondo.

Ma molto è anche il « non detto » dello statuto (164), tra cui c’èil tema del contratto collettivo, sul quale si preferisce non inter-venire, lasciando intatta l’autonomia dell’ambito legislativo e diquello contrattuale, durante « i migliori anni » di un ordinamento

(161) GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in Atti del IIIcongresso nazionale di diritto del lavoro, Milano, 1968, 11 ss.

(162) ROMAGNOLI, Sviluppi recenti della contrattazione aziendale: i delegati, in Riv. trim.dir. proc. civ., 1970, 624 ss.

(163) GHERA, L’applicazione dello Statuto dei lavoratori nella prospettiva dell’ordina-mento intersindacale, in L’applicazione dello Statuto dei lavoratori: tendenze e orientamenti,Milano, 1973, 232 ss.

(164) D’ANTONA, Diritti sindacali e diritti del sindacato: il titolo II dello Statuto deilavoratori rivisitato, in Lav. dir., 1990, 247.

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sindacale di fatto che riesce da solo a superare le rigidità relativeall’efficacia soggettiva e oggettiva delle disposizioni dell’autono-mia collettiva.

Innanzitutto, la nuova nozione del sindacato « maggiormenterappresentativo » (art. 19) funge — e lo farà ancor di più negli annisuccessivi — a selezionare una tipologia di soggetti sindacali,creando così « un asse [...] intorno al quale far ruotare tutta quantala contrattazione » (165). Poi, tra le norme di sostegno che lostatuto appresta al sindacato, c’è l’importante obbligo, per gliimprenditori che godono di benefici pubblici o eseguono appaltirelativi a opere pubbliche, di applicare « condizioni non inferiori » aquelle dei contratti collettivi della categoria e della zona (art. 36).L’obbligo, in verità, grava sostanzialmente sulla pubblica ammi-nistrazione, mentre l’imprenditore è tenuto non al rispetto deicontratti collettivi ma a un trattamento dei dipendenti non infe-riore a quello da essi previsto; i contratti collettivi, perciò — comenelle operazioni giurisprudenziali di determinazione della retribu-zione —, vengono riguardati come semplice punto di riferimento;non c’è estensione formale erga omnes, quindi l’art. 39 è salvo (166).Infine, l’art. 40, co. 2, che fa « salve le condizioni dei contratticollettivi e degli accordi sindacali più favorevoli ai lavoratori », nonfa che ribadire un principio tradizionale.

Lo statuto, quindi, legge il contratto collettivo come fulcrodegli assetti normativi del rapporto di lavoro. Lo testimonianoanche i suoi rinvii, tra cui quello che lascia arbitra la contratta-zione collettiva circa l’eventualità di ulteriori discipline (art. 20, co.4, sull’assemblea) o quello che vincola a un controllo negozialel’adozione di determinate misure (artt. 4, co. 2, e 6, co. 3, sugliimpianti audiovisivi e sulle visite personali di controllo) (167).

L’art.35,co.3,poi,demandandoallacontrattazionecollettival’ap-plicazione di alcune garanzie statutarie al lavoro nautico, dà adito allaconclusione, avallatadalla giurisprudenza, chequesto tipodi contrattocollettivo, per le peculiarità “pubblicistiche” del settore, non possa che

(165) RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 103.(166) MANCINI, Art. 36, in GHEZZI, MANCINI, MONTUSCHI, ROMAGNOLI, Statuto dei diritti dei

lavoratori, Bologna-Roma, 1972, 543 ss.(167) MARIUCCI, La contrattazione collettiva, cit., 65.

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rivestire efficacia generale (168) (dopo altri rinvii normativi, si arriveràa ritenere che nel lavoro marittimo il contratto collettivo assurge ad-dirittura al rango di fonte primaria del diritto (169)).

Poco dopo, la l. 11 agosto 1973, n. 533, sul processo del lavoro,intervenendoa rafforzare le tutele che sivannocostruendonegli annidel garantismo, riscrive l’art. 2113 c.c., che ora sanziona con l’an-nullabilità rinunce e transazioni aventi ad oggetto disposizioni in-derogabili della legge e « dei contratti o accordi collettivi ». Permolti,si tratta di un passo fondamentale, la norma che si aspettava perconferire formalmente al contratto collettivo la caratteristica del-l’inderogabilità: dopo di essa — si dice —, le clausole del contrattocollettivo dichiarate non derogabili dalle parti concorrono a deter-minare la disciplina dei contratti individuali a prescindere dalla vo-lontà dei contraenti, « alla stregua analoga a quella delle norme im-perative di legge » (170). Per altri, la novella è importante dal puntodi vista pratico,manonneva sopravvalutata la portata attribuendoal contratto collettivo di diritto comune la medesima inderogabilitàdel contratto collettivo corporativo (171).

Sempre la legge sul processo del lavoro novella anche l’art. 808c.p.c., sulle sentenze arbitrali, il cui co. 3 ora dispone che esse sonoimpugnabili « anche per violazione e falsa applicazione dei con-tratti e accordi collettivi ». Perciò, si comincia a sostenere chel’affermata inderogabilità delle disposizioni dei contratti collettivie la loro equiparazione alla legge come causa di nullità del lodoarbitrale sono argomenti robusti per poter ritenere il contrattocollettivo una fonte del diritto (172).

23. Le nuove teorie civilistiche dei primi anni Settanta.

Gli anni Sessanta vedono quindi vacillare la teoria classica dei

(168) Cass. 11 febbraio 1989, n. 847, in Dir. maritt., 1990, 1003; sul tema, ENRICO

LUCIFREDI, Rinvio legale alla contrattazione collettiva ed efficacia soggettiva nel lavoro nautico,in Mass. giur. lav., 1989, 153 ss.

(169) LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE, TULLIO, Manuale di diritto della navigazione,Milano, 2011, 345.

(170) MENGONI, Il contratto collettivo, cit., 271.(171) Per tutti, RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 86 ss.(172) RUNGGALDIER, Osservazioni sull’inderogabilità delle disposizioni dei contratti col-

lettivi di cui all’art. 2113 cod. civ., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 290 ss.

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rapporti tra legge e autonomia collettiva, così come vedono attac-cate le basi civilistiche della ricostruzione del contratto collettivo,che ne costituiscono il presupposto (173).

Agli inizi degli anni Settanta, però, l’impostazione tradizionaleviene messa in discussione anche da studiosi insoddisfatti della pro-spettiva ordinamentale, ma comunque fedeli a una visione del con-tratto collettivo come norma di autonomia privata. Fulcro di questetesi è la rilettura delle strutture civilistiche alla luce del dettato costi-tuzionale, messo decisamente tra parentesi da Santoro Passarelli: unalinea segnata dagli studi del costituzionalista Carlo Esposito (174).

Per Mattia Persiani, al centro del sistema sta l’autonomiaprivata collettiva, che sintetizza diritti e poteri propri delle orga-nizzazioni, giuridicamente distinti da quelli dei singoli individui.L’ordinamento riconosce all’autonomia collettiva, quando siestrinseca come modalità qualificata di disposizione degli interessiindividuali, una tutela particolare, che la fa prevalere sugli attidispositivi individuali, anche in conformità al quadro disegnatodalla Costituzione. Perciò, l’« autorità » dei gruppi rileva — tantoda prevalere sull’autonomia individuale — in quanto coincide conle valutazioni dell’ordinamento statuale (175).

Renato Scognamiglio, invece, recupera tutto l’art. 39 per leg-gervi il riconoscimento « della competenza delle associazioni di ca-tegoria a regolare, attraverso atti giuridicamente rilevanti, gli in-teressi collettivi dei lavoratori ». Il sistema costituzionale, quindi,crea un’area sottratta al potere di disposizione dell’autonomia in-dividuale, espressione di interessi altrettanto individuali (176).

24. La crisi e la svolta del 1977: l’inizio della fine dell’inderogabilitàunilaterale.

L’aria della crisi di metà anni Settanta spira anche sul con-

(173) Per tutti, GHEZZI, Osservazioni sul metodo dell’indagine giuridica nel dirittosindacale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 406 ss.

(174) ESPOSITO, Lo Stato e i sindacati nella Costituzione italiana, in ID., La Costituzioneitaliana. Saggi, Padova, 1954, 154 ss.; sulla sua scia, GRANDI, Considerazioni introduttive sulcontratto collettivo, in Annuario del centro studi Cisl. I (1961-1962), Firenze, 1963, 259 ss.

(175) PERSIANI, Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova, 1972.(176) SCOGNAMIGLIO, Autonomia sindacale ed efficacia del contratto collettivo di lavoro, in

Riv. dir. civ., 1971, I, 160.

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tratto collettivo, indebolendo alla radice un sistema in cui esso hala precipua funzione “accrescitiva” di standard sempre più elevati.Un legislatore bulimico e sovraccaricato scarica sulla contratta-zione collettiva una parte « spesso cospicua » delle sue fun-zioni (177). Iniziano in quel tempo, quindi, per poi diventare unavalanga, i casi in cui la legge rinvia al contratto collettivo funzionidi controllo e disciplina del mercato del lavoro: è la “deregola-zione” (178), che provoca un intreccio spesso aggrovigliato in unsistema di ripartizione delle competenze tutto sommato stabile finoa quel momento. La flessibilità, parola d’ordine del diritto dellavoro « dell’emergenza », si estende anche ai rapporti tra legge econtratto collettivo.

La l. 31 marzo 1977, n. 91, sull’indennità di contingenza, fissadei “tetti” alla contrattazione collettiva, inaugurando la stagionedell’inderogabilità in melius rispetto alla legge (179): le clausolecontrattuali difformi « sono nulle di diritto » (art. 4). È una « scon-volgente inversione di tendenza » del « corso storico » (180) deldiritto sindacale italiano. L’“inderogabilità bilaterale” sancitadalla norma suscita ovvie accuse di incostituzionalità (181), anchese essa — classico esempio di “legge contrattata” — recepisceproprio il contenuto di un accordo collettivo, il che escluderebbe diper sé la violazione dell’art. 39 (182); la Corte salva la legge,affermando che, fin quando la norma costituzionale non verràattuata, « non si può né si deve ipotizzare conflitto tra attivitànormativa dei sindacati e attività legislativa del Parla-mento » (183). Ma una simile compressione dell’autonomia collet-tiva da parte della legge pare giustificabile solo in ragione di uno

(177) VARDARO, Differenze di funzioni, cit., 259.(178) D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in Giorn. dir.

lav. rel. ind., 1991, 445 ss.(179) DELL’OLIO, Emergenza e costituzionalità (le sentenze sulla scala mobile e il

“dopo”), in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1981, 1 ss.(180) Rispettivamente, TOSI, La retribuzione tra autonomia collettiva e intervento

autoritativo, in Per una politica del lavoro, Roma, 1979, 73; GIUGNI, Parlamento e sindacati, inPol. dir., 1978, 365.

(181) Ampiamente, MARIUCCI, La contrattazione collettiva, cit., 328 ss.(182) GIUGNI, Contratti collettivi, cit., 171.(183) C. cost. 18 luglio 1980, nn. 141 e 142.

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stato di necessità o di un intento perequativo tra le diversecategorie dei lavoratori (184).

Dal punto di vista delle teorie, questo nuovo ruolo del contrattocollettivofinisce comunque—nelbene enelmale—per enfatizzarnela funzione regolativa. Alla fine del decennio, Gino Giugni ne pro-pone una definizione da voce di enciclopedia: « istituto con trattiirriducibili sia alle fonti come categorizzate dal diritto pubblico mo-derno, sia al contratto come definito dalle codificazioni » (185). Una« terza dimensione del diritto » anche per lui?

25. I primi anni Ottanta: i disagi della dottrina e le gestioni “alribasso”.

Il clima culturale lavoristico dei primi anni Ottanta rifletteovviamente i mutamenti intervenuti nel sistema di relazioni indu-striali, ma cerca di assimilarli in innovativi percorsi teorici. Dopoche Luigi Mengoni ha messo in discussione il meccanismo dellasostituzione automatica, ritenuto ormai inidoneo a gestire i rap-porti tra legge e contratto collettivo (186), l’approfondita ricerca diGiuseppe Ferraro spinge la valorizzazione del sindacato maggior-mente rappresentativo (l’allora unitaria “triplice”) fino a identifi-carvi l’interesse collettivo professionale, affermando così un’effica-cia tendenzialmente generale del contratto collettivo da esso con-cluso e una sostanziale fungibilità — con derogabilità reciproca,anche in pejus — tra legge e contratto collettivo (187). Questaricostruzione, insieme all’altra più storicistico-funzionalistica diGaetano Vardaro (188), esprime il forte disagio degli studiosi nelcontinuare a ricostruire il fenomeno sindacale all’interno del diritto

(184) DE LUCA TAMAJO, Leggi sul costo del lavoro e limiti all’autonomia collettiva, in DE

LUCA TAMAJO, VENTURA (a cura di), Il diritto del lavoro nell’emergenza, Napoli, 1979, 151 ss.(185) GIUGNI, Diritto del lavoro (voce per un’enciclopedia), in Giorn. dir. lav. rel. ind.,

1979, 41.(186) MENGONI, Legge e autonomia collettiva, in Mass. giur. lav., 1980, 692, poi in ID.,

Diritto e valori, cit., 287 ss.(187) FERRARO, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela,

Padova, 1981; ID., Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, inGiorn. dir. lav. rel. ind., 1986, 667 ss.

(188) VARDARO, Contratti collettivi e rapporto individuale di lavoro, Milano, 1985,preceduto da ID., Contrattazione collettiva e sistema giuridico, cit., tentativo (non felicissimo)di trapianto del funzionalismo di Niklas Luhmann all’interno delle teorie ordinamentali.

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comune, ignorando che nelle relazioni sociali ormai opera « unsoggetto collettivo che rappresenta interessi strutturalmente ete-rogenei rispetto a quelli individuali e che si muove per sua naturatra un atteggiamento di integrazione nel sistema e un atteggia-mento di autonomia regolamentare » (189).

Nel frattempo, mentre imperversa una giurisprudenza chedichiara la nullità di clausole del contratto collettivo sulla scorta diuna incauta idea dell’inderogabilità della norma legale (190), siallargano i casi in cui la legge espressamente autorizza la contrat-tazione collettiva « a ridurre in vario modo le tutele legali per ilavoratori subordinati » (191), non sempre in cambio di altri bene-fici. Ad esempio, la l. 9 dicembre 1977, n. 903, autorizza la con-trattazione collettiva a rimuovere il divieto di lavori pesanti e dilavoro notturno per le lavoratrici (artt. 1, co. 4, e 5, co. 2); l’art.2120, co. 2, c.c., novellato dalla l. 29 maggio 1982, n. 297, legittimala contrattazione collettiva a eliminare delle voci retributive daprendere come base per il computo del trattamento di fine rap-porto.

Ancora in quegli anni, si fa sempre più largo ricorso a un tipodi contrattazione definita “gestionale”, perché chiamata a gestirele procedure relative alle crisi, alle ristrutturazioni, alle riconver-sioni di impresa: tutt’altro che una contrattazione “al rialzo”. Ilmaggior problema giuridico di tali accordi (c’è anche chi dubita chesiano parificabili fino in fondo ai contratti collettivi (192)) attienealla loro vincolatività e, correlativamente, alla disponibilità sinda-cale dei diritti individuali; la vicenda più importante riguarda icontratti “di solidarietà” di cui alla l. 19 dicembre 1984, n. 863. Lagiurisprudenza finisce col dire che la riduzione di orario e diretribuzione opera erga omnes in virtù non di una efficacia generaledel contratto di solidarietà, ma del provvedimento di ammissione

(189) Questa l’“interpretazione autentica” di FERRARO, Gli anni ’80: la dottrinalavorista dalla marcia dei quarantamila a Maastricht, in ICHINO (a cura di), Il diritto del lavoronell’Italia repubblicana, cit., 189.

(190) Il giudizio è di MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit., 287.(191) CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in

Giorn. dir. lav. rel. ind., 2008, 361.(192) NATULLO, La contrattazione “gestionale”: distinzioni reali ed apparenti dal con-

tratto “normativo”, in SANTUCCI, ZOPPOLI L. (a cura di), Contratto collettivo e disciplina deirapporti di lavoro, Torino, 2004, 52 ss.

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all’integrazione salariale, rispetto al quale il contratto vale solocome presupposto (193).

26. La concertazione e il mutamento della funzione del contrattocollettivo.

Il “protocollo Scotti” del 1983 segna il punto d’inizio dell’etàdella concertazione. Ora, l’oggetto della negoziazione, talvoltafrutto di impopolari accordi, è trasfuso in norme di legge dal poterepubblico, che interviene non come terzo super partes, ma comeparte stessa dell’accordo. A più riprese, ormai, il contratto collet-tivo — quasi sempre nel quadro di una legislazione negoziata colgoverno — è abilitato a derogare in pejus a una norma di legge o,comunque, ad allentare alcune rigidità in un’ottica di « garantismocollettivo », assecondando processi di « spiccato decentramento odevoluzione delle fonti normative » (194).

La novità della prassi sconvolge, ancora una volta, le delicatedinamiche giuridiche dell’autonomia collettiva. La Corte costitu-zionale, esaminando la l. 12 giugno 1984, n. 219, che recepiscel’accordo (monco) “di san Valentino”, afferma disorientata che ilprotocollo non costituisce un contratto collettivo, ma qualcosa diassolutamente « anomalo » rispetto all’art. 39 (195). La sentenza« ha l’effetto di uno shock » (196) sulla cultura lavoristica, costrettaa costatare la divaricazione ormai insanabile tra la strada ipotiz-zata dalla Costituzione e quella della “costituzione materiale”. Nelmerito, la Corte dichiara legittimo il provvedimento (anche se su diesso non c’è più, come cinque anni prima, l’unanime consenso delleparti sociali), sostiene che la legge non può « cancellare o contrad-dire ad arbitrio » gli esiti contrattuali della libertà sindacale, maammette che possa comunque limitare specificamente l’autonomia

(193) PERA, La contrattazione collettiva per i contratti di solidarietà, in Giorn. dir. lav.rel. ind., 1984, 639 ss.; PESSI, Funzione e disciplina dei contratti di solidarietà, in Giorn. dir.lav. rel. ind., 1985, 93 ss.

(194) Rispettivamente, DE LUCA TAMAJO, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologiedella contrattazione collettiva, in Riv. it. dir. lav., 1985, I, 24 ss.; GIUGNI, Giuridificazione ederegolazione nel diritto del lavoro italiano, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, 331.

(195) C. cost. 6 febbraio 1985, n. 34.(196) FERRARO, Gli anni ‘80, cit., 191.

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collettiva, purché ciò sia funzionale al perseguimento di finalitàpubblicistiche, prevalenti sulla libertà di organizzazione sindacale.

Il contratto collettivo sembra essersi funzionalmente trasfor-mato (197), passando da una logica di integrazione addizionale aduna di progressiva riduzione e flessibilizzazione delle tutele: in essoc’è sempre meno della tradizionale funzione di composizione delconflitto e sempre più della gestione concertata dei processi di crisiaziendale e del mercato del lavoro flessibile (198). Riesce difficilenegare a questo tipo di contratto collettivo funzione e naturapubblicistiche, rinvenendo la sua rilevanza non tanto nell’art. 1322c.c. quanto piuttosto nella legge che ad esso rinvia. Si sviluppa,quindi, un ampio dibattito (199) — ancora non sopito — tra chiritiene che il rinvio conferisca automaticamente al contratto col-lettivo l’efficacia generale propria della norma delegante (200) (siapure solo per « illusione ottica » (201)) e chi, invece, lo nega più omeno decisamente (202), anche per evitare il paradossale effetto diuna « surrettizia riedizione dei decreti del 1959 » (203).

Tra l’altro, sempre più spesso la legislazione inizia a rinviare alcontratto collettivo concluso dai sindacati maggiormente rappre-sentativi, il cui ruolo si trasfigura, fino a diventare una sorta di“governo privato” che agisce con altre organizzazioni di interessi,utilizzando una contrattazione collettiva ormai incorporata come« procedura istituzionalizzata di decisione consensuale » (204).

Ulteriori dubbi vengono dalla contrattazione aziendale, che inquegli anni si impone come livello classico di gestione della crisi, e

(197) VARDARO, Il mutamento della funzione del contratto collettivo, in Giorn. dir. lav.rel. ind., 1983, 719 ss.

(198) DE LUCA TAMAJO, L’evoluzione, cit., 24; RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 188.(199) PROIA, Il contratto collettivo fonte e le « funzioni » della contrattazione collettiva, in

Il sistema delle fonti, cit., 122 ss.(200) Tra i primi, BALLESTRERO, Riflessioni in tema di inderogabilità dei contratti

collettivi, in Riv. it. dir. lav., 1989, I, 357 ss.(201) ROMEI, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica: rileggendo Gaetano

Vardaro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 214 ss.(202) RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 129 ss.; PEDRAZZOLI, Qualificazioni dell’auto-

nomia collettiva e procedimento applicativo del giudice, in Lav. dir., 1990, 581 ss.(203) LASSANDARI, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, 2001, 251.(204) D’ANTONA, Diritto sindacale in trasformazione, in ID. (a cura di), Letture di diritto

sindacale. Le basi teoriche del diritto sindacale, Napoli, 1990, XXXVII.

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che pone delicati problemi interpretativi quanto all’efficacia deisuoi disposti (205).

27. La seconda metà degli anni Ottanta tra nuove teorie e nuoviprogetti di legge.

La riflessione teorica di metà anni Ottanta si incentra soprat-tutto su due monografie: quella di Mario Rusciano, di impiantostoricistico-ricostruttivo, che evidenzia i mutamenti intervenutinella ridefinizione delle aree di competenza e delle tecniche diraccordo tra la legge e un contratto collettivo sempre più « fonteextrastatuale » (206); quella di Luigi Mariucci, dal marcato tagliodi politica del diritto e sindacale, che studia in profondità lerelazioni tra fonti autonome ed eteronome, evidenziando le con-traddizioni del sistema vigente (207). Alla fine del decennio, criti-che molto severe vengono rivolte nei confronti di un ordinamentostatale sempre meno democratico e rispettoso dei singoli, con unsindacato in declino, collassato da una legislazione “neo-istituzio-nista” tecnicamente discutibile (208); e di un ordinamento di fattoche a Giugni pare « un po’ sgangherato » (209).

La strada maestra appare, allora, agli occhi di molti l’inter-vento del legislatore. Fino a quel momento, l’auspicio dell’attua-zione dell’art. 39 è stato monopolio quasi esclusivo della destra;ora, si cominciano a muovere anche i partiti di sinistra, che proprioallora portano in Parlamento dei giuslavoristi. Perciò, dopo l’a-ncora tradizionalista proposta del “trentanovista” GiuseppePera (210), i progetti di legge del comunista Giorgio Ghezzi e delsocialista Gino Giugni, recependo i lavori della commissione bica-merale “Bozzi” per le riforme istituzionali, propongono una modi-fica dell’art. 39 centrata sul riconoscimento della rappresentatività

(205) SCIARRA, Contratto collettivo e contrattazione in azienda, Milano, 1985, 139 ss.(206) RUSCIANO, Contratto collettivo, cit.(207) MARIUCCI, La contrattazione collettiva, cit.(208) Riassuntivamente, AMATO, MATTONE (a cura di), Il sindacato alla svolta degli anni

’80, Milano, 1989.(209) GIUGNI, Accordi di concertazione e Corte costituzionale, in Giorn. dir. lav. rel. ind.,

1987, 175.(210) PERA, Il trentanovismo è nelle cose, in Pol. dir., 1985, 503 ss.

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come presupposto per conferire efficacia obbligatoria ai contratticollettivi (211).

Solo l’art. 40 viene parzialmente attuato, con la l. 12 giugno1990, n. 146, sullo sciopero nei servizi essenziali, che peraltro rinviaal contratto collettivo il delicato compito di individuare le « pre-stazioni indispensabili »; l’efficacia di queste disposizioni è peròsubordinata alla valutazione positiva da parte di un’autorità pub-blica, la Commissione di garanzia (212), ma la loro estensione ergaomnes — lo ribadisce la Corte — non viola l’art. 39 (213).

28. Anni Novanta parte I: i salvataggi della contrattazione “inperdita”.

La rapida espansione di una contrattazione collettiva “inperdita” (ennesimo esempio, gli accordi conclusi durante la proce-dura di mobilità ex art. 4, co. 11, l. 23 luglio 1991, n. 223, chepossono prevedere il demansionamento dei lavoratori in esubero)fa rivivere un dibattito classico, cioè quello sull’efficacia soggettivadel contratto collettivo, ma con un significativo ribaltamento diprospettiva. Se, infatti, tradizionalmente si è sempre riguardata laposizione del datore di lavoro, verificando la possibile applicazionedel contratto collettivo a tutti i dipendenti nel caso della suaiscrizione al sindacato stipulante, ora si passa a sondare la posi-zione dei lavoratori non iscritti, potenzialmente colpiti dagli effettinon graditi di un contratto collettivo che privatisticamente non sidovrebbe loro applicare: il tema — trainante negli anni Novanta —diventa, quindi, il dissenso del lavoratore, o di gruppi di lavoratori:fino a quel momento quasi un caso “di scuola” (214).

Anche qui la Corte costituzionale, il cui ruolo in materia di

(211) Rispettivamente, Camera, nn. 3768 e 3769/1989 e Senato, n. 1508/1989; Giugnipresenta poi un altro disegno, che garantisce efficacia generale agli accordi gestionali:Senato, n. 1550/1989; tutti in Riv. it. dir. lav., 1989, III, 137 ss.

(212) Per tutti, PASCUCCI, Tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali,Torino, 1999, 115 ss.

(213) C. cost. 14 ottobre 1996, n. 344.(214) SCIARRA, “Pars pro toto, totum pro parte”. Diritti individuali e interesse collettivo,

in Lav. dir., 1987, 465 ss.; LAMBERTUCCI, Efficacia dispositiva del contratto collettivo e autono-mia individuale, Padova, 1990; LUNARDON, Efficacia soggettiva del contratto collettivo edemocrazia sindacale, Torino, 1999; VENDITTI, Autotutela sindacale e dissenso, Napoli, 1999.

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autonomia collettiva si dimostra ancora una volta fondamen-tale (215), asseconda l’operato di un legislatore “disattento” neiconfronti dell’art. 39, cercando comunque di garantire la tenutadei contratti collettivi, soprattutto quando vanno a toccare situa-zioni delicate di crisi e riconversioni industriali (216). La Cortesalva la l. 223/1991, affermando che essa non attribuisce al con-tratto collettivo il potere di derogare a norme imperative conefficacia erga omnes, ma più riduttivamente quello di contribuire aprocedimentalizzare un potere unilaterale dell’imprenditore (217).

29. Anni Novanta parte II: la contrattazione integrativa come go-verno della flessibilità.

Ma gli anni Novanta segnano anche il culmine della strategiadel legislatore di investire il contratto collettivo del potere diintervenire in materia di gestione della flessibilità dei rapporti dilavoro, in particolare dei cosiddetti lavori atipici. In numerosicasi (218) (nei quali, evidentemente, il sindacato agisce ben al di làdella rappresentanza degli interessi dei soli lavoratori iscritti) lalegge rimette alla fonte contrattuale il controllo sempre più ampiodel mercato del lavoro (219), ovvero lo spinoso compito di valutarese, come e quanto immettervi di flessibilità. I rinvii, diventati« meccanismo tipico di funzionamento delle fonti del diritto dellavoro » (220), sono spesso disomogenei tra loro, anche se per lo piùfanno riferimento al contratto collettivo sottoscritto dal sindacato

(215) RICCI M., Autonomia collettiva e giustizia costituzionale, Bari, 1999; PASSALACQUA,Gli interventi legislativi sull’autonomia contrattuale collettiva nel dialogo tra dottrina e giuri-sprudenza, in Il dialogo tra dottrina e giurisprudenza nel diritto del lavoro, Roma, 1999, 215 ss.

(216) GOTTARDI, Legge e sindacato nelle crisi occupazionali, Padova, 1995; PASSALACQUA,Autonomia collettiva e mercato del lavoro: la contrattazione gestionale e di rinvio, Torino, 2005.

(217) C. cost. 22 giugno 1994, n. 268. Quasi scontata è la definitiva legittimazionedell’apposizione per legge di tetti alla contrattazione collettiva, e comunque di compressionidell’autonomia collettiva in situazioni eccezionali e transitorie: C. cost. 18 marzo 1991, n.124.

(218) BELLOCCHI, Libertà e pluralismo sindacale, Padova, 1998, 217 ss.; LAMBERTUCCI,Contratto collettivo, rappresentanza, rappresentatività sindacale: spunti per un dibattito, inGiorn. dir. lav. rel. ind., 2009, 551 ss.

(219) BORTONE, Il contratto collettivo tra funzione normativa e funzione obbligatoria,Bari, 1992, 144 ss.

(220) RUSCIANO, Contratto collettivo, cit., 185.

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maggiormente (dal 1995 comparativamente più) rappresentativo.Pochi problemi sorgono per questo tipo di accordo, sia riguardoalla sua natura di atto negoziale, destinato a integrare la normalegale (221), sia riguardo alla sua efficacia soggettiva (222).

Una singolare misura, a suo modo propulsiva, è, poi, attuatacon l’art. 23, l. 24 giugno 1997, n. 196, che vara i “contratti diriallineamento” (223). All’interno di zone ad alto tasso di disoccu-pazione e di evasione fiscale, appositi accordi decentrati si occu-pano appunto di riallineare gradualmente il trattamento dei di-pendenti delle imprese interessate a quello previsto dai contrattinazionali, permettendo nel frattempo la sospensione dell’osser-vanza dei contratti collettivi.

Nel frattempo, non si arresta l’attività legata ai progetti dilegge. Tiziano Treu, diventato ministro del lavoro, insedia unacommissione di studio, il cui articolato finale prevede tra l’altro lapossibilità che le parti sociali chiedano al ministro di recepire indecreto il contenuto dei contratti collettivi (224).

Il mondo scientifico ascolta il disagio di Massimo D’Antona,che in un complesso saggio segnala l’anomalia di un diritto sinda-cale costantemente e faticosamente impegnato nello sforzo diaderire alla dinamica effettiva dei rapporti sociali, con la norma-tività che tende a schiacciarsi sulla fattualità, e la conseguentediminuzione di autorità del giurista (225). Chiosa alla Woody Allenun osservatore: « Se il positivismo è morto [...], anche il diritto (dellavoro) non si sente troppo bene » (226).

30. A cavallo del nuovo millennio: teorie, ancora teorie.

A cavallo del nuovo millennio: teorie, ancora teorie Gli anni

(221) Per tutti, MENGONI, Legge e autonomia collettiva, cit., 305.(222) Su cui SARACINI, Contratti collettivi e lavori flessibili, in SANTUCCI, ZOPPOLI L. (a

cura di), Contratto collettivo, cit., 175 ss.(223) BELLAVISTA, I contratti di riallineamento retributivo e l’emersione del lavoro

sommerso, in Riv. giur. lav., 1998, I, 93.(224) In Riv. giur. lav., 1998, I, 391 ss.(225) D’ANTONA, L’autonomia post-positivista del diritto del lavoro e la questione del

metodo, in Riv. crit. dir. priv., 1990, 207 ss.(226) DEL PUNTA, Il diritto del lavoro fra due secoli: dal protocollo Giugni al decreto

Biagi, in ICHINO (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, cit., 268.

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Novanta vedono i costituzionalisti tornare a interessarsi dellacollocazione del contratto collettivo nel sistema delle fonti: leposizioni, spesso sofisticate, spaziano da chi gli nega cittadi-nanza (227) a chi lo ritiene una fonte primaria (228) o, più mode-ratamente, una fonte extra ordinem, per la sua natura di porreprecetti generali e astratti e in ragione del principio di effetti-vità (229).

A metà degli anni Novanta, tra i giuslavoristi il clima parefavorevole a una ripresa delle radici privatistiche nella rilettura delcontratto collettivo, sia riscoprendole in chiave di riconquista diautonomia decisionale da parte di un sindacato sempre più invi-schiato in processi di governo dell’economia, sia per fondare lalegittimazione del contratto collettivo sul riconoscimento costitu-zionale di autonomie sociali super-individuali (230). Viene ridi-scusso a fondo il tema della inderogabilità (231), che diventasempre più « una possibilità, e non una necessità » (232).

Siamo, quindi, in anni (233) nei quali, a fronte di una situa-zione di complessivo « stallo del diritto sindacale » (234), in unasocietà sempre più reindividualizzata, si assiste a un deciso svi-luppo della rivisitazione teorica del contratto collettivo, studiatosotto tante sfaccettature (235). E continua a prendere forma l’idea

(227) GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, 67; per un’opinione nondissimile, PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 447 ss.

(228) Questa opinione è più risalente nel tempo: RUGGERI, Gerarchia, competenza equalità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano, 1977, 94.

(229) PIZZORUSSO, Le fonti del diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1990, I, 15 ss.;RAVERAIRA, Legge e contratto collettivo, Milano, 1985, 50 ss.; MODUGNO, Appunti dalle lezionisulle fonti del diritto, Torino, 2000, 14.

(230) Rispettivamente, TURSI, Autonomia collettiva e contratto collettivo di lavoro,Torino, 1996; PROIA, Questioni sulla contrattazione collettiva. Legittimazione, efficacia, con-senso, Milano, 1994.

(231) NOGLER, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, Padova, 1997; ID.,Il contratto collettivo nel prisma dell’accertamento pregiudiziale, in Giorn. dir. lav. rel. ind.,2000, 1 ss.

(232) SCARPELLI, Autonomia collettiva e autonomia individuale nella regolazione delrapporto dei lavoratori parasubordinati, in Lav. dir., 1999, 564.

(233) Ben descritti da MARIUCCI, Le fonti del diritto del lavoro. Quindici anni dopo,Torino, 2003, 169 ss.

(234) DEL PUNTA, Il diritto del lavoro fra due secoli, cit., 381.(235) Ad esempio, MONACO, Modelli di rappresentanza e contratto collettivo, Milano,

2003; CORSO, Contratto collettivo e organizzazione del sistema sindacale, Napoli, 2003.

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che la realizzazione di un contratto collettivo efficace erga omnespossa prescindere dalla revisione dell’art. 39. Già Vardaro hasostenuto che l’esistenza della norma costituzionale non precludel’accesso a forme diverse di estensione generale (236); ora, sidescrive l’autonomia collettiva dell’art. 39, co. 1, come un cerchiomaggiore, al cui interno possono disegnarsi cerchi minori « cherealizzino diversi, possibili ed anche alternativi modelli di legifica-zione dell’autonomia collettiva » (237). L’ultimo scritto di D’An-tona rilegge l’art. 39, che non è visto come ostacolo al riconosci-mento legale dei contratti collettivi, ma solo all’introduzione dimodelli che realizzino forme di monopolio della rappresen-tanza (238). Il de profundis recitato da Mancini, che ha retto perpiù di trent’anni, viene perciò esorcizzato e ribaltato. Da consu-lente del ministro del lavoro, D’Antona predispone un disegno dilegge sulla contrattazione collettiva “a Costituzione invariata”,che cioè rispetta spirito e principi dell’art. 39. La sua morte loblocca definitivamente.

A cavallo dei due secoli, anche tra i giuslavoristi si riparla difonti. Mentre Umberto Romagnoli, al congresso Aidlass del mil-lennio, pensa che la legislazione del lavoro senza un contrattocollettivo « di natura para-legislativa somiglia ad un veicolo con leruote quadrate », e che quindi non abbia senso proporre un’idea« dell’alterità del contratto collettivo rispetto alla legge » (239),Mattia Persiani rigetta le tesi di chi lo vorrebbe espressione di unpotere pubblico, quindi fonte in senso proprio, e insiste su uncontratto collettivo funzionalmente unitario in un’ottica di fedeltàa un diritto privato che non esprime soltanto valenze individuali-stiche (240). Il congresso Aidlass del 2001 è dedicato al sistemadelle fonti nel diritto del lavoro ed è una palestra di confronto traopzioni diversificate — a volte anche molto (241) —, impegnate

(236) VARDARO, Contrattazione collettiva e sistema giuridico, cit., 122.(237) TURSI, Autonomia collettiva, cit., 38.(238) D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in Giorn. dir. lav.

rel. ind., 1998, 678 ss.(239) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, cit., 266.(240) PERSIANI, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, in Arg. dir.

lav., 1999, 3 ss.; ID., Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto dellavoro, in Arg. dir. lav., 2004, 1 ss.

(241) Per una sintesi, ZOPPOLI L., Il contratto collettivo con funzione normativa nelsistema delle fonti, in Il sistema delle fonti, cit., 238 ss.

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nella quasi impossibile soluzione del « rebus di un contratto priva-tistico con gli effetti tipici di un atto normativo » (242). Tutto sigioca, alla fine, in una divisione, vecchia quanto il diritto dellavoro, tra due grandi orientamenti, pur con tante posizioni inter-medie: da un lato, i “privatisti”, che per lo più non chiedonointerventi di normazione della materia e non ritengono il contrattocollettivo una fonte del diritto (o comunque sottovalutano ilproblema, parlando di fonte-fatto o di « forme di espe-rienza » (243)); dall’altro lato, i “pubblicisti”, per i quali il con-tratto collettivo è già ora in qualche modo una fonte e auspicanocomunque l’intervento del legislatore. Questo tra gli studiosi,perché la giurisprudenza rimane graniticamente assestata sullaricostruzione privatistica del contratto collettivo, a definitiva di-mostrazione del fatto che gran parte del ceto degli operatorigiuridici — studiosi e giudici — ha negli anni civettato colpragmatismo del common law, continuando a giurare fedeltà allecategorie del civil law.

31. I rinvii del XXI secolo: meno gestione del mercato del lavoro.

Agli inizi del Duemila, il contratto collettivo pare reduce da« un trattamento cosmetico che potrebbe destare l’ammirazionedelle più brave estetiste » (244). Una incursione in avanti perdequasi del tutto l’approccio storico; « corsi e ricorsi » (245) vanno sìinfittendosi, ma manca il necessario distacco temporale: quando sicerca di vedere un oggetto vicino con lenti da presbite, tuttoappare confuso.

Già nei primi anni del nuovo secolo, a fronte di un incrementodel numero dei rinvii alla contrattazione collettiva (talvolta sem-plici rinvii « impropri » (246), cioè inviti affinché le parti sociali

(242) TREU, La giurisprudenza e l’ordinamento intersindacale, in BESSONE (a cura di),Diritto giurisprudenziale, Torino, 1996, 268.

(243) DELL’OLIO, Sul sistema delle fonti del diritto del lavoro, in Il sistema delle fonti,cit., 47.

(244) ROMAGNOLI, Il contratto collettivo, cit., 264.(245) SANTORO PASSARELLI G., I corsi, i ricorsi e i discorsi sul contratto collettivo di diritto

comune, in Arg. dir. lav., 2009, 970.(246) PINTO, Lavoro part-time e mediazione sindacale: la devoluzione di funzioni

normative al contratto collettivo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2002, 275 ss.; da ultimo,

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regolino una determinata materia), ne vengono diminuiti sensibil-mente gli ambiti di operatività (247), spesso rilegificando determi-nate competenze (anche riguardo agli scioperi nei servizi essenziali,nel 2000 si depotenzia non poco il ruolo dell’autonomia collettivanella determinazione delle prestazioni indispensabili (248)). Daultimo, l’art. 1, co. 7 g, l. 10 dicembre 2014, n. 183, cioè la delegadel Jobs Act, lanciando l’introduzione di un salario minimo (249),invade una tradizionale prerogativa della contrattazione collet-tiva (250) (anche se c’è da ricordare la recente sentenza sullecooperative della Corte costituzionale, finalmente con un(a) giu-slavorista nei suoi ranghi (251)). Perciò, la situazione si caratte-rizza per un complessivo impoverimento degli spazi di interventodi un contratto collettivo finora ritenuto strumento fondamentaledi governo dell’economia (252), e, quindi, per una diminuzionedelle poste che il sindacato può scambiare al tavolo negoziale (253).

CENTAMORE, Legge e autonomia collettiva: una critica della dottrina dell’inderogabilità bilaterale,in Lav. dir., 2015, 491 ss.

(247) ZOLI, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto dellavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2004, 374.

(248) Per tutti, LOFFREDO, La Commissione di garanzia: un’autorità indipendente tradiritto amministrativo e ordinamento intersindacale, in Lav. dir., 2005, 563 ss.

(249) Per tutti, MAGNANI, Il salario minimo legale, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, 769ss.; dopo il Jobs Act, BIASI, Il salario minimo legale nel “Jobs Act”: promozione o svuotamentodell’azione contrattuale collettiva?, in Working papers, 2015, n. 242.IT.

(250) BELLARDI, La recente riforma della struttura contrattuale: profili critici e incoe-renze, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2014, 739 ss. Comunque, la delega, per ora lasciata cadere,potrebbe riguardare solo i settori non coperti da contratti collettivi sottoscritti dai sindacatipiù rappresentativi: GUARRIELLO, Verso l’introduzione del salario minimo legale?, in CARINCI F.(a cura di), La politica del lavoro del governo Renzi, Modena, 2014, 327 ss.

(251) In una sentenza redatta da Silvana Sciarra (C. cost. 11 marzo 2015, n. 51), ilrinvio al contratto collettivo stipulato dal sindacato comparativamente più rappresentativonon è visto come violazione dell’art. 39, ma è ritenuto il più corretto parametro diapplicazione della retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36, aprendosi cosìuna via alternativa alla realizzazione del salario minimo, cioè quella di una legge che suquesto punto, nel pieno rispetto dell’art. 39, recepisca i contratti collettivi dei s.c.r.; per uncommento, BARBIERI, In tema di legittimità costituzionale del rinvio al ccnl delle organizzazionipiù rappresentative del settore cooperativo, in Riv. giur. lav., 2015, II, 493 ss.; LAFORGIA, Lagiusta retribuzione del socio di cooperativa: un’altra occasione per la Corte costituzionale perdifendere i diritti dei lavoratori ai tempi della crisi, in Arg. dir. lav., 2015, 934 ss.

(252) MARTONE, Governo dell’economia e azione sindacale, Padova, 2006.(253) ZOPPOLI A., Jobs Act e formante sindacale: quale ruolo per quale contrattazione

collettiva?, in WP — Collective Volumes, n. 3, 2014, 25 ss.

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Sempre che, finita l’epoca della concertazione, a questo tavolo siriesca a sedere.

32. ... e più deroghe peggiorative.

Pur con l’avvertenza che ha sempre meno senso catalogaretipologie di rinvio della legge al contratto collettivo (come pureoperare precise classificazioni dei contratti collettivi, in un mo-mento nel quale quasi in ognuno di esso c’è un misto di normativo,di gestionale, di ablativo, ecc.), va notato come si infittiscano, enon solo in relazione al lavoro flessibile, i rinvii a un contrattocollettivo legittimato a peggiorare le disposizioni di legge (254). Nefa tanti il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, sull’orario di lavoro (255); sicontinua fino al famigerato art. 8, l. 14 settembre 2011, n. 148, perla prima volta recettore di una delega ampia alla deroga in pejus,che cancella quel che è rimasto del principio del favor, scardina ilivelli della contrattazione, confonde la gerarchia tra le fonti (al-meno per gli « apocalittici », perché — sempre parafrasando Um-berto Eco — per gli « integrati » il sistema riuscirà a devitalizzarel’esplosività latente della norma (256)); per finire — almeno per ora— con i rinvii peggiorativi, in materia di « collaborazioni organiz-zate dal committente » e di mutamento di mansioni, di un d.lgs. 15giugno 2015, n. 81, strapieno di deleghe alla contrattazione collet-tiva (257) (nonché battistrada di una tecnica di rinvio innova-tiva (258)), ma animato da una complessiva perdita di fiducia nelle

(254) Un quadro d’insieme in SANTONI, Le metamorfosi del diritto del lavoro, in Dir.merc. lav., 2015, 15 ss.

(255) CARABELLI, LECCESE, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomiacollettiva: spunti dalla nuova disciplina dell’orario di lavoro, in Studi in onore di GiorgioGhezzi, Padova, 2005, 345 ss.

(256) MAZZOTTA, « Apocalittici » e « integrati » alle prese con l’art. 8 della legge n. 148 del2011: il problema della disponibilità del tipo, in Lav. dir., 2012, 19 ss.

(257) FALSONE, I rinvii alla contrattazione collettiva nel d.lgs. 81/2015, in Dir. rel. ind.,2016, 1073 ss.

(258) Art. 51, che abilita anche la contrattazione territoriale o aziendale al ruolo diterminale diretto della legge, senza la mediazione necessaria della contrattazione nazionale:PASSALACQUA, L’equiordinazione tra i livelli quale modello di rinvio legale all’autonomiacollettiva ex art. 51 d.lgs. 81 del 2015, in Dir. lav. merc., 2016, 275 ss.; ALVINO, Il micro-sistemadei rinvii al contratto collettivo nel d.lgs. n. 81 del 2015: il nuovo modello della competizione frai livelli della contrattazione collettiva, in Riv. it. dir. lav., 2016, I, 657 ss.

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capacità della negoziazione collettiva di implementare il dettatonormativo (259).

In un quadro di progressiva aziendalizzazione della contratta-zione collettiva (260), ulteriormente aggravato dagli effetti di unanuova crisi economica (261), si sviluppano i « fragili escamotages divolta in volta elaborati da giurisprudenza e dottrina » (262) perestendere i sacrifici erga omnes. Così, per un paradossale gioco degliscambi, la posizione più “dalla parte dei lavoratori” diventa quellapiù privatisticamente tradizionale, contraria cioè all’estensionegenerale dell’efficacia soggettiva solo in base al rinvio operato dallalegge (263). Anche se, a complicare le cose, nella crescente tensionetra insiders e outsiders nel mercato del lavoro, una deroga potrebberisultare migliorativa per gli uni e peggiorativa per gli altri, orisultare giustificata dall’interesse generale all’occupazione (264).

33. Finale di storia “controfattuale”: perdurante validità della “terzadimensione del diritto”.

Quanto alla collocazione del contratto collettivo nel sistemadelle fonti (265), l’art. 2, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sembraportare acqua al mulino dei “pubblicisti”, introducendo tra imotivi del ricorso per cassazione la violazione o falsa applicazione

(259) MARIUCCI, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, in Lav. dir., 2015, 34 ss.;SCARANO, Legge e autonomia collettiva ai tempi del Jobs Act, in GHERA, GAROFALO D. (a cura di),Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act 2, Bari, 2015,96 ss.

(260) Per tutti, BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, Bari, 2012; le ultime riflessionigenerali in MAIO, Struttura ed articolazione della contrattazione collettiva, Padova, 2013;OLIVELLI F., La contrattazione collettiva aziendale dei lavoratori privati, Milano, 2016.

(261) GUARRIELLO, Crisi economica, contrattazione collettiva e ruolo della legge, in Giorn.dir. lav. rel. ind., 2016, 3 ss.

(262) LECCESE, Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili dilegittimità costituzionale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2012, 479 ss.

(263) GAROFALO M.G., Per una teoria giuridica del contratto collettivo: qualche osserva-zione di metodo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 532 ss.; SANTONI, Contrattazione collettiva eprincipio di maggioranza, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 93 ss.

(264) ZOPPOLI A., Il declino dell’inderogabilità?, in Dir. lav. merc., 2013, 93.(265) Per tutti, ZOPPOLI L., Il contratto collettivo come « fonte »: teorie ed applicazioni,

in SANTUCCI, ZOPPOLI L. (a cura di), Contratto collettivo, cit., 3 ss.; ZOLI, Contratto collettivo comefonte e contrattazione collettiva come sistema di produzione di regole, in PERSIANI (a cura di), Lefonti del diritto del lavoro, Padova, 2010, 487 ss.

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anche « dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro » (266).Comunque, i contratti collettivi continuano a non essere pubblicatiin Gazzetta ufficiale, e quindi il principio jura novit curia non vieneintaccato.

Il gran numero dei casi di contratto collettivo legittimato aderogare alla legge, quindi di una sostanziale intercambiabilità deiruoli (267), induce a interrogarsi sul possibile superamento dell’as-setto delle fonti, strettamente legato all’attenuazione dell’indero-gabilità (268): una situazione estremamente fluida, al punto che larecente opinione di un autorevole costituzionalista, secondo cui laripartizione di competenze tra legge e contratto collettivo somi-glierebbe molto a quella tra legge e legge regionale di cui all’art.117 Cost., per cui spetta ai contratti collettivi la potestà norma-tiva, salvo che per la determinazione dei principi fondamentaliriservata alla legge (269), sa più di wishful thinking che di descri-zione della realtà.

In ultimo, si potrebbe pensare che continuare a interrogarsi sulcontratto collettivo fonte del diritto costituisca un esercizio fru-strante, se tutto sparisce — usando una terminologia di moda — inuna « gerarchia liquida » (270). Il problema della classificazione,però, non dipende esclusivamente da ansie tassonomiche: unasoluzione si può trovare proprio nella storia appena percorsa, che èpossibile leggere anche in un’ottica “controfattuale”, cioè di stradeche si sarebbero potute prendere ma non si sono prese: dal dirittosociale dei socialisti giuridici all’autonormazione alla Galizia o allaSinzheimer, dallo “Stato sindacale” al pluralismo romaniano, dal“diritto libero” di Mossa all’ordinamento intersindacale di Giugni

(266) RUSCIANO, La metamorfosi del contratto collettivo, in Riv. trim. dir. proc. civ.,2009, 29 ss.

(267) TULLINI, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in Arg. dir. lav., 2005, 160.(268) NAPOLI, Introduzione. Interrogativi sull’inderogabilità, in Riv. giur. lav., 2008, I,

158. Parla di un contratto collettivo ormai « geneticamente derogabile », MAIO, Contrattocollettivo e norme di diritto, Napoli, 2008, 45 ss., contraddetto da SPEZIALE, Il rapporto tracontratto collettivo e contratto individuale di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2012, 361.

(269) MODUGNO, I contratti collettivi di diritto comune sono fonti?, in SANTORO PASSARELLI

G. (a cura di), Rappresentanza sindacale e contratto collettivo, Napoli, 2010, 15.(270) MARTELLONI, Gerarchia “liquida” delle fonti del diritto del lavoro, in NOGLER,

CORAZZA (a cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liber amicorum Marcello Pedrazzoli,Milano, 2012, 436 ss.

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(forse l’unico modello a non essere rimasto solo sui libri (271)),tutto pare tendere verso questo filo conduttore della nostra storia:la « terza dimensione del diritto », che non è il semplice sposta-mento dell’asse “politico” tra diritto privato e diritto pubblico, mala descrizione di un’autonomia, ancora oggi incarnata da un con-tratto collettivo che presenta, se non « le caratteristiche, la voca-zione di fonte del diritto » (272).

34. Finale di fantascienza: “incontri ravvicinati del terzo tipo”.

Attualmente, pochi ormai pensano a una riscrittura dell’art.39, mentre si fa strada l’ipotesi di mantenerlo inalterato, attuan-dolo con un intervento legislativo “leggero”; non manca peraltrochi vorrebbe lasciare la situazione così com’è, continuando adaffidare tutto allo sviluppo delle relazioni industriali (273).

Gli “interventisti”, ovviamente, propongono degli articolati:ad oggi, ne pendono quattro (274). Che davvero l’art. 39 stia peressere attuato? Se è già difficile fare storia del presente, è davveroimpossibile farla del futuro: qui non ci vuole più lo storico ma lostudioso di fantascienza, che abbia le competenze per studiarequesto imminente « incontro ravvicinato del terzo tipo ».

(271) SCIARRA, Contratto collettivo, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 1988, 61 ss.(272) ZOPPOLI A., Il contratto collettivo tra anomia ed effettività, in ESPOSITO, GAETA,

SANTUCCI, VISCOMI, ZOPPOLI A., ZOPPOLI L., Istituzioni di diritto del lavoro e sindacale, II,Torino, 2015, 131.

(273) Rispettivamente, Ghera, Rusciano, Persiani: ZOPPOLI L., ZOPPOLI A., DELFINO (acura di), Una nuova Costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, Napoli, 2014, 439 ss.

(274) Quello “storico” di Pietro Ichino (per la parte sindacale, Senato, n. 986/2013),due iniziative provenienti da équipes di studiosi — il gruppo “Frecciarossa” (CARUSO, Per unintervento eteronomo sulla rappresentanza sindacale: se non ora quando!, in Working papers,2014, n. 206.IT) e la rivista Dir. lav. merc. (ZOPPOLI L., ZOPPOLI A., DELFINO, op. cit., 539 ss.)-, la proposta della Cgil per una carta dei diritti universali del lavoro (ANGIOLINI, CARABELLI,Le ragioni (di un nuovo Statuto) dei diritti dei lavoratori, in Riv. giur. lav., 2016, I, 217 ss.).

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I POTERI DEL DATORE DI LAVORO TRA LEGGEE CONTRATTO

di EMILIO BALLETTI

SOMMARIO: 1. Tutela della persona del lavoratore e ragioni delle imprese: rigidità ed evolu-zioni normative dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act. — 2. Le trasformazioni deldiritto del lavoro quale fattore di sviluppo economico e dell’occupazione. — 3. Auto-rità datoriale e flessibilità della gestione della risorsa lavoro. La cd. flessibilità inentrata: contratto di lavoro “stabile” e moduli alternativi di impiego della manodo-pera. — 4. La flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro. Il degradare dei limiti alpotere di licenziamento: dalla cd. stabilità “reale” ex art. 18 St. lav. al contratto dilavoro a tutele crescenti. — 5. La flessibilità interna al rapporto di lavoro. La revisionedella normativa statutaria in tema di poteri del datore di lavoro nelle recenti riforme.— 6. Mansioni, jus variandi e inquadramenti alla luce del nuovo art. 2103 c.c. —6.1. Lo jus variandi cd. orizzontale. — 6.2. I casi di demansionamento ex commi 2 e 4,art. 2103 c.c. — 6.3. Gli accordi individuali di dequalificazione. — 6.4. La (residua)nullità dei patti contrari. — 7. I controlli a distanza alla luce del nuovo art. 4 St. lav.— 7.1. Limiti e vincoli procedurali al potere di controllo del datore di lavoro. — 7.2. Icd. strumenti di lavoro e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. —7.3. L’adeguata informazione dei lavoratori in ordine alle attività di controllo el’utilizzabilità dei dati raccolti. — 8. La ridefinizione dell’area di esercizio dei poteridatoriali: le tutele del prestatore nel contratto individuale di lavoro; il ruolo dell’au-tonomia collettiva. — 9. Norme aperte e clausole generali nella modulazione dei poteridel datore di lavoro.

1. Tutela della persona del lavoratore e ragioni delle imprese: rigi-dità ed evoluzioni normative dallo Statuto dei lavoratori al JobsAct.

La vicenda evolutiva del diritto del lavoro è segnata dallacostante tensione tra autorità e soggezione che connota, sotten-dendo la stessa relazione obbligatoria tra le parti del contratto, ilrapporto di lavoro subordinato, nel senso che essa si sostanzia nellaricerca di un equilibrio fra i due termini, su cui vengono adincidere in modo pervasivo le differenti temperie politiche, socialied economiche, ad opera dei diversi attori che ne determinano il

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dipanarsi: dal legislatore, all’autonomia collettiva, alle stesse partidel rapporto, nell’intrecciarsi tipico della nostra materia di uncomplesso sistema di fonti, ora ampiamente comprensivo di quellecomunitarie.

È sulla scorta del dispiegarsi di simili variabili che tende astabilirsi il punto di bilanciamento tra ragioni dell’impresa edesigenze di tutela del lavoratore subordinato, e che sono andatipertanto definendosi i mutevoli assetti delle relazioni di potereall’interno del rapporto di lavoro già nello Statuto dei lavoratori(legge n. 300/1970) e nei successivi svolgimenti della legislazionelavoristica fino alla recente riforma del Jobs Act.

È infatti in riferimento alla realtà socio-economica dei suoitempi che si è andato delineando il disegno del legislatore delloStatuto dei lavoratori come « un intervento sull’organizzazione dellavoro nelle imprese per sottometterla all’esigenza di armonizzazionedei valori dell’efficienza produttiva, di cui è portatore il potere orga-nizzativo dell’imprenditore, con i valori di cui è portatore il fattorelavoro » e con il fine di « ricondurre il potere organizzativo dell’im-prenditore entro gli argini segnati dall’oggetto e dalla causa delcontratto, e a tale scopo (definendo) i valori di dignità del lavoratoreche non possono essere coinvolti nel rapporto di subordinazione, opossono esserlo nella misura strettamente indispensabile e con ade-guate garanzie » (1).

Caratteristica fondamentale dello Statuto dei lavoratori è statanotoriamente quella di riconoscere precipua effettività nell’ambitodelle relazioni contrattuali di lavoro ai valori e interessi fondamen-tali della persona del lavoratore così come enunciati dalla Cartacostituzionale: in ragione di una ridefinizione dei poteri datorialicalibrata su una tale esigenza di protezione della persona dellavoratore e, dunque, in senso essenzialmente limitativo dell’areadel libero dispiegarsi dell’autorità del datore (2).

(1) L. MENGONI, I poteri dell’imprenditore, in ID., Diritto e valori, Il Mulino, Bologna,1985, 398-400.

(2) Per il nuovo assetto dei limiti ai poteri datoriali, quale risultante alla lucedell’intervento dello Statuto dei lavoratori, v. già in generale, per tutti: AA.VV., I poteridell’imprenditore e i limiti derivanti dallo Statuto dei lavoratori, Atti del IV ConvegnoNazionale di Diritto del lavoro, Saint-Vincent 3-6 giugno 1971, Giuffrè, Milano, 1972;AA.VV., Lo Statuto dei lavoratori e la sua incidenza sul rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano,1972; AA.VV., L’applicazione dello Statuto dei lavoratori. Tendenze e orientamenti, F. Angeli,Milano, 1973.

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Ciò, in ogni caso, in riferimento a determinati modelli socio-economici, di organizzazione del lavoro e ad una stessa ipotesi tipodi lavoratore subordinato: vale a dire, un lavoratore “stabile” e atempo pieno, dipendente di un’impresa medio-grande di stampocd. fordista (3), nonché in riferimento ad una situazione occupa-zionale volta al pieno impiego (art. 4 Cost.). Un’ipotesi tipo e uncontesto socio-economico e produttivo che, però, come risaputo,non da oggi sono andati via via perdendo rilevanza rispetto aquanto considerato in sede di emanazione della disciplina statuta-ria (4). Così come sono parimenti andate mutando le relativevalutazioni prefigurate in sede legislativa, in senso progressiva-mente crescente nel tempo, sebbene non senza inevitabili varia-zioni e diverse accentuazioni, sempre al cospetto delle suaccennatecomponenti politiche e socio-economiche. Fino alla riforma delJobs Act, quando ad emergere è un sostanziale mutamento discenario, non soltanto alla luce della portata innovativa diretta-mente rilevante delle modifiche normative apportate alla disci-plina statutaria, ma anche proprio in virtù di un’essenzialmenterinnovata impostazione della dialettica “esercizio dei poteridatoriali/tutela dei diritti ed interessi della persona del lavoratore”rispetto ai termini secondo i quali essa è andata strutturandosisulla base delle disposizioni dello Statuto dei lavoratori.

Oggetto di riconsiderazione sono infatti la portata e segnata-mente alcune rigidità degli standard regolamentari risalenti alloStatuto dei lavoratori, mentre la ricomposizione delle ragioni delleimprese con le esigenze di tutela del lavoro subordinato viene adessere ricercata anche in una prospettiva di affermato necessariosviluppo della domanda occupazionale, nonché quindi di una dif-fusa flessibilità dell’utilizzazione della forza lavoro cui è dato

(3) G. GHEZZI, U. ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Zanichelli, Bologna, 1995, 20 ss.(4) Con l’allontanarsi della prospettiva della realizzabilità della piena occupazione

nell’ambito del (solo) lavoro subordinato, e ancor più « sotto la forma “tradizionale” delcontratto a tempo indeterminato e a tempo pieno per tutti » — A. BARBIERI, La fine del valore“lavoro”? La nuova questione sociale, in E. BARTOCCI (a cura di), Lo Stato sociale in Italia.Rapporto annuale IRIDISS/CNR 1997, Donzelli editore, Roma 1997, spec. 9-, a venire menoè stata una “condizione fattuale” già assunta a presupposto fondante di una « una partesignificativa del diritto del lavoro »: cfr. M. D’ANTONA, Diritto del lavoro di fine secolo: unacrisi d’identità, in Riv. giur. lav. 1998, I, spec. 315, cui adde, se vuoi, anche per ulterioririferimenti in argomento, E. BALLETTI, Disoccupazione e lavoro. Profili giuridici della tuteladel reddito, Giappichelli, Torino, 2000, 22 ss.

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progressivo spazio in adesione alle istanze delle imprese. Il tuttoquando la stessa idea di promozione del lavoro risulta comunqueda aggiornare alla luce dell’ormai evidente accantonamento delprospettato iniziale orizzonte della piena occupazione ex art. 4Cost. e del conseguente riposizionamento verso il più praticabiletraguardo dell’occupabilità, in consonanza agli indirizzi delineatiin ambito comunitario a partire dal Trattato di Maastricht, equindi anche in forma più funzionale alla logica dell’integrazionesociale nell’Unione europea (5).

Le prime manifestazioni di rilevante cambiamento si sonoregistrate nel tempo, con ripercussioni immediate sull’equilibriodelle relazioni di potere all’interno del rapporto di lavoro, già sulpiano della strutturazione dei contesti produttivi secondo fisiono-mie dinamiche sempre più divaricate e articolate rispetto alladimensione essenzialmente statica assunta quale modello di riferi-mento dal legislatore statutario per l’edificazione dell’apparatonormativo protettivo del lavoratore subordinato. Di carattereradicale sono infatti le trasformazioni del modo di produrre edell’organizzazione del lavoro insinuatesi progressivamente neglianni nei tradizionali luoghi di lavoro, tali da mettere in discussionela tenuta dei consolidati moduli regolamentari giuslavoristici, eprimo fra tutti lo Statuto dei lavoratori — valutato essere oggettoin tal senso di un vero e proprio “lavoro demolitorio” (6) —, nonsoltanto sul versante delle correlate discipline, ma anche in riferi-mento alle loro medesime linee di ispirazione a connotazione ga-rantistica in favore del lavoro subordinato.

Il graduale superamento della fabbrica fordista e dell’organiz-zazione tayloristica del lavoro (7) — che ha costituito l’architrave

(5) Sulla ridefinizione delle politiche attive e passive dell’occupazione delineata incorrispondenza alla revisione delle dinamiche di esercizio dei poteri datoriali prefigurata insede di Jobs Act è possibile vedere amplius E. BALLETTI, Le politiche attive e passive perl’occupazione, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, Atti del XI Seminariodi Bertinoro-Bologna del 22-23 ottobre 2015, Adapt Labour Studies e-Book series n.54/2016, 515 ss.

(6) Così F. CARINCI, Il tramonto dello Statuto dei lavoratori (dalla l. n. 300/1970 al JobsAct), in G. FERRARO (a cura di), I licenziamenti nel contratto « a tutele crescenti », in QuaderniArg. dir. lav., 2015, n. 14, 12.

(7) Cfr., per tutti, anche per i riferimenti del caso, U. CARABELLI, Organizzazione dellavoro e professionalità: riflessione su contratto di lavoro e post-taylorismo e M. MAGNANI,Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro, in AA.VV.,

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su cui è stata concepita e si è retta la disciplina statutaria dellavoro subordinato e dei limiti ai poteri datoriali — in favore dellaterziarizzazione dell’economia e della scomposizione dell’attivitàd’impresa in una miriade di attività parcellizzate e collaterali alciclo produttivo, importa una nuova fisionomia dell’impresa e dellasua stessa organizzazione, con il crescente diffondersi di processi dimutamento ispirati a forme variamente articolate di decentra-mento produttivo (8). Mentre d’altro canto la disciplina statutariastenta di per sé a tenere il passo a fronte delle radicali trasforma-zioni indotte dal sempre più frenetico incedere delle nuove tecno-logie, dapprima quelle informatiche e poi anche quelle telematichee digitali, in particolare in relazione a vicende, apparecchiature esituazioni in genere non considerate e nemmeno immaginabili dallegislatore nell’ormai lontano 1970 — spec., in sede di disciplina dimansioni, jus variandi, potere di controllo etc. — e che tuttaviapermangono da riportare agli immutati precetti statutari, contutte le intuibili inevitabili relative difficoltà e incertezze (9).

Quale fattore concorrente di cambiamento rileva, al contempo,l’azione della globalizzazione, dell’internazionalizzazione dei mer-cati e della variabilità della domanda, che induce l’emergere disituazioni di sempre più marcata delocalizzazione delle attivitàproduttive, volte ad aumentare la competitività e a fronteggiare laconcorrenza su scala globale, e che parimenti valgono a modifica-zione dell’assetto produttivo delle tradizionali fabbriche di dimen-sioni medio-grandi assunto a dato di riferimento dal legislatoredello Statuto dei lavoratori. Mentre è altresì da considerare l’ef-fetto che in questo senso si determina anche sotto il profilo di unaperdita di rilevanza degli ordinamenti nazionali in favore di una

Organizzazione del lavoro e professionalità nel nuovo quadro giuridico, Atti del XIV Congressonazionale di Diritto del lavoro, Teramo-Silvi Marina 30 maggio-1 giugno 2003, Giuffrè,Milano, 2004. Una recente approfondita rimeditazione dello « stato dell’arte sulla sistema-zione del binomio “contratto di lavoro (subordinato)” e “organizzazione” » alla luce delle« novità legate al post-fordismo », in L. NOGLER, Contratto di lavoro e organizzazione al tempodel post-fordismo, in Arg. dir. lav., 2014, 884.

(8) Cfr. M. BARBERA, « Noi siamo quello che facciamo ». Prassi ed etica dell’impresapost-fordista, in Dir. lav. rel. ind., 2014, 631.

(9) Cfr. AA.VV., Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro, Atti dell’VIII Congressonazionale di Napoli, 12-14 aprile 1985, Giuffrè, Milano, 1986 ed ivi, in particolare, lerelazioni di F. CARINCI e G. PERONE.

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regolamentazione sovranazionale sempre più estesa e tuttaviadagli esiti di frequente incerti (10).

La progressiva diffusione di moduli di impiego del fattore lavorovariamente divergenti dal prototipo statutario del lavoratore su-bordinato “stabile” e ad orario pieno, oltre che a rilevare di per séquale elemento di significativa novità, rappresenta una prima ri-sposta all’esteso processo di cambiamento del contesto socio-eco-nomico e produttivo, funzionale a consentire una possibile riduzionedella tradizionale rigiditàdellanormativagiuslavoristica euna certaflessibilità nell’utilizzazione della manodopera. Flessibilità che inquesto senso inizia infatti a trovare spazio in ordine alla fase inizialedi costituzione delle relazioni di lavoro, ma poi comunque finendocon l’incidere sia pure in parte sulla fattispecie della subordinazioneex art. 2094 c.c. e sui suoi tratti distintivi, con ricadute anche sullemodalità di esercizio dei poteri datoriali (11).

Le rilevanti innovazioni e corrispondenti trasformazioni regi-stratesi sui diversi versanti economici, produttivi ed organizzativivengono inevitabilmente ad influire sulla tenuta del tradizionaleimpianto normativo garantista a tutela del lavoro subordinatocostruito su un’ipotesi di lavoratore (stabile, a tempo indetermi-nato e ad orario pieno) e di impresa (fordista, materializzata e didimensioni medio-grandi) che trovano sempre meno corrispon-denza nella realtà, anche con riferimento alle modalità di eserciziodei poteri datoriali e dei relativi moduli di loro articolazione (12).

(10) Cfr. in argomento: P. CHIECO, Crisi economica, vincoli europei e diritti fondamen-tali dei lavoratori, in AA.VV., Lavoro, diritti fondamentali e vincoli economico-finanziarinell’ordinamento multilivello, Atti delle Giornate di Studio Aidlass, Foggia 28-30 maggio2015, Giuffrè, Milano, 2016, 5 ss.; F. DONATI, Crisi dell’euro, governance economica e demo-crazia nell’Unione europea, in www.rivistaassociazioneitalianadeicostituzionalisti, 2013, n. 2;A. GIOVANNELLI, La governance economica europea. Un cantiere ancora aperto, in A. GIOVAN-NELLI (a cura di), Aspetti della governance economica nell’Ue e in alcuni Stati dell’Unione,Giappichelli, Torino, 2014, 1 ss.; S. GIUBBONI, Europe’s Crisis-Law and the Welfare State — ACritique, in European Labour Law Journal, 2015, 4 ss.

(11) Cfr., per tutti, R. DE LUCA TAMAJO, Profili di rilevanza del potere direttivo deldatore di lavoro, in Arg. dir. lav., 2005, 467 ss., nonché, più di recente, V. FERRANTE, Direzionee gerarchia nell’impresa (e nel rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato). Art. 2086, in IlCodice civile. Commentario diretto da P. SCHLESINGER, Giuffrè, Milano, 2012, 54 ss e A.PERULLI, Il controllo giudiziale dei poteri dell’imprenditore tra evoluzione legislativa e dirittovivente, in Riv. it. dir. lav., 2015, I, 83 ss.

(12) Cfr., sempre per tutti, già AA.VV., Il diritto del lavoro alla svolta del secolo, Attidelle Giornate di Studio Aidlass, Ferrara 11-13 maggio 2000, Giuffrè, Milano, 2002.

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Ove oggetto di valutazione è pertanto la compatibilità dell’ap-parato protettivo implementato con lo Statuto dei lavoratori in re-lazione alla nuova fisionomia dei sistemi e modelli organizzativi eproduttivi, sempre più terziarizzati, smaterializzati e di dimensioniridotte, anche in ordine al numero degli occupati. Ciò, peraltro, inriferimento alle medesime diffuse tipologie di impiego flessibile dellamanodopera, così come alla stessa recente revisione sensibilmente alribasso della disciplina limitativa in materia di licenziamenti (cfr.art. 1, commi 37 ss., legge n. 92/2012 e d.lgs. n. 23/2015), che valgonoevidentemente ad aumentare il divario rispetto alla richiamata ipo-tesi standard del contratto di lavoro subordinato a tempo indeter-minato “stabile” e ad orario pieno in riferimento alla quale si ripeteessere andato strutturandosi il diritto del lavoro statutario.

Tanto più al cospetto delle rilevanti modifiche introdotte dallarecente riforma in tema di poteri datoriali, come si vedrà nel sensodel riconoscimento di sensibili spazi di flessibilità rispetto allatradizionale rigidità della normativa giuslavoristica anche proprionella dimensione del contratto individuale di lavoro e con annessafacoltà di disposizione delle tutele per più versi da parte del singoloprestatore, nonché essendo in proposito allora da considerare lasolo relativa “forza contrattuale” che appunto nella dimensione“individuale” può plausibilmente essere opposta rispetto adun’erosione anche oggettivamente notevole della normativa pro-tettiva da un lavoratore ormai il più delle volte “non stabile”.

2. Le trasformazioni del diritto del lavoro quale fattore di sviluppoeconomico e dell’occupazione.

Nello scenario sinteticamente richiamato, le ragioni dell’econo-mia e dell’occupazione sono venute ad assumere non solo in Italia,ma a livello generale nell’Unione europea, un ruolo preponderantenella rivisitazione degli ordinamenti giuslavoristici, specie al co-spetto della grave crisi economica che ha attanagliato i principalipaesi industrializzati a partire dal 2008 (13). Ciò in termini che perquanto concerne la nostra esperienza hanno impresso una decisaaccelerazione ai percorsi di riforma già in essere, determinando unasempre più marcata inversione di tendenza rispetto a quanto edi-

(13) R. DEL PUNTA, Epistemologia breve del diritto del lavoro, in Lav. dir., 2013, 37 ss.

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ficato mediante lo Statuto dei lavoratori: in particolare, nel senso diuna riduzione sottodiversi aspettidelle tuteledel lavoratore (14),maanche in virtù della riconsiderazione generale degli stessi moduliprotettivi garantistici del diritto del lavoro statutario (15).

L’asseritamente necessaria obbedienza alle ragioni dell’econo-mia e ai diktat della cd. troika (id est, Commissione europea, Bancacentrale europea, Fondo monetario internazionale) è così venuta aconnotare fortemente l’evoluzione legislativa degli ultimi anni,inaugurando un’inedita stagione riformatrice e di profonde trasfor-mazioni del nostro apparato normativo (16), in riferimento adormai risalenti rigidità del diritto del lavoro statutario da più partivalutate anacronistiche ed eccessivamente onerose per le imprese,nonché quale insuperabile ostacolo in prospettiva dell’auspicataripresa economica e occupazionale.

Una prima linea d’intervento si manifesta, come anticipato, sulpiano di una sempre più diffusa flessibilità in entrata nel rapportodi lavoro, secondo un indirizzo stratificatosi progressivamente neltempo (cfr., per tutti, legge n. 196/1997 e d.lgs. n. 276/2003) e checomunquetrova svolgimentoanchenell’ambitodelle recenti riforme(cfr. d.l. n. 34/2014, convertito nella legge n. 78/2014 sul lavoro atempo determinato, nonché d.lgs. n. 81/2015 sui contratti di lavoro).Ma, proprio sotto la spinta della gravità della situazione economicadegli ultimi anni, alla flessibilità inizia ad essere dato spazio anchein riferimento alla fase di uscita dal rapporto di lavoro, allentandoper vari versi le rigidità della disciplina limitativa dei licenziamenti,tra l’altro, almeno in occasionedella cd. riformaFornero, anche sulla

(14) A. VALLEBONA, Crisi economica e riduzione delle tutele per il lavoratore, in F.CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit., 651 ss.

(15) R. DE LUCA TAMAJO, Riflessioni sulla riforma del lavoro, in F. CARINCI (a cura di),Jobs Act: un primo bilancio, cit., 568, che ritiene che le recenti riforme di cui al Jobs Actrilevino quale una « vera e propria riscrittura di alcune assi portanti del diritto del lavoroitaliano e, al tempo spesso, come una sfida evidente alle storiche politiche del lavoro ispirateal verbo garantistico sublimato a partire dallo Statuto dei lavoratori del 1970 ».

(16) T. TREU, Le istituzioni del lavoro nell’Europa della crisi, in AA.VV., La crisieconomica e i fondamenti del Diritto del lavoro, Atti delle Giornate di Studio Aidlass, Bologna16 e 17 maggio 2013, Giuffrè, Milano, 2014, 21 ss.; nonché, per tutti, AA.VV., Lavoro, dirittifondamentali e vincoli economico-finanziari, cit., ed ivi in part. le relazioni di P. CHIECO, Crisieconomica, vincoli europei e diritti fondamentali dei lavoratori, cit., 5; A. PIZZOFERRATO,L’autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro, 159 e E. ALES, Diritti sociali e discrezionalitàdel legislatore nell’ordinamento multilivello: una prospettazione giuslavoristica, 241.

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scorta di un prefigurato contestuale dosaggio tra flessibilità in en-trata eflessibilità inuscitadalla relazione lavorativa (cfr. art. 1, leggen. 92/2012). Ciò sulla base dell’assunto — in realtà indimostrato, edifatti non condiviso da buona parte della dottrina, anche econo-mica (17) — che l’aumento della flessibilità in uscita potesse avereun effetto benefico sulla quantomai difficile situazione occupazio-nale, nonché al contempo anche prefigurando una coeva revisionesostanziale dei trattamenti di protezione della mancanza di lavoro,e, quindi, in svolgimento della cd. flexicuritydimatrice europea (18),in ossequio alla quale la maggiore flessibilità nel rapporto di lavorova correlata con un incremento di tutela nel mercato del lavoro,tanto di natura occupazionale che di sostegno al reddito (19).

È su tale assetto in evoluzione che irrompe la riforma del JobsAct, con il suo ambizioso disegno di riformulazione di larga partedella disciplina lavoristica (20) di portata così ampia da far presa-gire il « tramonto dello Statuto dei lavoratori » (21).

(17) Cfr., per tutti, V. SPEZIALE, La riforma del licenziamento individuale tra diritto edeconomia, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, 524 ss. e ID., Licenziamento per giusta causa e giustificatomotivo, inP. CHIECO (a curadi),Flessibilità e tutele nel lavoro, Cacucci,Bari, 2013, 305 ss. nonchéper la dottrina economica: O. BLANCHARD, European Unemployment: the Evolution of Facts andIdeas, Economic Policy, 2006; E. FABRIZI, V. PERAGINE, M. RAITANO, Flessibilità e lavoro inEuropa: la teoria economica e l’evidenza empirica, in P. CHIECO (a cura di), Flessibilità e tutelenel lavoro, cit., 49 ss.; R. REALFONZO, La favola dei superprotetti. Flessibilità del lavoro, dualismoe occupazione in Italia, in www.economiaepolitica.it, 26 settembre 2014.

(18) Cfr., per tutti, D. GOTTARDI, Riforme strutturali e prospettiva europea di Flexicu-rity: andata e ritorno, in Lav. dir., 2015, 239 ss. e già L. ZOPPOLI, La flexicurity dell’Unioneeuropea: appunti per la riforma del mercato del lavoro in Italia, in WP C.S.D.L.E. “MassimoD’Antona”.IT, n. 141/2012.

(19) In argomento cfr amplius, in relazione alle recenti riforme, D. GAROFALO, Lepolitiche del lavoro nel Jobs Act, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit.,93, cui adde E. BALLETTI, Le politiche attive e passive per l’occupazione, cit.

(20) Cfr. in argomento R. DE LUCA TAMAJO, Riflessioni sulla riforma del lavoro, cit.568; A. LASSANDARI, L’ordinamento perduto, in Lav. dir., 2015, 63 ss.; L. MARIUCCI, Riflessionisu “L’idea di diritto del lavoro, oggi”, in Lav. dir., 2016, 131 ss.; A. PERULLI, Il contratto a tutelecrescenti e la Naspi: un mutamento di “paradigma” per il diritto del lavoro, in L. FIORILLO, A.PERULLI (a cura di), Contratto a tutele crescenti e Naspi. Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22e n. 23, Giappichelli, Torino, 2015, 3 ss.; U. ROMAGNOLI, Controcorrente, in Lav. dir., 2015, 3ss.; F. SANTONI, Spigolature sulle riforme tra contrappunti e (alcune) apparenze, in F. CARINCI

(a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit., 607; A. VALLEBONA, Crisi economica e riduzionedelle tutele per il lavoratore, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit., 651.

(21) Così F. CARINCI, Il tramonto dello Statuto dei lavoratori, cit. Cfr. tuttavia anche G.SANTORO-PASSARELLI, Sulle categorie del diritto del lavoro “riformate”, in WP C.S.D.L.E.

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Se, infatti, l’istanza di maggiore flessibilità aveva sino ad alloratrovato risposta essenzialmente in relazione alla sola fase iniziale epoi altresì a quella finale del rapporto di lavoro, per effetto del JobsAct ad essere realizzato è un vero e proprio mutamento di prospet-tiva anche in relazione all’ambito specifico dei poteri del datore dilavoro e delle loro modalità di esercizio “all’interno” del rapportodi lavoro. Con il cambiamento che è così per la prima voltaprospettato in virtù di nuove e rafforzate declinazioni della flessi-bilità: appunto non più soltanto flessibilità in entrata e flessibilitàin uscita, ma anche e soprattutto flessibilità organizzativa (cfr.,spec., il nuovo art. 2103 c.c., come riscritto ex art. 3, d.lgs. n.81/2015, nonché l’art. 4, legge n. 300/1970 nuova formula ex art.23, d.lgs. n. 151/2015) (22).

Ciò senz’altro nel senso di un rafforzamento sotto più aspettidell’autorità datoriale e, dunque, di una corrispondente erosionedelle tutele e delle rigidità della normativa statutaria (23). Ma intermini che sarebbe riduttivo valutare quale mero allentamento“quantitativo” dei vincoli imposti ai poteri datoriali o, per con-verso, di decremento degli standard di tutela del lavoro subordi-nato, in quanto ad essere prefigurato è, piuttosto, per quanto sivedrà più avanti, un riassetto sostanziale dei medesimi poteri

“Massimo D’Antona”.IT, n. 288/2016, 55, che rileva che « se è vero che il diritto del lavoromoderno non può disconoscere le ragioni dell’impresa e deve essere proiettato a favorire lamaggiore occupazione, è altrettanto vero che anche il nuovo legislatore non può non tenereconto che nel contratto di lavoro è coinvolta la persona del lavoratore e quindi deve esseregarantita la sua dignità ».

(22) Cfr. conf. M. BROLLO, Lo jus variandi, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: unprimo bilancio, cit., 227. V. però T. TREU, Le riforme del lavoro: una retrospettiva peranalizzare il Jobs Act, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit., 11, per ilquale l’allargamento della flessibilità funzionale in tema di mutamento di mansioni erelativamente all’introduzione di regole più flessibili nella gestione del part-time « sul pianonormativo (...) rafforzano tendenze già visibili da tempo nel nostro ordinamento », nonchéanalogamente M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi: modelli europei eflexicurity “all’italiana” a confronto, in Dir. lav. rel. ind, 2012, 565 s.

(23) Cfr. F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansionicontenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa inmateria di rapporto di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 257/2015, 15 e,conf., S. GIUBBONI, Lavoro e diritti in crisi: il caso italiano in prospettiva europea, in Pol. dir.,2015, 261, che al riguardo rimarca anche la linea di continuità degli ultimi governisuccedutisi dalla seconda metà del 2011 ad oggi nell’attuazione della « medesima politica diprogressiva riduzione dello statuto protettivo del lavoro, ancora largamente tributario delleconquiste realizzate a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento ».

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datoriali secondo moduli anche “qualitativamente” inediti e peral-tro implicanti ampia possibilità di incidenza da parte dell’autono-mia contrattuale anche individuale e, quindi, pure in riferimentoalla stessa tradizionale “inderogabilità” della norma giuslavori-stica (24).

L’accento posto dalla recente riforma sulla flessibilità organiz-zativa e gestionale viene in ogni caso a determinare il mutamentosostanziale dei medesimi rapporti di forza tra le parti del rapportodi lavoro, a vantaggio evidente del datore di lavoro, al di là dellestesse novità normative prefigurate.

Scopo dichiarato della riforma è quello di « rafforzare le oppor-tunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono incerca di occupazione » e di « riordinare i contratti di lavoro vigenti perrenderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contestooccupazionale e produttivo » (art. 1, comma 7, legge delega n. 183/2014), ed è appunto in funzione di una tale finalità lato sensuoccupazionale che è dato forte impulso alla flessibilità organizza-tiva nella dialettica del contratto di lavoro. Invero, si vuole ren-dere più attrattiva o comunque anche solo meno dissuasiva per leimprese l’assunzione di manodopera, sicché tra l’interesse dei da-tori di lavoro alla temporaneità o comunque ad una flessibilitàdelle relazioni contrattuali di lavoro e l’interesse dei prestatori allastabilità del posto di lavoro è privilegiato il primo, in virtù dellarimodulazione sensibilmente al ribasso della normativa protettiva,mentre, al contempo, anche sul versante dell’esplicazione dei po-teri datoriali di gestione della manodopera è riformulata la disci-plina in tema di mansioni, jus variandi e cd. controlli a distanzasempre in via regressiva delle tutele e delle rigidità delle disposi-zioni statutarie (25).

Il Jobs Act viene in questo modo a conferire cittadinanza ad unrapporto diretto tra ragioni dell’economia e normativa giuslavori-

(24) Sul tema è d’obbligo il rinvio a R. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile neldiritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1976; più di recente v. M. NOVELLA, L’inderogabilità neldiritto del lavoro. Norme imperative e autonomia individuale, Giuffrè, Milano, 2009.

(25) G. SANTORO-PASSARELLI, Appunti sulla funzione delle categorie civilistiche neldiritto del lavoro dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 290/2016,25.

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stica (26), nonché, quindi, tra esigenze macroeconomiche di rilan-cio dell’occupazione e aspetti di micro-disciplina gestionale e orga-nizzativa del rapporto di lavoro. E tanto sul presupposto — anchequesto in verità da dimostrare — che la flessibilità organizzativa(associata ai richiamati interventi già collaudati, e all’uopo ridefi-niti, sulla flessibilità in entrata e in uscita) possa determinare unincremento dell’occupazione (27), non solo perché varrebbe a mi-gliorare la competitività internazionale delle nostre imprese, maanche perché contribuirebbe a rendere più attrattivo per gli inve-stitori stranieri il nostro sistema produttivo.

L’ipotesi che viene a emergere è cioè quella di un diritto dellavoro che si vorrebbe in grado di operare quale fattore propulsivodell’auspicata ripresa economica e occupazionale. Secondo un’im-postazione che aveva trovato espressione analoga nella recenteriforma Fornero, infatti dichiaratamente ispirata all’obiettivo direalizzare « un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado dicontribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, allacrescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso didisoccupazione » (art. 1, comma 1, legge n. 92/2012), sebbene in sededi detta riforma Fornero la “finalità macroeconomica” (28) risul-tasse perseguita tramite l’adozione di un modello di flexicurity chenon contemplava incursioni nelle modalità organizzative interne alrapporto di lavoro, viceversa puntando al solo riequilibrio traflessibilità in entrata e in uscita dal medesimo rapporto di la-voro (29) mediante l’adeguato supporto degli ammortizzatori so-ciali e delle politiche attive dell’occupazione. E con una medesima

(26) Cfr. P. CHIECO, Crisi economica, vincoli europei e diritti fondamentali dei lavora-tori, cit., 61, che osserva che « con il Jobs Act e, in particolare, con la definizione degliobiettivi che ne dà la legge delega 10.12.2014 n. 183, la finalità macroeconomica dellariforma del mercato del lavoro viene declinata in forma ulteriormente accentuata », alcontempo assumendo che la finalità occupazionale della legge è esclusiva, non essendovi, adifferenza della precedente legge n. 92/2012, « alcun riferimento formale alla “qualità”dell’impiego ».

(27) V. sul punto R. DE LUCA TAMAJO, Riflessioni sulla riforma del lavoro, cit., 569.(28) Così E. GHERA, Le finalità della riforma del mercato del lavoro Monti-Fornero, in

P. CHIECO (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro, cit., 23.(29) Secondo T. TREU, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in Dir. lav. rel. ind.,

2013, 10, la legge n. 92/2012 risulta soltanto in parte ispirata alla cd. flexicurity europea, inquanto « lo scambio proprio della flexicurity è viceversa fra flessibilità del rapporto di lavoroe sicurezza sul mercato del lavoro », e tenuto altresì conto che la flexicurity, a differenza dellasoluzione prescelta dal nostro legislatore, non contempla una contrapposizione tra flessibi-

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impostazione che era poi risultata tra l’altro ribadita anche addu-cendo a motivazione dell’emanazione del d.l. n. 34/2014, convertitoin legge n. 78/2014 (“Disposizioni urgenti per favorire il rilanciodell’occupazione ...”), « la straordinaria necessità ed urgenza di ema-nare disposizioni volte a semplificare alcune tipologie contrattuali dilavoro, al fine di generare nuova occupazione, in particolare giova-nile » e pure « la straordinaria necessità ed urgenza di semplificare lemodalità attraverso cui viene favorito l’incontro tra la domanda el’offerta di lavoro » (cfr. così preambolo d.l. n. 34/2014 cit.).

In relazione al peso crescente che le ragioni macroeconomichedi rilancio dell’occupazione sono andate assumendo in ordine aglisviluppi recenti della legislazione giuslavoristica si è parlato di“tirannia dei valori economici” (30) e di subordinazione o comun-que subalternità del diritto del lavoro ai dettami dell’economia: undiritto del lavoro che alla luce delle modifiche degli ultimi anni dimatrice essenzialmente neoliberista si assume doversi interrogaresul suo stesso paradigma normativo (31).

Anticipate da articolati ed eterogenei processi di mutazione etrasformazione della normativa previgente (32), le recenti riformevengono a realizzare una vera e propria metamorfosi del diritto dellavoro (33), con incidenza pregnante sulle dinamiche contrattuali erelazionali in genere tra le parti del rapporto di lavoro e suicorrispondenti ambiti di esercizio delle prerogative datoriali.

Ad essere messi in discussione sono gli assetti stratificatisi neltempo nel solco della disciplina statutaria e segnatamente la loro

lità in entrata e flessibilità in uscita, ma le ritiene « complementari, in quanto rispondenti adue funzioni convergenti, entrambe utili al funzionamento del mercato del lavoro ».

(30) A. PERULLI, Il controllo del giudice nei licenziamenti economici in Italia, Franciae Spagna, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Le discipline dei licenziamenti in Europa. Ricognizionie confronti, F. Angeli, Milano, 2014, 282.

(31) Cfr. A. PERULLI, Il contratto a tutele crescenti e la Naspi: un mutamento di“paradigma” per il diritto del lavoro, cit., spec. 4 ss. e ID., L’idea di diritto del lavoro, oggi, inLav. dir., 2016, 17. In senso analogo, ma con qualche differenza argomentativa, F. CARINCI,Dallo Statuto al Contratto a tutele crescenti: il “cambio di paradigma”, in Giur. it., 2016, 776,nonché diversamente, invece, T. TREU, Le riforme del lavoro: una retrospettiva per analizzareil Jobs Act, cit., 16.

(32) Cfr. L. CORAZZA, R. ROMEI (a cura di), Diritto del lavoro in trasformazione, IlMulino, Bologna, 2014.

(33) F. SANTONI, Le metamorfosi del diritto del lavoro, in Dir. merc. lav., 2015, 3 ss.

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impronta garantista (34), con revisione finanche di quella che erastata l’opzione riformatrice caratterizzante lo Statuto dei lavoratoridi dare ingresso ai valori della Carta costituzionale nei luoghi dilavoro (35), in funzione di un ampliamento delle tutele del lavorosubordinato (36) e comunque di una rimodulazione delle posizionidelle parti del contratto di lavoro in linea con i dettami della Co-stituzione (37). Ove sul piano dei poteri datoriali, ai sensi delle pre-scrizioni statutarie, l’effetto era stato quello della loro riconduzionenell’alveo della necessaria osservanza delle garanzie fondamentali dilibertà e di dignità della persona del prestatore (38) e, comunque,della loroastrizionea limitibenpiùstringenti (39) rispettoalle scarnedisposizioni del codice civile ispirate alla parità formale delle partidel rapporto di lavoro e al coevo riconoscimento di una posizione disupremazia al datore di lavoro (40): in riferimento peraltro alla mol-

(34) F. SANTONI, Spigolature sulle riforme tra contrappunti e (alcune) apparenze, cit.,607 s.

(35) Amplius G. GHEZZI, G.F. MANCINI, L. MONTUSCHI, U. ROMAGNOLI (a cura di), Statutodei diritti dei lavoratori, in A. SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile,Bologna-Roma, Zanichelli-Foro italiano, 1972.

(36) F. SANTONI, Le metamorfosi del diritto del lavoro, cit., 6.(37) Cfr. in generale, anche per i riferimenti del caso, M. MARAZZA, Limiti e tecniche di

controllo sui poteri di organizzazione del datore di lavoro, in M. PERSIANI, F. CARINCI (a cura di),Trattato di diritto del lavoro, vol. IV, Tomo II, Contratto di lavoro e organizzazione a cura diM. MARAZZA, Cedam, Padova, 2012, 1271 ss. e A. PERULLI, Il potere direttivo e i suoi limitigenerali, in Commentario Diritto del lavoro diretto da F. CARINCI, Tomo II, Il rapporto dilavoro subordinato: costituzione e svolgimento a cura di C. CESTER, Utet, Torino, 2007, 611 ss.,nonché, già, per tutti, M. GRANDI, Rapporto di lavoro, in Enciclopedia del diritto, XXXVIII,Giuffré, Milano, 1987, 334 ss.; S. MAGRINI, Lavoro, Contratto individuale, in Enciclopedia deldiritto, XXIII, Giuffré, Milano, 1973, 369; P. TOSI, F. LUNARDON, Subordinazione, in Digestodelle Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale, XV, Utet, Torino, 1998, 263 ss.

(38) R. SCOGNAMIGLIO, Considerazioni introduttive al convegno sul “Nuovo volto deldiritto del lavoro”, in Arg. dir. lav., 2005, 460.

(39) G. DE SIMONE, Poteri del datore di lavoro e obblighi del lavoratore, in Trattato diDiritto privato diretto da M. BESSONE, VOL. XXIV, Il lavoro subordinato a cura di F. CARINCI,Tomo II, Il rapporto individuale di lavoro: costituzione e svolgimento, coordinato da A.PERULLI, Giappichelli, Torino, 2007, 258.

(40) F. SANTONI, Le metamorfosi del diritto del lavoro, cit., 7; U. ROMAGNOLI, Controcor-rente, cit., 3-5. In argomento cfr. già, per tutti, L. MARIUCCI, Le fonti del diritto del lavoro,Giappichelli, Torino, 1988 e M. PEDRAZZOLI, Democrazia industriale e subordinazione. Poteri efattispecie nel sistema giuridico del lavoro, Giuffrè, Milano, 1985 cui adde, seppure critica-mente in relazione al fondamento gerarchico del rapporto di lavoro e delle relazioninell’impresa, C. CESTER, G. SUPPIEJ, Rapporto di lavoro (voce), in Digesto Comm., 1996, XII,Utet, Torino, I. Sulla supremazia istituzionale riconosciuta all’imprenditore dall’art. 2086

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teplicità delle declinazioni degli stessi poteri datoriali, nonché, dun-que, dal potere direttivo propriamente detto, al potere organizza-tivo, in riferimento particolare allo jus variandi, al potere di con-trollo, al potere disciplinare e fino allo stesso potere di licenzia-mento (41). Con lo Statuto dei lavoratori che è così rilevato quale“epicentro del sistema di garanzie” (42) poste a limitazione di unesercizio altrimenti incondizionato delle prerogative datoriali non-ché a tutela del lavoratore contraente debole.

Ebbene, alla luce delle novità normative di cui alla riforma delJobs Act viene per vari versi a risultare superato l’equilibrio tra leposizioni delle parti del rapporto di lavoro come determinatosisulla base dei precetti statutari, in ragione della revisione dideterminati vincoli già imposti dal legislatore del ’70 all’eserciziodei poteri imprenditoriali e comunque di un ampliamento in gene-rale della discrezionalità datoriale nella gestione del lavoro al-trui (43), al punto che si è affermato importare il « restauro delpotere unilaterale di comando » dell’imprenditore quale “capo del-l’impresa” (art. 2086 c.c.) (44) e comunque ove a intravedersi è latendenza strisciante ad un ritorno all’impalcatura del codice civile.

3. Autorità datoriale e flessibilità della gestione della risorsa lavoro.La cd. flessibilità in entrata: contratto di lavoro “stabile” e modulialternativi di impiego della manodopera.

Lo Statuto dei lavoratori è venuto tra l’altro a completare,

c.c. v. U. ROMAGNOLI, Per una rilettura dell’art. 2086 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977,1049, nonché più di recente, V. FERRANTE, Direzione e gerarchia nell’impresa, cit.

(41) Sui poteri datoriali prima dell’emanazione della legge n. 300/1970 è d’obbligo ilrinvio a M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 1966. In generale,sull’assetto post-statutario in materia si rinvia agli studi monografici di A. PERULLI, Il poteredirettivo dell’imprenditore, Giuffrè, Milano, 1992; M. MARAZZA, Saggio sull’organizzazione dellavoro, Cedam, Padova, 2001; V. FERRANTE, Potere e autotutela nel contratto di lavorosubordinato, Giappichelli, Torino, 2004, nonché, più di recente, M. PERSIANI, Lineamenti delpotere direttivo, in M. PERSIANI, F. CARINCI (a cura di), Trattato di diritto del lavoro, IV, TomoI, Contratto e rapporto di lavoro, a cura di M. MARTONE, Cedam, Padova, 2012, 401 ss.

(42) O. MAZZOTTA, Manuale di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2013, 10.(43) Cfr. S. GIUBBONI, Lavoro e diritti in crisi, cit., 269, che individua nelle ultime

riforme la riemersione della « forza egemonica del potere privato dell’imprenditore ».(44) Così U. ROMAGNOLI, Il lavoro e l’eutanasia dei diritti, in www.eguaglianzaelibertà,

20 marzo 2015, ripreso anche da S. GIUBBONI, Lavoro e diritti in crisi, cit., 264.

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consolidandolo sul versante della stabilità reale (art. 18, legge n.300/1970), il modello social-tipico di rapporto di lavoro subordi-nato, a tempo indeterminato e ad orario pieno, emerso dal rianno-darsi di distinte trame legislative che avevano contraddistinto ildecennio precedente, dal divieto di interposizione fittizia nel rap-porto di lavoro (art. 1, legge n. 1369/1960), all’indicazione tassativadelle ipotesi di ricorso al contratto a termine (legge n. 230/1962),nonché all’affermazione del principio di necessaria giustificazionedel licenziamento (legge n. 604/1966).

Al cospetto dei rigidi vincoli statutari imposti ai poteri digestione della forza lavoro — spec. in tema di mobilità interna edesterna, controllo sull’attività lavorativa, potere disciplinare epotere di recesso — la diversificazione tipologica dei moduli diimpiego della manodopera è individuata come la sola via percor-ribile nella direzione della da più parti domandata flessibilizzazionedelle regole del lavoro (45). Ciò secondo un’impostazione che trovale sue prime significative espressioni già negli anni ’80 in tema dicontratto di formazione e lavoro, lavoro part time (cfr. rispettiva-mente, artt. 3 e 4, legge n. 863/1984) e ampliamento delle ipotesi diricorso al lavoro a termine (art. 23, legge n. 56/1987). E tantomentre si registrava nella pratica una crescente diffusione dell’uti-lizzazione delle collaborazioni autonome coordinate e continuativequale possibile pragmatica via di fuga dalle rigidità del lavorosubordinato.

È sul versante dell’accesso al lavoro che è quindi dato riscontroall’istanza di flessibilità proveniente dal sistema produttivo, con-cedendo al datore di lavoro la possibilità di impiego della mano-dopera mediante moduli di collaborazione alternativi a quellosocial-tipico “stabile” di riferimento, così da ampliare gli spazi delsuo potere di organizzazione, sia incidendo in senso modificativosugli elementi essenziali del contratto (durata, tempi e causa), inmodo tale da sottrarsi almeno in parte alla rigidità delle regole

(45) Cfr. L. CORAZZA, Note su conflitto collettivo e democrazia industriale nell’economiapostindustriale, in L. NOGLER, L. CORAZZA (a cura di), Risistemare il diritto del lavoro. Liberamicorum Marcello Pedrazzoli, F. Angeli, Milano, 2013, 99 ss., nonché già A. PERULLI,Interessi e tecniche di tutela nella disciplina del lavoro flessibile, in AA.VV., Atti delle Giornatedi Studio Aidlass, Pesaro-Urbino 24-25 maggio 2002, Giuffrè, Milano, 2003, 76 ss.

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standard, sia, al contempo, alla luce del non contrastato rimarcatocrescente ricorso al cd. lavoro parasubordinato (46).

La flessibilità in entrata nel rapporto di lavoro è quindi risul-tata ulteriormente alimentata alla luce dell’introduzione dell’isti-tuto del lavoro temporaneo (sia pur nei limiti della perdurantevigenza del divieto di interposizione fittizia nel rapporto di lavoroe fermo restando il controllo sociale del sindacato sulle causali diaccesso al medesimo: cfr. artt. 1-11, legge n. 196/1997 e art. 64,legge n. 488/1999), come pure in virtù di una serie di successiviinterventi in tema di lavoro part time e relative clausole elastichee flessibili (d.lgs. n. 61/2000), oltreché ancora in materia di lavoroa termine (d.lgs. n. 368/2001). E ciò fino ad un generale riassettodei moduli di impiego flessibile della manodopera alternativi al-l’ipotesi social-tipica del lavoro subordinato “stabile”, a tempoindeterminato e ad orario pieno cui si accede con la cd. riformaBiagi (spec. d.lgs. n. 276/2003) nel solco delle indicazioni delineatedal cd. Libro Bianco del 2001: vale a dire, somministrazione dilavoro (nuova denominazione attribuita al lavoro temporaneo),lavoro intermittente, lavoro ripartito, lavoro part time, apprendi-stato (in relazione al versante dell’occupazione giovanile), con-tratto di inserimento, lavoro a progetto e occasionale, lavoroaccessorio (47).

In questa fase il percorso legislativo inteso a favorire processidi flessibilità in entrata si arricchisce di motivazioni che attingonoal trend economico e sospingono verso una moltiplicazione deimodelli fruibili che, pur investendo i distinti moduli di collabora-zione interni all’area della subordinazione, significativamente con-solida schemi che si collocano anche al di là di questa con esiti dideresponsabilizzazione dell’impresa verso il lavoro, fino a giungerealla dissociazione tra titolarità giuridica del rapporto ed effettivautilizzazione della prestazione lavorativa, con ripartizione dei ri-spettivi poteri, alla stabilizzazione giuridica delle collaborazioni

(46) Cfr. in generale C. ALESSI, Flessibilità del lavoro e potere organizzativo, Giappi-chelli, Torino, 2012, 6 ss.

(47) Per una sintesi sull’evoluzione della disciplina dei singoli istituti richiamati v.,anche per i riferimenti all’ampia letteratura in materia, cfr. O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro,in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di), Trattato di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2016, 83 ss.,nonché G. PROIA, Manuale di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2016, 124 ss.

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autonome, alla promozione di modelli organizzativi, dal-l’outsourcing agli appalti di servizi, fondati sul decentramento.

La delineata graduale disarticolazione del prototipo lavorosubordinato a tempo indeterminato e ad orario pieno in unavarietà di fattispecie di impiego cd. flessibili, non solo di naturasubordinata, viene in qualche misura a incidere sulle stesse carat-teristiche dei poteri datoriali, in primo luogo nel potere direttivo,quantunque sia osservazione condivisibile che detto potere diret-tivo continui a costituire la ragion d’essere del rapporto di lavorosubordinato (48), nel senso che, al di là degli scostamenti imputa-bili all’adozione di un differente modello contrattuale, permanecomunque valido criterio distintivo del lavoro subordinato.

Il crescente assortimento di contratti di lavoro subordinatoflessibile, lavoro parasubordinato e autonomo legalizzati nel corsodelle successive legislature degli ultimi anni, nel mettere in discus-sione la centralità del modello codicistico-statutario di riferimentodel lavoro subordinato a tempo indeterminato e ad orariopieno (49), finisce col provocare variazioni in merito alla stessatitolarità ed esercizio dei poteri tradizionalmente attribuiti aldatore nel contratto di lavoro, con conseguenti ricadute sull’as-setto ed equilibrio delle posizioni contrattuali nei rapporti dilavoro.

In ordine alle rilevanti modificazioni che vanno in questo sensoa interessare la posizione creditoria del datore è da convenire inmerito al prefigurarsi di un potere negoziale del medesimo datoreche va a collocarsi già a monte del contratto di lavoro anziché nella

(48) R. DE LUCA TAMAJO, Profili di rilevanza del potere direttivo del datore di lavoro, cit.,468 ss. In argomento cfr. altresì, anche per ogni riferimento ulteriore, M. MARAZZA, Limiti etecniche di controllo sui poteri di organizzazione del datore di lavoro, cit., 1281, il quale rilevache « L’organizzazione del lavoro, un tempo esclusivamente studiata dalla dottrina edesaminata dalla giurisprudenza nella sua veste socialmente tipica di organizzazione dellavoro subordinato, si compone infatti di una pluralità di contratti nei quali è dedotta unaprestazione subordinata, autonoma o coordinata e continuativa. Ed è la stessa legge adautorizzare questa nuova dimensione dell’organizzazione del lavoro nella misura in cui, apartire dagli anni novanta, estende frammenti tipici dello statuto protettivo del lavorosubordinato alle prestazioni di lavoro comunque rese, senza vincolo di subordinazione,all’interno dell’azienda (art. 3, 4°, 7° ed 11° commi, del d.lgs. n. 81 del 2008) ».

(49) Cfr. in senso critico M. D’ANTONA, I mutamenti del diritto del lavoro e il problemadella subordinazione, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 195 e L. MONTUSCHI, Il contratto di lavoro frapregiudizio e orgoglio giuslavoristico,in Lav. dir., 1993, 37.

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fase di concreta gestione del rapporto (50). Ove, infatti, ancorprima che si manifestino quelle che risultano essere le prerogativedatoriali nell’ambito della relazione contrattuale, e dunque unavolta instaurato il rapporto lavorativo, appare identificabile unautonomo potere del datore temporalmente antecedente alla co-stituzione del medesimo rapporto di lavoro, precipuamente conriguardo alla scelta del modello contrattuale, e cioè alla selezionedel contratto di lavoro nell’ambito della gamma delle diversetipologie disponibili. Non senza che, al contempo, una tale oppor-tunità riservata al datore prima della stipulazione, appunto inmerito alla scelta del modulo di impiego, determini poi una possi-bile variazione del potere datoriale anche nell’instauranda rela-zione contrattuale, in virtù delle diverse connotazioni dell’eserciziodel potere direttivo che possono aversi proprio alla luce del modellocontrattuale concretamente prescelto (51).

La complessiva operazione promozionale della flessibilità inentrata, sostanzialmente mirata a restituire significativi ambiti didiscrezionalità al datore nell’organizzazione e nell’utilizzo dellaforza lavoro nell’impresa e fuori di essa, non sortisce, tuttavia,l’esito sperato, incontrando la resistenza di larghi settori dellapolitica, del sindacato e soprattutto della magistratura, che neridimensiona la portata, in particolare sui fronti sensibili dellaliberalizzazione dei contratti a termine e della tenuta dei parametridi qualificazione dei contratti di lavoro a progetto.

Lo scontro si consuma appunto intorno al nodo cruciale del-l’estensione del potere organizzativo del datore di lavoro, che siassume suscettibile di tradursi in precarizzazione del lavoro lad-dove lo si eserciti oltre i tradizionali limiti concettuali segnati dal

(50) Cfr. F. LISO, Lo Statuto dei lavoratori, tra amarcord e prospettive del futuro, in Lav.dir., 2010, 75 ss., nonché conf. L. CORAZZA, Dipendenza economica e potere negoziale del datoredi lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 2014, 647.

(51) L. CORAZZA, Dipendenza economica e potere negoziale del datore di lavoro, cit., 648s., che rileva che « anche solo scegliendo tra la molteplicità di contratti a sua disposizione,l’imprenditore sarà in grado di incidere in modo decisivo sulla relazione di potere/contropotere che si andrà ad instaurare con il lavoratore », rimarcando come pure altrifattori, quali la diversificazione dei modi di organizzazione dell’impresa e la globalizzazionedei mercati, quest’ultima con la possibilità riservata all’imprenditore di “minacciare ladelocalizzazione”, producano « effetti significativi sul rapporto di lavoro, che viene condi-zionato da scelte compiute dal datore di lavoro in un momento che precede l’esercizio deisuoi poteri, intesi come poteri di gestione ».

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rilievo prioritario da attribuirsi al contratto di lavoro subordinatoa tempo indeterminato quale modalità di costituzione del rapportoe dalla riaffermata centralità del dato oggettivo dell’eterodirezionein ordine alla sua qualificazione.

In particolare, sul fronte della liberalizzazione del contratto atermine, il medesimo scontro si gioca anche sul terreno legislativo,nel succedersi dei governi di centro-sinistra e di centro-destra, trala riaffermazione della priorità del contratto a tempo indetermi-nato (art. 1, comma 39, legge n. 247/2007) e le incaute fughe inavanti (art. 21, comma 1, d.l. n. 112/2008, convertito in legge n.133/2008) dettate dall’esigenza di disinnescare un vasto conten-zioso segnatamente in ordine alle conseguenze sanzionatorie delladichiarata nullità del contratto a termine. Fino alla prefiguratapredeterminazione forfettaria del risarcimento del danno conse-guente alla nullità della clausola appositiva del termine, da partedel cd. collegato lavoro (art. 32, legge n. 183/2010), che comunquecontinua a lasciare spazio al libero apprezzamento del giudice inordine alla legittimità della clausola ed agli esiti di conversione delrapporto conseguenti alla nullità della stessa, difatti operando sulsolo profilo della predeterminazione dei costi, piuttosto che suquello dei poteri del datore (52).

Sull’altro fronte dell’efficienza dei criteri legali di qualifica-zione dei contratti di lavoro a progetto, con la riforma Fornero(art. 1, commi 23-26, legge n. 92/2012) il legislatore si conforma agliorientamenti giurisprudenziali confermativi del rilievo qualificato-rio dell’eterodirezione, rimettendo nuovamente al giudice la defi-nizione delle linee di demarcazione tra subordinazione e autono-mia (53), ed anzi inasprisce il costo contributivo delle co.co.pro., inchiara funzione dissuasiva dell’utilizzo della fattispecie.

(52) Cfr. Corte Cost. n. 303/2011, nel senso, in specie, della legittimità costituzionaledell’art. 32, legge n. 183/2010. Sull’odierna nuova disciplina del lavoro a tempo determinatocfr., per tutti: C. ALESSI, Il lavoro a tempo determinato dopo il d.lgs. n. 81/2015, in G. ZILIO

GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Cedam, Padova,2016, 19; L. FIORILLO, Il contratto di lavoro a tempo determinato in L. FIORILLO, A. PERULLI (acura di), Tipologie contrattuali e disciplina delle mansioni, Giappichelli, Torino, 2015, 95; L.MENGHINI, Il contratto a tempo determinato, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primobilancio, cit., 286; ID., Il lavoro a tempo determinato, in F. CARINCI (a cura di), Commento ald.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapt Labour Studiese-Book series n. 48/2015, 159.

(53) Sulla disciplina del lavoro a progetto alla luce della riforma Fornero di cui allalegge n. 92/2012 cfr., per tutti: M. NOVELLA, Lavoro subordinato, lavoro a progetto, lavoro

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Il quadro che ne risulta, tuttavia, si reputa non fornire ancorarisposta esauriente alla domanda di flessibilità che ormai, non soloil mondo delle imprese, ma la stessa Unione Europea sollecita, alcospetto della profonda e prolungata crisi dei debiti sovrani, qualefattore determinante della competitività del sistema produttivo edella crescita economica.

Onde il medesimo Jobs Act, nella sua prima fase di intervento,con il d.l. n. 34/2014 (convertito nella legge n. 78/2014) viene adincidere ulteriormente sulla flessibilità in entrata, generalizzando ilcd. principio di “acausalità” del contratto di lavoro a termine edella somministrazione di lavoro (già affermato in relazione al soloprimo contratto di lavoro e per una durata massima di dodici mesiex d.l. n. 76/2013, conv. nella legge n. 99/2013), così sostanzial-mente liberalizzandone l’utilizzo, nell’arco della durata massima ditrentasei mesi, in questo modo ampliando ancora la discrezionalitàdel potere organizzativo del datore sul versante della scelta delmodello di impiego della manodopera (54).

Sta di fatto che la questione della flessibilità in entrata risultaoggi complessivamente da riconsiderare alla luce di una serie disuccessivi svolgimenti normativi, invero non sempre univoca-mente lineari, che sono venuti a completare il disegno di riformadel Jobs Act (cfr. spec. d.lgs. n. 81/2015 e d.lgs. n. 23/2015) (55).

autonomo. La legge n. 92/2012 ridefinisce la fattispecie?, in Lav. Dir., 2012, 569 ss.; M. PALLINI,Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013, 79 ss.; P. PASSALACQUA, La nuovadisciplina del lavoro autonomo e associato. Il lavoro coordinato e a progetto, il lavoro del sociodi cooperativa, l’associazione in partecipazione dopo la “riforma Fornero”, Torino, 2012; A.PERULLI, Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del “lavoro a progetto”, in Dir. Rel.Ind., 2013, 1; G. SANTORO-PASSARELLI, Falso lavoro autonomo e lavoro autonomo economica-mente debole ma genuino: nozioni a confronto, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 103; P. TOSI, L’art.2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, in Arg. dir. lav., 2015, 1123; A.VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, Torino, 2012, 33 ss.

(54) Cfr., sempre per tutti, M. MAGNANI, La disciplina del contratto di lavoro a tempodeterminato: novità e implicazioni sistematiche, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT,n. 212/2014 e G. SANTORO-PASSARELLI (a cura di), Jobs Act e contratto a tempo determinato. AttoI, Giappichelli, Torino, 2014.

(55) Sulle guidelines e sui contenuti delle politiche e dell’impianto normativo inmateria di accesso al lavoro prefigurato dal Governo Renzi cfr.: F. CARINCI, Job act, atto II:la legge delega sul mercato del lavoro, in Arg. dir. lav., 2015, 1 e ss.; M. DEL CONTE, Il Jobs Acte la rete di servizi per l’impiego, in G. SANTORO-PASSARELLI (a cura di), Il diritto dell’occupazionedopo il Jobs Act, Giappichelli, Torino, 2016, 1; V. FILÌ, Servizi per il lavoro e misure diworkfare nel d.lgs. n. 150/2015, in M. RICCI, F. SANTONI, R. SANTUCCI (a cura di), Il diritto del

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L’affermazione, ex art. 1, d.lgs. n. 81/2015, secondo la quale « ilcontratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce laforma comune di rapporto di lavoro » è esplicitata in svolgimentodelle indicazioni europee in materia, nonché comunque in attua-zione fedele delle prescrizioni del legislatore delegante in ordinealla necessaria promozione appunto del « contratto a tempo indeter-minato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo piùconveniente rispetto agli altri tipi di contratto di lavoro in termini dioneri diretti e indiretti » (così: art. 1, comma 7, lettera b), leggedelega n. 183/2014) e dovrebbe in linea di principio valere adattenuare la facoltà di scelta del datore di lavoro per un modulo diimpiego flessibile. Ma la portata della prospettata opzione formalein favore del contratto di lavoro a tempo indeterminato è sminuitagià in partenza dalla coeva sostanziale conferma, da parte delmedesimo d.lgs. n. 81/2015, in sede di riordino dei modelli contrat-tuali (in attuazione delle prescrizioni della legge delega n. 183/2014: cfr. spec. art. 1, comma 7), sia dell’articolazione tipologicadei principali moduli di impiego flessibile (con la sola abrogazionedel lavoro ripartito, dell’associazione in partecipazione e del con-tratto a progetto: cfr. artt. 52, 53 e 55, comma 1, lettera d), d.lgs.n. 81 cit.), sia della stessa acausalità del lavoro a tempo determi-nato (art. 19, d.lgs. n. 81 cit.), già come visto liberalizzato ex d.l. n.34/2014, e della somministrazione di manodopera (art. 31, d.lgs. n.81 cit.) (56).

Al contempo, la medesima dichiarata preferenza del legislatore

lavoro all’epoca del jobs act, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2016, 313; A. GARILLI,Occupazione e Diritto del lavoro. Le politiche del lavoro del governo Renzi, in WP C.S.D.L.E.“Massimo D’Antona”.IT, n. 226/2014; D. GAROFALO, Le politiche del lavoro nel Jobs Act, D.GAROFALO, Le politiche del lavoro nel Jobs Act, cit.; A. PIZZOFERRATO, Il percorso di riforme deldiritto del lavoro nell’attuale contesto economico, in Arg. dir. lav., 2015, 1, 53; M. RICCI, Alcuneosservazioni sulla legislazione del lavoro nel biennio 2014/2015 tra flessibilità e occupazione, inM. RICCI, F. SANTONI, R. SANTUCCI (a cura di), Il diritto del lavoro all’epoca del jobs act, cit., 154ss.; P. SANDULLI, Intervento, in G. SANTORO-PASSARELLI (a cura di), Il diritto dell’occupazionedopo il Jobs Act, cit., 99; R. SANTUCCI, L’Agenzia nazionale per le politiche sul lavoro, in F.CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit., 474; E. BALLETTI, Le politiche attive epassive per l’occupazione, cit.

(56) Cfr.: V. FILÌ, Prime note sulla somministrazione di lavoro, in F. CARINCI (a cura di),Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, cit., 197 e M. LAMBERTI, La somministrazione dilavoro, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Tipologie contrattuali e disciplina dellemansioni, cit., 171, nonché già, in generale, per tutti, M. AIMO, D. IZZI (a cura di),Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Utet, Torino, 2014.

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per il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato vacomunque posta in relazione alla di poco precedente dispostariformulazione del medesimo contratto di lavoro a tempo indeter-minato nella sua versione a cd. tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015 (57). Vale a dire, una versione molto più appetibile per ildatore di lavoro rispetto al vecchio contratto di lavoro munito dicd. stabilità reale ex art. 18 St. lav., anzitutto sul piano normativo(giacché incorpora un rinnovato statuto protettivo che rafforzasensibilmente il potere datoriale nella fase estintiva del rapporto dilavoro: v. infra), ma anche in ragione dei minori costi e degli stessirilevanti incentivi previsti in relazione alla sua stipulazione ri-spetto ad un’eventuale assunzione a tempo determinato, sempre incoerenza alle su richiamate prescrizioni di cui all’art. 1, comma 7,lettera b), legge delega n. 183/2014 cit. (cfr., spec., il previstosgravio triennale dei contributi per le assunzioni a tempo indeter-minato ex art. 1, commi 118 e 119, legge n. 190/2014, confermato,seppure con importi e tempi ridotti, ex art. 1, commi 178 ss., leggen. 208/2015, nonché cfr. altresì il contributo addizionale per icontratti di lavoro a termine ex art. 2, comma 28, legge n. 92/2012).

L’introdotta maggiore flessibilità in uscita nel modello stan-dard tende infatti a sminuire la contrapposizione tra contratto dilavoro a termine e contratto a tempo indeterminato, a vantaggiodel secondo, nel momento in cui rispetto al passato questo è resomeno protettivo per il prestatore e meno oneroso per il datore dilavoro.

Tanto più se si considera che sempre il contratto di lavoro atutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015 appare altresì destinato adinglobare lo stesso confine tra subordinazione e autonomia, peral-tro anche alla luce della prevista applicazione della disciplina del

(57) Sul d.lgs. n. 23/2015 attuativo della legge delega n. 183/2014 cfr.: F. CARINCI, Uncontratto alla ricerca di una sua identità: il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (aisensi della bozza del decreto legislativo 24 dicembre 2014), in F. CARINCI, M. TIRABOSCHI (a curadi), I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, Adapt Labour Studiese-Book series n. 54/2015, 65; S. GIUBBONI, Profili costituzionali del contratto di lavoro a tutelecrescenti, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 246/2015; M. DE LUCA, Contratto dilavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e nuovo sistema sanzionatorio contro i licenzia-menti illegittimi: tra legge delega e legge delegata, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT,n. 251/2015; F. SCARPELLI, La disciplina dei licenziamenti per i nuovi assunti: impianto edeffetti di sistema del d.lgs. n. 23/2015, in WP C.S.D.L.E “Massimo D’Antona”.IT, n.252/2015.

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lavoro subordinato alle collaborazioni che si assumono qualificarsiper lo svolgimento di prestazioni organizzate dal committente« anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro » (cfr. art. 2,d.lgs. n. 81/2015), e dunque fino a quando ad esse non sia viceversada ascriversi natura autonoma (58). Ove subordinazione e autono-mia tendono a porsi in un continuum dato dallo sconfinare dall’unaall’altra area del potere datoriale di conformazione della presta-zione relativamente alle modalità di tempo e di luogo, nonchéquindi oltre lo stesso ambito dei modelli contrattuali atipici.

4. La flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro. Il degradare deilimiti al potere di licenziamento: dalla cd. stabilità “reale” ex art.18 St. lav. al contratto di lavoro a tutele crescenti.

Implicazioni con più evidenza riconducibili sul piano dei poteridatoriali riguardano il tema della flessibilità in uscita dal rapportodi lavoro, dal momento che, mentre la flessibilità in entrata attienead una fase dove in linea di principio rileva uno spazio di estrin-secazione della volontà del lavoratore, non fosse altro per il neces-sario consenso all’assunzione con una determinata figura contrat-tuale “temporanea”, la scelta di rendere meno rigida la fase estin-tiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intervenendosulle regole limitative del licenziamento, tocca direttamente ipoteri datoriali, peraltro in riferimento ad un’area particolarmente

(58) Sulla dibattuta problematica cfr.: M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione,coordinazione nel d.lgs. n. 81/2015, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 294/2016;L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. del 2015: alla ricerca dell’« autorità dal punto di vistagiuridico », in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 267/2015; A. OCCHINO, Il lavoroparasubordinato organizzato dal committente, in Mass. giur, lav., 2015, 88; M. PERSIANI, Notesulla disciplina di alcune collaborazioni coordinate, in Arg. dir. lav., 2015, 1257; A. PERULLI,Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, inWP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 272/2015; R. PESSI, Il tipo contrattuale: autono-mia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n.282/2015; G. SANTORO-PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e lecollaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c., in F. CARINCI (a cura di), JobsAct: un primo bilancio, cit., 609; P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015: una normaapparente?, cit., 1117; G. ZILLO GRANDI, Uno sguardo d’insieme: quale subordinazione e qualeautonomia nel Jobs Act, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allariforma “Jobs Act”, cit., 497 ss.; L. FOGLIA, La “stabilizzazione” della collaborazioni a progetto,ivi, 583.

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significativa quale appunto quella rappresentata dal potere dilicenziare.

Diversamente da quanto su constatato per la cd. flessibilità inentrata, l’apertura verso una flessibilità anche in uscita dal rap-porto di lavoro si è registrata solo in epoca relativamente recente,in occasione della cd. riforma Fornero, sempre in corrispondenzaalle su già richiamate ragioni dell’economia e relative istanze delmondo delle imprese nel senso di un’asseritamente necessaria at-tenuazione delle rigidità della disciplina giuslavoristica: a revisionedella normativa di tutela in materia di licenziamenti, imperniatasulla cd. tutela “reale” ex art. 18 St. lav. e rimasta sino ad allorainvariata nella valenza precettiva della disposizione statutaria,peraltro pure con alcune modifiche in senso incrementale della suaportata protettiva e relativa rigidità (cfr., spec., art. 1, legge n.108/1990, nonché per i licenziamenti collettivi artt. 4-5 e 24, leggen. 223/1991 e norme collegate).

Alla flessibilità in uscita si accede, invero, non direttamente inforza di un allentamento dei vincoli imposti ex lege al potere direcesso datoriale, bensì per via mediata, in virtù della previstaregressione delle tutele in materia di licenziamento illegittimo.Permangono infatti formalmente invariate le causali giustificativedel recesso e quindi l’area di esplicazione del potere datoriale dilicenziamento (cfr. art. 2119 c.c., legge n. 604/1966, artt. 4, 5 e 24legge n. 223/1991 e norme collegate), mentre risulta invece sensi-bilmente attenuato il regime sanzionatorio dell’esercizio illegittimodel medesimo potere datoriale (59). E la flessibilità in uscita dalrapporto di lavoro viene appunto così a manifestarsi quale effettoindiretto di tale alleggerimento del regime sanzionatorio: secondouna linea d’intervento che, già messa in campo dalla riformaFornero (cfr. art. 1, spec. comma 42, legge n. 92/2012), trovaulteriore svolgimento da parte del legislatore del Jobs Act, me-diante il richiamato cd. contratto a tutele crescenti.

Contratto a tutele crescenti che è infatti introdotto dal d.lgs. n.23/2015 in attuazione delle prescrizioni del legislatore delegante

(59) Cfr., per tutti, oltre agli autori già citati supra, sub nota n. 57: C. CESTER, Ilicenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 282/2015; L.NOGLER, I licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa nel d.lgs. n. 23 del2015, in Arg. dir. lav., 2015, 507; P. TULLINI, Il contrappunto delle riforme nella disciplina deilicenziamenti individuali, in Arg. dir. lav., 2015, 789.

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(spec. in merito alla « previsione, per le nuove assunzioni, del con-tratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzia-nità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibi-lità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendoun indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio elimitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discri-minatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare in-giustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione dellicenziamento »: così art. 1, comma 7, lettera c), legge n. 183/2014),con corrispondente marginalizzazione della cd. stabilità reale, spe-cie per i nuovi assunti, ai soli determinati casi “limite” di illegit-timità del licenziamento indicati segnatamente ex lege (cfr. artt. 2e 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015, nonché già art. 1, comma 42, leggen. 92/2012).

Il prefigurato nuovo regime vale a riportare nelle mani deldatore di lavoro il potere di recesso nella sua materiale effettività.Atteso l’operare dell’ormai pressoché generalizzato regime sanzio-natorio solo risarcitorio e, quindi, meramente economico, peraltroanche relativamente blando nel quantum (id est, due mensilitàdell’ultima retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio e nellimite massimo di ventiquattro mensilità: art. 3, comma 1, d.lgs. n.23/2015), infatti, anche a fronte di un licenziamento illegittimo, ildatore può il più delle volte comunque far valere l’effettività delsuo recesso (anche se contra legem e sobbarcandosi il solo oneredella sanzione economica) e, dunque, ottenere di fatto il risultatodella risoluzione materiale della relazione contrattuale. Con buonapace di quella che senz’altro può essere definita la “prima” dellerigidità normative statutarie poste a tutela del lavoro subordinato:vale a dire, la cd. stabilità “reale” ai sensi del previgente art. 18 St.lav., la cui portata da regola generale — come riconosciuto dallagiurisprudenza segnatamente all’esito dell’intervento della Cortedi Cassazione a Sezioni Unite del 2006 (60) — diviene oggi ormaimeramente residuale, all’esito del successivo intervento prima daparte della legge n. 92/2012 e, poi, del d.lgs. n. 23/2015; con lanatura della tutela del vincolo contrattuale che, già reale, è affie-

(60) Cfr. Cass. Sez. Un. n. 141/2006. Un’efficace ricostruzione dell’evoluzione dell’in-terpretazione in tema di diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro quale regola generalerispetto alla tutela meramente risarcitoria in M. MARINELLI, L’onere della prova del requisitodimensionale nel rapporto di lavoro, in Giur. it., 2014, 209.

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volita in meramente “obbligatoria”, venendo così la possibilità diestinzione di detto vincolo contrattuale a rientrare tendenzial-mente nella disponibilità delle parti e, spec., del datore di lavoroquale “parte forte” nella relazione obbligatoria (61).

Senza qui volersi addentrare in una disamina dei casi diresidua operatività della cd. tutela reale ex art. 18 St. lav., èevidente il mutamento di prospettiva indotto da una tale riappro-priazione da parte del datore della facoltà di decisione in meritoall’esistenza, ovvero estinzione della relazione contrattuale, speci-ficamente sul piano dei rapporti di forza all’interno della medesimarelazione contrattuale, con ricadute sostanziali rispetto allo stessoesercizio dei poteri datoriali in generale (62).

La regressione in forma essenzialmente solo monetaria dellatutela contro il licenziamento illegittimo, così come stabilita dallegislatore del Jobs Act, costituisce infatti per il datore di lavoro« un presidio essenziale della propria autorità », giacché « garantiscela compliance alle regole, sia disciplinari che economiche, dell’orga-nizzazione, e quindi la sua efficienza, e, alla fine, la sua competiti-vità ». Per cui a realizzarsi è « un ripiego inesorabile della logicastatutaria, che registra un recupero dei valori dell’efficienza, dellaproduttività e della competitività delle imprese rispetto all’istanza diriequilibrio di poteri nell’ambito dei rapporti individuali di lavoro esui luoghi di lavoro (nelle imprese medio-grandi) » (63).

Onde quella che è stata definita la « valorizzazione del potereaziendale attraverso il sostanziale ripristino della libertà di licen-ziare » (64). Con l’autorità dell’impresa che risulta infatti sensibil-mente rafforzata al di là del rinnovato regime normativo oggetti-vamente molto più soft dei licenziamenti, appunto in ordine all’a-rea di esplicazione dei poteri datoriali. E ciò in quanto vienerealisticamente a diminuire un’effettiva possibilità di resistenza al

(61) Cfr. amplius, per tutti, anche per ogni ulteriore riferimento in argomento, C.CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, cit.., nonché L. VENDITTI, Le nuove regole sanzionatoriedel licenziamento: una lettura in controluce, in Mass. giur. lav., 2016, 662.

(62) In riferimento all’incidenza della nuova disciplina in materia di licenziamenti inrelazione alla tematica dello jus variandi, cfr. F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione delladisciplina delle mansioni, cit., 16 ss.

(63) Così A. TURSI, L’articolo 18 e il “contratto a tutele crescenti”, in Dir. rel. ind., 2014,926.

(64) Così U. ROMAGNOLI, Jobs Act. Una storia di inganni, furbizie e apparenzefalsificanti, in www.inchiestaonline.it, 9 aprile 2016.

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riguardo da parte del prestatore: un prestatore già debole nella fasedi ingresso nel rapporto di lavoro, nella scelta del modulo contrat-tuale di impiego (e del relativo standard regolamentare), alla lucedell’ampia flessibilità cd. in entrata che si è visto essere andatastratificandosi nel tempo, e che si rivela parimenti debole rispettoalla fase estintiva della relazione contrattuale, giacché nella granparte dei casi di fatto impossibilitato a potersi opporre alla deter-minazione del datore di estinzione della medesima relazione con-trattuale (a parte la su richiamata mera sanzione economica).

È infatti da convenire che la mancanza della disponibilità diuna tutela reale in merito al rischio-eventualità della perdita delposto di lavoro venga ad indebolire notevolmente il prestatore inogni sua manifestazione sul luogo di lavoro, nonché in generalenella possibilità di tutela effettiva dei suoi diritti ed interessi: così,ad esempio, al cospetto di un esercizio illegittimo dei poteri dato-riali, di condizioni di lavoro insicure o lesive della sua dignità ecomunque in ragione delle inevitabili remore da parte di un lavo-ratore “instabile” a far valere le sue ragioni e/o ad attivarsisindacalmente (65). Ciò come del resto dimostrato già dalla stessaben nota interpretazione consolidata in tema di sospensione delladecorrenza della prescrizione in corso di rapporto per i diritti dellavoratore in mancanza dell’applicazione inter partes di un regimedi stabilità reale ex art. 18, legge n. 300/1970 “vecchia for-mula” (66).

Il tutto in termini che, come si vedrà più avanti, appaiono oggida considerare con particolare attenzione in riferimento ai nuovi

(65) F. SCARPELLI, Guida ragionata al Jobs Act, in www.wikilabour.it, 24 febbraio 2015.(66) Cfr. fondamentalmente Corte Cost. n. 174/1972 (e v. anche già Corte Cost. n.

143/1969, nonché precedentemente Corte Cost n. 63/1966 e n. 39/1969), alla cui interpreta-zione si è notoriamente uniformata la giurisprudenza di legittimità, in particolare a partireda Cass. Sez. Un. n. 1268/1976 (cfr., conf., per tutte, Cass. n. 38/2001), anche con laprecisazione del necessario apprezzamento del presupposto della stabilità reale del rapportodi lavoro — appunto ai fini dell’eventuale decorrenza della prescrizione in corso di rapporto— in riferimento al concreto atteggiarsi dello stesso rapporto di lavoro e alla configurazioneche di esso danno le parti nell’attualità del suo svolgimento, senza che in proposito possarilevare il solo successivo accertamento giudiziale dell’applicazione del medesimo regime dicd. stabilità reale ex art. 18, legge n. 300/1970, con una valutazione « necessariamente expost », in luogo della diversa normativa illegittimamente imposta dal datore al prestatore dilavoro (cfr. Cass. Sez. Un. n. 4942/2012 e, conf., Cass. n. 1717/2009, 23227/2004, 11644/2004,9839/2002, 325/2002 e 4520/2000).

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spazi di esplicazione che il legislatore del Jobs Act riconosce all’au-tonomia individuale nella determinazione dell’area di esercizio deipoteri datoriali in materia di mansioni, jus variandi e cd. controllia distanza, peraltro anche in via segnatamente derogativa delledisposizioni in proposito (cfr., rispettivamente, art. 3, d.lgs. n.81/2015 e art. 23, d.lgs. n. 151/2015).

5. La flessibilità interna al rapporto di lavoro. La revisione dellanormativa statutaria in tema di poteri del datore di lavoro nellerecenti riforme.

Si è già detto dell’obiettivo economico e segnatamente dicarattere occupazionale al cui perseguimento è rivolta la riforma.

È infatti al dichiarato fine di « rafforzare le opportunità diingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca dioccupazione » e di « riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderlimaggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazio-nale e produttivo » (art. 1, comma 7, legge n. 183/2014) che il JobsAct viene a dare riscontro alle diffuse istanze da parte delle impresee alle rimarcate ragioni politico-economiche anche sul piano inter-nazionale nel senso di una necessaria revisione delle rigidità dellanormativa giuslavoristica.

Pur al cospetto delle consistenti dosi di flessibilità che si è vistoessere state introdotte in relazione alle fasi iniziale e finale delrapporto di lavoro, continua a rilevarsi l’eccessiva onerosità e percerti versi anche l’anacronismo di una tale normativa che, a tuteladei diritti fondamentali della persona del prestatore esplicitatidallo Statuto dei lavoratori, è andata strutturandosi in chiavevincolistica e inderogabile rispetto all’esercizio dei poteri datoriali.Specie in considerazione dei su richiamati profondi mutamenti delcontesto economico-produttivo ed occupazionale di riferimento,anche sulla scorta del sempre più incessante incedere delle inno-vazioni tecnologiche, secondo svolgimenti in larga parte nemmenoimmaginabili e comunque non considerati dal legislatore del 1970.Ove, oltre alla valutazione di eccessiva gravosità e di non confor-mità agli interessi delle imprese delle rigidità della normativa inparola, si aggiunge anche il rilievo, a distanza di oltre quarant’annidall’emanazione dello Statuto dei lavoratori, dell’oggettiva diffi-coltà di riconduzione esaustiva della profondamente mutata realtà

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delle relazioni di lavoro negli immutati argini della disciplinastatutaria, con le conseguenti inevitabili forzature e le relativeincertezze indotte pure da interpretazioni fatalmente non univo-che della giurisprudenza e della stessa dottrina. Ed ove, pertanto,a parte l’alleggerimento delle rigidità e dei vincoli normativi, anchela pressante istanza da parte delle imprese di aggiornamento delladisciplina legislativa e di una sua maggiore certezza.

Reputato che un intervento di allentamento della disciplinagiuslavoristica circoscritto alle sole estremità iniziale e finale dellarelazione contrattuale non potesse valere nel senso della perseguitainversione in termini positivi del trend economico-occupazionale, èsu queste basi che si determina l’innovativo cambio di registro, daparte del legislatore del Jobs Act, dell’estensione dello spettrodell’intervento riformatore anche alla fase di gestione della mano-dopera nel corso dello svolgimento della relazione contrattuale.

La flessibilità viene così a varcare i confini del rapporto dilavoro per incidere sull’area di esercizio dei poteri datoriali, peral-tro in riferimento allo snodo cruciale delle mansioni, e quindi (delladeterminazione e relative possibili modificazioni) dell’oggetto dellaprestazione e del corrispondente ambito dell’obbligazione del la-voratore, oltreché alla tematica dei controlli a distanza. In en-trambi i casi con riscrittura in toto delle rispettive discipline e,comunque, con mutamento sostanziale delle previgenti disposi-zioni del legislatore statutario (cfr. art. 3, d.lgs. n. 81/2015 e art. 23,d.lgs. n. 151/2015): innegabilmente nel senso di un ampliamentodella discrezionalità di esercizio delle prerogative datoriali e direlativa rimodulazione delle corrispondenti tutele in favore delprestatore di lavoro, ma senza che la vicenda possa riduttivamenteritenersi risolvere in una mera valutazione di incremento oppureriduzione dell’autorità datoriale e/o dell’apparato di protezionerilevante in favore del lavoratore.

Lungi da una variazione di semplice carattere come dire“quantitativo” dell’area di estensione dei poteri datoriali ovverodelle tutele del lavoratore, a rilevare è, piuttosto, come anticipato,la ridefinizione delle regole di effettiva esplicazione dei medesimipoteri datoriali secondo moduli ed in termini in parte inediti ecomunque “qualitativamente” innovativi, peraltro anche in me-rito alla fondamentale caratteristica dell’inderogabilità e indispo-nibilità della norma giuslavoristica, in virtù degli ambiti di flessi-bilità rispetto all’ipotesi regolamentare ordinaria delle prerogative

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datoriali cui si prevede che il datore di lavoro possa accedere sia invia unilaterale sia previa la mediazione dell’autonomia contrat-tuale collettiva o anche individuale (cfr. ad es., rispettivamente,commi 2, 4 e 6 del nuovo art. 2103 c.c.).

Il tutto comunque nel quadro del disegno generale di riforma,nonché, in particolare, in corrispondenza alla sempre maggioreflessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro alimentatedal medesimo Jobs Act, e che si è constatato influire inevitabil-mente sulle medesime posizioni soggettive “interne” al rapporto dilavoro e sui loro concreti svolgimenti: alla luce del cambiamentosostanziale di scenario di quelle che sono le dinamiche interperso-nali tra datore di lavoro e prestatore generalmente considerateindotto dal rilevato superamento della stabilità del rapporto dilavoro “statutaria” conseguente alla rimarcata incrementata libe-ralizzazione delle tipologie e modalità d’impiego della manodopera,unita alla marginalizzazione della tutela reintegratoria ex art. 18,St. lav. a casi ormai solo residuali di illegittimità del recessodatoriale. Ciò, in particolare, sul piano delle relazioni di forzadatore-prestatore di lavoro e dello stesso grado di effettività delladisciplina giuslavoristica: essendo da convenire che la pretesa dellavoratore all’applicazione della disciplina giuslavoristica e comun-que alla tutela giudiziaria dei suoi diritti tenda a degradare in viadirettamente proporzionale alla minore stabilità della sua relazionecontrattuale. Così come si è già ricordato essere stato valutato asuo tempo dalla Corte Costituzionale nel delimitare il possibiledecorso della prescrizione dei crediti in costanza di rapporto dilavoro appunto in ragione dell’operatività della tutela reale ex art.18 St. lav. E, d’altro canto, come confermato, in concreto, dalnotorio sensibile decremento dei dati del contenzioso giudiziarioregistratosi al cospetto dell’erosione di detto regime di stabilitàreale già nei termini stabiliti mediante le legge Fornero (cfr. art. 1,comma 42, legge n. 92/2012 e disposizioni collegate), oltreché, delresto, pure dalla subito rimarcata esigenza di riconsiderazione dellastessa questione del decorso della prescrizione in costanza di rap-porto di lavoro a fronte del degradare di siffatto regime di stabilitàgià ai sensi della legge Fornero (67) e tanto più, allora, valga qui

(67) Nel senso della non decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto dilavoro, alla luce dell’intervento della legge n. 92/2012, cfr.: C. CESTER, I quattro regimisanzionatori del licenziamento illegittimo fra tutela reale rivisitata e nuova tutela indennitaria,

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solo segnalare, in riferimento al cd. contratto a tutele crescenti exd.lgs. n. 23/2015 (68).

Sta di fatto che, in funzione della finalità lato sensu occupazio-nale cui si è detto essere dichiaratamente orientato il disegno diriforma, in sede di Jobs Act l’evidenziato declinare degli standarddi protezione del lavoro subordinato e il corrispondente tenden-ziale ampliamento della discrezionalità di esercizio delle preroga-tive datoriali risultano senz’altro messi in conto e, anzi, segnata-mente perseguiti appunto per promuovere un incremento delladomanda di manodopera.

Ma con una tale finalità lato sensu occupazionale che, in realtà,è da constatarsi come tenda a rilevare, nell’ipotesi, non già nell’in-teresse delle parti contrattuali e tanto meno in correlazione allacausa della fattispecie contratto di lavoro, bensì piuttosto in rife-rimento a finalità e interessi essenzialmente “terzi” rispetto almedesimo contratto di lavoro: vale a dire, come precisato dallegislatore delegante, nell’interesse di « coloro che sono in cerca dioccupazione » e, in specie, per « rafforzare le opportunità (di costoro)di ingresso nel mondo del lavoro » (art. 1, comma 7, legge n. 183/2014). Il che, peraltro, in via innovativa anche rispetto alla stessaesperienza legislativa pure recente in materia occupazionale, che,infatti, anche quando incidente sulle posizioni soggettive inerential contatto di lavoro, è risultata pressoché costantemente calibratain riferimento agli interessi delle parti del medesimo contratto dilavoro, e segnatamente del prestatore-parte debole. Così, ad esem-pio, il d.lgs. n. 276/2003 (cfr. art. 1, comma 1), che, enunciata la suafinalizzazione anche « ad aumentare i tassi di occupazione », assumecomunque quale suo principio cardine quello del rispetto delledisposizioni di cui alle leggi n. 300/1970, n. 903/1977 e n. 125/1991,

in ID. (a cura di), I licenziamenti dopo la legge n. 92 del 2012, Cedam, Padova, 78 ss.; L.GALANTINO, La riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti individuali illegittimi: lemodifiche all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in G. PELLACANI (a cura di), Riforma dellavoro, Giuffrè, Milano, 2012, 266; S. MAINARDI, Prescrizione dei crediti retributivi del lavora-tore tra vecchi e nuovi concetti di stabilità del rapporto di lavoro, in Giur. it., 2013, 884 ss.; A.VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, cit., 61 e s.. In senso diverso cfr. invece A. MARESCA,Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dell’art. 18 Statuto deilavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, 454 e F. SANTONI, La decorrenza della prescrizione deicrediti di lavoro e la legge n. 92/2012, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 896.

(68) Una prima valutazione della questione in V. MAIO, Stabilità e prescrizione nelcontratto cd. a tutele crescenti, in Arg. dir. lav., 2015, 545.

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nonché la promozione della “qualità” e della “stabilità” del lavoro(evidentemente in primo luogo in favore degli occupati). E analo-gamente la stessa legge n. 92/2012, che parimenti afferma qualesuo obiettivo la “qualità” dell’occupazione (cfr. art. 1, comma 1).

Ora, sino a che punto è accettabile che diritti fondamentaliattinenti alla dignità e alla tutela della persona del lavoratore,quali quelli in tema di mansioni, jus variandi e controlli a distanzasui quali viene ad incidere la riforma (v. infra), possano risultareerosi in funzione del perseguimento (pure in via solo generica,eventuale e indeterminata) di interessi “terzi” rispetto al mede-simo prestatore e, comunque, rispetto alla stessa relazione contrat-tuale di lavoro interindivinduale? La questione appare problema-tica, anche perché è in linea di principio da escludere l’eventualitàdi una funzionalizzazione del contratto di lavoro a interessi siapure di carattere generale che siano “terzi” rispetto al sinallagmacontrattuale, quale appunto l’interesse di soggetti disoccupati alreperimento di un’occupazione, così come parimenti un medesimointeresse generale all’incremento dei tassi di occupazione. Ciò allaluce del quadro dei valori costituzionali, nonché secondo quantodel resto significativamente acclarato in ordine alla notoriamentenegata possibilità di una funzionalizzazione dell’attività econo-mica privata al perseguimento di interessi pubblici (69).

In via di compensazione rispetto al degradare delle tutele “nel”rapporto di lavoro e alle stesse dosi di flessibilità in entrata e inuscita che il Jobs Act si è visto venire a prevedere, è in ogni casoprefigurato il riassetto delle provvidenze e trattamenti in generedisponibili per il prestatore “fuori” dalla relazione lavorativa e nelmercato del lavoro.

Con le politiche attive e passive per l’occupazione che, infatti,risultano parte integrante del disegno di riforma, in forma diridefinizione complessiva dei trattamenti di tutela della mancanzadi lavoro e dello stesso intervento statale nella materia occupazio-nale complessivamente considerata. Parte integrante in quanto

(69) Cfr., fondamentalmente, G. MINERVINI, Contro la funzionalizzazione dell’impresaprivata, Riv. dir. civ., 1958, 618 ss. Per una valutazione della questione anche in relazioneal « corretto esercizio dei poteri datoriali », cfr. C. CESTER, La diligenza del lavoratore, in C.CESTER, M.G. MATTAROLO, Diligenza e obbedienza nel rapporto di lavoro. art. 2104, in Il Codicecivile. Commentario fondato da P. SCHLESINGER, diretto da F.D. BUSNELLI, Giuffrè, Milano,2007, 175 ss.

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l’opzione di fondo emergente dalla legge delega n. 183/2014 (cfr.,spec., art. 1, commi 1-4 e 7) e confermata e sviluppata nei succes-sivi decreti legislativi di sua attuazione (cfr., spec., dd.lgs. nn. 22,23, 81, 148 e 151/2015) è quella di un’azione combinata, in virtùdella quale alla ridefinizione delle politiche per l’occupazione siaddiviene appunto a bilanciamento dell’incrementata flessibilitànella gestione della manodopera cui è dato ampiamente corso, nonpiù soltanto con riguardo alle fasi “iniziale” e “finale” del rapportodi lavoro, ma anche a quella “interna” e, quindi, allo stessosvolgimento della relazione contrattuale. Ove l’ipotesi è cioè cheuna tale sensibilmente aumentata flessibilità in riferimento airapporti di lavoro e comunque la rideterminazione essenzialmenteal ribasso degli standard di tutela nell’ambito del contratto dilavoro siano compensate da una maggiore sicurezza per il presta-tore nel mercato del lavoro, nel solco dell’idea europea della cd.flexicurity (cfr. già Consiglio europeo di Barcellona del 15-16 marzo2002, nonché, conf., relazione del 24 gennaio 2002 della Commis-sione europea in tema di incremento del tasso di partecipazione almercato del lavoro nell’Ue, e, in seguito, Libro Verde della Com-missione europea del 22 novembre 2006): la quale, almeno negliauspici, dovrebbe valere a « garantire, da un lato, alle imprese quellaadattabilità necessaria per rispondere alle sfide del mercato globale e,dall’altro, ai lavoratori, soprattutto a quelli svantaggiati (giovani edonne), il superamento della segmentazione del mercato del lavorograzie alla sua “fluidificazione” » (70). Il che, peraltro, come soprarimarcato, secondo un’impostazione già delineata in sede di ri-forma Fornero, in virtù della ivi prefigurata ridefinizione delleprovvidenze della mancanza di lavoro in una alla rimodulazionedella disciplina in tema di tipologie contrattuali e di flessibilità inuscita dal rapporto di lavoro (artt. 1-4, legge n. 92/2012).

(70) Così M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi, cit., 532, tuttaviaosservando che, nei fatti, nel dibattito che è seguito alla pubblicazione del Libro Verde e inmodo ancora più marcato nel periodo successivo alla crisi economica del 2008, il concetto diflexicurity si sia andato « stemperando talmente tanto da finire per indicare più che unmodello regolativo, una strategia politica per la riforma dei diritti del lavoro nazionali »,come confermato dalla circostanza che proprio dagli atti della Commissione « sembraemergere che i concetti di “flessibilità” e di “sicurezza” riguardino tanto il rapporto quantoil mercato del lavoro, così da poter trovare molteplici modalità di bilanciamento, combi-nandosi variamente sull’uno e sull’altro piano ». In argomento v. anche gli autori già citatisupra sub note nn. 17-19.

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Permane da stabilire fino a che punto il degradare delle tutelein merito a diritti fondamentali attinenti alla dignità e alla tuteladella persona del lavoratore “interni” al contratto di lavoro possatrovare compensazione plausibile in un tale prospettato incre-mento delle tutele occupazionali “esterne” al contratto di lavoro,peraltro allo stato di là da venire e comunque tutto da dimostrare.

Così come permane più in generale da valutare se, e in chemisura, quelli che sono i propositi (enunciati e non) alla base dellariforma trovino poi reale attuazione e, in particolare, per quello chequi più interessa, quali ne siano gli svolgimenti e le concreteimplicazioni sul piano dell’esercizio dei poteri datoriali.

6. Mansioni, jus variandi e inquadramenti alla luce del nuovo art.2103 c.c.

Di carattere radicale è il cambiamento delineato in ordine alleprerogative datoriali in materia di mansioni, cd. jus variandi e,quindi, di determinazione dell’oggetto dell’obbligazione lavorativaalla luce della nuova versione dell’art. 2103 c.c. ex art. 3, d.lgs. n.81/2015, nel senso di un sensibile ampliamento della gamma dimansioni assegnabili al prestatore in via orizzontale e, in alcunicasi, anche inferiore rispetto alle precedenti.

In virtù della sostituzione del precedente criterio statutariodella “equivalenza” con quello della riconducibilità « allo stessolivello e categoria legale di inquadramento » (così comma 1, art. 2103c.c. “nuova formula”), a mutare è, in realtà, lo stesso parametro dideterminazione delle mansioni in quella che è la loro natura e ilrelativo peso-valore, nonché i termini di concreta comparazionereciproca delle medesime diverse mansioni. Ciò con effetto inno-vativo obiettivamente dirompente, rispetto al testo previgente e aiconsolidati indirizzi interpretativi in materia, con prospettive dievoluzione in tema di inquadramento e gestione della manodoperache permangono tutte da verificare, probabilmente al di là dellestesse motivazioni e intendimenti alla base della riforma, chealmeno per certi versi appaiono infatti anche sopravanzati dallaportata della versione rinnovata della norma codicistica.

Posta la risaputa generale considerazione del limite previgentedella “equivalenza professionale” e, quindi, secondo l’interpreta-zione prevalente, della professionalità acquisita dal prestatore

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nello svolgimento della relazione lavorativa (71), in risposta al-l’istanza da parte delle imprese di alleggerimento dei vincoli delladisciplina statutaria, il nuovo criterio è funzionale a sganciare lojus variandi dalle rigidità indotte dalla professionalità ed anchedalle incertezze che almeno in alcune ipotesi poteva determi-nare (72), per riportarlo ad un parametro oggettivo indubbiamentepiù esteso, che esclude giudizi di valore, ma anche di apparente piùagevole lettura, quale appunto lo « stesso livello e categoria legale diinquadramento ». Ove risulta in proposito implicitamente presup-posto il rinvio ai sistemi di inquadramento delle mansioni e dellequalifiche e anche di definizione delle stesse categorie legali chesono opera della contrattazione collettiva (73), con la determina-zione della portata concreta del precetto legale così di fatto rimessaalle intese sindacali, fermo restando che non possa in teoria esclu-dersi al riguardo un inquadramento stabilito con autonoma disci-plina unilaterale aziendale, quale ad es. il cd. regolamento d’im-presa (74). Mentre a cambiare è evidentemente anche il bene-interesse posto a limitazione della discrezionalità datoriale: non piùla professionalità maturata dal prestatore in ragione del suo per-corso lavorativo, ma invece il formale livello e la categoria diinquadramento da lui acquisiti (75).

È evidente l’analogia con il sistema degli inquadramenti e della

(71) Amplius, per tutti, M. BROLLO, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act, inArg. dir. lav., 2015, 1161.

(72) Cfr. F. BASENGHI, Le ragioni di un cambiamento in F. BASENGHI, A RUSSO (a curadi) Flessibilità, sicurezza e occupazione alla prova del Jobs Act, Giappichelli, Torino, 2016, 14ss. e A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organizzativa e tutela delprestatore di lavoro (in corso di pubblicazione su Dir. lav. rel. ind.).

(73) Cfr., da ult., C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni,Giappichelli, Torino, 2015, 38, peraltro pure rilevando la sindacabilità in sede giudiziariadella congruenza « delle valutazioni a tal proposito previste dal contratto collettivo, in forzadella norma legale, sia pure a precetto generale, di cui all’art. 2095 c.c ». E conf. già, pertutti, F. LISO, Categorie giuridiche (voce), in Enc. Giur. Treccani, Istituto della EnciclopediaItaliana, Roma, 1986, 8 (estratto). In giurisprudenza, sempre per tutte Cass. nn. 12253/2015, 1916/2015, 27239/2014, 4989/2014, 15010/2013.

(74) Cfr. così M. MISCIONE, Jobs act: le mansioni e la loro modificazione, in Lav. giur.,2015, 437 ss. e, conf., A. BELLAVISTA, Il nuovo art. 2103 c.c. nel Jobs Act, in www.dirittisocialicittadinanza.org, 2015, 2, e M. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1162.

(75) Cfr. ancora M. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1161, che in particolareindividua quale « bene tutelato dal legislatore ... (la) professionalità “classificata” in astrattoin un determinato contesto organizzativo aziendale ».

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mobilità nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministra-zioni, per il quale l’area di inquadramento è stabilita ex lege (art.52, d.lgs. n. 165/2001 e modiff. succ.) (76). Ma, al di là delle finoralimitate ipotesi di inquadramento per aree professionali che siregistrano in determinati settori del lavoro privato (come ad esem-pio nel caso del CCNL del credito), permane tutta da vagliarel’attitudine degli attuali sistemi di inquadramento di cui allacontrattazione collettiva a valere quale adeguato mezzo di inte-grazione della rinnovata disciplina legale (77), in quanto struttu-rati secondo logiche e moduli che, almeno allo stato, nella largamaggioranza dei casi non paiono calibrati in relazione all’attivitàin questo senso oggi richiesta all’autonomia sindacale. Pur alcospetto del ruolo cruciale che le va a conferire, infatti, il nuovoart. 2103 c.c. appare singolarmente formulato senza considerarel’esperienza sindacale al riguardo, in divergenza da quelli che nesono i reali svolgimenti e, quindi, aprendo il campo — non è datosapere quanto consapevolmente — ad una necessaria opera dirobusta revisione degli odierni sistemi di inquadramento e comun-que di loro aggiornamento alle rinnovate guidelines legislative.

Palese è, invero, la discrasia che tra l’altro si registra già inrelazione al largamente invalso modello del cd. inquadramentounico in virtù dell’introdotto limite dell’invarianza della categorialegale ai sensi del comma 1 del nuovo art. 2103 c.c.: che, inriferimento ad una almeno teorica mobilità già prefigurabile segna-tamente tra le categorie impiegatizia e operaia alla luce del regimeprevigente (78), pare porsi quale vincolo aggiuntivo alla discrezio-nalità datoriale, in controtendenza, sul punto, rispetto all’amplia-mento delle prerogative del datore di lavoro cui viene viceversa ad

(76) Cfr. F. AMENDOLA, La disciplina delle mansioni nel d.lgs. n. 81 del 2015, in WPC.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 291/2015, 10 s. e U. GARGIULO, Lo jus variandi nel« nuovo » art. 2103 c.c., in Riv. giur. lav., 2015, I, 620.

(77) M. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1161; E. GRAGNOLI, L’oggetto delcontratto di lavoro privato e l’equivalenza delle mansioni, in Variazioni su Temi di Diritto delLavoro, 2016, 13 ss.; C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, cit., 36 ss.;F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni, cit.; C. ZOLI, Ladisciplina delle mansioni, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Tipologie contrattuali edisciplina delle mansioni, cit., 333 ss.

(78) Cfr., ad es., per tutte, Cass. n. 15098/1985.

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accedere in via generale la riforma del Jobs Act in tema di jusvariandi (79).

Ma l’aspetto di maggiore criticità è rappresentato dall’esseregli odierni sistemi di inquadramento notoriamente funzionali allavalutazione delle mansioni al fine essenziale della determinazionedel corrispettivo trattamento retributivo a carico del datore (80),in ragione della classificazione delle medesime mansioni e dellerelative qualifiche sulla base di quello che l’autonomia collettivastima esserne il valore intrinseco, a prescindere dalla precipua loroidentità professionale: sulla scorta di una scala variamente artico-lata di livelli di inquadramento a composizione professionalmentedel tutto eterogenea, in quanto ciascuno ricomprendente mansionie relative qualifiche dai connotati e contenuti professionali i piùvari e disomogenei, fermo restando il solo trait d’union dellariconduzione ad un comune corrispondente standard retributivo.

Mentre l’assunzione della classificazione delle mansioni in sededi inquadramenti quale indice della loro possibile variazione, daparte del comma 1 del nuovo art. 2103 c.c., ne importa invece ilrilevare quale parametro di determinazione dei contenuti dellaprestazione individuabili concretamente mediante lo jus variandie, quindi, una funzione essenzialmente non considerata in sede dicostruzione degli attuali sistemi di inquadramento, salvo quelleesperienze negoziali che attraverso le aree contrattuali già hannovalorizzato l’inquadramento contrattuale in funzione delle man-sioni esigibili.

6.1. Lo jus variandi cd. orizzontale.

Al cospetto dell’odierna classificazione di natura eminente-mente “aprofessionale” di mansioni e qualifiche da parte dell’au-tonomia collettiva, la rimodulazione dello jus variandi sulla scortadel nuovo limite dello « stesso livello e categoria legale di inquadra-

(79) Il previsto condizionamento della legittimità dell’esercizio dello jus variandi alrispetto della categoria legale è valutato da A. GARILLI (La nuova disciplina delle mansionitra flessibilità organizzativa e tutela del prestatore di lavoro, cit.) “poco comprensibile” ecomunque inidoneo ad assicurare adeguata tutela alla professionalità del prestatore dilavoro in luogo del previgente criterio dell’equivalenza professionale.

(80) F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni, cit., 8 eM. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1164.

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mento » induce il potenziale sensibile ampliamento dell’area deldebito e dei contenuti dell’obbligazione a carico del prestatore dilavoro, in virtù della sua possibile assegnazione a mansioni ancheaffatto diverse e professionalmente eterogenee, con il solo predettovincolo del loro rientrare nello stesso livello e categoria legale.

Benché obiettivamente in linea con il nuovo testo dell’art.2103 c.c., una dilatazione in tale misura dello jus variandi tendetuttavia a rivelarsi irrealistica e, comunque, sotto più aspettianche tecnicamente insoddisfacente (81), finendo peraltro per so-pravanzare preterintenzionalmente la medesima istanza di incre-mento della flessibilità delle prerogative datoriali alla quale illegislatore ha inteso fornire riscontro.

Messa naturalmente da parte l’inverosimile ipotesi di lavora-tori professionalmente onnivalenti, la questione appare anzituttoda valutare già sul piano della stessa possibilità, determinazionee/o determinabilità dell’oggetto del contratto, e segnatamentedell’oggetto dell’obbligazione a carico del prestatore ex art. 1346c.c. (e norme collegate): che, infatti, è almeno in parte da reputarsirealisticamente impossibile e, prima ancora, non adeguatamentedeterminato se si assume che, posta la qualifica-mansioni di assun-zione (o comunque le qualifiche-mansioni acquisite successiva-mente), si abbia un’indistinta estensione dell’area del debito acarico del lavoratore anche a tutte le altre qualifiche-mansionirientranti nel medesimo livello e categoria legale di inquadra-mento. E ciò in quanto la variazione delle medesime qualifiche-mansioni è in questo senso disponibile da parte del datore di lavoroquale esplicazione del potere di conformazione della prestazionelavorativa alle sue esigenze-utilità (82), senza che a stretto rigorene risulti nemmeno una modificazione dell’oggetto della medesimaprestazione, giacché riportato all’intera gamma delle eterogenee

(81) Cfr. E. GRAGNOLI, L’oggetto del contratto di lavoro privato e l’equivalenza dellemansioni, cit., 9 ss., che, sulla scorta della posizione della giurisprudenza in argomento (spec.Cass. n. 5513/2008), osserva pure come già in linea generale il necessario « requisito delladeterminatezza o della determinabilità » dell’oggetto del contratto possa risultare « pregiu-dicato qualora la prestazione sia scelta da un solo contraente ».

(82) Fondamentalmente M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, cit., nonchépiù di recente, per tutti, anche per i riferimenti del caso, A. PERULLI, Il potere direttivo e i suoilimiti generali, cit., 611 ss.; V. FERRANTE, Potere e autotutela nel contratto di lavoro subordinato,cit., 11 ss.; M. MARAZZA, Limiti e tecniche di controllo sui poteri di organizzazione del datore dilavoro, cit., 1271 ss.

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qualifiche-mansioni rientranti nel livello e categoria legale di in-quadramento di pertinenza del singolo lavoratore.

Quale fattore di bilanciamento al cospetto di un così estesoampliamento delle prerogative datoriali rileva l’obbligo formativoaffermato ex comma 3 del nuovo art. 2103 c.c. in via generale, edunque in riferimento alla mobilità sia orizzontale sia discen-dente (83) sia anche ascendente. Obbligo formativo che, però, nonpare poter valere a soluzione delle problematiche poste dallarinnovata disciplina, stante la sua enunciazione meramente gene-rica, tecnicamente imprecisa e tale da generare di per sé una seriedi incertezze.

Emblematiche sono le riserve avanzate in ordine alla stessaindividuazione nel datore di lavoro, e non invece nel prestatore, delsoggetto in tal senso obbligato, con tutti i relativi interrogativi chene conseguono, nel caso di “mancato adempimento” all’obbligoformativo, in punto di esigibilità o meno della prestazione lavora-tiva, oppure, viceversa, se si reputa obbligato il lavoratore, inmerito alla possibile contestazione al medesimo dell’inadeguatezzadella sua prestazione lavorativa (a parte la sanzionabilità in sésempre del lavoratore per il venir meno ai suoi doveri di forma-zione). E tanto, oltre al pertinente rilievo per il quale relativa-mente al datore di lavoro sarebbe comunque più propriamente daparlarsi non già di un obbligo, ma piuttosto di un onere di forma-zione, evidenziandosi che — stante la precisata esclusione dellanullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni a fronte delmancato adempimento al predetto obbligo formativo ex comma 3,art. 2103 c.c. — l’individuazione del datore quale obbligato nonsarebbe logicamente conciliabile con l’eventualità che « il soggettoinadempiente possa comunque vantare una pretesa alla presta-zione » (84).

(83) Cfr., conf.: M. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1169; F. LISO, Breviosservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni, cit., 11 s.; M. MISCIONE, Jobs act:le mansioni e la loro modificazione, cit. 444; L. PAOLITTO, La nuova nozione di equivalenza dellemansioni. La mobilità verso il basso: condizioni e limiti, in E. GHERA, D. GAROFALO (a cura di),Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act 2, Cacucci,Bari, 2015, 171; C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, cit., 145 s.; C.ZOLI, La disciplina delle mansioni, cit., 346.

(84) Così F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni, cit.,13 e, conf., C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, cit., 146.

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Ove, tuttavia, già il dato letterale della norma appare espres-sivo dell’ascrizione del vincolo formativo in discorso a carico deldatore: in particolare alla luce della prefigurata necessità di “ac-compagnamento” del « mutamento di mansioni ... dall’assolvimentodell’obbligo formativo »; affermato “accompagnamento” che, cometale, vale a segnato collegamento dell’operare di detto obbligo(rectius: onere) formativo proprio con l’atto di esercizio del poteredatoriale. E con una simile constatazione che trova comunqueconferma anche alla luce di un’interpretazione logico-sistematica edella ratio della rinnovata disciplina, in primo luogo in riferimentoal coevo superamento del previgente limite dell’equivalenza pro-fessionale e al correlativo necessario valere del cennato vincoloformativo a carico del datore quale elemento di razionale contem-peramento a tutela del prestatore rispetto ad un’esplicazione dellojus variandi assoggettata al suddetto solo limite formale dell’inva-rianza del livello e della categoria di inquadramento. Fermo re-stando che, in ordine alle attività formative poste in essere daldatore in relazione ad un “mutamento di mansioni”, a risultare è inogni caso anche un precipuo dovere di formazione per il prestatoreinteressato: già in forza degli obblighi generali del lavoratoresubordinato di collaborazione, obbedienza e conformazione agliinteressi e alle esigenze dell’impresa e, comunque, in ragione dellastessa odierna prescrizione del cennato vincolo formativo a caricodel datore di lavoro in tema di mutamento di mansioni ex comma3 del nuovo art. 2103 c.c.; con relativo rilevare di eventualimancanze del prestatore sul piano disciplinare e/o anche al finedell’integrazione di un giustificato motivo oggettivo di licenzia-mento per inidoneità alle mansioni di destinazione e coeva impos-sibilità di suo cd. repechage.

La precisata esclusione della nullità dell’atto di assegnazionedelle nuove mansioni nel caso di inadempimento all’obbligo for-mativo ex comma 3 cit. vale a stemperamento della portata didetto obbligo (a parte l’esorbitanza della qualificazione in forma dinullità dell’inosservanza di quello che già si è rimarcato essere inrealtà piuttosto un onere o comunque una condizione-presuppostoe/o modus cui conformare l’esercizio del potere datoriale).

Ma, posto il persistente operare del mutamento di mansioni,quali sono allora le conseguenze dell’inadempimento all’obbligoformativo? Sono prefigurabili rimedi quantomeno di carattererisarcitorio o di altra natura in relazione all’interesse del prestatore

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alla formazione o alla tutela della sua professionalità (che almenoin questo senso verrebbe a riemergere pur al cospetto del rimarcatoodierno superamento del limite dell’equivalenza di cui alla norma-tiva previgente ai sensi del nuovo art. 2103 c.c.)? E, comunque, inche misura è ragionevolmente pensabile a un’ordinaria prosecu-zione del rapporto di lavoro con immutata adibizione del presta-tore alle mansioni in riferimento alle quali il datore sia inadem-piente all’obbligo formativo? Nell’ipotesi, poi, non avendo ricevutola formazione da impartirgli ex adverso, il lavoratore permanecomunque astretto all’effettiva esplicazione della sua prestazione,o, viceversa, almeno in situazioni particolari (ad es. quando per lamancata necessaria formazione potrebbe essere messa a repenta-glio la sicurezza della sua persona o di altri oppure nel caso delrischio di gravi danni), può essere legittimato ad astenersene,costituendo in mora credendi il datore di lavoro e/o imputandogli lamedesima mancata esecuzione della sua prestazione? Al contempo,sempre il lavoratore può essere chiamato a rispondere sul pianodisciplinare di un inesatto adempimento all’obbligazione ascrivi-bile al deficit di formazione? E, ancora, il prestatore di lavoro èlicenziabile per giustificato motivo oggettivo perché inidoneo allemansioni in relazione alle quali non è stato formato e non siaaltrimenti impiegabile?

Tutti interrogativi destinati a restare in larga parte aperti afronte della rimarcata genericità del dettato normativo e comun-que fino a quando non sia data una reale concretezza al (per orasolo enunciato) cennato obbligo formativo ex comma 3 del nuovoart. 2103 c.c. Ciò in primo luogo da parte della contrattazionecollettiva, che anche in proposito appare chiaramente chiamata adover provvedere alla sostanziale integrazione e specificazionedella rinnovata disciplina legale, in particolare in punto di deter-minazione di contenuti, tempi, rispettivi diritti e doveri delle partie modalità concrete di esplicazione dell’attività di formazionenecessaria al cospetto dell’esercizio dello jus variandi.

Quale fattore di contenimento tangibile della discrezionalitàdatoriale in tema di mutamento orizzontale delle mansioni rileva,in ogni caso, la correlazione intercorrente tra jus variandi e area diesplicazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Largamente nota è infatti l’interpretazione consolidata se-condo la quale l’integrazione di un giustificato motivo oggettivo dilicenziamento è riportata alla dimostrata impossibilità di cd. repe-

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chage in relazione allo spettro di esercizio dello jus variandi in viaorizzontale e, quindi, ai sensi del previgente art. 2103 c.c., inriferimento a mansioni equivalenti (85), non senza peraltro l’affer-mata sua dilatazione, da parte di un recente nuovo indirizzointerpretativo che va rapidamente diffondendosi, anche in riferi-mento a mansioni inferiori (86).

Onde, a fronte dell’odierna riformulazione dell’ambito di pos-sibile esplicazione dello jus variandi in via ordinaria (id est, cd.“orizzontale”) alla luce della sostituzione del previgente limitedella “equivalenza” con quello dell’invarianza del livello e dellacategoria legale di inquadramento, ex comma 1 del nuovo art. 2103c.c., a derivarne logicamente è l’estensione corrispondente anchedell’area del cd. repechage in riferimento alla generalità delle man-sioni « riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadra-mento delle ultime effettivamente svolte », con conseguente pari limi-tazione del potere di recesso datoriale.

Si tratta di un aspetto verosimilmente non considerato dallegislatore della riforma, e che infatti si manifesta in controten-denza rispetto alla linea di generale alleggerimento della normativavincolistica in materia di esercizio dei poteri datoriali emergentedal Jobs Act, peraltro, come sopra constatato, anche in riferimentoai licenziamenti (sotto il profilo della ridefinizione sostanzialmenteal ribasso del profilo sanzionatorio ex d.lgs. n. 23/2015).

Al di là della restrizione dell’ambito di esplicazione del poteredi licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a risultare è uneffetto indiretto in forma di riequilibrio delle posizioni e interessidelle parti, anche in riferimento alle stesse dinamiche relazionaliinerenti al rapporto di lavoro latamente intese.

Il tendenziale incremento degli standard di tutela del lavora-tore che ne deriva in ordine al licenziamento per giustificatomotivo oggettivo, infatti, vale in qualche modo a compensazione,

(85) Cfr., da ultimo, per tutte, Cass. nn. 5592/2016, 5173/2015, 18416/2013.(86) Mansioni inferiori alla cui adibizione, in luogo del licenziamento, deve comunque

ovviamente rilevare, ai sensi della normativa previgente, il consenso da parte del lavoratore.Cfr. la recentissima Cass. n. 4509/2016: « In caso di licenziamento per giustificato motivooggettivo, il datore di lavoro ... ha l’onere di provare non solo che al momento dellicenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, maanche di avere prospettato al lavoratore licenziato, senza ottenere il consenso, la possibilitàdi un suo impiego in mansioni inferiori ». Analogamente v. già Cass. nn. 24037/2013,27561/2013, 18535/2013, 7515/2012, 7474/2012, 6552/2009 e 21282/2006.

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sia pure su di un piano diverso, del constatato decremento delgrado di protezione del medesimo lavoratore in tema di jus va-riandi alla luce del nuovo art. 2103 c.c. Ma, soprattutto, il restrin-gimento dell’area del giustificato motivo oggettivo di licenzia-mento che si prefigura in via inversamente proporzionale all’am-pliamento dello jus variandi sulla scorta del solo limite “aprofes-sionale” dell’invarianza del livello e della categoria legaled’inquadramento fa sì che lo stesso datore di lavoro possa ragio-nevolmente risultare interessato ad una specificazione e, comun-que, ad una determinazione più restrittiva del suo jus variandi. Ciòin termini che rendono indubbiamente molto più concreta l’even-tualità di una regolamentazione per via convenzionale, in primisda parte della contrattazione collettiva, dello jus variandi orizzon-tale ad integrazione e specificazione dell’odierna rinnovata disci-plina legale.

Al contempo, è al riguardo da considerare la possibile azioneanche da parte della stessa autonomia contrattuale individuale,sempre nell’ambito del perimetro di esercizio dello jus variandiorizzontale ex comma 1, art. 2103 c.c., e ferma ovviamente la suanon derogabilità in peius, anche alla luce della confermata “nul-lità” (sia pure meno categorica: v. infra) di « ogni patto contrario »ex comma 9 dello stesso nuovo art. 2103.

All’autonomia contrattuale individuale è in linea di principioinfatti consentito intervenire all’interno dell’area di esercizio delpotere datoriale come determinata ex lege, a delimitazione e speci-ficazione del medesimo potere datoriale. Onde la possibile regola-mentazione per via contrattuale individuale dello jus variandiorizzontale negli ambiti definiti ex comma 1, art. 2103 c.c. e,quindi, in relazione alle « mansioni riconducibili allo stesso livello ecategoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte »:in particolare nel senso di un’auspicabile calibrazione del poteredatoriale in riferimento alla professionalità e alle effettive compe-tenze del singolo prestatore, a ragionevole contenimento di un’areadel debito del medesimo prestatore estensibile, come visto, ai sensidel suddetto criterio “aprofessionale” ex comma 1, art. 2103 cit., aqualifiche-mansioni anche le più diverse e tra loro del tutto etero-genee e accomunate solo dal medesimo inquadramento.

Ma non senza che, all’atto pratico, l’effettiva possibilità di unsimile intervento razionale della contrattazione individuale rischidi restare solo sulla carta, dovendosi realisticamente mettere in

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conto che la stessa contrattazione individuale — pur nell’ipotesiformalmente “migliorativa” o almeno “non peggiorativa” del co-mando legale (in quanto delimitativa o ad ogni modo solo specifi-cativa della discrezionalità datoriale ex lege) — possa in concretorivelarsi pregiudizievole per il lavoratore o comunque a unilateralevantaggio del datore di lavoro. Come nel caso, ad esempio, diaccettazione a priori da parte del lavoratore, appunto in sede dicontrattazione individuale, della sua mobilità su tutte o parte dellavasta gamma delle « mansioni riconducibili allo stesso livello ecategoria legale di inquadramento », comprese quelle esulanti dallasua professionalità ed esperienza, e, al limite, anche con possibilecoeva dichiarazione (di attendibilità invero quantomeno sospetta)da parte sempre del lavoratore di sua idoneità-competenza al loroespletamento. Ciò in forma che, oltre che a conferma e accettazioneda parte del lavoratore della legittimità dell’esercizio dello jusvariandi in riferimento all’intero arco o in ogni caso per un certonumero della generalità delle « mansioni riconducibili allo stessolivello e categoria legale di inquadramento », potrebbe anche valere invia di possibile esonero del datore dallo stesso obbligo formativo,nonché pure quale garanzia ed assunzione di responsabilità daparte del lavoratore in merito al corretto adempimento della suaobbligazione e quindi del riconoscimento della sua stessa sanzio-nabilità disciplinare nel caso poi di successiva prestazione lavora-tiva inadeguata. Ove, stante la sua posizione di debolezza sostan-ziale rispetto al datore di lavoro (per più versi s’è visto pureincrementata alla luce del Jobs Act), può risultare inevitabilmentemodesta la resistenza opponibile dal lavoratore all’imposizione dipattuizioni di tal genere in suo danno in sede di contratto indivi-duale.

Ciò comunque fermo restando il rimarcato interesse del datoread evitare un restringimento per questa via dell’area di eserciziodel suo potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo:in termini che anche in ordine alla regolamentazione dello jusvariandi orizzontale mediante contratto individuale potrebbe va-lere a bilanciamento delle posizioni delle parti e, quindi, qualeelemento concreto di contrasto, sia pure sotto tale circoscrittoprofilo, rispetto all’evidenziato rischio di pattuizioni individuali inmateria a tutto vantaggio del solo datore di lavoro.

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6.2. I casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103 c.c.

Sempre in via radicalmente innovativa della disciplina statu-taria rilevano le previste ipotesi di possibile adibizione a mansioniinferiori introdotte dalla riforma quale possibile deroga alla regolagenerale dell’invarianza in peius secondo la ridisegnata mobilitàorizzontale ex comma 1 del nuovo art. 2103 c.c.

Tanto nelle ipotesi di cui al comma 2 che in quelle di cui alcomma 4 di tale nuovo art. 2103 c.c., la possibilità di demansio-namento è consentita al datore in via unilaterale, senza il neces-sario assenso da parte del lavoratore, come confermato anche dallastabilita mera comunicazione per iscritto all’interessato del muta-mento di mansioni ex comma 5, art. 2103. Ciò, quindi, quale direttamanifestazione dello jus variandi, che tuttavia — diversamentedalla mobilità orizzontale ex comma 1 — è qui previsto avveniremediante un atto di esercizio dell’autorità datoriale a strutturacausale vincolata (87), giacché riportata alla ricorrenza delle pre-scritte condizioni-situazioni indicate, rispettivamente, dai mede-simi commi 2 e 4 citt., e al contempo circoscritta nella sua portata,in ragione del previsto limite di adibizione a mansioni inferiori diun solo livello di inquadramento e rientranti nella stessa categorialegale.

Con corrispondente ampliamento dell’area del debito del lavo-ratore appunto anche in riferimento a tali mansioni inferiori allequali il datore di lavoro è abilitato a poterlo assegnare, a modifi-cazione dei contenuti ordinari della prestazione lavorativa excomma 1, art. 2103 cit. Ma, in ogni caso, senza che a risultarne siauna modificazione stricto iure anche dell’oggetto dell’obbligazionelavorativa del contratto di lavoro.

I confini dell’oggetto dell’obbligazione lavorativa si è vistoinfatti essere riportati, ex comma 1 del nuovo art. 2103, allemansioni riconducibili al livello di inquadramento e alla categorialegale delle mansioni di assunzione o di quelle superiori frutto deglieventuali avanzamenti maturati nel tempo. E una tale individua-zione di quelle che sono le mansioni di ordinaria pertinenza dellavoratore ex comma 1, art. 2013 appare presupposta e confermataanche in sede di enunciazione delle cennate ipotesi di possibile

(87) E la cui legittimità, come tale, è pertanto sindacabile in sede giudiziaria: C. ZOLI,La disciplina delle mansioni, cit., 345.

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demansionamento sub successivi commi 2 e 4 dello stesso art. 2103.Ciò nel difetto di una diversa previsione ex lege appunto nel sensodi una modificazione dell’oggetto dell’obbligazione lavorativa,nonché con l’immutato operare della previgente regolamentazionecontrattuale inter partes che è al contempo attestato dallo stessoprevisto diritto del lavoratore, pur al cospetto della sua adibizionea mansioni inferiori, « alla conservazione del livello di inquadramentoe del trattamento retributivo in godimento » ex comma 5, art. 2103 cit.Tanto più se si considera che sub commi 2 e 4 citt., in realtà, nonè indicata alcuna mansione a qua “altra” rispetto alle mansioni dipertinenza del lavoratore ex comma 1, art. 2013 c.c.: a confermadella persistente valenza di tali mansioni quale dato-parametro dicomparazione anche al cospetto delle ipotesi di demansionamentoin parola.

In mancanza della prescrizione ex lege di limitazioni di carat-tere temporale, l’assegnazione a mansioni inferiori ex commi 2 o 4del nuovo art. 2013 c.c. può essere stricto iure solo temporanea oanche definitiva.

Ciò, tuttavia, solo in teoria, essendo ragionevolmente esclusal’eventualità che una tale assegnazione a mansioni inferiori possanella realtà avvenire in via definitiva o anche solo per una durataprolungata, giacché oggettivamente antieconomica per il datore dilavoro, che, infatti, non ha in linea di massima alcuna convenienzaad utilizzare il prestatore in mansioni inferiori tuttavia conti-nuando a riconoscergli, così come imposto ex commi 2 e 4 citt., illivello di inquadramento superiore e la relativa retribuzione (difatto “superiore” a svantaggio di esso datore rispetto alla presta-zione lavorativa di livello inferiore che viene a ricevere). Onde ladestinazione naturale delle ipotesi di demansionamento ex commi2 e 4 citt. al soddisfacimento di esigenze aziendali solo temporaneedi adibizione del prestatore a mansioni inferiori. Anche perché,quando a rilevare in concreto sia, viceversa, il venir meno in viadefinitiva delle mansioni di pertinenza del lavoratore, con relativaimpossibilità di suo cd. repechage (nei termini sopra constatati), ilmedesimo lavoratore è licenziabile per giustificato motivo ogget-tivo: sicché anche in questo senso ne risulta irragionevole l’antie-conomico demansionamento sine die ex commi 2 e 4 citt. E mentre,al contempo, una ben più ampia possibilità di manovra vieneinvece a risultare disponibile, come si vedrà più avanti, per lacontrattazione individuale, in sede di cd. accordi di dequalifica-

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zione, ex comma 6 del nuovo art. 2103 c.c., in tema di modifica inpeius delle mansioni (e anche « della categoria legale e del livello diinquadramento e della relativa retribuzione ») in deroga alla disci-plina generale, nonché agli stessi vincoli imposti ai demansiona-menti ex commi 2 e 4.

Una volta disposto un demansionamento ex commi 2 e 4 delnuovo art. 2103, non appare in ogni caso consentita una successivaassegnazione anche a mansioni ulteriormente inferiori. A parte ilprevisto limite in sé di un demansionamento di un solo livellorispetto a quello d’inquadramento, ostativa è, in proposito, pur afronte di un’adibizione a mansioni inferiori ex comma 2 o comma 4citt., la constatata non modificazione né dell’oggetto dell’obbliga-zione lavorativa né del medesimo livello d’inquadramento delprestatore ai sensi del comma 1, art. 2103 c.c.: che, come tali,permangono quale termine di comparazione non derogabile me-diante l’assegnazione a mansioni ulteriormente inferiori.

Le suddette ipotesi di demansionamento risultano comunquedelineate in misura obiettivamente ampia, stante la formulazionedei commi 2 e 4, art. 2103 cit. generica e più estesa rispetto alleindicazioni del legislatore delegante (art. 1, comma 7, lettera e),legge delega n. 183/2014), nonché tale da essere valutata integrareun possibile vizio di eccesso di delega (88).

Non sono infatti forniti i “parametri oggettivi di individua-zione” richiesti dalla legge delega, né altro elemento di determina-zione in merito alla « modifica degli assetti organizzativi aziendali cheincide sulla posizione del lavoratore », e, al contempo, in ordine alleposizioni di interesse che sempre il legislatore prescrive essere dasalvaguardare, almeno espressamente nulla è detto, ex comma 2cit., in forma di contemperamento in relazione « alla tutela del postodi lavoro » (così lettera e), art. 1, comma 7 cit.). Mentre unaconsiderazione sia pure formale e/o economico-monetaria pareinvece aversi in ordine « alla tutela ... della professionalità e dellecondizioni di vita ed economiche » (così ancora lettera e), art. 1,comma 7 cit.), alla luce della stabilita « conservazione del livello diinquadramento e del trattamento retributivo in godimento » ex comma5, art. 2103 (ovviamente nei limiti in cui si ritenga che la conser-

(88) C. ZOLI, La disciplina delle mansioni, cit., 343; A. TAMPIERI, L’accordo individualedi dequalificazione, in Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro, 2016, 108 s.

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vazione del mero inquadramento formale, pur al cospetto deldemansionamento, possa valere a preservare la professionalità).

Sicché, fermo il vincolo del decalage di un solo livello rispetto aquello di inquadramento e dell’invarianza della categoria legale,l’area di esercizio dello jus variandi in via decrescente viene arivelarsi di problematica delimitazione, essendone in teoria soste-nibile l’esplicabilità in relazione a pressoché qualsiasi modificadegli assetti aziendali, al limite fino al punto di ritenere che lostesso demansionamento in sé possa valere ad integrare la richiestamodifica organizzativa (89). Soluzione, questa, tuttavia non con-divisibile, giacché, anche per quanto si vedrà più avanti ad esclu-sione di un possibile esercizio ad libitum dello jus variandi senzauna considerazione degli interessi del lavoratore al riguardo co-munque da preservare e quindi dei cd. limiti interni rilevanti ingenerale a limitazione dei poteri datoriali, alla ricostruzione dellaportata delle succennate ipotesi di demansionamento sub commi 2e 4 citt. appare comunque da doversi accedere tenendo presente larelazione di interdipendenza che si pone tra jus variandi, tutela delposto di lavoro e relativi limiti al potere di licenziamento. Ciò inconformità alla già richiamata interpretazione consolidata in temadi ammissibilità di un patto di demansionamento solo quale alter-nativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonchédi cd. obbligo di repechage in relazione al licenziamento per giusti-ficato motivo oggettivo. Così come s’è visto essere confermato, delresto, anche in sede di legge delega (cfr. ancora art. 1, comma 7,lettera e), legge n. 183 cit.: spec. nel senso del prescritto necessariocontemperamento, in proposito, dello « interesse dell’impresa al-l’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tuteladel posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita edeconomiche »): in termini che appare plausibile ritenere comunquerilevare, in riferimento alle cennate ipotesi di assegnazione a man-sioni inferiori ex commi 2 e 4, art. 2103, pure quale interpretazionenecessaria del dato normativo che valga a evitarne l’altrimentipalese vizio di difformità rispetto alla delega (90). Con conseguente

(89) Criticamente F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina dellemansioni, cit., 11 e L. FERLUGA, La dequalificazione unilaterale nella nuova disciplina dellemansioni, in Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro, 2016, 78.

(90) Cfr. in argomento, tra gli altri: F. AMENDOLA, La disciplina delle mansioni neld.lgs. n. 81 del 2015, cit., 7; L. DE ANGELIS, Note sulla nuova disciplina delle mansioni ed i suoi

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delimitazione di siffatte ipotesi di demansionamento a situazioninelle quali la richiesta modifica organizzativa importi il venir menodella posizione lavorativa di pertinenza del singolo prestatoresenza che ne sia possibile il repechage su mansioni del medesimolivello e categoria legale di inquadramento ex comma 1, art. 2103(v. supra). Vale a dire, a parte il rilevare anche in proposito di untale nuovo criterio di modulazione della mobilità orizzontale inluogo di quello precedente dell’equivalenza, nonché fermo re-stando quanto osservato in ordine al realistico operare delle ipotesidi demansionamento ex commi 2 e 4 citt. solo per situazionitemporanee, un esito in continuità sostanziale con la soluzioneaffermatasi prima della recente riforma. Ma con la differenzasignificativa che il datore di lavoro è oggi legittimato a procedere aldemansionamento, ex commi 2 e 4 citt., in via unilaterale, senzadover acquisire o anche solo verificare il consenso del lavoratore.

Allo stesso modo non paiono individuabili dalla contrattazionecollettiva, ex comma 4, art. 2103 c.c., “altre ipotesi” di demansio-namento se non nei limiti di situazioni nelle quali sia messa indiscussione la sussistenza delle mansioni di pertinenza del presta-tore. Ciò almeno per quanto concerne casi di demansionamento invia definitiva, che, tuttavia, benché stricto iure consentiti, si ripeterivelarsi difficilmente realizzabili nella realtà in quanto non con-venienti economicamente per le imprese.

Malgrado la formulazione letterale di un rinvio in apparenzaprivo di vincoli e sostanzialmente in bianco ai contratti collettivi exart. 51, d.lgs. n. 81/2015, l’effettivo spazio di agibilità dell’autono-mia sindacale in proposito permane infatti determinato in forzadella rimarcata relazione di interdipendenza con l’area del giusti-ficato motivo oggettivo di licenziamento, nonché comunque intermini che inducono essenzialmente ad escludere che ai sensi delcomma 4 cit. siano individuabili ipotesi di demansionamento in viaindiscriminatamente additiva rispetto a quelle rientranti nellaprevisione del comma 2, art. 2103 c.c.

(difficilissimi) rapporti con la delega, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n.263/2015, 6 ss.; L. FERLUGA, La dequalificazione unilaterale nella nuova disciplina dellemansioni, cit., 80 s.; A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organiz-zativa e tutela del prestatore di lavoro, cit.; V. SPEZIALE, Le politiche del lavoro del GovernoRenzi: il Jobs Act e la riforma dei contratti e di altre discipline del rapporto di lavoro, in WPC.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 233/2014, 30 ss.

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Ferma restando una più ampia possibilità di esplicazione daparte della contrattazione collettiva che appare in ogni caso dariconoscere per quanto concerne l’individuazione di possibili ipo-tesi di demansionamento solo temporaneo. E mentre appare ingenerale ragionevole che l’attività della contrattazione collettiva sisvolga, al riguardo, più che altro in forma di individuazione e,comunque, specificazione dei casi di “modifica degli assetti orga-nizzativi aziendali” incidenti sulla posizione del lavoratore che neconsentono il demansionamento ai sensi del comma 2 cit.: vale adire, in forma integrativa del comando legale e di esplicitazione exante delle condizioni di legittimità dello jus variandi in sensodiscendente, sia pure in termini che permangono comunque sinda-cabili dal giudice.

Anche in relazione ai casi di possibile demansionamento excommi 2 e 4 citt. rileva l’assoggettamento al previsto “obbligoformativo” di cui al comma 3, art. 2103 c.c. in forma in larga parteanaloga a quanto già osservato in merito alla mobilità orizzontale,sia pure con gli intuibili necessari adattamenti e le peculiarità diun’attività di formazione da impartirsi a fronte dell’adibizione amansioni di inquadramento inferiore. Con una tale attività diformazione al cospetto di un demansionamento che, anzi, rischia dirivelarsi una contraddizione in termini: almeno in riferimento amansioni (inferiori) professionalmente omogenee, nonché al di làdella possibile considerazione (atecnica) quale formazione dellenozioni e degli elementi di conoscenza di natura non prettamenteprofessionale e/o di mero carattere pratico-operativo di cui ènecessario che il lavoratore sia fatto parte in relazione alle nuovemansioni inferiori assegnategli. Ma ove, in realtà, appare allora daritenere come proprio l’esplicitazione di un “obbligo formativo” alcospetto di un demansionamento, ex commi 2 e 4, art. 2103, valgaa riprova del già constatato possibile svolgimento dello jus va-riandi anche in riferimento a mansioni professionalmente disomo-genee, in ragione della sostituzione del vecchio criterio della “equi-valenza” con quello “aprofessionale” dell’invarianza del livello edella categoria di inquadramento ex comma 1, art. 2103: giacchéappunto proprio l’assegnazione a mansioni professionalmente di-somogenee sia pure di inquadramento inferiore rispetto alle prece-denti ben può rendere necessaria una precipua attività di forma-zione.

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La « conservazione del livello di inquadramento e del trattamentoretributivo in godimento », esclusi gli emolumenti legati a particolarimodalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa,ex comma 5, art. 2103 rileva quale elemento di compensazione infavore del lavoratore demansionato e, al contempo, anche direstrizione dell’esercizio dello jus variandi in senso decrescente,nonché, quindi, in forma di un sia pure parziale riequilibrio dellerispettive posizioni delle parti al cospetto del previsto amplia-mento delle prerogative datoriali.

A parte l’opinabilità in sé di una monetizzazione per questa viadell’interesse del lavoratore a non essere demansionato e alla tuteladella sua professionalità, come pure di una corrispondente mone-tizzazione della medesima possibile esplicazione dello jus variandial ribasso, a risultare è, tuttavia, in tal senso, l’alterazione dellastruttura funzionale del rapporto contrattuale. Ciò in ragione delsu constatato ampliamento dell’area del debito del lavoratore (inconsiderazione delle mansioni anche inferiori rispetto a quelleoggetto dell’obbligazione lavorativa che egli è tenuto a svolgere, esebbene detto oggetto dell’obbligazione lavorativa s’è visto strictoiure non variare), del coevo scollamento delle mansioni esplicaterispetto all’inquadramento formale del prestatore, nonché dellamodificazione sostanziale del legame di corrispettività e proporzio-nalità della prestazione lavorativa con la controprestazione retri-butiva.

È evidente l’anomalia così insinuata nella relazione contrat-tuale in riferimento ai suoi svolgimenti successivi, in travisamentodegli stessi principi cardine della corrispettività e proporzionalitàdella retribuzione ex art. 36 Cost., sia pure a singolare svantaggiodel datore di lavoro (obbligato ad una prestazione retributiva dilivello superiore rispetto alla prestazione lavorativa di profilo mi-nore che effettivamente riceve) (91). Un’anomalia che, come tale,non può sbrigativamente essere reputata da doversi accettarequale prezzo necessario per far fronte alla rilevata esigenza dicompensazione del lavoratore per il demansionamento, ma chepermane viceversa da verificare in riferimento alle motivazionirilevanti alla base del demansionamento e alle relative conseguenze

(91) R. VOZA, Autonomia privata e norma inderogabile nella nuova disciplina delmutamento di mansioni, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 262/2015, 10.

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che si determinano sul piano dell’operatività e degli equilibrifunzionali della relazione contrattuale.

Sul punto si tornerà più avanti.I casi di demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2013 c.c.

risultano comunque introdotti in via aggiuntiva rispetto alle ipo-tesi di mobilità discendente già prefigurate ex lege (v.: art. 4,comma 11, legge n. 223/1991; art. 4, comma 4, legge n. 68/1999; art.7, d.lgs. n. 151/2001; artt. 41-42, d.lgs. n. 81/2008) (92) o dicreazione da parte della giurisprudenza (93) al cospetto del previ-gente regime. Con siffatte ipotesi di mobilità discendente che,emerse nel tempo in funzione della tutela di interessi valutatipreminenti rispetto all’invariabilità in peius delle mansioni, quali ildiritto alla salute e il diritto all’occupazione (cfr., rispettivamente,art. 32, comma 1 e art. 4, comma 1, Cost.), appaiono infattisopravvivere alla riforma del Jobs Act ( (94)): in mancanza di unaloro abrogazione e/o di diversa previsione in una all’emanazionedella nuova disciplina (cfr. art. 3 e 55, d.lgs. n. 81/2015), nonché inogni caso giacché con questa compatibili, ferma tuttavia restandol’esigenza di una loro lettura in coordinamento con le riformulateguidelines della normativa ordinaria, e, quindi, in primo luogo, conil nuovo criterio di modulazione della mobilità orizzontale excomma 1, art. 2103 cit. della riconducibilità delle mansioni « allostesso livello e categoria legale di inquadramento ».

Ciò, tuttavia, a parte quanto si dirà tra breve in meritoall’odierna stipulabilità di accordi collettivi ex art. 4, comma 11,legge n. 223/1991 (v. infra, sub n. 6.4).

6.3. Gli accordi individuali di dequalificazione.

L’introdotta possibilità di stipulazione di « accordi individuali

(92) Cfr., per un recente riepilogo, M.N. BETTINI, Mansioni del lavoratore e flessibiliz-zazione delle tutele, Giappichelli, Torino, 2014, 131 ss.

(93) Vale a dire, il caso del demansionamento ritenuto consentito, per interpreta-zione notoriamente consolidata, in quanto unica alternativa al licenziamento per giustifi-cato motivo oggettivo e, quindi, funzionale al mantenimento del posto di lavoro. Cfr. direcente, amplius, anche per tutti i necessari riferimenti del caso: M.N. BETTINI, Mansioni dellavoratore e flessibilizzazione delle tutele, cit., 136 ss.; L. FERLUGA, Tutela del lavoratore edisciplina delle mansioni, Giuffrè, Milano, 2012; 104 ss.; C. PISANI, La nuova disciplina delmutamento delle mansioni, cit., 33 ss.

(94) M. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1171.

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di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello diinquadramento e della relativa retribuzione » ex comma 6 del nuovoart. 2103 c.c. importa un’ulteriore possibilità di deroga alla nor-mativa ordinaria in materia, in senso più esteso, nonché su basi ein termini differenti rispetto ai casi di demansionamento ex commi2 e 4, art. 2103.

È l’autonomia negoziale individuale che è abilitata al muta-mento in peius delle mansioni, mediante un cd. accordo di dequa-lificazione, e, anzi, di ridefinizione dei contenuti della fattispeciecontrattuale inter partes: in ragione della modificazione dello stessooggetto dell’obbligazione lavorativa e dell’inquadramento del la-voratore, nonché della corrispondente obbligazione retributiva.Sebbene senza la produzione anche di un effetto stricto iure nova-tivo in riferimento alla fattispecie contrattuale (95): stante ilpersistente operare inter partes dell’originaria relazione obbligato-ria sia pure con le modifiche apportatele in virtù dell’accordo didequalificazione (96).

Ciò, dunque, in diversità sostanziale rispetto ai casi di deman-sionamento ex commi 2 e 4 citt.: che, infatti, senza che intervengauna modificazione dell’oggetto dell’obbligazione, si è constatatoimportare il mero esercizio in peius dello jus variandi, qualepossibile deroga appunto in peius in relazione ad un immutatooggetto dell’obbligazione lavorativa. Al di là della portata bensuperiore della deroga alla regola ordinaria dell’invarianza in sensopeggiorativo delle mansioni cui è possibile accedere sempre in virtùdell’accordo di dequalificazione ex comma 6, art. 2013 cit.: ancheper più di un livello in meno, con coevo mutamento in peius della

(95) Diversamente, A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni, cit., che reputainvece prodursi, nel caso, « la novazione oggettiva del contratto di lavoro ».

(96) Cfr., fondamentalmente, P. TOSI, Considerazioni in tema di novazione oggettiva delrapporto di lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 192 ss.; S. MAGRINI, La sostituzionesoggettiva nel rapporto di lavoro, F. Angeli, Milano, 1980, 10 ss., nonché, più di recente, pertutti, anche per gli ulteriori riferimenti del caso, G. PELLACANI, Autonomia individuale erapporto di lavoro, Giappichelli, Torino, 2002, 217 ss.; S. MAINARDI, Estinzione del rapportonella sistematica del codice civile. Dimissioni e risoluzione consensuale, in M. BESSONE (a curadi), Trattato di Diritto privato, vol. XXIV, Il lavoro subordinato a cura di F. CARINCI, TomoIII, Giappichelli, Torino, 2007, 3 ss.; C. TIMELLINI, La transazione novativa nei rapporti dilavoro, Giappichelli, Torino, 2012, 4 ss.; E. BALLETTI, La risoluzione consensuale, la novazionee l’impossibilità della prestazione, in F. CARINCI, M. PERSIANI (a cura di), Trattato di Diritto dellavoro, vol. V a cura di E. GRAGNOLI, Licenziamenti, in corso di pubblicazione.

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categoria e del livello di inquadramento formale, oltreché delrelativo trattamento retributivo. Ove, ancora differentemente ri-spetto ai casi di demansionamento ex commi 2 e 4 citt., permaneuna relazione di proporzionalità tra la prestazione lavorativa e lacorrispettiva prestazione retributiva, sebbene rimodulata al ri-basso secondo il livello di inquadramento delle pattuite nuovemansioni inferiori, nonché senza che vi sia comunque spazio,peraltro, per l’eventualità di una modifica peggiorativa della retri-buzione in misura ulteriore rispetto alle nuove mansioni e inqua-dramento (inferiori) giacché in contrasto con l’art. 36 Cost. (97).

Mentre è al contempo esclusa l’ascrivibilità di una valenzatransattiva al medesimo accordo di dequalificazione ex comma 6,art. 2103 cit. (98), attesa la sua funzionalità regolativa deglisvolgimenti (successivi) del rapporto contrattuale, senza un’atti-vità propriamente dispositiva di diritti quesiti e/o attinenti avicende pregresse del medesimo rapporto contrattuale.

La possibilità di azione in tal senso da parte dell’autonomiacontrattuale individuale è prefigurata in senso così ampio daimportare la degradazione della normativa in tema di mansioni einquadramenti a materia essenzialmente disponibile per le partiindividuali, sebbene con il vincolo “causale” dell’affermata delimi-tazione dell’accordo di dequalificazione ad un interesse qualificatodel lavoratore e l’ulteriore vincolo “procedurale” della sua stipu-lazione nelle sedi protette richiamate nell’art. 2113 c.c. o avantialle commissioni di certificazione nei termini precisati dallo stessocomma 6, art. 2103 cit. Vincoli, questi, evidentemente posti dallegislatore delegato a bilanciamento delle posizioni delle parti, anecessario supporto del lavoratore contraente debole e per contra-stare possibili abusi in suo danno (99).

Permane comunque da stabilire in che misura ne risulti un

(97) Cfr. M. CORTI, Jus variandi e tutela della professionalità dopo il “Jobs Act” (ovverocosa resta dell’art. 13 dello Statuto dei lavoratori), in Variazioni su Temi di Diritto del Lavoro,2016, 61 e già M. MISCIONE, Jobs act: le mansioni e la loro modificazione, cit., 438 s.

(98) Cfr. concordemente sul punto: U. GARGIULO, Lo jus variandi nel « nuovo » art.2103 c.c., cit., 631; A. GARILLI, Flessibilità organizzativa e mansioni del lavoratore, cit., 582; R.VOZA, Autonomia privata e norma inderogabile nella nuova disciplina del mutamento dimansioni, cit., 13.

(99) M. BROLLO, La disciplina delle mansioni, cit., 1177; R. VOZA, Autonomia privatae norma inderogabile nella nuova disciplina del mutamento di mansioni, cit., 13.

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condizionamento “reale” dell’accordo di dequalificazione all’effet-tiva ricorrenza di un suddetto interesse qualificato del lavoratore.

Trattandosi di un presupposto cui è riportata la possibilità dipattuizione, e la relativa deroga alla normativa di legge in materiadi mansioni e inquadramenti, la sua mancanza inficia la validitàdell’accordo di dequalificazione, con conseguente almeno teoricasua impugnabilità per uno dei vizi del consenso ex artt. 1427 segg.c.c., oppure più radicalmente perché in frode alla legge o percontrarietà a norma imperativa (cfr., rispettivamente, artt. 1344 e1418 c.c. e norme collegate). Ferma restando, tuttavia, l’obiettivadifficoltà in sé di individuazione e relativo apprezzamento di qualesia in concreto un « interesse del lavoratore alla conservazione dell’oc-cupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglio-ramento delle condizioni di vita » che possa valere a legittimare lastipulazione di un accordo di dequalificazione ex comma 6 art.2103, anche perché ad entrare in gioco sono inevitabilmente inproposito almeno in parte valutazioni personali eminentementesoggettive del lavoratore, che in quanto tali tendono ad eludere lapossibilità di una verifica oggettiva a posteriori.

Benché non espressamente richiesto, è da ritenere che il sud-detto interesse qualificato del lavoratore vada esplicitato in sede distipulazione dell’accordo di dequalificazione (100), senza che sianoconsentiti ripensamenti al lavoratore. Mentre, alla luce dei principigenerali in tema di ripartizione delle incombenze probatorie nellasede giudiziale (art. 2697 c.c. e norme collegate), resta a carico dellavoratore l’onere della prova della da lui contestata idoneità delmedesimo interesse così come emergente dall’accordo di dequalifi-cazione a legittimare la pattuizione ex comma 6, art. 2103 c.c.

Un’effettiva possibilità di verifica della coerenza al cennatovincolo causale è prospettabile plausibilmente in ordine all’accordodi dequalificazione asseritamente concluso « nell’interesse del lavo-ratore alla conservazione dell’occupazione »: in sostanziale coerenzaalla correlazione che si è constatato porsi tra le su esaminate ipotesidi demansionamento ex commi 2 e 4, art. 2103 c.c. e il cd. obbligodi repechage nel caso di licenziamento per giustificato motivo

(100) Cfr. L. DE ANGELIS, Note sulla nuova disciplina delle mansioni, cit., 9; A.TAMPIERI, L’accordo individuale di dequalificazione, cit, 116.

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oggettivo (101). Ciò, tuttavia, con una necessaria precisazione,segnatamente per quanto concerne la circostanza che, ai fini dellalegittimazione di un accordo di dequalificazione ex comma 6 cit.,risulterebbe probabilmente eccessivo pretendere il necessario rile-vare di un motivo oggettivo di licenziamento “attuale”, ben po-tendo infatti valere, al riguardo, una possibilità di perdita del postodi lavoro anche solo “futura” e/o soltanto eventuale: che, in quantotale, può determinare il lavoratore ad accettare il suo demansio-namento, e il relativo abbassamento dell’inquadramento e deltrattamento retributivo, quale “male minore” che valga a fargliconservare l’occupazione, e, quindi, quale interesse “qualificato” aisensi del comma 6.

Per quanto concerne un interesse del lavoratore « all’acquisi-zione di una diversa professionalità » ne è invece ipotizzabile unaricorrenza in situazioni particolari, quali, ad esempio, il caso diobsolescenza della professionalità (e quindi anche qui in funzionedella salvaguardia dell’occupazione sia pure nel medio-lungo pe-riodo), o quando un diverso profilo professionale possa consentirein prospettiva un percorso di crescita personale più gratifi-cante (102).

Mentre risultano inevitabilmente le più varie e comunque dicarattere eminentemente personale e non predeterminabili le va-lutazioni che il lavoratore può fare per preservare un suo genericointeresse « al miglioramento della condizioni di vita » (ad esempio,per poter disporre di più tempo libero, per alleggerire il propriocarico di responsabilità, per poter così ottenere un trasferimentoetc.), e che, come tali, è allora maggiormente necessario che sianodedotte in sede di stipulazione dell’accordo di dequalificazione, alfine di consentire un’almeno potenziale verifica dell’interesse qua-lificato rilevante a supporto di detto accordo ex comma 6, art. 2103c.c.

Il vincolo di necessaria stipulazione dell’accordo di dequalifi-

(101) Cfr., con posizioni non del tutto univoche: U. GARGIULO, Lo jus variandi nel« nuovo » art. 2103 c.c., cit., 629 s; A. GARILLI, Flessibilità organizzativa e mansioni dellavoratore, cit., 582; A. TAMPIERI, L’accordo individuale di dequalificazione, cit, 111 ss.; C.ZOLI, La disciplina delle mansioni, cit., 350.

(102) Criticamente A. TAMPIERI, L’accordo individuale di dequalificazione, cit, 114, chevaluta « davvero poco verosimile ... il patto di dequalificazione » che miri « a soddisfare ... unipotetico interesse del lavoratore all’acquisizione di una diversa professionalità ».

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cazione nelle menzionate cd. sedi protette e la possibile assistenzatecnica per il lavoratore da parte di un rappresentante sindacale, diun legale o di un consulente del lavoro valgono a sostegno dellagenuinità e consapevolezza delle manifestazioni negoziali espressedal medesimo lavoratore, nonché auspicabilmente pure ad assicu-rare una stessa migliore redazione del testo dell’accordo (in primoluogo per quanto concerne l’indicazione dell’interesse qualificatodel lavoratore alla cui tutela detto accordo di dequalificazione èfunzionale ex comma 6, art. 2103). Con conseguente restrizionetendenziale degli spazi di possibile impugnazione dello stesso ac-cordo. Anche se poi è da mettere in conto l’eventualità dell’emer-sione anche al riguardo delle note questioni che sono state poste intema di verifica dell’effettività ed idoneità dell’azione da parte delsoggetto terzo e dello stesso soggetto eventualmente presente inassistenza al lavoratore al fine dell’impugnabilità degli accordiconciliativi “validi” ex comma 4, art. 2113 c.c. (103), ferma la giàrimarcata non ascrivibilità di valenza propriamente transattivaall’accordo di dequalificazione ex comma 6, art. 2103.

6.4. La (residua) nullità dei patti contrari.

Sensibilmente depotenziata è la nullità di ogni patto contrarioalla normativa di legge in materia di mansioni, in quanto ribaditaex comma 9 del nuovo art. 2103 c.c. solo in via residuale, facendoespressamente salve le esaminate ipotesi di demansionamento e diaccordo di dequalificazione di cui, rispettivamente, ai commi 2, 4 e6 dello stesso art. 2103, e comunque alla luce delle molteplicipossibilità di deroga in relazione alla suddetta normativa legalesulle mansioni che il legislatore della riforma si è visto riconoscereall’autonomia contrattuale sia collettiva sia individuale.

Per quanto concerne l’autonomia contrattuale individuale arilevare è, come appena visto, il solo vincolo causale della neces-saria ricorrenza di un interesse qualificato e quello formale-proce-durale della necessaria stipulazione nelle sedi protette ex comma 6,

(103) Cfr. R. VOZA, Autonomia privata e norma inderogabile nella nuova disciplina delmutamento di mansioni, cit., 13, nonché già, in generale, per tutti, anche per i riferimentigiurisprudenziali del caso, O. DESSÌ, L’indisponibilità dei diritti del lavoratore secondo l’art.2103 c.c., Giappichelli, Torino, 2011, 180 ss. e R. VOZA, L’autonomia individuale assistita neldiritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2007, 101 ss.

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art. 2013, ma senza che siano invece imposti particolari limiti dinatura sostanziale, con conseguente larga discrezionalità di deter-minazione di termini e misura della deroga in peius mediante uncd. accordo di dequalificazione.

In merito all’autonomia contrattuale collettiva, per converso,è da constatare come ne sia confermato l’assoggettamento allacennata disposizione generale della “nullità di ogni patto contra-rio”, in conformità all’interpretazione consolidata che, al cospettodel previgente art. 2103 c.c., appunto riconosceva che « la nullitàdei patti contrari al divieto di declassamento si applica anche allacontrattazione collettiva » (104): in ragione, in particolare, dellaasserita salvezza dei casi di demansionamento da parte dell’auto-nomia collettiva di cui al comma 4 cit. quali (sole) ipotesi dipossibile deroga alla regola generale, che vale evidentemente aconfermare la nullità, ex comma 9, art. 2103 c.c., di ogni accordocollettivo derogatorio alla normativa legale in materia di mansionie inquadramenti “altro” rispetto a quelli conclusi ai sensi del citatocomma 4. Ma ciò, in realtà, con conseguente restringimento sostan-ziale delle possibilità di azione della medesima autonomia collet-tiva in segnato riferimento alle ipotesi di contratto collettivo inderoga a tale normativa legale su mansioni e inquadramenti di cuial vecchio art. 2103 già prefigurate in tema di accordi collettiviconclusi in corso di procedura di mobilità ex art. 4, comma 11, leggen. 223/1991, come anche di cd. accordi di prossimità ex art. 8,commi 2, lett. b) e 2 bis, d.l. n. 138/2011.

Ora, pur in difetto di loro abrogazione esplicita, è stato osser-vato, in relazione ai cd. accordi di prossimità ex art. 8, d.l. n.138/2011, e però in termini che si pongono analogamente anche pergli accordi collettivi ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991, comeessi possano essere reputati superati o comunque assorbiti « in baseal tradizionale criterio di successione delle leggi nel tempo, dato che la

(104) Così Cass. Sez. Un. n. 25033/2006, nonché, conf., Cass. nn. 4090/2016, 4989/2014, 14944/2014, 16183/2014, 19836/2004, 13000/2003, 12821/2002. Analogamente, indottrina, per tutti, M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni etrasferimento. Art. 2103, in Commentario del codice civile diretto da P. SCHLESINGER, Giuffrè,Milano, 1997, 189 s. e L. FERLUGA, Tutela del lavoratore e disciplina delle mansioni, cit, 104,nonché già, per l’opinione contraria, rimasta tuttavia pressoché isolata, C. ASSANTI, Com-mento all’art. 13, in C. ASSANTI, G. PERA, Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori,Cedam, Padova, 1972, 154.

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riforma del 2015 prevede espressamente e puntualmente spazi dimodificazione della contrattazione, nuovi e diversi: per un versoristretti (con i vincoli previsti dalla novella), per altro verso allargati(anche alla contrattazione nazionale) » (105). Tuttavia, secondo unadiversa lettura, si è invece opinata la persistenza di possibili spazidi stipulazione di cd. accordi di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138 cit.anche all’esito della novella e al di là dei vincoli di cui al comma 4,art. 2103 c.c. nuova formula (106). Mentre, sempre nel senso dellapersistente possibile stipulazione di siffatti cd. accordi di prossi-mità e degli stessi accordi collettivi ex art. 4, comma 11, legge n.223/1991, potrebbe del resto valere la peculiarità delle vicende edegli interessi in gioco e delle finalità cui essi risultano essereprotesi (con applicazione, in luogo del criterio della successionedelle leggi nel tempo, di quello di cd. specialità), così come pure lamedesima funzione (almeno in parte) gestionale esplicata dall’au-tonomia collettiva in relazione alla stipulazione di detti accordi, exart. 4, comma 11, legge n. 223 e art. 8, d.l. n. 138 citt. (anche inrelazione a situazioni-vicende determinate, come ad es. nel caso diprocedure di mobilità), rispetto a quella più prettamente norma-tivo-regolamentare invece espletata in sede di individuazione invia generale dei casi di demansionamento ex comma 4, art. 2103.

Sta di fatto che già la formulazione di tale comma 4, art. 2103è tale da definire, in combinazione con il successivo comma 5, quelliche sono gli spazi di agibilità dell’autonomia collettiva in materia.A ciò si aggiunge la categoricità del comma 9, art. 2103 neldelimitare la possibilità di deroga alla generale “nullità dei patticontrari”, per quanto concerne l’autonomia collettiva, alle soleipotesi di cui sempre al comma 4 cit. Ove, in ragione di tanto, seanche non è tecnicamente da escludersi la persistente possibilestipulazione di accordi collettivi nel corso di una procedura dimobilità ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991, così come di cd.accordi di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138/2011, è da convenire chetali accordi non possano che intervenire negli ambiti stabiliti excommi 4, 5 e 9, art. 2103 c.c., nonché, in specie, nel rispetto dei suesaminati vincoli di un possibile demansionamento di un sololivello, con conservazione da parte del lavoratore del superiore

(105) Così M. BROLLO, Lo jus variandi, cit., 75.(106) Cfr. U. GARGIULO, Lo jus variandi nel « nuovo » art. 2103 c.c., cit., 638 s. e M.

CORTI, Jus variandi e tutela della professionalità, cit., 61.

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livello di inquadramento di sua pertinenza e del trattamentoretributivo relativo.

Onde appunto in questi termini un ridimensionamento sostan-ziale della possibilità di azione da parte dell’autonomia collettivain relazione alla gestione in primo luogo di situazioni di esubero e/oaventi rilevanza lato sensu occupazionale, oltreché di ogni altravicenda riportabile al comma 1, art. 8, d.l. n. 138/2011, specie alcospetto dell’amplissima facoltà di deroga in peius viceversa rico-nosciuta all’autonomia individuale. Con la possibilità di stipula-zione dei suddetti accordi collettivi che, infatti, a fronte dei cennativincoli, rischia in concreto di risultare solo teorica, e con conse-guente ricaduta dell’intera materia direttamente in capo all’auto-nomia contrattuale individuale, senza un’effettiva preventiva me-diazione sindacale, con tutte le facilmente intuibili possibili incon-gruenze del caso.

7. I controlli a distanza alla luce del nuovo art. 4 St. lav.

Anche in materia di controlli a distanza di portata notevole èil cambiamento operato dal legislatore con la riscrittura per intero,ex art. 23, d.lgs. n. 151/2015, dell’art. 4 St. lav., dando così rispostaalla da più parti avanzata istanza di aggiornamento del testooriginario di tale disposizione al cospetto delle radicali trasforma-zioni e mutamenti indotti dalle innovazioni tecnologiche manife-statesi nel tempo in ordine sia ai metodi, impianti e apparecchia-ture di produzione, sia agli strumenti e modalità di controllo deilavoratori (spec., in primo luogo, mediante gli strumenti informa-tici), sia alle stesse potenziali prerogative di utilizzazione, archi-viazione e trattamento dei dati ed elementi raccolti mediante imedesimi controlli. E ciò, dunque, al di là della stessa domandagenerale da parte datoriale di alleggerimento dei vincoli statutari.

Si tratta, in buona sostanza, di dover individuare un adeguatopunto di equilibrio tra le ragioni dell’impresa al controllo e le(contrapposte) esigenze di tutela della dignità e riservatezza dellapersona del lavoratore in relazione al profondamente mutato con-testo di riferimento e in merito a vicende e situazioni in larga partenemmeno immaginabili e comunque non considerate dal legisla-tore dello Statuto.

Come significativamente dimostrato, del resto, già dalla circo-

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stanza che l’obsolescenza tecnica dell’art. 4 St. lav. fosse infatti datempo segnalata tanto dalla prospettiva dei lavoratori che daquella delle imprese: da un lato, a fronte del sensibile incrementodelle potenzialità di controllo offerte dal progresso tecnologico,evidenziandosi la necessità di verifica dell’idoneità della normativastatutaria ad assicurare un’adeguata protezione della sfera perso-nale dei lavoratori in un contesto radicalmente diverso da quelloper il quale è stata pensata (107); dal versante opposto, invece,valutandosi l’applicazione della medesima disciplina alla nuovarealtà tecnologica eccessivamente penalizzante per le imprese allaluce delle rigidità che ne potevano derivare sul piano dell’organiz-zazione produttiva, in primo luogo per i nuovi strumenti di lavoroaventi (anche) potenzialità di controllo (108). Anche perché arisultare erano numerose incertezze e opinioni diversificate inordine alla precettività della versione originaria dell’art. 4 St. lav.in relazione alla mutata realtà. Al di là dell’innegabile capacità ditenuta comunque mostrata dallo stesso art. 4 St. lav., grazie allastruttura aperta della sua formulazione, nonché alla disponibilitàdella giurisprudenza a valutarne la possibile applicazione in riferi-mento a fattispecie e vicende nuove e non considerate dal legisla-tore dello Statuto (109), oppure, in determinate ipotesi, ad esclu-derne l’operatività, per asserite esigenze preminenti di tutela delpatrimonio aziendale, come ad esempio nel caso dei discussi cd.“controlli difensivi” non riferiti all’attività lavorativa, ma finaliz-zati alla repressione di comportamenti illeciti del prestatore (110).

(107) Cfr., per tutti, già F. CARINCI, Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro, cit. e A.BELLAVISTA, Il controllo sui lavoratori, Giappichelli, Torino, 1995, 62 ss.

(108) Cfr., sempre per tutti, R. DE LUCA TAMAJO, Presentazione della ricerca, in R. DE

LUCA TAMAJO, R. IMPERIALI D’AFFLITTO, C. PISANI, R. ROMEI, Nuove tecnologie e tutela dellariservatezza dei lavoratori, F. Angeli, Milano, 1988, 9 ss., nonché, da ult., ma con posizionecritica, M.T. SALIMBENI, La riforma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori: l’ambigua risolutezzadel legislatore, in Riv. it. dir. lav., 2015, 599 ss.

(109) Cfr., per tutti: B. CARUSO, Lo Statuto dei lavoratori è morto: “viva lo Statuto”, inLav. dir., 2010, 92; P. LAMBERTUCCI, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela dellariservatezza del lavoratore: i controlli a “distanza” tra attualità della disciplina statutaria,promozione della contrattazione di prossimità e Legge delega del 2014 (c.d. Jobs act), in WPC.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 255/2015, 3; A. LEVI, Il controllo informatico sull’at-tività del lavoratore, Giappichelli, Torino, 2013, 91; nonché amplius già A. BELLAVISTA, Ilcontrollo sui lavoratori, cit., 58 ss.

(110) Per un riepilogo critico dell’evoluzione della giurisprudenza in argomento, cfr.,di recente, anche per tutti i riferimenti del caso, cfr. ancora A. LEVI, Il controllo informatico

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È quindi anche a necessario chiarimento della portata appli-cativa delle originarie prescrizioni statutarie che — nell’ambitodelle finalità generali di carattere occupazionale e di riordino dei« contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con leattuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo » (cfr. art. 1,comma 7, primo periodo, legge n. 183/2014) alla base della mano-vra di riforma — il legislatore delegante è venuto a devolvere algoverno la « revisione della disciplina dei controlli a distanza sugliimpianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzionetecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzativedell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavora-tore » (così: lettera f, comma 7, art. 1, cit.).

L’odierna versione dell’art. 4 St. lav. che ne risulta si rivelasolo in parte confermativa delle guidelines tracciate dal legislatoredello Statuto, importando infatti la ridefinizione dell’intera disci-plina in materia di controlli a distanza, anche qui essenzialmentenel senso di un ampliamento delle prerogative datoriali e pure conla rilevante novità della espressamente consentita utilizzazione deidati lecitamente raccolti « a tutti i fini connessi al rapporto dilavoro », sebbene con il contemperamento dei vincoli imposti informa di dovere di preventiva informazione adeguata dei lavora-tori, nonché della precisata necessaria osservanza in materia delladisciplina generale sulla privacy.

7.1. Limiti e vincoli procedurali al potere di controllo del datoredi lavoro.

Pur senza la riaffermazione esplicita del divieto di cui alcomma 1 del previgente art. 4 St. lav., dal legislatore della riformacontinua ad essere negato in generale l’utilizzo di impianti audio-visivi e altri strumenti con finalità di controllo diretto dell’attivitàdei lavoratori, ammettendosi infatti l’impiego di dette apparec-

sull’attività del lavoratore, cit., 91 ss., cui adde E. BALLETTI, Controllo “occulto” e sanzionabilitàdell’utilizzo improprio dei permessi assistenziali, in Giur. it., 2014, 2517, nonché, da ultimo:R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2016,I, 85 ss.; P. LAMBERTUCCI, La disciplina dei “controlli a distanza”, in Giur. it., 2016, 770 s.; V.MAIO, La nuova disciplina dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori e la modernità postpanottica, in Arg. dir. lav., 2015, 1196 ss.; S. NAPPI, La riforma della disciplina sul controllodei lavoratori nella filosofia del Jobs Act, in Dir. merc. lav., 2015, 257 ss.

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chiature « esclusivamente » quando siano necessarie « per esigenzeorganizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela delpatrimonio aziendale » e solo a fronte di previo accordo sindacale o,in mancanza, di autorizzazione dell’autorità amministrativa (così,comma 1, del nuovo art. 4, Stat. lav.). Vale a dire, soltanto alcospetto di specifiche esigenze giustificative qualificate “altre”rispetto al controllo dell’attività dei lavoratori, da accertarsi in viapreventiva, appunto mediante accordo collettivo o autorizzazioneamministrativa, assunti dal legislatore delegato quale presuppostodi legittimazione di un siffatto possibile controllo.

A parte gli aggiornamenti e le possibilità di variazione intro-dotte in merito a soggetti e sedi, rispettivamente, di stipulazionedell’accordo collettivo e di esplicazione della procedura ammini-strativa di autorizzazione, è in proposito confermata nella sostanzal’originaria disciplina statutaria e, al contempo, la controversainterpretazione affermatasi in giurisprudenza in tema di cd. con-trolli “preterintenzionali”. Ma con la rilevante novità dell’indica-zione quale esigenza qualificata anche della « tutela del patrimonioaziendale » e, inoltre, della prevista utilizzabilità delle « informa-zioni raccolte ... a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro » (cfr.,rispettivamente, commi 1 e 3, art. 4 cit.).

Tale riconoscimento del possibile utilizzo dei dati raccolti vale,in particolare, a superamento delle incertezze manifestatesi inpassato in merito agli ambiti di esplicabilità dei cd. controlli adistanza mediante le attrezzature di cui al comma 2 del vecchioart. 4 St. lav. e di effettiva utilizzabilità delle relative informazioniraccolte. Infatti, secondo quanto osservato dalla dottrina preva-lente, pure quando risultasse l’autorizzazione all’installazione dellesuddette attrezzature, « dalla norma sarebbe stato lecito desumere ...l’assoluta inutilizzabilità delle informazioni raccolte con le modalità adistanza » (111) in quanto « l’art. 4 St. lav. ha ricostruito (l’interesse)

(111) Così, da ultimo, R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei controlli a distanza sullavoro, cit., 83 e, conf., M.T. SALIMBENI, La riforma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, cit.,593 ss., nonché, conf., già, per tutti: U. ROMAGNOLI, sub art. 4, in G. GHEZZI, F. MANCINI, L.MONTUSCHI, U. ROMAGNOLI, Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Zanichelli, Bologna,1979; P. TULLINI, Comunicazione elettronica, potere di controllo e tutela, in Riv. it. dir. lav.,2009, I, 330 ss.; A. TROJSI, Il comma 7, lettera f) della legge delega n. 183/2014. Tra costruzionedel Diritto del lavoro dell’era tecnologica e liberalizzazione dei controlli a distanza sui lavoratori,in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 3/2014, 123. Diversamente R. DE LUCA

TAMAJO, I controlli sui lavoratori, in G. ZILIO GRANDI (a cura di), I poteri del datore di lavoro

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del lavoratore a non essere controllato a distanza nei termini di undiritto soggettivo che non si affievolisce alla presenza delle condizionidi cui al secondo comma » (112). Mentre ad affermarsi da parte dellagiurisprudenza era, invece, la tendenza ad ammettere l’utilizzabi-lità delle informazioni raccolte in tal modo per la repressione dicondotte illecite extracontrattuali (113), almeno in alcune pronun-zie pure in mancanza di preventiva autorizzazione all’installa-zione (114), oltreché anche con una certa apertura in ordineal possibile accertamento per tale via dello stesso « esatto adempi-mento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro » con ilrispetto delle « garanzie procedurali imposte dall’art. 4, secondocomma » (115).

Ebbene, alla luce del combinato disposto dei commi 1 e 3 delnuovo art. 4 St. lav., non è più da dubitarsi dell’utilizzabilità delleinformazioni raccolte mediante i controlli a distanza cd. preterin-tenzionali per la repressione di illeciti extracontrattuali, ma ancheper la sanzionabilità di comportamenti inadempienti agli obblighidel contratto di lavoro. Ciò in ragione della generalità della previ-sione con la quale si stabilisce l’utilizzabilità di dette informazioni,ex comma 3 cit., e che è tale, anzi, da far sì che risulti prospettabileun’estensione dei controlli a distanza anche al di là dell’accerta-mento di comportamenti illeciti (extracontrattuali o contrattualiche siano), nonché segnatamente in chiave di possibile valutazione,misurazione od anche monitoraggio continuo loro tramite delleprestazioni lavorative. Ipotesi, questa, la cui praticabilità valgaqui solo segnalare, quale spunto di riflessione, come possibilità disviluppo dei sistemi di organizzazione del lavoro secondo le poten-zialità offerte dal progresso tecnologico: i cui termini di concretaattuazione permangono tuttavia da valutare, in primo luogo inordine agli stessi cd. “strumenti di lavoro” ex comma 2, art. 4 St.lav. (su cui v. infra), in una prospettiva di comunque necessario

nell’impresa, Cedam, Padova, 2002, 30 e C. CESTER, M.G. MATTAROLO, Diligenza e obbedienzanel rapporto di lavoro, cit., 580.

(112) Così C. ZOLI, Il controllo a distanza del datore di lavoro: l’art. 4, L. n. 300/1970 traattualità ed esigenze di riforma, in Riv. it. dir. lav., 2009, I, 497.

(113) Cfr. per tutte, Cass. nn. 20440/2015, 12091/2013, 5371/2012, 2722/2012.(114) Sempre per tutte, cfr. Cass. nn. 10955/2015, 5371/2012, 2722/2012. Diversa-

mente, tuttavia, v. Cass. nn. 16622 e 4375/2010.(115) Così Cass. n. 3122/2015 e conf. Cass. nn. 4375/2010 e 15892/2007.

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contemperamento, secondo i dettami del legislatore delegante,delle ragioni dell’impresa con le imprescindibili esigenze di « tuteladella dignità e della riservatezza del lavoratore » (così: lettera f),comma 7, art. 1, legge n. 183/2014 cit.). Ad ogni modo con tutti ilimiti del caso per ciò che concerne la ragionevole esclusione dimoduli di lavoro e/o di relative forme di controllo implicanti ilrischio di uno sfruttamento eccessivamente esasperato della per-sona del lavoratore, così come di sistemi di valutazione inaccetta-bilmente troppo invasivi della sua sfera personale.

L’inclusione della « tutela del patrimonio aziendale » tra le esi-genze qualificate che si assumono giustificare i controlli a distanza,d’altro canto, rileva a legittimazione ex se dei cd. controlli difensivi(del patrimonio aziendale) (116), ma, al contempo, a loro ricondu-zione alle previsioni del comma 1 del nuovo art. 4 St. lav., in specieper quanto riguarda il necessario previo accordo sindacale o, inalternativa, l’autorizzazione amministrativa al riguardo ex comma1 cit. (117). Ciò quando secondo la giurisprudenza prevalente imedesimi cd. controlli difensivi erano invece da ritenersi nonassoggettati a tali vincoli procedurali di cui al comma 2, art. 4 St.lav. “vecchia formula” (118). Sicché a risultare è, in proposito,all’esito della riforma, una restrizione dell’area di esercizio delpotere di controllo: in singolare controtendenza, sul punto, rispettoal generale ampliamento della discrezionalità di esercizio delleprerogative datoriali verso il quale viceversa propende diffusa-mente il legislatore.

L’assoggettamento dei cd. controlli difensivi ai vincoli proce-durali ex comma 1 del nuovo art. 4 St. lav. è tuttavia valutato,secondo un’opinione, non sempre conciliabile con le « insopprimi-bili esigenze defensionali dell’impresa » che possono manifestarsi alcospetto di condotte illecite di particolare gravità che attentino« all’integrità del patrimonio o delle persone », nonché quindi teoriz-

(116) Cfr. S. NAPPI, La riforma della disciplina sul controllo dei lavoratori, cit., 256, nelsenso appunto dell’ampliamento delle « fattispecie che legittimano l’esercizio di attivitàdatoriali di controllo » in virtù del riferimento ex lege a « quelle svolte a difesa del patrimonioaziendale ».

(117) Cfr. R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, cit. eM. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), dei controlli (a distanza) e del trattamento deidati (del lavoratore), in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, n. 300/2016, 17.

(118) V. tra le tante Cass. nn. 20440/2015, 10955/2015, 12091/2013, 16622/2012,2722/2012, 8042/2006, 4746/2002.

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zando, anche sulla scorta della « nozione civilistica di legittimadifesa nei rapporti privati », la possibile deroga ai suddetti vincoli excomma 1 cit. a fronte della « necessità eccezionale, non dilazionabilenel tempo e non realizzabile altrimenti, di fronteggiare comportamentidel lavoratore che sono qualificabili come illecito in quanto ... “atti diaggressione contro l’altrui diritto” » (119), così come in ragione della« necessità di scongiurare il rischio concreto di comportamenti dellavoratore di rilevanza penale ... (e) a fronte del concreto sospetto di uncomportamento illecito, per il tempo a ciò strettamente necessa-rio » (120). Ma, in realtà, senza che tali osservazioni valgano asuperare il diverso dato letterale della norma, dovendosi ancheconsiderare che a rilevare non è, in proposito, lo specifico compor-tamento-fatto illecito da parte del singolo prestatore sia pure digravità abnorme nella sua attualità o anche nel rischio immediatodi suo accadimento, bensì piuttosto l’ipotesi in sé del possibileverificarsi nel futuro di condotte illecite da parte dei lavoratori oanche di terzi. Ciò in termini che, come tali, risultano prevedibili exante e, quindi, conciliabili in linea di principio con l’assolvimento aivincoli procedurali ex comma 1 cit.: in quanto è appunto già alcospetto della mera eventualità del rischio di possibili comporta-menti illeciti lesivi del patrimonio aziendale che il datore di lavoroè legittimato a predisporre i cd. controlli difensivi del caso e,quindi, a poter assolvere per tempo, e comunque senza particolariproblemi in ordine ad un’adeguata tutela del patrimonio aziendale,alle prescrizioni del comma 1.

7.2. I cd. strumenti di lavoro e gli strumenti di registrazionedegli accessi e delle presenze.

L’esclusione dell’applicazione delle prescrizioni del comma 1per i cd. strumenti di lavoro, ex comma 2, art. 4 St. lav. rilevaanzitutto quale superamento della mancata considerazione ad hocda parte dello Statuto dei lavoratori di tali strumenti quale mezzodi possibile controllo a distanza dei lavoratori e del conseguenteriferimento dell’originaria disposizione alla generalità degli stru-menti di controllo latamente intesi (121).

(119) Cfr. V. MAIO, La nuova disciplina dei controlli a distanza, cit., 1199 s.(120) Così M. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), cit., 17.(121) R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, cit., 83.

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Al cospetto del sempre più incessante procedere delle innova-zioni tecnologiche, dell’uso comune di strumenti di lavoro aventielevate potenzialità di rilevazione e registrazione anche oltremodominuziose e dettagliate dei comportamenti dei lavoratori (quali, adesempio, computer, telefonini e smartphone, tablet, cronotachi-grafi, telepass, cd. gps, nonché software e applicativi i più vari), arisultare era, infatti, uno “spiazzamento” della medesima disposi-zione statutaria (122). Fermo restando che, in mancanza diun’esclusione ex lege, siffatti strumenti di lavoro erano stricto iureda ritenere comunque rientranti nello spettro applicativo delleoriginarie prescrizioni. E ciò a prescindere dal fatto che a tanto nonsia conseguita una corrispondente effettività nella pratica dellemedesime prescrizioni statutarie in relazione agli strumenti dilavoro, al punto che si è giunti ad affermare che « per un quarto disecolo in Italia si sono utilizzati pacificamente, quasi sempre, senzaalcun accordo sindacale preventivo, i cellulari aziendali, i pc collegatialla rete aziendale, poi il gps sulle auto aziendali » (123).

Ai sensi del comma 2 del nuovo art. 4 St. lav., la strumentalitàrispetto alla prestazione lavorativa, così come la medesima « regi-strazione degli accessi e delle presenze » sono assunte già ex se,direttamente dal legislatore, quali esigenze qualificate che valgonoa legittimazione del controllo a distanza a priori, senza necessità diuna valutazione sindacale o amministrativa.

Per gli strumenti di lavoro condizione dell’esenzione dai vincolidi cui al comma 1 cit. è, in specie, l’essere lo strumento realmentefunzionale all’esplicazione della prestazione lavorativa, nonché lasua assegnazione da parte del datore a cui si unisca anche l’utiliz-zazione effettiva del medesimo strumento da parte del lavoratorenello svolgimento della sua prestazione: in termini da valutarsi inriferimento alla concreta fattispecie lavorativa, sulla scorta dellaricorrenza della cennata relazione di funzionalità dello strumento

(122) Così già F. CARINCI, Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro, cit., 29, nonché,conf., T. TREU, Lo Statuto dei lavoratori: vent’anni dopo, in AA.VV., Lo Statuto dei lavoratori:vent’anni dopo, in Quaderni dir. lav. rel. ind., 1990, 30 e, da ultimo, P. LAMBERTUCCI, Ladisciplina dei “controlli a distanza”, cit., 772.

(123) Così P. ICHINO, Controlli a distanza: tanto rumore per nulla, in www.pietroichi-no.it, 2015. Ma per una valutazione almeno in parte diversa al riguardo cfr. A. BELLAVISTA,Il nuovo art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, cit., 726 s.

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con l’espletamento della prestazione nella sua oggettività (124). E,pertanto, con le previsioni ex comma 1 cit. che permangono perconverso operanti in ordine a strumenti che, pur essendo nelladisponibilità del prestatore, non risultino direttamente funzionaliall’adempimento dell’obbligazione lavorativa, ma (solo) ad uninteresse organizzativo-produttivo di altra natura e comunque noncoincidente con l’espletamento della prestazione lavorativa.

È esclusa in proposito una necessaria “materialità” degli stru-menti, risultando determinante la rimarcata correlazione di direttafunzionalità all’esplicazione della prestazione lavorativa. Il che se,da un lato, importa che possano rientrare nell’ambito del comma 2cit. anche software e applicativi immateriali in genere, dall’altrolato, fa sì che elemento di discrimine sia rappresentato dallaricorrenza di un effettivo rapporto di “necessità” dello strumento-hardware o software che sia — rispetto all’esplicazione della pre-stazione lavorativa, anche solo al fine del suo miglioramento o diun incremento di produttività. Mentre non può viceversa valereuna connessione meramente occasionale e solo collaterale con lamedesima prestazione lavorativa: come nell’ipotesi dell’acquisi-zione di dati non strettamente funzionali all’esplicazione dellaprestazione. Con ogni valutazione che permane pertanto da farsi,non già sull’hardware e/o sullo strumento materiale in sé, mapiuttosto sui suoi contenuti (spec., software e programmi in genere,da apprezzarsi « autonomamente dai loro contenitori » (125)), nonchésull’effettiva loro utilizzazione da parte del lavoratore nell’esplica-zione della sua prestazione. E, peraltro, sempre in tal senso, anchecon possibile articolazione del giudizio, e relative valutazioni di-versificate, in riferimento a software incorporati in uno stessocomputer, giacché la funzionalità dell’hardware o di sue applica-zioni all’esplicazione della prestazione lavorativa non può valerequale esimente dai vincoli di cui al comma 1, art. 4 cit. anche persoftware non aventi analoga caratteristica funzionale: come nelcaso, ad esempio, di un’applicazione che, pur installata sul com-puter utilizzato ordinariamente dal lavoratore per rendere la suaprestazione, assolva solo ad una mera finalità di controllo fine a se

(124) Cfr. M. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), cit., 10 s.(125) M. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), cit., 20.

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stessa, e che, come tale, resta assoggettata ai cennati vincoli excomma 1 cit. (126).

Di più immediata individuazione risultano gli « strumenti diregistrazione degli accessi e delle presenze » di cui sempre al comma2, art. 4 St. lav.: infatti identificabili nei sistemi di accertamento diingresso ed uscita dall’azienda ad inizio e fine giornata lavorativa,nonché anche in corso di giornata per le uscite e reingressi cd.intermedi; e con l’esigenza qualificata assunta dal legislatore adesenzione dai vincoli ex comma 1, art. 4 cit. che risulta essere nelcaso quella di consentire il controllo del rispetto dell’orario dilavoro.

Senza che in proposito appaia condivisibile l’ipotizzata esten-sione dell’esenzione ex comma 2, art. 4 St. lav. in parola anche aglistrumenti di registrazione di accessi e presenze in determinatiluoghi o ambienti all’interno dell’area aziendale, nonché quindidegli « spostamenti del lavoratore effettuati all’interno dell’orario dilavoro » e pure degli « accessi digitali alle reti informatiche » (127),così come la più moderata proposta di disapplicazione parziale delcomma 1, art. 4 cit., in riferimento ai controlli sui movimenti eaccessi “interni” all’area aziendale, solo per quanto concernel’esenzione dall’iter di autorizzazione sindacale-amministrativo,ma al contempo assumendo viceversa la necessità della ricorrenzadelle esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro odi tutela del patrimonio aziendale al fine della legittimità di siffatticontrolli (128).

Il dato letterale della norma appare infatti obiettivamenteriferirsi ad “accessi” e “presenze”, e non anche agli spostamenti dellavoratore all’interno del perimetro aziendale e durante l’orario dilavoro. E, al contempo, appare evidente che, lungi dal risultarecircoscritto alla verifica della sola osservanza dell’orario di lavoro(e quindi all’esigenza qualificata rilevante ex lege a fondamentodell’esenzione in discorso), il controllo di tali spostamenti dellavoratore in sede aziendale, e durante il suo orario di lavoro,venga ad esplicarsi nell’ambito delle coordinate logistico-temporalidi determinazione dell’obbligazione lavorativa, pertanto sconfi-nando nel controllo del corretto adempimento da parte del presta-

(126) M.T. SALIMBENI, La riforma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, cit., 609.(127) M. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), cit., 23 s.(128) M.T. SALIMBENI, La riforma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, cit., 604-606.

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tore, in quanto tale non riconducibile all’esenzione del comma 2,art. 4, ma viceversa assoggettato ai vincoli di cui al comma 1 dellostesso art. 4.

Sta di fatto che la prefigurata esenzione da ogni verificasindacale o amministrativa per gli strumenti indicati sub comma 2del nuovo art. 4 St. lav. rischia di rivelarsi indebitamente penaliz-zante per le imprescindibili esigenze di « tutela della dignità e dellariservatezza del lavoratore » richiamate dal medesimo legislatoredelegante (art. 1, comma 7, lettera f), legge n. 183/2014), malgradole misure di contemperamento imposte in forma di adeguatainformazione del lavoratore e di dovere di conformazione allanormativa generale in tema di privacy ex comma 3, art. 4 St. lav.(su cui v. infra). Ciò anche in considerazione dell’inevitabile deficitdi effettività che dette misure di contemperamento rischiano discontare in quanto operanti nella dimensione interindividuale da-tore di lavoro-singolo prestatore di lavoro. E, pertanto, alla lucedella oggi più frequente oggettiva posizione di debolezza contrat-tuale del lavoratore (che si è visto conseguire al progressivo degra-dare delle tutele giuslavoristiche in entrata, in uscita e, quindi,anche all’interno del rapporto di lavoro), nonché comunque dellascarsa competenza e consapevolezza che lo stesso lavoratore ingenerale può avere in merito agli installandi nuovi strumenti dicontrollo e alle loro potenzialità di intrusione nella sua sferapersonale.

Ne consegue il tendenziale sbilanciamento a unilaterale van-taggio del datore di lavoro dell’esenzione di cui al comma 2, art. 4St. lav., peraltro in forma in linea di massima anche irragionevole,non essendo individuabili motivazioni pregnanti del prospettatoaffrancamento a priori da ogni verifica sindacale o amministrativa.

Specie se si consideri come la problematica risulti essenzial-mente da focalizzare, in particolare per quanto riguarda i cd.strumenti di lavoro, in riferimento alla sola fase-momento dell’in-troduzione ex novo dello strumento in azienda a modifica dell’or-ganizzazione produttiva, restando viceversa escluse le successiveassegnazioni nel tempo del medesimo strumento ai singoli lavora-tori. Con la necessità di verifica una tantum delle eventuali poten-zialità di un controllo lesivo della sfera personale dei lavoratori cheviene infatti a manifestarsi al cospetto della prefigurata adozionedello strumento in parola a modifica dell’assetto organizzativopreesistente; e con una tale modifica dell’organizzazione produt-

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tiva che è infatti per sua natura programmata in ampio anticiponei tempi e modalità di attuazione, senza che siano in linea diprincipio prefigurabili particolari ragioni di urgenza o necessità nelsenso della cennata esenzione da una verifica di coerenza del nuovostrumento con la « tutela della dignità e della riservatezza del lavora-tore ». Onde appunto l’esigenza di una verifica dell’idoneità delnuovo strumento in via generale, una volta per tutte, all’atto dellasua (prima) introduzione in azienda, senza che il datore di lavorosia ovviamente poi tenuto a dover reiterare un’ulteriore verifica insede di concreta assegnazione ai singoli lavoratori, fermi restandoi doveri di informazione ex comma 3, art. 4 St. Lav. Anche perché,a ragionare diversamente, dovrebbe per coerenza assurdamenteconcludersi che, ad esempio, in relazione ad una telecamera instal-lata in un determinato ambiente aziendale e debitamente autoriz-zata ex comma 1, art. 4, per ogni nuovo lavoratore che entri indetto ambiente aziendale sarebbe da reiterarsi l’esplicazione del-l’iter sindacale o amministrativo.

Ebbene, così delimitati i termini della questione, si deve con-venire in ordine all’esigenza di una riconsiderazione dell’esenzionea priori da ogni verifica sindacale o amministrativa quale delineatadalla riforma per gli strumenti indicati nel comma 2, art. 4 St. lav.,ferma restando la sola possibilità di tutela per via giudiziaria dieventuali lesioni della sfera personale del lavoratore, comunque insé obiettivamente problematica già sul piano della ripartizione deirispettivi oneri di allegazione e probatori.

Ove, peraltro, sia pure de iure condendo, potrebbe anche pen-sarsi all’attivazione, nel caso, della procedura di verifica sindacaleo amministrativa ex comma 1, art. 4 St. lav., non in generale, maquanto meno su istanza del lavoratore o delle rappresentanzesindacali: quando in particolare si reputi in concreto che le poten-zialità di controllo dell’introdotto nuovo strumento vengano inde-bitamente ad incidere in via eccessiva sulla dignità e la riserva-tezza della persona del medesimo lavoratore. E tanto, al contempo,atteso l’interesse del datore a non restare assoggettato sine dieall’eventualità di doversi sottoporre all’iter di autorizzazione, purecon la possibile limitazione della richiesta di attivazione dellaprocedura entro un termine di decadenza in riferimento all’intro-duzione del nuovo strumento in azienda e/o al momento delmanifestarsi del controllo indebitamente invasivo della sfera per-sonale del lavoratore.

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Con la verifica sindacale o amministrativa delle potenzialità dicontrollo del cd. strumento di lavoro che risulterebbe così soloeventuale e, comunque, non particolarmente gravosa sul pianodell’esercizio dei poteri datoriali, nonché quindi tendenzialmentepiù idonea, rispetto all’odierna esimente a priori e senza possibilitàdi alcuna verifica ex comma 2, art. 4, a valere quale adeguatopunto di equilibrio tra le ragioni dell’impresa e gli interessi dellapersona del lavoratore. Interessi che, invero, giova ricordare, sonoineludibilmente da salvaguardare rispetto ai controlli a distanza, aprescindere dallo strumento mediante il quale sono effettuati e,dunque, senz’altro anche in ordine ai medesimi strumenti di cui alcomma 2 cit.

7.3. L’adeguata informazione dei lavoratori in ordine alle atti-vità di controllo e l’utilizzabilità dei dati raccolti.

Fuori discussione è, poi, l’importanza al fine della « tutela delladignità e della riservatezza del lavoratore » dei doveri di informazionedel lavoratore e di necessaria conformazione alla normativa gene-rale in tema di privacy imposti dal comma 3, art. 4 St. lav.: inparticolare, quale fattore di necessario bilanciamento, a presidiodei fondamentali interessi della persona del lavoratore, a fronte delsensibile ampliamento delle prerogative datoriali prospettato inmateria di cd. controlli a distanza dal legislatore. Tanto più alcospetto della su già considerata coeva previsione, da parte dellostesso comma 3, di utilizzabilità « a tutti i fini connessi al rapportodi lavoro » delle « informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 », chevale a fornire portata di per sé ben più pregnante alla corrispon-dente posizione di potere del datore di lavoro.

A prescindere in questa sede da una disamina della valenza deicennati doveri ex comma 3 cit. (129), si è però già evidenziato comela loro concreta effettività rischi di rivelarsi solo relativa, alla luce

(129) Sulla questione dei dati personali del lavoratore cfr. già, amplius, A. BELLAVI-STA, Il controllo sui lavoratori, cit., 128 e A. TROJSI, Il diritto del lavoratore alla protezione deidati personali, Giappichelli, Torino, 2013, nonché, da ultimo, in riferimento all’odiernanuova disciplina, I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratorinell’intersezione fra le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della privacy, inLabour & Law Issues, 2016, 8 ss. e S. NAPPI, La riforma della disciplina sul controllo deilavoratori, cit., 269 ss.

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della posizione di debolezza contrattuale del lavoratore, e comun-que tale da non assicurare adeguata protezione ai fondamentaliinteressi della sua persona.

Senza che in ogni caso la prefigurazione dei doveri in parola acarico del datore di lavoro sia considerabile quale una sorta dicontropartita a fronte dell’affrancamento del potere datoriale daivincoli di verifica sindacale e amministrativa in riferimento aglistrumenti di cui al comma 2, art. 4. Sostanzialmente disomogeneee in alcun modo comparabili rispetto alla preventiva verificasindacale e amministrativa, ex comma 1, art. 4, sono, infatti, latutela e comunque la gestione delle sue posizioni e interessi perso-nali cui può realisticamente accedere il singolo prestatore nelladimensione contrattuale individuale del rapporto di lavoro.

Con gli stessi doveri a carico del datore, e corrispondenti dirittispettanti al lavoratore, ex comma 3, art. 4 St. lav. che è fortementeda dubitare che possano valere, da soli, ad assicurare le fondamen-tali esigenze di « tutela della dignità e della riservatezza del lavora-tore » che il medesimo legislatore delegante (art. 1, comma 7, leggen. 183/2014), ha enunciato quale principio guida della riforma delJobs Act in materia di controlli a distanza.

8. La ridefinizione dell’area di esercizio dei poteri datoriali: le tuteledel prestatore nel contratto individuale di lavoro; il ruolo dell’au-tonomia collettiva.

All’esito del processo di rinnovamento della normativa lavori-stica portato a compimento con la riforma a risultare è un riposi-zionamento del punto di equilibrio tra standard di tutela del lavorosubordinato e ragioni delle imprese in senso più favorevole perqueste ultime rispetto alla disciplina previgente.

La funzione più tradizionale del diritto del lavoro di forniretutela ai valori personali dell’uomo che lavora viene infatti sopra-vanzata dall’impostazione « che tende a contemperare gli interessipatrimoniali e professionali dei lavoratori con l’interesse all’efficienzae alla produttività delle imprese » (130) e che ritiene che « il diritto dellavoro ... debba fornire risposte flessibili alle (abusate) sfide della

(130) Cfr. M. PERSIANI, G. PROIA, Contratto e rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 2001,7.

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flessibilità » (131). Con il diritto del lavoro che infatti si osservaandare perdendo la sua caratteristica di essere a servizio dei diritticostituzionali della persona del lavoratore, come esplicitati dallanormativa statutaria, per tendere a ridimensionarsi in « pura esemplice tecnica di regolazione di un rapporto mercantile » con sal-vezza limitata di soli « alcuni principi fondamentali (ad esempio ildivieto di discriminazione) » (132), e sia pure con il prospettatomiglioramento degli standard di protezione per il prestatore nelmercato del lavoro, secondo l’idea della cd. flexicurity, comunqueda verificare, e che tuttavia, lungi dal valere a sopperirlo, presup-pone appunto l’avvenuto degradare delle tutele all’interno delrapporto di lavoro.

Peculiare novità in proposito è peraltro rappresentata dall’as-sunzione tra le poste in gioco su cui si viene ad incidere anche diinteressi fondamentali del lavoratore di profilo prettamente perso-nale ai quali per la loro natura non è chiaramente attribuibile « unprezzo o ... un costo » (133), né è possibile ritenere poter esseresemplicisticamente oggetto di scambio o compensazioni di sorta, eche comunque si è constatato per più versi non essere probabil-mente stati tenuti adeguatamente in conto dal legislatore in sede diprefigurato allentamento dei corrispondenti vincoli imposti ai po-teri datoriali ai sensi delle disposizioni statutarie.

Non è chiaramente in discussione la scontata possibilità dirimodulazione al ribasso in sé delle tutele giuslavoristiche, sempreche, però, sia assicurata considerazione congrua ai succennatiinteressi fondamentali della persona del lavoratore coinvolti. Men-tre si è constatato come proprio al riguardo la recente riformadetermini perplessità, in particolare alla luce dell’efficacia solorelativa degli elementi di bilanciamento predisposti in favore delprestatore a fronte del sensibile ampliamento dell’area di eserciziodei poteri datoriali cui è dato corso.

Al di là delle singole nuove disposizioni introdotte, la riformaassume portata generale e di sistema. A parte l’ormai estesa

(131) Criticamente, in relazione alla regressione delle tutele in materia di licenzia-menti illegittimi ex art. 1, legge n. 92/2012, O. MAZZOTTA, I molti nodi irrisolti del nuovo art.18 St. lav., in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA, Il nuovo mercato del lavoro. Dalla riformaFornero alla legge di stabilità 2013, Giappichelli, Torino, 237.

(132) A. PERULLI, L’idea di diritto del lavoro, oggi, cit., 26.(133) Così ancora O. MAZZOTTA, I molti nodi irrisolti del nuovo art. 18 St. lav., cit., 237.

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flessibilità in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro, il pervasivointervento del legislatore anche all’interno della relazione contrat-tuale di lavoro sul punto nevralgico dei poteri datoriali ha effettodirompente, venendo infatti ad incidere sullo stesso oggetto del-l’obbligazione lavorativa, ai sensi del nuovo art. 2103 c.c., sullerispettive posizioni soggettive delle parti e, quindi, in generale,anche sulle dinamiche interpersonali e sui loro rapporti di forza.Con influenza in ordine alla medesima valenza dei tratti e indicicaratteristici della subordinazione, peraltro anche a fronte del-l’emersione del cd. contratto di lavoro a tutele crescenti qualenuova fattispecie di riferimento della materia: in particolare, purnell’invarianza dei lineamenti definitori del lavoro subordinato exart. 2094 c.c., al cospetto dei mutamenti sostanziali delineati intema di potere direttivo e, quindi, in relazione al primo degliindici-elementi identificativi del medesimo lavoro subordinato,espressamente ribadito dal legislatore ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015.Non senza che, anzi, anche alla luce del rimarcato odierno notevoleindebolimento generale della posizione del prestatore all’internodella relazione contrattuale, per il cd. contratto a tutele crescentisi prospetti già da ora il possibile uso strumentale, nella pratica,quale via di fuga dal diritto del lavoro statutario pure in relazioneai dipendenti vecchi assunti, sia in virtù della novazione o anchesolo trasformazione del loro contratto di lavoro “stabile” appuntoin un più conveniente (per il datore) contratto di lavoro a tutelecrescenti, sia più drasticamente in forza della loro sostituzione conaltri lavoratori assunti ex novo con contratto a tutele crescenti.

Reputata l’incompatibilità del previgente modello di tutela dellavoratore “stabile” con le esigenze di efficienza e di produttivitàdelle imprese, anche in riferimento ai profondi mutamenti delcontesto economico, occupazionale e tecnologico rispetto all’ormailontano 1970, la riforma assume il diritto del lavoro e, per megliodire, l’allentamento delle rigidità e vincoli da esso imposti alleimprese quale fattore di sviluppo economico e dell’occupazione: inuna prospettiva “macro” di medio-lungo periodo e, dunque, anchein questo senso in revisione sostanziale rispetto all’impostazioneprettamente “micro” secondo la quale è stata concepita ed èandata strutturandosi la normativa statutaria in riferimento allarelazione individuale datore di lavoro-prestatore o al più all’unitàproduttiva o comunque alla singola impresa.

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Si è rilevata, tuttavia, la non adeguata considerazione per variversi prestata ai diritti e interessi fondamentali della persona dellavoratore sulla quale si va in questo senso ad incidere, specie,peraltro, alla luce del dichiarato orientamento della riforma alperseguimento di un obiettivo generale di natura economico-occu-pazionale che si è rimarcato essere essenzialmente “terzo” rispettoal contratto di lavoro e segnatamente rispetto al singolo prestatore.

Come l’esperienza in tema di progressivo incremento dellaflessibilità sia in entrata sia in uscita dal rapporto di lavoroinsegna, l’allentamento delle rigidità della normativa giuslavori-stica in chiave occupazionale non rappresenta certo una novità, mail fatto è che, nel caso della riforma del Jobs Act, l’interesse latosensu occupazionale verso cui si protende, e per il cui possibileconseguimento risultano erosi i suddetti diritti e interessi delprestatore è, come detto, obiettivamente “estraneo” alla relazionecontrattuale e in particolare al medesimo prestatore. Onde ladiversità evidente delle nuove previsioni dell’odierna riforma ri-spetto alle disposizioni in tema di flessibilità in entrata e in uscitadal rapporto di lavoro, viceversa funzionali o a promuovere unapossibilità di impiego per chi non ha lavoro, oppure a preservarel’impiego a chi è occupato, nonché, quindi, nel primo caso, senzaincidere sugli standard normativi di chi è già occupato, nel se-condo, invece, almeno in linea potenziale (anche) nel medesimointeresse degli occupati alla continuità del loro impiego.

Ferma restando ogni riserva in merito all’effettiva prospetta-bilità di una compensazione o contemperamento con altre poste discambio degli interessi fondamentali della persona del prestatore intema di tutela della professionalità, dignità e riservatezza oggettodell’intervento del Jobs Act, è così che viene a mancare una realeforma di valido contemperamento rispetto a detti interessi fonda-mentali: con l’allentamento dei vincoli statutari in tema di eserci-zio dei poteri datoriali che, almeno sotto determinati aspetti, tendea risolversi in una perdita secca e fine a se stessa in forma diregressione tout court degli standard di protezione del lavoro su-bordinato.

Si rivelano infatti per più versi evanescenti gli elementi dibilanciamento predisposti a tutela del lavoro subordinato dallariforma a fronte di un tale degradare delle tutele originarie, speciealla luce degli ampi spazi di derogabilità e comunque di flessibilitàdella norma giuslavoristica che vengono prospettati nell’area indi-

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viduale del contratto di lavoro, anche a scapito dell’azione dellestesse parti collettive, nonché in innovazione radicale dei tradizio-nali rapporti tra legge, contrattazione collettiva e autonomia indi-viduale.

Così in materia di mansioni, jus variandi e inquadramenti,dove, oltre alla prevista possibilità di esercizio in peius dello jusvariandi da parte del datore di lavoro nelle ipotesi di cui ai commi2 e 4 del nuovo art. 2103 c.c., a risultare è il riconoscimentoall’autonomia individuale di una possibilità di deroga pressochéillimitata alla normativa legale mediante accordi di dequalifica-zione ex comma 6, art. 2103. Fermo restando che, poi, attesal’estrema ampiezza della nuova regolazione dello jus variandi sullascorta del criterio “aprofessionale” dello « stesso livello e categorialegale di inquadramento », sempre nella dimensione del contrattoindividuale si è visto essere altresì concordabili specificazioni didetto criterio in relazione al singolo prestatore, come pure, sottoaltro verso, in relazione al non definito “obbligo formativo” excomma 3, art. 2103.

Laddove, per converso, la possibilità di deroga in peius allanormativa legale da parte dell’autonomia collettiva si è visto essereinvece confinata negli angusti spazi stabiliti dal comma 4 delmedesimo art. 2103, nonché così circoscritta a poter operare rea-listicamente in relazione a soli demansionamenti temporanei, sem-pre nei limiti del comma 4 cit., e in questo modo probabilmenteesautorata — non è dato sapere quanto consapevolmente dallegislatore del Jobs Act — in ordine alla stessa possibile stipulazionein materia di accordi ex art. 4, comma 11, legge n. 223/1991 e di cd.contratti di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138/2011 (al di là della notautilizzazione limitata di tali intese ad opera delle parti so-ciali) (134). Ciò, peraltro, in contraddizione rispetto al ruolo cru-ciale viceversa demandato alla contrattazione collettiva, e segna-tamente ai suoi sistemi di inquadramento, sempre da parte dallegislatore della riforma, al fine del completamento del comandolegale in tema di jus variandi che si è visto derivare dalla previstasostituzione del previgente limite dell’equivalenza professionalecon l’appena richiamato nuovo criterio “aprofessionale” dello

(134) Sui cd. contratti collettivi di prossimità cfr., per tutti, V. LECCESE, Il dirittosindacale al tempo tempo della crisi, in AA.VV., Il diritto del lavoro al tempo della crisi, Attidel XVII Congresso Nazionale Aidlass, Pisa 7-9 giugno 2012, Giuffrè, Milano, 2013, 50 ss.

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« stesso livello e categoria legale di inquadramento »; nuovo criterio inrelazione al quale, come indicato, è comunque da auspicare un’op-portuna delimitazione da parte della stessa autonomia collettiva.Mentre ancora in favore della contrattazione collettiva risultanoaltresì disponibili larghi spazi di specificazione della disciplinalegale alla luce dell’oggettiva genericità della sua formulazione:come, ad esempio, in ordine al del tutto indefinito “obbligo forma-tivo” enunciato solo astrattamente ex comma 3, art. 2103, e ancheriguardo alle parimenti non definite “ragioni sostitutive” alla basedell’adibizione a mansioni superiori ex comma 7, art. 2013.

In tema di controlli a distanza è ancora più evidente larestrizione dell’ambito d’intervento dell’autonomia collettiva, inparticolare in virtù della prevista esenzione dall’iter sindacale-amministrativo di autorizzazione per i cd. strumenti di lavoro e glistrumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, ex comma2, art. 4 St. lav. Ciò con relativo notevole vantaggio in punto dialleggerimento dell’esercizio dei poteri datoriali, atteso viceversal’assoggettamento di tali strumenti al suddetto iter di preventivaautorizzazione ai sensi del testo previgente dell’art. 4 St. lav.

Anche in proposito segnato rilievo è annesso invece all’auto-nomia individuale, sebbene non in possibile via derogativa o di-spositiva rispetto alla normativa di legge, ma piuttosto qualevincolo procedurale a presidio degli interessi della persona dellavoratore esposti all’attività di controllo: alla luce del previstocondizionamento dell’utilizzabilità dei dati raccolti alla preventivaadeguata informazione del singolo lavoratore in merito alle « mo-dalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli » ex comma3 del nuovo art. 4 St. lav. Con detto dovere di informazione che, aparte la comunque prescritta necessaria osservanza della norma-tiva sulla privacy (cfr. ancora comma 3 cit.), relativamente aglistrumenti di lavoro e di registrazione degli accessi e delle presenze,rileva in pratica quale unico limite all’esercizio del poteri datoriali,sempre a fronte della disposta esenzione dall’iter sindacale-ammi-nistrativo ex comma 1, art. 4.

Una tale valorizzazione della dimensione “micro” dell’autono-mia individuale in relazione alla tematica dei poteri datoriali èsingolarmente prefigurata al cospetto delle finalità generali a li-vello “macro” cui si è visto essere dichiaratamente protesa lamanovra del Jobs Act.

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A prescindere dalla conciliabilità di siffatte disomogenee diret-trici di svolgimento dell’intervento riformatore, la considerazioneprestata in proposito all’autonomia individuale dal legislatore simanifesta tuttavia in termini differenti rispetto alla valorizzazionesempre della prospettiva contrattuale individuale emergente a suotempo dallo Statuto dei lavoratori quale argine rispetto all’espli-cazione dei poteri datoriali e, quindi, a tutela del lavoratorecontraente debole anche quale persona e non mero fattore diproduzione (135). Con il riferimento all’autonomia individuale che,infatti, nell’ambito della recente riforma, non è posto in via incre-mentale dei vincoli all’esercizio dei poteri datoriali, essendo deli-neato, invece, o in via di possibile deroga in peius alla norma legale(spec., nel caso dei cd. accordi di dequalificazione), oppure in via dimera necessaria comunicazione di dati al singolo lavoratore, masenza possibilità di interdizione all’esplicazione degli stessi poteridatoriali (come per il dovere d’informazione ex comma 3, art. 4 St.lav.), e peraltro, in entrambe le ipotesi, in sostituzione di fattodell’azione dell’autonomia collettiva coevamente esautorata ri-spetto alla sua stessa possibilità d’intervento.

Perplessità innegabili suscita la così prospettata rimessioneall’autonomia individuale dell’inderogabilità e comunque dell’ope-ratività della normativa legale, tra l’altro in riferimento ai dirittifondamentali della persona del lavoratore (per loro natura indispo-nibili) rilevanti in tema di mansioni, jus variandi, inquadramenti econtrolli a distanza. Per di più senza nemmeno la mediazionedell’azione sindacale e, pertanto, con conseguente riconduzione intoto dell’effettività delle tutele giuslavoristiche direttamente incapo all’autonomia individuale del singolo prestatore.

È infatti quantomeno improbabile che il singolo prestatore, dasolo, nella dimensione individuale della relazione contrattuale dilavoro, sia in grado di gestire adeguatamente i suoi interessi,perché il più delle volte inevitabilmente privo degli elementi co-noscitivi del caso e delle competenze tecniche necessarie per lavalutazione delle situazioni e delle incidenze rispetto alla sua

(135) Cfr. già, per tutti: F. LISO, La mobilità dei lavoratori in azienda: il quadro legale,F. Angeli, Milano, 1982, 26; R. PESSI, Il potere direttivo dell’imprenditore ed i suoi nuovi limitiderivanti dallo Statuto dei lavoratori, in Riv. dir. lav., 1973, 28; G. SUPPIEJ, Il potere direttivodell’imprenditore e i limiti derivanti dallo Statuto dei lavoratori, in Riv. dir. lav., 1972, 3. Piùdi recente A. PERULLI, Il potere direttivo e i suoi limiti generali, cit., 619.

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posizione soggettiva, e soprattutto in considerazione della suacondizione di debolezza che si è constatato essere oggi aumentatain ragione del degradare sotto molteplici aspetti dei suoi standarddi tutela, in primo luogo in ordine al profilo in questo senso di persé decisivo della (diffusamente ridotta) stabilità del vincolo con-trattuale. Singolo prestatore che, invero, anzitutto per preservareil suo primario interesse all’occupazione, e comunque giacché nonin condizione di contrastare nei fatti il potere contrattuale deldatore, tende a risultare gioco forza costretto a dover accettarepattuizioni contrarie ai suoi interessi e comunque un’esplicazioneindebita dei poteri datoriali senza una reale possibilità di contra-sto, a parte il solo ricorso alla via giudiziaria, in ogni caso difficil-mente esperibile ex post rispetto a suoi atti dispositivi dell’appli-cazione della normativa giuslavoristica, essenzialmente nei soliristretti spazi consentiti dai rimedi privatistici dei cd. vizi dellavolontà.

Com’è evidente se si considerano le più svariate ipotesi didegradare dei diritti e interessi del singolo prestatore che appuntopossono manifestarsi al riguardo.

Nel caso, ad esempio, anzitutto, del cd. accordo di dequalifi-cazione, in relazione al quale si è constatato come, a fronte dellapraticamente illimitata possibilità di deroga alla normativa dilegge, si rivelino realisticamente effimere le garanzie fornite atutela degli interessi del lavoratore dal mero vincolo della stipula-zione in cd. sede protetta, ex comma 6, art. 2103 c.c. Ma analoga-mente in ordine agli accordi che potrebbero rilevare sempre in sedeindividuale a regolazione dello jus variandi, in riferimento all’am-pio criterio “aprofessionale” dello « stesso livello e categoria legale diinquadramento » ex comma 1, art. 2103 c.c. (comunque in unambito stricto iure disponibile per l’autonomia negoziale giacchénon implicante una deroga in peius al comando legale). Ciò, inparticolare, in forma di accettazione da parte del singolo prestatoredell’assegnazione a mansioni (pur di uguale inquadramento alleprecedenti ma) estranee alle sue competenze professionali, anchecon possibile dichiarazione di competenza del medesimo prestatorein riferimento alle nuove mansioni assegnategli: che potrebbeavrebbe la duplice valenza sia di esimente per il datore dall’obbligoformativo ex comma 3, art. 2103, sia di assunzione di responsabilitàdel prestatore in merito alla correttezza dei successivi adempi-menti, con relativa sanzionabilità anche disciplinare dell’eventuale

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successiva prestazione lavorativa non adeguata; nonché, altresì,con le rilevanti implicazioni che si è visto manifestarsi, sottoulteriore profilo, anche in riferimento all’area strettamente corre-lata del giustificato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3,legge n. 604/1966. Oppure si pensi ancora alla stessa “diversavolontà” che si prevede che il prestatore possa manifestare rispettoalla sua assegnazione definitiva a mansioni superiori all’esito delprevisto periodo massimo di sei mesi continuativi (in luogo dei tremesi sempre continuativi di cui al testo previgente della norma) diadibizione temporanea alle medesime mansioni ex comma 7, art2103: con una manifestazione di volontà di tal genere da parte dellavoratore che, stante l’oggettiva “non convenienza” della rinunziadi fatto, in questo modo, alla maturanda promozione, ben po-trebbe essere determinata dalla sua posizione di debolezza contrat-tuale.

E parimenti per quanto concerne la tematica dei controlli, inordine alla quale non pare rivelarsi lontana dalla realtà l’eventua-lità che, sempre nella dimensione individuale della singola rela-zione contrattuale, pur in difetto di una sua “adeguata informa-zione” ex comma 3, art. 4 St. lav., il prestatore si veda costretto asottoscrivere dichiarazioni di avvenuta sua adeguata informazioneo anche di riconoscimento e/o accettazione dell’idoneità degli stru-menti e apparecchiature in genere adibiti a funzioni di controllo e/odella stessa attività di controllo esplicata dal datore di lavoro.

Tutto ciò, vale ripetere, senza una reale garanzia a tutela deidiritti fondamentali della persona del lavoratore. Con le criticitàdella recente riforma che risultano efficacemente poste in rilievodalla valutazione espressa da un autorevole giuslavorista da sem-pre sensibile rispetto all’esigenza dell’aggiornamento delle rigiditàdella nostra materia, in specie rilevando, in ordine alle riforme delJobs Act, che « nella maggior parte di esse, sembra prevalente uncarattere alquanto regressivo. Questa valutazione non è suggerita dalfatto che siano state messe in discussione storiche rigidità; questecertamente da tempo necessitavano di essere corrette e riequilibrate,poiché sortivano effetti controproducenti. È frutto, invece, della con-siderazione che la strada scelta per metterle in discussione non faevolvere il sistema protettivo, limitandosi ad un semplice percorsoerosivo, di retromarcia; nella sostanza, di semplice smantellamento ditutele, con restituzione secca di margini di potere al datore di lavoro,che si cerca di alleggerire dai costi di una legislazione cresciuta a

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dismisura e pesantemente affidata agli incerti esiti della mediazionegiudiziaria » e quindi aggiungendo che « ci si poteva aspettare che lastrada fosse un’altra; quella dell’esplicita valorizzazione della regola-zione prodotta dall’autonomia collettiva, che dovremmo considerare lostrumento fisiologico e prevalente della regolazione lavoristica, natu-ralmente vocato a trovare un dinamico bilanciamento tra le spinteeconomiche ed organizzative e le esigenze di protezione dei lavora-tori » (136).

Al netto in questa sede di ogni giudizio di merito in ordine allesoluzioni prefigurate dal legislatore del Jobs Act, e senza che debbaqui ribadirsi la comunque necessaria esigenza di aggiornamentodella previgente disciplina statutaria, a sorprendere è proprio, nonsoltanto la mancata valorizzazione, bensì, anzi, la constatata re-strizione del ruolo dell’autonomia collettiva, pure a fronte, nonsoltanto dell’ampliamento in sé dell’area di esercizio dei poteridatoriali, ma anche della larga disponibilità della normativa legaleche si va innovativamente a concedere all’autonomia individuale.

Onde il rischio del degradare indefinito degli standard diprotezione del lavoro subordinato. Ciò in termini che, in primoluogo per quanto riguarda l’imprescindibile tutela dei dirittifondamentali della persona del prestatore, a parte lo scontatorilievo di non conformità alla legge delega n. 183/2014 (spec. art.1, comma 7, lettere e) e f)) e anche la concorrente probabileviolazione degli stessi principi costituzionali in materia, paionoimporre la necessità di una riconsiderazione delle esaminate nuovedisposizioni in tema di poteri del datore di lavoro: appuntosegnatamente in ordine alla prefigurata rimessione dell’effettivitàdella normativa giuslavoristica nelle mani dell’autonomia indivi-duale, nonché in quanto a dover essere comunque assicurata èun’azione di valido supporto di essa autonomia individuale daparte dell’autonomia collettiva e, quindi, l’insostituibile funzionedi presidio e mediazione della stessa autonomia collettiva rispettoall’esercizio dei poteri datoriali e all’operare in sé del diritto dellavoro.

(136) Così F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansionicontenuta nel decreto legislativo n. 81/2015, cit., spec. 19.

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9. Norme aperte e clausole generali nella modulazione dei poteri deldatore di lavoro.

Ai sensi degli artt. 2103 c.c. e 4 St. lav. nuova formula, aridefinizione dei poteri datoriali rilevano anche una serie di previ-sioni cd. aperte a precetto generico o comunque non definitocompiutamente nella sua portata in forma direttamente esplicita.

Al cospetto di previsioni di tal fatta di carattere (solo) generalel’area di esercizio delle prerogative datoriali permane da determi-nare sempre in via di mediazione tra le ragioni dell’impresa e lecontrapposte esigenze di tutela della persona del lavoratore, se-condo le medesime prescrizioni della legge delega n. 183/2014: nelsenso, infatti, del necessario contemperamento, in tema di man-sioni, dello « interesse dell’impresa all’utile impiego del personale conl’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della profes-sionalità e delle condizioni di vita » e, in ordine ai controlli adistanza, delle « esigenze produttive ed organizzative dell’impresa conla tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore » (così, rispet-tivamente, lettere e) e f), art. 1, comma 7). Ciò in termini che è daritenere trovino espressione, sia pure implicita, nelle nuove ver-sioni dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 4 St. lav., anche perché, se sireputasse diversamente, dette rinnovate disposizioni sarebbero davalutarsi non conformi alle prescrizioni della legge delega (137).

I suddetti interessi e valori anche di rango costituzionale sipongono a limitazione della discrezionalità dell’esercizio dei poteridel datore di lavoro, in ogni caso da modulare nella loro portataconcreta in base ai canoni generali comportamentali di correttezzae buona fede ai quali va conformato lo svolgimento della relazionecontrattuale in ogni sua fase. Ove per quanto concerne la proble-matica di tali clausole generali, esclusane in questa sede unapossibile analisi de funditus (138), è da convenire che il notevole

(137) Cfr. ancora gli autori citati supra, sub nota n. 90.(138) Sulla dibattuta operatività delle clausole generali di correttezza e buona fede

contrattuale, ex artt. 1175 e 1375 c.c. quale canone di limitazione o comunque di modula-zione dell’area di discrezionalità di esercizio dei poteri datoriali cfr. già amplius, per tutti:C. ZOLI, La tutela delle posizioni “strumentali” del lavoratore. Dagli interessi legittimi all’usodelle clausole generali, Giuffrè, Milano, 1988, 212 ss.; E. BALLETTI, Poteri imprenditoriali edinteresse del lavoratore all’adempimento: la prospettiva delle clausole generali, in Riv. crit. dir.priv., 1990, 723 ss.; P. TULLINI, Clausole generali e rapporto di lavoro, Maggioli, Rimini, 1990;M. PERSIANI, Considerazioni sul controllo di buona fede dei poteri del datore di lavoro, in Dir.

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impulso impresso dal legislatore nel senso di una riconduzione allasede contrattuale individuale dell’esercizio dei poteri datoriali (cfr.supra, sub n. 8) appaia rilevare ex se quale valorizzazione dell’ope-rare delle regole civilistiche del contratto in riferimento alla rela-zione di lavoro e, quindi, delle stesse cd. clausole generali dicorrettezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (139). Il che, inogni caso, a fronte delle nuove disposizioni di regolamentazione deipoteri datoriali, non già in via additiva di limiti o vincoli rispettoall’esplicazione di detti poteri, bensì piuttosto in chiave specifica-tiva del precetto legale, in particolare in riferimento alle menzio-nate disposizioni cd. aperte di cui ai rinnovati artt. 2103 c.c. e 4 St.lav. Senza che in senso diverso possa valere, peraltro, quantostabilito ex art. 30, comma 1, legge n. 183/2010 (cd. “collegatolavoro”) a limitazione del controllo giudiziale in tema di clausolegenerali: a prescindere dalla controversa reale valenza di talenorma (140), giacché permane comunque escluso, nell’ipotesi, un« sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e pro-duttive che competono al datore di lavoro » (così art. 30, comma 1 cit.),trattandosi solo di stabilire in che termini l’esercizio dei poteridatoriali non risulti contrario ai predetti interessi e valori anche dirilievo costituzionale. Ciò comunque assunte le cd. scelte organiz-zativo-produttive “a monte” quale elemento dato e non sindaca-bile nel merito, nonché quindi preso in considerazione solo sulpiano del nesso causale degli atti di esercizio dei poteri datoriali “avalle” nei confronti dei singoli prestatori.

Così, invero, in materia di mansioni, già per quanto concerne

lav., 1995, I, 135. Più di recente: A. PERULLI, Il potere direttivo e i suoi limiti generali, cit., 616ss.; M.T. CARINCI, Il giustificato motivo oggettivo nel rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 2005101 ss. E, da ult., AA.VV., Clausole generali e diritto del lavoro, Atti delle Giornate di StudioAidlass, Roma 29-30 maggio 2014, Giuffrè, Milano, 2015, nonché ivi, in particolare, lerelazioni di G. LOY (Diritto del lavoro e nozioni a contenuto variabile, 5), S. BELLOMO

(Autonomia collettiva e clausole generali, 63) e P. CAMPANELLA (Clausole generali e obblighi delprestatore di lavoro, 203).

(139) Una recente rimeditazione in ordine alla portata delle clausole generali dicorrettezza e buona fede contrattuale negli scritti di P. RESCIGNO, D. CARUSI, P. CHIASSONI, S.MAZZAMUTO, F. ROSELLI, G. D’AMICO, F. ASTONE, V. CUFFARO, E. MOSCATI, V. VELLUZZI (tuttipubblicati in AA.VV., Le clausole generali nel diritto privato, in Giur. it., 2011, 1689 ss.) e inS. PATTI, Ragionevolezza e clausole generali, Giuffrè, Milano, 2013, 2 ss.

(140) In argomento è possibile vedere E. BALLETTI, Interpretazione e rilevanza delleclausole generali ex art. 30 legge n. 183/2010, in Giur. it., 2011, 2454.

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l’estesa dilatazione del medesimo jus variandi sulla scorta delnuovo criterio-limite “aprofessionale” dello « stesso livello e catego-ria legale di inquadramento » ex comma 1, art. 2103 c.c. e, quindi, lateorica mobilità del prestatore anche in relazione a mansioni-qualifiche tra loro del tutto disomogenee, almeno in virtù degliattuali sistemi di inquadramento, nonché in attesa del comunqueauspicato loro aggiornamento. Con una delimitazione dello jusvariandi che appare prefigurabile, secondo correttezza e buonafede, in ragione delle reali competenze ed esperienze professionalidel singolo prestatore, in riferimento alla fattispecie concreta,peraltro con ricadute positive anche in ordine ad una plausibiledeterminazione dei contenuti dell’obbligo formativo ex comma 3,così come, sotto altro verso, in forma di corrispondente conteni-mento razionale del cd. obbligo di repechage in relazione al giusti-ficato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3, legge n. 604/1966.

L’obbligo formativo ex comma 3, art. 2103 è enunciato senzauna specificazione esplicita della regola legale, pertanto rimessa intoto all’interprete. Il che a prescindere dalla stessa prevista persi-stente validità « dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni » afronte del mancato assolvimento del medesimo obbligo: attesi imolteplici profili problematici che restano aperti, nel caso, inordine agli svolgimenti successivi della relazione contrattuale dilavoro (v. supra, sub n. 6.3). Al di là dello scontato auspicio di unintervento specificativo della norma da parte dell’autonomia col-lettiva anche in proposito.

Fermo quanto appena rilevato nel senso della delimitazione dimassima dell’obbligo formativo a mutamenti di mansioni non deltutto disomogenee tra loro, in simmetria alla corrispondente limi-tazione ragionevole in questo senso dello jus variandi, i contenutieffettivi di un siffatto obbligo a carico del datore, così come deirispettivi doveri di formazione gravanti in generale in capo allavoratore vanno determinati sempre secondo correttezza e buonafede. Anche perché i tempi e i costi necessari per la formazione diun prestatore di lavoro sono evidentemente i più diversi in rela-zione alla varietà di ipotesi di mutamento di mansioni che possonomanifestarsi nella realtà. E tanto trattandosi di stabilire, in rela-zione all’esercizio del suo jus variandi, fino a che punto il datore dilavoro sia tenuto a farsi carico della formazione del prestatoreinerente alle mansioni di destinazione anche in termini di giorni e

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risorse da dover impegnare al riguardo e altresì di giornate dimancata attività lavorativa economicamente sempre a suo carico.Questione, questa, di non agevole soluzione, ma che può trovarerisposta anche alla luce dei canoni della correttezza e buona fedealmeno in riferimento alle ipotesi limite di una formazione obiet-tivamente “minima”, oppure, all’opposto, molto complessa perchéil prestatore sia reso idoneo alle nuove mansioni di destinazione: inparticolare, nel senso dell’astrizione del datore all’obbligo di for-mazione nel primo caso e, invece, della sua possibile esenzione dalmedesimo obbligo quando per lui oggettivamente troppo oneroso(come nell’ipotesi, ad esempio, di una formazione relativa allenuove mansioni destinata a protrarsi per diversi mesi e dai costimolto elevati). Non senza che sia anche da considerare al riguardola quantomeno tendenziale contiguità che si delinea in propositotra area di estensione dell’obbligo formativo ex comma 3 e area delgiustificato motivo oggettivo di licenziamento (v. supra, sub n.6.3).

È, poi, chiaramente escluso che i demansionamenti ex comma2, art. 2103 possano essere disposti in via arbitraria, in mancanzadi una reale « modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidesulla posizione del lavoratore ». Modifica la cui effettività è pari-menti da valutare secondo correttezza e buona fede, anzitutto perciò che concerne la reale ricorrenza di un mutamento organizzativo(anch’esso insindacabile nel merito) che si è già detto dover esseredi portata più ampia rispetto al mero demansionamento del singoloprestatore, nonché la sua incidenza tangibile sulla sua posizionelavorativa, essenzialmente nel senso del venir meno della stessa (v.supra, sub n. 6.2). A parte che a dover sussistere è comunque, inproposito, una motivazione concreta in sé del medesimo deman-sionamento ex comma 2: alla luce della rimarcata sua oggettivaantieconomicità per il datore e, dunque, in considerazione dei“secondi fini” non del tutto lineari, e quindi contrari a correttezzae buona fede, cui potrebbe risultare proteso un demansionamentodi tal fatta appunto privo di una reale motivazione.

Un esercizio arbitrario dei poteri datoriali non appare allostesso modo consentito in ordine alle “ragioni sostitutive” adduci-bili ad esclusione della definitività dell’assegnazione a mansionisuperiori ex comma 7, art. 2103. Con dette ragioni che, infatti,anche secondo correttezza e buona fede, devono essere effettive enon meramente pretestuose, nel senso cioè del concreto rilevare di

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un’esigenza di sostituzione di “altro lavoratore in servizio” che siconcreti in vincolo reale rispetto all’assegnazione definitiva allemansioni superiori. Al di là della stessa mancata riaffermazioneesplicita del « diritto alla conservazione del posto di lavoro » per ilprestatore sostituito di cui al comma 1 dell’art. 2103 previgente:anzitutto nel difetto di una delega da parte della legge n. 183/2014(cfr. lettera e), art. 1, comma 7) all’eliminazione di un siffattovincolo, e della corrispondente necessaria interpretazione dellanovella in conformità alle prescrizioni di detta delega, nonchéessendo comunque escluso che l’interesse del lavoratore all’adibi-zione definitiva a mansioni superiori (peraltro pure dopo il raddop-piato periodo di sei mesi continuativi, rispetto a quello di tre mesiex art. 2103 vecchio testo) possa risultare sacrificato in carenza diuna reale motivazione, o comunque essere in tal senso rimesso intoto alla discrezionalità del datore di lavoro.

Analogamente un esercizio del potere datoriale di controllosecondo correttezza e buona fede vale ad escludere l’eventualità dicontrolli in via arbitraria, illimitata o ingiustificata, viceversarilevando al riguardo un canone generale di svolgimento necessa-riamente razionale dei medesimi controlli, anzitutto nel senso diuna loro reale necessità e proporzionalità in relazione ai beni e/ointeressi aziendali da preservare, come pure in riferimento ai dirittie interessi della persona del lavoratore rispetto ai quali si viene inquesto senso ad incidere. Ove permane in linea di principio esclusauna possibile attività di controllo fine a se stessa, o comunqueingiustificatamente invasiva della sfera personale del prestatore inmancanza di un’effettiva esigenza del medesimo controllo da partedel datore di lavoro.

La « adeguata informazione » da fornirsi al lavoratore in ordinealle « modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli » excomma 3, art. 4 St. lav. impone al datore di lavoro un’informazionecompleta. Ciò, sempre alla luce dei canoni di correttezza e buonafede, nel senso di una condotta leale e trasparente di esso datoresotto ogni aspetto e, in particolare, della necessaria comunicazioneal prestatore di tutto quanto rilevante in ordine alla fattispecieconcreta riguardo le modalità di uso degli strumenti e di effettua-zione dei controlli, i relativi dati sensibili acquisibili e le potenzia-lità di accesso in genere alla sua sfera personale. E tanto anche inineludibile conformità alla normativa in materia di cui al cd. codicedella privacy, ex d.lgs. n. 196/2003, la cui necessaria osservanza è

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affermata dal comma 3, art. 4 St. lav., e comunque perché, già daprima della novella, « il Garante ... ha correttamente tratto dallanormativa una generale istanza di trasparenza nella gestione dei dati,e quindi ... di pubblicizzazione preventiva ai lavoratori delle modalitàdi trattamento dei dati » (141).

A correttezza e buona fede deve essere parimenti improntatol’operato del datore di lavoro in relazione all’utilizzazione, archi-viazione e gestione in genere delle informazioni e dati raccoltimediante i controlli. Con ogni attività di tal genere che ancora unavolta non può essere fine a se stessa o comunque ingiustificata-mente e/o sproporzionatamente invasiva della sfera personale dellavoratore rispetto agli interessi aziendali in concreto da preser-vare. Tanto più, del resto, anche alla luce di una corrispondenzasostanziale ai canoni generali della correttezza e buona fede con-trattuale dei principi enunciati dal Garante a definizione delleprescrizioni in materia di cui al cd. codice della privacy, ex d.lgs. n.196/2003 (142): in particolare, nel senso della necessità, corret-tezza, trasparenza, pertinenza, completezza e non eccedenza delleattività esplicabili in tema di trattamento dati dei lavoratori (cfr.punto n. 2.3, deliberazione n. 13/2007 del Garante, nonché artt. 3e 11, comma 1, lettere a), b) e d) del cd. codice della privacy).

Delineati i canoni di determinazione del precetto legale inrelazione alle disposizioni aperte di cui ai rinnovati artt. 2103 c.c.e 4 St. lav., la loro specificazione permane chiaramente rimessaall’interprete, chiamato a dare effettività alla regola legale inriferimento alla fattispecie concreta.

Un tale esito può apparire sorprendente se si considera che unadelle finalità della riforma, in linea di continuità rispetto ad altriinterventi legislativi degli anni recenti (cfr., per tutti, il richiamatoart. 30, legge n. 183/2010 e l’art. 1, comma 42, legge n. 92/2012),era, invece, quella di dare certezza alle norme lavoristiche e alcontempo di limitare gli ambiti di estrinsecazione del sindacatogiudiziale specie se discrezionale (cfr., ad es., art. 3, d.lgs. n.23/2015 e comma 1 del nuovo art. 2103 c.c.). Vale a dire, l’esattoopposto rispetto agli ampi spazi di valutazione discrezionale che le

(141) Così R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, cit.,93.

(142) Cfr. I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratorinell’intersezione fra le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della privacy, cit., 30.

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esaminate nuove norme cd. aperte a precetto generico di regola-mentazione dell’esercizio dei poteri datoriali vengono a concedereall’interprete.

Onde un’ipotesi di eterogenesi dei fini singolarmente autoin-dotta dal medesimo legislatore della riforma. Ma questa è un’altrastoria.

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INTERVENTI

CARLO CESTER

Ricordo di Giuseppe Suppiej

Giuseppe Suppiej si è spento a Venezia il 3 dicembre scorso. Lìera nato il 4 agosto del 1927. Lì visse i primi anni della sua vita: nonmolti, ma sufficienti per imprimergli, anche se in modo appenapercepibile, la dolce cadenza veneziana. Trasferitosi con la famigliaa Roma verso la fine degli anni ‘30, si iscrisse, giovanissimo, allaSapienza. Si laureò a poco più di vent’anni nel ‘47 con una tesi indiritto del lavoro discussa con Francesco Santoro Passarelli. Sottola guida del Maestro si avviò subito alla carriera accademica,presto divenne assistente ordinario e poi Aiuto. Conseguita lalibera docenza nel ‘57, quattro anni dopo risultò vincitore delconcorso a cattedra, insieme a Federico Mancini e a Valente Simi,e fu chiamato all’Università di Sassari.

A metà degli anni ’60 Suppiej ritornò nella terra di origine, laterra di San Marco, come amava ripetere. Nel ‘65 fu chiamato nellaFacoltà di Economia di Verona. Alla facoltà patavina di giurispru-denza approdò nel ‘69 per incarico e dall’anno successivo fu chia-mato a ricoprire la nuova cattedra di diritto del lavoro; ciò segnòanche il suo ritorno a Venezia, nella grande casa paterna nonlontana dal Ponte di Rialto. A Padova egli ha insegnato congrande autorevolezza per trent’anni, formando intere generazionidi allievi. Ma in quell’arco di tempo ha insegnato anche in altreuniversità: a Trento, a Venezia e a Innsbruck. Ha ricevuto, nel1979, la Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola, della Culturae dell’Arte. Ha dedicato la sua vita all’Università, alla ricerca eall’insegnamento, ritagliando solo una parte ridotta del suo impe-gno per l’attività professionale, vista prevalentemente come stru-mento di completamento pratico.

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Il lascito scientifico di Giuseppe Suppiej è assai articolato evario, e tutti i temi più significativi e dibattuti della nostradisciplina sono passati sotto la sua attenta riflessione. Al di là deicontenuti delle singole opere e volendo descriverne i tratti generali,va detto come da tutte emerga la solida cultura civilistica cheSuppiej aveva assimilato dal suo Maestro e dalla quale trasse ilrigore logico dell’argomentazione giuridica, la chiarezza del pen-siero e la completezza della visione sistematica. Più santoriano diSantoro, come scrisse Gino Giugni, e Suppiej gliene fu grato(“Giugni — ebbe a dire — sa bene di avermi reso, con questa frase,un grande onore”). Certo, quella fu una precisa scelta di metodo, enel dibattito che in tempi ormai lontani si accese, anche nelladottrina giuslavoristica, intorno al ruolo del giurista e alla suaattività di interprete, Suppiej si schierò decisamente a favore deltradizionale metodo giuridico e non si lasciò influenzare dal dirittoalternativo o dalla commistione con altre discipline. Ma non era,quella, una presa di posizione ispirata ad un astratto dogmatismosradicato dalla realtà. Era piuttosto la rivendicazione dei valori dilibertà ed eguaglianza che nel diritto privato e nelle sue categorievengono esaltati e che tuttavia lo stesso ordinamento giuridicoprivatistico, in modo autonomo rispetto ad altre discipline, avevavia via messo a confronto, per poi correggerli, con valori ed istanzedi segno diverso, volte alla tutela del contraente debole.

Suppiej era profondamente convinto che il diritto del lavoromoderno fosse il frutto di una sintesi — tecnica e politica al tempostesso — fra la libertà e l’autonomia del diritto civile da un lato, iprincìpi costituzionali dall’altro; e fra questi ultimi soprattuttoquello della dignità dell’uomo che nel lavoro impegna il proprioessere. Un principio, questo, che si saldava nel suo pensiero con ilsolidarismo cristiano-sociale della Rerum novarum recepito, siapure parzialmente, nella carta fondamentale: Suppiej fu uno deifondatori dell’Unione dei Giuristi cattolici italiani e ciò non mancòdi influire sul suo approccio alla Costituzione. Anche se, a benguardare, quel principio egli lo ha sempre collocato al di là e al disopra delle ideologie.

È in questo quadro che si può inserire una delle ricostruzionipiù significative del pensiero di Suppiej: quella sull’interesse del-l’impresa e sulla sua rilevanza nel nostro ordinamento giuridico.Una questione talora affrontata con gli arnesi della disputa ideo-logica per tutto quanto quella nozione evocava del passato sistema

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corporativo, ma che andava comunque rivisitata nel nuovo quadrocostituzionale, nel quale non vi è soltanto il riconoscimento delconflitto come strumento di emancipazione, ma anche una dimen-sione indubbiamente più partecipata e collaborativa. La nozione diinteresse dell’impresa propugnata da Suppiej (nel secondo volumede La struttura del rapporto di lavoro) aveva il pregio di armonizzarequeste due prospettive. Perché se da un lato egli era convintosostenitore della teoria contrattualistica, e dunque della contrap-posizione di interessi finali nel rapporto di lavoro, dall’altro latopensava che nelle norme sull’interesse dell’impresa avesse giuridicarilevanza non un qualsiasi interesse personale del datore di lavoro,per ciò solo in antitesi con gli interessi della controparte, maquell’interesse del quale il datore di lavoro è titolare non comesingolo, ma — scriveva — come capo e quindi partecipe dellacollettività di impresa intesa come formazione sociale. Più volte hodiscusso con lui di questa sintesi e di quella che a me sembrava unasottile contraddizione, posto che non appaiono la stessa cosa ilpotere e la condivisione. Ma Suppiej guardava più in là, e attra-verso quella nozione di interesse oggettivo dell’impresa intendevaproporre un affidabile meccanismo di controllo sui poteri impren-ditoriali, di quello direttivo e di quello disciplinare, al contempogettando le basi per quella responsabilizzazione dell’impresa anchesul piano sociale che sembra rappresentare un nuovo avampostoper una sua corretta collocazione nel quadro costituzionale. L’ideadi un interesse oggettivo e non personalistico, cadute le pregiudi-ziali ideologiche, è un’idea feconda. Specie in quelle situazioni,sempre più frequenti, nelle quali la sopravvivenza dell’impresa èun necessario bene di tutti.

Nella sua ricerca sulla struttura del rapporto di lavoro Suppiejaveva ripercorso, nel primo volume, le varie teorie sull’obbliga-zione di lavoro, sulla sua natura e sulla sua fonte, all’epoca assaidiscusse. Una ricerca rigorosa sotto il profilo dogmatico, che loportò tuttavia ad aprire prospettive originali, come quella, com-pletata poi nel volume sul rapporto di lavoro dell’Enciclopediagiuridica diretta da Mazzoni, del rapporto di lavoro come rapportofondamentale, inteso come legame neutro fra i due soggetti, chenon si identifica con alcuna delle varie posizioni giuridiche che vifanno capo, epperò di tutte costituisce il presupposto, così dagiustificare, ad esempio, la prosecuzione del rapporto di lavoro inperiodo di sospensione o la maturazione dell’anzianità di servizio.

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Di quegli anni sono anche due importanti voci dell’Enciclope-dia del diritto. La voce Apprendista, nella quale Suppiej, in con-trotendenza rispetto alle opinioni allora dominanti, sostenne lapossibilità di un contratto di apprendistato a tempo indetermi-nato, nel quale solo la posizione di soggetto in via di formazione erada considerarsi provvisoria, e la voce Capacità di lavoro, nella qualeegli fece puntuale applicazione delle convenzioni internazionalisull’età di ammissione al lavoro, allora trascurate dalla dottrina.

Di grande significato è poi la riflessione svolta nella prolusioneveronese del 1965 sullo sciopero, nella sua duplice valenza di dirittodi libertà e di potere di sospendere il rapporto: il primo suscettibiledi essere limitato solo dall’esterno, per la tutela di interessi premi-nenti, e non dall’interno, in ragione degli scopi perseguiti; il se-condo, meglio qualificabile come potestà di sciopero, fondato sullalibertà sindacale e sulla prevalenza degli interessi collettivi suquelli individuali. La distinzione, prima ignorata, tra la illiceitàpenale dello sciopero e quella civile gli fruttò, come egli ebbe arivelare, anziché un elogio del suo Maestro, un rimbrotto dellostesso. Ma fu poi adottata dalla stessa Corte costituzionale nellasentenza sullo sciopero politico e in quella sui piccoli esercenti e, aben guardare, dallo stesso legislatore che, nel disciplinare lo scio-pero nei servizi pubblici essenziali, si occupò, per regolarlo, deldiritto di libertà, muovendo dalla necessità di precisarne appuntoi limiti esterni.

All’indomani dello Statuto dei lavoratori, Suppiej tenne aS.Vincent la relazione al convegno dell’Aidlass sui limiti al poteredirettivo del datore di lavoro introdotti dallo Statuto medesimo.Statuto nel quale lesse una profonda modifica della tecnica legi-slativa limitativa, passata dalla logica dei limiti interni (concer-nenti la funzione del potere) a quella dei limiti esterni (espressinella tutela della libertà e dignità dei lavoratori). Ma soprattuttoelaborò una argomentata e innovativa lettura della nuova disci-plina del mutamento di mansioni, possibile, secondo lui, solo inbase al consenso fra le parti e non più per effetto dell’esercizio deltradizionale potere unilaterale. In quella elaborazione può esserecolto nel modo più limpido il metodo utilizzato da Suppiej: unmetodo legato rigorosamente all’espressione normativa e poi veri-ficato alla luce della ratio della stessa. E fu proprio la combinazionefra quegli strumenti che lo portò alla conclusione sopra ricordata:da un lato lo stringente confronto fra i limiti del vecchio testo

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dell’art. 2103 c.c. riferiti al potere unilaterale e i limiti, certo nonmaggiori e semmai minori, previsti dal nuovo; dall’altro lato, laconseguente necessità, indotta dallo spirito complessivo di tuteladel lavoratore esaltato dallo Statuto, di riferire i nuovi limitiunicamente all’accordo modificativo prima del tutto libero, conconseguente eliminazione dello jus variandi. Una tesi, questa, cheper molto tempo restò isolata: non perché specificamente confu-tata, ma solo perché ritenuta troppo rigida ai fini della gestionedell’organizzazione del lavoro. Ma la non sempre chiara tutela dellaprofessionalità, quale faticosamente elaborata dall’opinione domi-nante, alla fine non sembra aver garantito risultati tanto piùfruttuosi.

Altra opinione controcorrente, e tuttavia argomentata inmodo ampio e persuasivo, fu quella in tema di fornitura di mano-dopera o, come ironicamente Suppiej intitolò il suo scritto, di“Interposizione brevettata”: una lucida riconduzione ai princìpi ge-nerali, nel caso di specie a quelli sulla rappresentanza, del mecca-nismo di dissociazione fra titolare del rapporto di lavoro e titolaredell’interesse alla sua utilizzazione. E se può sembrare che quiSuppiej si sia lasciato trasportare da una critica alle scelte legisla-tive, il suo scritto suona ancora come un monito a fronte delproliferare di meccanismi che, con l’implicito avallo del recente efrettoloso legislatore, forniscono supporto a forme di sfruttamentoanche pesante dei lavoratori.

Il fatto è che Suppiej ha saputo sempre combinare il rigoredell’argomentazione giuridica con l’originalità delle soluzioni,senza peraltro mai perdere di vista il senso delle norme e i valoriche le animano.

Naturalmente non è possibile in questa sede dar compiuta-mente conto della ricchezza e varietà della sua produzione scien-tifica. Vorrei citare solo la raccolta di scritti Libertà e autorità neldiritto sindacale degli anni ‘90, i vari interventi sullo sciopero neiservizi pubblici essenziali, arricchiti dall’esperienza vissuta nellaCommissione di garanzia, e la manualistica (dal già citato Rapportodi lavoro dell’Enciclopedia giuridica diretta da Mazzoni, fino alDiritto del lavoro, il manuale scritto (per parti separate) insieme aMarcello De Cristofaro e a chi vi parla. Una manualistica caratte-rizzata sempre dall’approccio mai solo divulgativo, ma problema-tico e perciò educativo dell’esposizione.

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Vorrei chiudere con qualche breve nota sul tratto umano delmio Maestro.

Egli ha amato tantissimo la sua famiglia, con i ben diciottonipoti, l’ultimo dei quali, finalmente, porta per intero il suo nome;una famiglia che lo ha sempre rasserenato, soprattutto quando laluce ha cominciato a farsi più fioca. Ha amato tantissimo lamontagna, dove ora riposa, e non solo per il suo fascino, ma anchecome palestra per imparare a raggiungere la meta, quale che essasia, attraverso lo sforzo e il sacrificio.

Come insegnante, ha sempre avuto grande attenzione per glistudenti, dai quali era molto benvoluto.

Con noi allievi ha costruito un rapporto personale basato su ungrande rispetto delle opinioni: non ha mai cercato di imporre le suee ha sempre discusso, lasciando alla fine che scegliessimo la solu-zione che ci pareva migliore. Ma ci ha anche stimolati e messi allaprova. Ricordo che, nei primi anni, i treni da Venezia erano spessoin ritardo e io ero incaricato di incominciare la lezione agli studenti;quando arrivava, andava a sedersi sui banchi ad ascoltarmi: unasituazione che nei primi tempi mi gettava nel panico, ma che poi hocapito quanto per me fosse formativa.

Il rapporto con Lui è stato per me, soprattutto negli ultimitempi, di grande familiarità; in particolare da quando mi disse didargli del tu: una usanza insolita tra Maestro e allievo nell’austeroclima della facoltà patavina, ma voluta da lui, ne sono sicuro, nonperché fossimo diventati colleghi, quanto per esprimere un grandeaffetto, un affetto di stampo paterno.

Ha dato a tutti noi l’esempio di una grande fede, di un granderigore morale, di una grande sobrietà e compostezza. Lo ricorde-remo come Maestro di diritto e di vita.

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GIAMPIERO PROIA

1. Quando una materia giuridica è attraversata da continueriforme legislative, chi ne fa oggetto di studio è obbligato a essereanche cronista, un cronista dell’attività parlamentare. Non si puòritirare nell’empireo dell’astrazione, ma deve costantemente mo-nitorare ogni novità, sia pure con il fine non di praticare meraesegesi, ma di comprendere il senso dei cambiamenti, e ricostruireil più rapidamente possibile il sistema (se di sistema si può ancoraparlare) della materia studiata.

Il fluire particolarmente rapido ed intenso, che le riformehanno avuto nell’ambito del diritto del lavoro, ha indotto moltospesso a concentrare l’attenzione sui micro-cambiamenti, ricer-cando in ogni singolo intervento riformatore gli elementi di conti-nuità e di discontinuità con quello che l’aveva immediatamentepreceduto. Un approccio, questo, che si è diffuso negli ultimi annisoprattutto per effetto del fenomeno, inedito nella esperienzaitaliana, dell’alternanza di maggioranze parlamentari contrappo-ste, in conseguenza della quale ogni riforma è stata presentatacome reazione a quella voluta dallo schieramento avversario.

Credo, però, che il titolo delle giornate di studio di quest’anno,laddove allude ad un diritto del lavoro “poststatutario”, inviti adimpegnarci anche in una valutazione storico-giuridica più ampia,che consideri il ruolo stesso esercitato dallo Statuto nell’evoluzionedel diritto del lavoro, e, in particolare, spinga a riflettere suglielementi di fondo che hanno caratterizzato la legislazione poststa-tutaria nel suo complesso. Legislazione che, per quanto caotica ealluvionale, lascia intravedere, a mio avviso, un filo conduttore chelega i singoli interventi, i quali, tutti, hanno anche una medesimacausa e una comune finalità.

2. Anzitutto, assumendo una prospettiva storica più ampia,penso si possa dire che la crisi dello Statuto è iniziata, metaforica-mente, il giorno dopo la sua approvazione.

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Ed invero, se lo Statuto aveva l’obiettivo di realizzare unnuovo modello di rapporti tra impresa e lavoro, e se in particolareesprimeva un’esigenza di tutela di diritti fondamentali, essoavrebbe dovuto necessariamente esercitare una spinta espansiva egeneralizzante, pena la vanificazione delle sue stesse finalità. Edinvece, due delle sue norme fondamentali (artt. 18 e 19) sonorimaste circoscritte ad una parte soltanto del lavoro dipendente,lasciando fuori tutta l’area molto consistente, se non prevalente,del lavoro alle dipendenze delle piccole imprese. Né quelle normesono riuscite, alla prova dei fatti, ad incidere in alcun modo sullapiaga del lavoro privo di qualsiasi tutela (lavoro nero e irregolare),non avendo contribuito a ridurre le intollerabili dimensioni che ilfenomeno assume in Italia.

Paradossalmente, l’unica estensione del campo di applicazionedello Statuto ha riguardato il pubblico impiego, ove la stabilità eragià garantita aliunde, ed ove oggi l’art. 18 sembra poter sopravvi-vere anche alla sua cancellazione dall’ambito nel quale è nato. Maciò, evidentemente, avviene per motivi del tutto particolari, va-riamente riconducibili, a seconda dei punti di vista, all’esigenza distabilità legata alla garanzia dell’imparzialità del lavoratore pub-blico o, più semplicemente, a questioni di convenienze politiche.

Non solo. Invece di esprimere una efficacia diffusiva e genera-lizzante, lo Statuto ha innescato da subito spinte erosive neltessuto economico, che il legislatore non ha affatto ostacolato o haaddirittura favorito. Ne sono espressione sia il decentramentoproduttivo, sia la promozione dei lavori flessibili, che costituisconoentrambe risposte, sia pure su piani diversi, ai vincoli posti a caricodelle imprese medio-grandi dallo Statuto (e, in particolare dagliartt. 18 e 19).

3. Si può dire, allora, che tra i diversi elementi di continuità ediscontinuità che possono essere individuati tra ciascuna dellesingole riforme che si sono succedute dallo Statuto ad oggi, v’è unelemento che è costante e che non si può non rimarcare performulare un giudizio obiettivo.

Lo Statuto ha segnato la fine della storia del diritto del lavorocontraddistinto dall’andamento unidirezionale ed incrementaledelle tutele del lavoro. Dopo lo Statuto, i primi “scostamenti” datale andamento sono sembrati conseguenza di una crisi congiun-turale o di una situazione di emergenza. Cosicché la microanalisi ci

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ha portato a parlare, di volta in volta, di una legislazione dell’emer-genza, o della crisi, poi ancora della flessibilità, ed infine dell’oc-cupazione. In realtà, però, a ben vedere, esiste un filo conduttore,una sorta di minimo comune denominatore, che lega i diversisegmenti dell’evoluzione del diritto del lavoro dallo Statuto adoggi, e questo è rappresentato dal dato di fatto che l’operazione dibilanciamento tra interessi dell’impresa e tutela del lavoro nonproduce più esclusivamente miglioramenti dei diritti individuali,ma anche arresti e regressi.

4. Questo filo conduttore, o minimo comune denominatore, è asua volta generato da una causa che, nonostante la grande com-plessità delle dinamiche economiche e politiche in atto, è al fondounica. Intendo dire che la causa che ha innescato il nuovo corso deldiritto del lavoro non può essere identificata in problemi contin-genti e transitori. Quella causa, invece, è facilmente collegabile aglieffetti della globalizzazione, parola spesso usata come se fossevuota di significato, e che, invece, è un fenomeno profondamentereale e direttamente incidente sulle politiche nazionali, oltrechésulla vita delle imprese e delle persone.

Nell’opera di analisi e valutazione dell’evoluzione normativa,non si faccia mai l’errore di trascurare di considerare che, allostato, la globalizzazione ha determinato, da un lato, una spintainarrestabile dei paesi più poveri a realizzare una diversa redistri-buzione della ricchezza planetaria e, dall’altro lato, una pressionesempre più forte della concorrenza tra le imprese (e tra i diversiordinamenti). Oltretutto, mentre l’interdipendenza delle economiedei diversi paesi è divenuta sempre più intensa, le iniziative inter-nazionali volte a governarne in qualche modo gli effetti risultanolargamente inadeguate e inefficaci. Né, comunque, anche in pro-spettiva, quelle iniziative potrebbero avere finalità meramenteprotezionistiche, a danno dei paesi più poveri o arretrati.

È per questo che i sistemi nazionali di protezione del lavoro,soprattutto quelli più avanzati, sono entrati nella fase di revisioneche ancora oggi attraversano, fase che ha messo in discussioneforme ed intensità di tutele che erano considerate acquisite inmodo irreversibile e, più in generale, ha messo in discussionel’ampiezza del campo di azione dello Stato sociale e delle sue formedi intervento.

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Ovviamente, poiché nella società e nell’economia i cicli pos-sono ripetersi, il rafforzamento del sistema economico o un governosocialmente sostenibile della globalizzazione (certo inimmaginabilenel breve periodo) potrebbe aprire nuove e diverse prospettive,compresa quella di una legislazione post “poststatutaria” che facciarivivere il passato.

5. Infine, la visione d’insieme consente di intravedere non soloil filo conduttore (cfr. n. 3) e la causa fondamentale (cfr. n. 4)dell’evoluzione poststatutaria, ma anche i tratti caratteristici delmutato orientamento del legislatore.

A mio avviso, si può affermare che gli ultimi quarant’anni deldiritto del lavoro sono contraddistinti dal fatto che le finalità dellesingole riforme non sono più costituite soltanto dalla fissazione deidiritti dei lavoratori o dal contemperamento delle istanze di pro-tezione del lavoro con le esigenze dell’impresa.

Nella predisposizione di quelle riforme, infatti, assume un pesosempre più rilevante il perseguimento di interessi pubblici generali,quali sono quelli della salvaguardia e dell’incremento dell’occupa-zione, del sostegno della produzione e dell’economia nazionali.Interessi che sono stati “inoculati” nella disciplina del rapporto(privato) di lavoro, in quanto (anche) tale disciplina incide in mododeterminante sulla competitività del sistema Paese e sulla capacitàdi quest’ultimo di produrre ricchezza.

V’è anche da dire, peraltro, che l’evoluzione in atto non sembraaffatto adombrare, come ciclicamente qualcuno sostiene, la fine deldiritto del lavoro e della sua ragione di essere. Invero, la complessaopera di ricerca in progress di un nuovo equilibrio tra tuteleindividuali e interessi generali, di cui vi è traccia in tutte le riforme,non è mai realizzata tramite il mero abbandono delle finalitàprotettive o il semplice, progressivo, arretramento delle tutele,bensì è realizzata tramite una diversa riarticolazione di quest’ul-time, quanto a priorità, contenuti e modi di realizzazione.

E così, è certo da registrare, per un verso, come sia effettiva-mente manifesta la tendenza ad allentare i limiti e i vincoli cheincidono direttamente sul potere organizzativo dell’imprenditore,come è avvenuto prima con l’introduzione e poi la diffusione deimodelli di lavoro flessibili e, da ultimo, con la revisione delladisciplina dei controlli a distanza, delle mansioni e dei licenzia-

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menti, soprattutto quelli legati, appunto, a ragioni economico-organizzative.

A fronte di ciò, tuttavia, vanno registrate, su un diversoversante, due tendenze altrettanto evidenti.

Anzitutto, vi sono i ripetuti tentativi di dare concretezzaall’obiettivo della flex-security, i quali, pur condizionati e frenatidalla ristrettezza delle risorse pubbliche disponibili, mirano a com-pensare le minori garanzie legate al rapporto di lavoro con ilrafforzamento della tutela della persona nel mercato del lavoro(attraverso servizi per l’impiego, politiche attive per la promozionedel lavoro e strumenti di sostegno del reddito).

Inoltre, anche sul piano della disciplina del rapporto obbliga-torio tra lavoratore e datore di lavoro, va evidenziato come non visono arretramenti per ciò che riguarda i diritti fondamentali dellapersona sanciti dalla Costituzione e, in particolare, quelli relativialla sicurezza, alla libertà ed alla dignità, che restano limiti inva-licabili dall’iniziativa economica privata. Anzi, per effetto anchedella forza propulsiva esercitata dalla disciplina comunitaria e poiunieuropea, possono essere registrati non trascurabili progressi eavanzamenti, come, ad esempio, in materia di conciliazione deitempi di vita e di lavoro, di protezione dei dati personali e,soprattutto, di tutela antidiscriminatoria.

Quest’ultima, in particolare, è destinata ad assumere un par-ticolare rilievo nel nuovo corso del diritto del lavoro, poiché essa,anche nell’applicazione giurisprudenziale, sembra poter rappresen-tare una naturale (forse inconsapevole) compensazione della con-testuale revisione delle tutele di carattere più tradizionale.

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CARLO PISANI

I limiti al mutamento delle mansioni, l’autonomia collettiva e laformazione

1. Intendo soffermarmi sul comma 1 dell’art. 2103 c.c., nuovotesto, perché secondo me è una norma particolarmente attinente altema del nostro Convegno (legge e contrattazione collettiva), inquanto, con modifica di tecnica legislativa, il legislatore ha toltodalla norma inderogabile a precetto generico il controllo sui limitialla mobilità orizzontale per affidarli all’autonomia collettiva permezzo di un istituto di questa e cioè il sistema di inquadramento

Gli aspetti dommatici di riflesso sull’oggetto del contratto diquesta norma appaiono questioni astratte, in quanto, se è vero chesi tratta di capire dove finisce il potere direttivo e dove comincia lojus variandi, come diceva Giugni, però alla fine sempre un potererimane. Secondo me la questione non è cambiata rispetto all’equi-valenza. Prima da alcuni si sosteneva che l’equivalenza era unanorma determinativa dell’oggetto del contratto, per poi affermareche non esisteva più lo jus variandi e che era diventato tutto poteredirettivo. Io ho sempre criticato questa tesi perché la vicendamodificativa dei contenuti dell’oggetto dell’obbligazione di lavo-rare c’è, è una realtà, non la si può cancellare con una fictio iuris,ovvero riconducendo al momento genetico tutti i fenomeni modi-ficativi che si susseguono in un rapporto di durata.

2. Quindi, andiamo alla sostanza delle cose: dai primi com-menti è emerso che si fronteggiano due tesi: una è quella piùaffezionata al binomio norma inderogabile generica/giudice; l’altrapiù a favore della devoluzione flessibile al contratto collettivo.

Naturalmente io sono cresciuto, mi sono “imbevuto” di questaseconda, e non poteva essere diversamente avendo avuto comemaestro Gino Giugni il quale è stato uno dei più convinti fautori diquesto modello in quanto più adatto per contemperare e per

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assicurare equilibri che la norma generale per forza di cose non puògarantire.

A me pare che nelle critiche a questa norma si sia messo indiscussione anche questo modello. Al riguardo mi richiamo ad unaproposta di Gino Giugni del 1982 in cui proponeva di modificarequella che era una delle sue norme e cioè l’art. 13 Stat. lav., propriodando maggiore spazio all’autonomia collettiva.

3. Le posizioni critiche nei confronti di questo modello partonotutte dal medesimo presupposto: gli attuali livelli di inquadra-mento dei contratti collettivi contengono mansioni anche profes-sionalmente eterogenee tra di loro e quindi il potere del datore dilavoro potrebbe esercitarsi nel senso di adibire il lavoratore amansioni diverse da quelle precedenti e questo, per usare un’e-spressione molto efficace dell’amico Balletti, può creare pericoli perla riduzione della sua dignità.

Sorprende in questa critica il fatto che nella nostra comunitàscientifica a me pareva ci fosse stato un largo consenso nel soste-nere che i limiti alla modificazione delle mansioni dovessero esseredisciplinati dall’autonomia collettiva, quale unica possibile alter-nativa al giudizio del giudice. E difatti si sono fatti alcuni esempi:la proposta del CNEL, del Prof. Rusciano e del Prof. Liso, in cui sisosteneva che l’equivalenza dovesse essere stabilita all’autonomiacollettiva; l’art. 52 della Legge 165, soprattutto nella versione antenovella del 2009, che aveva demandato totalmente all’autonomiacollettiva la definizione dei rapporti di equivalenza; in questo casola devoluzione era addirittura più ampia del nuovo art. 2103perché non imponeva il limite né dell’identità di livello né del-l’identità della categoria. E lì la Cassazione non ha mai dubitato nédella sua costituzionalità, per violazione della dignità del lavora-tore, né ha mai dubitato dell’insindacabilità della valutazionecollettiva; e quindi lo stupore aumenta di fronte a queste posizionicritiche, che solo ora si fanno sentire, con un ritardo che qualchesospetto di strumentalità lo suscita.

Naturalmente non è il caso che io faccia altri esempi di tipiz-zazioni del contratto collettivo, devoluzione al contratto collettivo,rispettate dalla giurisprudenza. Per esempio quelle sulla tipizza-zione del contratto a termine, rispettate perfino quando lì lacausale era pienamente soggettiva e addirittura per occasioni nontemporanee.

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Mi stupisce poi anche questa mancanza di pazienza nei con-fronti dell’autonomia collettiva; forse si può criticare la norma pernon aver introdotto una disciplina transitoria onde poter daretempo ai contratti collettivi di assestarsi; ma anche in questo mododi ragionare secondo me c’è un retaggio della precedente imposta-zione, perché se noi diciamo “va bene, la norma è costituzionalesolo se i contratti collettivi spacchetteranno in più livelli per rifarel’omogeneità delle mansioni precedenti”, allora non abbiamo ca-pito che è proprio diversa la tecnica legislativa perché così siritorna al precedente modello basato sull’equivalenza.

Il legislatore ha invece voluto superare questa impostazionebasata solo sulla professionalità pregressa e affidare il difficilecompito di porre i limiti allo jus variandi al contratto collettivo. Ela norma era necessaria; non è vero che fosse superflua, comesostenuto da alcuni che hanno tentato di accreditare, ora, un’in-terpretazione evolutiva della giurisprudenza dell’equivalenza chein realtà non c’è mai stata. Le sentenze veramente evolutivesull’equivalenza sono state pochissime; si continuava ancora asostenere che doveva essere garantita la conservazione del bagaglioprofessionale pregresso; si citano addirittura, a modello, le SezioniUnite del 2006 sulle mansioni promiscue quando invece quellasentenza è una delle più rigide nei confronti dell’autonomia collet-tiva perché ha imposto limiti sulle mansioni promiscue che maiprima si erano sognati di concepire, avendo affermato che lemansioni promiscue, pur previste dal contratto collettivo, sonolegittime solo se temporanee, e solo se coinvolgono un gruppo dilavoratori; non a caso cito le mansioni promiscue e polivalenti,perché è una delle materie su cui più può incidere la nuova norma.

Non dimentichiamoci che venticinque anni fa, stavamo pro-prio qui a Napoli, al Convegno Rivoluzione tecnologia e diritto dellavoro, e il Prof. Carinci nella sua relazione disse che i due punti dimaggiore sofferenza dello Statuto erano il 13 e il 4; e lì si facevariferimento, proprio coma una cartina tornasole di questa flessibi-lità, all’esigenza della polivalenza delle mansioni.

Non si deve dimenticare che con il vecchio 2103 la giurispru-denza poteva sempre mettere in gioco i prodotti dell’autonomiacollettiva ed era coerente che fosse così perché la norma eragenerale e il giudice poteva controllare qualsiasi clausola del con-tratto collettivo.

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4. A mio avviso non è costituzionalmente obbligata una tutelastatica della professionalità del lavoratore; non sta inscritta nellacostituzione; la costituzione tutela la dignità anche dell’uomo chelavora, di cui la professionalità ne costituisce un aspetto; maovviamente lascia libero il legislatore di scegliere quale tutelaapprestare, se esclusivamente quella acquisita, oppure quella ac-quisibile.

Già Gino Giugni ammoniva che questa norma rischiasse diessere un fattore di rigidità anche a danno dei lavoratori inconseguenza del meccanismo dell’inderogabilità dei patti contrari.Infatti, non è dato capire perché il tornitore debba nascere torni-tore e morire tornitore.

Poi il problema di trascendere la professionalità acquisita èdettato dalla necessità storica, non è un nostro capriccio, perchénoi giuristi dobbiamo ogni tanto andare a studiare i libri dieconomia del lavoro, altrimenti capiamo poco il mondo in cui citroviamo. Gli economisti del lavoro ci dicono che il cambiamento èuna costante strutturale, ce lo dicono da vent’anni ma oggi più chemai, e quindi cosa difendiamo? Quale professionalità pregressadifendiamo? È vero che il barbiere usa sempre le forbici pertagliare i capelli, questo è vero; ma nei grandi numeri non è piùcosì; ho trovato particolarmente calzante l’apologo del Re Canuto,usato nel libro di Moretti “La nuova geografia del diritto”: quelsovrano inglese che sulla spiaggia pretendeva di fermare la mareae finì annegato. Quindi il problema è che la storia non la possiamofermare, ci piaccia o non ci piaccia; ognuno ha le sue preferenze; ame piace addirittura il Medioevo come periodo storico, ma occorrefare i conti con la realtà.

5. Le clausole generali di buona fede e correttezza natural-mente l’amico Balletti sa benissimo che non possono creare obbli-ghi ma servono a controllare l’esatto adempimento di obblighiesistenti; altrimenti torniamo agli anni ’90, la stagione della paritàdel trattamento e a tutto quell’armamentario che è stato superatodalla giurisprudenza.

Allora la mia domanda è questa: si può con le clausole di buonafede e correttezza reintrodurre il controllo da parte del giudicesull’omogeneità delle nuove mansioni rispetto alle vecchie? Questaè la domanda. Secondo me la risposta è no perché si introduce un

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obbligo nuovo che non c’è, anzi si proporrebbe una sorta diinterpretatio abrograns del nuovo comma 1.

6. Con questo mi collego al discorso dell’obbligo formativoperché è strettamente connesso. Anche qui mi stupisce un po’ lasottovalutazione del comma 3 da parte dei critici della norma.

Si tratta infatti di un’importante rete di protezione per laprofessionalità del lavoratore nei casi di mutamenti di mansioniche dovessero comportare una differente professionalità rispetto aquella precedentemente acquisita, pur nel rispetto del medesimolivello di inquadramento e stessa categoria. In particolare, questaprotezione, assicurata dalla norma inderogabile di legge di cui alcomma 3 e che si applica ad ogni tipo di mutamento di mansioni(“ove necessario”), si presenta come un’adeguata forma di garanziasia in relazione al periodo c.d. transitorio, in cui i contratti collet-tivi potranno aggiornare gli attuali sistemi di inquadramento, orastrutturati esclusivamente in funzione della determinazione dellaretribuzione, sia a regime, se l’autonomia collettiva dovesse seguirela seconda delle scelte che si è tratteggiata nel paragrafo prece-dente.

Inoltre, proprio questo obbligo può costituire un fattore taleda indurre il datore di lavoro ad evitare spostamenti del lavoratoreverso mansioni notevolmente differenti dalle precedenti per limi-tare i costi della formazione rappresentati, oltre che dalla forma-zione vera e propria, anche dal pagamento della retribuzionedurante il periodo di formazione in cui il lavoratore non è produt-tivo o comunque lo è meno rispetto ai normali standards. Sicchéesso può fungere da deterrente anche nei confronti dei “casi limite”di uso fraudolento della norma da parte dell’imprenditore.

Le posizioni critiche nei confronti della nuova norma svalu-tano non condivisibilmente la portata innovativa di questa dispo-sizione, ritenendola inefficace in considerazione della previsione delcomma 3 dell’art. 2103, secondo cui il mancato adempimento ditale obbligo non determina la nullità dell’atto di assegnazione dellenuove mansioni, per cui il lavoratore, anche se non formato, nonpotrebbe rifiutare di obbedire all’ordine.

Questa lettura è però riduttiva in quanto la suddetta previ-sione non è idonea a sminuire la portata innovativa della disposi-zione e la sua effettività.

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Infatti, anche volendo ricostruire in termini di obbligo quello acarico del datore di lavoro, anziché, come sembra più pertinente,come onere, la “non nullità” dell’atto di assegnazione non facomunque venir meno la qualificazione in termini di inadempi-mento dell’omessa formazione da parte del datore di lavoro (ilcomma 3 recita “... il cui mancato adempimento non determina lanullità ...”).

Sicché, per quanto concerne il rifiuto del lavoratore di svolgeremansioni che non comportino l’esplicazione del medesimo bagaglioprofessionale precedente, in primo luogo occorre ricordare che giàsotto la vigenza della norma dell’equivalenza la Cassazione neaveva circoscritto sensibilmente la legittimità, ritenendo un talerifiuto in violazione della buona fede e quindi ingiustificato ai sensidell’art. 1460 c.c., qualora il datore di lavoro continui a corrispon-dere la retribuzione e a pagare i contributi; ciò in quanto, secondola Suprema Corte, una parte può rendersi inadempiente soltanto seè totalmente inadempiente l’altra parte ma non quando l’inadem-pimento di una parte verta su un’obbligazione “non incidente sulleimmediate esigenze vitali del lavoratore”.

Si verterebbe proprio in quest’ultima ipotesi, invece, se l’inca-pacità del lavoratore di svolgere le nuove mansioni per omessaformazione dovesse costituire un pericolo per l’integrità fisica suae degli altri, consentendo l’autotutela a fronte di quello che diver-rebbe anche un inadempimento dell’obbligo di sicurezza ex art.2087 c.c. e dell’art. 37, d.lgs. n. 81/2008.

Al riguardo si tenga presente che il pregiudizio all’integritàfisica può derivare anche dallo stress causato dalla svolgimento di(o dal tentativo di svolgere un) compito lavorativo per il quale illavoratore non ha le competenze adeguate, con conseguenti possi-bili disturbi ansioso-depressivi.

Inoltre, l’incapacità del lavoratore alla esecuzione delle nuovemansioni dovuta alla mancata formazione, può essere fatta valerecome causa di non imputabilità dell’inadempimento perché dovutoad impossibilità della prestazione derivante, appunto, da causa alui non imputabile, ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Pertanto il lavoratore non potrebbe essere sanzionato perl’inesatto adempimento, non rispondendo neppure a titolo risarci-torio per eventuali danni che dovesse arrecare all’imprenditore.

Inoltre, ancora, la configurabilità comunque in termini diinadempimento della mancata formazione, comporta che il lavo-

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ratore può, in primo luogo, chiedere una pronunzia di condanna deldatore di lavoro all’adempimento del suddetto obbligo. È vero chesi tratterebbe di condanna ad un fare infungibile; tuttavia, daquesta incoercibilità non deriva la inammissibilità della stessacondanna, che conserva una sua utilità, sia perché è comunquepotenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conse-guenza della (eventuale) esecuzione volontaria da parte del debi-tore, sia perché è funzionale alla produzione delle ulteriori conse-guenze risarcitorie derivanti dalla persistenza e volontà dell’ina-dempimento posteriore alla condanna.

Soprattutto, rimane esperibile la tutela risarcitoria ogni qualvolta l’inadempimento dell’obbligo abbia causato danni al lavora-tore. Qui può venire in rilievo la tipologia dei pregiudizi chetipicamente emergevano quando il demansionamento consistevanell’assegnazione a mansioni non equivalenti, giacché si ripropor-rebbe una fattispecie analoga nella misura in cui l’omessa forma-zione dovesse determinare la situazione di una perdita della pro-fessionalità pregressa senza acquisizione di una nuova. E se da ciòdovesse scaturire l’inutilizzazione del lavoratore, si riaffaccerebbeanche la fattispecie di illecita sottrazione delle mansioni, poichéegli sarebbe costretto alla forzata inattività con lesione della suadignità.

Pertanto i danni risarcibili, se provati, in questa situazionepotrebbero essere alla professionalità, strettamente intesa comeperdita del precedente “saper fare” accompagnata dalla mancataacquisizione di una diversa capacità del medesimo valore; maanche il danno non patrimoniale nelle sue componenti di dannobiologico, danno c.d. esistenziale, danno morale soggettivo, edanno biologico.

Sicché, a fronte di tutto questo, nonostante la previsione dilegge della non nullità dell’atto di assegnazione, c’è da chiedersiche interesse possa spingere l’imprenditore a mantenere il lavora-tore su mansioni che non è in grado di svolgere senza impartirgli laformazione; anzi, l’irrazionalità di una simile scelta potrebbe ancheconcorrere, come uno dei fatti indizianti, alla configurabilità di unapresunzione di motivo illecito.

Oltre al piano delle tutele del lavoratore nei confronti dell’ina-dempimento, vi è anche una tutela “preventiva” in quanto vi èspazio per un controllo del giudice sulla sussistenza o no dell’ob-bligo di formazione poiché qui il legislatore è ritornato a far uso

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della tecnica della norma a precetto generico, prevedendo che laformazione sia dovuta “ove necessario”; e l’“ove sia necessario” lodecide, ex ante, il datore di lavoro e, ex post, appunto, il giudice; ilche avrebbe dovuto tranquillizzare gli appassionati, o nostalgici, diquesta tecnica.

La suddetta previsione potrebbe infatti diventare centralenell’equilibrio complessivo della nuova disciplina della mobilitàorizzontale, se si tiene conto che la novità di maggior rilievo alriguardo, consistente nella possibilità di adibire il lavoratore amansioni per le quali egli non utilizzi il patrimonio professionalepregresso, presuppone inevitabilmente che egli acquisisca un di-verso “saper fare” mediante formazione. Sicché, definire l’ambitodel controllo giudiziario sulla necessità o no della formazionepotrebbe incidere in misura notevole sull’efficienza applicativa alcomma 1.

Se è vero che il giudice può sindacare sulla sussistenza o nodell’obbligo della formazione, tuttavia, tranne nei casi di evidentediversità tra le mansioni, nelle altre situazioni questo accerta-mento mal si presta ad essere condotto in un’aula giudiziaria, coni consueti strumenti della prova testimoniale ovvero di una even-tuale consulenza tecnica.

L’unica soluzione è rappresentata dalla contrattazione collet-tiva che anche su questo aspetto è auspicabile offra un contributoimportante alla certezza del diritto, ad esempio individuando,nell’ambito di possibili percorsi di mobilità tra le diverse mansioni,ovviamente all’interno di ciascun livello (e categoria), gli sposta-menti per i quali occorra o no la formazione. Il giudice dovrebbepoi essere rispettoso di queste valutazioni dell’autonomia collet-tiva, anche se in teoria per lui non vincolanti, poiché potrebbeapplicare direttamente la norma di legge dell’“ove necessario”.

Aspetto ancora più delicato è quello dell’ammissibilità o no delcontrollo giudiziale sull’acquisibilità da parte del lavoratore dellanuova professionalità nonostante una formazione adeguata, acausa delle carenze della preparazione di base del lavoratore o dellesue capacità potenziali. Anche qui risulterebbe difficilmente com-prensibile l’interesse dell’imprenditore ad attuare un simile sposta-mento per il quale egli è consapevole ex ante che il lavoratore nonsarà mai in grado di svolgere adeguatamente le nuove mansioninonostante la formazione.

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Sicché questo tipo di controllo appare più che altro limitato asmascherare e contrastare gli spostamenti fraudolenti attuati alsolo fine di mettere in difficoltà il dipendente. Però occorre moltaprudenza, perché un uso improprio di questo accertamento giudi-ziale potrebbe rischiare di depotenziare notevolmente la novitàintrodotta dal comma 1, in quanto, se il giudice dovesse ritenereneppure acquisibile la nuova professionalità del dipendente, ilmutamento di mansioni non sarebbe consentito. In tal caso, in-fatti, non troverebbe applicazione la disposizione della non nullitàdell’atto di assegnazione, in quanto questa si riferisce alla diversefattispecie in cui l’adempimento dell’obbligo sia possibile venendoaltrimenti meno l’oggetto dell’obbligazione stessa. Pertanto, aprescindere dai “casi limite” dettati da motivo illecito da parte deldatore di lavoro, appare più ragionevole ritenere che il controllodel giudice sia limitato all’accertamento dell’adempimento se-condo buona fede e correttezza dell’obbligo di formazione da partedel datore di lavoro e del corrispondente onere di cooperazionecreditoria da parte del lavoratore, o viceversa, se si ritiene che sullavoratore gravi l’obbligo della formazione e sul datore il relativoonere.

Nel caso in cui la formazione risulti adeguata e il lavoratore,nonostante gli sforzi profusi, non riesca proprio a conseguirel’obiettivo formativo, pur ragionevole rispetto alla sua prepara-zione di base e alle sue capacità potenziali, a prescindere dall’an-noso problema se si possa configurare ugualmente un inadempi-mento pur in assenza di “colpa” del debitore — perché nella specieil lavoratore avrebbe usato la diligenza necessaria — si potrebberoipotizzare gli estremi del licenziamento per giustificato motivooggettivo o per inidoneità professionale sopravvenuta.

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BARBARA GRANDI

Provo a condensare nel breve tempo a disposizione alcunerilfessioni sul tema delle mansioni e del cambiamento delle man-sioni, sul tema dei controllo a distanza, oggetto dei più recentiinterventi legislativi e governativi. Voglio però partire un poco dalontano, al fine di collegarmi meglio a quello che è il tema di questoconvegno, cioè il rapporto tra legge e contrattazione collettiva.

Mi riferisco a un concetto (di sintesi) fondamentale, che èquello della “profilazione” del lavoratore, per sottolineare le impli-cazioni non solo professionali, ma anche civilistiche e previdenziali— delle quali il legislatore ha dato atto di essere consapevole — chesono connesse a questo aspetto. Da una profilazione fatta in unmodo piuttosto che in un altro, possono derivare facili fraintendi-menti, quando non anche degli abusi.

Parto dal largo perché quando parliamo delle relazioni delpersonale, parliamo di una realtà che è sempre una combinazionetra fatti naturali e forme giuridiche, le quali rilevano in un datocontesto storicizzato. La profilazione è quanto interviene per met-tere in collegamento, nel modo più possibile genuino e diretto,questo insieme di fatti, cose e forme giuridiche.

Ma perché dico questo, dico questo perché molto spesso ac-cade, in ambito lavorativo, quello che accade nelle relazioni co-muni: si combinano i ruoli, si fa il gioco delle parti, e da questogioco delle parti deriva il gioco sulle identità, che a sua volta, moltospesso scade nella possibilità di discriminazioni, di lesioni di dirittieconomici ma anche di diritti fondamentali, a partire dal dirittoalla dignità personale.

La dignità personale è un concetto giuridicamente relativo, chedeve poter contare, per essere azionato, anche in sede giudiziaria,su di una grammatica più articolata di quella contenibile in unalegge: i diritti umani, che esprimono categorie giuridiche generali,per poter essere riconosciuti come tali anche in via giudiziaria, enon andare incontro ad un sindacato di autoreferenzialità, neces-

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sitano di istituti tali da (tradurre) collegare tra loro fatti e formegiuridiche in un contesto storicizzato.

E poi c’è un altro aspetto; oggi le imprese, i datori di lavoro, leassociazioni di datori di lavoro, come anche i lavoratori autonomi,molto spesso si danno obiettivi che non sono solo economici, moltospesso si danno obiettivi che hanno natura politica. Si deve consi-derare la strategia delle imprese: l’idea di agire sul mercato nell’ot-tica di realizzare fini che prescindono dall’obiettivo economico, checonsidera l’interazione con gli attori politici, dei vari livelli, ancheamministrativi. In questo ordine di idee assume rilevanza il tipo diprofilazione, ad esempio quella di un lavoratore autonomo piutto-sto che dipendente, ma anche l’assegnazione delle mansioni puòassumere un significato diverso a seconda che venga funzionaliz-zata rispetto a una direzione, politica e operativa, piuttosto che aun’altra.

E anche in questa prospettiva è facile che si cada in “profila-zioni” suscettibili di fraintendimenti.

E arrivo al ruolo che può avere la contrattazione collettiva. Alruolo della contrattazione collettiva nazionale e decentrata.

Vi sono aspetti, come quello della scelta della categoria pro-fessionale di appartenenza, che difficilmente potranno essere trat-tati se non al livello nazionale: i lavoratori professionisti cheesercitano attività tipiche (categorizzate) difficilmente, anche per iriflessi di tutela connessi alla rappresentatività, potranno esserecome tali profilati a livello decentrato. Diverso è l’aspetto dellaformazione, o anche l’aspetto della modalità delle comunicazioniprofessionali. Penso a come, specialmente nel contesto globaliz-zato, sia possibile che derivino pregiudizi per l’aver comunicatomale un obiettivo o uno scopo professionale; in questo vedo lapossibilità di una competenza in capo alla contrattazione decen-trata.

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Venerdì 17 giugno 2016 - mattina

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RELAZIONI

LE RELAZIONI COLLETTIVENEL “NUOVO” DIRITTO DEL LAVORO

di SANDRO MAINARDI

SOMMARIO: 1. Un “nuovo” diritto sindacale per il “nuovo” diritto del lavoro. — 2. L’assettodelle fonti: trasformazioni strutturali del mercato del lavoro e stabilità delle regolesindacali. — 3. La direzione del legislatore. Relazioni collettive di azienda e decentra-mento contrattuale. — 4. Segue. Articolo 51 e dintorni. Il baricentro della strutturacontrattuale nel diritto del lavoro riformato e nell’ordinamento intersindacale. IlCCNL luogo di regolazione del sistema. — 5. I rinvii alla contrattazione collettiva.Spunti per una riflessione. — 6. Segue. Fondi bilaterali di sostegno al reddito, welfareoccupazionale e premi aziendali. Come cambiano le relazioni collettive (oltre il Jobs Acte la contrattazione delegata). — 7. Lavoro pubblico e relazioni collettive: (ormai) unaltro diritto sindacale (ancora da imitare?). — 8. Tra regolazione autonoma edintervento di legge: è proprio necessaria una « Legge sindacale »?

1. Un “nuovo” diritto sindacale per il “nuovo” diritto del lavoro.

Ormai più di qualche anno fa, qualcuno mi ammoniva circal’opportunità di non usare mai, nell’intitolazione di contributidedicati ad una qualche riforma, la parola “nuovo”. Questo perchéil lettore futuro troverà presto “vecchio” quel riferimento e dunquenon attuale la “novità” rispetto a scenari inesorabilmente destinatia continue e rapide evoluzioni: meglio, dunque, e solo se necessario,riferirsi puntualmente alla origine o ai luoghi del cambiamento,senza apprezzare gli stessi come innovativi, e, soprattutto, senzapensare che tale apprezzamento di novità possa proiettarsi verso ilfuturo.

Serve dunque fornire qui una dimensione temporale al“nuovo” diritto del lavoro con il quale devono e dovranno rappor-tarsi le relazioni collettive, e quindi un “nuovo” diritto sindacale.

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Allo stesso tempo è utile distinguere il “nuovo” delle relazionicollettive, da un lato rispetto ad un diritto del lavoro post-statu-tario per lungo tempo saldamente ancorato e rapportato a quelsistema sindacale di fatto, che, pur in assenza di interventi rego-lativi del fenomeno sindacale, e quindi in carenza di un percorsolegislativo di attuazione del modello dettato dall’art. 39 Cost., haconsentito per lungo tempo il mantenimento di assetti stabili edallo stesso tempo capaci di sviluppo autonomo (1): tali, come dapiù parti affermato, da consentire una piena attuazione materialedei contenuti fondamentali della norma costituzionale (2), maanche tali da fornire equilibrio nella condivisone di spazi di rego-lazione tra legge ed autonomia collettiva, con un legislatore nazio-nale sempre più propenso al coinvolgimento delle parti sociali eduna negoziazione sensibile alle esigenze di regolazione, macro emicro, dei processi produttivi, economici e sociali (3).

Dall’altro lato, è utile fornire una precisazione rispetto ad unaattualità di riforme (segnatamente i decreti attuativi della l. n.183/2014) che certo costituiscono motivo ultimo e significativo, manon certo esclusivo, di un processo di trasformazione ormai ultra-decennale del diritto del lavoro e delle nostre relazioni sindacali,processo fortemente condizionato dai percorsi intrapresi dal legi-slatore nazionale nella regolamentazione (4) (segnatamente quelli

(1) Nell’accezione nota del « sistema sindacale di fatto » quale ordinamento sindacalea sé stante, capace di governarsi autonomamente attraverso la predisposizione di regole eprocedure più o meno stabili e formalizzate: F. CARINCI, Il lungo cammino per Santiago dellarappresentatività sindacale (dal titolo III dello Statuto dei lavoratori al testo Unico sullarappresentanza del 10 gennaio 2014), in DRI, 2014, spec. 311-316; R. PESSI, Ordinamentostatuale e ordinamento intersindacale: promozione o regolazione?, in RIDL, 2014, I, 1.

(2) M. RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sindacale, Utet, 2003, 8; P. RESCIGNO,Intervento, in Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle giornate di studio di dirittodel lavoro Foggia-Baia delle Zagare, 25-26 maggio 2001, Giuffrè, 2002, 11; M. D’ANTONA, Ilquarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in DLRI, 1998, 665 ss.

(3) Cfr. O. MAZZOTTA, Il diritto del lavoro e le sue fonti, in RIDL, 2011, I, 219; C. CESTER,M. MISCIONE, C. ZOLI, Le fonti interne, in C. ZOLI (a cura di), Le fonti. Il diritto sindacale.Diritto del lavoro, Commentario diretto da F. Carinci, 2007, 10; C. DELL’ARINGA, Chi ha pauradella concertazione, in Il sole24 ore del 7 novembre 1997; F. LISO, Autonomia collettiva eoccupazione, in Aidalss (a cura di), Autonomia e occupazione, Atti del XII Congressonazionale di Milano del 23-25 maggio 1997, Giuffrè, 1997, 9.

(4) Ci si può chiedere se questo processo di trasformazione ultradecennale abbiacondotto ad un mutamento di paradigma del diritto del lavoro oppure, più semplicemente,ad una articolazione e specificazione sempre più complessa dei paradigmi dominanti. Nel

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avviati con i decreti attuativi della l. n. 30/2003), ma anche da unaserie di eventi e manifestazioni del tutto propri dell’ordinamentosindacale e dell’autonomia collettiva, non sempre coerenti perapproccio, posizioni (unitarie o separate), esiti finali (dalle Linee diriforma della struttura della contrattazione del maggio 2008, finoal Testo Unico sulla rappresentanza sindacale del 2014).

Rapportarsi con il diritto del lavoro è quindi utile, ai finidell’indagine, per verificare se questo diritto “nuovo” (ri)conosce lerelazioni collettive quale luogo di confronto e produzione di regoleper la disciplina del mercato del lavoro e dunque se assegni unospazio al fenomeno sindacale, non necessariamente nel solco dellatradizione del rapporto fra legge e autonomia collettiva e delledinamiche interne al sistema contrattuale; e soprattutto se vi siacoincidenza, di ruolo e di funzione, tra il fenomeno collettivo presooggi a riferimento dal legislatore e quello che si va delineandoappunto per effetto delle più recenti trasformazioni del nostrosistema sindacale, fra l’altro in un quadro di interventi sulla Cartacostituzionale che, se al momento non paiono prendere diretta-mente in considerazione lavoro e rapporti collettivi (5), modulanoperò diversamente, ed in modo non irrilevante, il ruolo dello Statoe delle Regioni sul governo dei territori, con impatto dunque anchesulle politiche attive del lavoro.

In definitiva, ed in una prospettiva più ampia, è forse oggipossibile verificare se il modello di sindacato e di relazioni collet-tive maturato nel decennio, a seguito di interventi come dettoautonomi ed eteronomi, sia adatto rispetto al cambiamento, giu-stifichi ancora l’esistenza di forme organizzate di rappresentanzadegli interessi nel nostro mercato del lavoro e possa garantire asoggetti e relazioni sindacali uno spazio degno dello storico ricono-

1990 D’Antona scriveva: « la difficoltà crescente di comprensione dei fenomeni giuridiciattraverso gli schemi generalmente accolti, comincia a tematizzarsi chiaramente come crisidei paradigmi; ma che siamo nello stesso tempo molto lontani da un mutamento diparadigmi capace di influenzare la pratica quotidiana della “scienza normale” ». Si tratta dicomprendere se tali conclusioni valgano ancora oggi: cfr. M. D’ANTONA, L’anomalia post-positivista del diritto del lavoro e la questione del metodo, in RCDP, 1990, 207 ss., ora in S.SCIARRA e B. CARUSO (a cura di), M. D’Antona. Opere, vol. I, Milano, Giuffrè, 2000, 53 s.

(5) Il riferimento è alla Legge costituzionale 12 aprile 2016, salvo naturalmente laprevista soppressione del CNEL e gli effetti indiretti sul mercato del lavoro derivanti dellasoppressione della previsione costituzionale delle province e dalla riforma del riparto dellecompetenze tra Stato e regioni.

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scimento dato dal nostro sistema costituzionale e da note fonticomunitarie ed internazionali (6).

Non è dubbio che le riforme più recenti del diritto del lavoro,appunto collocabili nell’arco di tempo che va dal 2003 al biennio2014-16 abbiano adottato approcci di tipo diverso rispetto al feno-meno sindacale edalle relazioni collettive,non sempre funzionali agliobiettivi finali del legislatore e, soprattutto, raramente sintonici conle linee di politica sindacale in atto. Tuttavia, se è possibile tracciarepiù di una linea di continuità rispetto alle riforme legislative deldecennio, molto più complessa appare l’individuazione di una trac-cia di sistema sindacale attrezzato in modo stabile per poter dialo-gare efficacemente, anchenellapiù tradizionalematrice conflittuale,con i rapidissimi mutamenti determinati da tale legislazione.

I limiti di spazio ed il tema di queste pagine impongono quinecessaria sintesi, anche confidando nelle relazioni che mi hannopreceduto (7), e rinvii del tutto insufficienti ad esprimere undibattito decennale sul quale la nostra materia, data la portatastorica del cambiamento, si è vista particolarmente impegnata.

Il momento di avvio di questo processo, in cui legge e contrat-tazione collettiva avevano ormai maturato e consolidato il ruolo difonti destinate, più che alla distribuzione delle tutele, a prevalentifinalità di organizzazione e governo delle trasformazioni produt-tive, con variabili difficilmente riconducibili a sistema in quantocondizionate da esigenze contingenti in rapporto a singole ipotesiconcrete (8), trova un sistema di relazioni collettive ritenuto ele-mento di rigidità rispetto al cambiamento promosso dal legisla-tore (9), con una resistenza centralistica tipica del sistema politico/

(6) Questo dando per scontato, che il sindacato, come soggetto giuridico costituzio-nalizzato, « non possa essere escluso dai circuiti di definizione delle regole del lavoro »,secondo dato storico e politico-istituzionale « che neppure un legislatore anti-labour do-vrebbe ignorare »: M. RUSCIANO, Contrattazione e sindacato nel diritto del lavoro dopo la L. 28giugno 2012, n. 92, in ADL, 2013, 6, 1284; ID., Una rilettura dell’art. 39 della Costituzione, inAtti del XVII Congresso nazionale AIDLASS, Milano, Giuffrè, 113 e ss.

(7) In particolare alla ricostruzione, ben più che storico/sistematica, svolta daLorenzo Gaeta.

(8) P. TULLINI, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in ADL, 2005, 137; L.MARIUCCI, Le fonti del diritto del lavoro quindici anni dopo, Giappichelli, 2003; ID, La forza diun pensiero debole. Una critica del Libro Bianco del lavoro, in LD, 2002.

(9) Addirittura espressamente considerato tale dalla Relazione di accompagnamentodella proposta di Governo per una delega in materia di mercato del lavoro dove il ruolodell’autonomia collettiva è considerato « inutile appesantimento burocratico ».

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sindacale, di fatto alimentata da una ricorrente divisione strate-gica tra le confederazioni (10). Il conflitto politico/sociale del 2002sulla revisione, poi all’epoca non attuata, dell’art. 18 dello Statutodei lavoratori, così come quello che lo aveva anticipato in materiadi trasposizione legislativa dell’Accordo separato sulla disciplinadel contratto a termine, sono emblematici della forte politicizza-zione del dibattito che ha accompagnato il programma del LibroBianco sul mercato del lavoro dell’ottobre 2001 e la sua (parziale)attuazione legislativa, con il d.lgs. n. 368/2001 sul contratto atermine, con la riforma dell’orario di lavoro e dei riposi del d.lgs. n.66/2003, con la riforma del mercato del lavoro e delle flessibilitàcontrattuali del d.lgs. n. 276/2003 (11).

Il mutamento di contesto regolativo è significativo ed incideràin modo netto sulla capacità di adattamento e risposta del sinda-cato. Rispetto alla stagione di riforme che l’aveva di poco prece-duta (1996-2001), in cui prima la concertazione sulle scelte norma-tive (12) e poi la contrattazione collettiva sulle modalità di attua-zione avevano aperto nuovi margini alla flessibilità (13), raggiun-gendo l’obiettivo di un « netto aumento dell’occupazione, resopossibile dalla flessibilità disciplinata dalla legge e dalla contratta-zione collettiva » (14), secondo un modello di « integrazione strate-

(10) F. CARINCI, Una svolta fra ideologia e tecnica: continuità e discontinuità nel dirittodel lavoro di inizio secolo, in CARINCI (coordinato da), Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003,n. 276, I, Ipsoa, 2004 LXVI.

(11) C. ZOLI, Contratto e rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del dirittodel lavoro, in DLRI, 2004, 404; L. BELLARDI, Dalla concertazione al dialogo sociale, in LD,2004, 183; F. LISO, Analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003: spunti diriflessione, in WP “Massimo D’Antona” .IT — 20/2004; A. BELLAVISTA, La derogabilitàassistita nel d.lgs. n. 276/2003, in WP “Massimo D’Antona” .IT — 16/2004; M. RICCI, Lefinalità del d.lgs. n. 276/2003 tra flessibilità/precariato e “presunti” orientamenti comunitari,in LG, 2004, 3, 275-286.

(12) F. CARINCI, Storia e cronaca di una convivenza: parlamento e concertazione, inRTDP, 2000, 1, 35 ss.; A. PERULLI, Modelli di concertazione in Italia: dallo « scambio politico »al « dialogo sociale », in RGL, 2004, I, 21 e ss.; L. BELLARDI, Concertazione, dialogo sociale,contrattazione e rapporto tra legge e autonomia collettiva, in D. GAROFALO e M. RICCI, Percorsidi diritto del lavoro, 2004, 225.

(13) Cfr. U. CARABELLI e V. LECCESE, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge eautonomia collettiva: spunti dalla nuova disciplina dell’orario di lavoro, in Studi in onore diGiorgio Ghezzi, Cedam, Padova, 2005, 347; M. PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comunenel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in ADL, 2004, 1 ss

(14) M. RICCI, L’autonomia collettiva e individuale dopo la revisione legislativa delmercato del lavoro, in D. GAROFALO e M. RICCI, Percorsi di diritto del lavoro, cit., 225.

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gica del sistema sindacale » (15) in chiave anti-crisi e di risana-mento del mercato, le riforme del 2003 determinano una nettasoluzione di continuità. Ci si muove infatti, a fronte della flessibi-lizzazione estrema delle regole lavoristiche, verso un ridimensiona-mento dei poteri di controllo collettivo e sindacale (16), con l’ef-fetto di depotenziare i pur presenti rinvii legali all’autonomiacollettiva per la “gestione” del mercato del lavoro.

La rivisitazione delle regole dell’inderogabilità a favore del-l’autonomia individuale determina una situazione in cui questafinisce con il prevalere sull’autonomia collettiva (17), sottraendospazi allo strumento sindacale, nell’idea per cui il livello indivi-duale di curvatura delle regole del lavoro possa vivere « anchesenza il supporto del contratto collettivo » (18): nella traduzionelegislativa si ritroveranno frammenti significativi di tale assetto,come l’intervento sostitutivo amministrativo in caso di stallo dellacontrattazione (19); il « dialogo sociale » in sostituzione del modello« concertativo », ma secondo declinazioni diverse da quelle prati-cate in ambito europeo; il contratto collettivo inteso a “sensounico” per l’estensione degli spazi di flessibilità e non per il con-trollo degli stessi in chiave sociale; la scelta sostanzialmente indif-ferenziata degli attori sindacali rappresentativi, solo strumentalealla negoziazione per le finalità prefissate dal legislatore, e nonall’effettiva garanzia di espressione di scelte condivise dalla mag-gioranza dei lavoratori nell’equilibrio individuato dai propri rap-presentanti.

Si tratta della prima occasione in cui l’autonomia collettiva si

(15) Con il fondamentale passaggio dall’intervento statuale di sostegno esterno alsindacato proprio della prima stagione statutaria a quello della integrazione del sindacato edi allargamento degli ambiti negoziali di intervento: sul punto v. M. D’ANTONA, Sindacati estato a vent’anni dallo Statuto dei Lavoratori, in RGL, 1989, 407 ss.

(16) L. MONTUSCHI, Ancora nuove regole per il lavoro a termine, in ADL, 2002, 41; C.CESTER, Intervento, Atti Aidlass, Milano, Giuffre, 2003, 132 ss.

(17) C. ZOLI, Commento all’art. 1, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro, Zanichelli,2004, 3 seg; ID., Le recenti riforme del diritto del lavoro tra continuità e discontinuità, in Dopola flessibilità, cosa? Le nuove politiche del lavoro, Il Mulino, 2006, 395 ss.

(18) G. SANTORO PASSARELLI, Delega al Governo in materia di mercato del lavoro, in DPL,730 e ss.; P. CAMPANELLA, Il Libro Bianco e il disegno di legge delega in tema di mercato dellavoro, LG, 2002, I, 5.

(19) Secondo modello che poi verrà riproposto dal d.lgs. n. 150/2009 sia in caso diritardo nella stipulazione dei CCNL che, soprattutto, in sede di mancato accordo per lacontrattazione integrativa.

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confronta con la prospettiva strutturale di una vera e propriatrasformazione eterodeterminata di ruolo, a fronte « di una piùfacile e conveniente trattativa diretta con i singoli lavoratori » (20):trasformazione che, essendo ormai proiettata oltre il diritto dellavoro dell’emergenza, diviene potenzialmente in grado di minarealle basi la funzione storica di mediazione del conflitto propria delsindacato, ma anche di alterare l’equilibrio di un sistema legisla-tivo oramai abituato a fare propri gli esiti della regolazione collet-tiva “delegata”, specie nella versione di prodotti negoziali giudicaticostituzionalmente compatibili in chiave di effettività ed efficaciageneralizzata, se e quando questi siano destinati ad incidere suinteressi generali del mercato del lavoro oppure sul controllo dipoteri datoriali che necessitano di discipline uniformi (21).

Trasferita in una dimensione più ampia e meditata, compresadei fenomeni economici di rilevanza (macro e micro) per le riformedel mercato del lavoro, così come della incidenza comunitaria e deivincoli che essa determina, questa prospettiva si è in breve con-cettualizzata secondo le coordinate, su cui si tornerà, della “mo-dernizzazione” ed “aziendalizzazione” del mercato del lavoro, seb-bene, come noto, almeno con riguardo alla prima locuzione, ildisegno legislativo di semplificazione e di promozione di tecnichenormative soft, determinate solo nell’obiettivo al fine di orientaregli attori e di deflazionare il contenzioso, ha ampiamente tradito ipropositi del Libro Bianco del 2001 (22).

(20) Così F. CARINCI, Una svolta tra ideologia e tecnica: continuità e discontinuità neldiritto del lavoro di inizio secolo, in M. MISCIONE e M. RICCI (a cura di), Organizzazionedisciplina del mercato del lavoro, in F. CARINCI (diretto da), Commentario al d.lgs. 10 settembre2003, n. 276, Milano, Ipsoa, I, XXIX ss.

(21) Corte cost. 344/1996; 268/1994; per il perseguimento di interessi pubblici Cortecost. 140/1980, 141/1980, 34/1985, 143/1998; L. ZOPPOLI, Il contratto collettivo come fonte:teorie ed applicazioni, in R. SANTUCCI e L. ZOPPOLI (a cura di), Contrattazione collettiva edisciplina dei rapporti di lavoro, Torino, 2004, 271 e ss.; A. LASSANDARI, Il contratto collettivoaziendale e decentrato, Milano, 2001, 257 e ss.; P. TULLINI, Breve storia delle fonti del mercatodel lavoro, cit., 143; M. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, inDRI, 1991, 445; ID, Pubblici poteri nel mercato del lavoro — Amministrazioni e contrattazionecollettiva nella legislazione recente, in RIDL, 1987, I, 226.

(22) Secondo le condivisibili osservazioni di A. MARESCA, Modernizzazione del dirittodel lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, in Diritto del lavoro. I nuoviproblemi. L’omaggio dell’accademia a Mattia Persiani, 2005, Cedam, Padova, I, 69 ss.; suiprocessi di aziendalizzazione, v. E. ALES, Dal caso FIAT al “caso Italia”. Il diritto del lavorodi prossimità, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in DRI, 2011, 1061 e ss.

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Al di là del giudizio complessivo e di dettaglio riguardo almerito degli interventi in materia di flessibilità, sul versante sin-dacale la riforma del 2001-2003 e la crisi del modello concertativonel mutato quadro politico, accentuano la frattura nell’unità diazione delle tre confederazioni, evidenziando la debolezza piùprofonda del modello proprio dell’ordinamento intersindacale serapportato al nuovo approccio del legislatore verso le relazionicollettive di lavoro: questa debolezza si riproporrà in modo ciclicoper l’intero decennio successivo e nel “nuovo” diritto del lavoro dioggi, tanto da costituire l’unica vera matrice di continuità, nelcampo del diritto sindacale, nell’alternarsi delle riforme. In assenzadi regole sulla produzione di norme da parte dell’autonomia col-lettiva, queste restano valide ed efficaci solo se le parti sociali siriconoscono (e continuano a riconoscersi) in esse (23), compor-tando, di converso, la deflagrazione del sistema (qualunque si-stema) dei rinvii legali all’autonomia collettiva, laddove manchitale unità di azione. Con inevitabile tendenza legislativa (o ammi-nistrativa) ad occupare o rioccupare spazi regolativi e ricorrentemanifestazione di instabilità delle regole di matrice sindacale inmateria di rappresentatività, efficacia dei contratti specie (ma nonsolo) aziendali, struttura della contrattazione, godimento dei di-ritti sindacali.

Il sindacato, seppure con significative eccezioni categoriali,settoriali e territoriali, di fronte alle riforme che possono produrrel’effetto indiretto di far emergere queste debolezze sistemiche, piùche adattarsi ed interpretare il ruolo consegnatogli dal legislatoretramite i rinvii legali, nell’occupazione di spazi regolativi control-lati in chiave sociale (24), assume un atteggiamento riflessivo e dirimessa, la cui caratteristica è quella dell’alternanza fra fratture ericomposizioni dell’unità sindacale e la ricerca di strumenti utili amantenere l’equilibrio interno al sistema, non necessariamentefunzionali agli interventi di riforma legislativa che appunto con-segnano periodicamente ruoli e competenze all’autonomia collet-tiva.

(23) R. PESSI, Ordinamento statuale e ordinamento intersindacale, promozione o rego-lazione?, cit., 3.

(24) Cfr. M. MAGNANI, La rappresentanza degli attori sindacali: serve una legge? Spuntidi riflessione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT — 42/2006.

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Ed in effetti il periodo successivo del “nuovo” diritto dellavoro sarà contrassegnato, sul versante delle relazioni collettive,dal tentativo di ricomposizione del quadro, secondo la stradamaestra della regolazione per via contrattuale, a cominciare dalloAccordo quadro sulla riforma del sistema contrattuale del 22gennaio 2009, seppure sottoscritto senza la partecipazione dellaCGIL.

Non è un caso che sia stata la vicenda FIAT (25), e non leriforme in itinere e tantomeno la “modernizzazione” del mercatodel lavoro per la parte consegnata all’autonomia collettiva, adalimentare l’esigenza insopprimibile di regolazione (autonoma e/oeteronoma) dell’ordinamento sindacale, necessaria per fornire ri-sposte al “nuovo” espresso dal riuscito tentativo datoriale discomposizione del sistema contrattuale (26) ed al “vecchio”, datodalla drammatizzazione degli effetti abrogativi del referendum del1995 sull’art. 19 Stat. Lav. (27).

E non è un caso che l’intervento legislativo sulla contratta-zione di prossimità dell’art. 8 della l. 14 settembre 2011 n. 148, sulquale naturalmente si tornerà nel prosieguo — norma in astrattoricca di potenzialità per il sistema sindacale, se letta nell’otticadella promozione delle forme di contrattazione delegata —, di-venga l’innesco reattivo di un rifiuto delle confederazioni verso laregolamentazione per legge della contrattazione e del suo ambito diefficacia, con un rilancio di politiche unitarie nuovamente dirette,in una logica più strutturata e puntuale del Protocollo Ciampi delluglio 1993, a regolare le competenze fra i livelli contrattuali,l’efficacia/esigibilità della contrattazione di secondo livello e, per la

(25) In questo senso e per una ricostruzione di insieme delle vicende del biennio2009-2010, v. F. CARINCI, La cronaca si fa storia: da Pomigliano a Mirafiori, Introduzione aF. CARINCI (a cura di), Da Pomigliano a Mirafiori: la cronaca si fa storia, Milano, Ipsoa, 2011XXI e ss. e ivi i contributi di R. DE LUCA TAMAJO, L’accordo di Pomigliano: una storiaitaliana, 7 e ss. e di P. TOSI, Uno sguardo d’assieme, 19 e ss.; G. PROIA, Il diritto del lavoro ele relazioni industriali: cosa cambia dopo Mirafiori, in www.cuorecritica.it; P. TOSI, Lo shockdi Pomigliano sul diritto del lavoro: il sistema collettivo, in ADL, 2010, 1091.

(26) M. ESPOSITO e G. NATULLO, I limiti del dialogo tra ordinamento sindacale eordinamento statale nel cono della controversia FIOM vs. FIAT, in DLM, 2012, 136 e ss.

(27) Si v. gli interventi pubblicati in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Le rappre-sentanze sindacali in azienda: contrattazione collettiva e giustizia costituzionale, Atti delConvegno Aidlass di Roma, 16 settembre 2013, Jovene, Napoli, 2014 e F. CARINCI, Il grandeassente: l’Art. 19 dello Statuto, in WP “Massimo D’Antona” .IT — 144/2012.

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prima volta, il tema della misurazione della rappresentatività aifini della titolarità ed efficacia del contratto nazionale.

È questa la matrice della sequenza di accordi che si sonosusseguiti nel periodo 2011-2014, sebbene ciò sia avvenuto solo peril settore industriale e cooperativo (28). Si tratta, come noto,dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che amplia iconfini entro i quali i contratti di secondo livello possono derogareal CCNL, superando la clausola di non ripetibilità e ancorandoli alsolo limite di una efficace adesione a specifici contesti produttivi,stabilendo criteri attraverso i quali determinare l’efficacia deicontratti aziendali per tutto il personale in forza; dell’Intesa sullarappresentanza del 31 maggio 2013 la quale definisce criteri quan-titativi per stabilire legittimazione delle sigle sindacali alla con-trattazione nazionale, prevedendo meccanismi a maggioranza perl’esigibilità generale del CCNL, con espressione di volontà versouna valorizzazione delle RSU costituite solo sulla base del metodoproporzionale; ed infine il Testo Unico sulla rappresentanza sinda-cale del 10 gennaio 2014 (29), che recepisce ed armonizza l’Accordo2011 e l’Intesa 2013, toccando dunque tutti gli istituti cruciali deldiritto sindacale regolati per la via negoziale, stabilendo criteri perla misurazione dei dati associativi ed adeguando la disciplina delleRSU (30).

(28) Cfr. Accordo 28.7.2015 tra associazioni AGCI, la CONFCOOPERATIVE, laLEGACOOP ed i sindacati CGIL, CISL, UIL.

(29) « Candidato ad essere il più importante documento sindacale dell’era repubbli-cana »: R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, 2015, 96. V., inoltre F. CARINCI, Il lungo cammino perSantiago della rappresentatività sindacale (dal titolo III dello statuto dei lavoratori al t.u. sullarappresentanza 10 gennaio 2014), cit., 309; R. DEL PUNTA, Note sparse sul t.u. sulla rappre-sentanza, in DRI, 2014, 673; F. SCARPELLI, Il t.u. sulla rappresentanza tra relazioni industrialie diritto, in DRI, 2014, 687; G. ZAMPINI, Il t.u. del 10 gennaio 2014 — Misura e certificazionedella rappresentanza sindacale tra costituzione e autonomia collettiva, in ADL, 2014, 629.

(30) Devono essere altresì ricordati l’Intesa sulla produttività del 21 novembre 2012(CGIL dissenziente) nella quale i contratti collettivi possono definire una quota dell’au-mento concesso a livello nazionale (salario di produttività) che la contrattazione di secondolivello può collegare alla realizzazione di incrementi di produttività e redditività, benefi-ciando delle agevolazioni fiscali e contributive vigenti per legge, nonché l’Accordo Quadroterritoriale del 24 aprile 2013, diretto a facilitare accordi a livello territoriale che consentanoanche alle imprese prive di rappresentanza sindacale di applicare ai propri dipendenti leagevolazioni previste a fronte di miglioramenti della produttività che conseguono a unadiversa gestione dell’orario di lavoro.

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Questa sequenza, cui prendono parte diversi attori (31) ed allaquale fornirà contributo importante ed additivo, seppure noninteramente risolutivo, la rilettura dell’art. 19 Stat. Lav. post-referendario fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n.231/2013 (32), più che porsi in termini di complementarità con il“nuovo” diritto del lavoro e quindi nella modalità di una regola-zione collettiva diretta a rendere funzionali gli spazi aperti dagliinterventi di riforma, cerca come detto di comporre questioni tutteinterne al sistema sindacale, probabilmente riconducibili alla presad’atto della “situazione di divisione” o di “dissenso” come possibilecarattere strutturale, nella dimensione di libertà e pluralismo delnostro sistema, di esercizio delle prerogative dell’autonomia collet-tiva, le quali devono però restare praticabili, secondo regole pre-definite, anche in assenza di unità sindacale.

2. L’assetto delle fonti: trasformazioni strutturali del mercato dellavoro e stabilità delle regole sindacali.

Si tratta quindi di una sintonia incrementale ma poi rapida-mente smarrita tra le relazioni collettive ed il “nuovo” diritto dellavoro: per motivi attribuibili anche al sistema intersindacale, ilsindacato si è visto impegnato più nella ricorrente composizione diproblemi storici ascrivibili al grande capitolo della democrazia

(31) F. CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legisla-tore, in WP CSDLE Massimo D’Antona”, 133-2011.

(32) Sulla quale, v. F. LISO, M. MAGNANI e R. SALOMONE., Opinioni sul « nuovo » art. 19dello statuto dei lavoratori, in GDLRI, 2014, 105 ss.; V. BAVARO, La razionalità pratica dell’art.19 St. lav. e la democrazia industriale, in WP “Massimo D’Antona”.IT — 184/2013; F.CARINCI, Il buio oltre la siepe: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231, in WP “Massimo D’Anto-na”.IT — 182/2013; ID, Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale”dell’art. 19, lett. b) St.), in WP “Massimo D’Antona”.IT — 179/2013; M. ESPOSITO, Introdu-zione alle opinioni sulla sentenza della corte cost. n. 231 del 2013: « sentieri » e « cantieri » peruna nuova stagione sindacale, in DLM, 2013, 689; A. GARILLI, Reciproco riconoscimento erappresentatività sindacale (spunti ricostruttivi della sentenza della corte cost. N. 231 del 2013),in ADL, 2014, 19; P. TOSI, Avventure della rappresentatività sindacale « effettiva » dopo cortecostituzionale 231/2013, in NNG, 2014, 423; B. CARUSO, La corte costituzionale tra DonAbbondio e il Passero Solitario: il sistema di rappresentanza sindacale dopo la sent. n. 231/13,in RIDL, 2013, I, 901; F. LUNARDON, La sent. 23 luglio 2013 n. 231 della corte costituzionalee la riscrittura in senso « materiale » dell’art. 19 st. lav; in NNG, 2013, 340.

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sindacale e della formazione del consenso ai fini della contratta-zione collettiva, piuttosto che verso una efficace risposta, anche dimatrice conflittuale, alle nuove prospettive aperte dalle riforme delmercato del lavoro. È il grande tema del “chi rappresenta chi” (33),al quale, progressivamente, si sono affiancati altri importanti in-terrogativi, relativi all’identità stessa del sindacato ed alla suafunzione, e quindi piuttosto al “per che cosa” esistono le relazionicollettive (34) e al “con quali modalità” esse abbiano da svolgersi.

Peraltro, tale posizione, come si è detto “di rimessa”, ha allafine contribuito alla formazione copiosa di regole atte a disciplinareconcretamente l’esplicarsi dell’autonomia collettiva, creando unvero e proprio corpus normativo strutturato e dotato di una certaorganicità, vincolante per le parti stipulanti seppure solo per talunisettori, con circuiti ad oggi per vero non ancora formalmenteattivati, se si guarda al T.U. per la rappresentanza sindacale delgennaio 2014 (35).

La scelta svolta dalle parti stipulanti gli accordi, oltre ad essereonnicomprensiva, si presenta con i caratteri dell’autosufficienzapropria della regolazione autonoma, cioè non bisognosa di inter-vento legislativo per affermare la valenza dell’efficacia generaliz-zata della contrattazione secondo i meccanismi individuati a livellodi categoria e aziendale: come tale, quindi, idonea a svolgere, nelproprio ambito di applicazione, le funzioni regolative proprie del-l’autonomia collettiva, anche quelle demandate da parte dei rinviilegislativi, come espressamente previsto dall’Accordo del 2011.Non è un caso che nella definizione delle regole, diversamente daquanto invece fu previsto nell’Accordo del Luglio 1993, non sirinvengano nei testi del 2011 e del 2013 richiami ad un interventolegislativo diretto alla « generalizzazione dei contratti collettiviaziendali che siano espressione della maggioranza dei lavoratori »:

(33) M. D’ANTONA, “Chi rappresenta chi”: i debiti della decima legislatura, in LD, 1992,531.

(34) Per una visione in chiave globale del problema v. da ultimo W. DÄUBLER, Larappresentanza degli interessi dei lavoratori al di là della contrattazione collettiva, in LD, 2015,93 ss.; U. ROMAGNOLI, Quando il sindacato non è più agente del cambiamento, in L. ZOPPOLI, A.ZOPPOLI, M. DELFINO (a cura di), Una nuova costituzione per il sistema di relazioni sindacali?,cit., 453 e ss.

(35) Sul tema G. PROIA, Protocollo di intesa e efficacia, in Studi in memoria di MarioGiovanni Garofalo, II, Bari, Cacucci, 2015, 799 e ss.; B. CARUSO, Testo Unico sulla Rappre-sentanza, in WP “Massimo D’Antona”.IT — 227/2014.

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la nuova “costituzione” dell’ordinamento intersindacale non con-templa dunque, sulla matrice della tradizione, alcun interventolegislativo.

Questo ha certamente creato “dall’interno”, almeno negli am-biti di efficacia soggettiva che caratterizzano gli Accordi del trien-nio 2011-2014, le condizioni per un rafforzamento organico deimeccanismi di democrazia sindacale, salvaguardando e consoli-dando i principi di pluralismo e libertà di organizzazione, in unalogica che appare di tipo “inclusivo” (36) e favorevole ad una unitàdi azione sindacale: con l’effetto, sul piano delle fonti, di porre iprodotti dell’autonomia collettiva in una nuova dimensione dia-lettica e funzionale con le disposizioni legislative che ad essa fannorinvio, senz’altro maggiormente attrezzata anche per evitare squi-libri di potere, cioè la prevalenza degli interessi datoriali, specienella sede aziendale.

Allo stesso tempo, però, il processo di definizione delle regoledirette a riconoscere e comporre il dissenso in chiave maggioritaria,si è svolto nella permanenza della struttura tradizionale dellacontrattazione collettiva, composta dalla centrale rappresenta-zione del livello nazionale e confederale, con spazi controllati dalcentro per la contrattazione di secondo livello, dove essa « siesercita per le materie delegate e con le modalità previste dalcontratto nazionale di lavoro di categoria o dalla legge » (37).Ancora una volta cioè si formalizza una struttura articolata dellacontrattazione, costruita su un doppio livello, con raccordi di tipo

(36) V. BAVARO, Sul principio maggioritario nel diritto sindacale, in M. BARBERA e A.PERULLI (a cura di), Consenso, dissenso e rappresentanza: le nuove relazioni industriali,Torino, 2014, 187, il quale tra l’altro segnala come la funzione inclusiva degli accordi è perògarantita dall’adozione del criterio proporzionale, il quale « implica oggettivamente unita-rietà istituzionalizzata della rappresentanza »; G. Ferraro, Sul rinnovato sistema di relazioniindustriali, in ADL, 2014, 3; G. RICCI, Protocollo d’intesa in materia di rappresentanza erappresentatività sindacale del 31 maggio 2013, in FI, 2013, V, 207; AA.VV. Accordo sullarappresentanza e rappresentatività del 31 maggio 2013 tra Confindustria e sindacati, in DRI,2013, 597 seg.

(37) F. CARINCI, Il diritto del lavoro che verrà (in occasione del congedo accademico di unamico), in ADL, 2014, 669. Cfr. la clausola di derogabilità confluita dall’Accordo del 28giugno 2011 nel T.U. del 10 gennaio 2014 su cui P. LAMBERTUCCI, La rappresentanza sindacale,cit., 237; A. MARESCA, Il contratto collettivo nazionale di categoria dopo il protocollo di intesa 31maggio 2013, in RIDL, 2013, I, 707 e ss.

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prevalentemente oggettivo (38), seppure aperta a forme di dero-gabilità “controllata” (39), e risoluzione dei raccordi soggettiviall’interno della nuova disciplina di costituzione delle RSU.

Si tratta dunque di un modello di cui occorre oggi verificareattentamente l’idoneità a svolgere funzioni regolative che, quandoè la legge a prefigurarle, sembrano ormai prescindere dalla gerar-chia o da forme di delega fra livelli contrattuali, almeno nelladeclinazione fornita dall’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, norma sullaquale, giocoforza, si tornerà di qui a poco.

È questo il diritto sindacale — in quella che si potrebbe definireuna sua “nuova tradizionale versione” —, che ha da interfacciarsicon le riforme in atto, già dai loro prodromi, segnati, come è noto,dalla l. n. 92/2012. Di come la Legge Monti-Fornero abbia approc-ciato il ruolo delle relazioni sindacali molto si è detto, a cominciaredalla stessa giustificazione interna dell’intervento legislativo, rin-venibile in una serie di fattori tutti laconicamente riassunti nellepremesse di legge di un « mutato contesto di riferimento » (art. 1, c.1, lett. c) l. n. 92/2012), poi successivamente tradotto vuoi nella ne-cessaria « coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le con-venzioni internazionali », vuoi nelle « attuali esigenze del contestooccupazionale e produttivo » (art. 1, c. 7) (40).

La legge, almeno sul piano nominale e mediatico, apparelargamente debitrice delle istanze/condizioni che, secondo letturepiuttosto condivise, hanno determinato l’occorrenza per il nostrolegislatore di immettere forti dosi di flessibilità in entrata ed inuscita dal mercato del lavoro (in un rapporto inversamente pro-porzionale tra le prime e le seconde, ai fini di reindirizzare ladomanda verso il contratto a tempo indeterminato), con l’avvio diuna applicazione di tutele più estesa ed universale contro la disoc-cupazione; necessità che, nell’intervento del 2012 appaiono assu-

(38) Cfr. T.U. 10 gennaio 2014, parte terza, punto 10 ove si prevede che la contrat-tazione aziendale si esercita « per le materie delegate e con le modalità previste dal contrattocollettivo nazionale di categoria o dalla legge ».

(39) Cfr. T.U. 10 gennaio 2014, parte terza, punto 13, ove si prevede che il contrattoaziendale possa attivare « strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare lacapacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi ».

(40) Su tali elementi di scenario che accompagnano il varo della Legge n. 92/2012 v.F. CARINCI, Alice non abita più qui (a proposito e a sproposito del “nostro” diritto sindacale),in DLRI, 2013, spec. 666 e ss.; M. RUSCIANO, Contrattazione e sindacato nel diritto del lavorodopo la l. 28 giugno 2012 n. 92, cit., 1283 ss.

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mere carattere, oltre che ineludibile, addirittura emergenziale (41),nell’impossibilità politica del Governo di incidere su altre leve dicarattere strutturale e di intraprendere prospettive di riforma cheabbisognavano di ben maggiore consenso sul piano politico.

La riforma del 2012, sebbene “autogiustificata” dalla crisiglobale, cronica e strutturale e dalla caduta di tutti gli indicatorimacro-economici, tale da poter determinare una vera e propriamutazione morfologica dei diritti sociali fondamentali (42), è stataletta sul versante sindacale in linea di continuità rispetto agliinterventi del 2003, ma di profonda rottura, invece, nella prospet-tiva logico-sistematica che vede il sindacato attore importante deifenomeni sociali. Oltre ad una inadeguatezza del quadro normativodi riferimento in materia di autonomia collettiva e democraziasindacale, di per sé idonea a depotenziare o privare di significato lapolitica del diritto che legge il sindacato in una chiave “partecipa-tiva”, di coinvolgimento dei lavoratori nella governance delle im-prese, appare netta la propensione del legislatore, quando si rife-risce all’autonomia collettiva, a « prediligere gli aspetti meno au-tentici o più lontani dalla sua intima natura di spontaneo feno-meno di regolazione sociale » (43).

In questo senso, e rispetto a tali giusti rilievi, credo si possaintravedere un margine positivo di progresso, ancora difficile poter

(41) Si pensi alla riforma strutturale delle pensioni, richiesta dai mercati finanziari edalle Istituzioni europee per riportare il nostro sistema in condizioni di sostenibilitàfinanziaria (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214), coninnalzamento dell’età pensionabile, abolizione delle pensioni di anzianità, generalizzazionedel metodo contributivo. Peraltro essa ha scontato la vicenda degli ex-dipendenti esodatirimasti lontano, per effetto della legge, dai trattamenti di pensione sui quali avevanoconfidato alla cessazione del rapporto: le Confederazioni hanno qui sostenuto con forza unaoperazione di recupero legislativo svoltasi negli anni successivi (cfr. da ultimo art. 1, cc.263-270 della L. n. 608/2015), insieme alla pressione esercitata dai sindacati, in unadimensione prevalentemente territoriale, per una estensione degli ammortizzatori sociali inderoga rispetto ad ambiti e durata di applicazione.

(42) Cfr. A. SPADARO, La crisi, i diritti sociali e le risposte dell’Europa, in B. CARUSO eG. FONTANA (a cura di) Lavoro e diritti sociali nella crisi europea, Bologna, Il Mulino, 2015,28 ove l’A., per poter delimitare, in costanza di crisi, i veri « diritti sociali fondamentali »,promuove il loro collegamento al concetto di « bisogni » (intersoggettivi, stabili nel tempo,meritevoli di tutela costituzionale) riservando invece ai « diritti » il concetto di « desiderio »(contingente, particolare e sempre soggettivo).

(43) M. RUSCIANO, Contrattazione e sindacato nel diritto del lavoro dopo la l. 28 giugno2012 n. 92, cit., 1296.

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dire quanto significativo, tra la riforma del 2012 e quella delbiennio 2014-2015, senz’altro ancora caratterizzata, quest’ultima,dai condizionamenti europei ed internazionali e quindi da unaormai stabile « cessione di sovranità nazionale » anche nelle politi-che del lavoro, la quale ha l’effetto di condizionare i contenutiregolativi sia della fonte eteronoma che dell’autonomia collet-tiva (44), non più libere, nella rispettiva dimensione, di esprimerefinalità frutto di sintesi politica e/o sindacale (45).

Il riallineamento ai parametri europei, orientato alla crescita,all’attrazione degli investimenti ed alla riduzione del debito in unaprospettiva di medio lungo termine (46), ha ora consentito alGoverno l’adozione in diversi settori di riforme di tipo struttu-rale (47) che, al di là degli esiti, ancora da valutare nella loroportata, soprattutto in termini di crescita occupazionale stabile, dimiglioramento della tutela del lavoratore sul mercato del lavoro,nonché di efficientamento delle nostre imprese sui mercati inter-nazionali, impongono necessariamente una nuova considerazionedel fenomeno sindacale.

A tal proposito diversi sono stati i rilievi mossi nei confrontidegli interventi di riforma del Governo Renzi, dal d.l. n. 34/2014alla Legge delega n. 183/2014 e fino ai successivi decreti attua-tivi (48), spesso con connotazioni negative sul piano del rapportolegge/autonomia collettiva, sì da rilevare come gli spazi concessialla seconda dalla prima siano nettamente ridimensionati (49).

(44) F. GUARRIELLO, Crisi economica, contrattazione collettiva e ruolo della legge, inDLRI, 2016, 3 ss.

(45) F. CARINCI, Alice non abita più qui, cit.; D. GOTTARDI, Riforme strutturali eprospettiva europea di flexecurity: andata e ritorno, in LD, 2015, 239 e ss.; A. PIZZOFERRATO,L’Autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro, in DLRI, 2015, spec. 419 e ss.

(46) L. ZOPPOLI, La flexecurity dell’Unione europea: appunti per la riforma del mercatodel lavoro in Italia, in WP “Massimo D’Antona” .IT — 141/2012; T. TREU, Flessibilità e tutelenella riforma del lavoro, in WP “Massimo D’Antona”.IT — 155/2012.

(47) Si pensi alla citata riforma costituzionale ed alla nuova distribuzione di compe-tenze tra Stato e regioni; ovvero alla riforma scolastica ed a quella in itinere in materiafiscale.

(48) Per un’ultima recente ricostruzione v. M. RICCI, Le politiche del lavoro del GovernoRenzi, in ADL, 2016, 234 e ss.

(49) Si è infatti rimarcata, nella formazione della legge di delega, così come nellagenericità delle sue indicazioni, da un lato la mancanza di qualunque forma diconcertazione/dialogo con le parti sociali (A. ZOPPOLI, Jobs Act e formante sindacale: qualeruolo per la contrattazione collettiva?, in M. RUSCIANO e L. ZOPPOLI (a cura di), Jobs Act e

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Diversamente poi da quanto riscontrato nella delega del 2003,nella legge n. 183 del 2014, si rinvengono effettivamente pochiriferimenti all’autonomia negoziale (contrattazione collettiva).Solo in pochi casi — mansioni, flessibilità d’orario e impiego dipremi di produttività nella conciliazione fra esigenze di famiglia elavoro, fondi bilaterali di solidarietà e contratti di solidarietà (50)— la legge rinvia alla contrattazione (51) o comunque alle partisociali — nell’introduzione del compenso orario minimo nel lavorosubordinato e nelle collaborazioni (fino alla loro vigenza) (52).Maggiori sono invece i rinvii presenti nei decreti legislativi che,proprio su tali temi, sono andati a definire le nuove regole (53):d.lgs. 80 del 2015; d.lgs. 81 del 2015 (qui con una presenza moltopiù significativa rispetto agli altri decreti attuativi), d.lgs. 151 del2015.

Sul piano delle fonti è dunque innegabile che questo sviluppoabbia determinato, nel processo normativo che va dal d.l. n.34/2014 alla Legge di stabilità per il 2016 (l. 28 dicembre 2015, n.208) un più ampio e sistematico insieme di rinvii alla contratta-zione collettiva e, più in generale, una rinnovata considerazione delruolo delle relazioni collettive nel mercato del lavoro (54), i quali,a mio parere, meritano di essere considerati in termini di opportu-

contratti di lavoro dopo la legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, in WP “Massimo D’Anto-na” — Collective Volumes, 3/2014, 25; F. CARINCI, Jobs Act, atto II: la legge delega sul mercatodel lavoro, in F. CARINCI e M. TIRABOSCHI (a cura di), I decreti attuativi del Jobs Act: primalettura e interpretazioni, ALS, 2015, 37, 1 e ss.); dall’altro la limitatezza e vaghezza dei rinviiall’autonomia collettiva contenuti nei primi provvedimenti attuativi (A. LASSANDARI, Lariforma del Governo Renzi ed il sistema di relazioni sindacali, in QG, 2015, 3, 49; L. Scarano,Legge e autonomia collettiva ai tempi del Jobs Act, in GHERA e D. GAROFALO (a cura di) Contrattidi lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act2, Bari, Cacucci, 2015, 96;RECCHIA, Il ruolo dell’autonomia collettiva, ivi, 117 ss.

(50) Istituti sui quali v. infra sub §. 6.(51) Sul tema già A. TURSI, Jobs Act, cambio di rotta nella contrattazione collettiva?, in

Crowe Horwath, Quotidiano Ipsoa 27 giugno 2015.(52) Art. 1, comma 7, lett.g).(53) Concordano sul punto A. TURSI, Jobs Act, cambio di rotta nella contrattazione

collettiva?, cit.; P. TOMASSETTI, Riordino delle tipologie contrattuali e contrattazione collettiva, inM. TIRABOSCHI (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs act, cit., 342 ss; M. FALSONE,I rinvii alla contrattazione collettiva nel d.lgs. 81/2015, in DRI, 4/2016.

(54) Probabilmente il giudizio può essere oggi più compiutamente formulato ap-punto nella stabilizzazione progressiva del processo di attuazione della delega di cui alla l.n. 183/2014.

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nità, specie nella prospettiva di una più stabile e regolata interlo-cuzione fra fonte legale e fonte contrattuale.

Rispetto ai momenti di forte ridimensionamento e finalizza-zione che hanno caratterizzato il rapporto tra legge e contrattocollettivo nelle ultime stagioni di riforma — solo in parte giustifi-cati dalla citata esigenza del legislatore di intervenire sulle leve digoverno dell’economia senza mediazioni da parte di corpi inter-medi dirette a temperare, o rendere anche solo più graduale l’in-tervento eteronomo —, a me pare si siano infatti create talunecondizioni dirette, in potenza, a riequilibrare il rapporto tra le fontinella nuova ed ultima stagione delle riforme.

Si è rilevato come esistano solidi “anticorpi”, nel nostro si-stema, atti a contrastare una qual sorta di brutale semplificazionedella regolazione dei rapporti di lavoro da parte delle fonti lavori-stiche (legge e contratto collettivo), sempre più attratte, rischiandodi venirne poi assorbite, verso una dimensione squilibrata, domi-nata dai rapporti di forza economico-contrattuali, unicamentefunzionale all’efficienza delle organizzazioni (55) e scarsamentesensibile alle ricadute sociali del cambiamento: anticorpi tra i qualiemerge, fra altro, nei principali Paesi europei, una generale buonatenuta della copertura dei lavoratori da parte dei contratti collet-tivi ed un tasso di sindacalizzazione generalmente compreso nellenon drammatiche percentuali del 20/30% (56).

(55) L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il Jobs Act), cit., 12 ss., che, in modo condivisibile,identifica tali “anticorpi” nella resistenza delle politiche nazionali verso sistemi di eterodi-rezione svolti da parte delle Istituzioni dell’Unione solo con politiche e tecniche di soft law;nei tempi lunghi di una riforma costituzionale che, pur determinata ad attrarre verso ilcentro politico e governativo il potere legislativo, sottraendolo alla Regioni, dovrà scontareil vaglio referendario e assetti costituzionali attenti alla leale collaborazione tra Stato elivelli intermedi di governance; la necessaria sopravvivenza, in un’economia di prevalentepiccola e media impresa, di forme di regolazione collettiva accorpate nei contratti nazionali,deterrente verso una eccessiva frammentazione aziendalistica delle regolamentazioni legalie contrattuali.

(56) Alle fonti più recenti citate da L. Zoppoli nel saggio di cui alla nota che precede(J. Visser, S. Hayler, R. Gammarano, Trends in collective bargaining coverage: stability,erosion or decline?, Issue Brief n. 1, ILO, 2015, 1 ss.), si può aggiungere, per l’Italia, l’esitodi sintesi (a cura di P. Pellegrini) dei dati Istat 2014 sulla contrattazione, rappresentanza esindacalizzazione su campione relativo a imprese con più di 10 dipendenti in settori pubblicie privati con esclusione dell’agricoltura e della Pubblica Amministrazione in senso stretto,rinvenibile in www.ildiariodellavoro.it/adon.pl?act=doc&doc=54780#.V1Xmd_mLSUk, dallaquale emerge un tasso medio di iscrizione al sindacato del 31,6%, con una variazione in base

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Una prima condizione riguarda la definizione strutturata dellenuove regole sindacali, esito del descritto recente processo norma-tivo adottato dall’ordinamento sindacale, il quale, al di là degliadattamenti che si renderanno necessari nella implementazione dinorme e procedure, anche nel necessario filtro interpretativo dellagiurisprudenza del lavoro, alimenta senz’altro un rilancio del sin-dacato quale attore primario del sistema. Se è vero che la tenutadella costruzione del sistema sindacale del triennio 2011-2014dipenderà dalla condizione di permanenza dell’unità tra Confede-razioni che l’ha resa possibile (57), non pare dubbio che il legisla-tore del Jobs Act, diversamente da quelli che lo hanno preceduto,non ha potuto evitare il confronto con un ordinamento sindacaleche ha risolto problemi cruciali di rappresentatività ed efficacia deicontratti collettivi a livello nazionale e aziendale, rendendo dun-que maggiormente affidabile e garantito il rapporto con la fontenegoziale, almeno in alcuni fondamentali settori della nostra eco-nomia.

In questo senso può essere spiegata la densità quantitativa esoprattutto qualitativa dei rinvii legali alla contrattazione collet-tiva che si andranno oltre brevemente ad analizzare: se è vero chel’estensione quantitativa della tecnica dei rimandi non semprecorrisponde ad un ampliamento di sostanza e di qualità degli spazidi regolazione demandati alla contrattazione collettiva (58), sem-bra consolidarsi il dato per cui il legislatore trova nella stagione deldiritto sindacale riformato un collante utile a ritenere l’autonomiacollettiva parte integrante nell’attuazione delle riforme; e non solo,come si dirà, nella tradizionale matrice derogatoria o integrativa

ai settori: si va dal 18, 8% del commercio al 55,5% delle attività finanziarie. Secondo daticombinati di ISTAT, INPS e Federmeccanica (in www.federmeccanica.it/images/files/indu-stria-metalmeccanica-in-cifre-giugno-2015.pdf) il tasso di sindacalizzazione nel settore me-talmeccanico italiano è comunque in significativo calo, dal 39,1% del 1995 al 32,8% del2011.

(57) Alla quale naturalmente va aggiunta la disponibilità delle altre organizzazionisindacali a condividere le regole già determinate senza la loro partecipazione attiva alprocesso di codificazione degli accordi: sul punto v. F. CARINCI, Alice non abita più qui, cit.,683 e M. RUSCIANO, Lettura e rilettura dell’art. 39 della Costituzione, in DLM, 2013, 2, 263 e ss.Solleva seri dubbi sulla tenuta in chiave unitaria delle regole del T.U., M. MARAZZA, Dalla“autoregolamentazione” alla “legge sindacale”? La questione dell’ambito di misurazione dellarappresentatività sindacale, in ADL, 2014, 611-612.

(58) P. TULLINI, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, cit., 156.

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rispetto alle garanzie di legge che ha caratterizzato anche il recen-tissimo passato del rapporto fra fonte autonoma ed eteronoma infunzione prevalentemente “aziendale”. Inoltre, come si dirà, pro-prio l’esistenza degli accordi realizzati in sede confederale puòfornire matrice di lettura applicativa dei rinvii di legge alla con-trattazione, anzitutto nella norma di carattere definitorio e gene-rale dell’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015.

A me pare dunque dato obiettivo quello di un ruolo regolativodi primo piano consegnato in capo alle relazioni collettive inattuazione della delega fornita dalla legge n. 183/2014 (59), benconsapevole il legislatore della definizione di un quadro normativodi riferimento in materia di autonomia collettiva e rappresentati-vità sindacale che favorisce/garantisce una maggiore tenuta estabilità delle regole prodotte in sede sindacale, a tutti i livelli, edanche su rimando della legge.

La seconda condizione è quella di un consolidamento del ruolodel sindacato e della funzione della contrattazione collettiva nellapiù recente lettura del fenomeno svolta da parte della Cortecostituzionale, la quale ha contribuito e contribuisce a comporre ilquadro delle “nuove” relazioni collettive cui si rapporta il “nuovo”diritto del lavoro.

Da un lato, la Corte ha riconosciuto la impossibilità di regolareper legge le forme di relazione sindacale in azienda senza conside-rare la effettiva rappresentanza dei lavoratori e quindi, in defini-tiva, la effettiva forza e genuinità della rappresentanza sindacale(Corte cost. n. 231/2013) (60), con chiari segnali di riconoscimentoper il sistema sindacale di fatto e dei rapporti di forza in essosviluppati, pure a fronte del dato formale della lettera dell’art. 19Stat. nella sua versione post-referendaria; dall’altro lato, con lasentenza n. 178/2015, resa con riguardo al settore pubblico, laCorte ha ritenuto il blocco diuturno della contrattazione collettiva,dettato da permanenti ragioni finanziare, lesivo di fondamentaliprincipi costituzionali di libertà sindacale.

Con l’affermare, nel solco di una lettura consolidata nellagiurisprudenza costituzionale, che « in una costante dialettica conla legge, chiamata nel volgere degli anni a disciplinare aspetti

(59) U. GARGIULO, L’Azienda come luogo “preferenziale” delle relazioni sindacali?, inLD, 3, 2016.

(60) Si rinvia agli AA. citati alla precedente nota 32.

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sempre più puntuali (art. 40, comma 1, secondo e terzo periodo, deld.lgs. n. 165 del 2001), il contratto collettivo contempera in ma-niera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti econcorre a dare concreta attuazione al principio di proporzionalitàdella retribuzione, ponendosi, per un verso, come strumento digaranzia della parità di trattamento dei lavoratori (art. 45, comma2, del d.lgs. n. 165 del 2001) e, per altro verso, come fattorepropulsivo della produttività e del merito (art. 45, comma 3, deld.lgs. 165 del 2001) » e che « il contratto collettivo che disciplina illavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni si ispira,proprio per queste peculiari caratteristiche che ne garantisconol’efficacia soggettiva generalizzata, ai doveri di solidarietà fondatisull’art. 2 Cost. Tali elementi danno conto sia delle molteplicifunzioni che, nel lavoro pubblico, la contrattazione collettiva rive-ste, coinvolgendo una complessa trama di valori costituzionali(artt. 2, 3, 36, 39 e 97 Cost.), in un quadro di tutele che si è vistoessere presidiato anche da numerose fonti sovranazionali, sia delledisarmonie e delle criticità, che una protratta sospensione delladinamica negoziale rischia di produrre »; con l’affermare ciò, benlungi dall’occuparsi solo di una questione settoriale e contingente— ché è nota la origine e matrice privatistica del contratto collet-tivo del settore pubblico, tale da rendere senz’altro esportabiliprincipi che lo riguardano —, la Corte invia chiari segnali disistema, che non possono essere ignorati anche per il fenomenodell’autonomia collettiva del settore privato. Guardando ai valoriespressi ed al collegamento tra gli artt. 39 e 36 Cost., secondo laCorte il contratto collettivo può essere assoggettato a limiti legaliin virtù del bilanciamento con interessi generali (61), ma maistrutturalmente e permanentemente inibito nella sua funzioneregolatrice dei trattamenti economici fondamentali, ma anche diquelli accessori legati a produttività e merito, in guisa per cui« rimossi per il futuro i limiti che si frappongono allo svolgimentodelle procedure negoziali riguardanti la parte economica », il legi-slatore “deve” dare impulso alla dialettica contrattuale « scegliendoi modi e le forme che meglio ne rispecchino la natura, disgiunta daogni vincolo di risultato ».

(61) Quali potrebbero essere indicatori macro e micro economici o vincoli finanziaridi matrice europea.

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Se da tali pronunce non è forse possibile derivare un vincolocostituzionale per il legislatore verso la considerazione necessariadel sindacato e della contrattazione collettiva nella produzione diregole per il mercato del lavoro (62), certamente si esprime unarinnovata e ampia considerazione per il fenomeno sindacale e per lesue dinamiche (63), le quali devono potersi svolgere, negli spazi diimpulso individuati dal legislatore, secondo i principi di libertà checaratterizzano il nostro ordinamento.

3. La direzione del legislatore. Relazioni collettive di azienda edecentramento contrattuale.

In questo quadro, con l’attuazione delle deleghe legislative, edin particolare a partire dal “T.U. dei contratti di lavoro” contenutonel d.lgs. n. 81/2015, il legislatore porta a compimento un disegnodi promozione del decentramento del nostro sistema contrattuale,peraltro già ampiamente annunciato, nella stagione di riformeappena precedente, con l’art. 8 della l. n. 148/2011 sulla contrat-tazione di prossimità, con le norme in materia di agevolazionefiscale e contributiva per i trattamenti salariali contrattati inazienda (art. 1, cc. 481 e ss. l. n. 228/2012, ma v. già art. 1, cc. 67ss. l. n. 247/2007) e con altre disposizioni già rinvenibili nelladisciplina dei contratti atipici (es. deroghe in materia di contrattia termine nella l. n. 92/2012).

Il trend, che ha come immediata conseguenza quella di unaspiccata “aziendalizzazione” del ruolo sindacale e delle relazioni

(62) Cfr. M. DELFINO, Legge e contrattazione collettiva sui minimi salariali nel prismadei principi costituzionali, paper presentato al Convegno di studi internazionale “La con-trattazione collettiva nello spazio economico globale”, Bologna, 19-20 febbraio 2016, il quale,opportunamente distinguendo tra blocco della retribuzione per i dipendenti pubblici eblocco della contrattazione prorogata per legge (la quale sola viene dichiarata incostituzio-nale), considera le parole della Corte come indicazione non favorevole verso la previsione(quella della delega, ormai scaduta, della L. n. 183/2014) di un salario minimo previsto perlegge (sulla quale v. E. MENEGATTI, La delega sul salario minimo (art. 1, comma 7, lett. g, leggen. 183/2014): verso una riforma ad “impatto zero”, in GI, 2015, 3, 743-749).

(63) Del resto in linea di continuità con la giurisprudenza della corte costituzionalecirca il rapporto tra legge e contratto collettivo del settore privato: cfr. Corte cost. n.34/1985 ed ivi ampi richiami alla giurisprudenza costituzionale precedente. V. anche sulpunto G. CENTAMORE, Legge e autonomia collettiva: una critica alla teoria dell’inderogabilitàunilaterale, in LD, 2015, 510-511.

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collettive, è fenomeno conosciuto e indicato da tempo, nellascienza economica e delle relazioni industriali, come percorso utilead affrontare la nuova dimensione globale dei mercati in termini diflessibilizzazione delle politiche retributive e dell’organizzazionedel lavoro (64), assumendo carattere centrale nel dibattito lavori-stico da parte delle istituzioni europee, dei legislatori nazionali,della giurisprudenza (65). Negli ultimi anni il decentramento con-trattuale e le sue conseguenze sul sistema delle relazioni collettivesi sono poi fortemente collegati a politiche anti-crisi e ad iniziative,di matrice prevalentemente legislativa, atte a trasferire sul livellodecentrato aziendale l’attuazione di misure derogatorie, appuntoin chiave di flessibilità.

Nondimeno i temi della contrattazione decentrata e delle suepotenzialità di sviluppo, hanno impegnato da tempo l’ordinamentointersindacale (66), con una riflessione che, sin dall’Accordo inter-confederale del 23 luglio 1993, si è in particolare concentrata sullaripartizione di competenze tra contratto nazionale e contrattodecentrato, con netta impronta per la centralità del primo e lafunzione integrativa su intervento delegato del secondo (67). Comedetto, tale ruolo di regolamentazione decentrata è stato ribaditodall’Accordo interconfederale del 2011, peraltro senza modificadella matrice delegata, in chiave di centralizzazione della strutturacontrattuale, dell’intervento del contratto aziendale sulle materiead esso riservate e dunque ancora una volta in funzione stretta-mente integrativa rispetto al CCNL.

(64) Cfr. L. KATZ, The Decentralization of Collective Bargaining: A Literature Reviewand Comparative Analysis, in Industrial and Labor Relations Review, 1993, 47, 1, 3 e ss.; BSHEARER, Piece Rates, Fixed Wages and Incentives: Evidence from a Field Experiment, inReview of Economic Studies, 2004, 71, 513 e ss.; C. DELL’ARINGA e L. PAGANI, CollectiveBargaining and Wage Dispersion in Europe, in British Journal of Industrial Relations, 2007,45, 29 e ss.; G. P. CELLA, Produttività e Relazioni industriali, in DLRI, 2013, v. 138, 285 ss.

(65) Cfr. S. SCIARRA, L’evoluzione della contrattazione collettiva. Appunti per unacomparazione nei paesi dell’Unione europea, in RIDL, 2006, IV, 447 ss.; P. TOSI, Gli assetticontrattuali tra tradizione e innovazione, in ADL, 2013, 506 ss.; F. LUNARDON, Le relazionicollettive, in F. CARINCI e A. PIZZOFERRATO (a cura di), Diritto del lavoro dell’Unione Europea,Torino, 2015, 365 e ss.

(66) V. già M. GRANDI, L’attività sindacale nell’impresa, Milano, 1976 e ID., Accordo del31 luglio 1992 e contrattazione aziendale, in DLRI, 1993, 213 ss.

(67) Cfr. Commissione Giugni per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993,Relazione finale, in www.certificazione.unimore.it, punto n. 23, che già autorevolmenteforniva questa indicazione.

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Le ricerche empiriche dimostrano, da un lato, come la contrat-tazione aziendale, a volte per volontà stessa del contratto di primolivello, goda di notevole dinamismo rispetto al contratto nazionaledi categoria, con valorizzazione della specializzazione della disci-plina normativa sull’organizzazione aziendale realizzata al secondolivello, mediante salvaguardia (da parte del CCNL) della “normaspeciale aziendale” (68): a sostanziale conferma, quindi, di una vi-vacità della contrattazione aziendale, ma garantita e salvaguardatadal centro della struttura contrattuale. Dall’altro lato, le indaginipiù recenti rivolte alla percezione datoriale del fenomeno nel settoreindustriale, dimostrano un costante tasso di insoddisfazione per gliassetti contrattuali attuali (1 impresa su3nel settore industriale, conpercentuale che sale al 44%delle imprese che applicanouncontrattoaziendale), nonostante l’intervento degli accordi interconfederalidel periodo 2011-13, ma anche una progressiva riduzione dell’inte-resse verso forme di deroga indotte in via eteronoma da parte dellegislatore (quelle ex art. 8 l. 148/2011), lamentandosi, per il 70% delcampione, problemi legati all’incertezza normativa ed una esposi-zione delle politiche contrattuali ad una eccessiva frammenta-zione (69). I dati rivelano anche una decisa posizione datoriale pro-pensa verso concessioni sul piano della garanzia occupazionale e de-gli incrementi retributivi, in cambio di maggiore flessibilità oraria esulle mansioni, realizzata attraverso accordi.

A fronte quindi di una diffusa e riconosciuta vitalità dellacontrattazione decentrata e aziendale, sul piano legislativo laconsiderazione di tali assetti ha seguito traiettorie diverse nei variordinamenti (70). Tuttavia, quando l’intervento eteronomo si è

(68) Cfr. V. BAVARO, Contrattazione aziendale e produttività (a proposito di un’indaginecasistica), in Economia & Lavoro, 2014, 118-119, il quale rileva come la salvaguardia a volteavvenga solo con riguardo alle clausole più favorevoli (ad esempio in caso di disdetta delcontratto aziendale per scadenza del CCNL); a volte, con clausole espresse, con riguardo amaterie interamente delegate al livello aziendale; a volte l’esito della contrattazione azien-dale viene fatto salvo dal CCNL senza ulteriori requisiti o specificazioni.

(69) Cfr. F. D’AMURI e C. GIORGIANTONIO, Stato dell’arte e prospettive della contrattazioneaziendale in Italia, in DRI, 2015, 309-310 ed ivi i risultati dell’indagine.

(70) In generale v. M. KEUNE, Clausole di deroga sui salari nei contratti collettivisettoriali di sette paesi europei, in Eurofound, 2011, EF/10/87/IT. Per l’esperienza francese,da ultimo, v. E. PESKINE, Il contratto collettivo aziendale al centro del riordino del sistema dellefonti in Francia, in DLRI, 2015, 146, 315 e ss.; F. MINOLFI, Come cambia il sistema francesedi relazioni industriali: prosepttive e prerogative della contrattazione aziendale, in DLM, 2015,

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mosso al di fuori delle dinamiche dell’ordinamento sindacale,come, per la legislazione italiana, con l’art. 8 della l. n. 148/2011 (71), si è potuta immediatamente rilevare la speciale“asprezza” nei tempi e modi di attuazione e l’ampiezza dellapotestà derogatoria rilasciata alla contrattazione di prossi-mità (72), tale da poter concretamente destrutturare il diritto dellavoro in chiave di deregolazione (73), in una direzione opposta daquella delineata dagli accordi confederali del 2011-2014 (74) e dallepratiche della contrattazione aziendale in essere (75).

In particolare, non potendomi qui soffermare con la dovutacompletezza di informazione su contenuti, profili e criticità del-l’art. 8, se non per quanto funzionale alla lettura del più recenteintervento di riforma, si può però dire che la norma abbia cataliz-zato un confronto vivace pressoché su ogni “questione” aperta deldiritto sindacale: dal più generale tema dell’inderogabilità dellanorma di tutela nel rapporto del contratto di prossimità con ilcontratto nazionale e con la legge (76); alla questione dell’indivi-duazione dei soggetti abilitati alla stipula degli accordi di prossi-mità immediatamente proiettata sull’efficacia generalizzata degli

89 e ss.; per quella spagnola A. BYLOS GRAU (a cura di), Politicas de austeridad y crisis en lasrelaciones laborales: la reforma del 2012, Albacete, Bomarzo, 2013; A. MERINO SEGOVIA, Lareforma de la negociación colectiva en el Real Decreto-Ley 3/2012, Revista de Derecho Social,2012, n. 57, pp. 260 ss.; per il sistema tedesco T. TREU, Le deroghe contrattuali nel modellotedesco, in DRI, 2011, 328.

(71) I cui precedenti possono rinvenirsi nell’impulso dato alla contrattazione azien-dale e territoriale in materia di flessibilità contrattuali da parte della riforma del 2003: cfr.C. ZOLI, Le recenti riforme del diritto del lavoro tra continuità e discontinuità, in L. MARIUCCI (acura di), Dopo la flessibilità, cosa? Bologna, Il Mulino, 2006, 408; A. ZOPPOLI, Il declinodell’inderogabilità, in DLM, 2013, I, 53 e ss.

(72) L. RATTI, Limiti sovranazionali all’efficacia derogatoria della contrattazione collet-tiva di prossimità, in LD, 2014, 124.

(73) A. PERULLI, La contrattazione collettiva « di prossimità »: teoria, comparazione eprassi, in RIDL, I, 919.

(74) A. LASSANDARI, Dopo l’accordo del 28 giugno 2011 (e l’art. 8 della l. n. 148):incertezze, contraddizioni, fragilità, in LD, 55.

(75) Per un monitoraggio sulla contrattazione di prossimità ex art. 8 v. L. IMBERTI, Aproposito dell’articolo 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno ma non si dicono, in DLRI,2013, 255 ss. e A. MATTEI, Il grado di evoluzione della c.d contrattazione di prossimità a partiredall’Osservatorio trentino su diritti sociali del lavoro, in M. BARBERA e A. PERULLI (a cura di),Consenso, dissenso e rappresentanza: le nuove relazioni sindacali, 2014, 77 ss.

(76) M. NAPOLI, Osservazioni sul sostegno legislativo alla contrattazione aziendale, inDLRI, 2012, 453 ss.

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accordi e sull’adozione del criterio maggioritario (77); sulla va-ghezza dei presupposti/obiettivo alla realizzazione degli accordi diprossimità (78), anche in termini di vincolo alla libertà contrat-tuale; sull’ampiezza, pur se apparentemente tassativa, delle mate-rie oggetto di contrattazione in deroga (79); e, non ultima, lacaratterizzazione e la effettiva portata dei limiti costituzionali esovranazionali ai contenuti della deroga di prossimità (80).

È noto, poi, che l’intervento della Corte costituzionale, resosulla norma dell’art. 8 con la sentenza del 4 ottobre 2012, n.221 (81) non ha sciolto i numerosi profili di illegittimità costituzio-nale sollevati con riguardo alla tecnica legislativa di promozionedella contrattazione di prossimità, giungendo però alla significa-tiva conclusione, di evidente valore sistemico, circa la “ecceziona-lità” dello strumento negoziale così come concepito dall’art. 8 dellal. n. 148/2011 (82): del resto, la legislazione successiva, a partire

(77) V. F. SANTONI, Contrattazione collettiva e principio di maggioranza, in RIDL, 2013,I, 91.

(78) Cfr. F. CARINCI (a cura di), Contrattazione in deroga. Accordo interconfederale del28 giugno 2011 e art. 8 del d.l. 138/2011, Leggi e Lavoro, Ipsoa, 2012; F. LISO, Osservazionisull’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e sulla legge in materia di « contrattazionecollettiva di prossimità », in WP “Massimo D’Antona”.IT — 157/2012; A. GARILLI, L’art. 8della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni sindacali, in WP “Massimo D’Antona” .IT- 139/2012; A. PERULLI e V. SPEZIALE, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la“rivoluzione di Agosto” del Diritto del lavoro, in WP “Massimo D’Antona” .IT — 132/2011;T. TREU, L’art. 8 d.l. n. 138/2011 (l. n. 148/2011), in Treccani, Libro dell’anno del diritto,Istituto della enciclopedia italiana, 2012; M. TIRABOSCHI, L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Marco Biagi, in DRI, 2012, 1;R. DEL PUNTA, Cronache da una transizione confusa (su art. 8, l. n. 148/2011, e dintorni), inLD, 1, 2012; M. MARAZZA, La contrattazione di prossimità nell’articolo 8 della manovra 2011:i primi passi della dottrina giuslavoristica, in DRI, 2012, 1.

(79) Cfr. A. GARILLI, Finalizzazione e oggetto degli accordi di prossimità, in RGL, 2012,I, 486.

(80) V. E. GHERA, L’articolo 39 della Costituzione e il contratto collettivo, in L. ZOPPOLI,A. ZOPPOLI e M. DELFINO (a cura di), Una nuova costituzione per il sistema di relazionisindacali, cit., spec. 477 ss.

(81) A seguito di questioni di legittimità sollevate dalla Regione Toscana ai sensidegli art. 39, 117, e 118 Cost. e per violazione del principio di leale collaborazione: cfr. A.BOLLANI, Contrattazione di prossimità e limiti costituzionali in ADL, 2012, 1219 e ss. e M.MISCIONE, In difesa dei “contratti di prossimità”, di competenza esclusiva dello Stato, in LG,2012, 1166 e ss.

(82) La giurisprudenza conferma l’eccezionalità della norma dell’art. 8, sottoli-neando la tassatività delle materie rispetto alle quali opera l’effetto derogatorio: da ultimoTrib. Milano, 18 febbraio 2016 sulla linea di quanto già espresso da Trib. Milano, 30 luglio

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dalla Legge Monti-Fornero n. 92/2012, quando ha dovuto indivi-duare livello e modalità della contrattazione aziendale in deroga,non ha richiamato il modello dell’art. 8, ma ha invece procedutoautonomamente, negando quindi da subito valenza generale estrutturale alla disposizione di cui si tratta.

Di certo, con riguardo al tema dell’impatto sugli assetti deldiritto sindacale, e quindi anzitutto in relazione all’art. 39, comma1 Cost. ed al principio di libertà di organizzazione sindacale, ilpotenziamento indiscriminato della contrattazione aziendale inderoga, in chiave prevalentemente ablativa e svincolata da formedi controllo/raccordo, oggettivo e soggettivo, con il contratto col-lettivo nazionale, riduce sensibilmente gli spazi di agibilità delprimo livello di contrattazione ed il relativo impianto solidaristicogenerale che gli è proprio, privilegiando, invece, la libera estrinse-cazione dei rapporti di forza esistenti in azienda, con tendenzialecompressione dei margini di manovra delle rappresentanze sinda-cali (83).

L’approccio del Jobs Act alla questione, si colloca senz’altro,come si dirà, in linea di continuità rispetto alla promossa tendenzaalla parificazione dei livelli contrattuali e dunque alla altrettantotendenziale fungibilità di fatto della contrattazione di « prossi-mità » rispetto a quella nazionale; a segno, quindi, di una dichia-rata (e rinnovata) attenzione del legislatore verso le esigenzeaziendali, nei termini di un incremento delle occasioni/situazioni,nonché degli strumenti, attraverso i quali l’impresa, rispetto aduna serie ampia di istituti, può trovarsi in grado di dettare da sé leproprie regole (84), seppure con la mediazione dell’accordo sinda-cale.

Tuttavia, memori degli immediati precedenti, l’esito comples-sivo di attuazione delle deleghe della l. n. 183/2014 presenta a mio

2014. Per una considerazione rigorosa dei presupposti in base ai quali può operare la derogacfr. Trib. Matera, ordinanza 25 marzo 2015.

(83) C. ROMEO, Il processo di “aziendalizzazione” della contrattazione collettiva: traprossimità e crisi di rappresentatività sindacale, in ADL, 2014, 4/5; M. MISCIONE, Regole certesu rappresentanze sindacali e contrattazione collettiva con l’Accordo Interconfederale del 28giugno 2011, in LG, 2011, 7, 653 e ss.

(84) Così U. GARGIULO, L’azienda come luogo “preferenziale” delle relazioni sindacali?,cit.; v. anche M. RANIERI, L’art. 8 della legge n. 148/2011 e le tendenze evolutive del diritto dellavoro, in M. RANIERI (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro tra ordinamento sovranazionalee ordinamento interni, Giappichelli, Torino, 2015, 84-85.

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parere elementi di discontinuità, nel metodo e nella tecnica rego-lativa, che meritano di essere considerati: da un lato, come detto,in una logica di diverso coinvolgimento delle parti sociali nellaregolamentazione del mercato del lavoro; dall’altro, per il tenta-tivo di sistematizzare, in prospettiva più ampia e meno contin-gente, ciò che ormai deve essere considerato, come detto, passaggioineludibile (anche) per le nostre relazioni sindacali, sempre piùattratte verso il polo regolativo dell’impresa e del decentramentocontrattuale (85). Si tratta quindi dell’avvio di un percorso piùstrutturato di sostegno legislativo alla contrattazione di prossi-mità, necessariamente attento ai passaggi che hanno ridisegnatotra il 2011 ed il 2014 il nostro sistema di relazioni industriali, pernon adulterarlo rispetto alla valenza del contratto di settore (86),ma anche alla attuale vulnerabilità della dimensione aziendaledella regolazione, specie se rilasciata ad una incontrollata ricerca diregole funzionali esclusivamente agli interessi economici perse-guiti (87), di cui il caso FIAT, ma ora anche il contratto FCA, sonoevidenti proiezioni (88).

L’intervento del legislatore si qualifica infatti, in primo luogo,per la significativa (maggiore) ampiezza dei rimandi alla contrat-tazione collettiva (89), solo in parte a quella di prossimità, i quali,

(85) Può essere interessante richiamare i dati relativi al tasso di coordinamento deisistemi di contrattazione collettiva, cioè del livello a cui principalmente avviene la contrat-tazione collettiva, che evidenziano uno spostamento significativo verso il livello aziendale inquasi tutti i paesi europei (anche di quelli con tradizione più accentrata): cfr. C. CROUCH, Ildeclino delle relazioni industriali nell’odierno capitalismo, in Stato e mercato, 2012, 55 ss.

(86) Sulla cui esigenza, in una visione non contraria alla valorizzazione del contrattoaziendale, richiamava l’attenzione, già prima del caso FIAT, G. FERRARO, La riforma delsistema contrattuale, in RIDL, 2008, I, 48.

(87) F. CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale, in ADL, 2011, 6, 1137; per laquestione osservata con riguardo alle grandi imprese transnazionali v. A. PERULLI, Deloca-lizzazione produttiva e relazioni industriali nella globalizzazione. Note a margine del caso Fiat,in LD, 2011, 2, 20 e ss.

(88) Nel senso di una responsabilità del sindacato nel valutare la bontà dei pianiindustriali e quindi circa la necessaria distinzione tra innovazione “buona” e innovazione“cattiva” v. P. ICHINO, Contrattazione: le quattro ragioni per una svolta, in www.pietroichino.itdell’11 aprile 2016.

(89) Tecnica peraltro non nuova nell’ambito degli interventi legislativi e non solo inmateria di flessibilità contrattuali, con estensione anche alla disciplina interna del rapportodi lavoro subordinato: a solo titolo di esempio, per la regolamentazione ad oggi piùsignificativa, la disciplina dell’orario di lavoro di cui al d.lgs. n. 66/2003, sulla quale v. U.

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come detto, ed a prescindere per il momento dalla tecnica utiliz-zata e dalla modalità dei rinvii, attribuiscono di per sé all’autono-mia collettiva un ruolo regolativo nell’ambito della riforma, se-condo la tecnica della contrattazione collettiva delegata, che co-stituisce luogo privilegiato di osservazione di questo contributo. Insecondo luogo, specie se si guarda allo sviluppo dei decreti delegati,e dunque anche oltre il d.lgs. n. 81/2015, è facile verificare come irinvii alla contrattazione non sono affatto di matrice unicamenteablativa/derogatoria, ma, su di un’ampia e delicata serie di istituti,essi fanno della contrattazione il luogo non solo primario, maesclusivo della regolamentazione.

Si esce dunque dalla logica di una flessibilizzazione estrema inchiave aziendale, con dichiarata prospettiva di deroga spinta alletutele e come tale potenzialmente distruttiva, tramite il super-potere del contratto aziendale, del principio di inderogabilità nel-l’ordinamento lavoristico (90), per entrare in una prospettiva piùgenerale e non eccezionale, si potrebbe dire “ordinaria”, dei rinviidi legge all’autonomia collettiva: la quale, forse, deve in futuroessere approcciata, specie per il livello aziendale, in una dialetticadiversa da quella tipicamente conflittuale e di contrapposizioneper la quale è storicamente modulato il nostro sistema di relazionisindacali.

Il riferimento, come si dirà (infra §. 6), è in particolare alleforme di welfare categoriale ed aziendale, dove si aprono spazi peruna negoziazione senz’altro innovativa, nei termini di politichenegoziali datoriali attente al perseguimento di obbiettivi econo-mici, ma con intenti anche solidaristici, che possono condurre alripensamento degli stessi benefici retributivi accessori, non limitatialla valorizzazione delle componenti monetarie, ma estesi all’of-ferta di beni e servizi di sicura utilità sociale (91). Ed ancora alla

CARABELLI e V. LECCESE, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia collettiva:spunti dalla nuova disciplina dell’orario di lavoro, cit.

(90) Cfr. G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, in WPMassimo D’Antona — 276/2015, 15 e ss.

(91) A. PONZELLINI, E. RIVA, E. SCIPPA, Il welfare aziendale: evidenze dalla contratta-zione, in QRS, 2015, 2, 146 e ss. dove si rileva, in una visione solidaristica e sociale più ampiadi quella aziendale, come il problema possa essere costituito dalla possibile iniquità degliinterventi, con le grandi aziende che mettono in sicurezza i propri dipendenti rispetto amodalità che medie e piccole aziende faticano a sostenere e quindi ad introdurre tra i temidella contrattazione decentrata.

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contrattazione di istituti mirati al benessere organizzativo ed allasicurezza degli ambienti di lavoro, i quali possono impattare sutemi tipici della contrattazione aziendale, quali l’articolazionedell’orario di lavoro, forme di previdenza integrativa, misure disicurezza, erogazioni economiche verso determinate categorie dibisogni (es. in caso di congedi parentali). Si tratta di pratichesofisticate di gestione delle risorse umane attraverso l’autonomiacollettiva che possono avere forti ricadute sul sistema di relazionisindacali a livello decentrato e costituire valenza acquisitiva dellapolitica negoziale anche sul versante sindacale dei lavoratori: rile-vandosi, su un piano tutt’altro che teorico, e dunque nell’afferma-zione delle esperienze negoziali, come il contratto “di prossimità”possa in tal senso contribuire a definire l’organizzazione aziendalee del lavoro (92) quale luogo di inserimento di elementi di flessibi-lità, ma anche di riconoscimento e tutela di beni e diritti fonda-mentali, in una dimensione di regole e rapporti virtuosi e condivisitra management e prestatori di lavoro (93).

Non si intende certo accreditare qui una versione (ed una visione)ecumenica ed un po’ edulcorata delle relazioni sindacali di azienda. Lacontrattazione, ad ogni livello, resta esito di composizione di interessicontrapposti, che presuppongono una diversa matrice ed origine di af-fermazione nel negoziato, atta a sostanziare il principio di autonomiache lo caratterizza e che caratterizza le posizioni delle parti.

Tuttavia le aperture del Jobs Act e dei suoi epigoni legislativi(anche) verso prospettive di regolazione contrattuale di istituti in-teramente rilasciati alla contrattazione aziendale e territoriale, de-terminano nuovi scenari e nuove opportunità per la contrattazionedi secondo livello, verso la generalizzazione di forme più partecipatedi negoziazione, peraltro già note in talune esperienze delle relazioniindustriali italiane (94). Scenari ed opportunità, tali da non poterragionevolmente ridurre la considerazione dell’intervento legisla-

(92) R. ROMEI, Il contratto collettivo nel nuovo scenario delle relazioni industriali, in L.CORAZZA e R. ROMEI (a cura di), Diritto del lavoro in trasformazione, Il Mulino, 2014, 89 e ss.

(93) M. VINCIERI, La tutela collettiva del benessere dei lavoratori ed il rilievo delladimensione negoziale aziendale, Paper presentato al Convegno di studi internazionale “Lacontrattazione collettiva nello spazio economico globale”, Bologna, 19-20 febbraio 2016.

(94) Cfr. M. CARRIERI, P. NEROZZI e T. TREU (a cura di), La partecipazione incisiva.Idee e proposte per rilanciare la democrazia nelle imprese, Mulino, 2015; M. CARRIERI e T.TREU

(a cura di), Verso nuove relazioni industriali, Mulino, 2013.

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tivo a strumentodi ulteriore compressione dell’autonomia collettiva(ad ogni livello) e di funzionalizzazione della stessa al solo interessedatoriale in guisa di deroghe ai regimi legali e contrattuali di tuteladei prestatori dipendenti; piuttosto, tali, da indurre verso la defi-nitiva considerazione del contratto aziendale o territoriale qualestrumento dotato di forza autonoma, luogo/presupposto « per unacanalizzazione, in chiave produttivistica, del conflitto » (95), ma an-che portatore di inedite potenzialità circa la disciplina dell’organiz-zazione del lavoro e le sue ricadute su ambiti di fondamentale in-teresse per i prestatori, seppure secondo modalità rispettose, nei rin-vii di legge, delle scelte effettuate delle parti sociali circa il livello dicontrattazione ove svolgere il negoziato (96).

Non lontani del resto, a segnare quindi un punto di contattosignificativo tra gli orientamenti del nuovo diritto del lavoro equelli dell’ordinamento sindacale, paiono gli obiettivi promossi daisindacati confederali con riguardo al secondo livello di contratta-zione, se è vero che nell’Accordo CGIL, CISL, UIL 14 gennaio 2016« Un moderno sistema di relazioni industriali. Per un modello disviluppo economico fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro »,si legge, tra altro, che « la contrattazione, in particolare di secondolivello, deve recuperare la capacità di intervenire sui processiorganizzativi del lavoro, a partire dalle politiche dell’orario, dellariforma degli inquadramenti, della sicurezza ».

4. Segue. Articolo 51 e dintorni. Il baricentro della struttura con-trattuale nel diritto del lavoro riformato e nell’ordinamento inter-sindacale. Il CCNL luogo di regolazione del sistema.

In questo tentativo ordinante da parte del legislatore, proba-

(95) G. PERONE, Guardare alla attuale crisi e al futuro del sindacato con equilibrio elungimiranza, in DLM, 2012, 19 e ss.

(96) Resta condivisibile tuttavia l’osservazione per cui matrici meno conflittuali dellerelazioni sindacali presuppongono forme ed istituti di democrazia economica e di « continuo con-fronto costruttivo » proprio delle esperienze sindacali ove operano i nostri competitori economici:cfr.M.RUSCIANO,Contrattazioneesindacato, cit.,1287-1288.Significativoquindialriguardoil rilievoper cui « i contrasti, nel caso specifico soprattutto sociali, hanno motivato anche la mancata at-tuazione della delega sulla democrazia economica approvata nella l. n. 92/2012, che pure era unelemento caratterizzante del modello sociale europeo, ma in Italia sempre rifiutato » (T. TREU, Leriforme del lavoro: una retrospettiva per analizzare il Jobs Act, cit., 9).

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bilmente non destinato ad esaurirsi in funzione delle deleghelegislative della L. n. 183/2014 e dei rinvii legali alla contrattazionecollettiva (97), si inserisce la norma dell’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 (98), sulla quale si sono già concentrate, con una certaintensità, le attenzioni degli interpreti. Essa infatti appare sin dalprimo momento norma “di peso” all’interno del disegno del nuovolegislatore, tutt’altro che relegata, nonostante la formula testuale(« Salvo diversa disposizione, ai fini del presente decreto »), ad unaindividuazione residuale dei livelli contrattuali di competenzafunzionale alla regolazione delle tipologie contrattuali flessibili edegli altri istituti toccati dal decreto 81.

La portata definitoria della norma e la sua puntuale indica-zione dei livelli e criteri di selezione degli agenti negoziali nellediverse sedi di contrattazione, contribuiscono a fare dell’art. 51l’attuale punto di riferimento normativo generale dei raccordi traeteronomia ed autonomia, come peraltro il legislatore ha già dimo-strato di intendere nelle norme che hanno fatto séguito alla suaapparizione: si è subito osservato che il richiamo alla disposizionesi ritrova negli artt. 21 e 41 del d.lgs. n. 148/2015 sugli ammortiz-zatori sociali e contratti di solidarietà (99); ma di poi anche nell’art.1, c. 187 della l. n. 208/2015 sui premi di produttività erogatitramite contratti aziendali o territoriali; nel nuovo codice degliappalti (d.lgs. n. 50/2016) con riguardo alle clausole sociali di rinvioall’applicazione dei contratti collettivi per le gare relative adappalti di servizi ad alta densità di lavoro (100); ed ancora, nel

(97) Nel momento in cui si scrive è annunciato un intervento del legislatore inmateria di sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità e di rapporti tra contratticollettivi di diverso livello che probabilmente riceverà un impulso dopo la tornata elettoraleamministrativa dei primi di giugno (Il Sole 24 Ore, 6 maggio 2016, pag. 8).

(98) La quale come noto prevede che « 1. Salvo diversa previsione, ai fini del presentedecreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendalistipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ei contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dallarappresentanza sindacale unitaria ».

(99) L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il Jobs Act), cit., 17, il quale altresì dà rilievo, in chiavedi definita metodologia legale di acquisizione e certificazione di tutta una tipologia dicontratti da cui derivino agevolazioni per le imprese, all’art. 14 del d.lgs. n. 151/2015, cheimpone il deposito telematico presso la DTL competente del contratto collettivo aziendaleo territoriale che produca benefici contributivi, fiscali o altre agevolazioni.

(100) In GU n. 91 del 19.4.2016 Suppl. Ordinario n. 10. Si prevede all’art. 50(Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi) « 1. Per gli affidamenti dei contratti di

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DDL in materia di smart working, ove si prevede la possibilità daparte dei contratti collettivi « di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 »di prevedere ulteriori (rispetto a quelle di legge) agevolazioni perlavoratori ed imprese che adottino il « lavoro agile » (101).

Sotto il profilo tecnico, è peraltro evidente il carattere sussi-diario della norma dell’art. 51, la quale opera solo laddove il rinviolegale venga formulato dalla fonte eteronoma senza specificazionedel livello e degli agenti negoziali: il che, tuttavia, avviene consignificativa frequenza nel d.lgs. 81/2015, su istituti importanti ead alta densità regolativa tra legge e contratto collettivo (es.mansioni e jus variandi, termine, somministrazione, part time,apprendistato).

Oltre che nella portata generale della norma, come tale desti-nata a riprodursi nei testi legislativi che verranno, il primo valore“di sistema” dell’art. 51 in merito agli assetti dell’autonomiacollettiva consiste dunque, in assenza di rinvio legislativo di mag-gior dettaglio, nella affermata sostanziale parificazione dei livellicontrattuali (non a caso puntualmente nominati: nazionale, terri-toriale o aziendale) (102), con un legislatore che, in astratto, ritiene

concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, conparticolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi digara, gli avvisi e gli inviti possono inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione europea,specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personaleimpiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi disettore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad altaintensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50per cento dell’importo totale del contratto. »

(101) Cfr. l’art. 20 del DDL approvato nella seduta n. 102 del CdM 28.1.2016 « Tuteladel lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile neitempi e nei luoghi del lavoro subordinato ».

(102) Cfr. OLIVELLI, La contrattazione collettiva aziendale dei lavoratori privati, Milano,Giuffrè, 2016, 321.

Si è opportunamente rilevato (P. PASSALAQUA, Il nuovo modello generale di rinvio legaleall’autonomia collettiva ex art. 51, d.lgs., n. 81 del 2015: l’equiordinazione tra i livelli dellacontrattazione collettiva, cit.) come non sia casuale, nella formula dell’art. 51, il mancatorichiamo alla “categoria” come specificazione del livello nazionale di contrattazione: illegislatore riconosce infatti implicitamente che vi possa essere un livello nazionale dicontrattazione che non fa riferimento alla bargaining unit della categoria produttivatradizionalmente intesa, bensì al contratto collettivo nazionale di azienda di dimensioninazionali, ovvero a contratti nazionali di settore o intersettoriali. Ritengono la normacertamente diretta a potenziare il livello aziendale di contrattazione G. FONTANA, Inderoga-bilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, cit., e I. ALVINO, I rinvii al contratto collettivo, cit.,

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abilitati tutti i prodotti dell’autonomia negoziale ai fini della rego-lamentazione di rimando, a prescindere, quindi, dai potenzialicontenuti del rinvio di legge (derogatorio, integrativo, autorizza-torio, di controllo, a regolazione esclusiva, ecc.), e della valenza —ben diversa a seconda del livello contrattuale in cui la contratta-zione delegata verrà esercitata — che potrà assumere il rinvio dilegge anche in relazione ai suoi originari obiettivi. In sostanza, perla legge, è indifferente che la materia venga regolata dall’uno odall’altro livello contrattuale, essendo piuttosto il focus concen-trato, oltre che nella fissazione di un criterio sussidiario di indivi-duazione del livello di contrattazione utile alla delega, soltanto suirequisiti che devono possedere gli agenti negoziali abilitati allastipula.

Questo non porta a mio parere necessariamente (ed automati-camente) a favorire il livello aziendale o di prossimità della con-trattazione (103); ed anzi, come si anticipava, anche in relazionealla diversa tecnica utilizzata dall’art. 8 della l. n. 148/2011 espres-samente rivolta alla promozione del contratto di prossimità, lasoluzione del legislatore appare più rispettosa delle scelte svoltedall’autonomia collettiva (104), elaborate in relazione ai diversicontesti ed ai diversi istituti, in quanto si lascia alle parti socialil’opportunità di esercitare il rimando di legge all’interno dell’uno odell’altro livello contrattuale, o in modalità coordinate tra livelli,comprensive del dato territoriale.

In particolare, proprio il recupero della contrattazione territo-

(103) U. GARGIULO, L’azienda come luogo “preferenziale” delle relazioni sindacali?, cit.;secondo A. PIZZOFERRATO, L’autonomia collettiva, cit., 437, la parificazione del contrattoaziendale a quello nazionale, quale sede possibile « alternativa e di smantellamento delleprincipali rigidità gestionali » determinerà una estensione della contrattazione aziendale, aprescindere dall’attitudine competitiva dell’azienda e dalla funzione tipica di distribuzionedi ulteriore ricchezza del contratto di secondo livello.

(104) T.TREU, I rinvii alla contrattazione collettiva (art. 51, d.lgs. n. 81/2015), inMagnani, Pandolofo e Varesi (a cura di), Il codice dei contratti di lavoro, Commentario al d.lgs.15 giugno 2015, n. 81, recante la disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione dellanormativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della l. 10 dicembre 2014, n. 183,Giappichelli, Torino, 2016, 250. Scelta apprezzata già nei primi commenti di dettaglio,rilevandosi la potenzialità della norma non solo per la sua funzione definitoria/chiarificatrice, ma anche per la propensione a favorire « uno sviluppo ordinato del sistemacontrattuale oltre che una responsabilizzazione della parte sindacale »: cfr. M. BROLLO,Disciplina delle mansioni, in Carinci (a cura di) Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: letipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapt e-book, 48, p. 74.

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riale, anche oltre la dimensione provinciale, appare fattore chiaveper i (numerosi) settori (ad es. quello artigiano) dove non sonopresenti contratti aziendali: in questi luoghi non pare opportunoun sistema tutto sbilanciato sul dialogo nazionale/aziendale, inquanto la contrattazione territoriale potrebbe sostenere le piccoleimprese ed accompagnarle in un percorso di competitività a livellonazionale ed internazionale, favorito dalla negoziazione su un’am-pia serie di istituti, a prescindere dal rimando di legge (105).

Per quanto anticipato circa il tipo di approccio legislativo, nonvi è dubbio si tratti di inequivoco segnale di fiducia e di riconosci-mento della libertà contrattuale, seppure con implicita — quantoinedita ed inequivocabile —, affermazione legale del contrattoaziendale e territoriale quale parte integrante del fenomeno dellacontrattazione collettiva (106) (107).

Tuttavia, in un sistema sindacale, come quello declinato anchedai più recenti accordi interconfederali, in cui il contratto nazio-nale di categoria occupa tradizionalmente quantomeno un ruolo diregia degli assetti della contrattazione collettiva, una previsionecosì generale di parificazione del contratto di prossimità nel rinvioda fonte eteronoma segna un decisivo cambio di ritmo del “nuovo”diritto del lavoro con riguardo al tema del decentramento contrat-tuale e dei rapporti fra contratti di diverso livello, in cui l’autono-mia collettiva dovrà anzitutto esprimersi con riguardo alla sceltadel livello ove declinare il rinvio di legge, accompagnandola con la

(105) Sul punto sembrano convergere gli obiettivi confederali dell’Accordo CGIL-CISL-UIL 14 gennaio 2016, ove si rileva come « In tutti i settori va prevista la possibilitàdi contrattazione territoriale (alternativa a quella aziendale), da sviluppare in particolarenelle realtà caratterizzate da micro, piccole e/o medie aziende, in cui è poco praticabile losviluppo della contrattazione aziendale. I contratti nazionali potranno prevedere lo svolgi-mento del livello territoriale, non solo in corrispondenza della dimensione istituzionale ...maanche — a seconda della specificità dei singoli contesti — di settore, comparto, filiera,distretto ».

(106) Sulla questione, peraltro antica, anche nella prospettiva del riferimento (omeno) dell’art. 39, c. 4 Cost. al contratto aziendale v. F. LUNARDON, Il contratto collettivoaziendale: soggetti ed efficacia, in DLRI, 2012, 133, 21 e ss.; V. BAVARO, Azienda, contratto esindacato, Cacucci, Bari, 2012; F. CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale, il giudice, ilsindacato, il legislatore, in ADL, 2011, 45.

(107) Cfr. T. TREU, Nel Jobs Act parità di competenza fra livelli contrattuali, in GL,2015, 27, 40 ss. ove si afferma la medesima efficacia giuridica dei contratti stipulati ai varilivelli, stante la loro equiparazione di status da parte del legislatore.

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capacità di controllare la tenuta complessiva del sistema, proprioin relazione alla scelta effettuata.

Stante l’eliminazione della clausola del ne bis in idem da partedel T.U. del 2014 (108) (circostanza evidentemente in linea conl’approccio di parificazione dei livelli seguito dal legislatore), non èinfatti peregrina l’ipotesi di una regolamentazione della materiademandata senza specificazioni da parte del legislatore, che vengaraccolta ed esercitata contemporaneamente da più livelli contrat-tuali, con rinnovata proposizione della questione del rapporto/conflitto tra contratti collettivi di diverso livello per esercizio dicontrattazione delegata da legge.

È in questa località che viene in gioco la cifra regolativautilizzata dall’attuale legislatore, significativamente diversa daquella dell’art. 8 della l. n. 148/2011, la quale era caratterizzata,come si diceva, da un logica emergenziale e compulsiva (benlontana da quella che stiamo osservando), come tale incapace didivenire punto di riferimento interpretativo di un sistema stabiledi coordinamento tra fonti.

Si tratta, in buona sostanza, della seconda novità di prospettivapoco sopra citata; quella, cioè, di un legislatore che è consapevoledella esistenza e della progressiva stabilizzazione delle nuove regoledell’autonomia collettiva, esito del descritto recente processo nor-mativoadottatodall’ordinamento sindacale; e sudi esso il legislatoredimostra di voler fare affidamento, quale matrice regolativa dellatecnica di rinvio utilizzata, anche per governare questioni che di-verranno fisiologiche nella prospettiva della parificazione dei livellicontrattuali ai fini della contrattazione delegata.

Non si spiegherebbe, diversamente, l’utilizzo di un criterioselettivo — quello della rappresentatività comparata — che, perquanto datato ed indefinito nel suo ubi consistam (109), ha da

(108) Sebbene con la novità data dalla possibilità di « definire, anche in via speri-mentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute neiCCNL...nei limiti e con le procedure previste dagli stessi CCNL ». Cfr. P. TOSI, Gli assetticontrattuali tra tradizione e innovazione, in ADL, 2013, 508.

(109) Cfr. A. DI STASI, Rappresentanza e rappresentatività sindacale nel lavoro privato,in M. Persiani e F.Carinci (diretto da) Trattato di dritto del lavoro, Cedam, 2014, II, 196 seg.;M. MAGNANI, Commento all’art. 1 della legge 196 del 1997, in Napoli (a cura di), Il “pacchetto”Treu, in NLCC, 1998, 1184; L. SILVAGNA, Il sindacato comparativamente più rappresentativo,in DRI, 1999, 213 ss.; P. CAMPANELLA, Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti,Giuffrè, 2000.

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tempo stabilmente accompagnato i rinvii di legge alla contratta-zione collettiva, cercando di integrare le due fonti ai fini dellaregolazione delegata, divenendo perciò « tecnica ordinaria per unacostante integrazione delle direttive legali e delle regole contrat-tuali » (110): criterio che oggi si crede possa essere riproposto nellacertezza di un più solido quadro regolativo delle relazioni collet-tive.

Il criterio selettivo cui rinvia il legislatore, seppure declinato inmodo non ineccepibile (111), può oggi infatti essere letto ed intesoalla luce delle regole di accertamento della rappresentatività sin-dacale via via definite dagli accordi interconfederali e confluite nelT.U. del 2014, le quali consentono di recuperare, all’interno del(nuovo) ordinamento intersindacale, quel principio maggiorita-rio (112) che è senz’altro compatibile con la rappresentativitàcomparata nuovamente assunta a criterio di selezione dei soggettisindacali abilitati, ad ogni livello, all’esercizio della delega dilegge (113); ed anzi, ora, il principio di maggioranza, trova più

(110) Cfr. G. FERRARO, Teorie e cronache del diritto sindacale e autorità dal punto divista giuridico, in ADL, 2016, 39, il quale osserva come il criterio della rappresentativitàcomparata ha un raggio di incidenza in continua espansione, avallato dalla Corte costitu-zionale con riguardo ai contratti di riferimento per la retribuzione giusta e sufficiente ex art.36 Cost. (Corte cost. n. 51/2015 sui trattamenti minimi dei lavoratori delle società coope-rative ex art. 7, c. 4, l. n. 248/2007 che richiama Cass., 17583/2014) e per i contratti inmateria di retribuzione imponibile ai fini della imposizione contributiva e fiscale (art. 1, l. n.389/1989; « parametro per la erogazione di benefici, sgravi, esoneri ormai imprescindibili perqualunque azienda ». V., altresì, M. RICCI, Le finalità del d.lgs. n. 276/2003, in F. Carinci(coordinato da), Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Ipsoa, 2004, I, 4 seg; A.BELLAVISTA, Le prospettive dell’autonomia collettiva dopo il d.lgs. 276/2003, in www.cgil.it/giuridico.

(111) Cfr. L. MENGHINI, Lavoro a tempo determinato, in F. CARINCI (a cura di),Commento al decreto legislativo n. 81/15: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, QuaderniADAPT — e-Book series n. 48.

(112) Che si assumerebbe smarrito nel confronto tra art. 8 e art. 51: cfr. A. PIZZO-FERRATO, L’autonomia collettiva, cit., 434 e L. ZOPPOLI, Le fonti dopo il Jobs Act, cit., 17. V.anche A. BELLAVISTA, Gli accordi sindacali in materia di controlli a distanza sui lavoratori, inLG, 2014, 739, secondo cui gli accordi trasfusi nel TU del gennaio 2014 consacrano, « quantoa modalità di azione dei sindacati dei lavoratori, l’abbandono del principio dell’unanimitàdecisionale e l’adozione del contrapposto principio di maggioranza che vale ad ogni livellonegoziale, sia nazionale, sia aziendale ».

(113) Cfr. F. LISO, Brevi note sul Protocollo Confindustria, CGIL, CISL, e UIL delmaggio 2013, in RGL, 2013, I, 848; G. PROIA, Protocollo di intesa e efficacia, in F. CARINCI (a

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puntuale regolamentazione rispetto al generico e vago rinvio del-l’art. 8 l. n. 148/2011.

Si tratta infatti, in mancanza di indicazioni da parte dellegislatore, ma nella logica dallo stesso perseguita secondo quantoritenuto in questo scritto, di reperire e condividere, nel rinnovatoordinamento intersindacale di cui al T.U. del 2014 (114) — secondomeccanismo senz’altro compatibile (con) e ricollegabile (al) princi-pio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. — una serie di regole,esistenti per la contrattazione nazionale e per quella azien-dale (115), attraverso le quali identificare il sindacato comparati-vamente più rappresentativo nominato dalla legge nella norma dirimando, in quanto in possesso dei requisiti di rappresentativitàgeneralmente previsti ai fini dell’ammissione alle trattative e poidell’efficacia dei contratti collettivi “comuni”, cioè per la genera-lità dei contratti collettivi (116).

Si tradurrebbe con ciò in atto, quello che è stato prefigurato inpotenza all’indomani degli accordi interconfederali e della sen-

cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentatività sindacale a Cortecostituzionale n. 231/2013, ADAPT e-Book, 2014, 20, 80.

(114) G. FERRARO, Sul rinnovato sistema di relazioni industriali, in ADL, 2014, 562, ilquale identifica i sindacati comparativamente rappresentativi, in via generale, con quelliche abbiano superato la soglia del 5%, che abbiano partecipato alla trattativa attraverso ladelegazione trattante e che abbiano sottoscritto contratti collettivi specie a livello nazio-nale; A. BELLAVISTA, Il sindacato confederale: un centauro del terzo millennio, in WP MassimoD’Antona, 2014, 208, 8; P. LAMBERTUCCI, La rappresentanza sindacale, cit., 241.

(115) Sulla cui analisi, in relazione all’art. 51 d.lgs.n. 81/2015 si v. P. PASSALAQUA, Ilnuovo modello generale di rinvio legale, cit. Diverso il discorso per la contrattazione « terri-toriale », rispetto alla quale, in assenza di determinazioni da parte degli accordi intercon-federali, possono essere analogicamente importati i criteri utilizzati per la contrattazionenazionale. Con il riferimento ai criteri di rappresentatività del T.U. per la identificazione deisoggetti sindacali maggiormente rappresentativi si supera, altresì, l’obiezione, già svilup-pata in relazione ad analoga clausola dell’art. 8 l. n. 148/2011 (F. CARINCI, Alice non abita piùqui, cit., 676), per cui il riferimento della legge alle “loro” RSA non è corretto, in quanto leassociazioni comparativamente rappresentative sul piano nazionale, non possono, perquesto solo, aver titolo a costituire RSA, le quali, ex art. 19, restano prerogativa deisindacati già firmatari di contratti applicabili nelle unità produttive di riferimento.

(116) Correttamente osservandosi che, per un equilibrio di sistema, il contrattocollettivo “delegato” secondo il criterio del sindacato comparativamente più rappresenta-tivo non può ragionevolmente essere assoggettato a regole e soglie attinenti alla legittima-zione a negoziare ed all’efficacia diverse o meno stringenti da quelle previste dall’ordina-mento sindacale per i “comuni” contratti collettivi: P. PASSALAQUA, Il nuovo modello generale,cit.

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tenza n. 231/2013 della Corte costituzionale, ma prima del Jobs Acte dell’art. 51 d.lgs. n. 81/2015, in relazione alla lettura “fattuale”delle nuove regole sindacali. Posto che la nozione di sindacato“comparativamente più rappresentativo” usata ancora oggi dallalegge resta legata ad indici presuntivi, mentre quella di rappresen-tatività a criteri effettivi, « c’è da chiedersi se la giurisprudenzaordinaria non sarà tentata di leggere la nozione presuntiva legisla-tiva alla luce di quella effettiva contrattuale, almeno laddove laricaduta di una siffatta sostituzione non sia chiaramente contra-stante con la ratio della norma » (117). Si tratta quindi oggi diprendere atto, nel reciproco riconoscimento tra fonte eteronoma efonte collettiva, che la formula legale « è di per sé suscettibile diintegrarsi con le regole organizzative e decisionali disegnate dal-l’autonomia collettiva nei più recenti accordi intersindacali, cheforniscono indicazioni ampiamente fruibili per risolvere eventualiantinomie » (118).

Utilizzando la regola della maggioranza riferita all’ambitonazionale di categoria propria del T.U. difficilmente potrebbeaccadere, come pure correttamente prospettato in ipotesi (119),che nell’ambito della contrattazione territoriale e aziendale le siglemaggioritarie a livello nazionale abbiano a livello decentrato unarappresentatività nulla o minoritaria negli organismi di rappresen-tanza unitaria, sì da agevolare la conclusione di contratti a livellodiverso da quello effettivamente derivante dalla libera determina-

(117) F. CARINCI, Alice non abita più qui (a proposito e a sproposito del “nostro” dirittosindacale), in GDLRI, 2013, 684, il quale, fra l’altro osserva che la giurisprudenza ordinaria,già incline ad attribuire efficacia generalizzata alla contrattazione aziendale, potrebbetrovare nel rispetto della procedura sindacale curvata alle indicazioni di Corte cost.231/2013 ulteriore conferma del proprio orientamento. Nella vigenza dell’art. 8 l. n.148/2011 e dei rinvii in esso contenuti alla competenza negoziale sul livello aziendale, lagiurisprudenza ha già dimostrato di voler volgere lo sguardo agli accordi e alla contratta-zione nazionale per l’identificazione dei soggetti abilitati alla stipula, che potrebbero andare,dal punto di vista soggettivo, oltre il novero delle r.s.a. indicate dalla norma (nell’ipotesiidentificati negli “organi di coordinamento delle r.s.a.” per la stipula di accordi ex art. 8 suicontrolli a distanza nel settore del credito): cfr. Trib. Napoli, decreto 22 luglio 2014, in NGL,2014, 719 e ss.

(118) G. FERRARO, Teorie e cronache del diritto sindacale, cit., 39.(119) L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il Jobs Act), cit. 18; I. ALVINO, I rinvii al contratto

collettivo nel d.lgs. n. 81/2015, cit.

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zione dei lavoratori (120). In un quadro oggi regolato in modotendenzialmente onnicomprensivo, quale quello di riferimento delT.U. del 2014, si discuterebbe tuttavia, in ipotesi ed appunto, dianomalie, comunque destinate al vaglio ministeriale (121) o giudi-ziario, determinate da situazioni di forte competizione infra-sinda-cale o di forte « asimmetria della rappresentatività delle associa-zioni stipulanti », le quali resterebbero comunque secondarie in unoscenario complessivo, in quanto sfuggite, specie sul versante dato-riale, al necessario controllo dell’ordinamento sindacale (122).

La tesi, come ovvio, presuppone la capacità delle organizza-zioni sindacali, in virtù delle regole definite negli accordi intercon-federali, di controllare la tenuta del sistema contrattuale, e dunquedi distribuire le competenze tra i livelli anche nel caso di contrat-tazione svolta su rimando di legge, proprio allorquando il rinvio,come avviene per l’art. 51, non individua a priori il livello contrat-tuale incaricato della delega (123). Solo così si evita, in tale ambito,una implosione del sistema contrattuale rispetto ai rinvii legali ed

(120) Tanto da rappresentare, secondo taluno, possibile profilo di illegittimitàcostituzionale della disposizione dell’art. 51, per lesione del principio di libertà sindacale (I.ALVINO, I rinvii al contratto collettivo nel d.lgs. n. 81/2015, cit.); si è altresì rilevato (U.GARGIULO, L’azienda come luogo “preferenziale”, cit.) come ulteriori profili di illegittimitàcostituzionale potrebbero profilarsi nel raffronto tra criteri di rappresentatività dell’art. 51d.lgs. n. 81/2015 e art 19 Stat. Lav. nella lettura offertane da Corte cost. 231/2013, inquanto il datore potrebbe stipulare con rappresentanze sindacali aziendali secondo criteridiversi da quelli ex art. 19 (come riletto dalla Corte) con lo scopo di escludere forze sindacaliin azienda ugualmente o più rappresentative, facendo leva sul riferimento dell’art. 51 aicontratti sottoscritti “da” e non “dai” sindacati comparativamente più rappresentativi. Sipropone dunque in dottrina il condivisibile utilizzo, anche per il livello aziendale, delleregole del T.U. del 2014 che nel caso di contratti sottoscritti da sole RSA fa riferimentoal necessario possesso di queste, da sole o con altre, della maggioranza delle deleghe relativeai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello incui avviene la stipulazione; mentre per le RSU l’affidamento è sulla composizione elettivadella stessa.

(121) Cfr. per una ipotesi, nota del Ministero del Lavoro, prot. n. 32/0005623, relativaa contratti nazionali siglati da oo.ss. non rappresentative nel settore delle agenzie assicu-rative.

(122) G. FERRARO, Teorie e cronache del diritto sindacale, cit., 38.(123) V. già V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 117: secondo l’A. quando

la legge devolve la funzione normativa indifferentemente ai contratti collettivi senzaspecificazione del livello « il sistema contrattuale intersindacale funge da ordinatore del rap-porto fra i livelli ».

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un concorso/conflitto tra fonti negoziali (124) che certo favorirebbe“fughe in avanti”, specie sul livello aziendale, promosse dal pre-valente (ed incontrollato) interesse di impresa alle deroghe (125).

Le regole sindacali ad oggi presuppongono, come detto, che « lacontrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie dele-gate e con le modalità previste dal contratto collettivo nazionale dilavoro di categoria o dalla legge » (T.U. 2014) (126), ma evidente-mente nella dimensione in cui la legge abbia già individuato illivello aziendale come quello di competenza per il rimando legale,e quindi in una situazione in qualche modo “ordinata” a priori daparte della fonte eteronoma (127). La prospettiva rispetto all’art.51, potrebbe però essere immediatamente coltivata in relazione aquanto stabilito, per il tema delle flessibilità contrattuali, dalcitato Accordo CGIL, CISL, UIL 14 gennaio 2016, dove, ancoratra gli obiettivi del modello, si ritrova quello di « ricondurre allacontrattazione i rimandi previsti dalla legge: su apprendistato,disciplina delle collaborazioni, part-time, contratti a termine, som-ministrazione e lavoro stagionale »: a segno, quindi, della compren-sione, sul versante sindacale, della necessità di un razionale econtrollato riparto di competenze rispetto ai rinvii di legge “inno-minati” che potrebbe, diversamente, in assenza di regolazione, enella migliore delle ipotesi, paralizzare o rendere poco coerenti gliesercizi di delega tra i vari livelli contrattuali.

(124) Situazione prospettata in relazione alla possibilità che i sindacati derivino laloro legittimazione a negoziare direttamente dall’art. 51 e dunque a prescindere dal ripartodi competenze declinato all’interno del sistema contrattuale (I. ALVINO, I rinvii al contrattocollettivo nel d.lgs. n. 81/2015, cit.).

(125) Sulla questione della necessità di individuare criteri anche per la rappresen-tanza negoziale sul versante datoriale ai fini della contrattazione di rinvio cfr. M. VITALETTI,Dall’altra parte: rappresentanza datoriale e contratto nazionale di categoria, paper presentatoal Convegno di studi internazionale “La contrattazione collettiva nello spazio economicoglobale”, Bologna, 19-20 febbraio 2016, ove si rileva che, alla luce dei nuovi rinvii di legge in« un sistema inevitabilmente interconnesso, si realizzerebbe così, muovendo dalla riorganiz-zazione della rappresentanza datoriale, un effetto di razionalizzazione complessiva anchedelle relazioni sindacali ».

(126) Sulla quale V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit. 110, pure se sullaformula dell’Accordo 28 giugno 2011e B. CARUSO, Testo Unico sulla Rappresentanza, in WPC.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT — 227/2014.

(127) Dando lettura della norma contrattuale nella direzione, non da tutti condivisae forse non del tutto coincidente con la volontà all’epoca espressa dalle parti stipulanti, percui anche la legge può indicare le materie oggetto di contrattazione delegata.

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Restano sullo sfondo, in questo tentativo di coordinamentosvolto dal legislatore con l’attività di organizzazione dell’ordina-mento sindacale — tentativo che naturalmente soffre e allo stessotempo prende atto della mancata attuazione del modello costitu-zionale e della bocciatura dei tentativi tecnici svolti al di fuori dellostesso modello dell’art. 39 Cost. —, problemi di non poco momento,anzitutto di carattere generale, e come tali potenzialmente diri-menti.

Tra questi va senz’altro annoverata, sul versante per così dire“esterno” agli accordi interconfederali, la circostanza per cui leregole dagli stessi definite valgono solo per le parti stipulanti e perle associazioni che ad esse successivamente aderiscono nei settoriinteressati (128); circostanza, questa, che presupporrebbe il conso-lidarsi di una giurisprudenza volta invece a valorizzare e ad esten-dere in parte qua, oltre alla loro matrice inclusiva, il dato diselezione dei sindacati ai fini della contrattazione derivante dagliaccordi interconfederali quale indice ormai “di sistema” per laverifica della rappresentatività sindacale. In ogni caso è possibileritenere che alla stregua di “indici” e “criteri” di definizione dellarappresentatività comparata ai sensi dell’art. 51 d.lgs. n. 81/2015,le regole del T.U. del 2014 ben possano essere estese oltre l’ambitodi applicazione soggettivo dell’Accordo.

Sul versante “interno”, invece, la questione generale investe iltema dell’efficacia meramente obbligatoria delle regole sindacaliordinanti il sistema contrattuale, come tali incapaci di vincolare esanzionare, con efficacia reale, le eventuali clausole negoziali chedovessero operare in contrasto con esse. Se però si accede ad unainterpretazione dell’art. 51, quale qui condivisa, come norma cherinvia interamente al sistema sindacale la definizione delle regole edei raccordi soggettivi/oggettivi fra i livelli abilitati alla contrat-tazione delegata, allora il governo del sistema contrattuale definitoin ambito sindacale riceverebbe, proprio grazie alla norma deldecreto legislativo 81/2015, pieno impulso e piena legittimazionelegale, giustificando una sua esigibilità in sede giudiziale.

(128) Cfr. Trib. Roma, 15 maggio 2015, in Bollettino ADAPT secondo cui il T.U. del2014 non vincola i soggetti terzi rispetto alle parti stipulanti che non hanno condiviso leregole secondo la meccanica, pure inclusiva, dell’adesione. V. pure Trib. Torino, 16 luglio2014 e Trib., Torino 3 novembre 2015.

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In questa prospettiva di equiparazione tra i livelli contrattuali,la portata dell’art. 51 potrebbe essere addirittura ulteriormenterinsaldata dal legislatore: ad esempio con una modifica dell’art. 360n. 3) c.p.c. sui motivi di impugnazione « per violazione o falsaapplicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivinazionali di lavoro », estendendosi il giudizio di legittimità, intermini di deflazione del contenzioso e/o di nomofilachia interpre-tativa, anche ai contratti aziendali e territoriali.

Nel complesso, si potrà assistere ad un rilancio del livellonazionale di contrattazione (129): non tanto, o non solo, come purepossibile, del CCNL quale luogo di esercizio delle deleghe di legge“innominate”, per esaltare una prospettiva funzionale dell’ambitonazionale per la disciplina della fattispecie e dell’ambito aziendaleper quella della flessibilità nel rapporto (130); quanto, piuttosto,del CCNL quale strumento ordinante del raccordo tra livelli ancherispetto ai rinvii di legge (131), diretto ad evitare il fenomeno delconcorso/conflitto di discipline dell’autonomia collettiva, ma anchea scongiurare o limitare eccessive derive contrattuali di azienda inderoga a diritti fondamentali del lavoro dipendente (132).

(129) Per altri aspetti segnato da indiscussa crisi regolativa: cfr. E. GRAGNOLI, Laparabola del contratto collettivo nella società economica italiana, in LG, 2013, 653 ss.; E. VILLA,Crisi della funzione anticoncorrenziale del contratto collettivo nazionale, Paper presentato alConvegno di studi internazionale “La contrattazione collettiva nello spazio economico globale”,Bologna, 19-20 febbraio 2016, Atti in corso di pubblicazione per Bononia University Press.

(130) Così U. GARGIULO, L’azienda quale luogo “preferenziale” delle relazioni sindacali?,cit.

(131) Quanto alle possibili tecniche, si è rilevato (L. LAMA, Il tortuoso percorso didecentramento nel “sistema” contrattuale collettivo, Paper presentato al Convegno di studiinternazionale “La contrattazione collettiva nello spazio economico globale”, Bologna, 19-20febbraio 2016, cit.) come esse possano essere recuperate dall’esperienza, costituita da una(ri)formulazione del principio del ne bis in idem in base alla quale il contratto collettivoaziendale può intervenire a disciplinare esclusivamente le materie delegate, in tutto o inparte, dal solo CCNL; oppure — nelle ipotesi in cui il CCNL abbia recepito la regola deldemando totale o parziale al contratto aziendale da parte della legge o del primo livellocontrattuale — mediante un intervento da parte del CCNL che esercita per primo la delegalegislativa senza riproporre, nel suo testo, il rinvio al secondo livello contrattuale previstodalla legge; « e ciò con l’effetto di determinare, all’interno dell’ordinamento contrattualecollettivo, un’avocazione a sé della potestà normativa, che conferma un “ruolo di centralità”del CCNL non perseguita dal legislatore ».

(132) Pare evidente a chi scrive la attuale costruzione di un dialogo condiviso traordinamento statale e ordinamento sindacale in questa direzione: « Il CCNL deve mantenerela sua funzione di primaria fonte normativa e di centro regolatore dei rapporti di lavoro,

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Dal punto di osservazione così delineato, a me pare che laquestione della sopravvivenza dell’art. 8 della l. n. 148/2011, inrelazione all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 possa sfumare rapida-mente, senz’altro sul piano delle relazioni collettive, a tutto favoredel nuovo assetto delineato dal Jobs Act per la contrattazionedecentrata. Non è forse possibile, sotto il profilo squisitamentetecnico, riferire di una generale abrogazione implicita della normadell’art. 8 (133), la quale invece potrebbe essere affermata inrelazione a taluni istituti (134) (infra §. 5); ma non è dubbio chesarebbe auspicabile un intervento legislativo esplicito in tal senso,il quale porterebbe chiarezza al quadro a disposizione degli opera-tori, esaltando la portata generale dell’art. 51 rispetto ai suoiprecedenti, nel senso, qui inteso, di un ampio rinvio al sistemasindacale ed alla sua autonoma organizzazione.

A tacere del fatto che la giurisprudenza, per la validità degliaccordi ex art. 8 l. n. 148/2011, non richiede una loro espressadenominazione di richiamo alla legge (135), sotto il profilo fattualel’ampiezza delle materie di rinvio del decreto legislativo 81/2015 (136) e dei provvedimenti successivi e la minore intensità deivincoli legali all’utilizzo delle deroghe tramite contrattazione de-centrata, condurrà (entrambe) le parti sociali a ritenere più sem-

comune per tutti i lavoratori del settore di riferimento, rafforzato nel suo ruolo di governancedelle relazioni industriali. I contratti nazionali stabiliranno linee guida per lo sviluppo dellacontrattazione di secondo livello, assumendo una nuova e maggiore titolarità nel definire lenorme di rinvio » (Accordo 14 gennaio 2016 CGIL-CISL-UIL Un moderno sistema direlazioni industriali) (corsivi nostri).

(133) Così S. SCARPONI, Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva a livello aziendaleo territoriale, in RGL, 2015, I, 121.

(134) Considera implicitamente abrogata la contrattazione di prossimità con speci-fico riferimento alla disciplina delle mansioni M. BROLLO, Disciplina delle mansioni, in F.CARINCI (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jusvariandi, Adapt e-book, 48, 75.

(135) Cfr. ad es. Trib. Venezia, 16 agosto 2013; in dottrina A. BOLLANI, Contrattazionecollettiva di prossimità e limiti costituzionali, in ADL, 2012, 6, 1219; L.SERRANI, L’obbligo ditrasparenza nella contrattazione collettiva di prossimità, in Tiraboschi (a cura di), Interventiurgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile e della coesione sociale.Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013 n. 76, Adapt Labour Studies e-book series,10, 230.

(136) In ragione della descritta tassatività con la quale vengono interpretate lematerie di intervento dell’art. 8, ma anche il fatto che taluni rinvii svolti dall’art. 8 allacontrattazione di prossimità sono svaniti o superati nel Jobs Act.

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plice (137) e proficua la tecnica di rinvio dell’art. 51 rispetto aquella dell’art. 8, al livello territoriale ed aziendale.

Si avrà, in sostanza, un meccanismo di rapido stoccaggiodell’ipotesi “eccezionale” dell’art. 8 in quella “ordinaria” dell’art.51 se si tratta di contrattazione di prossimità in deroga: favorito,da un lato, dalla espressa dichiarazione di ostilità del sindacatoconfederale al modello della contrattazione di prossimità di cuiall’art. 8 e quindi dal suo utilizzo limitato in questi anni (138);dall’altro lato, dalla circostanza per cui taluni principi dell’art. 8 —ad esempio quello maggioritario ivi espressamente richiamato —possono essere rinvenuti, nella prospettiva qui espressa, nel criteriodi rinvio dell’art. 51 agli esiti ed alle regole dell’ordinamentointersindacale di cui al TU del 2014.

5. I rinvii alla contrattazione collettiva. Spunti per una riflessione.

Temi e modelli delle “nuove” relazioni collettive non possononaturalmente esaurirsi in quello del rapporto fra fonte eteronomadi rinvio e sviluppi della contrattazione delegata, anche se l’atten-zione degli interpreti e le proposte di modifica legislativa degliassetti del diritto sindacale di questi ultimi anni e mesi, sono statie sono senz’altro sollecitati dagli approcci legislativi di cui si è datoconto. È però possibile verificare, nella prospettiva prescelta daquesto scritto, se i nuovi driver del legislatore possano produrre unmutamento delle relazioni collettive anche oltre la contrattazionedelegata e se, rispetto a tale mutamento, sia utile, o addiritturanecessario, un intervento promozionale della legge di carattere piùampio e generale.

Il profilo di interesse diviene quindi qui quello oggettivo, deicontenuti del rinvio di legge alla contrattazione collettiva.

(137) Rispetto ai numerosi vincoli e limiti posti dall’art. 8 alla contrattazionedelegata, comunque declinati in modo diverso dai nuovi rinvii dei decreti delegati dellaLegge 183/2014. Si v. sul punto F. OLIVELLI, La contrattazione collettiva aziendale deilavoratori privati, cit, 320 e ss.

(138) Onde sarebbe davvero poco plausibile una “rivitalizzazione” dell’art. 8 spon-sorizzata oggi in sede confederale rispetto all’art. 51: cfr. l’Addendum 21.9.2011 all’A.I.28.6.2011; A. BOLLANI, Lavoro a termine, somministrazione e contrattazione collettiva in deroga,Padova, Cedam 2013, 89; P. TOMASSETTI, Il decentramento contrattuale in Italia: primi profiliricostruttivi di una ricerca empirica, in ADL, 2014, 1332-1333.

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Come si diceva, nel volgere lo sguardo ai singoli decreti attua-tivi delle deleghe legislative, i rinvii alla contrattazione collettivaad opera della legge non sembrano diminuiti quantitativamente,ma, sotto il profilo della qualità, qualcosa forse è cambiato.

In effetti non paiono ravvisarsi vere e proprie rotture con ilpassato (139), spaccature che attestino un arretramento del ruolodella fonte collettiva, sì da far pensare a una « perdita di fiducia dellegislatore nella mediazione collettiva, quale veicolo per implemen-tare il dettato di fonte legale » (140). Sembrerebbe possibile scor-gere una linea continuativa con i precedenti interventi riformatori,in chiave di manutenzione e di adattamento dell’esistente, e so-prattutto con le scelte delle parti sociali (141), in particolareproprio in quel d.lgs. 81 del 2015 che nel (ri)disciplinare le diversetipologie contrattuali recupera un modello “tradizionale”, oggiaggiornato — riprendendo il titolo delle nostre giornate di studio—, per il diritto del lavoro post-statutario. Qui l’autonomia collet-tiva viene chiamata, come in passato, a “co-disciplinare” i con-tratti di lavoro funzionali ad incrementare la flessibilità nel mer-cato del lavoro, nonché ad integrare la disciplina del lavoro subor-dinato tipico, come peraltro già previsto in materia di controlli adistanza e visite personali di controllo (artt. 4 e 6 st. lav.) e di orariodi lavoro (d.lgs. 66/2003). In questi ambiti, se si considerano irilievi mossi in letteratura, coll’evidenziare la presenza di « vuoti didisciplina o, all’inverso, sovrapposizioni di norme difficili da com-

(139) In particolare si evidenzia come le riforme del mercato del lavoro della fine delsecolo scorso, fossero riforme improntate « al principio della c.d. flessibilità contrattata: con-sentire all’autonomia collettiva di decidere il quantum di flessibilità da immettere nell’or-dinamento giuridico per superare le rigidità introdotte dalla legge. Invece, tale scelta, oggi,sembra essere stata superata, attribuendo una maggiore flessibilità gestionale a favore deldatore di lavoro, tranne nella riscrittura del nuovo art. 2103 c.c. » M. RICCI, Brevissime notesui recenti provvedimenti legislativi sulle politiche del lavoro, in Carinci (a cura di), Jobs Act:un primo bilancio. Atti del XI Seminario di Bertinoro-Bologna del 22-23 ottobre 2015, 18.

(140) Così P. PASSALAQUA, Il nuovo modello generale di rinvio legale all’autonomiacollettiva ex art. 51, d.lgs. n. 81 del 2015: l’equiordinazione tra i livelli della contrattazionecollettiva, in corso di pubblicazione in DLM, dattiloscritto, 3; v. T. TREU, I rinvii allacontrattazione collettiva (art. 51, d.lgs. n. 81/2015), in Magnani, Pandolfo, Varesi (a cura di),Il codice dei contratti di lavoro. cit. 250; T. TREU, Le riforme del lavoro: una retrospettiva peranalizzare il Jobs Act, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio. Atti del XISeminario di Bertinoro-Bologna del 22-23 ottobre 2015, 3.

(141) Così già T. TREU, Le riforme del lavoro: una retrospettiva per analizzare il JobsAct, cit., 3.

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parare e selezionare » negli intrecci fra le fonti, potrebbero addirit-tura ravvisarsi delle “occasioni” per le parti sociali « a seconda dellecontingenze storiche e della forza contrattuale » di queste ul-time (142).

Non è possibile in questa sede una analisi approfondita deisingoli istituti e quindi delle disponibilità di azione da parte dellacontrattazione delegata. È però possibile uno sguardo di insieme,dal quale pare confermato un approccio di apertura e dialogo versola contrattazione collettiva ed il sistema di relazioni collettive,certo modificato rispetto al passato.

Lo spettro, o il timore, di una diminuzione qualitativa delrinvio al prodotto dell’autonomia negoziale collettiva non si rav-visa anzitutto nel decreto finalizzato a rendere maggiormentecompatibili le esigenze familiari con i tempi lavorativi (d.lgs. n.80/2015). Qui il legislatore assegna in via principale alla contrat-tazione collettiva (anche aziendale) la competenza a definire lemodalità per la fruizione dei congedi parentali su base oraria (e nonpiù solo giornaliera) e solo in via suppletiva alla legge stessa (art. 32del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, come modificatodall’art. 7 d.lgs. 80/2015). Sicché, al di là delle diverse previsionicontenute nei prodotti dell’autonomia contrattuale — non solonazionale, ma anche aziendale — ciascun genitore può scegliere trala fruizione giornaliera e quella oraria. Si rinvia, analogamente,all’autonomia collettiva la regolamentazione della fruizione “subase oraria o giornaliera” del congedo per le donne vittime diviolenza di genere (di cui al comma 1) per un arco temporalecomplessivo di tre anni. In questo caso non si tratta di un rinviogenerico alla contrattazione collettiva (di qualsiasi livello), quantoa successivi accordi collettivi nazionali stipulati da associazionisindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazio-nale, con rimando espresso, dunque, al livello nazionale di contrat-tazione. Anche in questo caso la mancata regolamentazione, daparte della contrattazione collettiva, viene “colmata” dalle previ-sioni contenute nel testo normativo stesso, di tal che « la dipen-dente può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria »: ma,

(142) Così M. FALSONE, I rinvii alla contrattazione collettiva nel d.lgs. 81/2015, cit. Il chepotrebbe accadere non solo quando non è prevista una funzione suppletiva della legge, maanche allorquando vi siano rinvii derogatori (in tutte le direzioni) affiancati a un sistema disupplenza.

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trattandosi di definire « le modalità » di fruizione dei congedi ampierisultano le opportunità di integrazione dei contenuti contrattuali,ad esempio con riguardo alla previsione di erogazioni economichein occasione dei congedi parentali.

Ad una visione complessiva dell’intervento del d.lgs. 81 del2015 sulle tipologie contrattuali e jus variandi, come anticipato,non si ravvisano, dal punto di vista quantitativo, diminuzioniconsiderevoli dell’area di operatività della contrattazione collet-tiva:

a) all’espansione della competenza esclusiva della legge inalcuni “punti” (alcuni pro regolamentazione uniforme, es. nell’ap-prendistato) o alla cancellazione di precedenti rinvii (per la “libe-ralizzazione” di una disciplina o per la riduzione le tutele deilavoratori (143)) si accompagna il riconoscimento di altri spazi —nuovi — alle parti sociali a tutela dei prestatori (144) e, anche, perallentare le residue rigidità legali (145);

b) al silenzio dell’autonomia collettiva segue, in taluni casi,il riconoscimento esplicito della funzione sussidiaria della disci-plina legislativa (es. art. 6 commi 4, 5 e 6 in tema di clausoleelastiche e art. 31, comma 1 in materia di contingentamento disomministrazione a tempo indeterminato) (146). Ad un rinvio ex

(143) Si ricordano l’art. 20 d.lgs. 276/2003 (abrogato) sulla somministrazione dilavoro a tempo indeterminato, l’art. 24 c. 2 d.lgs. 276/2003 sul diritto di riunione deilavoratori somministrati dipendenti di una stessa agenzia.

(144) Artt. 16 (c. 1) e 34 (c. 1), con cui si rinvia alla contrattazione collettiva ilcompito di individuare la misura dell’indennità di disponibilità del lavoratore, intermittenteo somministrato, entro il limite minimo fissato da un d.m.; gli artt. 19 (c. 5) e 23 (c. 5) perl’individuazione delle modalità di adempimento dell’obbligo di informazione sui postivacanti ai lavoratori a termine e alle rsa — rsu. Ancora gli art. 31 (c. 2) e 35 (c. 3 e 8), suilimiti di contingentamento nella somministrazione di lavoro a tempo determinato, e diriconoscimenti economici.

(145) Per il secondo profilo, si vedano l’art. 3 in materia di mansioni (jus variandi),l’art. 7 c. 2, sul lavoro part-time, l’art. 23 c. 2 lett. a), in materia di contingentamento nelcontratto a termine. Si ricorda altresì l’art. 15 c. 2 (in materia di obbligo di informazione manell’ambito del lavoro intermittente) per il quale il legislatore individua una disciplina legalecompleta, per poi rinviare all’autonomia collettiva la possibilità di prevedere una regola-mentazione più favorevole.

(146) Non mancano modifiche di « alcune preesistenti norme legali di supplenza nelsenso del potenziamento delle norme sfavorevoli per il lavoratore e/o più aderenti ai bisognidi flessibilità delle imprese I commi 1 e 2 dell’art. 6 in tema di lavoro supplementare nelcontratto part-time (che superano la previsione di cui all’art. 3 co. 3 del d.lgs. 61/2000); l’art.19 co. 2 in tema di durata massima del lavoro a tempo determinato (che modifica quanto

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lege atto ad attribuire alle parti sociali il potere di decidere delfunzionamento di una disciplina legale (147), se ne preferisce unaltro in virtù del quale le parti non svolgono la funzione di vetoplayer nel funzionamento della disciplina legale, ma potrannooptare per la conclusione dell’accordo, ad esempio, al fine di nonperdere spazi regolamentativi. Oppure si prevede una regolamen-tazione ex lege autosufficiente e chiaramente suppletiva, affian-cata ad un rinvio alla contrattazione collettiva in chiave deroga-toria (facendo salve le diverse previsioni dei contratti collet-tivi) (148);

c) non mancano, tuttavia, compressioni del ruolo collettivoa vantaggio dell’autonomia individuale (o viceversa) (v. part-time).

Alla contrattazione collettiva vengono assegnate funzioni (fis-sazione delle causali di utilizzo, clausole di contingentamento evincoli procedurali) che condizionano o condizioneranno il ricorsoalle tipologie contrattuali (dall’apprendistato, al contratto a ter-mine, ecc..), così come spazi di manovra — in un disegno diespansione della flessibilità — sia in senso migliorativo che dero-gativo in pejus, percorrendo la strada già intrapresa nel 2011, (sipensi al demansionamento del lavoratore (149)), sia in sostituzione« del più oscillante e incerto filtro giudiziale » (in tema di man-

previsto dall’art. 5 co. 4 bis d.lgs. 368/2001 e, infine, il nuovo art. 2103 co. 7 c.c., in tema diassegnazione a mansioni superiori (che prevede un sistema di rinvio diverso rispetto a quellodi cui al vecchio art. 2103 II periodo c.c. » M. FALSONE, I rinvii alla contrattazione collettivanel d.lgs. 81/2015, cit.

(147) Si ricordano l’art. 7 c. 2 (modulazione periodo di prova, preavviso e comportonel part time); l’art. 23 c. 2 lett. a) (esenzione dal limite del numero complessivo dei contrattia tempo determinato), l’art. 34 c. 2 (proroga del termine del contratto di lavoro); l’art. 42c. 5 (possibilità di applicare la disciplina dell’apprendistato nel contratto di somministra-zione); l’art. 44 c. 2 e 5 (formazione apprendistato professionalizzante e, rispettivamente neicicli stagionali).

(148) Es. art. 19 (c. 2) sulla durata massima dei rapporti di lavoro a termine (inmancanza di contrattazione collettiva, deve essere pari a 36 mesi); artt. 23 (c. 1) e 31 (c. 1)sul rapporto fra lavoratori a termine e a tempo indeterminato e fra somministrati elavoratori in forze presso l’utilizzatore; art. 42 (c. 8) sul rapporto minimo fra apprendistiassunti e nuove assunzioni; art. 24 (c.1) sul diritto di precedenza nelle assunzioni stabili peri tempi determinati.

(149) Cfr. A. GARILLI, Flessibilità organizzativa e mansioni del lavoratore, in Carinci (acura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit., 581.

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sioni (150), di contratto a termine (151), di somministrazione dilavoro (152)).

Quanto affermato una decina di anni fa nell’analisi del d.lgs.276 del 2003, individuando una sequenza che aveva la propria basedi partenza negli interventi normativi degli anni ottanta-novantae la linea di arrivo nel decreto citato, potrebbe considerarsi ancoraattuale con riferimento alla riforma del biennio 2014-2015. Sipartiva allora da una contrattazione derogatoria in pejus « legitti-mata a ridimensionare la tutela legale, in una logica di meroabbattimento del costo lavoro, normativo ed economico »; si pas-sava ad una contrattazione regolativa « abilitata ad individuare odampliare le ipotesi di ricorso ad un contratto o ad un istituto, amodificare un dato regime legale, a fissare percentuali, a prevederecriteri, in una logica di governo del mercato di lavoro intra ed extraaziendale, con una progressiva conquista di autonomia ed auto-sufficienza della contrattazione gestionale ». Si giunge oggi ad unmodello che riscopre e rivaluta la classica ripartizione di funzionitra le fonti del diritto del lavoro: alla legge il compito di stabilirestandard di tutela che operano in assenza di contratto collettivo,alla fonte negoziale la funzione di integrare, ampliare, modificare,regolare nell’ambito del perimetro tracciato dal legislatore stesso oderogare anche in pejus la fonte normativa (153). Ciò, tanto da

(150) Ossia la possibilità per l’autonomia collettiva di « delimitare l’area del debitolavorativo — mediante il disegno dei vari livelli di inquadramento, al cui interno le mansionidel lavoro possono liberamente essere modificate — e sia ad individuare, in assenza diqualsivoglia limite causale, le ipotesi in cui è consentito al datore in via unilaterale dispostare il lavoratore a mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore », R.DE LUCA TAMAJO, Riflessioni sulla riforma del lavoro, in Carinci (a cura di), Jobs Act: un primobilancio, cit., 568. Sul punto v. anche la posizione critica di U. GARGIULO, Lo jus variandi nelnuovo art. 2013 cod. civ., in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT — 268/2015, secondo cui« il contratto collettivo potrà limitarsi a specificare o a esemplificare il dettato legislativo,per agevolarne l’utilizzo e ridurre i conflitti interpretativi: in questo senso il sindacato tornautile al legislatore [...] per tenere lontano il giudice ».

(151) Durata e contingentamento artt. 19, comma 2, 23, comma 1(152) Durata complessiva e percentuali di contingentamento e 31, commi 1 e 2, d.lgs.

n. 81/2015.(153) Forse a conferma di una certa confermata “liquidità” del rapporto tra legge e

contratto collettivo, diffuso su modelli diversificati di integrazione reciproca: cfr. F. MAR-TELLONI, Gerarchia liquida delle fonti del diritto del lavoro, in L. Corazza, L. NOGLER (a cura di),Risistemare il diritto del lavoro, Liber amicorum Marcello Pedrazzoli, 2012. La possibilità diuna deroga in pejus non sembrerebbe tuttavia confermata dai risultati di alcune recenti

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poter abbandonare le ormai classiche ripartizioni funzionali tracontratti collettivi delegati, per accedere a combinazioni diversedei modelli lasciate come detto, nei limiti di legge, alla più ampiadisposizione dell’autonomia collettiva.

Nel dare uno sguardo di maggior dettaglio a singoli istituti,peraltro incontrati anche nell’esame generale, paiono confermate lelinee di apertura alla contrattazione collettiva, seppure con signi-ficativi elementi differenziali a seconda del rinvio.

a) Part-time — Il termine “flessibilità controllata” contraddi-stinse la disciplina del lavoro a tempo parziale del 2000, sia sotto ilprofilo delle tipologie, sia dei soggetti collettivi chiamati ad auto-rizzare la stessa flessibilità. La storia della contrattazione collettiva(contratti collettivi nazionali o territoriali), decisamente valoriz-zata nell’intervento del 2000, si intreccia con quella delle clausoleelastiche e flessibili e, dopo aver vissuto alterne vicende, oggi« vede significativamente modificati i relativi caratteri e funziona-mento » (154). A partire dal 2000 il sistema delineato dal legislatoreha visto l’assegnazione di compiti specifici all’autonomia collettivae a quella individuale: alla prima era demandata la valutazione eautorizzazione della flessibilità da introdurre nel rapporto di la-voro, e al contratto individuale la manifestazione del consensoultimo (il c.d. modello a doppia chiave). Modello a doppia chiaveche, però, nell’arco di un quindicennio, ha subito revisioni orien-tate a diminuire il ruolo dell’autonomia collettiva a vantaggio diquella individuale, o a riportarla in auge, fino a potersi diredefinitivamente superato dalla riforma del 2015. Il legislatore delJobs Act non reintroduce la “funzione autorizzatoria del contrattocollettivo”, anzi ne riduce qui la funzione regolativa (155). Ne sonoesempio la disciplina del lavoro supplementare, delle clausole ela-

ricerche sui contratti vigenti (e siglati post d.lgs. 81/2015): come già in passato, prevalgonole regolamentazioni contrattuali che integrano in melius gli standard fissati dal legislatore:P. TOMASSETTI, Riordino delle tipologie contrattuali e contrattazione collettiva, cit., 342 ss.;AA.VV., Jobs Act: l’operatività del “Codice dei contratti” alla luce della contrattazione collettiva,in Working Paper ADAPT, 21 settembre 2015, n. 181.

(154) Cfr. L. CALAFÀ, Il lavoro a tempo parziale, in Carinci (a cura di), Commento ald.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, ADAPT e-book, 2015,n. 48, 102; C. ALESSI, La flessibilità della prestazione: clausole elastiche, lavoro supplementare,lavoro straordinario, in M. BROLLO (a cura di), Il lavoro a tempo parziale, 2001, 70 ss.

(155) V. L. CALAFÀ, Il lavoro a tempo parziale, cit., 107-108; A. TURSI, Jobs Act, cambiodi rotta nella contrattazione collettiva?, cit..

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stiche attribuite, per la loro regolamentazione in via principale, alcontratto collettivo, ma comunque esigibili da parte del datore dilavoro (in assenza di previsioni collettive) nel rispetto di quantosancito direttamente dal d.lgs. 81/2015 in via sussidiaria.

Le novità in tema di part-time confermano però gli orienta-menti anticipati dalla contrattazione collettiva diffusa nelleaziende più dinamiche e persino alcune proposte legislative deglianni 1996-98, non perfezionate per la fine del governo Prodi” (156).

b) Lavoro intermittente — Non dissimile è lo schema previstoper il lavoro intermittente. Rispetto ai precedenti interventi nor-mativi in materia sono poche le modifiche introdotte dal d.lgs.81/2015, inserite nell’assetto disegnato dalla riforma Fornero,prima, e Giovannini poi. Rimane intatto il compito affidato all’au-tonomia collettiva e, in via suppletiva, al Ministero del lavoro(decreto) nell’individuazione delle esigenze oggettive che legitti-mano il ricorso al lavoro intermittente. Tuttavia, a ben guardare,proprio nel primo comma della norma di riferimento gli elementi dicontinuità coesistono con quelli di rottura rispetto al testo deld.lgs. 276 del 2003: da una parte il contratto collettivo, dall’altra ilrapporto tra la fonte contrattuale e il decreto.

Stante il riferimento generico ed innominato ai contratti col-lettivi contenuto all’interno del primo comma dell’art. 13, siestende l’area dei prodotti dell’autonomia collettiva legittimati adisciplinare tali ipotesi, secondo il riferimento ampio dell’art. 51.Per quanto attiene al secondo aspetto “di rottura”, mutano irapporti tra il contratto collettivo e il decreto del Ministero dellavoro, proseguendo sulla strada maestra che domina il Jobs act(contratto collettivo e, in via suppletiva, l’intervento normativo):abrogato l’art. 40 d.lgs. 276 del 2003 viene meno quella « sorta diprocedimentalizzazione dell’intervento ministeriale » che si av-viava in caso di inerzia della contrattazione collettiva e prevedeva,in primis, la convocazione delle oo.ss dei datori e prestatori dilavoro interessate innanzi al Ministro del lavoro sì da assisterle alfine di promuovere l’accordo, e, solo nel caso in cui il fine non fossestato raggiunto entro i quattro mesi successivi, il Ministro erachiamato ad individuare in via provvisoria e con decreto i casi di

(156) T. TREU, Le riforme del lavoro: una retrospettiva per analizzare il Jobs Act, inCARINCI (a cura di), Adapt e-book, 2015, n. 54, 11.

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utilizzo del lavoro intermittente. (157) Ora, all’assenza di previ-sioni contrattuali, si provvede direttamente con il decreto delMinistro del lavoro, non più provvisorio e senza alcuna funzione dimediazione o “stimolo” da parte dell’autorità Governativa verso leparti sociali. Il che potrebbe essere visto come una “sottrazione dispazio alle organizzazioni sindacali” (158), ma anche come vianecessaria per garantire, in tempi più rapidi, l’individuazione delleesigenze oggettive che legittimano il ricorso a questa forma con-trattuale.

Ovviamente gli ambiti concessi all’autonomia negoziale collet-tiva sono delimitati dalla cornice della legge che, anche in questocaso, ne fissa i requisiti. Nulla cambia rispetto al passato anche conriferimento all’indennità di disponibilità, la cui misura è rimessaalla determinazione dei contratti collettivi (v. art. 51), ma comun-que non inferiore all’importo fissato dal Ministero del lavoro sen-tite le associazioni sindacali comparativamente più rappresenta-tive sul piano nazionale.

c) Collaborazioni coordinate e continuative — Era, quello dellecollaborazioni a progetto, un luogo ove il legislatore della riformaMonti-Fornero aveva inteso valorizzare il ruolo dell’autonomia col-lettiva, allo scopo di limitare il ricorso alla tipologia contrattuale, inparticolare nella determinazione del compenso del lavoratore a pro-getto, con l’invito ad una contrattazione specifica per questi lavo-ratori. Si rilevava, quale aspetto interessante della disposizione, laprospettiva di una inedita aggregazione sindacale professionale diquesti lavoratori autonomi, con una “contrattazione specifica” svi-luppata sul volano dei trattamenti economici (159).

Ma proprio qui è intervenuta l’abrogazione del Jobs Act. Inprimo luogo occorre rilevare la conferma in capo all’autonomiaindividuale privata del potere di regolare — in via speciale rispettoalle previsioni contenute nel codice civile ed alle ipotesi eccezionaliespressamente previste dal legislatore — forme di lavoro autonomocoordinato e continuativo a tempo indeterminato senza progetto.Accanto, si esclude l’applicazione del primo comma dell’art. 2 nei

(157) P. ALBI, Lavoro intermittente, in Carinci (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, ADAPT e-book, 2015, n. 48, 127 ss.

(158) Peraltro già sostenuta con riguardo alla regolamentazione precedente: G.CENTAMORE, Una critica all’inderogabilità unilaterale, cit., 504.

(159) M. RUSCIANO, Contrattazione e sindacato, cit., 1290.

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confronti delle « collaborazioni per le quali gli accordi collettivinazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente piùrappresentative sul piano nazionale (160) prevedono disciplinespecifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, inragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative delrelativo settore », sì da ritenere applicabile solo in via sussidiaria(nel silenzio della contrattazione collettiva) la disciplina per illavoro subordinato (161), con riferimento al trattamento econo-mico e normativo (162). La tecnica utilizzata da legislatore sembraopposta: si applica il decreto (regola), salvo il caso in cui vi sianoaccordi collettivi che prevedono discipline specifiche in materia ditrattamenti economico e normativi (eccezione); ma assolutamentegiustificata, nella considerazione per cui nel passaggio ad un mo-dello di tutela rafforzato risultano ragionevoli regimi di tipo con-venzionale « modulati nelle tempistiche e nelle discipline di ge-stione del rapporto, con l’evidente esigenza di garantire la salva-guardia delle imprese e, quindi, della occupazione » (163).

Restando naturalmente sullo sfondo la fondamentale ma diri-mente questione (164) per cui, in ragione della nota regola costi-

(160) Sul punto si segnala l’osservazione relativa al “nodo” irrisolto, ma noto, dellarappresentatività delle organizzazioni sindacali che dovrebbero stipulare tali accordi per ilavoratori autonomi, nonché le considerazioni relative all’opportunità o meno di addivenirea tali accordi per le parti contrapposte. V. G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazionee le collaborazioni continuative e coordinate, in F. CARINCI (a cura di), Commento al d.lgs. 15giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, ADAPT e-book, 2015, n. 48, p.17; L. IMBERTI, Mi dispiace ma non sei il mio tipo (quando la contrattazione collettiva nazionalerifiuta il lavoro etero-organizzato, Paper presentato al Convegno di studi internazionale “Lacontrattazione collettiva nello spazio economico globale”, Bologna, 19-20 febbraio 2016.

(161) Sui cui contenuti v. L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81/2015: allaricerca dell’« autorità del punto di vista giuridico », in ADL, 2016, 47 e ss.; A. PERULLI, Il lavoroautonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP“Massimo D’Antona”, n. 272/2015.

(162) Tra i settori interessati dall’esclusione menzionata, forse proprio introdotta pereffetto di discipline negoziali già esistenti, si ricordano i call-center (richiamando, adesempio, gli accordi siglati in passato dalle tre confederazioni storiche dei lavoratori,allorquando, modificato nel 2012 l’art. 61 del d.lgs. 276/2003, l’uso del contratto a progettoera possibile solo in presenza di accordi collettivi regolanti il trattamento economico deilavoratori a progetto.

(163) R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP“Massimo D’Antona”, n. 282/2015, 14.

(164) Da ultimo v. A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata: fattispecie e disci-plina, in WP “Massimo D’Antona”, 296/2016, specie 26 e ss.

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tuzionale dell’indisponibilità del tipo contrattuale, gli spazi nego-ziali sono condizionati dal “se” l’art. 2, c. 1 del d.lgs. n. 81/2015abbia condotto o meno ad una ridefinizione (estensiva) della fat-tispecie del lavoro subordinato (165), è interessante rilevare comeil contratto collettivo nazionale sia inteso qui come modalità diapproccio ampio alla finalità di esclusione della disciplina dellavoro subordinato per le collaborazioni etero-organizzate, quindinon solo in chiave di deroga al dato legale. Nella norma dell’art. 2,c. 2, lett. a) non vengono in considerazione solo le esigenze delleimprese in determinati settori, ma presupposto dell’esclusione è(anche) la capacità del contratto collettivo nazionale di predisporreuna regolamentazione integrale dei rapporti esclusi, sia sotto ilprofilo economico che sotto il profilo normativo (166).

La legge dunque incentiva discipline innovative per l’autono-mia negoziale (167), nelle quali può in definitiva essere stabilito sela regolamentazione prevista per legge delle collaborazioni etero-organizzate risulti sostenibile economicamente in determinati set-tori (168), fra l’altro rese da parte di soggetti (comparativamentepiù) rappresentativi che sono selezionati attraverso i criteri diaccertamento della rappresentatività negoziale consolidati nel-l’ambito delle strutture sindacali organizzate per il lavoro dipen-dente, e dunque secondo i vincoli del T.U. del 2014 (169).

(165) Per i termini della questione e per le diverse posizioni, v. A. PERULLI, Il lavoroautonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP“Massimo D’Antona”, n. 272/2015; P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015: una normaapparente?, in ADL, 2015, 1130; L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015: allaricerca dell’« autorità del punto di vista giuridico », cit., 47 ss.

(166) Ragione per cui « in assenza di una completa regolamentazione da partedell’autonomia collettiva, che garantisca ai prestatori una disciplina del rapporto, questinon potranno dirsi esenti dall’applicazione delle norme relative ai rapporti di lavorosubordinato »: v. A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioniorganizzate dal committente, in WP “Massimo D’Antona”, n. 272/2015.

(167) Le prime esperienze dimostrano, contrariamente a quanto ritenuto all’avventodella norma, un certo attivismo della contrattazione nazionale, non solo nella conferma diassetti già precedentemente negoziati: cfr. M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordi-nazione nel d.lgs. n. 81/2015, in WP “Massimo D’Antona, 294/2016, 19.

(168) L. IMBERTI, Mi dispiace ma non sei il mio tipo (quando la contrattazione collettivanazionale rifiuta il lavoro etero-organizzato, cit.

(169) Sull’esperienza della selezione dei sindacati comparativamente più rappresen-tativi in ambito nazionale per i CCNL dei collaboratori outbound v. E. VILLA, Crisi dellafunzione anticoncorrenziale, del contratto nazionale, cit., 9.

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d) Somministrazione — Rientra nella disponibilità del con-tratto collettivo la variazione (in tutti i sensi) del tetto dei limitiquantitativi al ricorso alla somministrazione a tempo indetermi-nato, fissati ex lege al 20% del numero dei lavoratori a tempoindeterminato; diversamente è rimessa per intero all’autonomiacollettiva la fissazione dei limiti quantitativi per la somministra-zione a termine (170). Rimane invariata, di massima, la disciplinarelativa ai divieti fatta eccezione per la sottrazione all’autonomiacollettiva della disponibilità (in chiave derogatoria) nei casi dilicenziamento collettivo (allorquando si sia proceduto a licenziareex lege 223/1991 nei sei mesi precedenti, salvo che il contratto disomministrazione sia stato concluso per provvedere alla sostitu-zione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiorea tre mesi) e fruizione della cassa integrazione guadagni (o ridu-zioni di orario), conformemente a quanto previsto per il contrattoa termine.

e) Lavoro a tempo determinato — Anche in questo caso ilrapporto fra legge e contratto collettivo presenta allo stesso tempoelementi di continuità e di rottura con il passato. Nessuna varia-zione per quanto concerne i rinvii alla contrattazione collettiva (daintendersi sempre come contratti collettivi nazionali, territoriali oaziendali ex art. 51) nella determinazione delle eccezioni o esclu-sioni all’applicazione delle norme (art. 19, comma 2). Si conferma(con qualche piccola novità) rispetto al 2001 la delega alle partisociali nell’individuazione delle modalità con cui rendere ai lavo-ratori a termine le informazioni (senza alcun riferimento ai dirittidi precedenza) sulle vacanze in organico disponibili nella realtàproduttiva (art 19, ultimo comma). Le informazioni, relative atutti i posti e non solo a quelli duraturi nel tempo, dovranno essererese non solo ai lavoratori ma anche alle Rsa ed Rsu, con unevidente allargamento, verso le istanze rappresentative dei lavo-ratori, del ventaglio dei destinatari. Analogamente si rinvia ai(diversi) contratti collettivi la possibilità di derogare al “limitequantitativo del 20% di contratti a termine stipulabili da ognidatore” (possibilità non più concessa unicamente al livello nazio-nale, ma appunto a tutti i contratti collettivi previsti dall’art. 51

(170) In questo caso spesso la disciplina del contratto di somministrazione risulta dicompetenza del contratto collettivo nazionale, lasciando al secondo livello alcune previsioniin materia di contingentamento.

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d.lgs. 81/2015) (171) (172), nonché di derogare alle disposizioninormative in tema di “diritto di precedenza”. Si conferma (rispettoall’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 368/2001 oggi abrogato) la competenzadella contrattazione collettiva nella definizione delle modalità estrumenti volti ad agevolare l’accesso dei lavoratori a termine aipercorsi formativi.

Un elemento di discontinuità rispetto al passato si rinvieneindirettamente nel “limite dei 36 mesi”, riferentesi prima ai con-tratti stipulati per lo svolgimento di mansioni equivalenti, ora « incoerenza con la nuova disciplina dello jus variandi » (173), aicontratti stipulati per mansioni di pari livello e categoria legale,con conseguente trasferimento all’autonomia collettiva del “po-tere” di individuare i margini entro i quali potrà essere esercitatala prerogativa del datore di lavoro. Se da una parte si amplia lospazio riconosciuto alle parti sociali (si considerino tutti i rilieviprecedentemente svolti), dall’altra lo si restringe (con un cambio dirotta rispetto al passato) in riferimento sia alla determinazionedella durata “dell’ulteriore contratto” stipulabile una volta supe-rato il limite dei 36 mesi non più di competenza dei contratticollettivi stipulati da sindacati comparativamente più rappresen-

(171) Si sollevano in dottrina diversi dubbi in relazione ai limiti entro i quali lacontrattazione collettiva può derogare il limite legale del 20%. Il problema già evidenziatoin relazione al decreto Renzi-Poletti è « risolto sia nel senso della possibilità di conservare ointrodurre limiti superiori o inferiori [M. MAGNANI, La disciplina del contratto di lavoro a tempodeterminato: novità e implicazioni sistematiche, in WP “Massimo D’Antona” — IT, 2014, n.212, 6; A. PANDOLFO, P. PASSALAQUA, Il nuovo contratto di lavoro a termine, Giappichelli, 2014,38; R. SANTUCCI, I vincoli sistematici (costituzionali) al contratto a termine a-causale, in F.CARINCI (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi, cit. 226], sia nel sensodell’impossibilità di fissare limiti superiori al 20% » [P. CAMPANELLA, Vincoli e sanzioni nelricorso al contratto a termine: forma e tetti agli organici, in F. CARINCI (a cura di), La politicadel lavoro del Governo Renzi, cit., 180; C. ALESSI, La difficile convivenza della legge e dellacontrattazione collettiva nella disciplina del contratto a tempo determinato, in F. Carinci e G.Zilio Grandi (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi. Atto I. Commento al d.l. 20marzo 2014, n. 34 coordinato con la legge di conversione 16 maggio 2014, n. 78, cit., 96-97] cfr.L. MENGHINI, Il contratto a tempo determinato, in Carinci (a cura di), Jobs Act: un primobilancio, cit. 294.

(172) In genere, se la tipologia contrattuale viene regolata dalla legge e dal livellonazionale di contrattazione collettiva, le clausole di contingentamento — come quelle sullaprecedenza, sulle percentuali e criteri di stabilizzazione sono maggiormente oggetto dellanegoziazione aziendale. Sul punto v. P. TOMASSETTI, Riordino delle tipologie contrattuali econtrattazione collettiva, cit., 344-345

(173) M. BROLLO, Disciplina delle mansioni, cit. 69 ss.

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tativi sul piano nazionale, ma fissata direttamente dal decreto (art.19, comma 3); sia sul piano della procedura. Con riferimento aquest’ultimo aspetto, la stipula dell’“ulteriore contratto” dovràavvenire innanzi alla DTL, ma senza la necessaria imprescindibileassistenza del rappresentante del sindacato (cui il prestatore èiscritto o conferisce mandato) (174). Il limite massimo dei trentaseimesi — a cui si è fatto cenno già in apertura — può essere derogatoad opera della contrattazione collettiva: tale possibilità viene vistacome un esempio riconducibile al modello della « derogabilità inpejus della legge da parte del contratto collettivo: modello affer-matosi prepotentemente negli ultimi (almeno) 30 anni, e “subli-mato” nell’art. 8 della legge n. 148/2011 » (175).

Passando ai divieti di stipula dei contratti a tempo determi-nato, l’art. 20 alle ipotesi tradizionali (mantenute senza variazione)affianca l’eliminazione della possibilità di deroga concessa allacontrattazione collettiva nei casi di licenziamenti collettivi avve-nuti nei 6 mesi precedenti, eliminazione che si presta ad essere lettasia quale « sottrazione di funzioni al sindacato » (176), sia nelrispetto della ratio sottesa alla legge n. 223/1991.

f) Apprendistato — Nel vaglio del rapporto fra legge e con-tratto collettivo in materia di apprendistato occorre, in primis,soffermarsi sulla disciplina generale (art. 42) riscontrandosi undifferente riparto di competenze rispetto a quanto previsto nellanormativa precedente e da ultimo nel T.U. del 2011. Alcuni aspettiprecedentemente regolati nelle linee generali dalla legge e nelparticolare dall’autonomia collettiva, oggi vengono assegnati di-rettamente alla legge (obbligo della forma scritta, con il pianoformativo, durata minima, disciplina del recesso in costanza dirapporto (177), e a scadenza del periodo formativo — art. 42 primi

(174) Sul punto, critico verso la riforma, L. MENGHINI, Lavoro a tempo determinato, inCarinci (a cura di) Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jusvariandi, Adapt e-book, 48, 172.

(175) A. TURSI, Jobs Act, cambio di rotta nella contrattazione collettiva?, cit., modellorisultante, però, già dalla legge n. 92/2012, e poi dal d.l. n. 34/2014, convertito dalla legge n.78/2014.

(176) L. MENGHINI, Lavoro a tempo determinato, cit., 173.(177) La sottrazione di questa materia all’autonomia collettiva potrebbe essere letta

come una chiara volontà di “tutelare” le riforme in materia di licenziamento illegittimoapprovate con il d.lgs. n. 23/2015. Ma « la riuscita di una simile operazione [...] è alquantodubbia, almeno nella sua seconda parte. Il campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015,

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4 commi). Il ritorno alla competenza legislativa non deve leggersinecessariamente come una espropriazione o perdita di spazi per leorganizzazioni sindacali, quanto come un passo utile a garantireuna disciplina uniforme su « aspetti che mal tollerano una disci-plina differenziata a livello autonomo » (178) e che in passatoavevano manifestato i propri limiti. Si confermano, rispetto allariforma Fornero, le previsioni in materia di stabilizzazione degliapprendisti, le quali, fissate ex lege, varranno, però, per apprendistiassunti in apprendistato professionalizzante. La contrattazionecollettiva potrà disporre limiti differenti così come ha la possibilitàdi « definire forme e modalità per la conferma in servizio, senzanuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine delpercorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendi-stato », come chiarito dalla lett. h del comma 5 dell’art. 42 del d.lgs.n. 81/2015 (179).

Per gli standard formativi rileva l’assegnazione ad un decretodel Ministro del lavoro (di concerto con il Ministro dell’istruzione,dell’università e della ricerca e del Ministro dell’economia e delle

infatti, si estende, secondo quanto riportato al comma 1 dell’art. 1, ai « lavoratori cherivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subor-dinato a tempo indeterminato » a decorrere dal 7 marzo del 2015. Ora, appare evidente chegli apprendisti sono lavoratori assunti sì a tempo indeterminato, ma che conseguiranno laqualifica solo al termine del periodo formativo, durante il quale quindi non si applicano ledisposizioni del d.lgs. n. 23/2015 », v. M. TIRABOSCHI, L’apprendistato dopo il Jobs Act, inCarinci (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit. 314; M. TREMOLADA, Il campo diapplicazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in F. CARINCI e C. CESTER (a cura di), Illicenziamento all’indomani del d.lgs. n. 23/2015 (contratto di lavoro a tempo indeterminato atutele crescenti), ADAPT University Press, 2015, 2-28.

(178) Così D. GAROFALO, L’apprendistato nel d.lgs. 81/2015, in F. CARINCI (a cura di)Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapte-book, 48, 256; contra M. TIRABOSCHI, L’apprendistato dopo il Jobs Act, cit., 307-308,evidenziando come il quadro delineato nel d.lgs. 81 riduca « lo spazio di azione delle partisociali e accentra, di fatto, alcuni aspetti della regolamentazione dell’istituto che rischianoora una standardizzazione di taglio fordista che non solo appare lontana dalle esigenze evocazioni dei diversi mercati locali del lavoro, ma che si pone anche in chiara controten-denza rispetto all’emergere, nella letteratura pedagogica, di un modello formativo indivi-dualizzato e incentrato sugli esiti piuttosto che sulla struttura e i processi dei percorsi diapprendimento ».

(179) Ben potrà accadere, come di recente avvenuto, che l’autonomia collettiva“stringa” i lacci delle previsioni legislative in materia di stabilizzazioni (cfr. AA.VV. Lastabilizzazione degli apprendisti: tra vincoli di legge (abrogati) e previsioni contrattuali,Working Paper ADAPT, 2014, n. 154).

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finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per irapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento eBolzano) del compito di fissare gli standard formativi dell’appren-distato, che costituiscono livelli essenziali delle prestazioni ai sensidell’articolo 16 del decreto legislativo n. 226 del 2005, in luogo dellaprecedente competenza dei contratti collettivi. Non muta nulla,invece, nel rapporto tra le fonti sul piano della disdettabilità delcontratto al termine del periodo formativo di competenza, oracome allora di competenza del legislatore, così come per la restantedisciplina del contratto affidata, nel rispetto di principi “cornice”,ad accordi interconfederali o ai contratti collettivi nazionali dilavoro stipulati — ecco la novità — dalle associazioni sindacalicomparativamente più rappresentative sul piano nazionale (180).In questo caso il legislatore rinuncia al rinvio generico all’autono-mia collettiva (ex art. 51) per individuare un livello specifico dicontratto collettivo, ma con il medesimo criterio di selezione deisoggetti negoziali abilitati, la cui lettura, per quanto sopra argo-mentato, deve appunto accedere alle regole fissate nell’ordina-mento sindacale.

Per quanto concerne le singole tipologie di apprendistato rileval’attribuzione (sia per il primo che per il terzo tipo) alla contrat-tazione collettiva (contratti collettivi ex art. 51) della possibilità diderogare (« diverse previsioni dei contratti collettivi », da ritenersiquindi sia in melius che in peius) alla previsione legale relativaall’obbligazione economica connessa alle ore di formazione. Ana-logamente l’autonomia collettiva — per le regioni e le provinceautonome di Trento e Bolzano che abbiano definito un sistema dialternanza scuola-lavoro — può derogare alla disciplina del decretoper lo svolgimento di attività stagionali attraverso la conclusionedi contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali (deiprestatori e dei datori) comparativamente più rappresentative sulpiano nazionale. Unica differenza rispetto al passato (2011) attienealla fonte, per la quale non sembra richiedersi che si tratti di uncontratto di lavoro, e ai soggetti non più “da associazioni sinda-cali” ma “dalle associazioni” (sostituzione che, con scarso coordi-namento tecnico interno, discosta la norma anche dal contenuto

(180) Nella disciplina precedente il rinvio era fatto ai contratti collettivi nazionalistipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

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dell’art. 51 d.lgs. 81/2015 ove è esplicito il richiamo alla preposi-zione “da”) (181).

Nell’apprendistato professionalizzante, dettati i principi gene-rali e uniformi, si devolve l’ulteriore regolamentazione all’autono-mia collettiva ma con esplicita previsione che vale ad escludere l’ap-plicazione della norma generale contenuta nell’art. 51: per la duratae modalità dell’erogazione della formazione in ragione della quali-ficazione da conseguire, per la durata del contratto anche minimasono competenti i livelli interconfederali e nazionali; per l’appren-distato a termine per le attività a cicli stagionali è competente uni-camente il livello nazionale. Questa scelta è coerente con l’idea diassegnare una funzione regolatrice (uniforme, secondo il mio parere)dell’istituto alla contrattazione collettiva, funzionenonperseguibileattraverso l’attribuzione di una competenza in materia al contrattodi secondo livello. Non è consentito ai contratti collettivi — rispettoal passato — prevedere differenziazioni nella regolazione di profiliassegnati con riferimento all’età dell’apprendista.

g) Le mansioni — Maggiore interesse suscita e susciterà nellaapplicazione, anche sotto il profilo delle relazioni collettive (182),l’art. 3 del d.lgs. 81/2015 circa la “disciplina delle mansioni”. Illegislatore, nel riformare l’art. 2103 c.c. — senza menzionare l’art.13 della L. n. 300 del 1970 e quindi bypassando, forse neppuretroppo inconsciamente, il valore intrinseco assunto dalla normanella disciplina dei rapporti di lavoro del diritto statutario —prevede forti aperture all’autonomia collettiva (183), nonché aquella individuale (ma assistita nelle sedi protette), con il fine dirimuover vincoli e rigidità uniformi (184). Rinvii che, secondo

(181) Sul punto è stato ampio il dibattito a partire dal d.lgs. 276/2003: v. D.GAROFALO, L’apprendistato nel d.lgs. 81/2015, in F. CARINCI (a cura di) Commento al d.lgs. 15giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, cit., 286; ID., Gli interventilegislativi sul contratto di apprendistato successivi al t.u. del 2011, in DLRI, 2014, n. 143, 427e ss.

(182) Per ogni altro aspetto regolativo, su questo e su altri temi del Jobs Act, si rinviaalla relazione di EMILIO BALLETTI.

(183) Cfr. U. GARGIULO, Lo jus variandi nel nuovo art. 2103 cod. civ., cit., 634, secondocui è la stessa operatività della norma ad essere subordinata alle previsioni dei contratticollettivi.

(184) Così M. BROLLO, Lo Jus variandi, in F. CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primobilancio — Atti del XI Seminario di Bertinoro-Bologna del 22-23 ottobre 2015, ADAPT LabourStudies e-Book series, n. 54, 233.

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parte della letteratura, riconoscerebbero alla contrattazione collet-tiva la possibilità di estendere gli effetti della regola ad altri casi,così come di optare — con riferimento al comma 4 — per nonallargare le ipotesi di jus variandi in peius o per una riduzione deiconfini della fattispecie legale della “modifica degli assetti organiz-zativi” (185).

La tecnica utilizzata è quella del rinvio esplicito alla contrat-tazione collettiva (186): nulla indicando l’art. 3, in via sussidiaria esecondo il meccanismo sopra descritto in riferimento ai livellicontrattuali, trova applicazione infatti l’art. 51 d.lgs. n. 81/2015 sìda intendere ogni riferimento ai contratti collettivi nazionali,territoriali o aziendali stipulati dai soggetti selezionati dallanorma.

L’articolo, come detto, apre all’autonomia collettiva sia attra-verso rinvii espliciti che impliciti, ovvero ai contratti collettiviindividuati dall’art. 51 nel primo caso e, a rigor di logica, aqualsiasi contratto collettivo nel secondo. Con riguardo al rinvioimplicito, è da considerare il primo comma concernente la mobilitàc.d. orizzontale. In luogo del vecchio criterio dell’equivalenza, incui alla contrattazione collettiva era riservato un ruolo marginale,il legislatore prevede quello delle “mansioni riconducibili allostesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultimeeffettivamente svolte”, richiamando implicitamente la fonte nego-ziale collettiva, storicamente deputata alla definizione dei sistemidi inquadramento. La contrattazione collettiva (con la sua scalaclassificatoria, con il suo sistema di inquadramento chiamato nonsolo a fissare la controprestazione del datore di lavoro, ma anche a« determinare l’area del debito di prestazione del lavoratore » (187))potrà così svolgere un ruolo da protagonista nella determinazione

(185) Sul punto si veda M. FALSONE, I rinvii alla contrattazione collettiva nel d.lgs.81/2015, cit.

(186) Nella legge delega la modifica dell’inquadramento — come ricorda M. BROLLO,Disciplina delle mansioni, in CARINCI (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: letipologie contrattuali e lo jus variandi, cit. 35 — è affidata alla doppia fonte legge econtrattazione collettiva (quest’ultima anche di secondo livello), « contrattazione collettivaqualificata dalla selezione dei soggetti stipulanti (le sole organizzazioni sindacali dei lavo-ratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o livello interconfederaleo di categoria).

(187) F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni conte-nuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in

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del duplice parametro — livello e categoria — utile per la disciplinadello jus variandi orizzontale e non solo, della flessibilità organiz-zativa e semplificazione gestionale, sottraendo così spazio allaverifica giudiziale (188).

Di fatto si tratta di un innesco legislativo per una revisioneampia e compresa dei sistemi di inquadramento professionaleprevisti dai contratti collettivi, da aggiornare anche in funzione delruolo oggi attribuito all’autonomia collettiva da parte della nuovaformula dell’art. 2103 c.c. (189): processi negoziali senz’altro com-plessi, nei quali per i quali prove di dialogo appaiono prefigurarsisul versante sindacale, anche oltre il dato legislativo, con recuperodi spazi da parte della contrattazione rispetto all’autonomia indi-viduale (190).

Una scelta, quella compiuta dal legislatore in questo contesto,che richiama alla mente il pubblico impiego con l’art. 52, primocomma, d.lgs. 165/2001 il quale affida ai sistemi di inquadramentola definizione e l’ambito dello jus variandi datoriale in sensoorizzontale (191).

materia di rapporto di lavoro, in WP “M. D’Antona”, n. 257/2015, 8; M. BROLLO, Disciplinadelle mansioni, cit., 56

(188) Appare chiara la volontà di affidare alle parti sociali il governo della flessibilitàin sostituzione di quel che è stato definito il « più oscillante e incerto filtro giudiziale », R. DE

LUCA TAMAJO, Riflessioni sulla riforma del lavoro, in CARINCI (a cura di), Jobs Act: un primobilancio, cit., 570

(189) Cfr. A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilità organizzativae tutela del prestatore di lavoro, in DLRI, 2016, 135 secondo cui gli attuali sistemi diclassificazione risultano spesso inadatti a svolgere il compito demandato dalla legge,« perché o a maglie troppo larghe o con declaratorie e profili incoerenti con i mestieri e leprofessioni richiesti dai nuovi modelli organizzativi ».

(190) Cfr. il citato Accordo CGIL-CISL-UIL del 14 gennaio 2016 per il quale « apartire da quanto già disciplinato dai CCNL, è necessario ricondurre alla contrattazione lenorme sulle mansioni, che il d.lgs. 81 ha affidato ad accordi individuali ».

(191) Sul punto v. A. GARILLI, La nuova disciplina delle mansioni tra flessibilitàorganizzativa e tutela del prestatore di lavoro, cit., 134, per il quale il precedente del pubblicoimpiego ha « suggestionato » il Jobs Act. Il rinvio alla contrattazione collettiva era ancora piùesplicito nella versione dell’art. 52, c. 1 d.lgs. n. 165/2001 prima della novella di cui all’art.62 d.lgs. n. 150/2009: si diceva infatti « Il prestatore di lavoro deve essere adibito allemansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito dellaclassificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti allaqualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo profes-sionale o di procedure concorsuali o selettive », mentre ora il riferimento è solo « allemansioni equivalenti nell’area di inquadramento » (c.vo nostro). Bisognerà verificare, anche

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Rinvii espliciti all’autonomia collettiva si rinvengono con rife-rimento alla variazione delle mansioni in senso verticale. Il prin-cipio generale fissato dalla legge per lo jus variandi in pejus divienederogabile nei (tre) casi espressamente individuati dal legislatorestesso, tra i quali si ricorda quello affidato agli accordi collettivi.Ivi il richiamo è esplicito e generico ai “contratti collettivi”, sì daconsentire appunto il rinvio mobile all’art. 51 del decreto legisla-tivo stesso: il legislatore valorizza il ruolo del sindacato nell’am-pliamento dell’area di mobilità verticale legittima (demansiona-mento) coll’assegnare all’autonomia collettiva il compito di defi-nire le “ulteriori ipotesi”, ma, come rilevato in dottrina, lo fa« cambiandone il senso tradizionale di marcia » (192). In questeipotesi la professionalità del lavoratore potrà cedere non innanzi al“bene” del singolo (ossia ad es. la tutela dell’occupazione del lavo-ratore davanti alla modifica degli assetti organizzativi), ma all’“in-teresse generale all’occupazione”, richiamando così alla mentequanto già previsto dall’art. 4 comma 11 l. n. 223/1991 (193);inoltre lo spazio di intervento della contrattazione aziendale risultaestremamente ampio dal punto di vista dei presupposti, in ragionedella altrettanto ampia nozione di « modifica degli assetti organiz-zativi aziendali » di cui all’art. 3, c. 2 del decreto legislativo.

Il “potere” assegnato alla contrattazione collettiva viene cosìampliato ma, comunque, regolato, affiancandosi a tale valorizza-zione una serie di garanzie legali (commi 4 e 5), oltre a risultareinderogabile per la via contrattual-collettiva il limite delle man-sioni appartenenti al « livello di inquadramento inferiore purchérientranti nella medesima categoria legale ».

rispetto al nuovo art. 2103 c.c., se i Giudici, nella “riconducibilità delle mansioni”, sisentiranno vincolati alle preposizioni dei contratti collettivi, e ciò guardando agli esititalvolta non uniformi al dato legale nell’esperienza della giurisprudenza di merito per ilsettore pubblico: alcune pronunce sembrano infatti sostenere il principio di equivalenzaformale delle mansioni stabilito dai contratti collettivi (cfr. Cass., 11 maggio 2010, n. 11405,in RIDL, 2011, 1, 14 e ss., con nota di A. TAMPIERI, L’equivalenza delle mansioni nel lavoropubblico); altre, non mancano di avallare la necessità di una valutazione in concreto delcontenuto professionale della mansione al di là delle previsioni contrattuali, secondo lamatrice giurisprudenziale formatasi sull’art. 2103 c.c. nella formulazione statutaria (Cass.,16 giugno 2009, n. 13941, in FI, 2009, 9, I, c. 2333). Sul tema amplius L. SGARBI, Mansionie inquadramento dei dipendenti pubblici, Cedam, Padova, 2004, 199 ss.

(192) M. BROLLO, Disciplina delle mansioni, cit., 58; U. GARGIULO, Lo jus variandi, cit.,636.

(193) Ancora v. M. BROLLO, Disciplina delle mansioni, cit., 73.

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Non ci si sofferma sulle ulteriori ipotesi di variazione verso ilbasso possibili a seguito della stipulazione di accordi individuali,per le quali rileva unicamente — in questo contesto dedicato alversante sindacale — il ruolo di assistenza che può essere svolto darappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderi-sce o conferisce mandato, nelle sedi di cui all’articolo 2113, quartocomma, o avanti alle commissioni di certificazione (194).

Un ruolo privilegiato viene invece assegnato alla contratta-zione collettiva nello ius variandi in melius. L’individuazione delperiodo oltre il quale diviene definitiva l’assegnazione a mansionisuperiori è, in prima battuta, assegnata ai contratti collettivi (giàchiamati a questo compito nel passato) ma senza l’indicazione diun tetto o di una soglia. Solo nel caso in cui i prodotti dell’auto-nomia collettiva ex art. 51 nulla prevedano in merito, è la leggestessa — ancora una volta in via suppletiva e residuale — adindicare il periodo di sei mesi continuativi (195): periodo che, a mioparere, stante la ratio di tutela e riconoscimento della professiona-lità che continua ad alimentare la disposizione codicistica, purnell’allungamento del termine legale (ma forse proprio in ragione diciò), non può essere derogato in senso peggiorativo e quindi esten-sivo da parte della contrattazione collettiva (196).

Sulla disciplina delle mansioni può essere infine sperimentatala questione della concorrenza di rinvii alla contrattazione diprossimità tra l’art. 8 della l. n. 148/2011 (197) e l’art. 3 del d.lgs.n. 81/2015. Pare potersi affermare che il sopravvenire della disci-plina dell’art. 3 del decreto legislativo 81/2015, puntuale conriguardo ai limiti posti alla contrattazione anche di livello azien-dale, determini qui l’impossibilità di utilizzo del rinvio dell’art. 8 l.n. 148/2011, in quanto assorbito da quello della norma successivadel Testo Unico dei contratti di lavoro: la nozione ampia di « modificadegli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del

(194) Ma v. quanto riportato retro alla nota 190.(195) Ulteriori spazi si segnalano per l’individuazione del periodo rispetto ad attività

discontinue, o con compiti professionalmente e qualitativamente differenti: cfr. U. GAR-GIULO, Lo jus variandi, cit., 637.

(196) Prospettiva invece prefigurabile data l’assenza di limiti in tal senso da U.GARGIULO, Lo jus variandi, cit., 637.

(197) Nella parte in cui ammette la contrattazione di prossimità in deroga inrelazione « alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del lavoratore »nella ricorrenza dei presupposti legittimanti di cui allo stesso art. 8.

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lavoratore » dell’art. 3, assorbe infatti e ricomprende quelle relative« alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimentie all’avvio di nuove attività » di cui all’art. 8, svolgendo conmaggiore equilibrio un bilanciamento tra interessi nel definire ilimiti della deroga a livello aziendale, per il tramite dell’autonomiacollettiva (198).

h) I controlli a distanza. — L’art. 23 del d.lgs. 14 settembre2015, n. 151, nel riscrivere l’art. 4 dello statuto dei lavoratori,contrariamente a quanto evidenziato nei primi commenti alla leggedelega, non esclude i soggetti sindacali, garantendo quindi nelsistema rinnovato la storica “centralità” al procedimento di con-trollo (sindacale o amministrativo) (199), anche se ridimensionatocon riguardo alla portata dell’art. 4, c. 2 in materia di installazionedi « strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazionelavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e dellepresenze ». Si riconferma il meccanismo introdotto dalla normativastatutaria (installazione strumenti di controllo — accordo conistanze rappresentative) e, in mancanza di accordo, previa auto-rizzazione della Direzione territoriale del lavoro. Novità vengonointrodotte in materia, ma appaiono finalizzate a razionalizzare ilmeccanismo nei contesti produttivi di grandi dimensioni e “par-cellizzati” sul territorio, sì da evitare soluzioni differenti e incon-grue nelle diverse unità produttive. Così, per le imprese con unitàproduttive ubicate in diverse province della stessa regione ovveroin più regioni la procedura viene accentrata, coinvolgendo leassociazioni sindacali comparativamente più rappresentative sulpiano nazionale e lo stesso Ministero del lavoro (200) con operati-

(198) Scongiurando a mio parere i pur fondati timori di un utilizzo “spregiudicato”degli strumenti messi via via a disposizione del legislatore, avanzati da U. GARGIULO, Lo jusvariandi, cit. 638-639.

(199) Si v. però un indirizzo della magistratura penale (Cass. pen., sez. III, 17 aprile2012, n. 22611) che reputa alla stregua di « eccessivo formalismo tale da contrastare con lalogica », « non risultando esservi disposizioni di alcun tipo che disciplinino l’acquisizione delconsenso », la posizione giurisprudenziale che nega la possibilità di ritenere integrata laprocedura ex art. 4 Stat. Lav. mediante l’assenso di tutti i dipendenti attraverso lasottoscrizione individuale da parte loro di un documento esplicito, invece che tramite lerappresentanze sindacali individuate dalla norma.

(200) Cfr. P. LAMBERTUCCI, La disciplina dei “controlli a distanza” dopo il Jobs Act:continuità e discontinuità con lo Statuto dei lavoratori, cit., 271-272; per i precedenti e la

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vità anche della contrattazione territoriale secondo le regole diselezione dei sindacati rappresentativi fissate dal TU del 2014 peril livello nazionale.

Anche qui si profila la questione del rapporto tra la contrat-tazione di prossimità dell’art. 8 l. n. 148/2011 e la contrattazione dideroga dell’art. 4. Diversamente da quanto rilevato in tema dimansioni, in relazione all’art. 3 del d.lgs. 81/2015, è vero che la“materia” indicata per il contratto di prossimità su « impiantiaudiovisi e introduzione di nuove tecnologie » è senz’altro piùampia di quella specificatamente indicata dall’art. 4 nella nuovaversione statutaria (201).

Spazi di interesse nella prospettiva indicata da questo scrittosono già stati individuati in relazione alla finalità dell’art. 8, c. 1per l’« adozione di forme di partecipazione dei lavoratori » e quindiper l’incentivazione alla stipula di accordi tecnologici, con l’indi-viduazione di procedure sindacali di codecisione e di controllo, inmerito all’impatto dell’introduzione di processi di innovazionetecnologica sulla disciplina del rapporto di lavoro (in termini ditempi e ritmi di lavoro, profili professionali, sistemi retributivi,ecc.), « nei quali potrebbe essere anche innervato un diritto delsindacato di controllare ex post il rispetto delle pattuizioni collet-tive in ordine all’installazione degli impianti di controllo » (202).Una prospettiva potrebbe essere quella di un accordo collettivoche regoli modalità di utilizzo degli strumenti, “inglobando” infor-mazioni che devono essere date ai lavoratori ai sensi del codicedella privacy e che l’impresa deve inserire nel modello organizza-tivo per la prevenzione dei reati di cui al d.lgs. n. 231/2001. Inquesti casi si osserva però, in modo condivisibile per quanto sopradetto, che lo strumento non potrebbe essere quello “fragile” del-

relativa lettura giurisprudenziale v. C. ZOLI, Il controllo a distanza del datore di lavoro: l’art.4, l. n. 300/1970 tra attualità ed esigenze di riforma, in RIDL, 2009, n. 4, I, 485 ss. e 497.

(201) I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori nell’in-tersezione fra le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della privacy, in LLI, 2016.V. 2, 1, 40.

(202) Cfr. P. LAMBERTUCCI, Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riserva-tezza del lavoratore: i controlli a ”distanza” tra attualità della disciplina statutaria, promozionedella contrattazione di prossimità e legge delega del 2014 (c.d. Jobs act), in WP “D’Antona”,255/2015, 15.

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l’art. 8, ma, data la portata del negoziato, quello più solido datodall’impianto del T.U. del 2014 (203).

Se, invece, la “materia” trattata dalla contrattazione è quelladei (nuovi) controlli a distanza, la deroga possibile (in chiave diautorizzazione) non può che essere quella oggi regolata dalla disci-plina statutaria, senza qui possibilità di sovrapposizione da partedella contrattazione di prossimità ex art. 8 (204) in deroga ai limitifissati dalla norma dell’art. 4 Stat. (205).

6. Segue. Fondi bilaterali di sostegno al reddito, welfare occupazio-nale e premi aziendali. Come cambiano le relazioni collettive(oltre il Jobs Act e la contrattazione delegata).

Ultimo, ma certo non per importanza, è il versante previden-ziale, al cui proposito il rapporto tra legge e contrattazione collet-tiva deve essere distinto su due differenti piani.

Per quanto riguarda le forme di previdenza obbligatoria, in-fatti, lo spazio d’intervento dell’autonomia privata è tradizional-mente assai limitato, stante la rigorosa imperatività delle obbliga-zioni inerenti alla previdenza pubblica. L’inderogabilità assoluta èconfermata sin dalla regola codicistica in base alla quale è “nulloqualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previ-denza o all’assistenza” (art. 2115 comma 3 c.c.). L’autonomiacollettiva è esclusa dalla disciplina non solo delle obbligazionicontributive ma anche dei diritti soggettivi a prestazioni sociali:stante anche il coinvolgimento di denaro pubblico, le fonti unila-terali secondarie e le prassi amministrative di valenza generalehanno un ruolo preponderante. Vieppiù l’autonomia privata èesclusa dai rapporti tra singolo avente diritto ed ente previdenzialepubblico: la discrezionalità amministrativa nell’erogazione delle

(203) Cfr. ID., Potere di controllo del datore di lavoro e tutela della riservatezza dellavoratore, cit., 15.

(204) Si distingue invece in dottrina, per una sopravvivenza delle intese ex art. 8, traprecetti negoziali che introducano deroghe a principi di portata costituzionale (come taliinammissibili per come ridefiniti nella norma statutaria), e precetti che invece non soffranodei limiti posti dall’art. 8: v. I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza, cit., 42-43.

(205) Mentre sarebbe senz’altro praticabile una contrattazione rivolta a definire imeccanismi di informazione dei lavoratori circa i controlli o ad escludere l’utilizzo dei datiraccolti per determinate finalità di gestione del rapporto.

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prestazioni (tanto previdenziali quanto assistenziali) si concretizzanon in patti bensì in atti d’ammissione o assegnazione che man-tengono veste di decisioni unilaterali, funzionalizzate all’impar-ziale applicazione della legge nell’interesse pubblico.

Quando si tratta del primo pilastro obbligatorio e pubblico disicurezza sociale, il ruolo delle parti sociali è quindi tendenzial-mente confinato a quello di destinatarie di informative e benefi-ciarie di obblighi di consultazione e coinvolgimento procedurale.Dato l’oggetto delle trattative, il livello negoziale interessato è inprevalenza quello aziendale: si pensi, ad esempio, alle procedurefinalizzate alla cassa integrazione, al cui proposito il d.lgs. n.148/2015 impone all’impresa di comunicare preventivamente lecause, l’entità e la durata prevedibile di sospensione o di riduzionedell’orario ed il numero dei lavoratori interessati, alle Rsa o allaRsu, ove esistenti, nonché “alle articolazioni territoriali delle as-sociazioni sindacali comparativamente più rappresentative a li-vello nazionale” (206).

Il discorso cambia nella misura in cui il principio costituzionaledi sussidiarietà orizzontale inizia a trovare applicazione anchenell’ambito della previdenza obbligatoria. Ove infatti la fontelegale rinvia alla contrattazione collettiva, si aprono scenari assaiinteressanti, seppur non privi di problematicità. La previdenzaobbligatoria infatti implica prestazioni patrimoniali a carico deisingoli datori le quali, nel rispetto della riserva di legge di cuiall’art. 23 Cost., debbono essere vincolanti pure qualora essi sianoal di fuori del sistema di relazioni industriali. Ove il ruolo delegatoall’autonomia collettiva non sia solo di specificazione della disci-plina delle posizioni individuali, ma sia anche di gestione, inoltre,può risultare necessario regolare contrattualmente l’istituzione diappositi soggetti perlomeno per coordinare l’amministrazione dellerisorse finanziarie e l’erogazione delle prestazioni.

Il riferimento è qui, in particolare, ai fondi di solidarietà che, inbase agli artt. 26 ss. del d.lgs. n. 148/2015, le organizzazioni sindacalie imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livellonazionale sono chiamate ad istituire per i settori che non rientranonell’ambito d’applicazione del titolo I, sulle integrazioni salariali

(206) Artt. 14 e 24 d.lgs. n. 148/2015.

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ordinarie e straordinarie, del decreto legislativo medesimo (207).L’istituzione di tali fondi, finalizzati ad assicurare una tutela eco-nomica per i casi di riduzione o sospensione dell’attività datoriale,è imposta per legge (208); parimenti è obbligatoria per legge l’ade-sione da parte dei datori con più di cinque dipendenti. Qualora nonsussistano fondi bilaterali di solidarietà per i datori con più di cinqueoccupati (apprendisti inclusi) che appartengono a settori e classidimensionali non rientranti nell’ambito di applicazione del titolo Idel d.lgs. n. 148/2015, opera per essi un fondo residuale di solidarietàregolato da un recente decreto ministeriale (209).

In base all’art. 33 del medesimo decreto legislativo, ai contri-buti di finanziamento si applicano le disposizioni vigenti in materiadi contribuzione previdenziale obbligatoria (ad eccezione di quellerelative agli sgravi contributivi). Si tratta quindi di previdenzapubblica a tutti gli effetti, ma istituita e gestita mediante ilcoinvolgimento delle parti sociali, appunto in termini di sussidia-rietà orizzontale.

Detti fondi non hanno personalità giuridica bensì sono espres-samente definiti come gestioni dell’Inps (210), istituite con decretodel Ministero del lavoro sulla base degli accordi collettivi, i qualientro parametri di legge individuano anche la misura delle aliquote

(207) V. F. SANTONI, La disciplina dei contratti di solidarietà nel d.lgs. 148/2015, inMGL, 2016, 188 ss.

(208) Ad oggi risultano approvati i decreti riguardanti il Fondo di solidarietà per ilsettore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale (Decreto 7 aprile 2016 n. 95269) e ilFondo di solidarietà per i lavoratori in somministrazione (Decreto 25 marzo 2016 n. 95074),oltre alla decina di decreti emanati, prima del d.lgs. n. 148/2015, in base alla l. n. 92/20112.

(209) Ministero del lavoro e delle politiche sociali D.M. 3 febbraio 2016 n. 94343,Fondo di integrazione salariale, in Gazz. Uff., 30 marzo 2016, n. 74, in base al quale il Fondodi solidarietà residuale già istituito presso l’INPS con decreto del Ministro del lavoro diconcerto con il Ministro dell’economia e finanze n. 79141 del 7 febbraio 2014, è adeguato, adecorrere dal 1° gennaio 2016, alle disposizioni del d.lgs. n. 148/2015 e assume la denomi-nazione di Fondo di integrazione salariale.

(210) In considerazione dell’operare di consolidati sistemi di bilateralità nell’artigia-nato e nella somministrazione di lavoro, il medesimo d.lgs. n. 148/2015 stabilisce unaspecifica disciplina per tali settori. In considerazione della peculiare autonomia costituzio-nale, le Province autonome di Trento e di Bolzano possono sostenere l’istituzione di unfondo di solidarietà territoriale intersettoriale cui si applica la disciplina prevista per i fondidi solidarietà bilaterali, salvo diverse disposizioni. Sull’esperienza dell’artigianato, v. L.NOGLER, Introduzione. Ma dove vanno gli enti bilaterali dell’artigianato?, nonché i contributinel medesimo volume L. NOGLER (a cura di), Gli enti bilaterali dell’artigianato tra neo-centralismo ed esigenze di sviluppo, Milano, Angeli, 2014, 12 ss.

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contributive. In tale ambito la contrattazione collettiva è dunqueparte integrante del processo di formazione dell’atto avente valenzagenerale, che è un decreto ministeriale o, per le successive modifichein tema di prestazioni o aliquote, un decreto direttoriale. Tale itervale a generalizzare l’efficacia delle decisioni degli organi di verticedel fondo (ma per i datori affiliati alle parti sociali aderenti al fondola vincolatività potrebbe certo arguirsi anche prima dell’adozionedel decreto ministeriale o direttoriale). Oltre alle finalità delegatedalla legge come necessarie, tali fondi di solidarietà possono avereulteriori fini, ossia la gestione di prestazioni di sicurezza sociale in-tegrative, in termini d’importo, rispetto a quelle di legge, e di pre-stazioni pre-pensionistiche d’agevolazione all’esodo, nonché il cofi-nanziamento di programmi formativi di riqualificazione professio-nale.

Il comitato amministratore di ciascun fondo di solidarietà ècomposto ancora una volta da esperti designati dalle organizza-zioni dei datori e dei lavoratori stipulanti l’accordo istitutivo, innumero necessario a garantire la rappresentanza di tutte le partisociali aderenti al fondo, nonché da due rappresentanti del Mini-stero del lavoro e del Ministero dell’economia. Il comitato ha ilcompito di deliberare in ordine alla concessione degli interventi edei trattamenti e di predisporre i bilanci annuali consuntivo epreventivo (211), nonché di fare proposte in materia di contributi,aliquote, interventi e trattamenti.

Da quanto esposto (ed in particolare con l’estensione della ob-bligatorietàdei fondi ancheaidatori compresi tra iquindici e i cinquedipendenti), risultaunpieno rinnovodapartedel legislatoredel 2015dell’apertura di credito che l’art. 2 della l. n. 92/2012 aveva formu-lato all’autonomia collettiva ed alla bilateralità in tema di integra-zioni salariali. Del resto, nel tentativo di reperire risorse aggiuntivefinalizzate alla tendenziale universalizzazione delle tutele, il coin-volgimento forte delle parte sociali è un percorso obbligato (212).Nondimeno, si tratta di un affidamento ben presidiato dalle prero-gative riservateall’autoritàpubblica: ovemancaun fondodi settore,

(211) In base all’art. 35, i bilanci preventivi debbono essere redatti a otto anni, basatisu uno scenario macroeconomico coerente con il più recente Documento di economia efinanza e relativa Nota di aggiornamento.

(212) T. TREU, Introduzione Welfare aziendale, in WP “Massimo D’Antona”.IT —297/2016, 6 ss.

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sussiste il fondoministeriale residuale; se il comitato amministratoredi un fondo resta inerte o risulta inadeguato, sussiste il potere so-stitutivo ministeriale; e, in casi limite, l’Inps può perfino bloccare ledecisioni di un comitato ritenute illegittime.

L’elemento di novità di questa impostazione legislativa restacomunque significativo, poiché la contrattazione collettiva divienecosì, a tutti gli effetti, fonte istitutiva di ammortizzatori sociali diprevidenza obbligatoria.

Nello stesso d.lgs. n. 148/2015 è stata inoltre consolidata ladisciplina dei contratti di solidarietà, che l’art. 21 comma 5, lo sidiceva, definisce come quelli stipulati « dall’impresa attraversocontratti collettivi aziendali ai sensi dell’articolo 51 del decretolegislativo 15 giugno 2015, n. 81, che stabiliscono una riduzionedell’orario » al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o ladichiarazione di esubero del personale anche attraverso un suo piùrazionale impiego. Come già accennato, l’art. 51 del d.lgs. 81/2015è parimenti richiamato dall’art. 41 del d.lgs. n. 148/2015 conriguardo ai contratti di solidarietà espansiva, a conferma quindidella norma dell’art. 51 quale perno del sistema contrattual-collet-tivo disegnato dal legislatore nel 2015 (213).

Tutt’altro discorso riguarda, invece, la previdenza (non obbli-gatoria bensì) complementare e, più in generale, il c.d. secondowelfare (214). È qui che si rintracciano, specie nell’ambito del c.d.welfare contrattuale, le linee più innovative di dialogo verso unadimensione sociale della regolazione, realizzandosi una tendenzialeinterazione stabile tra sistemi di welfare, discipline dei rapporti dilavoro e sistemi di relazioni sindacali (215).

Il ruolo centrale della contrattazione collettiva è intrinseco allamaggioranza della previdenza complementare, ossia ai fondi pen-sione negoziali i quali da soli gestiscono una porzione di patrimoniopensionistico superiore, almeno per ora, a quella gestita dai fondiaperti e dai piani individuali di previdenza di matrice assicurativa.Stante il peso del sistema di previdenza obbligatoria in termini di

(213) Amplius per la tematica qui osservata, F. SANTONI, La disciplina dei contratti disolidarietà nel d.lgs. 148/2015, in MGL, 2016, 186 ss.

(214) Sulle possibili classificazioni teoriche proposte nel dibattito sociologico, v. A.M.PONZELLINI, E. RIVA, E. SCIPPA, Il welfare aziendale: evidenze dalla contrattazione, in QuaderniRassegna Sindacale, 2015, 2, 147 ss.

(215) A. SUPIOT, Il futuro del lavoro, Carrocci, 2003.

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aliquote contributive, in Italia la previdenza complementare èmeno sviluppata rispetto ad altri paesi (216); nondimeno si trattadi un ambito di contrattazione che riveste importanza economicanotevole, poiché riguarda percentuali non trascurabili, pur diffe-renziate tra settori, del monte retribuzioni dei lavoratori italiani,anche grazie alla regola d’adesione del silenzio-assenso sul conferi-mento del tfr introdotta da ormai un decennio (217). Seppurrecentemente attenuato, il settore dei fondi pensione gode inoltredi un trattamento fiscale agevolato. Ebbene, per i fondi pensionenegoziali, l’autonomia privata è la fonte non solo istitutiva, maanche di regolazione di quasi tutto quanto non disciplinato per viaeteronoma dalle autorità pubbliche.

I tratti caratterizzanti ciascun fondo trovano infatti disciplinanella contrattazione collettiva (218) e la stessa amministrazione delfondo è espressione degli organi ivi regolati. Trattandosi dellagestione a lungo termine di risorse monetarie ingenti, la contrat-tazione interessata è quella di livello nazionale: la previdenzagestita finanziariamente dal singolo datore è un modello (in via didefinitivo superamento in quanto) non adatto alla materia pensio-nistica, ove le posizioni individuali maturano nel corso dell’interavita lavorativa e si protraggono per ulteriori decenni. Alla contrat-tazione alcune materie sono demandate come competenza riser-vata per legge: ad esempio, in base all’art. 5 del d.lgs. n. 252/2005le fonti costitutive dei fondi negoziali hanno la competenza inmateria di modalità e criteri d’elezione dei rappresentanti dei

(216) Per dare un ordine di grandezza, la lista dei 300 maggiori fondi al mondoinclude in coda un fondo da 13 miliardi di dollari, che quindi è più grande di Cometa, il fondodei metalmeccanici che è il maggiore in Italia, con circa 9,6 miliardi di euro ossia 10,7miliardi di dollari alla fine 2015: cfr. www.morningstar.it.

(217) Art. 8 comma 7 del d.lgs. n. 252/2005, con efficacia dal 2007.(218) Amplius, v. M. PERSIANI, La previdenza complementare, Padova, 2010; D.

GAROFALO, La previdenza complementare in Italia, in AA.VV., Sicurezza sociale e previdenzacomplementare in Europa, Bari, 2009, 86 ss.; S. GIUBBONI, La previdenza complementare tralibertà individuale e interesse collettivo, Bari, 2009, e GIUBBONI, Fonti istitutive e soggettidestinatari delle forme di previdenza complementare, in M. CINELLI (a cura di), Art. 2123. Laprevidenza complementare, in P. Schlesinger (diretto da), Commentario al Cod. Civ., Milano,2010, 110 ss.; nonché, prima del d.lgs. n. 252/2005, A. TURSI, La previdenza complementare nelsistema italiano di sicurezza sociale, Milano, 2001; G. ZAMPINI, La previdenza complementare.Fondamento costituzionale e modelli organizzativi, 2004, G. FERRARO, La problematica giuri-dica dei fondi pensione, in G. FERRARO (a cura di), La previdenza complementare nella riformadel Welfare, Milano, 2000; R. PESSI, La previdenza complementare, Padova, 1999.

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lavoratori negli organi di amministrazione e di controllo, ove deveessere rispettato il criterio della partecipazione paritetica di rap-presentanti di lavoratori e datori.

Con riguardo ai fondi pensione negoziali, il ruolo della contrat-tazione è quindi centrale, e non è revocabile in discussione.

In questa tematica, la vera sfida per l’autonomia collettivarisiede, invece, nel non sempre facile equilibro tra fondi negoziali efondi istituiti da fonti diverse dai contratti collettivi, ossia soprat-tutto i fondi di origine bancassicurativa. È noto infatti che lepolitiche commerciali di questi ultimi sovente eleggono come ter-reno d’espansione la platea degli aderenti ai fondi negoziali, fa-cendo quindi leva sul meccanismo della portabilità della posizioneprevidenziale individuale maturata.

In tale modo, però, non si genera un allargamento della plateadegli aderenti alla previdenza complementare, bensì un semplicespostamentodi aderenti daun fondoadunaltro (talora conpolitichedi marketing aggressive, che non palesano adeguatamente i mec-canismi commissionali, mediamente più gravosi di quelli praticatidai fondi negoziali). Viceversa, l’impegno che le parti sociali stannoprofondendo inquesti anni, nel rispondere alla chiamatadapartedellegislatore a collaborare alla tenuta del sistema pensionistico in ter-mini di adeguatezza delle prestazioni nei decenni prossimi, meritacerto una protezione da parte del sistema giuridico, pur nel rispettodella concorrenza. Concorrenza infatti non significa uniformità traattori, che di fatto sono differenti: alludo al ruolo che l’autonomiacollettiva assume nella negoziazione degli impegni datoriali in ma-teria, ossia ai contributi datoriali aggiuntivi che i contratti di ca-tegoria destinano al fondo pensione negoziale corrispondente. Que-sto emolumento è frutto peculiare dell’impegno dell’autonomia col-lettiva, la quale deve ben essere lasciata nella condizione di circo-scrivere la corresponsione ai fondi pensione scelti dalle stesse particontrattual-collettive. Si tratta dell’essenza del ruolo sociale del-l’autonomia collettiva. Oltretutto tale scelta può essere influenzatada finalità non solo di accrescimento del capitale previdenziale degliaderenti ma anche di perseguimento di interessi sociali, consume-ristici, etici od ambientali (219).

(219) Proprio allo scopo di favorire questo possibile ruolo sociale dei fondi pensione,essi sono tenuti, in base all’art. 6 comma 14 del d.lgs. n. 252/2005, ad esporre nel rendicontoannuale e nelle comunicazioni periodiche agli iscritti “se ed in quale misura” nella gestione

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Una qualche problematicità, rispetto alla regola legale dellalibera volontarietà dell’adesione (220), si crea forse invece nel casodi talune clausole collettive che scavalcano completamente il ruolodella volontà individuale in fase d’adesione, assegnando a tutti ilavoratori a cui si applica il CCNL emolumenti sotto forma dicontributi datoriali al fondo pensione negoziale di categoria, conconseguente automatica (obbligatoria?) iscrizione anche dei singolilavoratori, che a tempo debito hanno espressamente optato di nonaderire (221). In tal modo il sindacato sceglie non di negoziare unemolumento aggiuntivo a vantaggio degli aderenti al fondo, bensìdi convertire una quota d’incrementi contrattuali ottenuti (quotaperaltro modesta, che non potrà dar luogo ad un trattamentopensionistico più che simbolico, ma che certo potrà rafforzare i datistatistici d’adesione al fondo pensione categoriale).

Da ultimo, un ruolo per i fondi pensione sembra intravedersi inalcune delle ipotizzate linee di riforma del sistema pensionistico inchiave di flessibilità delle scelte individuali. Nella scarsità dellerisorse pubbliche, il montante individuale degli aderenti potrebbeessere svincolato in funzione dell’accesso anticipato a pensione,almeno secondo alcune istanze, soprattutto di parte datoriale. Allostato, infatti, salvo le ipotesi di anticipo o riscatto, come noto, ifondi possono erogare importi soltanto al raggiungimento dei re-quisiti per la pensione obbligatoria (222). Resta da comprendere se,in tali decisioni individuali d’anticipo, la legge demanderà unqualche ruolo di filtro alla contrattazione collettiva.

Una sfida non meno impegnativa di quella riguardante i fondipensione è quella che concerne gli altri versanti del c.d. secondowelfare (223). Anche tale previdenza è tendenzialmente di tipo

delle risorse e nelle linee seguite nell’esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valoriin portafoglio siano presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali.

(220) Art. 1 comma 2 d.lgs. n. 252/2005 “L’adesione alle forme pensionistichecomplementari disciplinate dal presente decreto è libera e volontaria”.

(221) Cfr. ad es. l’ipotesi di accordo nazionale 28 novembre 2015 di rinnovo del Ccnlautoferrotranvieri-internavigatori (mobilita’-tpl) 2015-2017, art. 38.

(222) Un recente orientamento della Covip peraltro esclude che l’adesione a esodoincentivato ex art. 4 l. n. 92/2012 sia equiparabile a disoccupazione né altra causalelegittimante l’erogazione a richiesta. Cfr. Quesiti Covip febbraio 2016, www.covip.it/?cat=96.

(223) Per un panorama recente delle esperienze italiane, v. v. R. SALOMONE, M.BORZAGA, C. CRISTOFOLINI, The mapping of occupational welfare measures in collective bargai-ning at company/corporate level in Italy, in Quaderni Fondazione Marco Biagi Sezione

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occupazionale, e quindi legata alla contrattazione collettiva pernesso pressoché inscindibile: qualora si tratti di meccanismi orga-nizzativi che garantiscono prestazioni in natura, il nesso è inte-grale; ma pure qualora si tratti di voucher spendibili liberamente odi meccanismi assicurativi, il nesso gestionale con la contratta-zione, e sovente con la bilateralità, resta centrale.

Per quanto riguarda il livello nazionale di categoria, l’espe-rienza mostra crescente interesse delle parti sociali ma scarsacapacità di mobilitare risorse aggiuntive, sicché le clausole nego-ziali risultano soprattutto contenere linee guida ed indirizzi gene-rali. Per quanto concerne il livello territoriale, per ora solo in pochisettori emergono esperienze significative, che solitamente si reg-gono su sistemi di bilateralità già consolidati, oppure sul sostegnoeconomico degli enti territoriali, soprattutto alcune regioni. I livellisuperiori a quello aziendale si rivelano più consoni alla gestione diistituti fondati su meccanismi assicurativi che necessitano di unaplatea ampia di aderenti, come ad esempio la sanità integrativa, ilcui costo d’adesione è graduabile in diversi pacchetti, con laconseguenza che il livello decisionale aziendale resta comunquerilevante.

In questa tematica, il ruolo della contrattazione non è comun-que scontato, poiché l’iniziativa unilaterale del singolo datore puòassumere rilievo, soprattutto nei contesti lavorativi più dinamici.Nondimeno, a livello aziendale l’autonomia collettiva può, in ta-lune imprese, esprimersi su contenuti di importante consistenzaeconomica: del resto, i datori più attenti alla calibratura dellepolitiche di fidelizzazione del personale hanno ormai compreso chetra i fattori di successo di queste iniziative, e non solo di esse, vaincluso il carattere collaborativo e partecipativo delle relazionisindacali.

Da ultimo, a favore del secondo welfare “contrattato” si èrecentemente schierato il legislatore, con la legge di stabilità per ilcorrente anno 2016.

Il livello aziendale, analogamente a quello territoriale per leimprese minori, è il più adatto perlomeno alla predisposizione dei

Ricerche, n. 2/2015; F. MAINO e M. FERRERA (a cura di), Secondo Rapporto sul secondo welfarein Italia, 2015, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.

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benefit correlati alla quotidianità dei lavoratori e delle loro famiglienel luogo di lavoro, o comunque nel territorio. In tali ambitiregolativi, non sembra porsi la dibattuta criticità del rapporto trai livelli di contrattazione: da un lato, ove si è sviluppato, il welfarenegoziale ha sempre avuto come perno il livello aziendale, anchenei decenni in cui la centralità del contratto nazionale di categorianon era in discussione; dall’altro lato, non può darsi il caso diantinomia tra livelli nazionale e aziendale, poiché quest’ultimo, sucodesti istituti, non risulta pressoché mai derogatorio o ablativorispetto alla contrattazione di altro livello, bensì solo additivo omigliorativo.

Semmai, c’è da riflettere sulle conseguenze sul sistema disicurezza sociale complessivo. In generale, il secondo welfare èstrumento di benessere delle persone che lavorano e delle lorofamiglie, ma non è, di per sé, strumento di solidarietà, né tanto-meno di redistribuzione. Assolve ad una funzione diversa dalsistema di welfare pubblico, in quanto si tratta semplicemente diuna forma di pagamento non monetario, bensì tradotto in serviziriservati al novero dei dipendenti dell’azienda che li predispone.Una lungimirante progettazione delle politiche di secondo welfarepuò anche essere, talora, una maniera per rafforzare il contrattocollettivo come strumento di solidarietà; ed in questo senso illegislatore potrebbe in futuro porsi come stimolo, ad esempiofavorendo miratamente le forme di welfare occupazionale a godi-mento eventuale, ossia finanziate secondo meccanismi assicuratividestinati a far fronte a gravi sopravvenienze negative personali ofamigliari (disabilità, patologie oncologiche, etc.). In ogni caso sitratta, però, di una solidarietà circoscritta ad un novero di indivi-dui ristretto: pertanto, nella misura in cui interviene in ambiti giàcoperti dal welfare pubblico d’applicazione universale, il welfareoccupazionale rischia talora di creare un effetto non di rafforza-mento, bensì di strisciante sostituzione, la quale lascia scoperti idipendenti di aziende meno ricche (con riproposizione anche dellenote disparità territoriali italiane), nonché soprattutto i cittadiniprivi d’occupazione (tanto più qualora siano a rischio d’emargina-zione sociale, anche in quanto non legati da rapporti famigliari conlavoratori protetti da welfare occupazionale).

Connesso a ciò v’è anche un rischio di riproposizione, ed

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enfatizzazione, della divaricazione di tutele tra tipi contrattuali dilavoro stabili versus precari (224).

In proposito la contrattazione collettiva dovrà dunque essereattenta.

In ogni caso, sul versante in discorso assume un ruolo crucialela leva fiscale. In mancanza di agevolazioni, infatti, le pure esemplici corresponsioni retributive in denaro resterebbero preferi-bili per i lavoratori, salvo nei casi in cui l’acquisto collettivo sidimostri conveniente o sia necessitato dall’inscindibilità del servi-zio in questione. Con l’ultima legge di stabilità (225), è statomodificato l’art. 51 del Testo unico delle imposte sui redditi,escludendo dal reddito imponibile l’utilizzazione delle opere e deiservizi riconosciuti dal datore per finalità di educazione, istruzione,ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto (226); e le sommee prestazioni erogate, anche mediante titoli di legittimazione informato elettronico non monetizzabili né cedibili, per la fruizionedei servizi di educazione e istruzione e di ludoteche e di centri estivie invernali e per borse di studio a favore di famigliari anche in etàprescolare (227); nonché le somme e le prestazioni erogate per lafruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non auto-sufficienti (228). In particolare quest’ultima voce è una novità, dinon poco conto.

L’elemento d’innovazione non sta soltanto nell’ampliato no-vero di beni e servizi sgravati, ma soprattutto nel fatto che losgravio relativo a finalità di educazione, istruzione, ricreazione,assistenza sociale e sanitaria o culto, da quest’anno è applicabileall’utilizzazione dei servizi riconosciuti dal datore non solo “volon-tariamente” come in passato, ma anche « in conformità a disposi-

(224) T. TREU, Introduzione Welfare aziendale, cit, 15.(225) Per un quadro sulla nuova disciplina, v. M. SODINI, La legge di stabilità 2016

spinge il welfare aziendale con la leva fiscale, Fondazione nazionale dei commercialisti, 2016, 9ss., ove si segnala che con quest’innovazione dovrebbe sussistere inoltre una deducibilitàintegrale per il datore dal reddito d’impresa ex art. 95 Tuir: non più quindi solo nel limiteex art. 100 Tuir del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente.

(226) D.p.r. n. 917/1986, art. 51, comma 2, lettera f come modificata dall’art. 1,comma 190, della l. di stabilità 208/2015.

(227) D.p.r. n. 917/1986, art. 51, comma 2, lettera f bis, come modificata.(228) D.p.r. n. 917/1986, art. 51, comma 2, lettera f ter, neo-introdotta.

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zioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale » (229).La ratio dello sgravio di queste voci, quindi, risulta non più quelladi favorire il benessere dei lavoratori mediante iniziative datorialiaggiuntive non rientranti nel sinallagma retributivo, bensì favoriretale miglioramento del benessere anche — e soprattutto — me-diante corresponsioni concordate con i sindacati. Ossia la finalitàdiventa duplice: rafforzamento del welfare ed al contempo dellacontrattazione collettiva, chiamata a misurarsi con un ambitoregolativo strategico in cui « dimensione lavorativa ed extra lavo-rativa entrano in relazione osmotica e il relais di congiunzione ècostituito dalle pratiche e dai benefits del welfare occupazionale,costruiti sempre più su misura della persona situata (flexible be-neifts) » (230).

L’esplicita ammissione legislativa dei voucher come mezzo dicorresponsione delle prestazioni di welfare occupazionale è un forteincentivo non solo ad un crescente settore economico, ma anchealla diffusione di queste pratiche tra le imprese di minori dimen-sioni. L’affermazione del modello di gestione mediante voucherpotrebbe però avere un contraltare negativo, ossia un accresci-mento del rischio che il welfare occupazionale non consista in unincremento di benessere e di salario, bensì semplicemente in unasua, parziale, sostituzione con valori para-monetari (soprattuttoqualora riparta l’inflazione). Tale sostituzione peraltro risulta nonpriva di conseguenze non solo in termini di riduzione della coper-tura contributiva obbligatoria, ma anche in termini di riduzionedelle libertà di scelta individuali in materia di consumo e approv-vigionamento di servizi per le famiglie dei lavoratori interessati.Nella misura in cui le compagnie d’intermediazione di beni e servizimediante voucher inizino a gestire una quota considerevole delmonte salari dei lavoratori italiani, sarà necessario che di paripasso le scelte commerciali di tali compagnie divengano oggetto di

(229) Merita segnalare che l’interpretazione preferibile appare quella che riferiscel’aggettivo “aziendale” al solo regolamento e non anche a “contratto” o “accordo”: nonsoltanto perché tale aggettivo è formulato al singolare, ma soprattutto perché il legislatore,se avesse voluto escludere la contrattazione nazionale e quella territoriale come fonte disgravio fiscale, lo avrebbe scritto più chiaramente, trattandosi di una scelta non privad’implicazioni. Oltretutto l’esclusione della contrattazione territoriale comporterebbe unclamoroso ed iniquo detrimento per (i dipendenti del)le imprese piccole e medie.

(230) Cfr. B. CARUSO, The bright side of the moon: politiche del Lavoro personalizzate epromozione del welfare occupazionale, in RIDL, 177 e ss.

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interesse dei sindacati, in termini di monitoraggio dei relativiriflessi sulle condizioni di lavoro nei settori economici intermediati,in termini di modelli di business nel trattamento dei dati personalidei lavoratori beneficiari dei servizi e, più in generale, in termini diresponsabilità sociale nelle scelte di consumo.

Anche da quest’ultimo punto di vista, pare aprirsi uno spaziodi intervento delle organizzazioni sindacali, perlomeno nella sceltadei partners commerciali utilizzati per la gestione del welfare occu-pazionale (soprattutto qualora aziendale), e per la diffusione dipratiche ispirate alla massima trasparenza, alla seria comparazionedei servizi, al loro monitoraggio tramite benchmark periodico, ecc.Nel futuro, potrà ipotizzarsi anche un intervento legislativo disostegno del ruolo delle parti sociali su questo versante: un po’come avvenuto per la previdenza complementare, ove comunquela necessaria salvaguardia di lungo periodo del risparmio pensio-nistico ha comportato anche la strutturazione di una appositavigilanza pubblica di settore. Per i settori economici dell’interme-diazione del welfare aziendale, che sono tanti quasi quanti sono itipi di servizi intermediati, servirà ovviamente un approccio legi-slativo più leggero, che in ogni caso prevenga i rischi d’inefficienzada burocratizzazione. A quest’ultimo scopo appare cruciale latrasparenza contabile di questi enti, anche a scapito (ma piùprobabilmente a vantaggio) della concorrenza tra operatori a be-neficio dei lavoratori.

Questa nuova disciplina di sgravio fiscale è espressamentecircoscritta a benefici erogati alla “generalità dei dipendenti o acategorie” di essi (categorie non solo nel senso di cui all’art. 2095c.c.). Sicché risulta esclusa la contrattazione individuale comefonte di benefici sgravati. Ciò anche perché il predetto sgraviofiscale per il welfare negoziale è integrale e circoscritto soltanto dasoglie specifiche riferite ai singoli tipi di beni in natura.

Tale disciplina fiscale sui benefit è quindi più conveniente,perlomeno dal punto di vista contabile, pure della rinnovatadisciplina dei premi di produttività distribuiti con contratto col-lettivo aziendale, che però possono ben essere erogati sotto formamonetaria.

Anche questa misura sui premi, parimenti contenuta nell’ul-tima legge di stabilità, rappresenta un forte sostegno alla diffu-sione di modelli di relazioni sindacali partecipative, poiché l’age-volazione è notevole, essendo fissata un’aliquota fiscale al 10%,

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sostitutiva anche delle addizionali regionali e comunali (231).Quest’agevolazione è rivolta non ai premi di cui gode il manage-ment, ma al personale impiegatizio ed operaio, in quanto è limitataa chi ha reddito da lavoro dipendente non superiore a 50mila euroannui, entro il limite di 2mila euro lordi.

È poi assai interessante ricordare ai nostri fini che, secondo lastessa Legge di stabilità, quest’ultimo limite è elevabile (di 500euro ossia) a 2.500 euro qualora l’azienda coinvolga “paritetica-mente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro” (232). Il decretoministeriale attuativo del 25 marzo 2016 (233) ha precisato chedeve trattarsi di commissioni paritetiche effettivamente compe-tenti per l’organizzazione del lavoro ed ha altresì fornito le coor-dinate del “coinvolgimento paritetico”, chiaramente rappresen-tando la necessità di rendere strutturale, anche ai fini del controlloe del monitoraggio periodico dei risultati, la costituzione di gruppidi lavoro misti management/lavoratori.

Non si tratta dunque, nella visione ministeriale che si occuperàdegli incentivi, di organismi di mera consultazione, o di struttureper la formazione, ma della vera e propria proposizione a livelloaziendale di un metodo contrattuale partecipato, atto a far con-fluire la tematica del salario di produttività, e più in generale lamateria dei trattamenti accessori, in una dinamica di tipo collabo-rativo fra azienda e sindacato, che, dovendo concentrarsi sui“risultati” ai fini del monitoraggio, implica, a monte del processonegoziale, una necessaria condivisione degli obiettivi di produtti-vità. È chiaro che, per questa via, essendo la produttività azien-dale strettamente collegata a scelte di tipo strategico, ma (anche)organizzativo, si apre ad una prospettiva di finalizzazione dellerisorse finanziarie alla crescita e di sviluppo dell’innovazione orga-nizzativa, di cui può essere parte integrante il confronto perma-nente e strutturato con le parti sociali in azienda.

Si assiste così ad un “ennesimo” richiamo (se non addiritturaad una promozione forte) alle forme partecipative dei lavoratori edei relativi rappresentanti all’organizzazione e gestione aziendaleche, come evidenziato in diversi studi, dovrebbe accompagnare « laspinta verso forme di retribuzione variabile, in connessione a

(231) Art. 1 comma 182 ss. della l. n. 208/2015.(232) Art. 1 comma 189 della l. n. 208/2015.(233) Decreto 25 marzo 2016 del Ministero del lavoro di concerto con il MEF.

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indicatori di produttività, redditività, qualità, efficienza, innova-zione » (234). Allo stesso tempo però il legislatore, e con esso lafonte ministeriale, nel rispetto del principio di libertà sindacale,non entrano nel merito della regolazione del momento negoziale,rimettendo dunque tale aspetto, ancora una volta, al modellointersindacale in essere. Ciò non toglie che un intervento legisla-tivo, proprio su questo terreno (235), possa generalizzare il vincolo,collegando l’erogazione in sede aziendale di trattamenti accessorilegati a produttività, qualità, innovazione, alla presenza stabile estrutturata ed alla valutazione di organismi paritetici costituiti alivello aziendale da parte dell’autonomia collettiva.

Pure detta misura fiscale sulla produttività contrattata non èquindi di poco conto. Non soltanto concorre a ridurre il cuneo tracosto lordo onnicomprensivo del lavoro e valore percepito daldipendente, ma permette anche di comporre un paniere di possibiliiniziative nelle quali le relazioni sindacali partecipative in aziendasono fortemente favorite dal legislatore. Anzi, per quanto riguardalo sgravio dei premi di produttività, il contratto collettivo “di cuiall’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81” (236)(depositato ex art. 14 d.lgs. 151/2015 entro 30 giorni dalla sotto-scrizione) è presupposto necessario. Il menzionato decreto attua-tivo ha individuato una ventina di variabili di produttività che gliaccordi aziendali possono prendere in considerazione (es. volumedella produzione, fatturato, indici di soddisfazione della clientela,diminuzione delle riparazioni e rilavorazioni e degli scarti di lavo-razione, tempi di consegna ed avanzamento lavori, numero bre-vetti e tempi di sviluppo di nuovi prodotti, etc.), alcuni dei quali di

(234) Cfr. P. CAMPANELLA, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadrodelle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in WP Massimo D’Antona, 2013, n. 185,25, la quale sottolinea la centralità dello sviluppo di prassi partecipative per il sindacato, sia« per poter sottrarre alcune fondamentali scelte aziendali all’unilateralità del comandomanageriale, ma anche per poter riaffermare il proprio ruolo, sul terreno della dinamicasalariale e della stessa organizzazione del lavoro »; v., inoltre, M. CARRIERI, Come ridisegnarela produttività, in AREL Europa, lavoro, economia, 2012; T. TREU, Le forme retributiveincentivanti, in RIDL, 2010, 656 ss.

(235) Sul punto peraltro esisteva già delega legislativa nell’art. 4, c. 62, lett. c), L. n.92/2012, scaduta senza attuazione, per « l’istituzione di organismi congiunti, paritetici ocomunque misti, dotati di competenze di controllo e partecipazione nella gestione di materiequali...le forme di remunerazione collegate al risultato....forme di welfare aziendale ».

(236) Art. 1 comma 187 della l. n. 208/2015.

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rilievo lavoristico diretto (riduzione tassi d’assenza, modifiche aregimi d’orario, riduzione numero d’infortuni, smart working). Sitratta peraltro di un elenco espressamente indicato come esempli-ficativo, lasciandosi quindi totale spazio al dialogo collettivo.

Il rapporto tra agevolazioni fiscali e contrattazione collettiva èdunque chiaramente diretto ad incentivare il ricorso alla contrat-tazione di secondo livello, conferendo la possibilità di « progettarewelfare plan aziendali » (237) che possano beneficiare dei vantaggifiscali in chiave di detassazione e decontribuzione.

Per quanto riguarda i premi di produttività contrattata indiscorso, il vero nodo sta nella limitazione ai “contratti aziendali oterritoriali”. È vero che il riferimento a tali contratti è l’unico chepuò evitare un ancoraggio degli aumenti di produttività che nonsia solo di facciata. Ed è parimenti vero che ciò può rappresentareuno stimolo alla diffusione della contrattazione collettiva decen-trata nelle imprese ed al rafforzamento, come detto, di modelli direlazioni sindacali partecipative. Nondimeno, tale limite finisce perescludere la larga parte dei dipendenti da imprese minori, ove talecontrattazione allo stato non è all’ordine del giorno. Per incorag-giare le imprese minori, un ruolo importante potrebbero avere lerelative associazioni di categoria, in termini di supporto e consu-lenza; ma sarebbe stato utile che il legislatore avesse introdotto unapposito meccanismo d’incentivo.

In sintesi, i diversi versanti, tradizionali ed emergenti, delprimo e secondo welfare occupazionale risultano, nella legislazionerecente, assai rafforzati, non solo come elementi di sostegno allaprevidenza pubblica, ma anche come ragione di dialogo e contrat-tazione, soprattutto a livello decentrato (territoriale, aziendale maanche inter-aziendale nelle strutture di impresa più innovative ecollegate). Il legislatore così rinuncia al tradizionale approccio suirinvii contrattual-collettivi tendenzialmente favorevole, in mate-ria di welfare, al livello nazionale: pur assumendosi come punto di

(237) Cfr. P. SALAZAR, Tassazione agevolata dei premi 2016: il ruolo della contrattazionecollettiva, in Quotidiano Ipsoa, 26 aprile 2016; Nel passato sono ricorsi a tali strumentidiverse imprese (es. Luxottica, Italiana Assicurazioni, Endress-Hauser, Zanussi, Nestlè). lnproposito v. I. DI STANI E R. ZUCARO, Il nuovo accordo Luxottica: welfare, alternanza ebenessere, in www.fareconciliazione.it, 24 giugno, 2013, 1; L. PERO E A.M. PONZELLINI, Eccoquali flessibilità è meglio incentivare per la produttività, in AREL Europa, lavoro, economia,2012, 6, 429.

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partenza il rinvio neutro all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, checomunque può garantire spazi al livello nazionale, la destinazionedi risorse finanziarie pubbliche alle materie negoziate a livelloaziendale o comunque decentrato incentiva e rafforza tale livellocontrattuale, del resto in sintonia con i processi di regolazione dellacontrattazione decentrata di cui oggi al T.U. 10 gennaio 2014 edagli obiettivi del più volte citato Accordo CGIL-CISL-UIL del 14gennaio 2016 (238).

Per le parti sociali, si tratta, a parere di chi scrive, di una doteregolativa notevole, in termini tanto di risorse quanto di occasioniper l’affermazione di modelli partecipativi di relazioni sindacali,che qui vengono promossi su temi e spazi elettivi della contratta-zione collettiva, in termini acquisitivi/retributivi del negoziato alivello aziendale (239). Per i sindacati che sapranno coglierla, sitratta anche di un’occasione d’avvicinamento e dialogo con lapropria base (240). In questo ambito, peraltro, oltre le dinamichedella contrattazione delegata, non sembrano emergere problema-ticità nel rapporto tra legge e contrattazione, né nel rapporto tralivelli negoziali, dato che questa contrattazione, come detto, rara-mente risulta derogatoria o ablativa.

Il legislatore ha attivato una serie di meccanismi di sollecita-zione della contrattazione collettiva, in quanto essa è abilitata adintervenire su una serie ampia di materie a qualsiasi livello: laricerca del consenso è il prius e non è dubbio che il livello aziendalepossa essere il più fecondo in questo senso per alimentare loscambio tra le parti.

Riprendendo quanto sopra accennato (§. 3), gli interventi del“nuovo” legislatore ma anche, come visto, i propositi delle grandicentrali sindacali su temi che potrebbero divenire per il futuro

(238) Secondo il quale occorre puntare « allo sviluppo esteso di una contrattazionedelle forme di welfare, piuttosto che assecondare la diffusione di forme unilaterali promossedalle imprese. In questo senso, la gestione contrattuale del welfare deve avvenire in modomirato rispetto alle caratteristiche dei singoli contesti, partendo dai bisogni reali dellepersone, delle aziende, dei territori e dei settori ».

(239) Cfr. C. ZOLI, La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese nellarecente progettazione legislativa, in C. ZOLI (a cura di), Lavoro e impresa: la partecipazione deilavoratori e le sue forme nel diritto italiano e comparato, Torino, Giappichelli, 2015, 109 e ss.

(240) Cfr. P. ICHINO, La crisi del movimento sindacale in Italia, Intervista, in www.pie-troichino.it, 11 aprile 2016, che riconosce una perdita di peso dei sindacati proprio perchéstrutturati prioritariamente in funzione della contrattazione centralizzata.

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assolutamente strategici in relazione a vecchie e nuove sfide sociali(si pensi solo al fenomeno migratorio, ed all’impatto che esso stadeterminando sull’economia globale e sugli assetti della nostrasocietà (241); ovvero al tema dei lavoratori non più attivi inrelazione ai sistemi di sicurezza sociale (242)), sembrano presup-porre modelli diversi di relazioni sindacali, di matrice ampiamenteinclusiva rispetto alle modalità di organizzazione dei lavoratori,nella prospettiva di tutela dell’azione sindacale globalmente in-tesa (243). Ma anche di matrice collaborativa, quanto meno nelrapporto tra partecipazione e contrattazione collettiva, nella di-mensione in cui « il sistema partecipativo sia visto come risorsaaggiuntiva e non sostitutiva » rispetto alle altre forme diazione (244), risorsa imprescindibile delle relazioni sindacali lad-dove proiettate, come visto, seppure tramite il libero negoziato,verso interessi ed obiettivi comuni tra le parti: e ciò, sia nelleipotesi in cui con il negoziato si contrattino misure aggiuntivedirette al benessere organizzativo e dei prestatori di lavoro ampia-mente inteso; sia quando oggetto della trattativa siano i tratta-menti retributivi di carattere accessorio, in una dinamica salarialenella quale, dunque, non può essere escluso un rinnovato (e ripen-sato) ruolo anche per il contratto nazionale di categoria (245).

7. Lavoro pubblico e relazioni collettive: (ormai) un altro dirittosindacale (ancora da imitare?).

Il tentativo più intenso svolto dal legislatore in questi anni, nella

(241) Cfr. F. CARRERA e E. GALOSSI (a cura di), Immigrazione e sindacato. Lavoro,cittadinanza e sindacato, 7° rapporto IRES, Roma, Ediesse, 2014.

(242) Anche rapportato alla questione, peraltro già colta da tempo (cfr. G. Cazzola,Lavoro e welfare: giovani versus anziani, Rubettino, Soveria Manelli, 2004) delle risorse dadestinare alle garanzie per le nuove generazioni.

(243) Cfr. L. ZOPPOLI, Sindacati e contrattazione collettiva: vecchi stereotipi o preziosiingranaggi delle moderne democrazie?, in LD, 2015, 419-421, nel senso di salvaguardia dellademocrazia sindacale e dell’unità sindacale, in una dimensione in cui però la libertà sindacalenon intralci il riconoscimento più ampio di altri diritti, primi fra tutti quelli dei lavoratori.

(244) A. PERULLI, Intervento, in Rappresentanza collettiva dei lavoratori e diritti dipartecipazione alla gestione delle imprese, Atti Giornate di Studio Aidlass 2005 — Lecce,Milano, Giuffrè, 2006, 305.

(245) Cfr. C. DELL’ARINGA, Come cambieranno i contratti nazionali di lavoro, inwww.lavoceinfo.it, 26 gennaio 2016.

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immutata cornice costituzionale, per fornire una regolamentazione alfenomeno sindacale in funzione di più ampi propositi di riforma del-l’ordinamento statuale e del lavoro, riguarda senza dubbio il lavoronelle pubbliche amministrazioni, nel noto processo di contrattualizza-zione-privatizzazione che ha caratterizzato gli ultimi 25 anni (246).

Senza potere qui minimamente entrare nel merito della ri-forma e delle sue fasi di svolgimento (247), si può dire che ilprocesso legislativo ha contribuito alla creazione di un modello direlazioni collettive fortemente caratterizzato dal rapporto con lafonte legislativa, ma soprattutto dalle finalità di razionalizzazionee controllo della spesa (248), le quali hanno progressivamente edinevitabilmente curvato il modello a sacrificio dell’autonomia cuiera inizialmente ispirato, e quindi, in definitiva, della libertà ne-goziale dei vari attori del sistema.

Se si dovessero segnare un’“alfa” ed un’“omega” della “priva-tizzazione” delle relazioni sindacali del pubblico impiego, questepotrebbero essere rinvenute, per la prima, nella definizione delleregole di misurazione della rappresentatività sindacale ai fini dellacontrattazione collettiva e del godimento dei diritti sindacali, chehanno ispirato e determinato, per il forte impianto di democrati-cità sindacale, una loro trasposizione anche nell’ambito del lavoroprivato (249). Per la seconda, la riappropriazione da parte dellalegge, a partire dagli anni duemila, di ampi spazi regolativi, di lì apoco culminata, con il d.lgs. n. 150/2009 e complice il bloccofinanziario della contrattazione nazionale (a cominciare dall’art. 9del d.l. n. 78/2010), nella stabile inversione del rapporto fra legge econtrattazione collettiva, con una legge che si è auto-dichiarata(sempre) inderogabile da parte della fonte negoziale (250) ed ha

(246) F. CARINCI, Contrattazione e contratto collettivo nell’impiego pubblico “privatiz-zato”, in LPA, 2013, 493 ss.

(247) Per una efficace sintesi v. da ultimo A. BOSCATI, La politica del Governo Renziper il settore pubblico tra conservazione e innovazione: il cielo illuminato diverrà luce perpetua?,in LPA, 2014, 233 ss.

(248) Cfr. V. TALAMO, Gli interventi sul costo del lavoro nelle dinamiche della contratta-zione nazionale e integrativa, in LPA, 2009, 497 ss.

(249) Cfr. da ultimo in tal senso A. TAMPIERI, Il declino della privatizzazione delpubblico impiego, in MGL, 2016, 272.

(250) Come avvenuto in modo lampante in materia disciplinare o per gli istituti dellamalattia del lavoratore (sui quali v. D. CASALE, L’idoneità psicofisica del lavoratore pubblico,Bononia University Press, 2013, spec. 66).

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puntualmente definito gli ambiti in cui la contrattazione puòsvolgersi, severamente limitata e condizionata anche su contenutidel rapporto di lavoro di storica occupazione contrattuale (tratta-menti economici) (251).

La trasformazione degli assetti voluta dal legislatore delle piùrecenti riforme non ha toccato solo le relazioni contrattuali, maanche quelle di tipo partecipativo, regolate a livello nazionale, marealizzate a livello di amministrazione. È cosa nota ed altrettantodelicata, che impatta sulla questione della negoziabilità dei poteridirigenziali unilaterali di gestione (252), sia con riguardo allamicro-organizzazione, sia con riguardo a diversi momenti di ge-stione del rapporto di lavoro. L’idea di fondo, racchiusa nellenorme, è infatti quella giusta la quale la c.d. micro-organizzazionenon possa formare oggetto di contrattazione: quest’area, cioè, le è(o almeno le era stata) sostanzialmente sottratta. E la soluzione èquella di evitare il pericolo che attraverso gli istituti partecipativi,l’organo preposto alla gestione ceda verso la negoziazione, limi-tando dunque la legge il momento partecipativo, in questi luoghi,alla sola formula dell’informazione (art. 5, c. 2) (253); e stabilendo,poi, all’art. 40, c. 1 del d.lgs. n. 165/2001, che le materie oggetto dipartecipazione ex art. 9 del decreto non possono essere materie dicontrattazione.

Infine, diversamente dagli obiettivi di sviluppo del sistemasindacale del settore privato, votato come visto al decentramentoed al sostegno della contrattazione di prossimità, il sistema sinda-cale del lavoro pubblico ha invece prima limitato con legge, e poipressoché azzerato le potenzialità di sviluppo della contrattazione

(251) L. ZOPPOLI, Legge, contratto collettivo e autonomia individuale: linee per unariflessione sistematica vent’anni dopo la “privatizzazione”, in LPA, 2013, 717-718.

(252) Sulla impossibilità di cedere agli assetti negoziali i poteri gestionali delladirigenza, si rinvia allo studio di G. NICOSIA, Dirigenze responsabili e responsabilità dirigen-ziali pubbliche, Torino, Giappichelli, 2012, spec. cap. IV.

(253) Con l’avvio della c.d. Spending Review, passando per il d.lgs. n. 141/2011, vi èun’apertura verso lo strumento relazionale dell’esame. In effetti, la legge 135/2012, novel-lando l’art. 5 del TUPI, rispetto alla gestione esclusiva dei dirigenti, ha fatto salve la solainformazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovverol’esame congiunto per le misure riguardanti i rapporti di lavoro, ove previste nei contratticollettivi nazionali di cui all’articolo 9. Peraltro, attualmente, la formula dell’« esamecongiunto » non è generalmente prevista dai CCNL.

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integrativa decentrata (254). Causa un atteggiamento non linearedegli attori del sistema contrattuale, il legislatore si è visto addi-rittura costretto, con il d.l. 6 marzo 2014, n. 16 (c.d. “SalvaRoma-ter”), ad un tentativo di mediazione, fra esigenza di recu-pero delle somme indebitamente distribuite a livello decentratotramite una contrattazione poco rispettosa dei limiti di legge econtratto, giudizi di responsabilità amministrativo-contabile atti-vati verso i responsabili dell’erogazione indebita (255) e la nonindifferente questione sociale determinata dai dipendenti, pernulla disposti alla sospensione dei trattamenti e/o al recuperocoattivo dell’indebito da parte delle amministrazioni (in bustapaga o verso le future erogazioni contrattuali).

Purtuttavia, per il blocco della contrattazione collettiva, poirisolto come detto da Corte cost. 178/2015, il sistema non ha ancorapotuto misurarsi con la nuova ripartizione dei confini tra le fonti,scontando sugli operatori la difficile intesa di “ciò che di contrat-tuale” non era e non è più compatibile con le norme di leggesopravvenute. La Riforma Madia, di cui alla Legge di delegazione

(254) Cfr. A. VISCOMI, Lost in transition: la contrattazione integrativa nelle pubblicheamministrazioni tra riforme incompiute e crisi emergenti, in LPA, 2013, 249 e ss.; P. MATTEINI,Lo stato delle relazioni sindacali nel settore pubblico, in LPA, 2012, 700 ss.

(255) Con sentenza n. 14689/2015, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, uscendodal solco tracciato dai giudici contabili con riguardo alla perseguibilità dei rappresentantisindacali in caso di danno erariale determinato dalla contrattazione collettiva integrativa,ricordano che con la privatizzazione la disciplina del rapporto di lavoro è contrattualizzatae che i rapporti sindacali nel comparto pubblico sono ormai uniformi a quelli vigentinell’impresa, secondo quanto espressamente previsto dagli articoli 2 e 40 del d.lgs. 165/2001;chiarendo quindi che i sindacalisti nello svolgimento della loro funzione non partecipano aquella pubblica, ma, anzi, se ne distaccano per natura in maniera completamente opposta,mirando a perseguire gli interessi dei lavoratori. Quindi essi si sottraggono sia all’ambito deisoggetti assimilabili alla Pubblica amministrazione sia, conseguentemente, a quello dellaresponsabilità e della giurisdizione contabile, anche qualora il loro operato concorra allastipula di clausole contrattuali decentrate nulle per violazione di quelle di riferimento diportata collettiva nazionale. Questa visione un po’ illuministica della Corte circa le relazionicontrattuali a livello di amministrazione, propone di converso la questione fondamentaledella libertà sindacale della delegazione trattante di parte pubblica, unica soggetta aresponsabilità contabile-amministrativa nel proprio operato, se rapportata all’esclusionegarantita alle parti sindacali: giustificando dall’interno, in definitiva, il ragionamento dellaCorte, le norme della Riforma Brunetta che consentono alla parte pubblica, in caso dimancato raggiungimento dell’accordo, la definizione in via unilaterale delle discipline deitrattamenti economici e normativi dei dipendenti demandati alla contrattazione integrativa(artt. 40, cc. 3 bis e 3 ter d.lgs. n. 165/2001).

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n. 124/2015, costituisce dunque il primo reale cantiere di sperimen-tazione degli assetti delineati dal d.lgs. n. 150/2009 che appunto,nell’imminenza del varo dei decreti legislativi attuativi e di unanuova stagione della contrattazione collettiva nazionale dopo ilblocco dell’ultimo quinquennio, ha la possibilità di “testare” l’ef-fettiva portata delle riforme che l’hanno preceduta sul piano delrapporto tra fonti, e quindi di verificarne la tenuta, anche al fine diintrodurre opportuni elementi di carattere correttivo, nei limitiappunto forniti dalla delega legislativa.

Se è vero che in questi termini, e dunque con riguardo alrapporto tra legge, contratto collettivo e sistema delle relazionisindacali partecipative, la riforma Madia si muove in linea diassoluta continuità, sul piano normativo, con la riforma del 2009,a mio giudizio questa sperimentazione degli assetti costituisce peròuna importante occasione per apportare nuovi e significativi con-tenuti alla disciplina del lavoro pubblico, destinati, quanto meno,a rendere chiaro e netto il ruolo di ciascuna fonte all’interno delsistema, con indubbie ricadute positive sul piano della certezzanormativa e sull’intero sistema di gestione dei rapporti di lavoro edelle relazioni sindacali.

Il sistema della contrattazione collettiva sembra dunque risve-gliarsi, a parità di regole, in uno scenario in parte omologo a quellodelle riforme del 2009: il riferimento ovvio è al dato macroecono-mico, fatto proprio appunto dalla Corte costituzionale nella letturadelle norme che hanno bloccato la contrattazione, il quale impe-disce il recupero degli effetti economici delle procedure negozialiper il periodo di riferimento in una valutazione di contempera-mento dei diritti, tutelati dagli artt. 36, primo comma, e 39, primocomma, Cost., con « l’interesse collettivo al contenimento della spesapubblica », che deve essere adeguatamente ponderato « in un con-testo di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pub-blica » secondo misure che oggi la Corte reputa necessariamente« più stringenti », in séguito all’introduzione nella Carta fondamen-tale dell’obbligo di equilibrio di bilancio (art. 81, primo comma,Cost., come sostituito dall’art. 1 della legge costituzionale 20 aprile2012, n. 1).

In parte lo scenario appare invece diverso, proprio in forzadegli effetti di una riforma del 2009 che si è manifestata solo inpotenza, ma non in atto, in virtù del venir meno della fontecontrattuale nazionale nella disciplina dei rapporti di lavoro e delle

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relazioni sindacali: questo ha determinato uno strano scarto tem-porale, sempre più ampio, tra discipline di legge che venivanopuntualmente e sempre più di frequente a sedimentarsi nellaregolamentazione del lavoro pubblico e discipline di contrattocollettivo che, inibite dal blocco di legge, hanno continuato amuoversi e a regolare rapporti (di lavoro e prima ancora sindacali)nella più ampia incertezza della compatibilità con il dato legale.

Per restare al tema della contrattazione collettiva, cui sono perla gran parte dedicate queste pagine, si pone dunque il problema,tutt’altro che transitorio, di ridefinire gli spazi regolativi dellalegge e del contratto collettivo, attraverso due vie maestre:

i) la prima, che vedrà protagoniste Aran e OO.SS. sui tavolidella contrattazione nazionale, per la necessaria “ripulitura” deitesti contrattuali (penso semplicemente alle norme disciplinari deicontratti di comparto o a quelle in materia di progressioni orizzon-tali o verticali in carriera), al momento fermi alle enunciazioni dellatornata ante 2009 e dunque non compatibili ed uniformati allaregola della inderogabilità, ma soprattutto rispetto alle materieespressamente sottratte alla contrattazione. Da questo punto divista appare fondamentale una sincronia tra tempi di attuazionedella l. n. 124/2015 (in particolare degli artt. 11 sulla dirigenza e 17sui rapporti di lavoro) in quanto sarebbe paradossale giungere allastesura degli accordi di comparto con uno scenario legale ancora inprocinto di essere modificato;

ii) la seconda via maestra è quella che la legge Madia vorràassumere con riguardo al rapporto con il contratto collettivo, inquella che si potrebbe considerare la pars costruens dell’art. 2, c. 2seconda parte del d.lgs. n. 165/2001, allorquando consente allanorma contrattuale di derogare a quella di legge appunto su delegain chiave di delegificazione da parte di norma imperativa. È chiaroche al momento politico-sindacale in cui il d.lgs. n. 150/2009 fuemanato non appariva questa l’area da valorizzare, nel rapportolegge/contratto. Ora però il clima è cambiato: all’avvio di unanuova stagione di contrattazione per i comparti e le aree dirigen-ziali l’attore legislativo avrà la necessità di tenere conto di quantoaffermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 178/2015,alla luce della quale è difficile immaginare, almeno nelle parole delGiudice delle Leggi, a quasi un quarto di secolo dalla privatizza-zione, una migliore forma di rilancio del ruolo della contrattazionecollettiva per il settore pubblico, con effetti che si estendono, come

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detto (supra §. 2), all’intero sistema delle relazioni collettive dilavoro, privato e pubblico.

Qui, appunto, credo che la legge attuativa possa senz’altrointervenire, anzitutto individuando gli istituti che, in quanto og-getto di delega, possono trovare una forma di regolamentazione daparte dei contratti collettivi su rimando della legge: penso natu-ralmente alle zone storicamente poste a confine tra organizzazionee rapporto, ma soprattutto a quelle su cui si fonda la scommessa diefficienza sostenuta dalla legge 124 con riguardo agli istituti dellavalutazione e della premialità, ove centrale sarà il rapporto fe-condo fra regolamentazione e determinazioni di carattere econo-mico (art. 17, comma 1, lett. r), ma anche una reale partecipazioneall’impianto dei sistemi valutativi.

Si tratterebbe quindi di una feconda azione del nuovo legisla-tore tesa a risolvere, direbbe la Corte costituzionale “a riequili-brare”, le contraddizioni di fondo della riforma del 2009, tesa adazzerare il ruolo del sindacato nella negoziazione e nella parteci-pazione ma sulla base di un sistema costruito per riconoscere unruolo all’autonomia collettiva.

Per stare al tema di questo contributo, il segno che è possibileal momento cogliere rispetto al modello di relazioni collettive a suotempo tipizzato ed impiantato dalla legge nel 1997/98, e quindi nellediverse stagioni della “privatizzazione”, è quello di un corto-circuitodel sistema, dell’incapacità delle parti sindacali di controllare glisviluppi della contrattazione anche e soprattutto nel raccordo tra isoggetti negoziali ai vari livelli (256) e, in definitiva, della profondacrisi di rigetto delle relazioni collettive del lavoro pubblico verso laregolazione eteronoma, qui evidentemente esposta, più che all’im-perativo finanziario, al diverso approccio del soggetto politico (Go-verno, maggioranze parlamentari) rispetto al fenomeno sindacale.

8. Tra regolazione autonoma ed intervento di legge: è proprio neces-saria una « Legge sindacale »?

Tenuto nel debito conto il diverso contesto ordinamentale in

(256) Con ampio recupero, in molti settori, come dimostrato dai dati sulle elezionidelle Rsu, di un sindacalismo autonomo dichiaratamente organizzato in chiave di contrastoe risposta conflittuale all’azione del sindacato confederale.

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cui ci si muove, proprio l’esperienza del pubblico impiego priva-tizzato — unico ambito in cui appunto si è svolto un processoampio di istituzione e regolamentazione legale del fenomeno col-lettivo, più volte ritenuto compatibile con il dato costituzionale —induce una breve riflessione finale circa il “se” sia oggi indispensa-bile una « Legge sindacale », atta a disciplinare in modo nuovo egeneralizzato le relazioni collettive del settore privato, rispetto aitradizionali assetti in materia di rappresentatività, contrattazionecollettiva, partecipazione e conflitto.

È noto che in questi mesi il dibattito circa l’introduzione di unmodello sindacale disciplinato per legge sia divenuto particolar-mente intenso in letteratura, come anche tra i soggetti sindacali,seppure con linee e sfumature diverse dal punto di vista dei modie dei contenuti (257); ed è noto come da taluno questo interventodi legge sia ritenuto non solo utile, ma ineludibile per sciogliere inodi di storica criticità del diritto sindacale italiano e soprattuttoper rilanciare il ruolo del sindacato (ovvero, diversamente, perrivelare le reali intenzioni del legislatore riguardo al fenomenosindacale) (258).

Peraltro la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n.231/2013 (punto 9 della pronuncia), dopo aver esposto le possibilisoluzioni circa l’individuazione di un criterio selettivo della rap-presentatività sindacale ai fini del riconoscimento dei diritti sin-dacali di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori nel caso dimancanza di un contratto collettivo applicato nell’unità produt-tiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità dipervenire ad un accordo aziendale, ha rimesso al legislatore lacompetenza circa la scelta tra l’uno o l’altro criterio proposto (259).

(257) Il riferimento, come ovvio, è ai tre testi proposti per la riflessione dai Colleghidella rivista Diritti Lavori Mercati, dal gruppo di Colleghi di Frecciarossa e dalla CGIL(quest’ultimo testo inserito nella più ampia e complessa articolazione della “Carta dei dirittiuniversali del lavoro”).

(258) Cfr. L. ZOPPOLI, Sindacati e contrattazione collettiva: vecchi stereotipi o preziosiingranaggi delle moderne democrazie?, cit., 423; ma v. anche A. ZOPPOLI, Jobs Act e formantesindacale: quale ruolo per quale contrattazione collettiva?, cit., 40 e B. CARUSO, Per un interventoeteronomo sulla rappresentanza sindacale: se non ora quando?, in L. ZOPPOLI, A. ZOPPOLI, M.DELFINO (a cura di), Una nuova costituzione per il sistema di relazioni sindacali?, cit., 453 e ss.

(259) Cfr. per una posizione dubitativa circa l’utilità di una legge sul punto, F. LISO,M. MAGNANI e R. SALOMONE., Opinioni sul « nuovo » art. 19 dello statuto dei lavoratori, cit.;contrario ad un intervento di legge M. TIRABOSCHI, La legge sindacale? Le ragioni del no, in F.

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Non è possibile qui, per ragioni di spazio, dare conto delleproposte elaborate in sede scientifica e sindacale, con l’attenzioneche esse senz’altro meritano per ampiezza dell’elaborazione, ric-chezza dei contenuti, apertura verso il dibattito e le problematicheemerse, anche con riguardo ai più recenti scenari normativi esindacali (260).

È però possibile avanzare più di un dubbio sulla opportunità diun intervento legislativo di carattere generale (la « Legge sinda-cale »), il quale segnerebbe senz’altro un elemento di forte e signi-ficativa rottura con il passato e quindi la necessità di ripensare ilnostro sistema di relazioni industriali, non solo, come ovvio, nelrapporto con la fonte unilaterale, ma in tutte le sue compositesfaccettature, compresa quella del rapporto con l’art. 39 Cost. nellasua interezza (261).

L’esperienza del settore pubblico dimostra infatti, oltre ad unavolontà legislativa, di eterogenea appartenenza politica, di com-primere il ruolo sindacale anche in ambiti più ampi della contrat-tazione collettiva (in particolare con riguardo ai diritti di parteci-pazione, pur previsti dai CCNL), che la stessa codificazione delleregole di accertamento della rappresentatività sindacale ha coltempo condotto ad una eccessiva burocratizzazione dell’azionesindacale, anche nell’ambito del godimento dei diritti sindacali, sìcome regolati dall’autonomia collettiva del settore. Ne è riprova, inmolti ambiti, la crisi di funzionamento interno delle RSU nelleamministrazioni pubbliche e più in generale lo scollamento semprepiù significativo tra organismi territoriali rappresentativi ai sensidi legge e componenti degli organismi elettivi ai sensi degli accordiquadro.

Si rinuncerebbe poi, nel rapporto con le maggioranze parla-mentari di turno destinate ad occuparsi della « Legge sindacale »,alla faticosamente recuperata unità sindacale che ha caratterizzato

CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a CorteCost. n. 231/2013, in ADAPT Labour Studies, 2014.

(260) Per una analisi di dettaglio e di comparazione fra le proposte v. A. LASSANDARI,Tre proposte per una legge sindacale, intervento al Convegno « L’attuazione degli articoli 39e 46 della Costituzione: tre proposte a confronto », Roma, 13 aprile 2016, in corso dipubblicazione a cura della RGL.

(261) M. PERSIANI, Ancora a favore del (solo) comma 1 dell’art. 39 ella Costituzione, inL. Zoppoli, A. Zoppoli, M. DELFINO (a cura di), Una nuova costituzione per il sistema direlazioni sindacali?, cit. 495 ss.

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la feconda stagione dei più recenti accordi interconfederali, i quali,pur difettando del requisito dell’estensibilità ultra partes, hannoperò raccolto l’adesione (anche successiva) delle maggiori organiz-zazioni imprenditoriali. Le quali ultime sarebbero invece difficil-mente propense, pur nella prevedibile e “forte” vicinanza con illegislatore, ad una codificazione delle regole di accertamento dellarappresentatività dei datori di lavoro ai fini di legge e di vincola-tività dei trattamenti previsti dai contratti collettivi nazio-nali (262).

È pur vero che le proposte di cui si discute, le quali potrebberosenz’altro costituire valido riferimento per il futuro legislatore,sono largamente tributarie di parametri e regole già definite negliaccordi interconfederali (263), oltre che nella legge del pubblicoimpiego riformato. Ma è pure vero che, come si è cercato di rilevarein questo scritto, l’approccio inclusivo del Testo Unico del 2014 ela capacità di adattamento dinamico delle regole ivi contenute,anche rispetto ai “nuovi” rinvii di legge, appaiono in questomomento storico elementi da valorizzare rispetto alla loro “te-nuta” all’interno dell’ordinamento sindacale, il quale poco soppor-terebbe una cristallizzazione “data” delle regole, proveniente dafonte eteronoma.

Allo stesso modo, rispetto alle funzioni assegnate al sindacatoda parte dell’ordinamento giuridico, nelle descritte e diverse formedi welfare occupazionale/contrattuale e nel rilancio di forme par-tecipate di negoziazione in azienda, una istituzionalizzazione delruolo sindacale tramite intervento legislativo potrebbe compro-mettere la capacità del sindacato di sviluppare questo nuovo ruoloe soprattutto di integrare codeste sue nuove attività con quellestoricamente svolte nell’ordinamento del lavoro: con il rischio di« modificare le caratteristiche strutturali del nostro sindacalismo

(262) In questo senso v. A. LASSANDARI, Tre proposte per una legge sindacale, cit., ilquale appunto rileva la difficoltà di interagire sul punto con le associazioni datoriali ai finidella definizione di un assetto legislativo della rappresentatività datoriale. Lo stessoAccordo CGIL-CISL-UIL del 14 gennaio 2016 afferma che « un compiuto processo diriforma e misurazione della rappresentanza dovrà necessariamente coinvolgere le stesseassociazioni datoriali, per superare condizioni di monopolio o di arbitrio estranee ad unmoderno sistema di relazioni industriali ».

(263) Cfr. M. MARAZZA, Dalla “autoregolamentazione” alla “legge sindacale”? La que-stione dell’ambito di misurazione della rappresentatività sindacale, cit. 610 che tra le opzionidel legislatore vede anche la possibilità di replicare le regole del testo unico del 2014.

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per renderlo maggiormente integrato e funzionale gli obiettivieconomico-finanziari predeterminati » (264) o, peggio, di predili-gere definitivamente la « componente gestoria dell’autonomia col-lettiva...non certamente intesa nel senso “alto”, proprio di unafonte del diritto, come scolpita nell’art. 39 Cost. » (265).

Altro è, invece, a mio parere, un intervento legislativo didimensioni meno “invasive” — di cui si rintracciano matrici epercorsi, per quanto visto, nella più recente riforma del mercatoe del diritto del lavoro —, che appunto tenda a promuovere esostenere, con rinvio formale e dunque mobile, l’utilizzo delleregole definite e condivise nell’ordinamento sindacale, specie perquanto riguarda la contrattazione di livello aziendale e la suaproiezione verso modalità di tipo collaborativo/partecipativo. Alrispetto di tali regole va collegata l’efficacia erga omnes deicontratti collettivi aziendali, con un principio maggioritario svi-luppato in modo equilibrato e paritario tra RSU e RSA, rafforzatoda una estensione, ai fini della validità ed efficacia del contratto,della consultazione dei lavoratori in forza, atta a scongiurare itimori derivanti dalla contrattazione separata e della curvaturadella stessa a fini ed interessi prevalentemente datoriali. All’effi-cacia del contratto può essere collegata, in determinati ambitiregolativi, e quindi con facile supporto nelle norme vigenti inmateria di salario di produttività, una proposizione legale vinco-lante per l’impresa delle forme partecipative in azienda, finaliz-zate nei contenuti ma non nella composizione/organizzazione,lasciata alle determinazioni dell’autonomia collettiva. In talecontesto complessivo si potrebbe giustificare una forma di vigi-lanza sul rispetto dei meccanismi di legge da parte di organiamministrativi terzi, anche ai fini dell’applicazione di sanzioni neiconfronti delle parti in caso di violazione.

Il sostegno legislativo alla (sola) contrattazione aziendale, nellalogica partecipativa di cui si è detto, da un lato risulterebbe menoesposto rispetto ad una lamentata lesione della seconda partedell’art. 39 Cost.; dall’altro, non condurrebbe necessariamente adun indebolimento del fronte sindacale, se le centrali sindacalisapranno riorganizzare efficacemente il rapporto con le rappresen-

(264) G. FERRARO, Teorie e cronache del diritto sindacale, cit., 45. Al riguardo v. ancheR. Pessi, che parla di rischio di fenomeni di « stanca burocratizzazione ».

(265) M. RUSCIANO, Contrattazione e sindacato, cit., 1297.

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tanze territoriali ed aziendali in termini funzionali e di sussidia-rietà, soprattutto all’interno di linee guida stabilite dai CCNLquale rinnovato luogo di governo delle relazioni collettive di la-voro.

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LEGGE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVAIN EUROPA: VERSO NUOVI EQUILIBRI?

di FAUSTA GUARRIELLO

SOMMARIO: 1. I molteplici punti di vista da cui esaminare nella dimensione comparata ilmutamento del rapporto tra legge e contrattazione collettiva. — 2. Le tendenzecomuni a un’alterazione dell’integrazione funzionale tra legge e contrattazione collet-tiva: un mutamento qualitativo e quantitativo. — 3. “La foresta e gli alberi”: oltre letendenze comuni, l’acuirsi delle differenze tra sistemi nazionali. — 4. Gli interventilegislativi di attacco alla contrattazione nazionale/settoriale indotti dalla nuova go-vernance europea. — 5. La rifondazione del rapporto tra legge e contrattazionecollettiva attraverso la ripartizione delle sfere di competenza. — 6. Gli interventilegislativi sull’efficacia del contratto collettivo: le misure di riduzione dell’interattivitàe dei meccanismi di estensione. — 7. Gli interventi legislativi sulla rappresentanza deisoggetti negoziali: misurazione della rappresentatività, accordi maggioritari, nuovisoggetti abilitati a stipulare l’accordo aziendale. — 8. Le correzioni imposte aimeccanismi nazionali di regolazione salariale. — 9. Verso quali equilibri si va riconfi-gurando il rapporto tra legge e contrattazione collettiva: il tramonto del contrattocollettivo come atto normativo a portata generale e la sua esclusiva funzionalizzazionea strumento di gestione a livello aziendale?

1. I molteplici punti di vista da cui esaminare nella dimensionecomparata il mutamento del rapporto tra legge e contrattazionecollettiva.

Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva costituisce unaprospettiva di analisi tra le più interessanti per chi voglia indagareil significato e la direzione delle trasformazioni in atto nella disci-plina dei rapporti di lavoro in una dimensione comparata. Per ilgiurista essa offre l’opportunità di verificare, in relazione a singoliistituti o nel quadro più generale del rapporto tra fonti, lo spazioche ciascun ordinamento statuale demanda alla capacità di auto-regolamentazione di interessi professionali a soggetti privati, orga-nizzazioni sindacali e datori ali (o singoli imprenditori), in deter-minate fasi storiche e nell’ambito di diritti e principi di rango

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sovra-ordinato che ne costituiscono il quadro di riferimento. Per lostudioso di relazioni industriali, il rapporto tra legge e contratta-zione collettiva rappresenta una delle varianti istituzionali di cuitener conto nell’analisi dei mutamenti che interessano il campodelle relazioni industriali, inteso come sistema in cui operano piùattori, ciascuno con le proprie risorse e le rispettive fonti dilegittimazione. In tale quadro lo stato (e la legge che rappresentala sua risorsa più rilevante, ma non la sola) è solo uno degli attoriin campo, in veste di regolatore, di mediatore o arbitro, o di datoredi lavoro: e sebbene non sia mai assente dalle relazioni di lavoro,neppure allorché non intervenga direttamente a regolarle (1), essoagisce in un’arena le cui dinamiche sono più il risultato del com-plesso gioco degli attori che non l’effetto determinato dall’appli-cazione di regole interne o esterne al sistema. È importante per unacorretta lettura della realtà tenere sempre presente questa dimen-sione di autonomia degli attori nell’appropriazione e applicazionedelle regole, per non incorrere in una lettura formalistica deglieffetti che mutamenti del quadro normativo possono indurre suisistemi di relazioni industriali. Costituisce ancor oggi valido ausilioalla comprensione dei mutamenti in atto la teoria Giuliana dell’or-dinamento intersindacale (2), inteso come sistema non certo chiusoe impermeabile a dinamiche eteronome, ma che a queste reagisce econ queste Inter-agisce attraverso meccanismi complessi di adat-tamento, non riducibili allo schema formale comando-controllo.

Sicché trattando dei rapporti tra legge e contrattazione collet-tiva anche nella dimensione comparata è fondamentale tener pre-sente l’originaria concezione del contratto collettivo come attonormativo (3), espressione del potere originario di autoregolamen-tazione degli interessi professionali da parte dei gruppi, fondato neisistemi a base volontaristica sulla nozione di autonomia collettiva(Regno Unito, Italia, Germania, Svezia), in quelli a matrice sta-tualista come funzione delegata dallo stato alle parti sociali (Fran-cia, Belgio, Spagna, Grecia). Altrettanto rilevante è tenere pre-sente come nessun paese presenti oggi i caratteri puri dell’una o

(1) REYNAUD, Les syndicats en France, Paris, Tomo I, 1975, 261; REYNAUD, Les règlesdu jeu. L’action collective et la régulation sociale, Paris, 1997.

(2) GIUGNI, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano, 1960.(3) WEBB, Industrial democracy, London, 1902; FLANDERS, Collective Bargaining: A

Theoretical Analysis, in Br. j. ind. rel., 1968, 4 ss.

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dell’altra concezione, quanto piuttosto un mix più o meno accen-tuato di intervento eteronomo in sistemi a base fondamentalmentevolontaristica (anche in relazione all’adempimento di obblighicomunitari: v. Regno Unito), o margini più o meno ampi diautonomia organizzativa in sistemi a regolazione statualista. Epoiché le tradizionali distinzioni dei sistemi di relazioni industrialiper blocchi di paesi con caratteristiche simili scontano notevolimargini di approssimazione (4), appare necessario verificare, allaluce di varianti storiche, economiche, organizzative, tecnologiche,sociali, ideologiche, culturali, se e come l’integrazione funzionaletra legge e contrattazione collettiva si sia modificata nel tempo,con particolare riguardo all’accelerazione subita dall’inizio delXXI secolo, per tentare di delineare linee di tendenza comuni aivari paesi o gruppi di paesi.

Non c’è dubbio infatti che le relazioni industriali muovono inuno spazio forgiato da vicende storiche, tradizioni, prassi nonmeno che da determinanti ideologiche e istituzionali che costitui-scono il contesto di riferimento dei diversi sistemi. In questo spaziostoricamente connotato si colloca il punto di osservazione tipica-mente giuridico del rapporto tra fonti, legge e contratto collettivo,l’una espressione della sovranità popolare, l’altro della capacità diautocomposizione degli interessi da parte dei gruppi sociali (5). Ilcontratto collettivo, formalmente atto di autonomia privata, nel-l’assolvimento della sua essenziale funzione normativa (per laquale Carnelutti utilizzò, seppure in un diverso contesto norma-tivo, la metafora del contratto collettivo che ha corpo di contrattoe anima di legge) entra in competizione con la fonte primaria nellaregolazione dei rapporti di lavoro, dando vita nei diversi sistemi amolteplici forme di integrazione funzionale tra legge e contrattocollettivo: dal principio di gerarchia delle fonti che ne governa ilrapporto nei paesi di civil law, alla reciproca indifferenza nei paesidi common law, in cui il contratto collettivo ha una vincolativitàsociale ma non giuridica (6), alle diverse forme di integrazionefunzionale attraverso meccanismi di delega dall’una all’altra fontein funzione integrativa, sostitutiva o derogatoria, sino ai recenti

(4) BURRONI, Capitalismi a confronto, Bologna, 2016, 8.(5) VENEZIANI, Stato e autonomia collettiva. Diritto sindacale comparato, Bari, 1986, 121

ss.(6) WEDDERBURN, The Worker and the Law, 3rd, Harmondsworth, 1986.

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meccanismi legali che riconoscono priorità applicativa al contrattocollettivo non più sulla base del principio di favore, bensì delprincipio di sussidiarietà/prossimità della fonte alla situazioneconcreta da regolare in funzione adattiva allo specifico contestoaziendale o locale.

La tendenza affermatasi nell’ultimo decennio in molti paesieuropei a favorire il contratto collettivo aziendale a caratterederogatorio viene letta come un capovolgimento del sistema dellefonti a vantaggio della fonte meno dotata dei caratteri di genera-lità e astrattezza tipici delle fonti normative e più a ridosso degliinteressi concreti da comporre, tendenzialmente disaggregabili finoal livello individuale, dove il singolo lavoratore si ritrova solodavanti al potere organizzativo del datore di lavoro. Il timore èquindi di un progressivo smantellamento della contrattazione col-lettiva come forma tipica di regolazione delle relazioni di lavoro oquanto meno di uno svuotamento della funzione normativa pro-pria del contratto collettivo di categoria o di settore (multi-emplo-yer), in passato considerato legge della professione, in favore dellafunzione propriamente gestionale del contratto aziendale. La pre-ferenza legale per il contratto aziendale rischia di alterare profon-damente i rapporti di forza tra attori, soprattutto quando l’attivitàdi negoziazione viene riconosciuta in capo a soggetti che non hannonatura sindacale e quando viene meno la rete di protezione costi-tuita dalla norma inderogabile di matrice legale o convenzionalequale argine rispetto a deroghe peggiorative. Il tema evoca lastessa ratio fondativa del diritto del lavoro e il suo progressivodistacco dal diritto privato in considerazione di esigenze di riequi-librio contrattuale e di protezione della persona su quel particolaremercato in cui la merce che si vende e si acquista è il lavoro umanoe in quel peculiare rapporto caratterizzato dalla subordinazionealla situazione giuridica di potere della controparte.

Se la tendenza al decentramento della contrattazione collet-tiva verso l’impresa è fenomeno risalente agli ultimi decenni delsecolo scorso, che ha radici profonde nella segmentazione deimercati del lavoro e nella crescente competizione generata dal-l’apertura dei mercati alla dimensione mondiale (7), essa tuttavia

(7) Cfr. GUARRIELLO, I diritti di contrattazione collettiva in un’economia globalizzata, inDir. lav. rel. ind., 2012, 342 ss.

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ha subìto un’accelerazione all’inizio del nuovo secolo costituendouno dei principali indirizzi delle politiche pubbliche nei confrontidella contrattazione collettiva anche in paesi per tradizione carat-terizzati da abstention of the law rispetto al fenomeno collettivo. Inmolti ordinamenti nazionali, infatti, lo strumento legislativo èintervenuto a modificare l’assetto di regole preesistenti in materiadi contrattazione collettiva, non solo autorizzando il contrattoaziendale a regolare un ventaglio più ampio di materie rispetto aquelle sulle quali già era abilitato a intervenire in forza di dispo-sizioni di ordine legale o convenzionale preesistenti (tipicamente intema di orario di lavoro: v. leggi Aubry in Francia), bensì stabi-lendo una preferenza legale per il contratto di livello decentratorispetto al contratto di categoria/settore di livello nazionale/regionale, così disarticolando il rapporto tra diversi livelli contrat-tuali, ove esistenti (Spagna, Francia, Italia) e minando la funzionedi coordinamento negoziale svolta dal contratto nazionale.

L’intervento legislativo sugli assetti contrattuali sembra nellastagione più recente marcare in modo inedito la supremazia del-l’interesse pubblico (alla competitività, alla crescita dell’occupa-zione, al contenimento del debito pubblico) sull’interesse privato-collettivo, in funzione del riposizionamento strategico di ciascunpaese nella competizione internazionale. L’inseguimento di unacompetizione tra sistemi normativi (regime competition) sembraimporre oggi, ai sistemi che non hanno operato scelte strategichetempestive rispetto all’impatto della globalizzazione o alle conse-guenze dell’adozione della moneta unica, soluzioni obbligate, for-temente condizionate dalle misure anticrisi imposte dall’Unioneeuropea e dai meccanismi di governance macroeconomica (8).

Il primato dell’interesse pubblico sulla libertà sindacale esull’attività di contrattazione collettiva è stato realizzato non soloattraverso interventi legislativi diretti nel campo delle relazioni dilavoro, attraverso le cd. riforme strutturali dei mercati del lavoro,che hanno costituito la principale alternativa alle svalutazionicompetitive del periodo precedente l’introduzione della moneta

(8) Cfr. CHIECO, “Riforme strutturali” del mercato del lavoro e diritti fondamentali deilavoratori nel quadro della nuova governance economica europea, in Dir. lav. rel. ind., 2015, 359ss.; PIZZOFERRATO, L’autonomia collettiva nel nuovo diritto del lavoro, in Dir. lav. rel. ind., 2015,411 ss.

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unica (9), ma anche attraverso politiche fiscali che, in una conl’indebolimento della contrattazione salariale di settore e/o con lariduzione dei meccanismi di garanzia dei salari minimi (10), sonointervenute in molti paesi ad alleggerire il costo del lavoro per leimprese, a incentivare il ricorso a voci salariali legate alla produt-tività, a porre a carico della fiscalità generale i costi di assunzionee di transizione sul mercato del lavoro di lavoratori disoccupati eforme di sussidio per i lavoratori con bassi salari (Regno Unito,Germania).

Un’altra dimensione dell’intervento pubblico che ha prodottoeffetti rilevanti sui sistemi nazionali di contrattazione collettiva èrappresentata dalle politiche di liberalizzazione della concorrenzanel settore dei servizi e la considerazione di alcune norme protet-tive del lavoro di fonte legale o convenzionale alla stregua direstrizioni all’accesso al mercato dello stato ospitante per i presta-tori di servizi dopo la lettura restrittiva data dalla Corte di Giu-stizia alla direttiva sul distacco transnazionale di lavoratori nelquadro della libera prestazione di servizi (11). In tutti i paesil’introduzione di misure di liberalizzazione dei mercati ha inne-scato forme di protesta sociale a carattere generale o limitato aigruppi più direttamente colpiti dalle misure in questione (autotra-sportatori, tassisti, esercenti di servizi commerciali). A ciò si ag-giungano le misure di controllo della spesa pubblica e di riduzionedel debito pubblico che, nei paesi più esposti al rischio di deficiteccessivi, hanno imposto tagli unilaterali alle retribuzioni dei di-pendenti pubblici e il blocco della contrattazione collettiva nelsettore pubblico (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia). Gli effetticomplessivi indotti da queste politiche sono stati quasi ovunque ilridimensionamento del ruolo del contratto di settore a vantaggiodel contratto aziendale o individuale, o del potere unilaterale deldatore di lavoro.

Né il protagonismo dell’attore pubblico — rectius: dei gover-ni — è stato accompagnato da forme di dialogo con i partner sociali

(9) BACCARO, Salvati o affossati dall’Europa?, in Quad. rass. sind., 2016, 30 ss.;BORDOGNA, PEDERSINI, What Kind of Europeanization? How EMU is Changing NationalIndustrial Relations in Europe, in Dir. lav. rel. ind., 2015, 183 ss.

(10) DEAKIN, Labour standards, social rights and the market: “inderogability” reconsi-dered, in Dir. lav. rel. ind., 2013, 553 ss.

(11) DEAKIN, op. cit., 556.

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volte a concordare gli indirizzi e il contenuto delle riforme: conpoche eccezioni (Francia, Belgio, Finlandia), le prassi concertativee di dialogo sociale che avevano prodotto i grandi patti di concer-tazione degli anni ’90 e le diverse forme di legislazione negoziatasono state abbandonate o svuotate di significato (12). La dottrinadell’austerità imposta dall’UE ha contribuito a questo risultato: inparticolare dopo il 2010, l’azione degli stati non ha più cercatolegittimazione dal quadro di intese raggiunte sul piano interno coni principali interlocutori sociali, che così facendo assicurano il lorosostegno, o la mancata opposizione, alle misure da adottare; bensìdal via libera assicurato dalle istituzioni europee ai processi diriforma nel quadro del rafforzamento della sorveglianza macroe-conomica. In tale quadro, il decisionismo dell’attore pubblico,spinto a cercare soluzioni che rispondano alle attese dei mercatiinternazionali e alle valutazioni delle agenzie di rating, che pro-muovono o giudicano insufficienti le riforme in fase di annuncio, diformale adozione e di implementazione, porta a stringere i tempi ea ridurre il numero di mediazioni, sacrificando il confronto effet-tivo con gli attori sociali per più celeri modalità informative oconsultive, o adottando soluzioni concordate solo con i soggettidisponibili a condividerle, o ancora non dando seguito a posizionicomuni espresse dagli attori sociali, o minacciando interventi uni-laterali ove le parti sociali non siano in grado di trovare un accordo.La stessa tendenza a spostare il baricentro dei sistemi di contrat-tazione collettiva sugli accordi aziendali, in linea con i dettamieuropei, per favorire la flessibilità delle condizioni normative esalariali adattandole ai singoli contesti produttivi, contribuisce aridurre il peso degli attori sociali nazionali svuotando dall’internol’interesse al dialogo tripartito. La spinta all’aziendalizzazionedelle relazioni industriali si accompagna così a una riduzione dipeso del dialogo sociale triangolare, almeno dove il sistema con-trattuale non appare centralmente coordinato: la disintermedia-zione sociale è così al tempo stesso causa ed effetto del decentra-mento della contrattazione collettiva (13), perché indebolendo gli

(12) FREYSSINET, Structures, institutions et pratiques du dialogue social tripartite dansles pays members de l’Union européenne, Rapport, Ministère du travail, Paris, 2015.

(13) BELLARDI, Sistema politico, legge e relazioni industriali: dalla promozione all’esclu-sione?, in Studi in memoria di M. G. Garofalo, Bari, 2015, 103 ss.

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attori sociali nazionali libera i governi dalla ricerca di consenso e dimediazioni con le grandi organizzazioni degli interessi.

2. Le tendenze comuni a un’alterazione dell’integrazione funzionaletra legge e contrattazione collettiva: un mutamento qualitativo equantitativo.

La tendenza a un’alterazione dell’integrazione funzionale tralegge e contrattazione collettiva ha cominciato a manifestarsi sindagli anni ’80 del secolo scorso in molti paesi europei, inaugurandola stagione legislativa del diritto del lavoro della crisi. Lo chocpetrolifero del 1973 e la crisi economica e occupazionale che haprodotto hanno posto fine ai trenta gloriosi del secondo dopoguerrae aperto un ciclo, ormai di pari durata, dal quale il diritto dellavoro è uscito trasformato. In particolare ne è uscito trasformatoil paradigma del rapporto tra legge e contratto collettivo ereditatoda quel periodo, basato sulla inderogabilità unilaterale della normadi legge in ragione di esigenze di protezione del lavoratore con-traente debole (14).

Da ambiti specifici e circoscritti, riguardanti determinatiaspetti della regolazione delle tipologie contrattuali flessibili, delcosto del lavoro, delle crisi aziendali, la derogabilità a norme dilegge nel decennio successivo è andata estendendosi agli accordisulle ristrutturazioni, sulla durata del lavoro (le 35 ore in Francia),sulla flessibilità funzionale (leggi Hartz in Germania), sui salari,sino a diventare tendenza dilagante (15) che consente ad accordicollettivi con determinate caratteristiche soggettive e oggettive diderogare in peius a norme di legge su una serie ampia e indeter-minata di materie. La circostanza che tale potestà derogatoria siaattribuita anche e soprattutto ad accordi di livello aziendale portaa una destrutturazione dei sistemi coordinati di contrattazionecollettiva, con perdita di centralità del contratto settoriale (dero-gabile dall’accordo decentrato) sia nella sua funzione salariale e

(14) DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, 1976;WEDDERBURN, Inderogability, collective agreements and Community law, in Indust. law journ,1992, 245 ss.

(15) BORENFREUND, LYON-CAEN, SOURIAC, VACARIE, La négociation collective à l’heure desrévisions, Paris, 2005.

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normativa, di disciplina dei minimi di trattamento per l’interosettore, che nella sua funzione organizzativa della contrattazionecollettiva attraverso un sistema ordinato di rinvii da un livelloall’altro, o di clausole di deroga o di uscita centralmente control-late. Vari fattori hanno influito sulla tendenza al decentramentodelle relazioni contrattuali: dapprima la necessità di fronteggiareprocessi di riorganizzazione interni alle imprese attraverso accordiconcessivi (16) volti ad assicurare flessibilità organizzativa e sala-riale in cambio del mantenimento dei livelli occupazionali contro ilrischio della chiusura di impianti e/o delocalizzazioni in altri paesi.

All’esplodere della crisi gli accordi in deroga hanno costituitoda un lato uno strumento di salvataggio delle imprese, abilitate autilizzare tramite accordi aziendali tutti gli strumenti disponibili acomprimere i costi salariali e normativi per salvaguardare non solola base occupazionale, ma le stesse condizioni minime per restaresul mercato; dall’altro, un’opportunità per le imprese di utilizzaretali accordi in via preventiva per fronteggiare il rischio di crisianche in presenza di mere contrazioni di mercato (17). Anche sottol’influenza del mainstream delle istituzioni europee che, attraversogli studi condotti all’inizio del decennio sulle ristrutturazioni (18),l’incertezza indotta dalla giurisprudenza della Corte di giustiziasulla legittimità degli accordi collettivi quando entrano in rotta dicollisione con le libertà economiche garantite dai Trattati (19) e lepressioni esercitate nelle procedure di sorveglianza macroecono-mica nei confronti dei sistemi centralizzati di contrattazione col-lettiva in nome della imposizione di tagli salariali e di una contrat-tazione ritagliata su specifiche condizioni aziendali, quasi tutti gliordinamenti sono intervenuti ad allentare le discipline di riferi-mento della contrattazione collettiva per favorire accordi aziendali

(16) TREU, Gli accordi in deroga in Europa e la sfida ai sistemi contrattuali, in Quad.rass. sind., 2011, 51 ss.

(17) JACOBS, Decentralisation of Labour Law. Standard Setting and the Financial Crisis,in BRUUN, LORCHER, SCHOMANN (eds.), The Economic and Financial Crisis and CollectiveLabour Law in Europe, Oxford/Portland, 2014, 178 ss.

(18) MOREAU, Les restructurations d’entreprise et les politiques européennes: quellesinteractions? Introduction, in Rev. int. dr. écon., 2, 2008, 127 ss.; MOREAU, BLAS LOPEZ (eds.),Restructuring in the New EU Member States, Bruxelles, 2008; DIDRY, JOBERT, L’entreprise enrestructuration, Dynamiques institutionnelles et mobilisations collectives, Rennes, 2010.

(19) BRUUN, DE WITTE, LO FARO, MALMBERG, ORLANDINI, SCIARRA, ZAHN, Il dopo Laval.Uno sguardo comparato, in Dir. lav. rel. ind., 2011, 363 ss.

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a carattere derogatorio, sia attraverso meccanismi rimessi all’au-tonomia delle parti (Germania, Italia), che con interventi etero-nomi (Italia, Francia, Spagna). Può anzi sostenersi che, sotto laspinta delle severe condizionalità imposte dalla troika (Commis-sione europea, Bce e Fmi) ai paesi a rischio di default nonché delleraccomandazioni indirizzate a un’area assai più ampia dipaesi (20), ci sia stata una vera e propria rincorsa ad allargare glispazi della contrattazione in deroga per beneficiare delle stessecondizioni competitive dei paesi limitrofi (migliorare la perfor-mance economica, attrarre investimenti esteri, semplificare il si-stema normativo, attribuire certezza giuridica agli accordi rag-giunti).

Le tecniche utilizzate per favorire accordi aziendali in derogasono diverse in relazione alle diverse situazioni nazionali: laddovei sindacati, malgrado l’erosione di potere contrattuale subìta inalcune realtà, hanno mantenuto il controllo della contrattazione disettore, è stato lo stesso sistema contrattuale ad ammettere dero-ghe a livello aziendale (21) o a prevedere clausole di uscita dalcontratto di settore implicanti la temporanea non applicazione deiminimi economico-normativi (22): anche in questi paesi, peraltro,meccanismi flessibili di adattamento del sistema contrattuale, de-finiti in via autonoma dalle parti sociali o da queste tollerati difatto (23), sono stati sollecitati dal rischio di possibili interventi dinatura eteronoma. Nei paesi in cui il sistema di contrattazionecollettiva è retto da disposizioni di rango legislativo, la legge èdirettamente intervenuta a ridisegnare i rapporti tra contrattocollettivo di settore e accordo aziendale, riconoscendo priorità

(20) CLAUWAERT, The country-specific recommendations (CSRs) in the social field. Anoverview and comparison. Update including the CSRs 2015-2016, Bruxelles, 2015.

(21) AHLBERG, BRUUN, Sweden: Transition through collective bargaining, in BLANPAIN,BLANKE., ROSE (eds.), Collective bargaining and wages in comparative perspective, Bulletin ofComparative Labour Relations, 56, The Ague, 2005; FAHLBECK, MULDER, Labour and Employ-ment Law in Sweden, Lund, 2009.

(22) SANTAGATA, La contrattazione collettiva in Germania: tecniche di decentramento evincoli costituzionali, in Dir. lav. rel. ind., 2005, 573 ss.; HEIPETER, LEHNDHORFF, Decentrali-sation of collective bargaining in Germany: fragmentation, coordination and revitalisation, inEcon. lav., 2014, 45 ss.

(23) BORZAGA, Il decentramento “controllato” della contrattazione collettiva nella Repub-blica Federale Tedesca come antidoto alla crisi economica: realtà o mito?, in Dir. lav. rel. ind.,2014, 275 ss.

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applicativa a quest’ultimo su materie direttamente collegate alletrasformazioni economico-organizzative dell’impresa e alla promo-zione o al mantenimento dell’occupazione. Tali operazioni hannocomportato, in fatto e in diritto, una potenziale erosione dellacontrattazione centralizzata soprattutto nei suoi contenuti norma-tivi, da un lato ridefiniti al ribasso dalle riforme legislative deimercati del lavoro, dall’altro sempre suscettibili di deroghe peg-giorative da parte di accordi aziendali.

Ma il favore legislativo per il decentramento contrattuale nonrappresenta il solo elemento di tensione nel rapporto tra legge econtrattazione collettiva. Accanto e complementare a questa lineadi tendenza sono altri interventi di destrutturazione del contrattocollettivo di settore, quali i limiti legislativi posti alla sua ultrat-tività (Spagna, Grecia, Portogallo), condizioni più restrittive per imeccanismi di estensione (Portogallo, Spagna, Grecia), nuove re-gole di misurazione della rappresentatività delle organizzazionisindacali e datoriali (Francia) con il connesso principio maggiori-tario per la validità/efficacia degli accordi (Francia, Italia, Spagna,Portogallo, Grecia), la ridefinizione legale della gamma di soggettiabilitati a negoziare il contratto aziendale in alternativa ai rappre-sentanti sindacali. Le modifiche normative su tali aspetti spessonon costituiscono il risultato di un disegno organico di riformadella contrattazione collettiva, quanto piuttosto l’effetto di inter-venti cumulativi che si sono assestati nel corso del tempo e che,sotto l’impulso delle raccomandazioni europee, hanno assuntoinedita visibilità e organicità all’incalzare della dottrina europeadell’austerity, che considera la contrattazione collettiva nazionaleun ostacolo alle riforme strutturali (24). Di tale concezione, aper-tamente in contrasto non solo con i diritti fondamentali proclamatidalle Carte europee e le tradizioni costituzionali comuni agli Statimembri, ma anche con il diritto dei Trattati (25), l’indirizzo piùsignificativo appare quello di ridurre il peso della contrattazionesalariale a livello di settore, di ridurre o congelare i salari minimiquale possibile elemento di traino della contrattazione salariale, di

(24) BRUUN, Social Policy and Labour Law during Austerity in the European Union,Swedich Institute for European Policy Studies, in www.sieps.se, 2015.

(25) VENEZIANI, Austerity Measures, Democracy and Social Policy in the EU, in BRUUN,LORCHER, SCHOMANN (eds.), The Economic and Financial Crisis and Collective Labour Law inEurope, Oxford and Portland, 2014, 109 ss.; DEAKIN, op. cit.

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eliminare o congelare le indicizzazioni (Belgio), di tagliare le retri-buzioni e bloccare la contrattazione nel settore pubblico (Spagna,Grecia, Portogallo, Italia, Irlanda). Di questo pesante attacco allacontrattazione collettiva nazionale/settoriale le indicazioni pun-tuali avanzate in sede europea sugli interventi di ordine tecnicocostituiscono corollari, tutti operanti in direzione del ridimensio-namento (o di un vero e proprio smantellamento (26)) del contrattocollettivo nazionale di lavoro come conosciuto e praticato da oltreun secolo in molti stati membri e dei meccanismi finalizzati adestenderne l’applicazione.

A questa ricostruzione delle riforme di sistema a trazioneeuropea, in quanto realizzate sotto la pressione delle istituzionieuropee (27) riguardanti il rapporto tra legge e contrattazionecollettiva, possono opporsi vari ordini di obiezioni. Innanzituttoche le raccomandazioni europee non hanno carattere vincolante epertanto non obbligano gli stati a seguirne pedissequamente leprescrizioni, ben potendo essi adottare misure diverse di effettoequivalente (ben diversa è l’osservanza richiesta dai memoranda ofunderstandings negoziati dagli stati in cambio di assistenza finan-ziaria, vincolati da una più stretta e puntuale condizionalità). Insecondo luogo, che si tratta di misure giustificate dalla situazionedi emergenza, volte a correggere gli squilibri macroeconomici deglistati e a far rispettare i vincoli di bilancio concordati. Da ultimo,ma non ultimo, che tali misure non rientrano nella competenzanormativa dell’Unione europea, ché anzi è esclusa in materia dilibertà di associazione, retribuzione, sciopero e serrata dall’art.153, ult. comma, Tfue (28). A tali obiezioni può rispondersi che,malgrado il carattere non vincolante delle raccomandazioni rivolteagli stati nella procedura di sorveglianza macroeconomica e ladubbia natura delle stesse, non riconducibili alla competenza legi-slativa dell’Unione (come la Corte di giustizia ha avuto modo dichiarire nella sentenza Pringle), l’importanza assunta da tali fontiextra ordinem (29) e la sanzionabilità prevista per comportamentidegli stati che si discostino dalle indicazioni ricevute, porta a

(26) ETUI, Benchmarking Working Europe, Bruxelles, 2014.(27) CHIECO, op. cit., 379; PIZZOFERRATO, op. cit,, 424.(28) VENEZIANI, Austerity Measures, cit.(29) KILPATRICK., DE WITTE, A comparative framing of fundamental rights challanges to

social crisis measures in the Eurozone, in Eur. journ. soc. law, 2014, 2 ss.; KILPATRICK, On the

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deporre in favore di un inquadramento di tali strumenti di soft lawtra le fonti atipiche, che come tali dovrebbero essere scrutinatedavanti alle Corti per i profili di contrasto con i diritti fondamen-tali (30).

Quale che sia la loro natura, quel che preme segnalare in questasede è il carattere univoco, sistematico e puntuale delle raccoman-dazioni rivolte agli stati (anche) in materia di contrattazionecollettiva, come se si trattasse di materia nella piena disponibilitàdegli stessi e non invece rimessa, in molti ordinamenti, alla liberadeterminazione dei gruppi sociali, garantita dal principio di libertàsindacale di matrice internazionale, dal diritto di contrattazionecollettiva riconosciuto dall’art. 28 della Carta di Nizza, così comein molti ordinamenti dalle costituzioni nazionali (31). Si trattadello stesso errore prospettico in cui era incorsa la Corte di giustizianelle pronunce del Laval Quartet, di considerare i contratti collet-tivi e le azioni collettive come atti rientranti nella sfera di compe-tenza pubblica (32) e non invece a questa sottratti in quanto attidi autonomia privata o coperti da immunità. La mancata consi-derazione dell’ambigua natura giuridica del contratto collettivo(corpo di contratto e anima di legge) in molti ordinamenti nazio-nali, espressione della riconosciuta autonomia dei soggetti sociali efrutto della autoregolamentazione di interessi collettivi, in quantotale non pienamente soggetto al potere conformativo della fonteeteronoma, sebbene a questa permeabile, spiega la resilienza mo-strata in alcuni ordinamenti dai sistemi di contrattazione collet-tiva (33) malgrado la pesante interferenza dell’intervento legisla-tivo (34).

Rule of Law and Economic Emergency: the Degradation of Basic Legal Values in Europe’sBailouts, in Oxf. j. leg. stud., 2015, 1 ss.

(30) CHIECO, op. cit.; BRUUN, LORCHER, SCHOMANN, The Economic and Financial Crisisand Collective Labour Law in Europe, Oxford and Portland, 2014; KILPATRICK, DE WITTE, op.cit.

(31) VENEZIANI, Austerity Measures, cit(32) CARABELLI, Europa dei mercati e conflitto sociale, Bari, 2009; SCIARRA, Diritti

collettivi e interessi transnazionali: dopo Laval, Viking, Ruffert, Lussemburgo, in ANDREONI,VENEZIANI (a cura di), Libertà economiche e diritti sociali nell’Unione europea, Roma, 2009, 23ss.

(33) PIZZOFERRATO, op. cit.(34) CRUZ VILLALON, La nuova disciplina della contrattazione collettiva in Spagna: verso

una flessibilità senza consenso, in Dir. lav. rel. ind., 2016, 29 ss.

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Rispetto agli anni ’80 e’90, in cui la tendenza alla decentraliz-zazione della contrattazione collettiva ha avuto origine, assistiamooggi ad un consistente mutamento quantitativo e qualitativo dellastessa: dall’introduzione di clausole di decentramento e di deroga-bilità puntuali e circoscritte, la tendenza si è andata allargando econsolidando in quasi tutti i paesi europei caratterizzati da sistemidi contrattazione coordinata dove, sotto la spinta della globalizza-zione e delle misure di emergenza adottate per far fronte alla crisi,detti sistemi hanno subìto profonde modifiche degli assetti prece-denti o sono stati addirittura smantellati (Grecia, Portogallo, Ir-landa Romania). Sono rimasti immuni alle pressioni istituzionaliverso il decentramento dei sistemi contrattuali i paesi in cui unacontrattazione centralizzata non esiste (i paesi dell’Europa orien-tale, ad esclusione di Romania e Slovenia) o era stata smantellatain epoca precedente (Regno Unito); ovvero i paesi nei quali gliattori sociali hanno adottato compromessi che hanno consentito diadattare i sistemi di contrattazione collettiva alle esigenze di unmaggior decentramento attraverso diverse forme di coordina-mento tra accordi nazionali e accordi di livello aziendale o conaggiustamenti di fatto a carattere temporaneo (Germania) o nelquadro di un rinnovo del patto sociale esistente che confermal’adesione al modello sociale (i paesi scandinavi) e punta all’inno-vazione di qualità del sistema produttivo e dei servizi e al colloca-mento nella fascia alta della competizione internazionale (35).

3. “La foresta e gli alberi”: oltre le tendenze comuni, l’acuirsi delledifferenze tra sistemi nazionali.

Il quadro d’insieme delle relazioni industriali negli ultimi de-cenni ha evidenziato l’esistenza di tendenze comuni a quasi tutti ipaesi europei in una direzione che nel campo della political economyè stata definita di convergenza neo-liberale (36), caratterizzata dauna progressiva deregolazione delle relazioni collettive di lavoro:tale tendenza si è spesso manifestata non attraverso il ritiro dellostato dalle relazioni collettive, bensì tramite un nuovo interventi-

(35) DEAKIN, op. cit.; JACOBS, op. cit.(36) BACCARO, HOWELL, A Common Neoliberal Trajectory: The Transformation of

Industrial Relations in Advanced Capitalism, in Polit. soc., 2011, 521 ss.

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smo pubblico volto a ridurre i vincoli normativi per le imprese, infunzione di adattamento del quadro regolativo alle specifiche con-dizioni aziendali. Tale quadro, condizionato dalla accresciuta com-petizione internazionale, ha dapprima portato a una flessibilizza-zione delle regole sui mercati del lavoro, investendo poi, a seguitodell’impatto della crisi economica e finanziaria, il complesso deisistemi collettivi di regolazione del lavoro edificati nel corso delsecolo per assicurare ai lavoratori standard economici e normativiminimi e alle imprese una disciplina inderogabile in funzioneanticoncorrenziale. Oggi queste premesse sono fortemente rimessein discussione per favorire l’adattamento della regolazione salarialee normativa ai singoli contesti produttivi direttamente esposti allacompetizione internazionale, con l’effetto di “ributtare i salaridentro la concorrenza” (37). Rispetto al garantismo flessibile ocontrollato dei decenni precedenti, in cui la norma legale indero-gabile autorizzava margini di flessibilità delegando la contratta-zione collettiva a introdurre deroghe su aspetti attinenti allagestione del mercato del lavoro, la nuova stagione si caratterizzaper una disciplina legislativa ampiamente derogabile che, inci-dendo direttamente sugli assetti della contrattazione collettivaattraverso la ridefinizione del rapporto tra livelli negoziali, riduceil grado di copertura dei contratti di settore in favore della con-trattazione aziendale, assunta a fonte privilegiata di (auto)regola-zione (38) dei rapporti di lavoro.

La discussione in corso tra studiosi di relazioni industriali sulquadro di analisi proposto circa le attuali tendenze nei paesi acapitalismo avanzato alterna una lettura che privilegia l’esistenzadi tendenze comuni ai vari sistemi, sintetizzati nella ricostruzionedi traiettorie neo-liberiste (39), con tempi e modalità differenziatida paese a paese ma comunque convergenti verso una progressivamarginalizzazione delle relazioni industriali come forma di regola-zione dei rapporti tra capitale e lavoro; ad una ispirata alla

(37) BORDOGNA, La regolazione del lavoro nel capitalismo che cambia: fosche prospettive?,in Stato mer., 94, 2012, 17; CELLA, Difficoltà crescenti per le relazioni industriali europee eitaliane, in Stato mer., 94, 2012, 37.

(38) SUPIOT, Déréglementation des relations de travail et autoréglementation de l’entre-prise, in Dr. soc., 1989, 203 ss.

(39) STREECK, Re-Forming Capitalism. Institutional Change in the German PoliticalEconomy, Oxford, 2009; BACCARO, HOWELL, op. cit.

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letteratura sulla varietà dei capitalismi (40), in cui le determinantiistituzionali che hanno storicamente forgiato i diversi sistemi co-stituiscono (continuano a costituire) un’importante chiave di let-tura dei processi nazionali di adattamento alla competizione glo-bale. L’interesse di tale tipo di analisi è dato dalla capacità dicollocare su uno scenario più ampio i processi di cambiamentoinnescati nei diversi sistemi e di suggerirne un’interpretazionesecondo un approccio multidisciplinare che arricchisce la prospet-tiva di analisi giuridico-istituzionale. Tale approccio fornisce unabussola dei cambiamenti in atto utile a cogliere in una dimensionecomparata le numerose varianti che incidono sui processi in corsoe il ruolo giocato dall’attore pubblico in difesa dei sistemi diregolazione collettiva delle relazioni di lavoro ovvero in favore diuna loro destrutturazione che assecondi le dinamiche di mercato.

Anche nell’analisi dei rapporti tra legge e contrattazione col-lettiva appare calzante la metafora sulla foresta e gli alberi (41): nelloro insieme i cambiamenti in atto nei vari paesi (la foresta)sembrano convergere verso tendenze comuni; quando invece siesaminano più da vicino le modalità con cui i processi di cambia-mento si producono nei singoli paesi (gli alberi), ci si accorge chedietro le traiettorie comuni si cela una crescente diversificazione disoluzioni, forgiate da variabili economiche, organizzative, storiche,tradizionali, nonché dalla capacità di reazione degli attori sociali eistituzionali alle pressioni uniformanti del mercato. La stessa gri-glia ermeneutica della varietà di capitalismi esige adattamenti especificazioni riguardo all’attribuzione ad aree geografiche comuni,quali il modello scandinavo, anglosassone, continentale, mediter-raneo (42) in considerazione di varianti che modificano i caratteristrutturali di un sistema rispetto ad un altro della stessa area e cheportano ad esiti diversi.

A un’analisi più ravvicinata del rapporto legge-contrattazionecollettiva nei paesi europei emerge non solo la perdurante disomo-

(40) HALL, SOSKICE, Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Compa-rative Advantage, Oxford, 2001; ALBERT, Capitalismo contro capitalismo, Bologna, 1993;CROUCH, TRAXLER (eds.), Organized Industrial Relations in Europe: What Future?, Avebury,1995; TRAXLER, Bargaining, State Regulation and the Trajectories of Industrial Relations, inEur. journ. ind. rel., 9, 2, 2003, 141 ss.

(41) STREECK, op. cit., 170.(42) BURRONI, op. cit.

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geneità che caratterizza le relazioni collettive di lavoro, ma anchecome gli adattamenti impressi dalla globalizzazione abbiano incisosugli assetti interni con modalità diversificate e con diversi gradi dieffettività. Lo stesso intervento della legge sui sistemi di contrat-tazione collettiva ha avuto segno diverso a seconda che sia statoimposto unilateralmente o concordato con le parti sociali; abbiaavuto portata organica o limitata a singoli istituti; abbia assuntoobiettivi di destrutturazione del sistema contrattuale e del suogrado di copertura, come nei paesi dell’Europa del sud, o di ricercadi nuovi equilibri tra fonte legale e fonte convenzionale.

Così, malgrado la direzione univoca impressa ai cambiamenti,gli esiti cui sono suscettibili di dar luogo nel medio periodo restanoaltamente incerti, dipendendo in larga misura da una serie divariabili su cui incidono le strategie degli attori, l’andamento delciclo economico, l’uscita dalla fase di emergenza e le prospettive diripresa, gli andamenti del mercato del lavoro e gli effetti indotti daiprocessi di riforma intrapresi.

Anche nei paesi in cui il mutamento di rotta è stato piùdrastico perché imposto unilateralmente dall’intervento autorita-tivo dello stato, sotto la pressione delle pesanti condizionalitàimposte dalle istituzioni economiche europee e internazionali, glieffetti sui sistemi di contrattazione collettiva sono stati diversi,portando in alcuni casi allo smantellamento della contrattazionecentralizzata, come in Irlanda (43), e talora della copertura con-trattuale tout court per ampie fasce di lavoratori in assenza distrutture per la contrattazione aziendale o settoriale, come avve-nuto in Romania (44); in altri casi a un drastico ridimensiona-mento della copertura del contratto collettivo di settore o inter-settoriale, come in Portogallo e in Grecia (45), che però ha conti-

(43) DOHERTY, It must have been love...but it’s over now: The crisis and collapse of socialpartnership in Ireland, in Transfer, 2011, 371 ss.; REGAN, The impact of the Eurozoneadjustment on Ireland, in PAPADAKIS, GHELLAB (edit.), The governance of policy reforms inSouthern Europe and Ireland. Social dialogue actors and institutions in times of crisis, Geneva,2014, 127 ss.

(44) CIUTACU, National unique collective agreement ended by law, in Eironline, 2011;TRIFF, Romania, Collective bargaining institutions under attack, in Transfer, 19 (2), 2013, 227ss.

(45) PALMA RAMALHO, Portuguese labour law and relations during the crisis, in PAPADA-KIS, GHELLAB (edit.), The governance of policy reforms in Southern Europe and Ireland. Socialdialogue actors and institutions in times of crisis, Geneva, 2014, 147 ss.; GOMES, A contrataçao

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nuato a costituire la pur fragile ossatura del sistema di contratta-zione collettiva.

Nei paesi non sottoposti alle rigide condizionalità della troika,ma destinatari di lettere “riservate” della Bce ai governi peraccelerare i processi di riforma nonché di raccomandazioni speci-fiche dirette alla revisione della struttura contrattuale (Spagna,Italia) nel quadro della procedura di sorveglianza macroeconomica(cd. semestre europeo), le misure legislative intervenute sui sistemidi contrattazione collettiva hanno spesso apertamente eluso leprassi di dialogo sociale allo scopo di favorire accordi aziendaliderogatori rispetto ai contratti di livello superiore. In tali paesi ilcontratto collettivo di settore, pur depotenziato e minacciato dallacontrattazione in deroga di livello inferiore, ha tuttavia continuatoa svolgere la funzione di definire il quadro di riferimento perl’intero settore, in considerazione sia di esplicite strategie degliattori sociali di contenimento dei rischi di uscita dal sistemacontrattuale, che dei limiti di copertura della contrattazione azien-dale, di fatto inidonea a sostituire i contratti di settore per unanotevole porzione di forza lavoro occupata nelle imprese di dimen-sioni minori. In entrambi i paesi le parti sociali hanno infatticonfermato attraverso accordi generali intersettoriali (il T.U. delgennaio 2014 in Italia, l’Accordo per l’impiego e la contrattazionecollettiva 2015-17 in Spagna) l’esistenza di meccanismi di coordi-namento interni al sistema contrattuale fra contratto di settore econtratto aziendale, volti a ricondurre alla struttura disegnatadagli accordi settoriali e intersettoriali le deviazioni consentite alcontratto aziendale.

Se la principale linea di demarcazione evidenziata negli annidel dopo crisi è segnata dal diverso grado di vincolatività e capa-cità di pressione esercitati sui diversi paesi dai nuovi meccanismi digovernance europei, che hanno pesantemente contribuito ad allar-gare la distanza tra i paesi del centro-nord e i paesi dell’Europa

coletiva in peius e a rapresentatividade sindical, in PALMA RAMALHO, COELHO MOREIRA (coord.),Crise economica: fim ou refundaçao do direito do trabalho, Lisboa, 2016, 91 ss.; KOUKIADAKI,KOKKINOU, The Greek system of collective bargaining in (the) crisis, in Etui, BenchmarkingWorking Europe, Bruxelles, 2016, 135 ss.; TZANNATOS, The Greeck adjustment programme:Fiscal metrics without economic goals?, in PAPADAKIS, GHELLAB (edit.), The governance of policyreforms in Southern Europe and Ireland. Social dialogue actors and institutions in times ofcrisis, Geneva, 2014, 163 ss.

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mediterranea, imponendo a questi ultimi l’agenda e il calendariodelle riforme da attuare (46) con interventi mirati anche sui sistemidi contrattazione collettiva; le differenze e divergenze preesistentitra modelli nazionali di governo delle relazioni collettive sonorimaste e si sono anzi accentuate, pur in presenza di adattamentiindotti dai mutamenti economici, che spingono tutti i sistemi indirezione di una deregolazione guidata da esigenze di mercato.

Così un rilevante tratto distintivo rimane l’autonoma capacitàdi coordinamento dei sistemi contrattuali, propria dei sistemiscandinavi, dove le richieste imprenditoriali di decentramentosalariale, risalenti agli anni ’90, hanno trovato risposta nel quadrodei grandi accordi di partecipazione che — sulla premessa di uninteresse condiviso delle parti sociali al mantenimento del modellodi relazioni industriali e di welfare da un lato, e alla scelta strate-gica di puntare sui fattori di qualità e innovazione per competeresu scala internazionale, dall’altro — hanno consentito una note-vole flessibilità salariale a livello aziendale e finanche indivi-duale (47). L’intervento legislativo, essenzialmente limitato a fa-vorire l’autonoma composizione degli interessi tra le parti, si è resotuttavia necessario per rispondere alle questioni sollevate dallagiurisprudenza della Corte di giustizia circa il ruolo della contrat-tazione collettiva e del conflitto industriale nella regolazione dellaprestazione transnazionale di servizi, confermando la legittimitàdell’azione collettiva al fine di ottenere trattamenti equivalenti aquelli nazionali per contrastare il dumping sociale (48). Nei paesiscandinavi e in Germania l’intervento legislativo, fortemente sol-lecitato dai sindacati, costituisce un esempio di risposta a pressionicompetitive esterne (49) a fini di contrasto del dumping sociale:esso ha implicato l’attivazione di meccanismi di estensione delcontratto collettivo, esistenti ma inattivi da tempo, in settori ad

(46) CHIECO, op. cit.(47) FAHLBECK, MULDER, op.cit; MALMBERG, The Collective Agreement as an Instrument

for Regulation of Wages and Employment Conditions, Stockholm, 2009, 189 ss.(48) SCIARRA, Notions of Solidarity in Times of Economic Uncertainty, in Int. law

journ., 2010, 223 ss.; BRUUN, DE WITTE, LO FARO, MALMBERG, ORLANDINI, SCIARRA, ZAHN, op. cit.(49) BISPINCK, SCHULTEN, Wages, collective bargaining and economic development in

Germany: Towards a more expansive and solidaristic development?, WSI-Diskussionspapier,n. 191, Düsseldorf, 2014.

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elevata concentrazione di lavoratori distaccati e/o migranti, comel’edilizia, la cantieristica navale, le attività di pulizia (50).

Nel processo di decentralizzazione che ha toccato in misuradiversa quasi tutti i sistemi nazionali di contrattazione collettiva,ad eccezione di Belgio e Finlandia (51), prevedendo meccanismi dideroga ai contratti di settore o multi-employer da parte del con-tratto aziendale, la posizione della Germania si caratterizza, dopola riunificazione, per un consistente processo di decentramentocontrattuale realizzato attraverso l’utilizzo massiccio di clausole diuscita o di apertura, che consentono la temporanea disapplicazionedelle condizioni previste dal contratto di settore in situazioni didifficoltà economica e occupazionale per le imprese, soprattuttodella ex Germania orientale. Il fenomeno, acuito dalla disaffilia-zione di molte imprese dalle organizzazioni datoriali, ha portatonell’arco di un quindicennio a una forte caduta della copertura deicontratti di settore e alla diffusione di accordi aziendali a carattereprevalentemente concessivo (52) spesso negoziati con i comitatiaziendali, cui nell’assetto normativo fondato sulla legge sulla co-stituzione dell’impresa (BVG) non spetta la funzione contrattuale,riservata al sindacato.

Il fenomeno, inizialmente accettato dal sindacato nel presup-posto del suo carattere transitorio come conseguenza della riunifi-cazione, poi tollerato come male minore in presenza di un drasticocalo della sindacalizzazione, ha mostrato nel tempo le sue poten-zialità di progressiva erosione del sistema contrattuale e di tenutadel modello sociale. Questa situazione di fatto, amplificata dall’en-trata in vigore delle riforme Hartz sul mercato del lavoro dei primianni 2000 e dalle nuove possibilità di utilizzo della flessibilitànumerica e funzionale, che hanno accentuato il dualismo tra settoriorientati all’esportazione altamente competitivi e settori dei ser-vizi sempre più caratterizzati da lavori discontinui e mal retribuiti,nonché dalla concorrenza salariale alimentata da imprese di forni-tura, agenzie di lavoro interinale, processi di privatizzazione di

(50) MARGINSON, La contrattazione coordinata in Europa: da un’erosione incrementale aun attacco frontale?, in Quad. rass. sind., 2016, 75 ss.

(51) JACOBS, op. cit.; KEUNE, Less governance capacity and more inequality: the effects ofthe assault on collective bargaining in the EU, in VAN GYES, SCHULTEN (eds.), Wage bargainingunder the New Economic Governance, Bruxelles, 2015, 283 ss.

(52) TREU, op. cit.

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grandi imprese (poste, trasporti), non adeguatamente contrastatada una giurisprudenza oscillante e dal ricorso sempre più rarefattoalle procedure di estensione del contratto collettivo, ha alfineinnescato a partire dal 2009 una tendenza di segno contrario, voltaa contrastare i fenomeni più vistosi di smottamento del sistemanegoziale attraverso la richiesta di interventi legislativi mirati alsupporto della contrattazione collettiva nei settori più esposti arischio di deregulation.

Al polo opposto del catalogo delle differenze si colloca il RegnoUnito, caratterizzato sin dagli anni ’80 da un decentramentospinto della contrattazione collettiva, dove la contrattazione set-toriale è quasi del tutto scomparsa dal settore privato (53) e doveil necessario riconoscimento del sindacato in azienda (ERA 1999),subordinato al sostegno di almeno il 50% della manodopera iviimpiegata, rende di fatto proibitiva anche la stipula di contratticollettivi a livello aziendale. In tale contesto di de-collettivizza-zione delle relazioni di lavoro, i salari sono determinati dall’im-presa sulla base di rilevazioni di mercato commissionate ad appo-site agenzie per le professionalità medio-alte e rimesse ad unacontrattazione quasi individualizzata. Il modello britannico nonappare più così isolato in Europa, perché tutti i paesi di nuovaadesione, ad eccezione di Romania e Slovenia, in mancanza di unasolida strutturazione delle parti sociali (soprattutto sul versantedelle organizzazioni datoriali), praticano sistemi di contrattazioneprevalentemente aziendale.

4. Gli interventi legislativi di attacco alla contrattazione nazionale/settoriale indotti dalla nuova governance europea.

Uno degli ambiti in cui l’intervento legislativo ha pesante-mente interferito con i preesistenti assetti delle relazioni collettiveè stato quello del depotenziamento della contrattazione centraliz-zata di settore o intersettoriale, considerata un fattore di rigiditàdisfunzionale rispetto alla ricerca di flessibilità, salariale e norma-tiva, reputata necessaria per assicurare il miglioramento dellacompetitività. Nei processi di riforma strutturale perseguiti dal-l’Unione europea la regolazione salariale in particolare è stata

(53) DEAKIN, op. cit.

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considerata una variabile da utilizzare come succedaneo dellesvalutazioni competitive degli anni ’90 (54) al fine di migliorare ilposizionamento strategico sul piano internazionale (55). La fun-zione di regolazione salariale del contratto collettivo negli anni deldopo crisi ha costituito pertanto il bersaglio principale delle rac-comandazioni europee indirizzate agli stati membri in materia dicontrattazione collettiva (costituenti una percentuale del 40%delle raccomandazioni in materia sociale nel 2015, quindi unaspetto del tutto rilevante dei processi di riforma auspicati (56))con l’ossessivo richiamo ai paesi con regolazione salariale centra-lizzata ad intervenire affinché “i salari evolvano in linea con laproduttività”, rimettendone la determinazione a livello di impresa.

Attorno all’asse costituito dal decentramento della contratta-zione collettiva e a politiche di moderazione salariale ha ruotato lastrategia di attacco alla funzione salariale del contratto collettivonazionale, ossia al cuore dei sistemi di contrattazione centralizzati,attraverso una serie di indicazioni puntuali: la riduzione o ilcongelamento dei salari minimi al fine di calmierare l’aumento deisalari medi; l’eliminazione o sospensione dei meccanismi di indi-cizzazione; la determinazione della durata dei contratti collettivi;l’abbreviazione del periodo di ultrattività del contratto collettivo;la revisione in senso restrittivo dei meccanismi di estensione; ilblocco della contrattazione nel pubblico impiego e i tagli alleretribuzioni dei dipendenti pubblici (57). L’attacco ai sistemi dicontrattazione collettiva centralizzata ha riguardato innanzituttoi paesi con gravi squilibri macroeconomici, in cui gli interventidiretti sulla contrattazione collettiva nazionale, oggetto delle mi-sure di austerità salariale e delle riforme strutturali imposte dalleautorità europee sono stati più drastici, non lasciando quasi nessunmargine di discrezionalità alla potestà normativa dei singoli stati.Ma analoghe indicazioni sono state rivolte anche ad altri paesi

(54) DEAKIN, KOUKIADAKI, The sovereign debt crisis and the evolution of labour law inEurope, in COUNTOURIS, FREEDLAND (eds.), Resocialising Europe in a time of crisis, Cambridge,2013, 163 ss.

(55) BORDOGNA, PEDERSINI, op. cit.(56) CLAUWAERT, op. cit.(57) MARGINSON, Coordinated Bargaining in Europe. From Incremental Corrosion to

Frontal Assault?, in Eur. journ. ind. rel., 2014, 97 ss.; JACOBS, op. cit.; MARGINSON, KEUNE,BOHLE, Negoziare gli effetti dell’incertezza? In discussione la capacità di governance dellacontrattazione collettiva, in Quad. rass. sind., 2016, 103 ss.

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attraverso le raccomandazioni loro rivolte. Nel primo gruppo dipaesi interventi autoritativi sotto il segno dell’emergenza hannobruscamente posto fine alla contrattazione settoriale e intersetto-riale (Irlanda, Grecia, Portogallo, Romania) (58), lasciando senzacopertura contrattuale ampi strati di lavoratori (59).

Particolarmente radicale rispetto al ruolo del contratto collet-tivo settoriale è la riforma realizzata in Spagna nel 2012 che, dopogli interventi legislativi del 2010 e 2011 volti a favorire forme diflessibilità negoziata (60), è intervenuta in via unilaterale, disat-tendendo le prassi di concertazione sociale (61), sulla strutturadella contrattazione collettiva forgiata nel trentennio dall’appro-vazione dello Statuto dei lavoratori. L’attacco alla contrattazionesettoriale è stato realizzato attraverso vari dispositivi, al centro deiquali è posta la regola che riconosce priorità applicativa all’accordoaziendale rispetto al contratto di settore (di ambito provinciale epiù raramente nazionale) su materie fondamentali per la determi-nazione delle condizioni di lavoro, come la retribuzione, l’orario dilavoro, l’adattamento dei sistemi di classificazione, la conciliazionetra vita personale e professionale (62). Su tali materie la preferenzaapplicativa per l’accordo aziendale costituisce norma imperativa diordine pubblico non derogabile da parte della contrattazione col-lettiva, che si vede così limitare la libertà di strutturare il sistemacontrattuale e di modulare il rapporto tra livelli negoziali, con

(58) PAPADIMITRIOU, Le recenti trasformazioni del diritto del lavoro in Grecia, in Dir. lav.rel. ind., 2012, 389 ss.; ZAMBARLOUKOU, La crisi economica e le relazioni industriali in Grecia,in Dir. lav. rel. ind., 2012, 401 ss.; JACOBS, op. cit.

(59) LEONARDI, L’impatto della nuova governance europea sulla contrattazione collettiva.Un confronto fra Italia, Spagna e Portogallo, in Quad. rass. sind., 2016, 147 ss.; REHFELDT, Letraiettorie dei sistemi « mediterranei » di relazioni industriali, tra convergenze e divergenze, inQuad. rass. sind., 2016, 123 ss.

(60) CRUZ VILLALON, El descuelgue de condiciones pactadas en convenio colectivo tras lareforma laboral de 2012, in BAYLOS GRAU (a cura di), Politicas de austeridad y crisis en lasrelaciones laborales: la reforma de 2012, Albacete, 2012, 405 ss.; RODRIGUEZ-PINERO ROJO, Laforza del mercato: le riforme del diritto del lavoro spagnolo durante la crisi finanziaria mondiale,in Dir. lav. rel. ind., 2013, 91 ss.

(61) MOLINA, MIGUÉLEZ, From negotiation to imposition: Social dialogue in times ofausterity in Spain, in PAPADAKIS, GHELLAB (edit.), The governance of policy reforms in SouthernEurope and Ireland. Social dialogue actors and institutions in times of crisis, Geneva, 2014, 87ss.

(62) GYL Y GYL, Contrattazione collettiva decentrata e produttività nel settore dellaproduzione di automobili in Spagna, in Dir. lav. rel. ind., 2015, 295 ss.

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rischio di vedere svuotata la funzione normativa e salariale delcontratto di settore e il suo grado di copertura.

Un ulteriore elemento di depotenziamento del contratto disettore è la facoltà attribuita al contratto aziendale di disapplicareil contratto collettivo statutario a efficacia generale in presenza digeneriche ragioni economiche, tecniche, organizzative o produttiveal fine di favorire l’adattamento del contenuto del contratto acircostanze sopravvenute che riguardano l’impresa (descuelgue con-vencional). La disapplicazione del contratto settoriale viene infatticonsentita non solo per situazioni di grave crisi aziendale (comeprevisto dalla risalente disciplina del 1994 sul descuelgue salarial),bensì anche in presenza di mere difficoltà transitorie (perditeattuali o previste) attestate dalla diminuzione persistente dei livellidi vendita per due trimestri consecutivi rispetto allo stesso periododell’anno precedente.

La circostanza che la disapplicazione del contratto di settoredebba essere causalmente collegata alle ragioni economiche, tecni-che, organizzative o produttive addotte e debba essere definitanella durata, sembra circoscrivere la portata dirompente del re-gime derogatorio assicurato all’accordo aziendale di descuelgue,come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare. La legittima-zione a concludere tali accordi, riconosciuta anche ai comitati diimpresa o ai delegati del personale ovvero ad una commissione adhoc eletta dai lavoratori in assenza di rappresentanti sindacali,nonché la previsione, in assenza di accordo, del ricorso su richiestadel datore di lavoro ad un arbitrato obbligatorio che culmina in unlodo arbitrale vincolante avente la stessa efficacia dell’accordoaziendale di descuelgue, connotano in modo inequivoco l’interventolegislativo in questione come riduttivo della funzione negoziale delsindacato, alterando pesantemente l’equilibrio contrattuale in fa-vore delle imprese. Come osservato (63), la nuova disciplina legi-slativa fa pesare sui sindacati la spada di Damocle della possibilitàsempre incombente di disapplicazione del contratto collettivo, deldivieto di apportare deroghe al regime di preferenza per l’accordoaziendale, di pseudo-negoziazioni nell’impresa con soggetti diversidai sindacati e finanche di arbitrato vincolante in caso di mancato

(63) CRUZ-VILLALON, El descuelgue de condiciones patctadas, cit.; CRUZ-VILLALON, Lanuova disciplina della contrattazione collettiva, cit.

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accordo, indebolendo la capacità di pressione e di resistenza deisindacati nell’attività di contrattazione collettiva. A ciò si aggiun-gano i limiti introdotti al regime di ultrattività del contrattocollettivo, che sottopongono alla fatica di Sisifo di rinegoziare icontratti in condizioni di continua pressione per evitarne la deca-denza e gli effetti di mancata copertura contrattuale per interisettori produttivi. Né il tentativo avanzato in giurisprudenza diconsiderare le clausole collettive incorporate nel contratto indivi-duale di lavoro pare suscettibile di porre rimedio al rischio divacanza contrattuale, data l’estraneità della tecnica di incorpora-zione alla tradizione spagnola.

Nonostante le pesanti critiche sollevate in dottrina, il nuovoassetto è stato giudicato dal Tribunal Constitucional non contra-stante con il principio di libertà sindacale in quanto in definitivanon impedisce ai sindacati di negoziare (sent. 8/2015), non acco-gliendo il carattere sostanziale delle riserve espresse nella dissen-ting opinion dal giudice Fernando Valdès Dal Re, che rimarcavanola presenza di ostacoli alla contrattazione collettiva nel profondosquilibrio tra le parti generato dalle disposizioni in esame e nellaviolazione del principio di uguaglianza. La ratio giustificatrice dellanormativa è peraltro individuata dalla Corte nella ricostruzionedella disapplicazione come “eccezione alla forza vincolante deicontratti collettivi ex art. 82.3 Stat. lav.” allorché concorranocause economiche, tecniche, organizzative o produttive, previosvolgimento del periodo obbligatorio di consultazione. Tale ecce-zione consente l’adattamento delle condizioni di lavoro a circo-stanze sopravvenute che comportano “un pericolo per la stabilitàdell’impresa e, con essa, dell’occupazione, la cui protezione costi-tuisce un dovere dei pubblici poteri ex art. 40 Cost.”(sent. 119/2014).

La decisione della Corte, che ricostruisce un interesse costitu-zionale alla salvaguardia della competitività e della sostenibilitàdell’impresa quale meccanismo atto a favorire il mantenimentodell’occupazione (64), giudica ragionevole e proporzionata la mi-sura della disapplicazione del contratto collettivo in quanto essaincontra limiti causali e temporali, riguarda le sole materie speci-

(64) DIAZ AZNARTE, Quando la crisi economica diventa argomento giuridico, in Dir. lav.mer., 2015, 187 ss.; GONZALES ORTEGA, Crisis economica y negociacion colectiva en Espana, inPALMA RAMALHO, COELHO MOREIRA (coord.), Crise economica: fim ou refundaçao do direito dotrabalho, Lisboa, 2016, 61 ss.

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ficate dall’art. 82.3 Stat. lav. e le sole imprese che si trovino nellecondizioni previste dalla norma per chiedere il descuelgue. Lamedesima copertura costituzionale viene assicurata all’interventodell’arbitro, in quanto organismo imparziale e autonomo, cheagisce con gli stessi limiti previsti per l’autonomia collettiva in casodi mancanza di accordo tra le parti o di esito negativo delleprocedure stragiudiziali: il lodo arbitrale quale extrema ratio perevitare procedure di licenziamento o di risoluzione dei contratti dilavoro è quindi assoggettato allo stesso controllo di proporzionalitàe ragionevolezza dell’accordo di descuelgue.

Malgrado il fatto che a qualche anno di distanza dall’entrata invigore il bilancio della riforma risulti alquanto sfumato, sia ri-guardo alla complessiva capacità di copertura dei contratti collet-tivi settoriali, sia riguardo all’incidenza relativamente modestadegli accordi di disapplicazione e del tutto irrisoria dei lodi arbitraliintervenuti (65), resta il vulnus arrecato all’autonomia collettivadai meccanismi introdotti, suscettibili nel loro insieme di alterareprofondamente il rapporto tra legge e contrattazione collettiva.Per gli elementi di incertezza e di rischio iniettati nel sistema puòdirsi che si sia trattato di un intervento potenzialmente destrut-turante per la contrattazione collettiva: la disciplina contrattuale,priva del supporto legale costituito da norme a carattere indero-gabile, e anzi minacciata nei suoi esiti da intese modificative alivello aziendale che sospendono l’efficacia vincolante del contrattocollettivo, è costretta a un continuo lavoro di presidio degli spaziconquistati senza avere possibilità di svilupparsi in base al princi-pio di libertà sindacale.

5. La rifondazione del rapporto tra legge e contrattazione collettivaattraverso la ripartizione delle sfere di competenza.

Di segno apparentemente diverso è l’ispirazione della riformaorganica del codice del lavoro discussa in Francia, paese storica-mente caratterizzato da una forte presenza regolativa dello statonelle relazioni collettive e dal primato riconosciuto alla legge. Ilfondamento giuridico di tale primato è enunciato dall’art. 34 dellaCostituzione, che conferisce alla legge una competenza generale a

(65) CRUZ-VILLALON, La nuova disciplina della contrattazione collettiva, cit.

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determinare i principi fondamentali di diritto del lavoro, di dirittosindacale e della sicurezza sociale, non attribuendo diretto rilievocostituzionale al diritto di contrattazione collettiva (66), come lacostituzione tedesca (67), né al principio di autonomia delle partisociali (68) quale capacità originaria di autoregolamentazione degliinteressi. In tale contesto, lo sviluppo della contrattazione collet-tiva è considerato una forma di delega di potere normativo dallostato agli attori sociali, che la esercitano nei limiti di inquadra-mento previsti dalla norma legale. La questione del rapporto tralegge e contrattazione collettiva non si pone quindi nei termini delcontrasto autonomia/eteronomia (69), perché è l’intervento pub-blico che assicura spazi più o meno ampi di azione alla contratta-zione collettiva mantenendone il controllo (70).

In un sistema fondato sul ruolo dominante della legge nellerelazioni collettive, sin dal 1982 il legislatore ha attribuito all’ac-cordo aziendale un ruolo diretto di adattamento della disciplinalegale al singolo contesto organizzativo e produttivo, ruolo neltempo ampliato e rafforzato dalle leggi in materia di riduzionedell’orario di lavoro e da leggi successive che hanno attribuito spazivia via più ampi di deroga rispetto al contratto settoriale, cheassume valore suppletivo sulle materie ad esso non riservate (71).Rispetto alla tecnica incrementale sinora seguita dal legislatore nelquadro della procedura obbligatoria di consultazione preventivadelle parti sociali introdotta nel 2007, il progetto di legge ElKhomri, presentato dal governo all’Assemblea nazionale il 24marzo 2016 e approvato dopo una tumultuosa stagione di proteste

(66) Il diritto dei lavoratori alla contrattazione collettiva viene fatto discendere inquel sistema dal diritto di partecipazione affermato nell’alinéa 8 del Preambolo allaCostituzione, secondo cui “ogni lavoratore partecipa tramite i suoi rappresentanti alladeterminazione collettiva delle condizioni di lavoro così come alla gestione delle imprese”.

(67) La Legge fondamentale tedesca afferma esplicitamente all’art. 9, comma 3 “ildiritto di costituire coalizioni per la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni dilavoro e di quelle economiche è garantito a tutti e per tutte le professioni”.

(68) LYON CAEN, A propos d’une négociation sur la négociation, in Dr. ouvr., 2001, 2 ss.;MORIN, La loi et la négociation collective: concurrence ou complémentarité?, in Dr. soc., 1998,424 ss.

(69) SUPIOT, Critique du droit du travail, Paris, 2002.(70) BORENFREUND, SOURIAC, Les rapports de la loi et de la négociation collective: une

mise en perspective, in Dr. soc., 2003, 72 ss.(71) PESKINE, Il contratto collettivo aziendale al centro del riordino del sistema delle fonti

in Francia, in Dir. lav. rel. ind., 2015, 315 ss.

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sociali il 26 luglio 2016 (72), assume la valenza di un testo organicodi rifondazione dei rapporti tra legge e contrattazione collettiva,che intende attribuire ruolo centrale alla contrattazione collettiva(art. 1, c. 2) allo scopo di favorire lo sviluppo di una dinamicanegoziale in grado di rispondere alle trasformazioni della societàdel XXI° secolo.

L’obiettivo di rafforzare la contrattazione collettiva è perse-guito attraverso la riduzione del ruolo della legge, che dovrebbelimitarsi alla garanzia dell’ordine pubblico sociale a carattere in-derogabile (73) basato sui principi fondamentali di diritto dellavoro, e il contestuale ampliamento dello spazio regolativo de-mandato alla contrattazione collettiva, in cui il contratto collettivonazionale conserva la funzione di disciplina dello zoccolo comunedi diritti applicabili ai lavoratori e di regolazione della concorrenzatra imprese (il cd. ordine pubblico convenzionale), mentre l’ac-cordo aziendale (la regolazione di prossimità) assume funzioneregolativa prioritaria dei rapporti di lavoro su tutto quanto noncostituisce oggetto di riserva delle fonti superiori, così da assicurareuna maggiore adattabilità della disciplina dei rapporti di lavoroagli specifici contesti locali.

La riforma, preparata dal lavoro di un gruppo di espertiincaricati dal primo ministro nel 2015 (74), è stata criticata per ilcapovolgimento della gerarchia delle fonti che implicherebbe ridu-cendo il ruolo della legge a meramente suppletivo, oltre il nucleoristretto dell’ordine pubblico sociale, sulle materie rimesse all’or-dine convenzionale; e per la cancellazione del principio di favorenel rapporto tra contratto collettivo e contratto individualequando siano in gioco misure di salvaguardia dell’occupazione (75).

(72) Legge n. 2016-1088 dell’8 agosto 2016 relativa al lavoro, alla modernizzazionedel dialogo sociale e alla messa in sicurezza dei percorsi professionali (cd. loi Travail),pubblicata in Gazzetta ufficiale il 9 agosto 2016.

(73) Per la nozione di “ordre public social” cfr. GAUDU, L’ordre public en droit dutravail, in Etudes offerts à J. Ghestin, Paris, 2001, 366 ss.

(74) COMBREXELLE, La négociation collective, le travail et l’emploi, Rapport au PremierMinistre, France Stratégie, 2015; FREYSSINET, Structures, institutions et pratiques, cit.

(75) PESKINE, Le droit du travail à la croisée des chemins, in Sem. soc. Lamy, 2015, 12ss.; MASSE-DESSEN, Ne pas détruire (ni rebatir) avant d’avoir assuré la cohérence des fondations,in Rev. dr. trav., 2015, 653 ss.; REHFELDT, op. cit. Sull’emersione del principio di favorenell’ordinamento francese si rinvia a JEAMMAUD, Le principe de faveur, enquète sur une règleémergente, in Dr. soc., 1999, 119 ss.

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Se la complessiva architettura della riforma presenta aspetticonfusi e ambigui, e di conseguenza concreti rischi per gli assettiregolativi delle condizioni di lavoro, esso non sembra rimettereformalmente in discussione il principio di gerarchia delle fonti (76),in quanto segue un diverso approccio fondato sulla ripartizione dicompetenze tra legge e contrattazione collettiva (lo studio diimpatto del progetto di legge chiosa: “la contrattazione collettivanon è più uno strumento di deroga alla legge, ma acquisisce uncampo proprio, il che rappresenta un vero mutamento di paradi-gma”) che, diversamente dai paesi in cui la legge è intervenuta acomprimere il potere normativo dei soggetti sociali, mira ad am-pliare lo spazio regolativo riconosciuto alla fonte contrattuale,assicurando al contempo una rete di protezione quando la fontecollettiva non si attivi. La devoluzione alla fonte negoziale di ungenerale potere di regolazione nel rispetto della disciplina di ordinepubblico sociale appare quindi controbilanciata dalla previsione didisposizioni suppletive, per lo più a carattere regolamentare, nelleipotesi in cui la contrattazione collettiva non determini le concretecondizioni di applicazione dei principi e diritti sanciti in via legi-slativa. Un analogo meccanismo di garanzia a cascata è previstodal rapporto Combrexelle — ma la legge tace al riguardo, proba-bilmente per non interferire con l’autonomia collettiva nell’ordineconvenzionale ad essa demandato — in virtù del quale il contrattocollettivo di settore dovrebbe definire disposizioni suppletive daapplicare in assenza di accordi aziendali sulle materie e per gliaspetti ad essi demandati (77).

Appare chiaro che la garanzia complessiva di tenuta del si-stema, e non invece di una sua deriva de regolativa, che finirebbeper ribaltare di fatto la gerarchia delle fonti, dipenderà dal conte-nuto delle disposizioni di ordine pubblico e dal tenore delle dispo-sizioni suppletive che, in relazione al carattere più o meno detta-gliato, potranno in concreto svolgere un’azione di stimolo o vice-versa di paralisi per l’azione contrattuale delle parti sociali. Ilconcreto riparto di competenze tra legge e contrattazione collet-

(76) MASSE-DESSEN, op. cit.; FREYSSINET, Le projet de loi « travail », in Note Lasaire,2016, 54.; BARTHELEMY, Hiérarchie des normes, fonction protectrice du droit du travail etsécurisation de l’emploi, in Rev. jur. soc., 2016, 104 ss.

(77) GUARRIELLO, Suggestioni per la riforma della contrattazione collettiva: dalla Franciaall’Italia, in Quad. rass. sind., 2016, 187 ss.

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tiva, volto a definire ciò che attiene all’ordine pubblico sociale eall’ordine convenzionale, è demandato al lavoro di una commis-sione di esperti integrata dalle parti sociali che dovrà presentareuna proposta al riguardo. Quanto ai principi fondamentali costi-tuenti il cd. ordine pubblico sociale, il comitato di giuristi presie-duto dall’ex ministro della giustizia Badinter, incaricato di defi-nirne l’elenco sulla base di una proposta dallo stesso avanzata (78),ha individuato una lista di 61 principi che costituiranno la base perla riscrittura del codice del lavoro in capo a due anni.

Riguardo all’articolazione interna tra contrattazione settorialee aziendale la legge di riforma sembra demandare il riparto internodi competenze alla volontà degli attori sociali: a diritto vigente e inbase alle proposte della Commissione Combrexelle il contrattonazionale manterrebbe gli attuali ambiti prioritari di competenzasui minimi salariali, sui sistemi di classificazione, sui fondi per laformazione e sulla previdenza integrativa, cui andrebbe aggiunto iltema del lavoro faticoso e usurante (pénibilité) ed eventualmente lagestione preventiva dell’evoluzione dei mestieri nel settore, defi-nendo lo zoccolo dei diritti comuni a tutti i lavoratori del settore edoperando eventuali rinvii a livello aziendale per le discipline inte-grative o specificative. Tutto quanto non rientrante nella disci-plina riservata al contratto nazionale costituirebbe oggetto di unacompetenza generale demandata alla contrattazione aziendale(eventualmente articolata al suo interno da accordi di metodo chedefiniscano le sfere rispettive di competenza delle diverse artico-lazioni organizzative dell’impresa: gruppo, impresa, stabili-mento) (79).

La nuova architettura su tre livelli, l’ordine pubblico sociale acarattere inderogabile (i principi essenziali), il campo riservato allacontrattazione collettiva e alle sue articolazioni interne, e le dispo-sizioni a carattere suppletivo applicabili in mancanza di accordo, èoggetto della riscrittura immediata del codice del lavoro riguardoagli istituti attinenti alla disciplina dell’orario di lavoro. La mate-ria, che da oltre un ventennio costituisce il laboratorio sperimen-tale di riserva all’accordo aziendale di un spazio regolativo proprio,viene ora declinata istituto per istituto secondo questa triparti-

(78) BADINTER, LYON CAEN, Le travail et la loi, Paris, 2015; LOKIEC, Il faut sauver le droitdu travail, Paris, 2015.

(79) FREYSSINET, Le projet de loi, cit.

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zione che individua i principi essenziali a carattere inderogabile, gliambiti demandati alla contrattazione collettiva e le regole supple-tive applicabili in assenza di accordi.

Ciò che sembra quindi caratterizzare la proposta di riformafrancese è il ridimensionamento della norma legale in favore dinuovi spazi riconosciuti alla contrattazione collettiva. Che l’ope-razione non si traduca in una decentralizzazione sregolata dipendeanche dalle successione delle fasi previste per la realizzazione dellacomplessiva architettura disegnata dalla legge (80): la riscritturadelle norme inderogabili di diritto del lavoro, le disposizioni sup-pletive, la definizione da parte degli attori sociali dell’articolazionedell’ordine convenzionale tra competenze del contratto di settore edell’accordo aziendale, nel nuovo quadro dato dalla ristruttura-zione dei settori e dalla riduzione del numero di contratti collettivia non più di 200 nei prossimi tre anni (81), l’attuazione delle nuoveregole di misurazione della rappresentatività delle organizzazionidatoriali (82) (la misurazione della rappresentatività sindacale èprevista da una legge del 2008), il rafforzamento dei diritti stru-mentali alla contrattazione collettiva (aumento delle ore di forma-zione, permessi, esperti). Se i tempi della riforma implicassero laliberalizzazione immediata dell’accordo aziendale senza aver rico-struito il sistema complessivo, l’effetto de-regolativo puro e sem-plice sarebbe inevitabile, con effettivo rovesciamento della gerar-chia delle norme. Occorrerà attendere la realizzazione delle diversefasi del cantiere normativo prefigurato dalla legge per capire qualesarà l’equilibrio complessivo della riforma sul sistema di contrat-tazione collettiva: le regole maggioritarie, la funzione di serviziodemandata al contratto nazionale per allestire schemi o modellinegoziali che le imprese di dimensioni minori, in cui non è presenteuna rappresentanza sindacale, potrebbero adottare unilateral-mente o tramite consultazione dei lavoratori, la diffusione dellapratica del lavoratore mandatario del sindacato esterno per nego-ziare nelle imprese sprovviste di rappresentanti sindacali, il ricorsoda parte di sindacati firmatari che non raggiungano la soglia dirappresentatività del 50% alla consultazione dei lavoratori per

(80) MASSE-DESSEN, op. cit.(81) Attualmente si contano 695 contratti di settore, escluso il settore agricolo.(82) LE FRIANT, La misurazione della rappresentatività datoriale: una riforma difficile

ma necessaria, in Dir. lav. rel. ind., 2017, 67 ss.

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validare gli accordi, l’affidamento agli accordi di metodo delleregole di organizzazione della contrattazione e del rinvio da unlivello all’altro, costituiscono nel loro insieme elementi di novità lacui valutazione non può allo stato che presentare carattere di forteambivalenza.

Allo stato sembra di poter dire che la direzione di marcia presadalla riforma francese vada nel senso di un generale decentramentodella contrattazione collettiva coordinato dal contratto collettivosettoriale, che dovrebbe ampliare gli spazi demandati alla contrat-tazione aziendale dove questa è presente e svolgere invece un’at-tività di sostegno e servizio per le imprese di dimensioni minorivolta a diffondere la cultura negoziale attraverso concreti modellinegoziati dalle organizzazioni di settore da adattare/adottare alivello di impresa. Per un verso quindi il contratto collettivonazionale vedrebbe alleggerita la parte normativa, limitata aiminimi di settore in funzione di garanzia dei diritti inderogabili deilavoratori e di regolazione della concorrenza tra imprese, peracquisire una più marcata funzione regolativa del sistema contrat-tuale attraverso criteri organizzativi di rinvio alla contrattazioneaziendale, ove esistente; di definizione di disposizioni suppletive inmancanza di accordo aziendale.

Lascia tuttavia perplessi che per una riforma di così ampiorespiro, che tende a incidere in maniera significativa sul rapportolegge-contrattazione collettiva, non sia stata seguita in modo tra-sparente la procedura di dialogo sociale prevista dall’art. 1 delcodice del lavoro, introdotta dalla legge Larcher nel 2007 proprio alfine di consentire alle parti sociali di ricercare in via prioritaria unaccordo, o almeno di adottare una posizione comune, che il go-verno si impegna a tradurre in atti legislativi. La procedura didialogo sociale, che da allora ha sempre accompagnato l’adozionedi importanti provvedimenti legislativi, in assoluta controten-denza con la maggior parte dei paesi europei, dalla legge del 2008sulla rappresentatività sindacale alla legge del 2013 sulla sicurezzadell’impiego, e che ha sinora consentito di gestire i processi diriforma con il necessario consenso sociale, sia pur in presenza diforti divisioni sul fronte sindacale e padronale, è stata in questaoccasione in qualche modo bypassata in favore di un’attitudine piùdirigista del governo che, non a caso, ha scatenato un duro con-flitto sociale.

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6. Gli interventi legislativi sull’efficacia del contratto collettivo: lemisure di riduzione dell’interattività e dei meccanismi di esten-sione.

Una manifestazione inequivoca della volontà di depotenziare ilcontratto collettivo, indice del ritiro del sostegno legislativo allasua applicazione generalizzata (83), secondo la linea di tendenzaaffermata nel secondo dopoguerra nella maggior parte dei paesieuropei, sono le misure legislative di predeterminazione della du-rata del contratto collettivo, di riduzione del periodo di ultratti-vità, di revisione in senso restrittivo dei meccanismi di estensione.L’obiettivo perseguito da queste misure è di eliminare o ridurre imeccanismi di sostegno al contratto collettivo di applicazionegenerale o multi-employer, all’esplicito scopo di favorire la contrat-tazione decentrata, più ritagliata sulle concrete situazioni aziendalie sulle condizioni di mercato, ovvero di demandare la definizionedelle condizioni di lavoro al contratto individuale. Si tratta all’evi-denza di interventi di ordine tecnico che perseguono il medesimoobiettivo di indebolire il contratto collettivo a vocazione generale,sinora considerato legge della professione, attraverso misure dicontenuto uguale e contrario a quelle che nel trentennio ne hannoassicurato la portata espansiva.

Il sistematico attacco alla funzione normativa del contrattocollettivo si è tradotto nella predeterminazione legale della duratamassima di tre anni in Grecia, o di una durata minima e massimarispettivamente di un anno e tre anni in Romania, circostanza chenon solo incide sull’autonomia dei partner sociali, ma costringe isindacati a una rincorsa continua per rinegoziare gli accordi dirinnovo in condizioni di evidente debolezza contrattuale, giacchéle organizzazioni datoriali possono nutrire l’interesse contrario aevitare il rinnovo lasciando libere le imprese di determinare, tra-mite accordo aziendale o in via unilaterale, le condizioni di lavoro.La preferenza legale per la determinazione della durata massimadel contratto collettivo in cinque anni, fatta salva l’espressa vo-lontà delle parti in favore della durata indeterminata, sembrerebbeinvece rispondere nella legge francese al diverso obiettivo di rivi-talizzare la contrattazione collettiva attraverso operazioni di ac-

(83) DEAKIN, KOUKIADAKI, op. cit.

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corpamento e fusione dei contratti considerati obsoleti in quantonon rinegoziati da oltre un quinquennio.

In altri paesi (ma nel caso dei paesi soggetti alle condizionalitàimposte dalla troika, nei medesimi paesi), un modo diverso perottenere lo stesso risultato è stato di intervenire legalmente sullaultrattività del contratto collettivo, istituto chiaramente ispiratoall’intento di favorire i negoziati volti a definire l’accordo dirinnovo in condizioni di relativa pace sociale (cd. periodo di gra-zia), consentendo al contratto collettivo in scadenza di continuaread esplicare i suoi effetti senza soluzione di continuità fino all’en-trata in vigore dell’accordo di rinnovo. Interventi unilaterali perridurre l’ultrattività del contratto collettivo a un anno dalla suadenuncia sono stati realizzati in Spagna e Portogallo, mentre inGrecia il periodo di ultrattività è stato addirittura ridotto da seimesi a tre mesi, e in Estonia è stato abolito del tutto (84), aconferma dell’accanimento terapeutico esercitato contro il con-tratto collettivo come fattore di stabilità del sistema e contro lapermanenza dei suoi effetti nel tempo.

Il meccanismo di riduzione del periodo di ultrattività, incombinato disposto con le misure di decentramento della contrat-tazione collettiva, di preferenza per gli accordi aziendali, dellatendenza a stabilire una durata determinata in luogo della durataindeterminata, crea condizioni di oggettivo sfavore per la contrat-tazione collettiva, indebolita dal rischio di lasciare senza coperturacontrattuale i lavoratori, o di venire sostituita a macchia di leo-pardo da contratti aziendali spesso negoziati al di fuori del canalesindacale. Esso contribuisce in modo rilevante alla complessivadestrutturazione del sistema di contrattazione collettiva in quantointroduce la concezione del contratto collettivo come strumento diregolazione a termine, che si rinnova periodicamente con versionisuccessive e distinte nel tempo in ragione delle esigenze di cam-biamento imposte dai sistemi economici. Ma l’effetto di disfare latela contrattuale e di costringere i partner sociali a ritesserla ognivolta daccapo non solo rischia di lasciare senza protezione i lavo-ratori, ma anche senza elementi di certezza le imprese (85), soprat-tutto di dimensioni minori, per le quali il contratto collettivo di

(84) JACOBS, op. cit.(85) MARGINSON, KEUNE, BOHLE, op. cit.

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settore continua a costituire un elemento centrale nel calcolo deicosti e uno strumento indispensabile di regolazione della concor-renza. In quasi tutti i paesi europei, infatti, la tendenza a spostareil baricentro dei sistemi contrattuali verso la contrattazione azien-dale non intacca la chiara preferenza mostrata dalle imprese mi-nori per il contratto di settore, la cui applicazione evita di portareil conflitto e la rappresentanza sindacale sul piano interno.

La tendenza al ritiro del sostegno legislativo al contrattocollettivo trova la sua manifestazione più clamorosa nella restri-zione dei criteri legali per l’estensione erga omnes dei suoi effetti.Come il sostegno alla diffusione dei contratti collettivi si è mani-festato nel tempo attraverso meccanismi diversi di estensione dellasua applicazione ultra vires alla generalità dei lavoratori e delleimprese rientranti nel settore, così ora la manovra inversa ridefi-nisce restrittivamente le condizioni poste per beneficiare dell’ap-plicazione generale. La tendenza si è manifestata in alcuni paesicome la Romania, dove l’estensione automatica del contrattocollettivo settoriale è stata abolita e sostituita dalla condizione chei soggetti firmatari sul versante datoriale rappresentino più del50% dei lavoratori occupati nel settore; la Grecia, dove ai finidell’estensione il contratto collettivo deve coprire almeno il 51%dei lavoratori del settore, e dove peraltro le procedure di estensionesono state sospese; il Portogallo, dove il già sperimentato bloccodelle estensioni è stato sostituito da una procedura che prevede ilprovvedimento governativo di estensione erga omnes nei soli casi incui le associazioni datoriali firmatarie del contratto collettivo rap-presentino almeno il 50% dei lavoratori impiegati nel settore:tuttavia, pur in presenza di queste condizioni, di fatto proibitive inun contesto economico formato da un tessuto economico estrema-mente frammentato (86), il governo può rifiutare il decreto diestensione se la competitività del paese è considerata a rischio.

Una chiara tendenza all’accentuazione delle divergenze è ri-scontrabile anche con riguardo ai meccanismi di estensione delcontratto collettivo, riscoperti dopo un lungo periodo di oblio erafforzati nelle modalità di utilizzo in settori sindacalmente debolie più esposti a concorrenza salariale, come il settore delle costru-

(86) LEONARDI, op. cit.

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zioni in Germania (87). Con legge del 2009, lo stesso meccanismosemplificato di estensione del contratto collettivo, anche in rispo-sta alla giurisprudenza comunitaria che non aveva consideratorientranti nelle condizioni minime applicabili ai lavoratori distac-cati sul territorio tedesco i minimi salariali previsti da contratticollettivi che non fossero di applicazione generale, è stato applicatoad altri settori caratterizzati da bassi livelli di sindacalizzazione ebassi salari, come servizi di pulizia, servizi postali, trasporti, hotel,ristorazione (88). La legge 11 agosto 2014 che ha introdotto ilsalario minimo in Germania ha generalizzato l’utilizzo della pro-cedura di estensione dei contratti collettivi, applicabile a tutti isettori e a tutte le condizioni di lavoro al fine dichiarato dicontrastare la concorrenza basata sulla compressione dei costisalariali (89).

7. Gli interventi legislativi sulla rappresentanza dei soggetti nego-ziali: misurazione della rappresentatività, accordi maggioritari,nuovi soggetti abilitati a stipulare l’accordo aziendale.

Un altro fronte di intervento legislativo sui sistemi di contrat-tazione collettiva ha riguardato i soggetti del processo negoziale.Una tendenza riscontrabile nei paesi caratterizzati da pluralismosindacale, con una concorrenza tra sigle sindacali acuita dallasituazione di crisi e dalle diverse strategie poste in essere rispetto auna contrattazione a carattere prevalentemente concessivo, spessominacciata dalla presenza di sindacati scarsamente rappresentativie di sindacati gialli, è la determinazione legale di criteri selettivi dimisurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali(e talora datoriali) ai fini della stipula dei contratti collettivi.

L’esempio più emblematico è costituito dalla legge francese 20agosto 2008 sul rinnovamento della democrazia sociale, che haposto fine alla presunzione assoluta di rappresentatività dei sinda-cati storici (di cui hanno beneficiato nel dopoguerra 5 organizza-

(87) HEIPETER, LEHNDORFF, op. cit.(88) MAGNANI, Diritto sindacale europeo e comparato, Torino, 2015.(89) CORTI, La nuova legge sul salario minimo in Germania: declino o rinascita della

contrattazione collettiva?, in Dir. lav. mer., 2014, 654 ss.; MARGINSON,WELTZ, European wage-setting mechanisms under pressure: negotiated and unilateral change and the EU’s economicgovernance regime, in Transfer, 2015, 429 ss.

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zioni sindacali) sostituendo, sulla scorta della posizione comunefirmata il 9 aprile 2008 dai sindacati CGT e CFDT e dalle organiz-zazioni datoriali MEDEF e CGPME, i criteri definiti nel dopo-guerra con sette criteri cumulativi alla cui stregua misurare larappresentatività delle organizzazioni sindacali, il più importantedei quali è l’audience électorale, ossia il risultato ottenuto nelleelezioni degli organismi rappresentativi del personale nei luoghi dilavoro. Sulla base di questo criterio sono considerati rappresenta-tivi i sindacati che hanno conseguito il 10 % dei voti nelle elezioniprofessionali a livello di impresa, gruppo o stabilimento e l’8% deivoti espressi a livello nazionale, di settore e intersettoriale.

La verifica di rappresentatività mira da un lato a selezionare isoggetti negoziali ammessi alla contrattazione collettiva a livellonazionale e aziendale, escludendo i sindacati che non raggiungonola soglia richiesta; dall’altro, a favorire strategie di ricomposizionedel movimento sindacale che assicurino un ampio sostegno socialealla firma degli accordi collettivi. Il duplice effetto è perseguitoattraverso l’attribuzione del diritto a negoziare ai soli sindacatirappresentativi, e un regime transitorio per la validità degli ac-cordi in virtù del quale il contratto doveva essere firmato da una opiù organizzazioni sindacali che avessero raccolto almeno il 30%dei voti alle elezioni professionali e non venire contestato (diritto diopposizione) da organizzazioni sindacali non firmatarie che aves-sero ottenuto il 50% dei suffragi (90). La legge El Khomri appro-vata il 26 luglio 2016 prevede il superamento di tale regimetransitorio per passare a un sistema maggioritario pieno, impli-cante ai fini della validità dell’accordo la firma di organizzazionisindacali che abbiano raccolto più del 50% dei voti alle elezioniprofessionali, sopprimendo così la prova di resistenza costituita daldiritto di opposizione. La nuova legge consente invece ai sindacatifirmatari che rappresentano non meno del 30% dei voti di pro-muovere una consultazione tra i lavoratori al fine di assicurare ilsostegno maggioritario agli accordi conclusi. La stessa legge, sullascorta dell’accordo alfine raggiunto dalle tre maggiori organizza-zioni datoriali, ha modificato i criteri di rappresentatività delleorganizzazioni datoriali introdotti dalla legge 5 marzo 2014 e nonancora entrati a regime, allo scopo di raggiungere una migliore

(90) BÉVORT, JOBERT, Sociologie du travail. Les relations professionnelles, Paris, 2011.

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ponderazione tra il numero di imprese aderenti alle associazionidatoriali e la loro consistenza occupazionale (91).

L’esempio francese chiarisce bene la storicità e la contestua-lizzazione dei meccanismi di verifica della rappresentatività allaspecifica situazione nazionale, con particolare riguardo al criteriodominante di misurazione dato dai risultati conseguiti dalle listesindacali nelle elezioni degli organismi rappresentativi del perso-nale, che costituiscono il momento centrale di verifica del seguitoottenuto da ciascun sindacato, mentre il numero di iscritti in quelcontesto di bassa sindacalizzazione appare criterio del tutto reces-sivo. La stessa regola maggioritaria per la firma degli accordi,temperata nella fase transitoria da un meccanismo maggioritariodi opposizione all’entrata in vigore di accordi sostenuti da unaminoranza qualificata di sigle sindacali (almeno il 30%), costituisceespressione di esigenze di adattamento alle prassi nazionali diaccordi minoritari non opposti dai sindacati non firmatari, in vistadel passaggio progressivo a un sistema di accordi realmente mag-gioritari, ossia firmati da sindacati che rappresentano più del 50%del voto espresso dai lavoratori alle elezioni professionali. E se èinteressante notare che le cinque organizzazioni sindacali storichehanno tutte superato il test di rappresentatività alla scadenza delciclo di elezioni professionali concluso nel 2013, quel che apparerilevante è il processo in fieri favorito dalle nuove regole maggio-ritarie, nel senso di una redistribuzione interna del voto che sembradelineare in vista della prossima conclusione del ciclo elettorale nel2017 una più chiara polarizzazione attorno alle due organizzazionimaggiori.

Di grande interesse appare anche l’introduzione di criteri dimisurazione della rappresentatività delle organizzazioni datorialiche, come e spesso più delle organizzazioni sindacali, hanno subìtoquasi ovunque in Europa processi di erosione della loro sferarappresentativa dovuta a fenomeni di fuoriuscita delle imprese,incoraggiate dal ruolo prioritario assegnato alla contrattazione dilivello aziendale, e da processi di frammentazione organizzativa.La revisione in senso bi-direzionale delle regole sulla rappresenta-tività in Francia è funzionale pure all’obiettivo di ridurre l’ano-mala proliferazione di contratti collettivi favorendo processi di

(91) Cfr. LE FRIANT, op. cit.

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fusione e di progressiva armonizzazione delle discipline contrat-tuali tra settori con un numero limitato di addetti aventi caratte-ristiche simili, in vista di indurre processi di trasparenza, efficienzae razionalizzazione del panorama contrattuale (obiettivo cui espli-citamente mira la legge francese rafforzando i poteri del ministrodel lavoro e definendo i criteri in base ai quali procedere allefusioni: mancato rinnovo del contratto da oltre 5 anni, coperturacontrattuale di meno di 5000 addetti, dimensione applicativameramente locale o regionale).

L’induzione per via legislativa di tali processi sconta resistenzesu entrambi i fronti e può in concreto configurarsi come limite allalibertà sindacale ove non realizzata autonomamente dai soggettiinteressati o non accompagnata da meccanismi di concertazionecon le parti sociali. Nei sistemi di regolazione eteronoma dellacontrattazione collettiva il ruolo dirigista dello stato è tuttaviaabbastanza pacificamente accettato, laddove analoghi meccanismieteronomi di ridefinizione dell’ambito di applicazione dei contratticollettivi nei sistemi che riconoscono un ruolo centrale all’autono-mia collettiva sarebbero percepiti come lesivi di questa. In talisistemi la funzione di ridisegnare il sistema contrattuale in modopiù consono alle trasformazioni organizzative intervenute nellerealtà produttive e alle strategie perseguite dagli attori costituisceuna prerogativa delle stesse parti sociali.

Per la stipula del contratto aziendale il principio maggioritario,che in questo caso risponde a esigenze intrinseche alla naturaspesso gestionale dell’accordo e alla sua applicazione a tutti ilavoratori rientranti nel suo campo di applicazione, subisce innumerose ipotesi delle torsioni volte a riconoscere capacità dinegoziare e stipulare il contratto collettivo anche a soggetti diversidai rappresentanti sindacali: organismi di rappresentanza dei la-voratori, come i comitati di impresa, cui nei sistemi a doppio canalespettano funzioni a carattere partecipativo (Francia, Spagna, Ger-mania); a singoli lavoratori muniti di mandato da parte dell’orga-nizzazione sindacale esterna all’impresa (Francia), a non megliospecificate “altre associazioni di lavoratori” che rappresentinoalmeno i 3/5 della forza lavoro occupata nell’impresa (Grecia) o“altre rappresentanze di lavoratori” (Romania), a organismi elet-tivi ad hoc (Spagna), a consultazioni referendarie (Francia). Laquestione è molto controversa perché se, da un lato, la ratio delledisposizioni legislative che autorizzano la stipula di accordi azien-

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dali anche a soggetti diversi dai rappresentanti sindacali potrebbeessere volta a far beneficiare della contrattazione aziendale i lavo-ratori delle imprese minori, sprovvisti di rappresentanze di naturasindacale (ma le soglie previste per la presenza di rappresentantisindacali continua ad essere molto diversificata da paese a paese,così come il requisito del numero di lavoratori iscritti al sindacatoperché questo possa legittimamente stipulare il contratto azien-dale: almeno 20 lavoratori in Grecia, almeno il 50% degli addetti inRomania); dall’altro, si presta a forme di negoziazione non genuine(o pseudo-negoziazioni) in situazioni in cui i rapporti di forzaappaiono squilibrati, tanto più quando la negoziazione ha carat-tere concessivo in presenza di crisi o minaccia all’occupazione. Intali situazioni, la preferenza legale per l’accordo aziendale anchepeggiorativo rispetto al contratto settoriale applicabile, costituisceuna seria minaccia per gli assetti negoziali definiti a livello disettore.

Si comprendono perciò le pesanti critiche indirizzate alla legit-timità di misure legislative che consentono di aggirare il controllosindacale sugli accordi firmati a livello aziendale. La scala deisoggetti in grado di impegnare tutti i lavoratori cui l’accordoaziendale deve applicarsi presenta notevoli criticità a seconda chesi tratti di individui o gruppi direttamente o indirettamente ricol-legabili alla funzione di rappresentanza sindacale (come i comitatidi impresa, che mantengono canali di comunicazione istituzionalecon i sindacati, ad es. in Francia e in Germania; o il lavoratoremandatario sindacale in Francia), ovvero si tratti di lavoratorieletti o designati ad hoc, o assemblee di lavoratori o forme consul-tive o referendarie di espressione di tutti i lavoratori, che sembranonegare in radice la funzione di rappresentanza del sindacato (92).Nella prassi di molti paesi la stipula di accordi aziendali da parte diorganismi rappresentativi del personale è stata negli anni passatiin qualche modo tollerata dal sindacato, attraverso forme di rati-fica ex post degli accordi raggiunti con tali organismi, ritenutacondizione di validità degli stessi. In altri contesti le misure diriconoscimento della titolarità negoziale a soggetti diversi dalsindacato ha costituito oggetto di ricorso davanti agli organismiinternazionali per violazione del principio di libertà sindacale e del

(92) MASSE-DESSEN, op. cit.

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diritto di contrattazione collettiva spettante al sindacato (la giu-risprudenza del Comitato per la libertà sindacale dell’OIL hariconosciuto che la legittimazione di soggetti diversi dal sindacatoè consentita solo in assenza del soggetto sindacale (93)).

La tendenza al decentramento incontrollato della contratta-zione collettiva sotto il profilo soggettivo è stata peraltro di recentecontrastata dal legislatore tedesco con l’approvazione nel 2015della legge sull’unità tariffaria (art. 4 TVG) volta ad affermare chein ciascuna impresa si deve applicare un solo contratto (sulla basedel principio: “un’impresa, un contratto”) che, in mancanza diaccordo unitario, è il contratto firmato dal sindacato che conta ilmaggior numero di iscritti. È evidente la volontà di rafforzare lafunzione d’ordine del contratto collettivo firmato dal sindacatomaggioritario, in controtendenza rispetto all’orientamento giuri-sprudenziale della corte federale che aveva ammesso negli annipassati, in presenza di divisioni sindacali soprattutto nelle impresedi recente privatizzazione, la presenza di una pluralità di contratti,anche firmati da comitati d’impresa. Una analoga tendenza ariportare sotto un più stretto controllo sindacale alcuni accordiaziendali a carattere derogatorio è riscontrabile in Francia, dove lalegge Rebsamen del 2015, nel quadro della semplificazione degliorganismi rappresentativi del personale, attribuisce ai delegatisindacali funzioni consultive prima spettanti in via esclusiva alcomitato d’impresa, in vista della stipula di accordi aziendali acarattere derogatorio in tema di mobilità o di salvaguardia dell’oc-cupazione in situazioni di gravi difficoltà economiche. È con ri-guardo a quest’ultima tipologia, introdotta dalla legge del 2013 e inverità sinora scarsamente utilizzata, che la legge El Khomri sta-bilisce che l’accordo collettivo che preveda deroghe alla disciplinadell’orario e della retribuzione in cambio dell’impegno a non pro-cedere a licenziamenti per un periodo di cinque anni prevale sulcontratto individuale, sicché il rifiuto del lavoratore di accettaremutamenti temporanei dell’orario di lavoro e delle modalità orga-nizzative della prestazione con possibili riduzioni della retribuzionedarà luogo a un licenziamento per motivo personale con presun-zione di esistenza della cause réelle et sérieuse.

(93) BRUUN, op. cit.

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8. Le correzioni imposte ai meccanismi nazionali di regolazionesalariale.

In tutti i paesi europei la determinazione dei salari costituiscela funzione essenziale della contrattazione collettiva. Che avvengaa livello centralizzato, di settore o aziendale, la contrattazionecollettiva è il principale meccanismo di regolazione salariale nelsettore privato, mentre la situazione appare diversificata nel set-tore pubblico, dove in generale la regolazione salariale è definitaper legge o, pur in presenza di procedure negoziali (nei paesi del sudEuropa e nel Regno Unito), il potere pubblico mantiene unostretto controllo sulle dinamiche salariali dell’impiego pubbliconella duplice veste di parte negoziale e di pubblica autorità.

Non stupisce quindi che le politiche di austerità imposte a finidi controllo della spesa pubblica e riduzione del debito pubblicoabbiano riguardato in primo luogo tagli alle retribuzioni dei pub-blici dipendenti e provvedimenti di blocco della contrattazionecollettiva nel settore pubblico. Poste come condizione per l’eroga-zione di aiuti finanziari (in Grecia, Irlanda, Ungheria, Lettonia,Portogallo, Romania) o decise dai governi nel quadro delle politi-che di controllo della spesa pubblica, si è trattato di misure quasisempre a carattere unilaterale, adottate al di fuori delle proceduredi contrattazione o consultazione esistenti: rappresentano un’ec-cezione al riguardo gli accordi stipulati tra governo e sindacati delsettore pubblico in Irlanda (2010, 2012) e Slovenia (2012). Unaconseguenza dell’adozione in via autoritativa di tali misure è ilcarattere centralizzato e la loro applicazione generale e indifferen-ziata, che ha colpito in misura maggiore i dipendenti pubblici conbassi salari e tra questi le donne, che costituiscono una componenterilevante dell’occupazione nel settore pubblico, nonché dei fruitoridei pubblici servizi (94).

Nei paesi sottoposti a una severa vigilanza della disciplina dibilancio, i tagli salariali hanno riguardato le mensilità aggiuntive,con eliminazione della tredicesima e quattordicesima mensilità(Portogallo, Grecia, Spagna, Ungheria, Romania); l’eliminazione osospensione degli scatti di anzianità; la riduzione o soppressione dipremi (Romania, Ungheria), l’aumento dell’orario di lavoro senzacompensazione economica (Spagna), i tagli a benefici pensionistici

(94) ETUI, Benchmarking Working Europe, Bruxelles, 2016.

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(Grecia e Spagna), l’abolizione di benefici di altra natura (alloggio,buoni pranzo, cure mediche, ecc.). I tagli salariali e il blocco dellacontrattazione collettiva nel settore pubblico, stabilito per periodidefiniti o a durata indeterminata, appaiono inoltre funzionali allapolitica di moderazione salariale perseguita dalle istituzioni euro-pee per dare attuazione a riforme strutturali che dovrebberoindurre un miglioramento della competitività dei sistemi nazionali.Ciò nel presupposto che i salari dei dipendenti pubblici sianomediamente più elevati di quelli del settore privato e che lamoderazione salariale nel settore pubblico, che in molti paesicostituisce una quota rilevante dell’occupazione totale, inducaeffetti di trascinamento sul settore privato, che deve conformarsial criterio imposto dai processi di riforma di collegare in modo piùstretto le dinamiche salariali all’andamento della produttività.

Se nel settore pubblico il rapporto tra legge e contrattazionecollettiva è sottoposto a forte tensione, sia per il peso complessivodei tagli che per le modalità unilaterali con cui sono avvenuti,anche nei paesi in cui è formalmente riconosciuto alla contratta-zione collettiva un ruolo nella determinazione dei salari e dellecondizioni di lavoro dei dipendenti pubblici; nel settore privatol’attacco ai meccanismi di regolazione salariale al fine di indurreeffetti di moderazione salariale e di evoluzione dei salari in lineacon la produttività si è tradotto in un attacco alla contrattazionecentralizzata, ai meccanismi di indicizzazione, e agli stessi mecca-nismi di determinazione dei salari minimi. L’obiettivo generale dimoderazione salariale da realizzare attraverso la decentralizza-zione della contrattazione collettiva con connessa differenziazionedelle condizioni salariali e normative costituisce il cuore dellepressioni europee per indurre riforme strutturali che conseguanomiglioramenti della competitività.

La raccomandazione più ricorrente rivolta agli stati, anchenell’ultimo esercizio di sorveglianza macroeconomica per gli anni2016-2017, è assicurare che i salari evolvano in linea con la pro-duttività, declinato e specificato nelle spiegazioni che accompa-gnano la richiesta ai governi di “correzioni” ai processi nazionali diriforma in caso di rilevazione di fattori di scostamento effettivo opotenziale rispetto all’obiettivo. È superfluo segnalare come ladottrina dell’austerità seguita dalle istituzioni europee poggi suuna concezione di svalutazione competitiva e di corsa al ribassocome via europea per conquistare margini di competitività, in cui

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prevale una concezione del salario come costo piuttosto che comefattore di stimolo alla domanda interna, mentre resta sullo sfondola sua dimensione valoriale di garanzia di vita dignitosa e dielemento fondamentale di integrazione sociale, su cui poggiano lemoderne democrazie e quel che resta del modello sociale europeo.

Illuminanti al riguardo appaiono le raccomandazioni indiriz-zate anche a paesi i cui sistemi di contrattazione salariale nonavevano sinora ricevuto osservazioni da parte della Commissione:alla Finlandia, perché il sistema di fissazione dei salari tenda arafforzare la contrattazione salariale a livello locale per migliorarela competitività, in attuazione del Patto nazionale sulla competi-tività firmato il 23 febbraio 2016, definendo un nuovo modello dicrescita salariale che leghi i salari degli altri settori a quello delsettore delle esportazioni; alla Francia, perché venga riconosciutain maniera più ampia la possibilità per gli accordi aziendali (dimaintien o di développement de l’emploi) di derogare ai contratti disettore per tutte le condizioni di lavoro, in particolare i salari, iltempo di lavoro e la capacità delle imprese di modulare gli effettiviin funzione delle necessità; alla Svezia, perché venga ampliato ilventaglio salariale tra i livelli retributivi più elevati e quelli piùbassi, che oggi risulta eccessivamente compresso.

Alla stessa logica di correzione dei meccanismi che alimentanouna dinamica salariale non in linea con il miglioramento dellaproduttività, malgrado le recenti misure di moderazione salariale edi sospensione delle indicizzazioni (legge 28 aprile 2015) si ispiranola raccomandazioni rivolte a paesi, come il Belgio, che ha unsistema altamente coordinato di regolazione salariale, perché assi-curi stabilità (letteralmente: “il perdurare della correzione”) alquadro regolativo dei salari riducendo in via sistematica il pesodelle indicizzazioni e fissando con il concorso delle parti sociali unpiù formale collegamento tra salari e produttività. È utile segna-lare al riguardo come del dibattito che ha accompagnato l’impegnoassunto dalla Commissione con la Confederazione europea deisindacati a rendere socialmente accettabili le procedure del seme-stre europeo la sola traccia visibile nelle raccomandazioni rivolteagli stati sia il richiamo operato alla necessaria cooperazione delleparti sociali nei processi di riforma legislativa che più direttamenteimpattano con le loro prerogative nei sistemi nazionali.

L’attrazione delle dinamiche salariali nella sfera di sorve-glianza macroeconomica sui processi di riforma intrapresi dagli

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stati ha portato le istituzioni europee a puntare l’attenzione anchesui regimi legali di fissazione del salario minimo. In particolare,dell’istituto del salario minimo legale, oggi presente in 22 dei 28stati membri dell’Unione (considerando ancora il Regno Unito, invia di uscita dopo il referendum a favore della Brexit del 23 giugno2016) l’aspetto che cade sotto la sorveglianza delle istituzionieuropee è il livello di copertura dello stesso rispetto alla dinamicasalariale complessiva, sia per la funzione che il salario minimosvolge quale parametro di riferimento per la contrattazione sala-riale, in particolare per l’adeguamento dei minimi contrattuali peri livelli di inquadramento più bassi, sia per il suo carattere inde-rogabile, che non consente a livello aziendale di utilizzare lostrumento della flessibilità salariale in risposta a mutevoli esigenzeoccupazionali. Un esempio di questa preoccupazione è contenutonella raccomandazione rivolta alla Francia per il 2016-17 a vigilareaffinché le riduzioni del costo del lavoro siano durevoli e le evolu-zioni del salario minimo compatibili con la creazione di occupa-zione e con la competitività. Le spiegazioni fornite dalla Commis-sione insistono sulla considerazione che il salario minimo elevatorischia di frenare l’occupazione di persone con bassa qualificazione,oltre a trascinare aumenti salariali per tutti i lavoratori sospin-gendo le dinamiche salariali verso l’alto. Lo stretto collegamentoesistente tra meccanismi di rivalutazione del salario minimo esalario medio ritarderebbe infatti gli aggiustamenti salariali neces-sari in una situazione economica sfavorevole di elevata disoccupa-zione.

Su sollecitazione europea, molti governi negli anni della crisisono intervenuti per ridurre o congelare i salari minimi, in qualchecaso provvedendo a sostituire le preesistenti procedure negoziali dideterminazione del salario minimo con meccanismi unilaterali(Grecia, Romania). Gli effetti provocati da questo indirizzo dellepolitiche pubbliche sono stati il progressivo impoverimento delvalore reale del salario minimo. Ricerche condotte su dati Ocse2014 circa il tasso di copertura del salario minimo hanno mostratocome in tutti i paesi europei il valore del salario minimo si attestisotto la soglia dei bassi salari, che per l’Ocse è data dal valore didue terzi rispetto al valore del salario medio e, nella maggior partedei casi, anche sotto la soglia di povertà, data dal 50% del valore

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dei salari medi (95). Gli effetti della segmentazione del mercato dellavoro e della erosione del grado di copertura dei contratti collet-tivi, acuiti dall’impatto della crisi economica e delle stesse misureanticrisi adottate dai governi, hanno fatto aumentare in tutti ipaesi le disuguaglianze e importare in Europa il fenomeno dellain-work poverty, una nuova classe di lavoratori che, pur occupati,non riesce a ricavare dal proprio lavoro i mezzi di sostentamentoperché impiegata in settori con bassi salari come alberghi, risto-ranti, agenzie di lavoro interinale, servizi sociali, trasporti, o per-ché intrappolata in impieghi a carattere precario o discontinuo.

Per contrastare il fenomeno la Confederazione europea deisindacati (Ces) ha avanzato nel 2012 la proposta di un salariominimo europeo, da collocare sopra la soglia del 60% del salariomedio nazionale, attraverso una operazione di redistribuzione sa-lariale che assicuri equità e coesione sociale, e lo stesso presidentedella Commissione Juncker nel discorso di investitura al Parla-mento europeo nel luglio 2014 era parso voler assumere una ini-ziativa al riguardo. In attesa di sviluppi sul piano continentale, inmolti paesi a partire dal 2014 si è manifestata un’inversione dirotta in direzione di un innalzamento dei salari minimi, in rispostaa pressioni politiche volte ad arginare il fenomeno dei working poor,soprattutto nei paesi dell’Europa centro-orientale, dove il valorereale del salario minimo era fissato a livelli particolarmentebassi (96).

Espressione di questa nuova tendenza al rialzo del valore delsalario minimo è la misura di recente introdotta nel Regno Unito(dal 1° aprile 2016) del National Living Wage (NLW) a carattereobbligatorio che sostituisce per i lavoratori di età superiore a 25anni il National Minimun Wage (NMW) portando la paga oraria a7,20 sterline (contro le attuali 6,70 del salario minimo per i lavo-ratori di 21-24 anni), tariffa che dovrà essere aggiornata annual-mente dalla Low Pay Commission fino ad arrivare a 9 sterline nel2020, ossia il 60% del salario medio, che rappresenta la soglia chesegna il rischio di povertà. La misura, che conferma il modellovigente di applicazione differenziata in base all’età per i piùgiovani, mantiene altresì il carattere originario di intervento volto

(95) SCHULTEN, Contours of a European Minimum Wage Policy, Berlin, 2014.(96) BERNACIAK, Beyond the CEE « black box »: crisis and industrial relations in the new

EU member states, Bruxelles, 2015.

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a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori a basso salarioattraverso una redistribuzione (pubblica) dei risultati della crescitarealizzati dal paese in termini di aumento del Pil e dell’occupa-zione, compensata dalla prevista riduzione della dipendenza dal-l’erogazione di sussidi pubblici. Esula da quel contesto l’idea disupporto al rilancio della contrattazione salariale da parte deisindacati, che non svolgono (quasi) più una funzione negoziale,quanto piuttosto un ruolo di controllo e monitoraggio del rispettodelle norme in materia di salario e delle altre condizioni di la-voro (97).

Più interessante nella prospettiva di una valorizzazione del-l’integrazione funzionale tra legge e contrattazione collettiva è lalegge 11 agosto 2014, che ha introdotto in Germania il salariominimo legale (Milog) a partire dal 1° gennaio 2015. L’interventolegislativo sul salario minimo, sostenuto dal sindacato DGB, èstato infatti attentamente calibrato in modo da non ledere leprerogative riconosciute dalla Costituzione all’autonomia collet-tiva, ma anzi da supportarne la funzione riequilibratrice in situa-zioni di particolare debolezza contrattuale. La fissazione del salariominimo a 8,50 euro l’ora come misura a carattere generale (conesclusione degli apprendisti, che hanno uno statuto giuridico di-verso dal lavoro subordinato), è stata infatti preceduta da misuremirate e selettive di salario minimo per i lavoratori in distaccotransnazionale, interinali, delle costruzioni e di altri settori parti-colarmente esposti a forme di dumping salariale. L’obiettivo dicontrastare la piaga dei bassi salari, divenuto un fenomeno ende-mico in Germania per una serie di ragioni (le migrazioni economi-che soprattutto dai paesi dell’est, la prestazione transnazionale diservizi, le riforme Hartz che hanno favorito la segmentazione delmercato del lavoro, la diffusione dei mini-jobs, le clausole di uscitadai contratti collettivi) è stato perseguito negli anni scorsi attra-verso il sostegno fornito alla contrattazione collettiva nei settori incui era più debole il suo grado di copertura (98) prevedendoprocedure rafforzate di estensione dei contratti collettivi e coin-volgendo le parti sociali nell’apposita commissione che con cadenzabiennale propone l’adeguamento del salario minimo, tenuto conto

(97) JACOBS, op. cit.(98) CORTI, op. cit.; MAGNANI, Salario minimo, in CARINCI (a cura di), La politica del

lavoro del governo Renzi, Modena, 2015, 40, 537 ss.

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degli aumenti salariali negoziati collettivamente nel periodo diriferimento.

Prima della entrata in vigore della nuova misura a caratteregenerale, i cd. salari minimi di settore coprivano 19 settori dell’eco-nomia (costruzioni, industria della carne e del pesce, commercio aldettaglio, trasporti e logistica, hotel e ristoranti, servizi di sicu-rezza, portierato, giardinaggio, assistenza sociale, ecc.) dove ilsalario minimo settoriale, oggetto dei contratti collettivi estesi ergaomnes, ha spesso superato i 10 euro l’ora. Ciononostante, i lavora-tori con salario inferiore alla tariffa di 8,50 euro l’ora nel gennaio2015 costituivano ancora una percentuale di circa il 6% della forzalavoro composta in prevalenza di lavoratori non qualificati e,soprattutto, di donne, concentrati in alcune aree territoriali (est) esettori come parrucchieri, industria delle carni, agricoltura (99). Ilbilancio tracciato dagli studiosi della Fondazione Hans Bochler aun anno di distanza dall’entrata in vigore del Milog rileva come lapercentuale di lavoratori al di sotto del salario minimo si sia ridottaal 3% e come l’introduzione del salario minimo abbia trainatoaumenti salariali in tutti i settori caratterizzati da bassi salari e siastato accompagnato da una crescita sopra la media di posti dilavoro, spesso frutto di trasformazione dei mini-jobs, smentendo leprevisioni più pessimistiche della vigilia.

Che l’intervento legislativo sul salario minimo costituisca unsegnale in controtendenza nel panorama europeo del dopo-crisi,emblematica di una nuova dinamica di sostegno alla contratta-zione collettiva, trova conferma nell’opinione dei sindacati tede-schi, che considerano il periodo di transizione di due anni previstodalla legge per allineare tutti i salari contrattuali al di sopra delsalario minimo un incentivo che consentirà loro di ricostruirestrutture contrattuali più forti nei settori caratterizzati da disper-sione, dequalificazione e bassi salari. Né questa strategia di rin-corsa impedisce una generale strategia dei rinnovi contrattualibasata su aumenti salariali che tengano conto di un triplice para-metro: l’inflazione programmata dalla Bce, la produttività di set-tore e una più generica redistribuzione della ricchezza (100).

(99) AMLINGER, BISPINCK, SCHULTEN, The German minimum wage: experiences andperspectives after one year, in WSI Report, 2016.

(100) LEONARDI, op. cit.

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9. Verso quali equilibri si va riconfigurando il rapporto tra legge econtrattazione collettiva: il tramonto del contratto collettivo comeatto normativo a portata generale e la sua esclusiva funzionaliz-zazione a strumento di gestione a livello aziendale?

Qualche anno fa, concludendo uno scritto sui diritti di contrat-tazione collettiva nell’economia globalizzata (101) segnalavo comel’assenza di meccanismi coordinati di contrattazione collettiva sulpiano transnazionale rischiasse di scaricare le tensioni nascentidalla globalizzazione sui sistemi nazionali, dove i diritti di contrat-tazione collettiva sono radicati e dove i sistemi di contrattazionecollettiva sono tradizionalmente strutturati, accentuando lo squi-librio esistente tra dimensione globale dei mercati e dimensionenazionale della contrattazione collettiva. La (facile) previsione si èpuntualmente realizzata. Quel che non era allora prevedibile era ilruolo disgregante che avrebbero giocato le istituzioni europee(Commissione europea, Bce) e internazionali (Fmi) sui sistemi dicontrattazione collettiva tramite le nuove regole di governanceeconomica varate nel marzo (patto Euro Plus) e nell’ottobre 2011(Six Pack), che impegnano a collegare gli aumenti salariali agliincrementi di produttività e a rivedere il grado di centralizzazionedella contrattazione collettiva e gli effetti dei meccanismi di indi-cizzazione dei salari, sottoponendo a sorveglianza le politiche sa-lariali e individuando nella riforma della contrattazione salariale laleva principale per correggere gli squilibri macroeconomici interni,con possibilità di infliggere sanzioni in caso di persistenti squilibridei paesi della zona euro (102). E ciò senza avere competenzanormativa in base al Trattato in materia di contrattazione collet-tiva né di retribuzione, senza poter quindi intervenire con unadisciplina di armonizzazione sia pur minima; bensì provocando“uno sdoppiamento della legalità europea” tra quella ordinaria,non utilizzata, e quella derivante dalla nuova governance europea,la sola realmente vincolante e prioritaria (103).

(101) GUARRIELLO, I diritti di contrattazione collettiva, cit., 355.(102) ERNE, Le relazioni industriali europee dopo la crisi. Verso un interventismo

regolatorio post-democratico?, in Quad. rass. sind., 2012, 113 ss.(103) BAYLOS GRAU, TRILLO PARRAGA, The Impact of Anti-Crisis Measures, and the

Social and Employment Situation in Spain, Bruxelles, 2011. Sulla natura giuridica delleclausole che hanno posto condizioni agli Stati per la concessione di aiuti finanziari e delleraccomandazioni specifiche loro indirizzate nel quadro delle procedure di sorveglianza, gli

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Attraverso le raccomandazioni indirizzate agli stati nel quadrodella nuova procedura del semestre europeo, le istituzioni europeehanno rafforzato la loro capacità di pressione e di condizionamentodelle politiche nazionali soprattutto nei paesi con più forti squilibriinterni o con elevati livelli di indebitamento, indicando ai governispecifici interventi di riforma dei meccanismi di regolazione sala-riale che nell’insieme producono l’effetto di minare il quadroistituzionale di riferimento dei sistemi di contrattazione collettivacentralizzati, aggredendo il contratto collettivo nazionale (setto-riale o multisettoriale) in favore della contrattazione decentraliz-zata al fine di adattare le condizioni salariali e normative alleesigenze di mercato.

Se la tendenza al decentramento delle relazioni collettive, giàlargamente presente nei sistemi di contrattazione collettiva sindagli anni ’90 e accentuata negli anni 2000, veniva interpretata nelsenso di un movimento di convergenza di traiettorie neo-liberisteorientate dal mercato (104), quel che costituisce una novità delperiodo successivo alla crisi è che stavolta sia proprio l’interventopubblico a spingere in questa direzione sotto la pressione esercitatadalle autorità europee attraverso misure non normative di integra-zione negativa che rendono ancor meno praticabili le già difficiliiniziative di coordinamento transnazionale. Nei paesi, soprattuttodel Sud Europa, la legge è intervenuta, spesso bypassando leprocedure di concertazione o consultazione con le parti sociali, aintrodurre modifiche nei meccanismi di regolazione della contrat-tazione collettiva che recano il segno di un sostanziale ritiro delsostegno legislativo (105) alla contrattazione nazionale/settoriale.Il disfavore legislativo si è manifestato in pochi mirati interventi,specificamente richiesti dalle istituzioni europee per “correggere”meccanismi di regolazione salariale che non consentono un prontoadattamento alle variazioni di mercato: riduzione del peso del

studiosi si stanno interrogando da alcuni anni creando reti, banche dati e monitorandol’evoluzione delle situazioni nazionali, anche con riguardo all’esito delle strategie giudiziarieposte in essere da organizzazioni sindacali e della società civile per la difesa di dirittifondamentali, tra i quali la libertà sindacale e il diritto di contrattazione collettiva. Cfr.:KILPATRICK, DE WITTE, op. cit.; KILPATRICK, op. cit.; BRUUN, LORCHER, SCHOMANN, op. cit.;ETUI, 2014; KOUKIADAKI, Can the Austerity Measures be challanged in Supranational Courts?The cases of Greece and Portugal, Manchester, 2014.

(104) BACCARO, HOWELL, op. cit.(105) DEAKIN, KOUKIADAKI, op. cit.

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contratto nazionale in favore del contratto aziendale, interventisui meccanismi di estensione del contratto collettivo, riduzionedella ultrattività del contratto collettivo, riforma dei meccanismidi indicizzazione dei salari, riduzione dei salari minimi, tagli sala-riali e blocco della contrattazione nel settore pubblico.

L’intervento legislativo sui sistemi di contrattazione collettivacome sistemi di produzione di norme, realizzato attraverso l’allen-tamento progressivo del principio di inderogabilità della norma dilegge da parte della fonte collettiva al fine di introdurre dosimaggiori di flessibilità nella disciplina dei rapporti di lavoro; ap-pare oggi diretto in molti paesi a minare la struttura portantedell’intero edificio contrattuale, ossia la contrattazione settoriale omulti-employer, che ha costituito in Europa il caposaldo dellaregolazione del lavoro (106). La rassegna delle misure legislativeadottate in molti paesi nel periodo dopo crisi evidenzia comel’attacco al contratto nazionale riguardi tanto la sua funzionenormativa, di definizione dei minimi salariali e normativi applica-bili a tutti i lavoratori e alle imprese del settore, attraverso lafacoltà attribuita dalla legge all’accordo aziendale di disapplicare ilcontratto di settore, la riduzione dell’ultrattività e dei meccanismidi estensione; quanto la sua funzione di coordinamento dellastruttura contrattuale, attraverso la preferenza legale, talora acarattere inderogabile, accordata al contratto aziendale, sganciatoda meccanismi contrattuali di articolazione con il contratto dilivello superiore (secondo il modello del coordinamento organiz-zato) anche sotto il profilo soggettivo dei soggetti abilitati a stipu-larlo. Soprattutto il venir meno di regole di coordinamento internoal sistema contrattuale è giudicato controproducente e poco soste-nibile sul medio periodo anche nell’ottica di governo dei processi dimiglioramento della produttività, che abbisogna di strumenti altempo stesso coordinati e flessibili per non tradursi in una meraderegulation.

Sotto il profilo dell’intervento istituzionale sulle relazioni col-lettive, le tendenze presenti in Europa negli anni recenti rivelanoun’accentuazione delle differenze e di percorsi nazionali diversirispetto ai dettami imposti ai paesi più esposti alla crisi. Unamaggior libertà di manovra è consentita dalla diversa situazione

(106) MARGINSON, La contrattazione coordinata, cit.

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economica, ma anche e soprattutto da modelli più solidi e istitu-zionalizzati di relazioni collettive che favoriscono relazioni colla-borative tra parti sociali, supportate da un quadro istituzionaleche fornisce risorse e sedi alternative alla contrattazione per inci-dere sulle decisioni aziendali.

Così, la comune tendenza al decentramento delle relazionicollettive, presente in quasi tutti i paesi europei (ad eccezione diBelgio e Finlandia), è stata diversamente declinata a seconda chesia stata realizzata in via autonoma dalle parti sociali attraversol’allentamento dei meccanismi nazionali di coordinamento contrat-tuale, o favorita da interventi eteronomi anche indiretti (misurefiscali di favore), o introdotta dalla legge a seguito di procedure diconsultazione con le parti sociali, ovvero imposta in via unilate-rale. Accanto al modello più radicale di imposizione unilaterale,caratterizzato da un orientamento legislativo di disfavore neiconfronti della contrattazione settoriale e di sostegno alla contrat-tazione decentrata, apparentemente designata dalla legge a costi-tuire il nuovo baricentro del sistema contrattuale (ma che spesso sitratti di un’operazione propagandistica di facciata (107) appare unsospetto più che legittimo, stante il debole grado di copertura dellacontrattazione aziendale anche per assenza di interventi normatividi sostegno equilibrato della presenza sindacale nelle imprese didimensioni minori, che finisce per attribuire al potere unilateraledel datore di lavoro la determinazione delle condizioni di disappli-cazione del contratto superiore); si sono manifestate anche ten-denze di tipo diverso, allo stato difficilmente classificabili quantoall’impatto che possono produrre sul sistema di contrattazionecollettiva. Si fa riferimento al progetto di legge presentato dalgoverno francese nel febbraio-marzo 2016, oggetto di feroce con-testazione nelle piazze e alfine approvato in parlamento nell’estate2016 che, riguardo al rapporto tra legge e contrattazione collettiva,si caratterizza per una imponente delegificazione del codice dellavoro realizzata attraverso una ripartizione di competenze tradisciplina legale e disciplina convenzionale, in cui la prima do-vrebbe limitarsi a dettare le norme di ordine pubblico sociale acarattere inderogabile, mentre la seconda si vedrebbe attribuita

(107) CARRIERI, Un coordinamento bilanciato della contrattazione. Presentazione, inQuad. rass. sind., 2016, 63 ss.

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una competenza generale a definire le concrete condizioni di la-voro, articolata al suo interno tra competenze spettanti al con-tratto di settore (i minimi di settore rientranti nell’ordine pubblicoconvenzionale) e materie interamente o parzialmente devolute allacontrattazione aziendale. Posto che il nuovo quadro normativo èancora in fieri, desta perplessità il fatto che una riforma di cosìrilevante impatto sul sistema francese di relazioni collettive non siastata preceduta da un formale e approfondito confronto con leparti sociali, come previsto dall’art. 1 del codice del lavoro. Insecondo luogo, perplessità e dubbi sono alimentati dall’esito com-plessivo della riforma, che richiede tempi di attuazione di alcunianni per entrare a regime e una successione di fasi che solo sesapientemente collegate possono fornire un quadro d’insieme piùpreciso ed esauriente. Si allude alla definizione dei principi e dirittiche rientreranno nell’ordine pubblico sociale (tempo due anni), allaconseguente materia destinata a trasferirsi nell’ordine convenzio-nale e alla definizione ad opera delle parti sociali del riparto dicompetenze tra contratto nazionale e accordo aziendale, fermorestando il criterio che il primo disciplina i minimi di trattamentodi settore e i meccanismi di articolazione contrattuale e il secondotutto il resto (tempo quattro anni). Un terzo elemento che peròparrebbe idoneo a distinguere questa proposta dagli interventilegislativi di puro e semplice ritrarsi del sostegno pubblico allacontrattazione collettiva, è la previsione di una funzione supple-tiva della legge laddove la contrattazione collettiva in concretonon si attivi o non copra tutti gli ambiti ad essa demandati,funzione suppletiva che, riguardo alla materia dell’orario di lavorogià inclusa nella legge secondo la stratificazione proposta tra am-biti di spettanza riservati alla legge, ambiti demandati alla con-trattazione collettiva e disposizioni suppletive, in realtà mantienelo status quo, ossia riguarda tutta la disciplina di dettaglio acarattere prevalentemente regolamentare, sicché ove la contratta-zione collettiva non intervenisse a definire una nuova disciplina diadattamento alle esigenze settoriali o aziendali, le norme attualidel codice del lavoro continuerebbero ad applicarsi in toto comedefault rule. A ciò si aggiunga che la dichiarata volontà del legisla-tore di attribuire un ruolo centrale alla contrattazione collettivaallargandone gli ambiti di competenza e il campo di azione (art. 1,c. 2), si traduce in disposizioni volte a favorire l’accorpamento e lafusione dei contratti di settore data la loro abnorme proliferazione,

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a rafforzare la formazione e le risorse strumentali per i rappresen-tanti sindacali, a definire regole maggioritarie anche per le orga-nizzazioni datoriali per la firma del contratto collettivo, a fissareregole maggioritarie per gli accordi aziendali in deroga (seppuraprendo alla possibilità che, in assenza di rappresentanti sindacali,i contratti possano essere firmati/approvati da altri soggetti). Di-versamente dagli orientamenti di sfavore verso il contrattonazionale/settoriale, la legge francese non tocca la decisiva que-stione dei meccanismi di estensione, che rimangono invariati.

Una terza tendenza evidenziata negli anni recenti è quella diun sostegno selettivo alla contrattazione collettiva laddove lastessa risulti oggettivamente indebolita dai processi di de-sindaca-lizzazione, di uscita delle imprese dall’associazionismo datoriale,dalla concorrenza salariale al ribasso esercitata da imprese difornitura o da agenzie di lavoro non tenute ad osservare i minimicontrattuali, dalla riduzione del tasso di copertura del contrattocollettivo anche a seguito di processi di disapplicazione del con-tratto settoriale. La legge è intervenuta al riguardo attraverso lariscoperta dei meccanismi di estensione del contratto collettivo, difatto caduti in disuso, nei paesi scandinavi e in Germania, dovemeccanismi di estensione facilitati hanno costituito una rispostaalla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di condizioniapplicabili ai lavoratori in distacco transnazionale.

In Germania a questo primo argine al deterioramento dellecondizioni salariali in numerosi settori caratterizzati da bassi salarisi è di recente affiancato un provvedimento a carattere generale sulsalario minimo, che ha lo scopo esplicito di rafforzare la contrat-tazione collettiva in tutti i settori caratterizzati da posizioni ende-miche di bassi salari. La legge 11 agosto 2014, che reca il titolo“Legge di sostegno all’autonomia collettiva”, appare caratteriz-zata da un meccanismo di sostegno alla contrattazione collettivanei settori più deboli e frammentati, imponendo in un arco tem-porale di due anni il raggiungimento della retribuzione minimaoraria sulla tariffa di legge di 8,50 euro, attraverso meccanismi giàsperimentati negli anni precedenti, di potenziamento e semplifica-zione delle procedure di estensione del contratto collettivo, in lineacon il principio costituzionale di favore per l’autonomia collettiva.Il monitoraggio condotto sugli effetti dell’introduzione del salariominimo in Germania sembra confermare, a distanza di un annodalla sua applicazione, la bontà del meccanismo prescelto, in grado

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di riattivare la contrattazione collettiva anche nei settori piùdeboli e desindacalizzati.

Interventi legislativi di innalzamento del salario minimo inmolti altri paesi europei, a cominciare dal Regno Unito, non paionosorretti dalla medesima finalità, quanto piuttosto da una visione diconcorrenza tra fonte legale e fonte convenzionale, segnata dadisfavore nei confronti della contrattazione salariale e da unaconcezione amministrativa del salario minimo come obbligo impo-sto alle imprese in sistemi in cui la determinazione dei salari èprevalentemente demandata a meccanismi di mercato.

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INTERVENTI

ANTONELLA OCCHINO

Osservazioni sulle tecniche di normazione collettiva

L’obiettivo del Convegno è stato quello di indagare le tecnichedella normazione e cioè il metodo della produzione giuridica. Losplendido affresco storico di Gaeta ci ha riportati all’attualità conuna ricostruzione lunga più di un secolo e ricca di alternative cheancora oggi affaticano la dottrina giuslavorista nella comprensionedelle radici strutturali della contrattazione collettiva, come moda-lità di regolazione dei rapporti individuali di lavoro.

Ancora il pendolo oscilla tra le ipotesi della fonte di dirittopubblico e del contratto di diritto privato, persino tra il contrattocollettivo come fonte o come atto, a struttura più o meno norma-tiva, e a funzione più o meno normativa. Si dubita che unasoluzione possa darsi attraverso l’idea del contratto collettivocome terza via, terzo tipo, terza dimensione della produzionegiuridica.

Dopo la storicizzazione di Gaeta abbiamo ascoltato l’attualiz-zazione di Mainardi sulle dinamiche della contrattazione collettiva,con spunti di notevole interesse riguardo i destinatari, i livelli, icontenuti del contratto collettivo, a valle della questione centralesulla rappresentanza sindacale.

Il contratto collettivo nella sua parte obbligatoria è una mo-dalità consensuale di vincolare i firmatari costituendo, modifi-cando ed estinguendo i loro rapporti giuridici patrimoniali, ovveroè un contratto ai sensi dell’articolo 1321 c.c. Questa acquisizione èindubitabile ma si adatta solo alla regolazione che le parti socialiintendono dare ai loro stessi rapporti, da sé.

Oltre, il contratto collettivo esprime una funzione, una voca-zione — si è detto (A. Zoppoli) — normativa, composta di enun-

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ciati prescrittivi a carattere generale e astratto posti in formasillogistica e pronti per la regolazione dei rapporti giuridici patri-moniali d’altri, delle parti del contratto individuale, se loro appli-cabile, ai cdd. destinatari.

È il tema antico della efficacia soggettiva del contratto collet-tivo che sconta tutto il dibattito sulla rappresentanza ma deviadalla questione del modo con cui il contratto collettivo stesso, nellasua parte normativa, produce diritto.

Il punto è che l’effetto sicuro di questa produzione, quando sia,è la generazione di vincoli, obbligazioni, e in particolare di obbli-gazioni contrattuali tra i singoli lavoratori e i singoli datori dilavoro, e il titolo di questa generazione va riportato al sistema delleobbligazioni, ovvero al diritto privato.

L’effetto è un orientamento prescrittivo di comportamentiumani a pena di responsabilità contrattuale come è tipico dellanatura obbligatoria del vincolo giuridico. Per tale ragione si im-pone un ritorno alla disposizione che elenca le fattispecie produt-tive delle obbligazioni, ovvero all’articolo 1173 c.c., dove si pre-vede che “le obbligazioni derivano dal contratto, da fatto illecito eda ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’or-dinamento giuridico”.

Non vi è altra via sicura di inclusione della parte normativa delcontratto collettivo nel sistema del diritto privato, che governa lerelazioni contrattuali di lavoro, per recuperare a sistema appuntoil problema della produzione normativa sindacale. Il contrattocollettivo non è un contratto ai sensi dell’articolo 1173 c.c. perchéla sola parte obbligatoria si inserisce nello schema dell’articolo 1321c.c., non la sua parte normativa di cui qui si discute.

Né è un fatto illecito, come è evidente, ma nemmeno un atto,a mo’ di formula unilaterale della fattispecie contrattuale, conimplicito ritorno all’articolo 1321 c.c. per via del rinvio operatodall’articolo 1334 c.c. sugli atti unilaterali. È invero uno di quei“fatti” cui la norma riconduce la capacità normativa, di genera-zione delle obbligazioni, in quanto da esso derivino, e quindi se equando i meccanismi della cd. rappresentanza sindacale lo consen-tano.

È un “fatto” cui la norma associa in altri termini la produzionedi situazioni giuridiche soggettive che completano il quadro sta-tuale, e quindi legale, della disciplina sui rapporti di lavoro tramitel’attività delle parti sociali, e quindi della contrattazione collettiva.

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Ed è fonte, dunque, senza dubbio, il contratto collettivo; maappunto di un quarto tipo, secondo l’elenco dell’articolo 1173 c.c.,dove i fatti arrivano ultimi di un breve elenco che contempla lequattro fonti delle obbligazioni. Insomma, il contratto collettivonella sua parte normativa non è fonte “del diritto” ai sensi dell’ar-ticolo 1 delle Preleggi, ma è fonte “di diritti”.

Né dunque fonte di diritto pubblico, né contratto di dirittoprivato, né terzo tipo secondo le ambigue ricostruzioni di Carne-lutti e di F. Santoro Passarelli rievocate da Gaeta, giustamente conrespiro critico e debita presa di distanze.

Il diritto del lavoro deve recuperare la sua missione esplora-tiva, per differenza dal diritto pubblico e privato, e riprendere adinterrogarsi con pazienza sulle vie aperte dalla clausola di confor-mità all’ordinamento giuridico apposta all’articolo 1173 c.c. per lagiustificazione dell’efficacia normativa del contratto collettivo:che, come “fatto”, sia idoneo a produrre obbligazioni “in confor-mità all’ordinamento giuridico”.

E ancora. Il contratto collettivo è allora un “fatto”, allargandolo sguardo, inclusivo di tutta la reale esperienza chiusa nel gusciointersindacale, che è un guscio vuoto, ma forse invece pieno, etuttavia vuoto perché inattaccabile dall’esterno, immune dalleingerenze statuali.

L’ipotesi teorica dell’ordinamento intersindacale ha fatto il suotempo, ma d’altronde non era che una esplicita ipotesi meramentemetodologica, che pure conserva le suggestioni nel punto in cuievoca la distanza del fenomeno sindacale preso nel suo complessodalle maglie statuali.

Questo guscio del mondo delle relazioni industriali si riempie dicontenuti nell’attività quotidiana dello svolgimento dei rapportisociali, unico protagonista: il sindacato. Con le sue relazioni ri-spetto al mondo delle imprese e delle istituzioni, libero di unalibertà riconosciuta dall’articolo 39, primo comma, della Costitu-zione, fondamentale, con quella immunità solo in questo sensoforiera di autonomia.

L’affermazione della autonomia sindacale poggia sull’osserva-zione dei rapporti tra attori sindacali ma non esige il richiamo allatecnica autonoma della produzione normativa contrattuale ai sensidell’articolo 1321 c.c. e quindi non entra in contraddizione con ildato ineludibile che il metodo della produzione giuridica collettivasia fondamentalmente eteronomo.

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D’altronde le strutture delle affermazioni comprese nella partenormativa del contratto collettivo sono enunciati sillogistici, aschema generale e astratto, tecnicamente formate alla proposizionelogica del “se-allora”, e aperte all’applicazione soggettiva (che purenon è necessariamente erga omnes), così come assoggettate alcontrollo di razionalità dopo la storica posizione assunta dallaCorte costituzionale nel 1989 (sentenza n. 103).

Il diritto privato ha aperto un canale di responsabilità con-trattuale, per inadempimento, da “fatto sociale” quando ha rico-nosciuto il fenomeno della responsabilità da “contatto” sociale, peresempio, e il diritto del lavoro potrebbe emulare la tecnica argo-mentativa, per similitudine, osando l’argomentazione di una re-sponsabilità contrattuale delle parti dei contratti individuali dilavoro investititi dagli effetti del fatto “contratto collettivo” versouna figura di responsabilità da “sindacato”, o da “relazione so-ciale”.

La questione si sposta allora sul tema centrale del dibattito pree post costituzionale, della individuazione dei destinatari, chesconta l’ambizione tutta giuslavoristica degli argomenti sullaestensione degli effetti a tutti.

Su questo aspetto rimane centrale ancora l’articolo 39, secondaparte, della Costituzione, che, benché inattuato, vale a recuperarele alternative fondamentali della inclusione ed esclusione dei de-stinatari virtuali dell’effettivo campo di applicazione soggettiva.

Le alternative sono quelle indotte dai diversi meccanismiriferibili alle tecniche della rappresentanza, e dunque, semplifi-cando, alla scelta tra i sistemi di ammissione alla procedura e allafirma del contratto, che possono darsi a maggioranza o all’unani-mità.

La produzione delle fonti del diritto segue uno schema proce-durale di democrazia politica che convoglia il consenso elettoralenel canale della procedura di approvazione a maggioranza dell’attonormativo e quindi della sua efficacia erga omnes.

La democrazia sindacale ha sempre funzionato in totale auto-nomia, secondo regole interne di assicurazione del rispetto dellevolontà dei singoli, ma senza assumere i toni della rappresentanzapolitica.

Né rappresentanza privatistica, né politica, la rappresentanzasindacale, che poi si è detta rappresentatività, altro non è chel’insieme delle regole procedurali di misurazione della forza reci-

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proca delle compagini sindacali al fine di rendere prevedibili icomportamenti delle trattative e della firma del contratto e poi ilnovero dei suoi destinatari, in coerenza, e secondo dinamicheprima tutte interne al sindacato, poi eventualmente con l’avallostatuale, che solo può assicurare l’erga omnes di diritto.

È il tema del contratto collettivo come formula espressiva delladifferenza dalla somma degli interessi individuali, vera cifra erme-neutica della costruzione del diritto sindacale da F. Santoro-Passarelli in poi, quale acquisizione irrevocabile e irrinunciabiledella autonomia delle relazioni sindacali rispetto al sistema istitu-zionale.

Il principio di effettività d’altronde (esattamente richiamatodalla Corte costituzionale nella sentenza 231/2013) conforta del-l’ipotesi che il contratto collettivo vada considerato nell’ordina-mento giuridico, e in conformità ad esso, ai sensi dell’articolo 1173c.c., come un fatto tout court, un insieme di vicende interne ad unmicro-macro cosmo di relazioni che sfuggono al controllo statualein omaggio al principio di libertà sindacale.

Si tratta anche, in altri termini, di quella “esperienza” di cuidiceva Dell’Olio nel 2001 (Aidlass, Baia delle Zagare, relazione),che può altrettanto darsi abbia corpo del contratto e anima dellalegge (Carnelutti) piuttosto che corpo della legge e anima delcontratto (Napoli), ma che in ultimo appunto — e questo si volevadire — sfugge alle categorie statuali per muoversi liberamente neimeccanismi caucasici delle relazioni industriali.

Decisivo è il controllo di conformità all’ordinamento giuridico,che definisce il perimetro di analisi e il compito sintetico del dirittosindacale: la ricerca puntuale delle tecniche di riconduzione del-l’effetto obbligatorio (chè la cd. efficacia normativa del contrattocollettivo è tecnicamente tale) ai suoi legittimi destinatari, il piùnumerosi possibile, secondo un principio di rispetto dell’autonomiaprivata individuale che, in assenza di legge (generale o eccezionale,qual è la disposizione dell’articolo 8 d.l. 138/2011), si riflette inquello che può definirsi a buon diritto un “diritto al dissenso”.

L’articolo 39, nella sua parte inattuata, in effetti prevedeval’erga omnes in un modello dove erano state compiute due opzioniprecise, per differenza dal modello della rappresentanza politica.In primo luogo vi era l’ammissione alle trattative di tutti i sinda-cati, se registrati, secondo una tecnica inclusiva e non maggiorita-

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ria, l’alternativa essendo l’apertura dell’accesso ai soli sindacatimaggioritari.

In secondo luogo vi era l’applicazione del principio maggiori-tario alla fase della firma, appoggiato però ad un rigoroso mecca-nismo di rispetto delle proporzioni dimensionali dei vari sindacati.La misurazione certo era stata pensata come si poteva, in base alnumero degli iscritti, che è forse l’unico aspetto realmente datatodel modello, oltre che inattuato al pari degli altri. E comunque ilmodello non piacque, o comunque non è mai stato reso vivente dauna legge attuativa di carattere generale, e non conserva che ilnoto effetto impeditivo di preclusione verso leggi che determininol’erga omnes secondo modelli alternativi.

Nei fatti, storicamente, il sindacato ha rifiutato il criteriomaggioritario e sotto le sembianze dei cdd. sindacati maggior-mente rappresentativi e dei loro eredi si è presentato compatto permolto tempo sulla scena contrattuale, al tavolo delle trattative epoi alla firma dei diversi contatti collettivi, di fatto all’unanimitàe di fatto erga omnes, seppur solo di fatto.

Né valse a trasformarne la fattualità in diritto il tentativo purpregnante di trasferire le categorie dell’essere al dover essere diFerraro del 1981, nella tesi giustamente ricordata da Gaeta. Più direcente il sistema si è evoluto incrinando la compattezza delcriterio dell’unanimità, sia nel pubblico che nel privato, e a tutti ilivelli contrattuali, a seconda anche dei contenuti e in linea dimassima del carattere acquisitivo o meno del contratto stesso. Èesemplare la vicenda parabolica del contratto cd. gestionale, che diper sé non esiste.

Ora l’accesso alle trattative continua ad essere assicurato atutti (salva la soglia minima del 5%) mentre la legittimazione afirmare viene riconosciuta concordemente alla compagine di mag-gioranza. Il che vale per quanto possa valere, naturalmente, e inmodo diverso nel pubblico e nel privato, e in modo ancora diversoai livelli nazionale e decentrato, poiché la formula è concordata manon è legificata, e quindi vale per i sindacati che ne accettino l’idea.

Non è impossibile che la legge affermi un erga omnes in viaindiretta o eccezionale, ma una sua espressione generale restaancora esclusa dall’effetto impeditivo dell’art. 39 della Costitu-zione, a parte la vicenda indiretta del contratto nel settore pub-blico e quella comunque eccezionale del contratto di prossimità.

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Le recenti evoluzioni descritte nella bella relazione di Mainardisono suggestive. Tra tutte emerge l’analisi del mutamento in atto,che è sotto gli occhi di tutti, sui contenuti contrattuali stessi, chesollecita il dubbio su una mutazione genetica anche sostanziale,non solo procedurale, della contrattazione collettiva.

Da strumento per l’imposizione di minimi e quindi di afferma-zione concreta del principio di eguaglianza, nel senso alto e costi-tuzionale del termine, come trattamento eguale per situazionieguali e trattamento diverso per situazioni diverse, a finalitàanticoncorrenziale e quindi con tecnica inderogabile, il contrattocollettivo si farebbe strumento anche di composizione degli inte-ressi per la produzione di welfare.

Il che proprio rimanda col pensiero ai primi contenuti di tutelaassicurati dai sindacati ai lavoratori, a garanzia dei rischi, secondol’esperienza delle mutue assicurative, da cui nacque il primo sin-dacalismo, e quindi alle sue origini.

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LUCA NOGLER

Mi scuso con gli altri due relatori perché mi limiterò ad alcunebrevissime osservazioni sulle relazioni di Mainardi e Gaeta.

Dell’ampia e complessa, e perciò preziosa, relazione di M. nonmi convince un punto di fondo che l’autore stesso preannuncialaddove nella parte iniziale laddove sostiene che “proprio l’esi-stenza degli accordi realizzati in sede confederale può fornirematrice di lettura applicativa dei rinvii di legge alla contratta-zione, anzitutto nella norma di carattere definitorio e generaledell’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015”. Più avanti nella sua relazione M.entra nel merito della sua tesi affermando che sarebbe “possibileritenere che alla stregua di “indici” e “criteri” di definizione dellarappresentatività comparata ai sensi dell’art. 51 d.lgs. n. 81/2015,le regole del T.U. del 2014 ben possano essere estese oltre l’ambitodi applicazione soggettivo dell’Accordo”, così come che se” siaccede ad una interpretazione dell’art. 51, quale qui condivisa,come norma che rinvia interamente al sistema sindacale la defini-zione delle regole e dei raccordi soggettivi/oggettivi fra i livelliabilitati alla contrattazione delegata, allora il governo del sistemacontrattuale definito in ambito sindacale riceverebbe, proprio gra-zie alla norma del decreto legislativo 81/2015, pieno impulso epiena legittimazione legale, giustificando una sua esigibilità in sedegiudiziale” i.e. l’efficacia reale (e non meramente obbligatoria)delle disposizioni collettive del suddetto T.U. In estrema sintesi,mi sembra che — per superare il limite enunciato dall’inciso “ai finidel presente decreto” (art. 51, d.lgs. n. 81/2015) — nella “catena”argomentativa del relatore manchi una stampella di diritto posi-tivo e che pertanto si generi un salto logico; chiedo a. M.: nonpotrebbe essere necessario inserire un richiamo, per lo meno, alprimo comma dell’art. 39 Cost. accompagnando ciò con un congruofilo argomentativo? Ad esempio, sarebbe necessario qualificare ilrinvio all’ordinamento intersindacale come recettizio. Non entronel merito della tesi perché richiederebbe ben altro spazio e tempo,

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ma mi sembra che il ragionamento del relatore necessiti di uncompletamento, un surplus di argomenti.

Gaeta ci propone una relazione che pare mitigare il suo pro-verbiale anti-barassianismo e della quale apprezzo molto l’onestàintellettuale con la quale presenta il contributo di Giuseppe Mes-sina, evitando di rimuoverne — come è solito fare, invece, Um-berto Romagnoli — l’adesione al regime. Il quesito di fondosollevato dalla relazione di G. mi sembra così sintetizzabile: se,come sempre è stato fatto, diritto privato e pubblico sono duecategorie gemellari è possibile parlare di terza dimensione deldiritto? Vero è che proprio la figura del contratto collettivo hainciso sul modo in cui si imposta la summa divisio. Il Dirittopubblico non rappresenta una categoria che è sempre rimastaconnotata allo stesso modo da Carnelutti fino ai giorni nostri. Lenorme inderogabili, che non limitano più al mero ambito dell’or-dine pubblico, non sono, ad esempio, necessariamente di dirittopubblico e sappiamo che le stesse regole collettive sono normal-mente inderogabili in peius.

Proprio questa premessa, obbliga poi a superare l’impostazionemeramente classificatoria che accompagna — da sempre — ildibattito sulla riconducibilità o no del contratto collettivo didiritto comune alle fonti del diritto. Occorre in particolare eviden-ziare il risvolto pratico sotteso al processo qualificatorio distin-guendo i singoli effetti che ne conseguono. Un tempo si pensavache solo la violazione delle fonti del diritto potesse aprire la stradaal ricorso in cassazione. Ora sappiamo che proprio la legislazionesul contratto collettivo ha superato tale frontiera. La qualifica-zione è sempre in funzione di un effetto concreto. Alla domanda seil contratto collettivo sia o no riconducibile alle fonti del diritto, ilgiuslavorista deve rispondere: dipende dal tipo di effetto e nonaccettare di cadere nella trappola meramente dogmatica.

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ALESSANDRO BELLAVISTA

Gli orizzonti del diritto del lavoro post-statutario

Anzitutto è indispensabile complimentarsi con tutti e quattroi relatori che hanno svolto delle eccellenti trattazioni, affrontando,da vari punti di vista, argomenti magmatici e sempre più difficil-mente sistematizzabili in modo organico a causa dell’iperattivismodel recente legislatore. Siffatta bulimia normativa è determinatadalle pressanti istanze dell’andamento del ciclo economico e dallaperdurante situazione di crisi. Inoltre, è evidente che, soprattuttonegli ultimi anni, il diritto del lavoro italiano (e non solo) sembrasoggiacere agli imperativi promananti dalla scelta di una specificaopzione (tra le tante) volta ad affrontare le problematiche concer-nenti la difesa della competitività delle imprese e lo stimolo del-l’aumento dell’occupazione.

Com’è noto, la cosiddetta dottrina dell’austerity e le politicheneoliberiste ancora pervadono la governance europea e condizio-nano profondamente le decisioni nazionali. Con ciò si ignora, o si fafinta di ignorare, il sostanziale fallimento di questi approcci che, inrealtà, hanno raggiunto risultati ben diversi da quelli annunciati,in quanto la ripresa procede a rilento, con innumerevoli e tangibilicosti sociali. È, infatti, giunto il tempo di effettuare una svolta atrecentosessanta gradi e ritornare agli insegnamenti del buon vec-chio Keynes, come d’altra parte dimostrano le positive performan-ces degli Stati Uniti, in cui s’è capito da tempo che la miglioresoluzione per favorire la crescita economica e sconfiggere la crisi ècostituita da un profondo e persistente intervento dell’apparatopubblico, il quale si affianca all’iniziativa privata e talvolta lasostituisce integralmente.

Tutto induce, altresì, a pensare ad una completa rivisitazionedelle pessime politiche del lavoro, adottate bipartisan dagli ultimigoverni: politiche basate sul presupposto, non comprovato da datiempirici, che una maggiore flessibilità (sotto tutti i profili) della

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manodopera e una riduzione dei costi diretti del lavoro avrebberoaccresciuto (magicamente) la propensione delle imprese ad inve-stire e quindi ad assumere nuovi lavoratori. In realtà, come dimo-strano attenti studi sulle varie forme di uso della flessibilità, la solaazione volta ad abbassare i costi del lavoro, non accompagnata damisure strutturali per agevolare l’intero complesso imprendito-riale, comporta il forte rischio di risolversi in uno strumento insostanza parassitario. E cioè di incoraggiare l’impresa a competeresolo facendo leva sui costi del lavoro, senza tentare di innovareprodotti e processi. Il che nel lungo periodo è deleterio, perché, nelmercato globale, vi saranno sempre dei competitors in grado diottenere prezzi più bassi della manodopera. Peraltro, come risultapure dalle ricerche sul campo, la capacità competitiva delle aziendepiù moderne e vincenti sui mercati dipende, tra l’altro, anche dalfatto che esse si avvalgono di lavoro di qualità: vale a dire didipendenti con rapporti tendenzialmente stabili, ben retribuiti eche godono in generale di più che dignitose condizioni di lavoro.Certo è come se si fosse scoperta l’acqua calda! Ma è alquantoparadossale che, proprio oggi, in cui la narrazione dominante faleva sullo slogan della fine della contrapposizione capitale-lavoro esull’affermazione dell’ontologica necessità della collaborazione tradatori e dipendenti, è appunto paradossale, si diceva che, alla resadei conti, le politiche trascurano l’esigenza di garantire la prote-zione e il benessere della forza lavoro.

D’altra parte, il complesso intervento legislativo, denominatoJobs Act, è figlio legittimo, appunto, di un’impostazione di stamponeoliberista ossessionata dalla fallace idea che l’occupazione au-menti in correlazione alla diminuzione delle garanzie per i lavora-tori. Vari sono i tasselli di questo percorso riformatore: la libera-lizzazione del contratto a tempo determinato, l’alleggerimentodelle misure sanzionatorie nei confronti del licenziamento ingiusti-ficato nel contratto a tempo indeterminato, la flessibilizzazionedella disciplina delle mansioni, la revisione della normativa suicontrolli tecnologici.

In primo luogo, con l’introduzione del nuovo contratto atempo indeterminato a tutele crescenti (ormai unica forma con-trattuale a tempo pieno disponibile per tutte le assunzioni effet-tuate a partire dall’entrata in vigore del relativo decreto), difatti,s’è assistito ad una sorta di generalizzazione della tutela obbliga-toria, con importi predeterminati in relazione all’anzianità di ser-

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vizio, e correlativamente alla collocazione in un’area residualedella tutela reale. Il che ha sollevato molteplici dubbi di legittimitàcostituzionale ancora non sciolti dalla Consulta. Per giunta, ilgoverno, a partire, dal 2015, ha incentivato le nuove assunzioni contale contratto mediante forti sconti contributivi. Tuttavia, non s’èverificato un vero e proprio shock occupazionale o quantomenoquello atteso dagli ambienti governativi. È noto a tutti, peraltro,che è scoppiata una specie di guerra delle cifre tra i sostenitoridell’efficacia del provvedimento e i suoi detrattori. Siffatto con-flitto di opinioni non è sicuramente immediatamente risolvibile,stante che, come ammettono gli economisti del lavoro, è difficileindividuare il contributo dei vari frammenti del Jobs Act agliandamenti del mercato del lavoro. Sembra però condivisibile la tesisecondo cui, senza dubbio, un ruolo importante hanno giocato glisconti contributivi alle nuove assunzioni che hanno direttamentefavorito un piccolo aumento degli occupati. Pertanto, a volereguardare, per così dire, il bicchiere mezzo pieno, si può sottolineareche è in atto, in Italia, una ripresa occupazionale, ma questa è piùtimida rispetto ai partner europei. Più precisamente, nella peni-sola, si assiste a quella che gli economisti definiscono una product-less recovery, una ripresa senza prodotto. In altre parole, “l’occu-pazione aumenta nonostante la crescita del Pil da zero virgola”. Daciò si inferisce che “se creiamo lavoro nonostante l’assenza dicrescita, significa che i nuovi posti di lavoro sono di scarsa qualità”(Garnero-Scarpetta, 17 giugno 2016, lavoce.info). Tra le ragioni diquesta situazione è collocato il bassissimo livello della produttività,il cui incremento dipende da tutta una serie di fattori esterni alrapporto di lavoro, sui quali i policy makers dovrebbero concen-trare l’attenzione. Difatti è acquisizione comune che la produtti-vità soprattutto cresce in proporzione alle dimensioni delle im-prese, perché la grande dimensione consente maggiori economie discala e maggiori investimenti in innovazione e ricerca, rispetto alleaziende con un formato più piccolo. Pertanto, l’incentivazionedella produttività presuppone lo stimolo della crescita dimensio-nale delle imprese. In questa direzione dovrebbe muoversi conprepotenza la politica; cosa che invece non accade affatto.

Nella bella relazione di Emilio Balletti emerge, con chiarezza,l’obiettivo del legislatore del Jobs Act di flessibilizzare la disciplinaprotettiva del lavoro, seppure con scelte tecniche alquanto con-torte e poco rispettose di tutta una serie di vincoli ordinamentali.

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A ben vedere, peraltro, le disposizioni sui licenziamenti, sullemansioni e sui controlli (al di là dell’obiettivo dichiarato dagliesponenti governativi) presentano punti tanto oscuri da offrire lospunto per letture di stampo fortemente garantista e in grado diattenuare in modo rilevante, se non del tutto, la loro portatainnovativa. Sarà quindi la giurisprudenza a dire, in concreto,quanto la situazione sia cambiata rispetto al passato, senza esclu-dere la possibilità, come s’è già accennato, di un intervento radi-cale della Corte costituzionale.

Quanto allo spazio dell’autonomia collettiva, è condivisibile lalettura di Sandro Mainardi secondo cui, rispetto all’impostazionedella legge delega n. 183/2014, la versione finale del d.lgs. n.81/2015 offre molteplici campi di azione alla contrattazione collet-tiva. È in sostanza fallito il tentativo (almeno sul piano normativo)di collocare l’autonomia collettiva in un ruolo residuale e di enfa-tizzare al massimo il potere unilaterale del datore di lavoro. Certo,oggi le cose stanno diversamente rispetto ai tempi in cui il legisla-tore ammetteva l’attenuazione della rigidità della disciplina dibase solo a condizione che intervenisse la contrattazione collettiva.Il che rendeva l’autonomia collettiva il dominus della gestionedella flessibilità da immettere nel mercato del lavoro. E pertanto ilsindacato, in cambio del suo consenso al rilassamento della normalegale, poteva ottenere adeguate contropartite dalla parte dato-riale. Ma è anche vero che, tuttora, la contrattazione collettivacontiene in sé una risorsa che giammai potrà possedere l’azionedatoriale unilaterale. Infatti, com’è ovvio, le scelte adottate tra-mite una contrattazione collettiva (svolta da soggetti effettiva-mente rappresentativi dei lavoratori) sono più facilmente accettatedalla base di riferimento e danno la sensazione di una diffusapartecipazione alle decisioni aziendali. Il che favorisce la creazionedi un ambiente di lavoro meno conflittuale e agevola la fidelizza-zione delle maestranze, coinvolgendole strettamente nella dire-zione del perseguimento degli obiettivi produttivi. Così, è presu-mibile che, nelle aziende più responsabili e sensibili al valoreaggiunto del fattore lavoro, ci si muoverà con i piedi di piombonell’utilizzare la possibilità di variare le mansioni e di introdurretecnologie di controllo in via unilaterale, mentre si preferirà otte-nere lo stesso risultato attraverso la contrattazione collettiva. Inquest’ultimo modo, sarà per giunta ridotta al minimo l’esplosionedi fastidiosi e incerti contenziosi giudiziari con i singoli lavoratori.

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D’altra parte, il ruolo portante della contrattazione collettivanel sistema costituzionale è stato di recente confermato dallaConsulta con affermazioni che vanno al di là della specifica occa-sione da cui è scaturita la relativa sentenza (n. 178/2015); che,com’è noto, riguardava il blocco della contrattazione in materiasalariale nel settore pubblico. D’altra parte, anche in quest’ambito,vi sono segnali di un radicale mutamento delle politiche degliultimi anni che hanno visto (in modo alquanto fantasioso) nel-l’azione sindacale e nella contrattazione collettiva i principaliresponsabili delle inefficienze della pubblica amministrazione. Conciò s’è dimenticato che, come dimostra la non felice storia dellavoro pubblico, proprio in questo settore, la contrattazione col-lettiva è un formidabile strumento di trasparenza e di garanziadella democraticità delle scelte di gestione, altrimenti lasciate agliarcana imperii del potere unilaterale dei decisori politici e della lorotradizionale strategia delle mance. Semmai, qui, per rendere ledinamiche della contrattazione collettiva più simili a quelle delsettore privato bisognerebbe avere il coraggio di allontanare radi-calmente la politica dall’amministrazione concreta e di costruireun datore di lavoro che sia realmente serio e che non usi le relazionidi lavoro e sindacali per ottenere consenso elettorale. Ma questa èveramente un’altra storia.

Più in generale, è chiaro, peraltro, che sul sindacato grava ildifficile compito di non perdere mai il contatto con la collettivitàdei lavoratori e di estendere la sua capacità di coalizzare il semprepiù frammentato mondo del lavoro. La sconfitta della narrazioneneoliberista può avvenire solo mediante la costante dimostrazioneche il suo presupposto di fondo, l’esaltazione dell’individualismo, èdel tutto fallace in contesti dominati dallo squilibrio di potereeconomico, come il mercato del lavoro. E qui tocca al sindacatocontinuare a diffondere (in ogni luogo dove si scambia lavoro conun qualsivoglia compenso) sempre più l’idea che solo grazie al-l’azione collettiva la persona che lavora riesce effettivamente aconquistare la sua libertà.

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FELICE TESTA

L’incidenza della nuova disciplina del mutamento di mansioni sulc.d. obbligo di repêchage

Il breve intervento che vorrei svolgere trae spunto dalle rifles-sioni che ci ha offerto Emilio Balletti nella sua relazione a propo-sito della nuova disciplina del mutamento di mansioni.

In particolare vorrei provare ad offrire a mia volta qualchespunto di riflessione circa l’incidenza che la novità normativa inparola può avere su quanto finora acquisito al patrimonio inter-pretativo del c.d. obbligo di repêchage.

Premetterei la considerazione per la quale l’obbligo di re-pêchage non è codificato in una norma positiva; la sua vigenza traeorigine, come noto, da un processo interpretativo sui presuppostidi legittimità del licenziamento (principalmente individuale) pergiustificato motivo oggettivo, argomentando a partire dal dirittoallo svolgimento delle mansioni di cui all’art. 2103 c.c. ed attra-verso l’impiego del canone di buona fede nell’esecuzione del con-tratto. Per tale via l’obbligo in parola è apparso risultare in capo aldatore di lavoro indipendentemente dal suo, pur possibile, esseredisposto da speciali norme di legge o regole contrattuali che necontemplino specifici svolgimenti.

Sul punto c’è però da evidenziare che il canone di buona fedein executivis non può considerarsi, proprio in quanto canone e nonspecifico precetto, foriero di obblighi autonomi rispetto a quellicontemplati dalla regola (il contenuto del contratto integrato dallalegge) cui il canone stesso viene applicato (1), per quanto questapossa essere a contenuto ampio come quello di cui al combinatodisposto dell’art. 3 l. 604/1966 con l’art., 2103 c.c.

(1) Cfr. L. BIGLIAZZI GERI, Buona fede — nel diritto civile, in Digesto, disc. priv., Sez.civ., Torino, 1988, p. 154 ss. ed ivi ampi e fondanti riferimenti bibliografici e, più di recente,M. FRANZONI, Degli effetti del contratto vol. II, sub artt. 1374-1381 in Il Codice CivileCommentario fondato da Piero Schlesinger, diretto da Francesco D. Busnelli, Milano, 2013.

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Così, intervenuta la modifica della regola di riferimento (l’art.2103 cit.) ci si deve chiedere se e come cambi l’interpretazione dellastessa e dunque quale sia il nuovo contenuto degli obblighi dedottiin contratto da eseguire anche attraverso l’impiego del canone dibuona fede.

A mio avviso la modifica dell’art. 2103 c.c. introdotta dall’art.3 del d.lgs. 81/2015 potrebbe addirittura restringere l’ambito dellac.d. “operatività” dell’obbligo di repechage rispetto a come questosi era consolidato nell’orientamento interpretativo della prece-dente disciplina del mutamento di mansioni (2). Cerco brevementedi spiegare perché.

È vero, come ci evidenzia Emilio Balletti, che il legislatorerecente non si è affatto preoccupato della regolazione di un istitutodi origine interpretativa così incisivo quale l’obbligo di repêchage,cosa che ben avrebbe potuto fare considerando come, proprio nelriscrivere la disciplina del mutamento di mansioni, abbia recupe-rato e recepito in norma positiva buona parte dell’interpretazione(prevalentemente giurisprudenziale) consolidatasi intorno alla pre-vigente disciplina; ma questa ulteriore regolazione non è interve-nuta, riterrei, perché, sul piano metodologico, l’art. 2103 c.c. nonva “letto” in funzione dell’obbligo di repêchage, semmai è vero ilcontrario, è il contenuto dell’obbligo di repêchage che dipende dailimiti o opportunità che il datore di lavoro ha nel mutamento dimansioni disciplinato dall’art. 2013 c.c.

Può parlarsi oggi, in chiave comparativa con la previgentedisciplina, di opportunità più che di limiti, in quanto la modificadelle regole sul mutamento di mansioni appare offrire una rinno-vata attenzione alle esigenze di riposizionamento di mercato del-l’azienda; attraverso l’ampliamento dell’ambito del mutamentooggi l’impresa che si trovi a dover riorganizzare il lavoro al suointerno ha una opportunità in più di adeguamento dell’utilità dellaprestazione lavorativa all’interesse dell’impresa stessa.

Inoltre, la novità legislativa è da iscrivere in una rinnovataattenzione del Legislatore al momento di svolgimento del rapportodi lavoro, come ad esempio lo sono le modifiche alla disciplina del

(2) Sul precedente orientamento, fra gli altri, cfr. M. T. CARINCI, Il giustificato motivooggettivo nel rapporto di lavoro, in Trattato dir. comm. e dir. pubblico dell’economia, diretto daFrancesco Galgano, Vol. XXXVI, Padova 2005, p. 10 ss. ed ivi ampi riferimenti bibliogra-fici.

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controllo della prestazione lavorativa, dopo che le precedenti ri-forme del c.d. diritto del mercato del lavoro, si erano concentrateesclusivamente sui momenti di “entrata” e di “uscita” dal mercatoe, quasi, disinteressate di come i rapporti si svolgono all’internodello stesso, luogo in cui la cura delle istanze di flessibilità do-vrebbe invece trovare il principale momento.

Oggi la norma dispone, in chiave di adeguamento flessibiledella prestazione all’utilità della stessa per l’impresa, che la rias-segnazione in parola possa essere fatta a mansioni inferiori fino adun livello di inquadramento (senza “salto” di categoria) ovveroanche oltre ove si raggiunga col lavoratore un accordo in una dellec.d. “sedi protette”.

Si tratta di un ampliamento del raggio di manovra in caso diriorganizzazione del lavoro nell’impresa cui però non è detto checorrisponda in ogni caso un ampliamento dell’ambito del repêchage.

In primo luogo, con riguardo alla prova dell’aver assolto il cd.obbligo di repêchage, ritengo che alla possibilità di raggiungere conil lavoratore interessato un accordo in sede protetta per unariassegnazione a mansioni diverse oltre i limiti generali posti dalnuovo testo dell’art. 2103 c.c. non corrisponda l’onere per il datoredi lavoro di dare prova dell’aver offerto al lavoratore un posto inqualsiasi mansione inferiore di un livello ovvero di averglieloofferto attraverso una proposta di accordo in sede protetta.

Contrastano con una lettura diversa le attuali previsioni del-l’art. 2103 c.c. la cui interpretazione non può essere limitata allalettura del primo comma, rimasto sostanzialmente immodificato,per il quale il lavoratore ha diritto a svolgere le mansioni per cui èstato assunto, traendo da quella esclusivamente una logica protet-tiva volta alla conservazione del posto di lavoro in termini assoluti;la novella legislativa impone, piuttosto, di leggere la riassegnazionea mansioni inferiori come un fatto eventuale e da porre, sempre, inrelazione con l’utilità dell’impresa alla riorganizzazione preordi-nata, quindi, con la coerenza di una eventuale riassegnazione dimansioni con quella stessa riorganizzazione.

Ne deriva una specifica contestualizzazione della possibilità diassegnare il lavoratore a nuove mansioni inferiori, che, a mioavviso, conduce ad una restrizione dell’ambito di manovra: ildatore di lavoro potrà riassegnare il lavoratore a mansioni inferiorisolo nell’ambito di modifiche organizzative del lavoro nella suaimpresa, dunque riferite a strutture o gruppi omogenei di lavora-

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tori e per ciò non “personalizzabili” se non nell’unico caso trattasidi posizioni di responsabilità di processi produttivi e riguardantil’assorbimento delle mansioni del responsabile nelle funzioni dialtri ruoli (ad esempio le mansioni del responsabile commercialeche vengono assorbite in quelle del direttore generale).

A questa restrizione delle possibilità di variazione corrispondeuna restrizione dell’ambito del repêchage: non è più la possibilità disalvare il posto di lavoro che guida la valutazione della legittimariassegnazione a mansioni anche inferiori o, per il verso che quiinteressa, la valutazione dell’ambito del repêchage, ma la verificache quella riassegnazione appartenga effettivamente alla riorga-nizzazione praticata e non travalichi, in pejus, il contenuto pro-fessionale delle mansioni di un livello inferiore di inquadramento,ferma restando l’insindacabilità del rapporto fra riorganizzazioneed utilità della stessa per l’impresa.

L’obbligo di repêchage risulta dunque assolto laddove si veri-fichi che il datore di lavoro abbia operato entro i limiti che seguono.

Quanto a quello inferiore quando abbia offerto al lavoratoremansioni contenute nel limite che risulta dalla concorrenza dei duecriteri citati, vale a dire la riduzione della professionalità fino a unlivello e l’appartenenza di quella riduzione alla riorganizzazioneeffettivamente posta in essere.

Quanto al limite superiore, sebbene la norma non lo richiamipiù espressamente, resta quello della equivalenza di mansioni nonpotendosi pretendere, giacché inscrivibile all’eccessiva onerositàdella prestazione, l’assegnazione a mansioni superiori, né una di-versa riorganizzazione.

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DOMENICO MEZZACAPO

Potenzialità e mancanze della contrattazione collettiva attuativa dellenuove norme in materia di mansioni e collaborazioni

Dopo i ringraziamenti sentiti agli organizzatori, volevo inter-venire su due aspetti: la disciplina delle mansioni e quella dellecollaborazioni organizzate dal committente.

È stata evidenziata una grande apertura di credito nei con-fronti della contrattazione collettiva: non si tratta soltanto di unaapertura di credito ma è anche un chiamare la contrattazionecollettiva ad assumersi delle responsabilità.

Proprio con riferimento ai temi delle mansioni e delle collabo-razioni occorre rilevare più che mai che le riforme si fanno in duee che, oltre al legislatore, anche la contrattazione collettiva devefare la propria parte.

Con riferimento al nuovo testo dell’art. 2103 c.c., per esempio,la contrattazione collettiva dovrà intervenire sugli inquadramentiesistenti per adeguarli al nuovo contesto normativo in cui laprofessionalità acquisita sembra non essere più al centro del si-stema. Analogamente, la contrattazione collettiva è chiamata adisciplinare le nuove ipotesi di adibizione a mansioni inferioricontemplate dal comma 4. Interventi in tali direzioni sono inevi-tabili affinché la nuova norma funzioni.

Ma la nuova norma è anche piena di trappole, trappole chevanificano l’intento di limitare la discrezionalità del giudice e chelasciano a quest’ultimo ancora ampi margini di intervento: bastipensare al sindacato sulla modifica organizzativa che incide sullaposizione del lavoratore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2103,comma 2, c.c.; o ancora all’inciso “ove necessario”, riferito al-l’adempimento dell’onere formativo in caso di mutamento di man-sioni.

In queste due ipotesi il controllo giudiziale rischia fortementedi travalicare i limiti del sindacato di legittimità per sfociare in un

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vero e proprio controllo di merito sulle scelte organizzative. Sa-rebbe pertanto opportuno che la contrattazione collettiva interve-nisse anche su questi aspetti per rendere funzionale in concreto untesto normativo che può creare problemi interpretativi e contri-buire così ad una maggiore certezza del diritto.

Il problema della certezza del diritto è ancora più marcato conriferimento alla nuova disciplina delle collaborazioni di cui all’art.2 del d.lgs. n. 23 del 2015 e all’eccezione di cui al comma 2.

Qui addirittura si prevede la possibilità di una regolamenta-zione pattizia che diventa sostitutiva di quella legale in materia disubordinazione.

Si tratta di un effetto dirompente soprattutto se si sposa latesi, sostenuta da molti, che le collaborazioni organizzate dalcommittente siano subordinate. Nonostante la c.d. indisponibilitàdel tipo da parte del legislatore, infatti, la disciplina legale diven-terebbe sussidiaria rispetto a quella pattizia ma non è chiaro qualedebba essere il contenuto economico e soprattutto normativo“minimo” dell’eventuale contratto collettivo sostitutivo.

Si pone, dunque, il problema di circoscrivere con maggioreprecisione la nozione di “trattamento normativo” ai fini di ungiudizio di idoneità della disciplina pattizia sostitutiva che appareinevitabile e che rischia di produrre contenzioso.

Concludo rapidamente: siamo sicuri che la contrattazione col-lettiva, alla luce di quanto dimostrato fino ad oggi e dell’attualestato delle relazioni sindacali, sia in grado di assumersi la respon-sabilità che il legislatore le assegna?

L’attuazione del Testo unico sulla rappresentanza del 10 gen-naio 2014 è lungi dall’essere prossima, tanto che si giustificano leposizioni di chi ritiene ineludibile un intervento di sostegno daparte del legislatore, ma se la contrattazione collettiva non è ingrado di governare se stessa come potrà assolvere alla funzione diintegrazione normativa richiesta dalle nuove discipline delle man-sioni e delle collaborazioni etero-organizzate?

È difficile ipotizzare ora una risposta a questo interrogativo male premesse non sono incoraggianti.

Già dopo la novella dell’art. 18 St. lav. da parte della leggeFornero i codici disciplinari previsti dai contratti collettivi avreb-bero dovuto essere adeguati al nuovo contesto normativo. È statofatto? In linea generale no, tant’è vero che il successivo d.lgs. n. 23

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del 2015 ha eliminato il problema della eventuale sproporzione dellicenziamento ai fini della sanzione applicabile.

Una situazione di analoga “inadeguatezza” si registra conriguardo alle nuove norme in materia di mansioni e collaborazioni.

Con riferimento alle mansioni, basti pensare a come sia inter-venuto, dopo la modifica dell’art. 2103 c.c., un importantissimocontratto collettivo: quello del gruppo Fiat.

Questo contratto ha riproposto, ai fini dello ius variandi, ilconcetto di compatibilità professionale (1), contraddicendo, dun-que, la ratio della nuova norma (2).

Con riguardo, invece, alle collaborazioni, anche sulla base dellamia esperienza di componente della Commissione di certificazionedell’Università “La Sapienza”, devo rilevare come in molti casi ipresunti contratti collettivi sostitutivi appaiano assolutamenteinidonei, quanto a completezza dei trattamenti previsti, spessosolo economici, a disapplicare le tutele legali.

Da una sguardo d’insieme di queste prime esperienze è difficilenegare che la contrattazione collettiva, invece di implementare lenuove norme di legge, si sia mossa in una direzione del tuttoopposta.

(1) Art. 6-bis del Contratto collettivo specifico di lavoro del 7 luglio 2015: “Inriferimento a quanto previsto dalla nuova versione dell’art. 2103 c.c. si conviene che lemodalità e i limiti delle ipotesi di demansionamento(...) saranno definiti per accordo tra leparti. In generale resta fermo il rispetto del principio giurisprudenziale della compatibilitàprofessionale”.

(2) Altro discorso è se una tale operazione sia legittima, anche se una diversa tuteladella professionalità può effettivamente essere una partita da scambiare nel processo dicontrattazione.

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ANTONELLO ZOPPOLI

Sindacato comparativamente più rappresentativo vs. sistema (e de-mocrazia) sindacale

1. In queste brevi riflessioni mi soffermerò su un punto centraledell’interessante relazione di Sandro Mainardi, l’interazione trapiano legislativo e piano contrattuale collettivo, snodo dalle va-stissime implicazioni, come si sa.

Il raccordo tra i due piani, nelle sue molteplici e variegateforme e problematiche, costituisce una costante dell’esperienzasindacale. Per certi versi riporta a quella “terza dimensione” delcontratto collettivo ieri ripresa da Lorenzo Gaeta, a mio avvisoutilmente nonostante i puntuali rilievi mossi al riguardo da LucaNogler nel suo intervento di oggi. Mettendo da canto questoprofilo, che porterebbe lontano dal mio dichiarato intento, Mai-nardi — dicevo — ripropone l’interazione tra legge e contratto: laripropone, segnatamente, in relazione all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 (da ora art. 51), norma di primo piano nell’impianto delleriforme legislative riconducibili al cd. Jobs Act e, in particolare,nella nuova disciplina della “contrattazione delegata”.

Nell’art. 51 — egli scrive, riprendendo un’impostazione giàseguita da alcuni studiosi (p. 24 del dattiloscritto) — il legislatorefa affidamento sul “recente processo normativo adottato dall’or-dinamento sindacale” — quello confluito da ultimo nel cd. TestoUnico sulla rappresentanza sindacale del gennaio 2014 (da oraT.U.) — quale “matrice regolativa della tecnica di rinvio utiliz-zata”, ossia della rappresentatività comparata, nel tempo divenuta“tecnica ordinaria per una costante integrazione delle direttivelegali e delle regole contrattuali” (qui Mainardi cita testualmenteFERRARO, Teorie e cronache del diritto sindacale e autorità del puntodi vista giuridico, in ADL, 2016, 39).

La tesi, in verità, mi lascia perplesso. Mi limito, giocoforza, ad

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alcune sintetiche ma eloquenti osservazioni per motivarne le ra-gioni.

2. In via preliminare ricordo come, in primo luogo, la gesta-zione delle recenti riforme legislative registri una netta chiusuraverso qualsiasi forma di reale confronto con le parti sociali, che ciriporta assai indietro nel tempo; in secondo luogo, e specularmentepotremmo dire, rammento come quelle stesse riforme siano con-traddistinte da un indiscutibile rafforzamento dei poteri datoriali(di cui ha ampiamente parlato ieri Emilio Balletti), secondo unatendenza non solo nazionale (come ha avuto modo di dirci stamaneFausta Guarriello).

Venendo al T.U. e alla sua interazione col piano legislativo, nelT.U. Mainardi rinviene, segnatamente, una logica “favorevole aduna unità di azione sindacale” e, quindi, una “nuova tradizionaleversione” del diritto sindacale, che “ha da interfacciarsi con leriforme in atto” (p. 9 del dattiloscritto). Dell’affermazione unaspetto, a mio avviso, è anzitutto da sottolineare.

L’insieme di regole confluite da ultimo nel T.U. segna un nettodistacco dall’esperienza del cd. sistema sindacale di fatto cheabbiamo conosciuto nei decenni passati, incentrata sull’unità diazione sindacale, ora rievocata da Mainardi. Più precisamente, ilT.U. — come ho più volte osservato in altre sedi — introduce unassetto normativo inedito e profondamente diverso, di carattereprocedurale, finalizzato alla stipula del contratto collettivo e voltoa porre rimedio proprio alla crisi dell’unità di azione sindacale che,negli anni scorsi, ha retto il sistema sindacale di fatto: al consensofondato sull’effettività grazie, in estrema sintesi, alla sostanzialeconvergenza di strategie e contenuti perseguiti dalle grandi confe-derazioni, nel T.U. si sostituisce il consenso misurato quale risul-tato di specifiche regole di stipulazione del contratto collettivo, acarattere maggioritario e con vincoli per il dissenso — conl’espressa “esigibilità” del contratto —, cui consegue la ridetermi-nazione dei rapporti tra soggetti sindacali e all’interno degli stessisoggetti. Ciò contribuisce a spiegare — sia qui detto per inciso —anche le difficoltà incontrate dall’implementazione delle regole inquestione.

Beninteso, non si intende dire che il T.U. non possa configu-rarsi come un ordinamento sindacale: è certo possibile, assumendoperò tale espressione in senso relativo (come del resto ebbe a

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insegnarci anni fa il più autorevole studioso italiano in materia).Dando quindi peso a tutta la differenza imposta dalla relatività.

Ora, il sistema disegnato dal T.U. del 2014 a me pare (porto unpo’ più avanti quanto osservato da Nogler nel suo intervento) chenon abbia nulla a che vedere con il sindacato comparativamentepiù rappresentativo, di cui all’art. 51 quale cardine dell’attualestagione legislativa nonché dell’analisi di Mainardi.

La nozione di sindacato comparativamente più rappresenta-tivo appartiene al sistema sindacale di fatto conosciuto negli anniscorsi, anzi al tentativo di arginarne già i segni di cedimento, ed èestranea a maggioranza e minoranze misurate e verificate. Essa,secondo le caratteristiche di quel sistema, è tarata sul “soggetto”sindacale, per valorizzarne, nell’effettività, il peso rappresentativo.È vero — come ha ricordato Mainardi — che nasce per contrastareil fenomeno dei contratti-pirata, e in questa chiave, “oggettiva”,sarebbe riferita al contratto collettivo, cioè alla rappresentativitàespressa dall’insieme delle organizzazioni sindacali stipulanti ilcontratto e, quindi, al consenso sottostante allo stesso contratto.Tuttavia, oltre a essere ben presto riassorbita nella scia della piùrisalente nozione di sindacato maggiormente rappresentativo —assestandosi sul piano soggettivo —, anche nell’originaria acce-zione è comunque un criterio selettivo tra contratti concorrenti, infunzione di determinati effetti, in virtù di un giudizio presuntivo emeramente comparativo, slegato dalla misurazione del reale con-senso alla base del contratto selezionato rispetto all’intera plateadei lavoratori di riferimento. È anche superfluo citare in propositol’art. 8 del d.l. n. 138/2011, con l’espressa compresenza del riferi-mento al “sindacato comparativamente più rappresentativo” e del“criterio maggioritario”.

Le differenze rispetto al T.U. sono evidenti.Il T.U., come accennavo, è tutto incentrato sulla stipula del

contratto collettivo su base maggioritaria. Ciò taglia ovviamentefuori il piano soggettivo. Ma, anche sul piano oggettivo, non hanulla a che vedere con la nozione di sindacato comparativamentepiù rappresentativo. Il criterio maggioritario, nel T.U., non ri-guarda mai la mera comparazione tra il consenso ottenuto tracontratti collettivi, bensì sempre il consenso rispetto all’interaplatea dei lavoratori interessati: per il contratto aziendale comenazionale; che si adoperi questa o quella specifica tecnica, referen-dum incluso.

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Nel T.U. il problema attiene piuttosto alla solidità dell’im-pianto normativo, a cominciare dall’efficacia del contratto collet-tivo nei confronti di soggetti terzi, individuali e collettivi. Ai nostrifini, se, proprio per quanto detto, è eloquente che il T.U. mira aun’efficacia soggettiva generalizzata del contratto, tanto nazionalequanto aziendale — come (si ricorderà) lasciano intendere le for-mule al riguardo adoperate —, tale obiettivo è ancora adessopregiudicato dalla sua ben nota natura giuridica, anch’essa con-trattuale, con il conseguente inquadramento negli schemi del di-ritto privato: oggi, meno che mai in grado di dare sufficientigaranzie di solidità e affidabilità in contesti sempre più complessi,bisognosi di lineari e democratici canali di acquisizione del con-senso.

La nozione di sindacato comparativamente più rappresenta-tivo è lontano da siffatte fondamentali esigenze.

Indubbiamente, come più d’uno ha osservato, nel T.U. larappresentatività comparata può trovare il supporto “contabile”— i dati matematici per la sua valutazione —, ma, evidentemente,una simile prospettiva è assai riduttiva, anzi rovescia i terminidella questione: antepone i criteri di misurazione della rappresen-tatività comparata alle suddette esigenze di solide e condiviseregole sindacali.

Né più fecondo, muovendo sempre da queste esigenze, risultarecuperare la nozione oggettiva di sindacato comparativamentepiù rappresentativo per rielaborarla in senso propriamente mag-gioritario, sì da riferirla al consenso sottostante al contratto sele-zionato in relazione al bacino dei lavoratori interessati, a misuradel T.U. Così opinando, infatti, si attribuisce rilievo prioritario alfunzionamento delle procedure del T.U., svuotando specularmentedi significato sostanziale l’art. 51 e la nozione di sindacato compa-rativamente più rappresentativo, che, di quel funzionamento, fi-nirebbero per essere ambigua e debole copertura formale. A benvedere, in questa prospettiva, la nozione di sindacato comparati-vamente più rappresentativo, a fronte della persistente astensionelegislativa nonostante il “mutato scenario delle relazioni sindacali”(per riprendere un famoso passo di Corte cost. n. 231/2013), diver-rebbe una sorta di formula per tutte le stagioni: “elevata” oggi aennesimo escamotage per aggirare in breve i problemi posti dall’art.39 Cost., dove di per sé non era mai realmente giunta, ma sino aieri, e magari ancora in futuro nel caso di non funzionamento del

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T.U., utile a selezionare finanche contratti espressione di unarappresentatività complessiva ridotta, lontani dalla soglia maggio-ritaria — priva in ipotesi anche del sindacato con più seguito (sullafalsariga di recenti note esperienze) —, grazie alla lettera “noninclusiva” dell’art. 51 (contratti stipulati da sindacati comparati-vamente più rappresentativi).

E rammentare, in merito a quest’ultimo profilo, la formula-zione “inclusiva” della legge delega n. 183/2014 (contrattazionecollettiva ... stipulata con le organizzazioni sindacali comparativa-mente più rappresentative), al di là di possibili ripercussioni sullalegittimità della relativa attuazione nell’art. 51, finirebbe pursempre per rimarcare, benché da altra visuale, la differenza ri-spetto al T.U., dove è invece irrilevante, dinanzi a un consensomaggioritario, l’estraneità di uno o più sindacati comparativa-mente più rappresentativi alla stipulazione del contratto.

3. Dunque, le distanze dell’art. 51 rispetto a tutto quantoesprime il T.U. sono palesi.

Riportano alla mente le precedenti più generali osservazionisulla chiusura del Jobs Act, nella sua fase di gestazione, verso ilconfronto sindacale e, quelle simmetriche, sul rafforzamento, sem-pre da parte del Jobs Act, dei poteri datoriali. D’altro canto, nellamedesima ottica, si potrebbe sottolineare la differente strutturadella contrattazione collettiva cui rimandano rispettivamente T.U.e art. 51: pur sempre molto attento al livello nazionale, il primo;introduttivo di un’equiparazione “legale” tra questo livello equello aziendale, il secondo.

Evitando di ampliare ulteriormente il discorso e avviandomi aconcludere, le brevi riflessioni svolte rafforzano l’opinione secondocui la nozione di sindacato comparativamente più rappresentativoappartiene al sistema sindacale di fatto e dalla sua tenuta dipende:è propria di una tecnica normativa radicata nell’effettività, dovetrova ragion d’essere e forza selettiva. L’una e l’altra la leggerecepisce, senza che occorrano esatte misurazioni del consensosociale (e del potere sindacale), essendo sufficienti i soli “indicipresuntivi”, come rammenta lo stesso Mainardi (p. 25 del dattilo-scritto). Nel concetto di sindacato comparativamente più rappre-sentativo il consenso nasce e si afferma nei fatti; il dissenso, perconverso, nei fatti non si afferma e, come tale, resta fuori dallascena.

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Nel T.U. i termini sostanzialmente s’invertono. Qui al centrosono l’esatta misurazione della rappresentatività sindacale e il con-tratto collettivo “maggioritario” nell’ambito di riferimento, con unaprecisa individuazione normativa del consenso e del dissenso; ed ètale individuazione a dar vita al potere del sindacato. Nel T.U. ilconsenso traequindi origine e solidità dalla puntuale verifica invirtùdella norma “procedurale”, in un’ottica attenta all’investitura de-mocratica, sebbene limitata dal suo persistente inquadramento pri-vatistico: profondi mutamenti, generati dalla rottura dell’unità diazione sindacale e dalla necessità di misurare esattamente il con-senso, con il consequenziale vincolo al rispetto, da parte dei soggettidissenzienti, della decisione della maggioranza.

In tutto questo c’è l’unità procedurale, già concettualmente bendiversa dall’unità di azione e dalla relativa logica dell’effettività.

L’esigenza ultima espressa dal T.U. è quella propria di unasocietà complessa, a ragion veduta sottolineata da attenti studiosidi relazioni sindacali: “strutturare la democrazia per migliorare eorganizzare la rappresentanza”, al di là delle contingenze e deimutevoli equilibri sindacali, mirando, finalmente, alla “moderniz-zazione del nostro sistema di relazioni industriali” (CARRIERI-FEL-TRIN, Al bivio. Lavoro, sindacato e rappresentanza nell’Italia di oggi,Donzelli, 2016, 105 e 123). Un’esigenza non limitata alla contrat-tazione delegata; imprescindibile anche in una prospettiva priori-tariamente economica — solo se miope insensibile a solide edaffidabili relazioni sindacali —; realizzabile (inevitabile ribadirloancora) soltanto supportando l’autonomia collettiva con un ade-guato intervento legislativo: che introduca binari univoci e condi-visi di acquisizione del consenso, mettendo da canto formule enozioni appartenenti al passato, di nessun aiuto oggi per le poten-zialità, sul piano della coesione sociale prima che normativo, pro-prie dell’autonomia collettiva.

Anche Mainardi, ovviamente, non sottovaluta il più voltesegnalato bisogno di democrazia: la premessa dichiarata del suodiscorso è che il sistema definito dal T.U. parta e tenga. A quelpunto, però, vien da dire, nonostante l’art. 51 del d.lgs. 81/2015;anzi, per meglio dire, a quel punto continuando ad attendere unadeguato intervento legislativo di supporto all’autonomia collet-tiva, che l’art. 51 avrebbe contribuito ancora una volta a trascu-rare, inopportunamente.

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Venerdì 17 giugno 2016 - pomeriggio

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INTERVENTI

EDOARDO ALES

Anzitutto, consapevole, per fresca esperienza diretta, dellosforzo di preparazione che necessitano, vorrei ringraziare i relatoriper le loro relazioni.

Volevo poi fare alcune osservazioni sulle stesse, partendo daquella di Lorenzo Gaeta e dalla terza dimensione del diritto. A mepare che questa sia una indicazione molto interessante che Gaetarecupera nella ricostruzione storica della vicenda e volevo capire,però, se questa terza dimensione è una dimensione che si collega inmaniera stretta alla necessità di una legge sul contratto collettivo.Provo a spiegare. In fin dei conti qui il problema che si ponerispetto al contratto aziendale, anche con grande urgenza, e questolo ha detto Sandro Mainardi in maniera molto puntuale, è quellodella sua efficacia. Da questo punto di vista credo che di terzadimensione forse si possa parlare solo nel momento in cui si arriviad una legge sul contratto collettivo. Questa è una riflessione e altempo stesso una domanda che lascio alla replica di Lorenzo Gaeta.

La seconda osservazione riguarda la relazione di Sandro Mai-nardi che, mi pare, sia guidata dall’ottimismo nel cuore. Nel sensoche la ricostruzione dello stato e del sistema di contrattazionecollettiva e della sua nuova affidabilità mi lascia un po’ perplessose messa alla prova dei fatti. Mentre, infatti, mi pare sicuramentecondivisibile l’affermazione secondo la quale il legislatore confidasu questa nuova affidabilità, resta, però, incerto quanto poi effet-tivamente questo sistema sia in grado, non legificato, di reggere unqualsiasi urto esterno e sopratutto di reggere le incertezze interneche si potrebbero creare nel momento in cui dovesse nuovamenterompersi l’unità sindacale. Questo rimane, a mio avviso, ancora unelemento da discutere e sul quale riflettere. Mi sembra di capire, tral’altro, che ci siano delle idee di legificazione, di intervento legisla-

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tivo sullo stesso contratto aziendale. Quindi che il legislatore si fidicosì tanto dell’autonomia collettiva non mi pare così evidente.

Le altre due osservazioni riguardano la relazione di FaustaGuarriello. Io continuo a pensare che ci sia una sopravvalutazionedella capacità del diritto “alternativo” comunitario ovvero dellanuova governance economica, di incidere in maniera così forte suiprocessi nazionali. È chiaro che dove ci sono i memorandum ofunderstanding il discorso è completamente diverso. Io farei unadistinzione molto netta tra le situazioni nelle quali gli Stati Membrisono effettivamente costretti a intervenire secondo delle indica-zioni precise e cogenti, in quanto condizionanti la dazione didenaro, e i casi che potremmo definire intermedi (come quelli diSpagna e Italia) nei quali invece io penso che ci sia comunque unafortissima spinta interna verso certe riforme. Cioè, io non penso cheil governo Rajoy in Spagna aspettasse un legislatore comunitario oun’istituzione comunitaria che gli imponesse di cambiare il sistemadi contrattazione collettiva. E non mi pare neanche di poter direche le modifiche legislative avvenute in Italia siano frutto diquesta spinta esterna quanto piuttosto di una scelta interna.

E, sopratutto, se è vero che le indicazioni del semestre europeosono talvolta puntuali, è altrettanto vero che non sempre vengonorispettate alla lettera, come la stessa Fausta Guarriello ha avutomodo di verificare. È questo il caso, per esempio, di quelle cheriguardano l’Italia. Infatti, sono spesso ripetute e quindi eviden-temente non è che siano particolarmente rispettate. In molti casi,poi, sono altamente generiche, generali. Sì la valorizzazione dellivello aziendale ma io sinceramente su questo punto credo che cisia stata e ci sia tutt’ora la costruzione di un alibi. Cioè i legislatorinazionali, che molto spesso hanno comunque quel tipo di inclina-zione, rendono “potabili” alcune riforme in contraddizione con lacultura giuridica dominante o tradizionale dell’ordinamento, invo-cando una minaccia esterna.

Un’ultima riflessione, parlando di Germania e delle leggi tede-sche sui minimi salariali. La prima legge sui minimi è una legge sulsettore edilizio, ed è una legge che è stata fortemente voluta dalsindacato ma in una chiave, purtroppo, chiaramente protezioni-stica. Questo è un altro elemento sul quale secondo me bisognariflettere perché un conto è la protezione sociale, un altro ilprotezionismo. Io penso che siano due cose diverse, rispetto allequali si dovrebbero prendere due posizioni diverse. Un conto è

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l’intervento legislativo che ha questo afflato di solidarietà comples-siva e un conto l’intervento legislativo che protegge i lavoratori delBaden Wüttemberg. Ecco io credo che su questo sarebbe necessa-rio fare riflessione approfondita. In fin dei conti, anche la legisla-zione complessiva sul salario minimo del 2014/2015 sconta, e perquesto ha avuto l’appoggio sindacale, tendenze protezionistiche.Non è un caso, che la Commissione abbia cominciato ad attenzio-nare le norme tedesche. Perché le vede come disposizioni chevanno ad incidere sulla libertà di prestazione di servizi.

Cioè, non le legge nel contesto nazionale, ma le colloca in unquadro transnazionale. Vale a dire, cosa succede se un’impresastabilita in un altro Stato Membro vuole svolgere una prestazionedi servizi? A questo riguardo, occorre ammettere, la Commissionenon sta facendo altro che seguire la giurisprudenza della Corte diGiustizia in Bundesduckerei, una giurisprudenza tanto problema-tica quanto emblematica. In Bundesduckerei è contenuta un’affer-mazione molto forte, ovvero che è contraria al diritto comunitariouna norma che impone ad un impresa tedesca che svolge un’atti-vità in Germania, essendosi aggiudicata un appalto pubblico diapplicare i minimi di tariffa tedeschi anche ai lavoratori polacchipresso i quali delocalizza la produzione. Questa è proprio la qua-dratura del cerchio e probabilmente l’espressione più forte del fattoche tutto poi si concentri su una dimensione chiaramente transna-zionale. Quindi io da questo punto di vista darei una valutazioneun pochino meno positiva delle leggi sul salario minimo tedescheche sono purtroppo, a mio avviso, espressione ancora di una logicaprotezionistica. Secondo me questo è un elemento importante dasottolineare, nonostante sia indiscutibile che le stesse misure ab-biano poi anche degli effetti di protezione sociale.

Grazie.

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MASSIMILIANO MARINELLI

Obbligo formativo del datore di lavoro ed assegnazione a nuove man-sioni

Nella sua bella ed approfondita relazione il prof. Balletti ponein evidenza l’elemento essenziale degli interventi riformatori chevanno sotto il nome di jobs act. In particolare, rileva come, al di làdelle soluzioni riguardo aspetti specifici della disciplina, il legisla-tore introduca uno spostamento dei rapporti di potere all’internodell’organizzazione produttiva, in favore del datore di lavoro.

Non è un caso che, proprio all’inizio della relazione, sia richia-mato un noto saggio di Luigi Mengoni (1), nel quale si poneva inrilievo il cammino inverso, operato dal legislatore con la l. 20maggio 1970, n. 300.

Nel saggio citato si evidenziava il superamento dell’idea, inprecedenza largamente diffusa, ed accettata anche da parte delmondo sindacale, secondo cui l’organizzazione produttiva, unila-teralmente determinata dal datore di lavoro, sarebbe stata conse-guenza del progresso tecnologico, e come tale condizionata dacriteri oggettivi di razionalità tecnica, non modificabili da inter-venti giuridico-istituzionali. Secondo tale concezione, la tutela dellavoratore avrebbe dovuto essere affidata all’imposizione di con-dizioni minime di disciplina (di fonte legale o contrattuale), ed allagaranzia, mediante leggi di ordine pubblico, degli interessi fonda-mentali di protezione della persona implicata nel rapporto. Conse-guentemente, “nei limiti in cui la subordinazione è giustificata dalcontratto, cioè come modo di essere della prestazione di lavoro, equindi come subordinazione esclusivamente tecnico funzionale, lacorrettezza dell’esercizio del potere della controparte è garantitadai criteri oggettivi di razionalità, imposti dalla tecnologia indu-

(1) Cfr. L. MENGONI, I poteri dell’imprenditore, in ID., Diritto e Valori, Bologna, 1985,387 ss.

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striale e dalle leggi scientifiche di organizzazione della produzione,ai quali l’imprenditore deve conformarsi pena la perdita di effi-cienza e di competitività dell’impresa” (2).

Lo Statuto dei Lavoratori era intervenuto in modo profondosul tessuto normativo che aveva legittimato tale concezione, de-potenziando fortemente gli aspetti di discrezionalità tecnica, fina-lizzati al soddisfacimento delle esigenze dell’impresa, come auto-nomamente individuate dal datore di lavoro (3).

Poneva in evidenza Mengoni come “lo jus variandi, che nelladisciplina originaria del codice (art. 2013) si atteggiava comepotere di discrezionalità tecnica funzionalizzato alle esigenze del-l’impresa e comprensivo di spostamenti a mansioni inferiori aquelle dedotte in contratto (purché non tanto diverse da importareun mutamento sostanziale nella posizione del lavoratore) è oraridotto entro il limite rigido segnato dal concetto di ‘mansioniequivalenti’: limite coerente con l’oggetto del contratto e destinatoa favorire l’interesse del lavoratore alla conservazione ed all’arric-chimento delle proprie capacità professionali, piuttosto che l’inte-resse dell’impresa alla mobilità (orizzontale) del lavoro” (4).

L’art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ha radicalmentemodificato l’impostazione del legislatore statutario, introducendoinnanzitutto una disciplina dello jus variandi, che favorisce l’inte-resse dell’impresa alla mobilità orizzontale del lavoro, rispetto aquello del dipendente al mantenimento del patrimonio professio-nale in suo possesso, ed all’acquisizione di nuove e diverse abilitàlavorative.

L’attuale formulazione dell’art. 2103 c.c. richiede infatti sol-tanto che i nuovi compiti assegnati al lavoratore siano propri dellacategoria legale di appartenenza (con inopinata reviviscenza, ai finidella fissazione di regole cogenti sul piano giuridico, delle categorieprofessionali di cui all’art. 2095 c.c., relegate in precedenza ai finidell’individuazione della disciplina applicabile ad operai, impiegatie quadri ad un ruolo marginale (5)), e siano riconducibili allo stesso

(2) Cfr. L. MENGONI, I poteri dell’imprenditore, cit., 389.(3) Cfr. F. LISO, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, 1982; M.

BROLLO, La mobilità interna del lavoratore, Milano, 1997.(4) Cfr. L. MENGONI, I poteri dell’imprenditore, cit., 404.(5) Cfr. A. GARILLI, Le categorie legali nell’interpretazione giurisprudenziale, in Quad.

dir. lav. rel. ind. 1987, 1.

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livello di inquadramento delle ultime mansioni effettivamentesvolte. Si supera pertanto il limite sostanziale della equivalenzaprofessionale delle mansioni, sottoposto a successiva verifica giu-diziale, in favore di un’equivalenza meramente formale, consi-stente nell’inserimento della qualifica riassuntiva delle mansioniassegnate, nello stesso livello contrattuale collettivo di quella rias-suntiva dei compiti svolti in precedenza.

La riconducibilità dei nuovi compiti alla stessa categoria legalecostituisce altresì l’unico limite all’assegnazione del lavoratore amansioni inferiori, nel caso in cui questa derivi da un mutamentodegli assetti organizzativi, che incida sulla posizione del dipen-dente. Alla luce di quanto previsto dall’art. 30, c. 1 della l. 4novembre 2010, n. 183 (6), il Giudice potrà verificare soltantol’esistenza di tale mutamento (ad esempio la soppressione dellaposizione lavorativa in precedenza ricoperta dal dipendente), ed ilnesso causale con il mutamento di mansioni. Non potrà invececompiere un sindacato di merito sulla scelta organizzativa deldatore di lavoro, né sulle finalità che questo si propone di realiz-zare.

In caso di mutamento delle mansioni, il legislatore imponeinoltre al datore di lavoro — soggetto che correttamente il prof.Balletti individua come obbligato) — quale ulteriore limite allo jusvariandi, di impartire al lavoratore la necessaria formazione.

La disposizione viene posta, nella struttura dell’art. 2103 c.c.,come riscritto dall’art. 3 del d.lgs. 81 del 2015, subito dopo ladisciplina del mutamento di mansioni in orizzontale, e dell’adibi-zione a mansioni inferiori di un solo livello, discendente dalla sceltaorganizzativa del datore di lavoro che incida sulla posizione dellavoratore. Non vi sono però ragioni per escludere la sua applica-zione anche alle altre ipotesi in cui venga mutato il contenutodell’obbligazione lavorativa, quale che sia la disciplina che lepreveda.

L’obbligo formativo andrà dunque adempiuto, sussistendone ipresupposti specificamente previsti dal legislatore, anche nel casodi assegnazione a mansioni inferiori, prevista dalla contrattazionecollettiva, ovvero sulla base degli accordi individuali stipulati nelle

(6) Cfr. G. FERRARO, Il controllo giudiziale sui poteri imprenditoriali, in M. CINELLI —G. FERRARO (a cura di), Il contenzioso del lavoro nella legge 4 novembre 2010, n. 183, Torino,2011, 3.

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sedi di cui all’art. 2113 ultimo comma c.c., o davanti alle commis-sioni di certificazione. Peraltro, in quest’ultima ipotesi possonoessere superati i limiti dell’appartenenza alla categoria legale, equelli discendenti dalla necessaria appartenenza delle nuove man-sioni allo stesso livello di inquadramento, o ad un livello inferiore,rispetto al precedente. È dunque ancora più necessario prevedereche il lavoratore riceva la formazione necessaria allo svolgimentodi compiti, che possono essere del tutto estranei alle capacitàprofessionali acquisite fino a quel momento.

Tuttavia, l’inadempimento dell’obbligo formativo non deter-mina, per espressa previsione legislativa, la nullità dell’atto diassegnazione ai nuovi compiti. Inoltre, tale obbligo non è assoluto,ma sussiste solamente nel caso in cui una nuova formazione sianecessaria.

La valutazione sulla necessità della formazione non può peròessere lasciata alla arbitraria decisione del datore di lavoro. Si devepertanto ritenere che la stessa possa essere oggetto di sindacato sulpiano giudiziale, volto ad accertare se il lavoratore sia in possesso(per le precedenti mansioni svolte, o anche sulla base della profes-sionalità acquisita al di fuori del rapporto di lavoro in corso) dellenecessarie capacità.

Perché la norma assuma un significato, da cui discendanoeffetti sul piano giuridico, occorre individuare quali possano esserele conseguenze, in caso di suo inadempimento. Il prof. Ballettipone in proposito una serie di interrogativi, per i quali è possibileprovare ad avanzare alcune risposte.

Il ricorso al meccanismo dell’autotutela individuale, consi-stente nel rifiuto della prestazione (7), pare in effetti praticabile,ma soltanto nel caso in cui lo svolgimento delle mansioni per lequali sia mancata la formazione esponga il lavoratore al rischio disubire un pregiudizio irreparabile a diritti fondamentali, quali ildiritto alla salute (si pensi all’assegnazione a mansioni pericolose,in assenza di adeguata formazione al riguardo). La semplice vio-lazione di tale obbligo non legittima invece il rifiuto dello svolgi-mento della prestazione, ove si applichino i principi più volteespressi dalla giurisprudenza, in ordine alla inammissibilità del

(7) Cfr. A. VALLEBONA, Tutele giurisdizionali e autotutela individuale, Padova, 1995; V.FERRANTE, Potere e autotutela nel contratto di lavoro subordinato. Eccezione di inadempimento,rifiuto di obbedienza, azione diretta individuale, Torino, 2004.

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rifiuto della prestazione, in caso di adibizione a mansioni inferiori,cui non si accompagnino altre violazioni rilevanti della disciplinaprotettiva del lavoratore (8).

È certamente vero che sarebbe ipotizzabile, nel caso di man-cato adempimento dell’obbligo legalmente imposto di formazione,il ricorso da parte del lavoratore a tutele di tipo risarcitorio, inrelazione alla lesione arrecata alla sua professionalità. Va tuttaviarilevato che il semplice inadempimento di un obbligo, ancorché difonte legale, non è sufficiente ad integrare una fattispecie risarci-bile (9). Occorre invece che il lavoratore alleghi e dimostri lasussistenza di un reale ed effettivo pregiudizio alle sue capacitàprofessionali, come più volte affermato in giurisprudenza, a pro-posito delle controversie in materia di risarcimento dei dannidiscendenti da privazione o riduzione delle mansioni (10).

Il mancato adempimento dell’obbligo formativo esclude poiche il lavoratore possa essere chiamato a rispondere dell’inadem-pimento, che sia determinato dalla sua incapacità a svolgere icompiti, per i quali non abbia ricevuto adeguata formazione. Sitratta infatti di un inadempimento contrattuale non imputabile allavoratore (11), e cagionato invece da un comportamento illegit-timo del datore di lavoro.

Se infine il lavoratore si riveli totalmente inidoneo alle man-sioni assegnate, a causa dell’assenza di un’adeguata formazione, ilprof. Balletti pone il problema della possibile irrogazione di unlicenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove il dipendentenon sia diversamente impiegabile.

La questione si potrebbe porre in questi termini soprattuttonel caso in cui all’assegnazione a mansioni diverse si sia pervenutial fine di evitare l’applicazione di un licenziamento (ad esempioladdove il posto cui era addetto il lavoratore sia stato (12) sop-presso, e questi sia stato spostato in una posizione lavorativalibera, per la quale però non ha ricevuto la formazione necessaria).

(8) Cfr. Cass. sez. lav., 26 aprile 2011, n. 9351.(9) Cfr. Cass. sez. lav., 19 dicembre 2008, n. 29832.(10) Cfr. Cass. sez. lav., 26 gennaio 2015, n. 1327.(11) Cfr. sul concetto L. MENGONI, Responsabilità contrattuale, in Enc. dir., XXXIX,

Milano, 1988.(12) Cfr. per i termini del dibattito G. PERA, La cessazione del rapporto di lavoro,

Padova, 1980, 81; P. ICHINO, Il contratto di lavoro, III, Milano, 2003, 445; A. VISCOMI,Diligenza e prestazione di lavoro, Torino, 1997, 287.

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Senza potere scendere nel dettaglio della questione, va rilevatoche la riconducibilità di tale ipotesi nell’ambito del licenziamentoper giustificato motivo oggettivo, non sembra pacifica. Specie nelcaso in cui non vi sia stato in partenza un mutamento dellemansioni per evitare un licenziamento per ragioni economiche (chepotrebbero continuare a sussistere, ove il lavoratore si rivelassenon utilmente impiegabile in altri compiti), lo scarso rendimentodel lavoratore, ovvero la commissione di gravi errori nello svolgi-mento dell’attività, parrebbero essere più vicini all’ipotesi dellicenziamento per inadempimento contrattuale (e dunque al re-cesso per giustificato motivo soggettivo).

Per i lavoratori che ancora godono della tutela prevista dal-l’art. 18 della l. 300 del 1970, la riconduzione della fattispecie allicenziamento per giustificato motivo oggettivo, consentirebbe amio avviso di applicare la tutela reintegratoria attenuata. Invero,il fatto posto alla base del licenziamento sarebbe manifestamenteinsussistente, in quanto la situazione che avrebbe portato al licen-ziamento sarebbe stata artatamente predisposta dal datore dilavoro.

Se invece si riconducesse la fattispecie al licenziamento pergiustificato motivo soggettivo, sussisterebbe un inadempimentocontrattuale, privo però del carattere della imputabilità al lavora-tore. Il fatto contestato al dipendente — vale a dire l’inadempi-mento contrattuale, che per assumere rilevanza deve essere impu-tabile al lavoratore — dunque non sussisterebbe, con conseguentepossibilità di applicare, anche in questo caso, la tutela reintegra-toria attenuata.

Per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, e per i quali trovaapplicazione il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, la questione cambiaradicalmente. Infatti, la violazione delle norme che limitano ilicenziamenti per giustificato motivo oggettivo non è in alcun casosanzionata con la reintegrazione, ma soltanto con l’indennità de-terminata in misura fissa dal legislatore, in relazione all’anzianitàdi servizio del dipendente.

Ma anche qualora si riconducesse l’ipotesi in esame alla fatti-specie del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il fatto(sia esso materiale o giuridico) posto a fondamento del licenzia-mento (vale a dire lo scarso rendimento, o la commissione di gravierrori da parte del dipendente) sussisterebbe, ponendosi semmaiun problema di sua imputabilità al dipendente. Soltanto un’inter-

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pretazione della norma che riconduca all’ipotesi di insussistenzadel fatto quella della non imputabilità dell’inadempimento, con-sentirebbe di applicare al dipendente la tutela reintegratoria atte-nuata, rimasta in vigore dopo l’entrata in vigore della predettanorma entro limiti particolarmente angusti.

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ANDREA LASSANDARI

Grazie molte.Mi complimento a mia volta per le relazioni, molto belle.

Rilevava Lorenzo Gaeta, confrontando la sua con quella di FaustaGuarriello, come in questo modo si transitasse “dalla storia allageografia”: io qui intendo cominciare proprio dalla geografia, per-ché, per così dire, sta facendo la storia.

A me pare che la relazione di Fausta Guarriello segnali delletendenze non discutibili. Il confronto può essere aperto sulle originidi queste: le osservazioni di Edoardo Ales sulla connotazione ancheo prevalentemente politica sia degli indirizzi maturati in sedeeuropea che delle determinazioni dei singoli Stati, volte ad acco-glierli, mi sembrano pertinenti.

Tuttavia l’esistenza appunto di queste tendenze non sembracontestabile: derivino da vincoli di carattere istituzionale oppureda indirizzi politici oppure ancora da situazioni di preminenza dialcuni Paesi, di un Paese in particolare, maturate tra fatto ediritto, sugli altri. A proposito peraltro della preminenza tedesca,mi è venuto in mente che la “Brexit” forse può essere utilmenteanalizzata anche rilevando come sia figlia (pure) di questa perce-zione: in effetti, a ben considerare, la storia mostra come la GranBretagna si sia sempre contrapposta ai Paesi in grado di acquisireun ruolo dominante nel continente europeo.

Fausta Guarriello mi sembra individui tre diversi processi. Cisono innanzitutto i Paesi che hanno destrutturato il sistema con-trattuale, attraverso diversificate misure: si tratta della larghis-sima parte dei casi.

Poi c’è la situazione francese, rispetto alla quale ci troviamo almomento di fronte ad un assetto non ancora del tutto definito, inconsiderazione della riforma che così tante reazioni e resistenze hasollevato. Può darsi che l’evoluzione in corso risulti meno incisivae traumatica di quanto avvenuto in altri Paesi: tuttavia non vi èdubbio sul fatto che i più recenti provvedimenti siano vissuti da

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molti come a propria volta destrutturanti il sistema di contratta-zione collettiva.

Infine c’è l’“anomalia” tedesca: ritenibile tale, come dicevaLuca Nogler, nei limiti in cui quella posizione, differente dalle altreperché il legislatore ora interviene a sostegno della contrattazionecollettiva, appare realizzata proprio grazie alle — o in conseguenzadelle — scelte destrutturanti maturate negli altri Paesi. Non mipare invece corretto parlare di “anomalia” in quanto tale: perso-nalmente anzi sono tutt’altro che scontento del fatto che esistanoancora Paesi con politiche di questo segno.

In questo modo viene correttamente ricostruito il contesto concui appare oggi necessario confrontarsi.

Che accade tuttavia in Italia? In quale ambito è correttocollocare la vicenda del nostro Paese? Si transita così alla relazionedi Sandro Mainardi, che ha proposto una analisi molto ricca, pienadi spunti interessanti.

In effetti anche io, come altri già intervenuti, ritengo che unpunto nevralgico nella prospettiva di Sandro Mainardi sia rappre-sentato dall’interpretazione dell’art. 51 del d.lgs. n. 81 del 2015:perché quanto desunto da questo articolo risulta particolarmentesignificativo.

Condivido alcune delle conclusioni raggiunte: ad es. sul fattoche la nozione di sindacato comparativamente più rappresenta-tivo, differente da quella di sindacato maggiormente rappresenta-tivo, potrebbe essere ricostruita facendo riferimento ai parametridel testo unico del 10 gennaio 2014. Però Sandro Mainardi si spingea dire che il problema storico del rilievo solo obbligatorio delvincolo emergente nei rapporti tra livelli di contrattazione collet-tiva possa essere risolto grazie all’art. 51, in grado addirittura diconferire al vincolo efficacia reale. In questo caso ho notevolidubbi.

Io ho comunque dato tempo addietro una lettura diversa,rispetto a quella avanzata da Sandro Mainardi, sui rapporti tralegge e contratto collettivo in Italia, con particolare riferimento alJobs Act: ho cioè sostenuto che i provvedimenti legislativi intro-dotti dall’Esecutivo abbiano realizzato un netto ridimensiona-mento del ruolo del contratto collettivo.

Il materiale normativo con cui allora mi confrontavo non eracompleto, non essendo ancora stato in particolare approvato pro-prio il d.lgs. n. 81 del 2015, cui si devono molteplici elementi

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innovativi: mi sento tuttavia di mantenere ancora oggi la mede-sima opinione.

In effetti secondo me vari aspetti continuano ad assumererilievo molto chiaro. Il primo elemento, già ricordato nella rela-zione di Fausta Guarriello, pur non risultando decisivo neanchepuò essere del tutto sottovalutato: si tratta del fatto che le normesono state individuate senza alcun tipo di interazione, di consul-tazione od anche solo informazione, con le organizzazioni sindacali.

A me sembra poi che la grandissima parte delle disposizioniintrodotte dal Jobs Act, anche nel decreto lgs. n. 81, non richiedaintegrazioni da parte del contratto collettivo, per poter operare. Miviene in mente un solo istituto, per cui assume invece un ruolodecisivo la disciplina del contratto collettivo: l’apprendistato pro-fessionalizzante. L’istituto però risulta oggi uno dei più marginalinel mercato del lavoro e nello stesso Jobs Act.

In questo caso comunque c’era — e continua ad esserci —bisogno del contratto collettivo, per l’individuazione di una rego-lamentazione compiuta. Nelle altre fattispecie invece non è così: citroviamo di fronte a testi normativi che, già come tali completi efunzionali, rinviano al contratto collettivo con funzione prevalen-temente derogatoria in pejus.

Da questo punto di vista non dobbiamo farci distrarre oconfondere dal fatto che il rinvio consenta al contratto collettivo diintegrare la legge in tutte le direzioni. Perché il contratto collettivo— fino a quando resta ferma l’opinione, ancora oggi del tuttodominante, secondo cui può sempre intervenire in melius rispettoalla legge — non ha bisogno di alcuna indicazione od autorizza-zione di questo segno. Quando allora viene stabilito che il contrattocollettivo può integrare la legge in tutte le direzioni — ovvero,meglio precisando, quando si rinvia all’intervento del contrattocollettivo, senza nulla ulteriormente precisare — non si fa altro cheautorizzarlo ad intervenire in pejus.

Poi ci sono altri due elementi che secondo me assumononotevolissimo rilievo.

Del primo parlava Lorenzo Gaeta, all’interno della sua inte-ressantissima ricostruzione. A proposito appunto dei rinvii legalialla contrattazione collettiva, Lorenzo Gaeta correttamente preci-sava come, a prescindere dal numero e dagli stessi caratteri econtenuti di questi rinvii, fosse “la posta in gioco” ad essersi daultimo considerevolmente ridotta.

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In effetti io credo che non possa essere sottovalutato il dato percui l’impianto normativo in particolare del Jobs Act — con unaevidente discontinuità, da questo punto di vista, anche rispettoalla legge n. 92 del 2012 — introduca direttamente gli elementi diflessibilità richiesti dagli imprenditori. Ciò, per inciso, rendendo inbuona parte desueto — anche se non formalmente abrogato —l’articolo 8 del d.l. n. 138 del 2011: inoltre in concreto molto menosignificativi di quanto non si potrebbe essere indotti a ritenere irinvii contrattuali, pur quantitativamente diffusi, contenuti neld.lgs. n. 81.

In questo contesto complessivo a me pare risulti infatti tuttosommato poco interessante, dal punto di vista dei datori, nonchéimprobabile, nella relazione con i lavoratori, l’ipotesi che il sinda-cato acconsenta ad (ulteriori?) trattamenti in pejus. Mentre perintervenire in melius occorre evidentemente “convincere” il datoreo le sue organizzazioni di rappresentanza: altra operazione oggitutt’altro che semplice.

L’ultimo aspetto che menziono è forse il meno evidente macontemporaneamente il più importante, nel medio e lungo periodo.

Anche in questo convegno in effetti, come è giusto accada, itemi trattati sono diversi ma tutti collegati. Credo allora che neiragionamenti sulla autonomia collettiva occorra attribuire la mas-sima considerazione a quanto descritto da Emilio Balletti, a pro-posito dei poteri dell’imprenditore. A mio avviso è tutt’altro chesecondario, per lo sviluppo stesso della autonomia collettiva, che ilpotere dell’imprenditore — e per primo evidentemente il potere dilicenziare — abbia l’importanza e pervasività da ultimo ricono-sciute dalla legge. Lo dico in fatto ma anche in diritto, se è veroche, all’interno di un approccio di carattere sistematico, l’art. 18trova collocazione nel titolo secondo dello Statuto dei lavoratori,dedicato come noto alla libertà sindacale.

Non c’è bisogno di soffermarsi più che tanto sul punto: sen-z’altro un lavoratore che può temere di perdere il lavoro — anchequando è stato il datore a violare le regole legali esistenti — saràmolto più difficilmente sindacalizzabile.

Infine dedico pochi secondi ad un altro grande tema emersonelle relazioni come nel dibattito: mi riferisco alla (antica) que-stione dell’intervento della legge. Ebbene nella divisione tra chi èfavorevole ovvero contrario credo sia decisivo capire, come bene

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viene evidenziato nella relazione di Fausta Guarriello, di qualelegge e di quali contenuti si parli.

In questa ottica secondo me oggi la grande distinzione è laseguente: una legge che sostenga, direttamente od indirettamente,il contratto collettivo nazionale di categoria realizza una opera-zione di promozione del sindacato e tutela dei prestatori; una leggeche invece lo indebolisca fa esattamente il contrario.

Grazie.

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MARCO ESPOSITO

Gli interstizi della negoziazione sindacale tra legge e contrattazionecollettiva: brevi spunti di riflessione

1. Temo che le mie poche parole muoveranno troppo lontanodal fuoco delle relazioni e degli interventi sin qui susseguitisi;tuttavia, mi piace sperare che la possibile eccentricità delle breviriflessioni che sto per condividere con i presenti renda, comunque,giustizia alla qualità delle quattro relazioni e alla quantità dispunti che esse ci hanno offerto.

E quale miglior prova della bontà del lavoro dei colleghitentare di unire — svolgendo un pensiero laterale — l’oggetto delleloro relazioni?

Partendo dal tema centrale, espresso dall’endiadi formalizzatanel titolo delle nostre giornate di studio, a me pare che la prospet-tiva principale prescelta si colleghi troppo al fenomeno della con-trattazione collettiva nella sua dimensione — se volete classica —di regolazione forte. “Troppo”, là dove manca nel circuito legge/contrattazione collettiva, così come oggi lo stiamo proponendo, ladimensione amministrativa e gestionale dell’autonomia collettiva.

L’assenza è tanto più verificabile se guardiamo alle esperienzedi altri sistemi sindacali europei, e non solo; dove l’azione delsindacato normativa in senso lato, regolativa comunque — seb-bene è ovvio che si tratta di regolazione diversa da quella norma-tiva e paralegislativa “hard” — trova sedi e momenti di realizza-zione più diversificati rispetto a quelli caratterizzanti il nostroordinamento delle relazioni sindacali.

Così, però, si rischia di appiattire il fenomeno sindacale, diappiattire la stessa configurazione della “terza dimensione deldiritto” di carnelluttiana memoria, da Lorenzo Gaeta evocata nellasua relazione.

Il diritto collettivo del lavoro, difatti, non è solo il contrattocollettivo; e numerose problematiche aperte dalla stagione post-

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statutaria rendono, secondo me, ormai ineludibile porsi il problemadella rivalorizzazione, o meglio della valorizzazione tout court dellafunzione amministrativa dell’autonomia negoziale. Dimensione,come è noto, molto carente nella tradizione delle nostre relazionisindacali manca del tutto, così come manca anche una sensibilitàdel legislatore a una promozione di strumenti alternativi orientaticomunque alla formazione, alla composizione di una regola giusla-voristica.

Penso a sedi, istanze e luoghi di arbitrato, di conciliazione,anche intersindacale; penso a sedi e luoghi dove si possa compierequell’adattamento della normativa che oggi — forse da sempre —si vuole affidare a una cornice regolativa forte, ma tutto sommatofragile, specie se consideriamo la rappresentazione teorica dellalegittimazione sia dei soggetti ed in qualche modo anche deicontorni oggettivi proprio di quella regolamentazione.

2. Un esempio può essere utile per poter comprendere megliocosa intendo e suggerisco.

Partiamo dal nuovo art. 4 dello Statuto dei lavoratori — di cuici ha parlato Emilio Balletti —, partiamo cioè dalle interconnes-sioni forti tra potere di controllo, eventuale efficacia autorizzatoriadel contratto collettivo, da un lato, e il raccordo fondamentale,contenuto nel nuovo comma 3 dell’articolo in esame, con le attivitàdel garante della privacy dall’altro. Ebbene, è evidente che ildiritto del lavoro in materia di controlli si compirà dove l’autono-mia negoziale, se non riesce a intervenire contrattando ma forseanche a prescindere, rimarrà completamente fuori. Viceversa lastesura di codici, protocolli, regolamenti e pareri — tesi a integraree accompagnare il processo, per così dire, “Privacy” — potrebbe,con minor scontro dialettico, offrire versanti di tutela dei lavora-tori ugualmente efficaci.

Da un’altra prospettiva mi domando come si possa irrobustiresolo la fase di scrittura della norma collettiva, senza poi avere,prevedere o ricavare alcun ruolo nella sua giustiziabilità. Si parlaspesso di come sia drammatica la crisi della giustizia del lavoro, maè evidente che l’azione di mediazione regolativa del sindacato,idonea a favorire e sostenere le garanzie e le tutele giuslavoristiche,deve oggi intervenire quasi di più “dopo” il contratto collettivo.Penso, in effetti, ad una certificazione rinnovata; così come a sediarbitrali e di conciliazione autorevoli ed efficienti. Una giustiziai,

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dunque, sì privata ma che si svolge sotto l’egida del controllo edella partecipazione sindacale.

3. Mi rendo conto che prefiguro sviluppi ed evoluzioni moltopoco realistiche; eppure credo si possano costruire spazi nuovi didialettica sindacale; tarati su un’effettività dell’azione collettivasui luoghi di lavoro da molti — a partire dagli stessi sindacati —persa di vista. Basterebbe una legge sindacale con meno enfasisulla relazione con l’art. 39 Cost. e più vicina a modelli operativiconcreti.

Esiste dunque un problema significativo di indirizzo, di com-posizione e di manutenzione del diritto sindacale vivente o, rectius,di fatto; proprio in tali interstizi, secondo me, può oggi valorizzarsila terza dimensione del diritto: a metà strada, al centro tra la leggee la contrattazione collettiva.

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VINCENZO BAVARO

In questo intervento vorrei partire dal tema generale di questoconvegno, e cioè dal rapporto fra legge e contrattazione collettivanel diritto del lavoro che, non è solo un discorso sulla tecnica diproduzione normativa, ma essendo un discorso sulle fonti, esso cideve far osservare l’assetto di interessi espresso nell’ordinamentogiuridico ai fini della regolazione dei rapporti di lavoro.

Solo che osservare un sistema di fonti in questa prospettiva cideve indurre ad assumere un approccio diacronico, se volete sto-rico-critico, come d’altronde è stato opportunamente fatto dalProfessor Gaeta, al quale è stato chiesto di presentare una retro-spettiva sul sistema delle fonti nel diritto del lavoro. Aggiungo chela prospettiva storico-critica è anch’essa nel nome del convegnovisto che stiamo discutendo di legge e contratto collettivo deldiritto del lavoro “post-statutario”, laddove il prefisso “post” ciimpone di non rappresentare l’oggetto di analisi come una foto-grafia, bensì come una serie di fotogrammi che ci permettano anchedi cogliere le tendenze.

Proprio su questa premessa vorrei esplicitare un solo dubbioche mi è provocato dalla relazione del professor Mainardi. Conce-dendomi l’uso di una metafora, la mia impressione è che primaancora di esprimere condivisione per una certa interpretazionedottrinale (diciamo così, per la “terapia”), mi sento di non condi-videre la “diagnosi”, la lettura del fenomeno “contrattazione col-lettiva” in Italia. Mi sembra, cioè, che ci sia una propensione asottovalutare quella che è senza ombra di dubbio la tendenzaoggettivamente in atto e che caratterizza i sistemi di relazioniindustriali in Italia e in Europa: la progressiva rilevanza dellacontrattazione aziendale in sistemi contrattuali sempre più decen-tralizzati.

Beninteso, questa tendenza al decentramento della fonte re-golativa dei rapporti di lavoro non è fenomeno recente, né adde-bitabile alla legislazione più recente. Possiamo risalire alla seconda

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metà degli anni ’70, quando la “legislazione dell’emergenza” avevacominciato a immettere nel sistema la logica della deroga alla leggegenerale mediante la gestione dell’autonomia collettiva. Sin d’al-lora si inaugura la tendenza della legge a devolvere funzioninormative alla contrattazione collettiva, quasi esclusivamente na-zionale di categoria. Sappiamo bene che tutta la stagione della“flessibilità contrattata” non è altro che una progressiva devolu-zione di funzioni normative dalla legge al contratto collettivo. Sitratta già di decentramento perché la Legge, espressione dell’inte-resse pubblico generale, lascia sempre più spazio al contrattocollettivo nazionale, espressione dell’interesse nazionale ma pursempre privato collettivo. Potrei dire che sin dalle leggi su orario epart-time il contratto collettivo con funzioni normative è anchequello aziendale; ma di certo, il sistema delle relazioni industriali— con gli accordi del periodo 2009-2011 — e la legislazione suc-cessiva — fra l’art. 8 della Legge n. 148/2011 e l’art. 51 del d.lgs. n.81/2015 — hanno formalmente affidato alla contrattazione decen-trata un ruolo che sarebbe il caso di considerare quasi paritariorispetto al contratto nazionale di categoria.

In questa tendenza alla centralità della contrattazione azien-dale, ormai marcata in Germania, Francia, Spagna, Portogallo,Grecia, Italia, ma anche Svezia, per non parlare del Regno Unitoo dei paesi dell’Est Europa, si manifesta nelle relazioni industrialil’ordoliberismo europeo. Si tratta della versione europea del neo-liberismo la cui dottrina contempla il passaggio progressivo dellaproduzione normativa dallo Stato — come espressione dell’inte-resse pubblico generale — al privato — come espressione dell’in-teresse privato collettivo; privato collettivo nazionale, poi azien-dale via via più già verso il privato individuale. Mi piace richia-mare una efficace definizione fatta dal sociologo critico PierreBourdieau su un articolo di Le Monde diplomatique: “L’essenza delneoliberismo è la distruzione dei collettivi”; prima del collettivogenerale statuale, poi del collettivo nazionale di categoria, poi delcollettivo aziendale e via così.

Il punto di moderato dissenso rispetto alla posizione assuntadal professor Mainardi riguarda l’importanza assegnata a questatendenza che Egli — come altri giuslavoristi — tende a minimiz-zare. Ciò appare chiaro quando, nel contestare la tesi sull’azienda-lizzazione del diritto del lavoro, si replica che, in fondo, ci sonopochi contratti di prossimità sottoscritti ex art. 8, legge n. 148/

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2011. Direi che pochi sono quelli noti in letteratura (benché qual-che consulente del lavoro mi ha mostrato decine di contratti diprossimità ex articolo 8), perché la stragrande maggioranza deicontratti di prossimità non saranno resi noti fino a quando nonsaranno prodotti davanti a un Tribunale (magari anche TribunaleAmministrativo, come nel caso di contenzioso su un appalto daparte di un’azienda che soccombe nella gara contro un’altra im-presa che presenta un’offerta con costo del lavoro molto bassograzie a un contratto aziendale ex articolo 8. Cfr. TAR Calabria —Sezione di Reggio Calabria, del 26 novembre 2016). Anche perquesto ci sarebbe da chiedere conto al Parlamento della ragione perla quale non hanno voluto emendare l’art. 8 prevedendo l’obbligodi depositare gli accordi per poter avere efficacia generale. Resta ilfatto che non dobbiamo sottovalutare il fenomeno del decentra-mento della contrattazione collettiva con la sempre maggiorerilevanza della contrattazione aziendale. Ciò al netto delle valuta-zioni che si possono dare di questo fenomeno.

Peraltro, c’è una questione di tecnica nella devoluzione difunzioni al contratto decentrato che è notevole. Infatti, un conto èquando la legge devolve una funzione normativa al contrattocollettivo nazionale il quale, poi, può autonomamente devolvere lestesse o altre funzioni normative alla contrattazione decentrataattraverso le clausole di rinvio; altro conto è quando la legge rinviala competenza derogatoria al contratto nazionale o — indifferen-temente — al contratto decentrato e gli Accordi Interconfederali(a cominciare dal Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014)prevedono che “le intese modificative possono essere effettuate sumaterie delegate dal contratto collettivo e dalla legge”. In questomodo, nelle materie in cui la legge rinvia anche al contrattodecentrato, qualunque futura contrattazione nazionale non potràesercitare alcun controllo. Insomma, è la stessa contrattazione ariconoscere che in una qualunque realtà aziendale, laddove vifossero le condizioni (per esempio, maggioranza di RSU) potrebbeessere stipulato un contratto aziendale nelle deleghe del jobs act,senza un efficace controllo da parte del contratto nazionale. Ipotesiche potrebbe non essere frequente ma di certo non impossibile.

Insomma, l’aziendalizzazione del sistema delle fonti nel dirittodel lavoro è una tendenza oggettiva in atto nei sistemi di produ-zione normativa dei Paesi europei dove più accentuata era lastruttura centralizzata della contrattazione. Si tratta di una ten-

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denza che, peraltro, conferma il fatto che il diritto del lavoro, è, èstato e sarà, funzione dell’economia politica. Non starò qui a direla mia se la governance economica è fonte del diritto oppure no (neabbiamo discusso l’anno scorso al convegno di Foggia); non so se imemorandum imposti a Grecia o Portogallo, le Country SpecificRaccomandation per la Spagna e l’Italia, oppure l’ultimo Bollettinoannuale 2015 della Banca Centrale Europea possono valere comeNorma giuridica, ma è certo che esse testimoniano della tendenzaa rompere il monopolio della contrattazione centralizzata, a favoredel decentramento contrattuale, sopra tutto in materia di salario.

Ecco la necessità di trovare un punto chiaro di intesa sulla“terapia” perché altrimenti la discussione che impegna i giuslavo-risti, per esempio, se è opportuna oppure no una legge sullacontrattazione collettiva, rischia di essere inutile se non si rispondealla domanda “quale legge”? “per far che”? Ma quel punto delladiscussione, ciascuno opterà per la scelta politicamente più con-vincente, non per quella scientificamente più solida. Una discus-sione che potrebbe finanche essere di poco interesse per un consessoscientifico come l’Aidlass, un consesso che avrebbe difficoltà aconcordare sulla “terapia” ma che dovrebbe ricercare un accordosulla “diagnosi”. Grazie.

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ANNA TROJSI

Controllo a distanza e protezione dei dati del lavoratore: legge, con-tratto collettivo e codice di deontologia

1. Dato l’ampio spazio dedicato da Emilio Balletti al poteredatoriale di controllo a distanza dei (ovvero, sui) lavoratori, non hopotuto resistere alla tentazione di intervenire su questo tema a mecaro, concentrandomi, in particolare, sulla questione del sistemadelle fonti (legali e sindacali) in materia.

In effetti, le due più dirompenti novità della novella dell’arti-colo 4 dello Statuto dei lavoratori (realizzata dall’articolo 23,comma 1, del decreto legislativo n. 151/2015) — che, ai sensidell’articolo 37 dello Statuto dei lavoratori, nonché dell’articolo 51del decreto legislativo n. 165/2001, si applica anche al lavoropubblico, oltre che a quello privato — sono senz’altro costituite:

— dalla perdita del carattere di generalità (e dunque, dellavalenza generale) del divieto di controllo a “distanza” dell’attivitàdei lavoratori, in virtù della esclusione da questo, ad opera delcomma 2, degli strumenti di lavoro e di quelli di registrazione degliaccessi e delle presenze;

— e dall’ingresso, benché implicito, della dimensione tecnolo-gica-digitale, e del relativo “potere informatico” del datore dilavoro, nel Diritto del lavoro, essendo evidente che, sebbene nonmenzionati espressamente, il legislatore abbia inteso riferirsi prin-cipalmente agli strumenti informatici, telematici, digitali o satel-litari di lavoro, come si ricava anche dal criterio direttivo di delega,secondo cui la « revisione della disciplina dei controlli a distanza »sarebbe dovuta avvenire « tenendo conto dell’evoluzione tecnolo-gica » (articolo 1, comma 7, lettera f), legge n. 183/2014).

2. Al riguardo, bisogna, però, fugare un possibile equivoco:l’idea, cioè, che il comma 2 dell’articolo 4 dello Statuto dei lavo-ratori, esonerandoli dal divieto di controllo a distanza e dall’ob-

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bligo di preventiva autorizzazione sindacale o amministrativa,abbia realizzato una completa “liberalizzazione” dei controlli suglistrumenti tecnologici di lavoro, nel senso che questi — e l’utilizzodelle relative informazioni, ai fini dell’adozione di provvedimenticoncernenti il rapporto di lavoro — risultino consentiti senza limitial datore di lavoro.

Ciò, in considerazione dei vincoli giuridici “di sistema” cuideve ritenersi sottoposto il potere conferito al datore di lavoro dalnuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in specie (in ossequioall’articolo 117, comma 1, della Costituzione) quelli derivanti dalladisciplina in materia di protezione dei dati personali: peraltroespressamente richiamata dallo stesso novellato articolo 4 delloStatuto dei lavoratori e recente oggetto di radicale rinnovamentoa livello di Unione europea, con l’approvazione (ad aprile 2016) —nell’ambito del cosiddetto “Pacchetto protezione dati” (in attua-zione dell’articolo 16 del Trattato sul funzionamento dell’Unioneeuropea e dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali del-l’Unione europea) — del nuovo Regolamento generale (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati, sostitutivo della Direttiva 95/46/CEed in più, in quanto Regolamento, applicabile direttamente neiPaesi membri.

Le disposizioni del Regolamento europeo, benché entrato invigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficialedell’Unione europea (il 25 maggio 2016), saranno effettivamenteoperative in tutta l’Unione decorsi due anni (dal 25 maggio 2018),con l’obbligo, solo a partire da tale data, per gli Stati membri digarantire il perfetto allineamento della normativa nazionale alRegolamento. Conseguentemente, i vari Paesi (inclusa l’Italia)hanno due anni di tempo per emanare discipline interne di ade-guamento al Regolamento: nel frattempo, continuerà ad applicarsila vigente normativa generale nazionale in materia di protezionedei dati, ossia il noto decreto legislativo n. 196/2003 — il cosiddetto“Codice sulla privacy” — e i provvedimenti attuativi.

Non potendo entrare nei dettagli delle novità della radicaleriforma europea, volta ad adattare la disciplina all’era digitale,sottolineo soltanto l’introduzione di una nuova figura a livello diimpresa (e di amministrazione pubblica) — il cosiddetto “Dataprotection officer”, ossia il “Responsabile della protezione dei dati”(figura assonante al “Responsabile della sicurezza”) — con lafunzione, tra le altre, di garante dell’osservanza degli obblighi del

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Regolamento europeo e delle disposizioni nazionali. Come pure,l’istituzione di un meccanismo di “Certificazione della protezionedei dati” (una sorta di “Certificazione di qualità” in materia),nonché di “Sigilli e marchi di protezione dei dati”.

Ma quello che più interessa, in questa sede, è che il Regola-mento (UE) 2016/679 contiene anche disposizioni sul trattamentodei dati dei lavoratori e, in particolare, ha dedicato l’intero articolo88 al « Trattamento dei dati nell’ambito dei rapporti di lavoro »:disponendo, proprio a proposito di fonti, che gli Stati membriprevedano, con legge o tramite contratti collettivi, entro la cornicedettata dal Regolamento UE, norme più specifiche per assicurarela protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamentodei dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro.

Il legislatore europeo ha, dunque, rinviato alle fonti nazionaliil compito di disciplinare la materia della protezione dei datipersonali nel settore del lavoro in conformità alla nuova disciplinaeuropea, evitando di intervenirvi direttamente. Al riguardo è, inprima battuta, possibile rilevare la distonia tra la esclusione delruolo della contrattazione collettiva per gli strumenti informatici edigitali di lavoro, operata dal legislatore italiano nel riformarel’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, e la valorizzazione invece,da parte del Regolamento europeo, del contratto collettivo comefonte di regolazione della protezione dei dati personali dei lavora-tori, tra l’altro proprio — tra gli ambiti menzionati — in materiadi disciplina dei « sistemi di monitoraggio sul posto di lavoro ».

3. Segnalo, inoltre, (e concludo) come possibile strumento diadeguamento dell’ordinamento del lavoro italiano alla disciplinadel Regolamento europeo, e dunque di attuazione dell’articolo 88di questo — e, per tale via, di limitazione anche del poteredatoriale di controllo a distanza sugli strumenti informatici dilavoro — l’apposito « Codice di deontologia e di buona condottaper il trattamento dei dati personali effettuato per finalità previ-denziali o per la gestione del rapporto di lavoro », previsto dall’ar-ticolo 111 del decreto legislativo n. 196/2003, ma non ancoraapprovato. Ciò, in quanto esso è stato delegato dal legislatore alruolo regolativo di predisposizione di una normativa di settore —mediante discipline speciali integrative — in materia di protezionedei dati personali (essendo, peraltro, l’elaborazione di “Codici dicondotta” fortemente promozionata dallo stesso Regolamento

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UE); ed in più assume, nel campo del lavoro, la veste sostanziale dipeculiare accordo collettivo, essendo la stipulazione di tali Codicirimessa all’autoregolamentazione delle categorie di soggetti pub-blici e privati interessati (nel caso del lavoro, appunto le organiz-zazioni datoriali e quelle sindacali).

Detto Codice di deontologia è, in realtà, una fonte di hard lawmascherato da soft law: i cui contenuti sono sottoposti al controllo,da parte del Garante per la protezione dei dati personali, sullaconformità alle norme di legge e di regolamento (come pure, alGarante, oltre alla funzione di controllo della legittimità dei Codici,sono attribuite anche quelle di promozione della sottoscrizione,nonché di garanzia della diffusione e del rispetto, degli stessi). Ciò,soprattutto in quanto il rispetto delle disposizioni del Codice« costituisce condizione essenziale per la liceità e correttezza del trat-tamento dei dati personali » (articolo 12, comma 3, decreto legisla-tivo n. 196/2003), con la conseguente applicabilità, in caso diinosservanza delle sue prescrizioni, delle molteplici sanzioni, pre-viste dal decreto legislativo n. 196/2003 per la violazione delprincipio di liceità e correttezza del trattamento, civili, penali eamministrative, tra cui il divieto di utilizzo dei dati.

Ed esso svolgerebbe, al contempo, la funzione, espressamenteconferita a tali Codici dal legislatore sulla protezione dei dati, direcepimento nell’ordinamento italiano dei principi-criteri direttivie dei contenuti dell’altra rilevante fonte sovranazionale in materiadi protezione dei dati personali nel settore del lavoro, ossia laRaccomandazione del Consiglio d’Europa n. R(2015)5, sul « Trat-tamento di dati personali nel contesto occupazionale »: sostitutivadella Raccomandazione n. R(89)2, di cui ha riformulato la disci-plina proprio per adeguarla all’utilizzo delle nuove tecnologie(dell’informazione e della comunicazione ICT) e dei nuovi stru-menti di comunicazione elettronica nelle relazioni di lavoro; eattuativa dell’articolo 8 della Convenzione europea dei dirittidell’uomo, con la funzione di adattarne il principio generale ditutela della vita privata, e le connesse regole sulla protezione deidati, alle specificità del settore lavorativo (come secondo l’inter-pretazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei dirittidell’uomo, fornita dalla giurisprudenza della Corte europea deidiritti dell’uomo, da ultimo confermata dalla sentenza della Corte,sezione IV, 12 gennaio 2016, causa n. 61496/08, case of Barbulescuv. Romania).

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REPLICHE

LORENZO GAETA

La relazione è stata pubblicata nel presente volume in versionedefinitiva. Pertanto, essa tiene conto degli interventi che l’hannoriguardata.

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EMILIO BALLETTI

1. L’attualità e l’interesse delle tematiche oggetto delle nostregiornate di studio sono confermate dalla ricchezza e varietà degliinterventi svolti nel corso del dibattito.

Relativamente alla materia da me trattata dei poteri deldatore di lavoro, e comunque limitando necessariamente questabreve replica a solo alcuni dei profili problematici esaminati daicolleghi intervenuti, ad emergere è una sostanziale convergenza divedute in ordine alla portata sensibilmente innovativa delle recentiriforme del Jobs Act: nel senso di un innegabile ampliamento emaggiore flessibilità per più versi delle prerogative di esercizio deimedesimi poteri datoriali, a revisione della stessa impostazione e dialcune delle guidelines caratterizzanti il sistema di tutele intro-dotto dal legislatore dello Statuto dei lavoratori, in corrispondenzaad una ridefinizione generale degli standard e del quomodo deimoduli di protezione dei relativi diritti e interessi dei prestatori dilavoro.

Benché si convenga in merito all’esigenza di una riconsidera-zione dell’impianto normativo in tema di poteri datoriali di cui alloStatuto dei lavoratori, a distanza ormai di nove lustri dalla suaemanazione, al cospetto dei mutamenti indotti nei modelli diorganizzazione della produzione e del lavoro dall’incalzante ince-dere dei processi di innovazione tecnologica e comunque anche incorrelazione alle ragioni dell’economia, di segno non univoche sirivelano tuttavia le valutazioni della riforma del Jobs Act che siprospettano. Ciò, al di là della questione della condivisione o menodell’incremento di autonomia e flessibilità nell’esercizio dei poteridatoriali in questo senso delineato, in merito all’effettiva portata econgruenza tecnica del rinnovato regime normativo, alla sua cor-rispondenza agli obiettivi dichiarati della riforma e comunque aitermini di sua operatività e applicazione concreta. Il tutto inriferimento anche ai mutamenti che risultano in tal senso indotti,sul piano generale, negli stessi rapporti di forza e nelle relazioni

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datore di lavoro-lavoratore in genere, tanto nella dimensione con-trattuale individuale quanto nelle dinamiche collettive, secondoquanto esposto nella mia relazione, nonché ripreso da AndreaLassandari nel suo efficace intervento.

2. In tema di mansioni e jus variandi, in particolare, il notevolemutamento di prospettiva insito nella sostituzione del criteriodell’equivalenza con quello che ho definito “aprofessionale” dello“stesso livello e categoria legale di inquadramento”, ai sensi dellarinnovata odierna versione dell’art. 2103 c.c., dovrebbe valere nelleintenzioni del legislatore della riforma a ridurre la discrezionalitàdell’interprete, in ragione dell’affidamento della materia alla defi-nizione da parte dell’autonomia collettiva. Soluzione, questa, che èreputata da Carlo Pisani, nel suo interessante intervento, quale“unica alternativa possibile al giudizio del giudice” e al tempostesso necessaria in risposta ad un’interpretazione giurispruden-ziale che valuta criticamente essere rimasta ancorata ad una tutelastatica della professionalità acquisita e non invece calibrata inriferimento alla professionalità viceversa acquisibile dal lavora-tore, come imposto dall’evoluzione dei tempi.

Ma in che misura l’autonomia collettiva è in grado di assolvereai compiti che le vengono demandati? Ove, stante l’oggettivainadeguatezza degli attuali sistemi di inquadramento a poter va-lere a quanto loro oggi richiesto, anche perché in larga prevalenzatradizionalmente prefigurati in funzione della determinazione deglistandard retributivi di mansioni, qualifiche e corrispondenti livellidi inquadramento più che per provvedere alla regolamentazione insé dello jus variandi, al fine della possibile entrata a regimedell’impianto normativo di cui alla novella legislativa, a rivelarsinecessaria è una riformulazione in via generale degli inquadra-menti appunto da parte dell’autonomia collettiva che valga adisciplinare nel dettaglio l’esercizio dello jus variandi così margi-nalizzando il ruolo dell’interprete.

Pisani invita ad avere pazienza al riguardo, fiducioso che lacontrattazione sarà in grado di ottemperare a quanto richiestole.

Ma, a parte il limite della mancanza di una disciplina transi-toria (che nelle more pone interrogativi di non poco conto in meritoalla stessa esplicazione dello jus variandi), appare lecito dubitareche si addivenga ad una rapida conformazione dei sistemi diinquadramento ai dettami del nuovo art. 2103 c.c. in relazione alla

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generalità dei settori e contesti produttivi. Specie al cospettodell’emergere di alcune prime risposte dissonanti da parte dellastessa autonomia collettiva: così come rimarcato da DomenicoMezzacapo, rifacendosi al contratto collettivo del gruppo Fiat, che,intervenendo in materia successivamente alla novella legislativa,ha infatti riproposto il concetto di compatibilità professionale dicui al previgente art. 2103 c.c.

Senza contare che, una volta accentrata nelle mani delle partisindacali la questione della regolamentazione dell’esplicazionedello jus variandi, permane poi da stabilire se ogni possibilità ditutela o anche solo di considerazione della professionalità in rela-zione allo svolgimento del rapporto di lavoro resti assorbita nellaprescritta invarianza del livello e della categoria di inquadramentoper lo jus variandi orizzontale, oppure anche nel previsto possibiledegradare di un solo livello di inquadramento per lo jus variandi insenso discendente secondo le previsioni dei commi 2 e 4 del nuovoart. 2103 c.c., sia pure con la considerazione della stessa incidenzadel cd. obbligo formativo ex comma 3. Ciò, ovviamente, nell’inte-resse del prestatore, ma sotto determinati aspetti anche del mede-simo datore di lavoro, dal canto suo evidentemente interessato, tral’altro, ad una delimitazione e comunque specificazione della por-tata dell’appena menzionato suo obbligo formativo, ma anche allacorrelata questione dell’effettiva idoneità professionale del lavora-tore alle nuove mansioni, come pure alla determinazione degliambiti di estensione del cd. obbligo di repechage nel caso di licen-ziamento per giustificato motivo oggettivo.

3. Relativamente all’obbligo formativo di cui al comma 3 delnuovo art. 2103 c.c., anche Carlo Pisani e Domenico Mezzacapo sisono espressi nel senso della da me rimarcata sua più appropriataricostruzione in termini di onere per il datore di lavoro, mentreMassimiliano Marinelli ne ha argomentato il rilevare in relazioneall’esercizio dello jus variandi tanto in via orizzontale che in sensodiscendente, anche in proposito in sostanziale conformità a quantoda me sostenuto.

Ferme le innegabili potenzialità di tale cd. obbligo formativo,ne resta comunque da stabilire il concreto ambito di estensione:specie alla luce della formulazione obiettivamente aperta delladisposizione secondo la quale detto obbligo formativo è stabilitooperare “ove necessario”.

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Ciò in termini che, al di là di quanto auspicato da più parti inmerito ad un intervento dell’autonomia collettiva di concretaspecificazione di contenuti e portata dell’obbligo in parola, conce-dono innegabile spazio alla discrezionalità dell’interprete. Cosìcome sempre Pisani riconosce, peraltro evidenziando che il giudicepotrebbe anche ritenersi non vincolato alle eventuali previsionidella contrattazione collettiva che reputi non in linea alla norma-tiva di legge comunque direttamente da applicare.

Senz’altro condivisibile è, poi, quanto considerato puntual-mente da Massimiliano Marinelli in ordine alle conseguenze delmancato adempimento dell’obbligo formativo in discorso, segna-tamente per quanto concerne il limitato possibile spazio di eserci-zio di forme di cd. autotutela individuale da parte del lavoratore,con il rifiuto della prestazione di lavoro che, anche alla luce dellanota giurisprudenza in argomento, appare infatti ipotizzabile solonel caso di esposizione a rischio irreparabile di diritti fondamentalidella persona, quale il diritto alla salute, nonché laddove risultaper converso in linea generale consentito il ricorso a rimedi dinatura risarcitoria relativamente ad eventuali danni alla professio-nalità, tuttavia con ogni relativo onere di debita allegazione e diprova a carico del lavoratore. E parimenti in tema di non impu-tabilità dell’inadempimento contrattuale al lavoratore non ingrado di svolgere i nuovi compiti cui sia stato assegnato senzaricevere un’adeguata formazione.

Mentre, in relazione all’ipotesi limite della licenziabilità dellavoratore totalmente inidoneo alle nuove mansioni assegnateglisempre per la mancanza di formazione, premessa la teorica ricon-ducibilità del caso, a seconda della singola vicenda concreta, oltreche nell’ambito della fattispecie del giustificato motivo oggettivo,anche in quella del giustificato motivo soggettivo (e, spec., allicenziamento per scarso rendimento oppure per gravi errori nellosvolgimento dell’attività lavorativa), appare tecnicamente coe-rente quanto opinato ancora da Marinelli nel senso del possibileoperare della cd. tutela reintegratoria ex art. 18, legge n. 300/1970sia pure nelle sue varianti attenuate ex art. 1, legge n. 92/2012 ed.lgs. n. 23/2015. Ciò, in particolare, al cospetto di un licenzia-mento per giustificato motivo soggettivo, giacché l’evidenziato nonrilevare di un inadempimento contrattuale imputabile al lavora-tore potrebbe valere in termini di cd. insussistenza del fattocontestato. E analogamente, sempre per il profilo del possibile

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accesso alla tutela reintegratoria attenuata, pure in relazione ad unlicenziamento per giustificato motivo oggettivo, potendosi infattireputare manifestamente insussistente il fatto posto alla base di unlicenziamento di tal genere che consista nel mutamento di man-sioni senza formazione che risulti acclarato essere stato postoartatamente in essere dal datore di lavoro quale motivazionefittizia del suo recesso.

4. Le ricadute del rinnovato assetto normativo in materia dijus variandi in riferimento al cd. obbligo di repechage, nel caso dilicenziamento per giustificato motivo oggettivo, sono state esami-nate da Felice Testa, in particolare argomentando un’essenzialerestrizione della portata di tale obbligo di repechage in riferimentoall’adibizione a mansioni di livello inferiore, secondo quanto affer-mato in alcune recenti pronunzie giurisprudenziali richiamatenella mia relazione.

Obbligo di repechage che Felice Testa propone infatti doversicostruire, alla luce della disciplina delle prefigurate ipotesi di jusvariandi in senso discendente di cui al nuovo art. 2103 c.c., incorrelazione all’utilità dell’impresa rispetto alla sua riorganizza-zione e, quindi, alla luce di una necessaria coerenza dell’assegna-zione a mansioni inferiori rispetto a tale riorganizzazione, conconseguente restrizione in forma corrispondente dell’obbligo direpechage appunto in relazione a mansioni inferiori. Soluzione,questa, che appare sensata, anzitutto giacché sarebbe in generaleirragionevole ipotizzare un’indiscriminata estensione dell’obbligodi repechage in relazione a qualsiasi mansione di livello inferiore,nonché comunque in quanto, come da me già osservato, le stesseipotesi di jus variandi in senso discendente introdotte ai sensi deicommi 2 e 4 del nuovo art. 2013 c.c. rilevano, non già in forma di“obbligo” o “dovere”, bensì piuttosto quali “opportunità” per ildatore di lavoro, peraltro pure con oneri di non poco conto a suocarico (in forma sia di formazione da dover impartire sia di man-tenimento del livello retributivo inerente alle mansioni di prove-nienza), e appaiono quindi tali da non poter valere a determinareun ampliamento del cennato obbligo di repechage.

Ciò fermo restando che, in proposito, snodo cruciale permaneanzitutto stabilire l’estensione del medesimo obbligo di repechagegià in relazione allo jus variandi orizzontale, segnatamente alcospetto della sostituzione del previgente criterio dell’equivalenza

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professionale con l’odierno nuovo canone dello “stesso livello ecategoria legale di inquadramento”: che, come esposto nella miarelazione, tende ad importare una potenziale ampia dilatazione delcennato obbligo di repechage, peraltro anche in correlazione allostesso obbligo di formazione ex comma 3 del nuovo art. 2103 c.c.,con esiti che possono rivelarsi indubbiamente irrazionali qualora,ai fini del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, fossenecessariamente da considerarsi l’eventualità del possibile repe-chage del lavoratore anche in mansioni (sì di uguale livello ecategoria legale di inquadramento, ma) professionalmente disomo-genee.

5. L’esigenza di una regolamentazione di dettaglio da partedell’autonomia collettiva, specificativa o comunque integrativadella normativa di legge si pone anche in relazione alla disciplina inmateria di controlli a distanza di cui al nuovo art. 4 St. lav.

Un intervento di questo tipo in proposito è tra gli altri auspi-cato da Marco Esposito, anche evidenziando il ruolo di mediazionerispetto alla stessa tutela giudiziale cui potrebbe assolvere inproposito l’autonomia collettiva.

In proposito rimando ad ogni modo alle valutazioni critichesvolte nella mia relazione in ordine al tendenziale restringimentodel ruolo e degli spazi di concreta azione della medesima autono-mia collettiva in materia ai sensi della recente novella legislativa.

Sempre in tema di controlli a distanza è in ogni caso dacondividere quanto sottolineato da Anna Trojsi nel senso di unacomunque necessaria integrazione delle previsioni di cui al comma2 del nuovo art. 4 St. lav. con la normativa generale in materia diprivacy sia nazionale sia dell’Unione europea.

Così, invero, per gli stessi cd. “strumenti di lavoro”, i quali, puresonerati nel loro utilizzo dai limiti e procedure ex comma 1, art. 4St. lav., permangono infatti assoggettati ai vincoli di sistema esegnatamente alla disciplina generale in materia di protezione deidati personali, illustrata diffusamente sempre da Anna Trojsi nelsuo intervento.

6. Nel tornare infine a quanto da me esposto in merito alrilevare, all’interno della nuova disciplina in materia di mansioni,jus variandi e anche di controlli a distanza, di una serie di previ-sioni cd. aperte a precetto generico o comunque non definito

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compiutamente nella loro portata in forma direttamente esplicita,non posso che ripetere come in questo modo si tendano inevitabil-mente ad ampliare gli spazi di possibile valutazione discrezionaleda parte dell’interprete, in controtendenza rispetto al dichiaratoobiettivo della riforma del Jobs Act di dare maggiore certezza allenorme giuslavoristiche, limitando al contempo gli ambiti di estrin-secazione del sindacato giudiziale in relazione all’esercizio deipoteri datoriali. E tanto nell’ambito di un contesto che, in corri-spondenza ad un innegabile rivalutazione della dimensione con-trattuale anche individuale sempre in riferimento al medesimoesercizio dei poteri datoriali (cfr. commi 4, 6 e 7 del nuovo art. 2103c.c., nonché comma 3 del nuovo art. 4 Stat. lav.), viene a valoriz-zare l’operare delle regole civilistiche del contratto in riferimentoalla relazione di lavoro e, quindi, delle stesse cd. clausole generalidi correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c.

Carlo Pisani si premura di avvertire come tali clausole generalidi buona fede e correttezza contrattuale non possano creare obbli-ghi, potendo solo valere a controllare l’esatto adempimento diobblighi esistenti, secondo peraltro un’opinione diffusa, ma nonsenza che rilevino, come noto, anche posizioni differenti al riguardoe viceversa tendenti ad una maggiore valorizzazione della portatadelle suddette clausole generali, riconoscendole quantomeno comespecificative del comando legale.

Senza tuttavia volersi qui interrogare in merito ad un effettivoincremento, o meno, in questo senso degli obblighi e vincoli ingenere cui doversi conformare in sede di esercizio dei poteri dato-riali, ciò che si è inteso segnalare in proposito è appunto il ricorsoin sé, da parte del legislatore del Jobs Act, ad una serie di norme cd.aperte a precetto generico nelle quali si è venuta a determinare lasintesi tra le ragioni dell’impresa e le contrapposte esigenze ditutela della persona del lavoratore, e che come tali si ribadisce peròimplicare un’attività di valutazione discrezionale da parte dell’in-terprete (a prescindere almeno in questa sede dai canoni di con-creto svolgimento e dagli esiti dell’interpretazione delle singolenorme).

Ciò così come lo stesso Carlo Pisani riconosce, in particolare intema di obbligo formativo ex comma 3 del nuovo art. 2013, nonchécomunque confermato a più riprese nel corso del dibattito: adesempio da Domenico Mezzacapo, ancora in tema di obbligo for-mativo, da Massimiliano Marinelli, anche in ordine ai canoni di

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esplicazione dello jus variandi in senso discendente ex comma 2 delnuovo art. 2103, nonché almeno per certi versi da Felice Testa intema di cd. obbligo di repechage. E altrettanto, del resto, inrelazione agli altri aspetti evidenziati al riguardo nella mia rela-zione, quali, in estrema sintesi: l’estesa dilatazione dello jus va-riandi sulla scorta del nuovo criterio-limite “aprofessionale” dello« stesso livello e categoria legale di inquadramento » e le relativequestioni che ne conseguono in relazione alla possibile adibizione amansioni-qualifiche professionalmente del tutto disomogenee; le“ragioni sostitutive” adducibili ad esclusione dell’adibizione in viadefinitiva a mansioni superiori ex comma 7 del nuovo art. 2013; icanoni di necessità, proporzionalità e razionalità cui deve comun-que improntarsi l’esercizio del potere di controllo a distanza; la« adeguata informazione » del lavoratore in ordine alle « modalitàd’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli » ex comma 3 delnuovo art. 4 St. lav.; la correttezza e buona fede cui deve confor-marsi l’operato del datore di lavoro in relazione all’utilizzazione,archiviazione e gestione in genere delle informazioni e dati raccoltimediante attività di controllo a distanza.

Ora, il rimarcato ampliamento in questo senso degli spazi divalutazione discrezionale da parte dell’interprete è nei fatti e,comunque, la sua conferma tangibile è del resto data già dallemedesime letture non coincidenti del dettato normativo delinea-tesi al riguardo ed emerse anche nel corso del dibattito.

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SANDRO MAINARDI

La relazione è stata pubblicata nel presente volume in versionedefinitiva. Pertanto, essa tiene conto degli interventi che l’hannoriguardata.

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FAUSTA GUARRIELLO

Il dibattito suscitato dalle relazioni sui mutamenti che hannoinvestito il rapporto tra legge e contrattazione collettiva nellastagione post-statutaria è molto ricco e stimolante. Nel replicarebrevemente alle osservazioni avanzate dai colleghi, mi preme sot-tolineare come nella mia analisi a carattere comparato ho intesoprivilegiare il punto di osservazione costituito dalle crescenti pres-sioni deregolative esercitate dalle istituzioni economiche europeesui sistemi di contrattazione collettiva allo scopo non più solo diallargare i margini di derogabilità, bensì di ridisegnare natura efunzioni del contratto collettivo. Collocato nel contesto comparato,il caso italiano non appare più così anomalo, quanto piuttosto ilrisultato di un interventismo legislativo sollecitato a romperel’uniformità regolativa assicurata dal contratto collettivo nazio-nale di lavoro in favore di adattamenti flessibili perseguiti dacontratti decentrati ritagliati su specifiche esigenze aziendali. Lederoghe consentite ai contratti collettivi di prossimità dalla mano-vra di agosto 2011, così come ai contratti collettivi di qualsiasilivello dall’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 non sono altro che lavariante italiana di una ricetta europea ossessivamente ripetutanelle raccomandazioni specifiche rivolte agli stati nel quadro delprocesso di sorveglianza macroeconomica.

E se è vero che i governi rispondono con modalità differenziatealle raccomandazioni europee, adattate alle situazioni nazionalisulla base di pressioni interne più che di obblighi di adattamento,come rileva Edoardo Ales, che reputa sopravvalutata l’incidenzadelle raccomandazioni europee in materia di contrattazione collet-tiva, tuttavia la circostanza che la governance macroeconomicaimplichi per gli stati la minaccia di sanzioni se non adottano misuredi effetto equivalente a quelle suggerite dalle istituzioni economi-che; nonché l’accanimento mostrato nei confronti dei paesi congravi squilibri macroeconomici rispetto al mancato richiamo apaesi che non osservano il vincolo costituito dal surplus della

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bilancia commerciale (leggi: Germania); per finire con l’univocità epuntualità degli indirizzi europei in direzione del ridimensiona-mento del ruolo della contrattazione collettiva centralizzata ocoordinata in favore del decentramento contrattuale a livelloaziendale, ritenuto in grado di meglio rispondere alle pressionicompetitive e di adattare il salario alla produttività, costituisconopesanti condizionamenti in direzione di un ordine imposto dalmercato tanto sul versante macroeconomico che nella dimensionemicro. A me pare che la vera novità dell’ultimo quinquennio siacostituita proprio dagli indirizzi europei esercitati nel quadro delprocesso di sorveglianza macroeconomica che, pur in assenza dicompetenze normative formali (ex art. 153, c. 5, Tfue), ha consen-tito a Commissione e Banca centrale europea di condizionare inmodo decisivo le scelte dei governi nazionali prendendo di mira isistemi centralizzati di contrattazione collettiva per la loro fun-zione salariale e, nella stessa logica, il salario minimo legale dovedefinito ad una soglia ritenuta troppo elevata, per l’effetto indottodi innalzamento dei salari contrattuali più bassi.

Che siano state imposte da programmi di risanamento concor-dati con le istituzioni europee e internazionali o suggerite daraccomandazioni specifiche o da difficilmente qualificabili lettereindirizzate ai governi, le manovre correttive incidenti sulla con-trattazione collettiva sono state adottate con provvedimenti legi-slativi, spesso con carattere di urgenza (decreti legge poi conver-titi), raramente sottoposte a forme di consultazione o concerta-zione con le parti sociali. La tendenza osservabile nei paesi piùesposti a controllo dei conti pubblici o con deficit eccessivi èl’intervento autoritativo della legge sui sistemi di contrattazionecollettiva attraverso misure volte a neutralizzare la normale dina-mica contrattuale (blocco del rinnovo dei contratti collettivi, ridu-zione dei termini di ultrattività, appesantimento delle condizioniper l’estensione, prevalenza del contratto aziendale su quello disettore, previsione di ipotesi per la disapplicazione del contrattocollettivo, legittimazione alla stipula a soggetti diversi dal sinda-cato). Sotto attacco appare la funzione normativa e salariale delcontratto collettivo, la più tipica e risalente, per cui nel secolo dellavoro il contratto collettivo costituiva legge della professione.L’ondata liberista che ha travolto le istituzioni europee rischia oggidi portare a considerare il contratto collettivo non più nella suaessenziale funzione di protezione dei lavoratori, bensì alla stregua

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di un cartello che sottrae i salari e le altre condizioni di lavoro, inparticolare quelle legate alla flessibilità della prestazione, allalibera concorrenza e alla libertà contrattuale dell’impresa (si ve-dano le conclusioni dell’avvocato generale Whal nel caso C-201/15AGET Iraklis).

Gli scenari aperti dalla crisi hanno, d’altro canto, accentuato itratti di regime competition tra sistemi nazionali in assenza dimeccanismi regolativi o di coordinamento sul piano sovranazio-nale, acuendo le differenze esistenti. Il ritorno degli stati nel campodelle relazioni industriali è parso talora ispirato a logiche protezio-nistiche nei paesi del centro-nord Europa, caratterizzati da piùsolide istituzioni collettive, puntellate all’occorrenza da interventieteronomi volti a preservarne il funzionamento in presenza difattori disgreganti, quali desindacalizzazione, uscita delle impresedai contratti collettivi, concorrenza al ribasso di prestatori trans-nazionali di servizi e agenzie di lavoro interinale. La legge tedescasul salario minimo è così emblematica di una contro-logica disostegno alla contrattazione collettiva che appare speculare aldisfavore legislativo manifestato nei paesi mediterranei. Con di-versi accenti molti interventi (Ales, Nogler, Bavaro, Lassandari)hanno rimarcato la divaricazione delle tendenze in atto e la pola-rizzazione tra paesi che hanno retto bene di fronte alla crisi e aimutamenti indotti dalla globalizzazione, e paesi che hanno dovutodisfare il tessuto connettivo costituito dalle relazioni collettiveperché giudicato poco performante.

Tra questi due poli si colloca la Loi travail francese del 2016,che redistribuisce le competenze tra legge e contrattazione collet-tiva limitando la disciplina di fonte legale al nucleo dei principi diordre public social a carattere inderogabile e affidando alla contrat-tazione collettiva, nazionale e aziendale, la competenza generale adeterminare i concreti assetti delle relazioni di lavoro nel rispettodei principi inderogabili. Si tratta di una riforma che porta acompimento tendenze già presenti nell’ordinamento francese, purse su temi circoscritti, come l’orario di lavoro, dove il rapporto trafonti appare ribaltato, e in cui la fonte legale svolge un ruolosuppletivo rispetto alla fonte convenzionale. Tuttavia il processodi attuazione della riforma, che postula una riscrittura dell’interocodice del lavoro secondo la nuova architettura fondata su unnucleo di principi di ordine pubblico sociale inderogabili, gli ambitidemandati alla contrattazione collettiva (che poi distinguerà tra

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materie o nuclei di materie di competenza del contratto nazionalee rinvii operati alla contrattazione aziendale), e le disposizionisuppletive da applicare quando la contrattazione collettiva nonintervenga a regolare la materia, apre un cantiere che richiederàalcuni anni per giungere a completamento. Se la ratio che haispirato la legge francese è quella di alleggerire il quadro legislativoattribuendo più ampi margini di manovra alla contrattazionecollettiva per favorire processi dinamici di adattamento alle nuovesfide poste al mondo del lavoro, la valutazione dei risultati appareallo stato prematura, nelle more dei numerosi processi avviati dallariforma. In ogni caso sembra trattarsi di un processo non cosìscontato di deregolamentazione pura e semplice, in considerazionedella previsione di disposizioni suppletive ai vari livelli qualora lafonte negoziale competente non intervenga.

In risposta alle osservazioni di Alessandro Garilli circa letendenze anomale della contrattazione collettiva nel settore pub-blico, dove gli interventi autoritativi hanno imposto una rilegifi-cazione di materie già demandate alla contrattazione collettiva euna riduzione degli spazi della contrattazione decentrata in favoredel potere unilaterale del datore di lavoro, l’indagine comparatasegnala come il blocco della contrattazione e il taglio delle retri-buzioni dei dipendenti pubblici costituiscano tendenza comune aipaesi più esposti alle misure di austerità e abbiano costituito ilgrimaldello attraverso cui le istituzioni economiche sovranazionalihanno imposto politiche di moderazione salariale ai paesi con gravisquilibri macroeconomici, sia perché di più facile e immediataattuazione, sia per gli effetti indotti nel settore privato. I taglisalariali e il blocco della contrattazione collettiva nel settore pub-blico hanno costituito il principale banco di prova della capacità dimobilitazione di sindacati e organizzazioni della società civile,nonché oggetto di ricorso davanti alle giurisdizioni nazionali esovranazionali per violazione del principio di libertà sindacale e dicontrattazione collettiva. Le analisi segnalano come il taglio delleretribuzioni pubbliche sia avvenuto peraltro in maniera centrali-stica e non selettiva, incidendo in misura significativa non solo suilivelli di vita dei dipendenti pubblici, ma anche sul livello e laqualità dei servizi erogati, in alcuni paesi del sud Europa scesi al disotto dei minimi essenziali, con l’effetto di spingere cittadini incondizioni di bisogno (anziani, minori, ammalati) a chiedere assi-stenza a organizzazioni non governative.

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L’attenzione agli effetti di sistema dell’alterazione dei mecca-nismi di integrazione funzionale tra legge e contrattazione collet-tiva non appare quindi peregrina: come i sistemi di welfare si sonostoricamente caratterizzati per il sostegno legislativo fornito, in viadiretta o mediata, all’attività di regolazione svolta dai soggetticollettivi, contribuendo a riconoscere questa “terza dimensione”fra stato e mercato; così oggi il ritiro del sostegno legislativo alcontratto collettivo — realizzato attraverso il sistematico attaccoportato in molti paesi ai meccanismi attraverso i quali il contrattocollettivo di categoria (o multi-employer) esplica i suoi effetti suirapporti individuali di lavoro — interroga istituzioni, attori sociali,studiosi su come preservare questa terza dimensione del dirittoadattandola alle sfide del nuovo secolo.

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Parte Seconda

NOTIZIARIO A.I.D.La.S.S.

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NOTIZIARIO NAZIONALE

ASSEGNAZIONE PREMIO « LUDOVICO BARASSI »PER LA MIGLIORE TESI DI LAUREA

IN DIRITTO DEL LAVORO(2016)

VERBALE DELLA COMMISSIONE.

Facendo seguito all’attività valutativa già svolta per via tele-matica, il giorno 14 giugno alle ore 12.30 si è riunita in viatelematica la Commissione esaminatrice per l’attribuzione del pre-mio “Ludovico Barassi 2016” relativo alla migliore tesi di laurea inDiritto del lavoro discussa tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre2015.

La Commissione, nominata con deliberazione del ConsiglioDirettivo AIDLaSS, è composta da:

— Prof. Pier Antonio Varesi, Ordinario di Diritto del lavoronell’Università Cattolica di Milano;

— Prof. Massimiliano Marinelli, Ordinario di Diritto del la-voro nell’Università di Palermo;

— Prof.ssa Valeria Filì, Ordinario dì Diritto del lavoro nel-l’Università di Udine.

Funge da presidente il Prof. Pier Antonio Varesi e da segreta-rio la Prof.ssa Valeria Filì.

La Commissione, dopo avere preso visione del bando perl’assegnazione del premio, passa all’esame delle domande e delletesi pervenute.

La Commissione prende atto che i candidati che hanno pre-sentato la domanda sono i seguenti:

— CAVALLINI Gionata Golo (Università di Milano Statale— Giurisprudenza): tesi dal titolo « Il rapporto di lavoro nei gruppiimprenditoriali »;

— D’ASCOLA Simone (Università di Pisa — Giurispru-

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denza): tesi dal titolo « Tipo contrattuale e rapporti di lavorosubordinato »;

— MARCHI Giulia (Università di Bologna — Giurispru-denza): tesi dal titolo « Il salario minimo legale: Italia e RegnoUnito a confronto »; ·

— ROSSI Nicolò (Università di Milano Cattolica — Giuri-sprudenza): tesi dal titolo « Contrattazione collettiva e rappresen-tanze sindacali aziendali nell’attuale contesto »;

— VIGONI Roberta (Università di Milano Bicocca — Giuri-sprudenza): tesi dal titolo « Tutela e promozione del lavoro negliappalti pubblici »;

— ZUBIN Andrea (Università di Trieste — Giurisprudenza):tesi dal titolo « Il licenziamento nell’ordinamento statunitense ».

Verificata la ritualità della presentazione delle domande ditutti i candidati e la loro corrispondenza ai criteri contenuti nelbando, il Presidente invita i membri della Commissione ad espri-mere il proprio giudizio in ordine ad ogni singolo elaborato ed a suavolta formula il proprio giudizio.

Dopo ampia ed esauriente discussione, la Commissione formulaper ogni elaborato un giudizio collegiale, procedendo quindi ad unavalutazione comparativa degli stessi.

All’esito della valutazione, la Commissione ritiene importantesegnalare la buona qualità delle tesi presentate e pertanto esprimeil suo formale apprezzamento per tutti i concorrenti.

In ogni caso, dalla valutazione comparativa risultano comemigliori elaborati quelli dei dottori Roberta VIGONI e AndreaZUBIN.

Tutto ciò premesso, all’unanimità la Commissione propone alConsiglio Direttivo dell’AIDLASS che il Premio di laurea intito-lato a Ludovico Barassi per l’anno 2016 venga assegnato ex aequoalla dott.ssa Roberta VIGONI e al dott. Andrea ZUBIN formu-lando i giudizi che seguono:

— con riferimento alla tesi della dott.ssa Roberta VIGONI daltitolo « Tutela e promozione del lavoro negli appalti pubblici », laCommissione esprime un deciso apprezzamento per la scelta di untema molto complesso, per l’ampiezza e l’organicità della tratta-zione e per il dettaglio dell’analisi condotto con metodo e rigorescientifici.

— con riferimento alla tesi del dott. Andrea ZUBIN dal titolo« Il licenziamento nell’ordinamento statunitense », la Commissione ha

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molto apprezzato l’originalità del tema trattato e la capacità delcandidato di districarsi in un ordinamento tanto complesso earticolato, nonché l’approccio comparatistico abilmente condotto elo sforzo critico connesso.

Letto redatto sottoscrittoProf. Pier Antonio Varesi(Presidente)

Prof. Massimiliano Marinelli (Componente)Prof.ssa Valeria Filì (Componente e Segretario verbalizzante)

Il presente verbale viene trasmesso telematicamente al Presi-dente e al Segretario dell’AIDLASS.

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ASSEGNAZIONE PREMIO« FRANCESCO SANTORO PASSARELLI »

PER LA MIGLIORE TESI DI DOTTORATOIN DIRITTO DEL LAVORO

(2016)

VERBALE DELLA COMMISSIONE.

La Commissione per il conferimento del premio “FrancescoSantoro Passarelli” per la migliore tesi di Dottorato di ricerca inDiritto del lavoro, composta dai professori Lauralba Bellardi,Luigi Menghini e Maria Novella Bettini, si è riunita in via telema-tica il giorno 8 giugno 2016.

La Commissione ha preso in esame le tesi presentate daicandidati dott. Simone Caponetti, Giulio Centamore, FedericoFusco e Marianna Russo.

Dopo un’attenta valutazione, la Commissione ritiene merite-vole del Premio la tesi del dott. Giulio Centamore dal titolo“Legislazione della crisi e rinvio al contratto collettivo”, relatore prof.Carlo Zoli, Dottorato di ricerca in Istituzioni e Mercati Diritti eTutele, Ciclo XXVII, Università degli Studi di Bologna, coordi-natore del Dottorato prof. Giulio Illuminati.

La tesi ripercorre l’evoluzione dei rapporti tra legge e contrattocollettivo e dei problemi che da essi scaturiscono, muovendo dalmodello di integrazione basato sui principi di gerarchia e del favor,per poi passare al sistema del rinvio nella legislazione della crisi,della flessibilità e del diritto del lavoro tout court e giungere, nellaseconda parte, a scandagliare il significato della norma sul rinvio,vale a dire l’art. 8 del d.l. n. 138/2011, convertito nella legge n.148/2011, definito norma globale a rilevanza locale. Gli esiti cuiperviene la ricerca sono sintetizzati nell’opinione per la quale, se èvero che la norma in questione non rompe con il modello tradizio-nale di rapporti tra legge e contratto collettivo, essendo la legge adattribuire al contratto il potere di deroga ed a segnarne i confini, è

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altrettanto vero che rappresenta una rilevante discontinuità con ilpassato la generalità delle materie su cui la deroga può avvenire edil fatto che le modalità di quest’ultima siano regolate ex ante ed unavolta per tutte.

La ricerca è condotta in modo brillante, approfondito e pro-positivo, con una forma corretta, scorrevole e disinvolta. La de-scrizione del contesto generale è sobria ed efficace e si nota parti-colare equilibrio tra l’interpretazione giuridica e la ricostruzionestorica degli istituti. Il candidato non omette mai di esprimere lapropria opinione su ogni problema e la fonda su argomenti solidi eprecisi.

La Commissione esprime apprezzamento per lo sforzo e l’im-pegno profuso da tutti i candidati nell’elaborazione delle tesi eritiene di dover effettuare una particolare menzione di quella delladott. Marianna Russo dal titolo “La prosecuzione del rapporto dilavoro oltre l’età pensionabile: tra tutele individuali ed esigenze diricambio generazionale”, nella quale svariate regole ed istituti sonoanalizzati in un interessante contesto unitario.

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Parte Terza

NOTIZIARIO INTERNAZIONALE

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DISABILITÀ E DIRITTO DEL LAVORO:ISTANTANEE DALL’ITALIA E DALL’EUROPA

SEMINARIO INTERNAZIONALE DI DIRITTOCOMPARATO DEL LAVORO — PONTIGNANO XXXIII

“DISABILITY AND WORK”Modena, 28 giugno — 1 luglio 2016

Sintesi dei lavori a cura di SIMONE D’ASCOLA (*)

Essere speciali significa proprio riuscire a farcapire che il tuo punto debole diventa quello dicui vai più fiero.

Beatrice VIO

SOMMARIO: 1. Il contesto e la cronaca. — 2. Disabilità e diritto del lavoro. — 3. Uno sguardod’insieme dall’Europa. — 4. Comparazione verticale. — 4.1. L’Austria. — 4.2. IlBelgio. — 4.3. La Francia. — 4.4. L’Italia. — 4.5. La Germania. — 4.6. I Paesi Bassi.— 4.7. Il Regno Unito. — 4.8. La Spagna. — 4.9. L’Ungheria. — 5. Comparazioneorizzontale. — 5.1. Disabilità e definizioni. — 5.2. Gli accomodamenti ragionevoli. —5.3. Il collocamento mirato. — 5.4. Speciali protezioni e approccio anti-discriminato-rio. — 6. La conclusione del seminario. — 7. Disabilità, lavoro e diritto in un finaleaperto.

1. Il contesto e la cronaca.

Pontignano non si ferma mai. È proprio il caso di dirlo. Inattesa del ritorno nella Certosa di San Pietro in Toscana (giàannunciato per settembre 2017), sede originaria da cui manca dadiversi anni, l’edizione 2016 del Seminario internazionale di diritto

(*) Dottorando di ricerca in Diritto del lavoro presso l’Università degli studi diVerona.

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del lavoro comparato “Pontignano XXXIII” si è svolta nell’afosa,ma vivace, estate emiliana.

« Piccola città, bastardo posto » — così nei malinconici versidedicati dal Maestrone alla sua città natale (1) —, Modena haaccolto a fine giugno tutti i partecipanti al seminario. In partico-lare, è stata la Fondazione Marco Biagi a offrire, come spesso inpassato, la propria collaudata ospitalità agli oltre quaranta giovaniprovenienti da tutta Europa, che vi hanno soggiornato in manieraproficua e confortevole. Come raccontano i più anziani, Ponti-gnano è sempre stata un’esperienza stimolante tanto dal punto divista giuridico e culturale, quanto da quello umano e relazionale,essendo del tutto peculiare il contesto di condivisione che si creanelle giornate del seminario, anche nelle occasioni conviviali e amargine delle attività del programma. Ebbene, l’edizione più re-cente non ha deluso le aspettative, consentendo, possiamo credere,a ciascun partecipante di tornare a casa arricchito.

Il tema individuato dagli organizzatori, l’AIDLaSS in coope-razione con la Fondazione Marco Biagi, era “disability and work”.Come evidente, si tratta di un argomento delicato, attuale, alta-mente idoneo a un approccio interdisciplinare e senz’altro di re-spiro transnazionale, sia in virtù della presenza di regole di matriceeuropea e internazionale (di diritto primario, derivato e comple-mentare), sia per la grande facilità a svolgere comparazione in unamateria che per ovvie ragioni è ampiamente disciplinata in tutti ipaesi.

Questi erano dunque il contesto e le premesse perché i lavori,guidati dalla regia sapiente dei Professori Lorenzo Gaeta ed Edo-ardo Ales, potessero condurre a ottimi risultati in termini scienti-fico-euristici e di crescita culturale per tutti i partecipanti. Lapreparazione e la buona volontà di ciascuno hanno fatto il resto:non si possono senz’altro sottacere i fondamentali contributi delProf. Antonio Loffredo e del Prof. Iacopo Senatori. Quest’ultimo(oltre a fare da padrone di casa insieme allo staff della Fondazione,composto dai dottori Carlotta Serra, Jenny Rivas e Gabriele Be-nassi) è stato uno dei quattro tutors incaricati di coordinare i lavoridi gruppo nella seconda fase del seminario. Investite della mede-sima funzione sono state inoltre le Professoresse Carla Spinelli,

(1) F. GUCCINI, Piccola città, in Radici, Milano, 1972.

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Maria Cristina Cimaglia e Elisabeth Brameshuber (quest’ultimadell’Università di Vienna).

Una novità della trentatreesima edizione del seminario è statal’ingresso del gruppo ungherese, che ha portato a ben nove i paesidell’Unione rappresentati (si potrebbe forse dire “otto più uno”visto l’esito del referendum britannico di alcuni giorni prima (2)).La struttura del seminario, articolato su quattro giornate piene (28giugno — 1 luglio) era quella classica: relazioni introduttive offertedai docenti di ciascun paese nella prima parte (fino al pomeriggiodel 29 giugno) e lavori di gruppo tematici di taglio comparativonella seconda, seguiti dalle presentazioni di ciascun gruppo (finoalla pomeriggio del 1 luglio, quando al “rompete le righe” ha fattoseguito una lunga serata di svago, apertasi con la cena formale nelmagnifico patio di Palazzo dei Musei).

All’apertura solenne dei lavori era presente la signora MarinaOrlandi Biagi (Presidente della Fondazione) che, con un breve maincisivo discorso augurale, ha ricordato la passione e la cura con cuiil marito soleva seguire la crescita dei giovani e dedicarsi allacomparazione e, svolgendo un rapido appello iniziale, ha regalatoun sorriso a ciascuno dei giovani studiosi presenti.

La presentazione del seminario è stata poi svolta dal Prof.Ales, che ha ricordato brevemente la storia di Pontignano (richia-mando la memoria di maestri scomparsi come Gino Giugni e BillWedderburn); ha sottolineato come i venti di Brexit non avrebberodovuto avere incidenza sullo spirito del seminario; ha introdotto gliospiti che di lì a poco si sarebbero alternati in cattedra; ha descrittoil programma dei lavori e ha spiegato che ai relatori nazionali erastata data ampia libertà nella scelta del taglio da imprimere allerelazioni, segnalando comunque che ci si sarebbe senz’altro soffer-mati sia su aspetti tecnici della disciplina, sia sulla connessione tradisabilità e non discriminazione.

La relazione di chiusura del 1 luglio, su cui ci soffermeremo inseguito, è stata invece affidata al Prof. Loffredo.

(2) V. infra per qualche osservazione su questa vicenda, che ha costituito l’occasioneanche per un gradito fuoriprogramma di cui un habitué di Pontignano, il Professor JeffKenner (Nottingham), è stato brillante protagonista. È curioso segnalare che a “PontignanoXXXIII” si osservava che l’ormai compiuto superamento del francese, in favore dell’in-glese, quale unica lingua ufficiale dei lavori, condurrà di fatto all’impiego di una lingua...extracomunitaria!

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2. Disabilità e diritto del lavoro.

La vulgata vuole che a Sparta i bambini “deformi” venisserogettati dal monte Taigeto, ma pare si tratti solo di una leggenda: èpiù probabile che la consuetudine reale a cui quell’area deve la suafama sia analoga a quella per cui, a Roma, è tristemente famosa larupe Tarpea: erano i condannati a morte a vivere su quelle altureil proprio trapasso. Cionondimeno, è vero che nel mondo antico, intanti contesti e in epoche diverse, la nascita di un figlio affetto daqualche menomazione fosse considerata una sciagura, talora uncastigo divino. In varie fasi storiche, dall’antichità al medioevo, aipadri che non desideravamo compiere il gesto di Ettore (3) neiconfronti dei figli nati con malformazioni, era consentito “esporre”i neonati, ossia abbandonarli al proprio destino lasciandoli inluoghi prestabiliti per lo scopo (4). Tragicamente, anche in epocacontemporanea, nel passaggio più drammatico del “secolo breve”(e tra i più neri della storia dell’umanità), sono state ancora unavolta le persone affette da disabilità a cadere vittima delle peggioricrudeltà di cui l’uomo è capace: il riferimento è alle violenze evessazioni inflitte a costoro dai nazisti, che hanno sterminato ebrutalmente utilizzato come cavie per orrendi esperimenti di eu-genetica svariate migliaia di persone disabili (5).

Perché partire da questo? Il motivo è semplice: la disabilità èstata per secoli (6) considerata come una condizione di minorità,indegna se non “colpevole”, venendo percepita dalla collettività

(3) Nella celebre narrazione omerica, prima di andare allo scontro finale con Achille,l’eroe troiano Ettore, recatosi a salutare il figlioletto neonato, lo solleva al cielo dopo essersitolto l’elmo, in un gesto che rappresenta simbolicamente la più alta forma di riconoscimentodel figlio da parte del padre. Un saggio psicanalitico sulla figura paterna nella societàcontemporanea trae il titolo da questo episodio dell’Iliade: L. ZOJA, Il gesto di Ettore.Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Torino, 2000.

(4) L’esempio classico è quello della c.d. ruota degli esposti, una feritoia aperta nelmuro di monasteri o altri edifici abitati da religiosi, dove a partire dall’epoca medievale siabbandonavano i neonati con la garanzia dell’anonimato, affinché frati o monache potesseroaverne cura.

(5) Ausmerzen, in tedesco letteralmente “estirpare”, è vocabolo divenuto noto alcunianni fa quando Marco Paolini ha così intitolato un proprio documentario dedicato alle « viteindegne di essere vissute », ossia quelle dei disabili vittime del programma di sterminiochiamato Atkion 4. V. il volume M. PAOLINI, Ausmerzen, Torino, 2012.

(6) V. in generale M. SCHIANCHI, Storia della disabilità. Dal castigo degli dei alla crisi delwelfare, Roma, 2012.

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come uno status di inferiorità da occultare, sostanzialmente espres-sivo di un disvalore. Il disabile era per certi versi un capitedeminutus.

Successivamente, in parallelo al progressivo affermarsi delvalore della dignità umana di ogni individuo, quantomeno dall’il-luminismo in avanti, si è affermato il principio di uguaglianzaformale. Semplificando ai minimi termini, si può dire che è da taleprincipio che una persona disabile ricava il diritto a non ricevereun trattamento deteriore rispetto agli altri consociati (come inveceera appunto avvenuto per secoli!), con un netto mutamento dellapercezione di tale condizione da parte dell’ordinamento e dellacollettività.

È tuttavia con il principio di uguaglianza sostanziale e con losviluppo dei diritti di “seconda generazione” (economici, sociali eculturali) che si pongono le basi per un sistema in cui lo stato e ipubblici poteri siano onerati di garantire prestazioni attive perfavorire questi soggetti e rimuovere gli ostacoli che la loro parti-colare condizione comporta. E se è vero, come è vero, che il dirittodel lavoro è uno dei principali vettori dell’uguaglianza sostan-ziale (7), il passo è breve per capire che l’accesso al lavoro e latutela delle condizioni di lavoro di una particolare categoria disoggetti svantaggiati è un elemento fondamentale nella tramanormativa di attuazione dei principi fondamentali dell’ordina-mento, oltre che uno strumento di giustizia e coesione sociale: solopotendo lavorare, la persona disabile può vivere una piena eman-cipazione e realizzazione della propria personalità. L’assunto èvalido per qualsiasi persona, anche in condizioni psico-fisiche sane,ma evidentemente è la presenza di situazioni particolari che ri-chiede la predisposizione di speciali apparati di tutela.

Giuseppe Pera oltre cinquant’anni fa ha scritto pagine ancoramolto interessanti sulla “giustificazione costituzionale” delle as-sunzioni obbligatorie (8). All’epoca la categoria presa maggior-mente a riferimento, anche dalla legislazione, era quella degliinvalidi di guerra, ma i principi di fondo sono sempre gli stessi.Vengono in rilievo quantomeno: eguaglianza sostanziale, doveri

(7) U. ROMAGNOLI, Art. 3. Il principio di uguaglianza sostanziale, in CommentarioBranca alla Costituzione, Bologna, 1975, 178.

(8) V. in particolare il primo capitolo di G. PERA, Assunzioni obbligatorie e contratto dilavoro, Milano, 1965, 65 ss.

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inderogabili di solidarietà e diritto al lavoro. In epoca più recentesicuramente si è aggiunto il principio di non discriminazione, nelsuo senso più moderno e concettualmente autonomo (9).

Il diritto del lavoro, dunque, si è fatto carico praticamente dasempre della condizione di disabilità. Un’importante distinzioneconcettuale, relativa alle tecniche con cui il diritto del lavoro puòintervenire per fronteggiare queste situazioni, può individuarsinella coesistenza di azioni “esterne” al rapporto e azioni “interne”ad esso. Le prime afferiscono sostanzialmente alla possibilità diaccesso al lavoro per la persona disabile. Le seconde consideranoinvece lo svolgimento del rapporto di lavoro e adattano dunqueregole e obbligazioni alle caratteristiche della persona implicata inquella particolare relazione lavorativa. È chiaro che queste ultimecostituiscono un corpus normativo tendenzialmente più moderno,oggi assai composito perché vi si intrecciano obbligazioni di naturadiversa (ad es. in tema di salute e sicurezza) spesso di matriceeuropea.

Ciononostante, il contesto normativo dell’accesso al lavorodelle persone disabili resta, nel nostro ordinamento ma non solo, untema costantemente oggetto di intervento da parte del legislatore.

3. Uno sguardo d’insieme dall’Europa.

Prima delle relazioni dedicate ai singoli ordinamenti nazionali,la prof.ssa Delia Ferri (Permament lecturer presso la NationalUniversity of Ireland, Maynooth) ha tenuto una relazione sulquadro di riferimento giuridico europeo e internazionale con ri-guardo al tema della disabilità.

In partenza è stato chiarito che un approccio fondamentale perstudiare il tema è quello dei diritti umani. Infatti, la prima fonteche viene in rilievo è la “Convenzione delle Nazioni Unite sui dirittidelle persone con disabilità” (o UNCRPD, secondo l’acronimoinglese più diffuso). La Convenzione (approvata nel 2006 ed en-trata in vigore nel 2008) è stata ratificata dall’UE nel 2009 esingolarmente da 26 su 28 degli stati membri. In essa si propone

(9) Sul “paradigma antidiscriminatorio” v. M. BARBERA, Il nuovo diritto antidiscri-minatorio: innovazione e continuità, in EAD. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio.Il quadro comunitario e nazionale, Milano, 2007, XIX ss. e comunque infra.

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una riscrittura di alcuni classici diritti umani alla luce della con-dizione di disabilità, con la finalità di assicurare che tutti i dirittigià esistenti e garantiti siano effettivi anche per le persone affetteda disabilità. Queste ultime sono individuate all’art. 1, par. 2, comecoloro che « hanno una invalidità (10) di lunga durata fisica,mentale, cognitiva o sensoriale, che interagendo con varie barrierepuò ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione alla societàsu basi analoghe agli altri ». Come si può intendere è centrale l’ideache la disabilità sia creata dalla società: le barriere incontrate dallepersone disabili non derivano dalla persona stessa, ma sono di tiposociale e ambientale. È fondamentale indirizzare al meglio l’inte-razione con tali barriere, in maniera che la persona disabile sia ilpiù possibile integrata, con una focalizzazione sul contesto sociale,che deve adeguarsi, e non sull’individuo. I principi più rilevantisono pertanto quelli di dignità e autonomia, di accessibilità e dieguaglianza.

Alla stregua di quest’ultimo, agli Stati aderenti alla Conven-zione è richiesto: di combattere ogni forma di discriminazione(definita all’art. 2), comprese le discriminazioni multiple; di assi-curare l’uguaglianza delle opportunità; di assicurare gli accomoda-menti ragionevoli.

L’art. 2 della UNCRPD fornisce una prima definizione di“accomodamenti ragionevoli” (11), nozione che, come vedremo inseguito, ritorna costantemente nella trama del discorso giuslavo-ristico sulla disabilità. Ebbene, si dice che essi sono « modifiche eadeguamenti necessari e appropriati, che non impongano un caricoeccessivo e sproporzionato, necessari in casi particolari per assicu-rare alle persone disabili di godere delle libertà fondamentali comegli altri esseri umani ». Il Comitato sui diritti delle persone condisabilità (organo garante della Convenzione) ha fornito un Com-mento ufficiale di questa norma, specificando la portata delle

(10) Segnaliamo sin d’ora che esiste un termine inglese, “impairment”, che è crucialeper trattare di disabilità ed è stato costantemente impiegato durante il seminario. Tuttavianon esiste una traduzione italiana che sia pregnante in maniera soddisfacente. Si impieghe-ranno di volta in volta espressioni come “invalidità”, “menomazione” o altre simili.L’articolo 1 in parola è la prima occasione in cui incontriamo il termine impairment.

(11) Anche questa è la traduzione di un’espressione anglosassone, “reasonable accom-modations”, che ritorna costantemente occupandosi di disabilità nel diritto. Seppure anchein questo caso la pregnanza dell’espressione italiana non sia delle migliori, tendenzialmenteuseremo la dicitura “accomodamenti ragionevoli”.

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nozioni di “accomodamenti ragionevoli” e di “accessibilità. I primiconsistono in oneri orientati sul singolo individuo, nascenti ex nunce rilevanti con riferimento ai diritti sostanziali; la seconda è inveceriferita ai gruppi e deve sussistere ex ante.

Il Comitato si è inoltre pronunciato con alcune Comunicazionirelative a casi concreti: con la Comunicazione n. 5/2011 (Jungelinvs Svezia) ha precisato che nell’assicurare misure di accomoda-mento ragionevoli e proporzionate gli Stati parti godono di un“margine di apprezzamento”; con le Comunicazioni nn. 2/2010(Groninger et al. vs Germania) e 9/2012 (A.F. vs Italia) si è invecesoffermato sulla portata del principio di uguaglianza sostanziale dicui all’art. 27 par. 1 della Convenzione (12). Esso, tra le misurerichieste, prevede che si promuovano opportunità di lavoro (ancheautonomo) e avanzamenti di carriera, che le persone disabili sianoimpiegate nel settore pubblico e che nel settore privato si favoriscail collocamento anche con azioni positive e programmi incenti-vanti.

Ebbene, poiché, come accennato, al sistema della Convenzioneha aderito anche l’UE, ci si è soffermati inoltre sul valore chequella carta assume nell’ordinamento europeo. In primo luogo essaè formalmente vincolante: sulla base dell’art. 216 TFUE, infatti, èparte integrante del diritto eurounitario, gerarchicamente sovraor-dinata al diritto derivato, ma inferiore ai Trattati. La CGUE(cause C-335/2011 e C-337/2011) ha precisato che, in virtù dellaprimazia delle norme di diritto internazionale fatte proprie dal-l’Unione, direttive e regolamenti devono essere quanto più possi-bile conformi alle Convenzioni internazionali. Allo stesso tempo siè riconosciuto anche che le previsioni della UNCRPD non possonoavere “effetto diretto” poiché non hanno un contenuto sufficien-temente preciso, autosufficiente e incondizionato (CGUE, causaC-363/2012).

Considerando il diritto europeo vero e proprio, deve segnalarsila rilevanza degli artt. 10 e 19 del TFUE e 21 e 26 della Carta diNizza come disposizioni che forniscono una base per collocare in

(12) Che testualmente afferma: « Gli stati parti riconoscono il diritto delle personecon disabilità a lavorare, su base eguale agli altri; ciò implica il diritto all’opportunità diguadagnarsi da vivere con un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoroe in un ambiente lavorativo che siano aperti, inclusivi e accessibili alle persone condisabilità ».

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termini sistematici le discipline relative alle persone disabili. Leprime tre norme richiamano il principio di non discriminazione,mentre la quarta è espressamente dedicata all’inserimento socialedelle persone con disabilità.

In questo quadro, composto dai principi della UNCRPD e daquelli delle Carte fondamentali dell’Unione, si inscrivono tutte lediscipline di dettaglio relative alla disabilità, tra le quali si anno-verano eccezioni al divieto generale di aiuti di Stato (le regole delc.d. GBER, ossia il “General block exemption regulation”), previ-sioni legate ai trasporti, agli appalti pubblici, ai network dellacomunicazione e ai servizi, ma soprattutto in questo quadro siinserisce la notissima direttiva 2000/78/CE, in tema di parità ditrattamento sul lavoro.

Essa include la disabilità tra i fattori tipizzati rispetto ai qualivige il divieto per gli stati membri di porre in essere trattamentidiscriminatori nell’ambito del lavoro, del collocamento e dellaformazione professionale. Deroghe sono consentite solo con riferi-mento alle forze armate (cfr. art. 3, par. 4 della direttiva).

La direttiva non fornisce nel testo una definizione di disabilità;cionondimeno la portata della nozione deve avere un’interpreta-zione uniforme e autonoma, che non può riferirsi alla legislazionedei singoli stati membri (CGUE, causa C-13/2005). Si introducecosì il fondamentale tema della definizione di disabilità. Esistonodue modelli principali a cui si può fare riferimento: quello “me-dico” e quello “sociale”. Entrambi sono stati considerati e descrittidalle sentenze della Corte, ma la tendenza è oggi quella di preferireil secondo. Il primo, ad esempio, era stato impiegato nella pronun-cia del 2005 poc’anzi citata. Il secondo, più in linea anche con leespressioni usate nella UNCRPD, è il parametro adoperato dallaCGUE, fra gli altri, nei casi C-335/2011, C-337/2011, C-312/2011,C-363/2012 e C-354/2013.

Altri articoli fondamentali della direttiva sono i nn. 5 e 7. Ilprimo grava direttamente i datori di lavoro dell’onere di predispo-sizione degli accomodamenti ragionevoli, mentre il secondo precisache la parità di trattamento lascia impregiudicato il diritto deglistati membri a prevenire ed evitare svantaggi correlati agli adem-pimenti richiesti dall’art. 1, anche in tema di salute e sicurezza sullavoro. Gli accomodamenti ragionevoli (a.r.) a carico delle impresepossono definirsi come « adattamenti individualizzati che in ma-niera oggettiva e appropriata soddisfino le necessità delle persone

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e le aiutino a esercitare il loro diritto al lavoro ». Alla stregua delventesimo “considerando” della direttiva, si possono in via gene-rale distinguere due grandi categorie di a.r.: quelli di tipo tecnico equelli di tipo organizzativo.

Qualche osservazione va poi dedicata al citato regolamento intema di eccezioni al divieto di aiuti di stato. Il GBER (reg.651/2014) dispensa dall’obbligo di notifica gli aiuti alle persone condisabilità consistenti in sussidi al reddito e gli aiuti necessari aremunerare i costi sostenuti per impiegare persone disabili. Unaltro elemento interessante è che tale regolamento offre una defi-nizione di disabilità a livello europeo, perché, oltre a considerarelavoratori disabili tutti coloro che lo sono sulla base della legisla-zione nazionale, richiama testualmente la definizione offerta dal-l’art. 1 par. 2 della UNCRPD.

L’Unione ha delineato una Strategia Europea decennale per laDisabilità, per il periodo 2010-2020, il cui scopo fondamentale ègarantire che la Convenzione Onu sia adeguatamente implemen-tata e garantire alle persone disabili di poter godere pienamente deipropri diritti, partecipando in maniera piena alla vita sociale eall’economia europea, prendendo in considerazione principalmentei settori del lavoro, della scuola, dell’educazione e della salute.

Sulla realizzazione di questi obiettivi si sono attestate le azionipreviste per il quinquennio 2010-2015 dalla Strategia Europea perla Disabilità. Con riferimento al lavoro, la Strategia individuaquattro binari di azione, peraltro già qui più volte richiamati: lanon discriminazione, l’introduzione di azioni positive, l’accessibi-lità dei luoghi di lavoro e gli accomodamenti ragionevoli.

In conclusione si può pertanto osservare come lo standarddella Convenzione ONU sia il parametro di riferimento per l’ade-guamento della legislazione e delle prassi dell’Unione e degli statimembri.

Le sfide ancora aperte sono peraltro molte: dal superamentodelle zone di ambiguità e di “doppia velocità” tra la UNCRPD e ladirettiva europea sulla parità di trattamento; al “lavoro protetto”;fino al fatto che la presenza di sussidi statali rischia di perpetuarel’idea che i datori per assumere lavoratori disabili debbano perforza fare affidamento sugli aiuti di natura pubblica, nella convin-zione che le persone disabili siano in ogni caso meno competenti eproduttive.

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Non è un caso che il Comitato istituito dalla Convenzione, inalcune sue Osservazioni ufficiali, abbia mostrato preoccupazioneper l’alto tasso di disoccupazione tra le persone con disabilità(specialmente quando si tratta di donne e se affette da forme diinvalidità di tipo mentale o cognitivo) e per il fatto che le stesseistituzioni europee non sono esempi validi con riguardo all’impiegodi queste persone. Inoltre, il Comitato raccomanda all’UE di agireeffettivamente per misurare il tasso di impiego dei disabili ecercare di farlo crescere, includendo anche programmi di forma-zione professionale.

4. Comparazione verticale.

Una volta acquisita una infarinatura sul framework normativosovranazionale, si è avviata la fase delle relazioni dei docenti deinove paesi coinvolti, che hanno offerto, con approcci anche diver-sificati tra loro, una utile descrizione del panorama del propriopaese. Questo momento del seminario è stato dunque dedicato alla“comparazione verticale”, realizzata giustapponendo le varierealtà nazionali sul tema della disabilità nel diritto del lavoro, cosìfavorendo il successivo studio trasversale dei singoli problemiemersi.

I professori che si sono alternati in cattedra (studiosi noti,spesso non alla prima esperienza a Pontignano) sono stati: perl’Austria Franz Marhold (Università di Vienna); per il BelgioMarco Rocca (Università Cattolica di Lovanio); per la FranciaSylvaine Laulom (Università Lione 2); per l’Italia Marzia Barbera(Università di Brescia); per la Germania Olaf Deinert (Universitàdi Gottinga); per i Paesi Bassi Willemijn Roozendaal (Universitàdi Amsterdam); per il Regno Unito Jeff Kenner (Università diNottingham); per la Spagna Maria Belén Cardona (Università diValencia); per l’Ungheria Attila Kun (Università KRE di Buda-pest). Di seguito si dà conto dei principali aspetti toccati daciascuno nella propria relazione.

4.1. L’Austria.

La definizione di disabilità impiegata nell’ordinamento lavori-stico austriaco è la seguente: « l’effetto di una invalidità non

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temporanea, fisica, psicologica o cognitiva del lavoratore che gliimpedisce una piena partecipazione al mercato del lavoro ». Sullabase del grado di disabilità si distinguono poi due categorie, conconseguenze giuridiche diverse in termini di livello di protezioneaccordata. La distinzione si basa sulla quantificazione in puntipercentuali dell’invalidità, ossia su un parametro convenzionale dinatura medica. Da un lato vi sono le persone che hanno unainvalidità inferiore al 50%, dall’altro coloro che superano questasoglia.

I primi beneficiano della protezione contro le discriminazioni,gli si applicano le sezioni da 7a a 7r della Legge sul lavoro deidisabili e possono usufruire del supporto di una peculiare figura didifensore civico federale (in tedesco Ombudsman, ossia uomo che fa“da tramite”) con funzioni specificamente legate alla tutela dellepersone disabili. I secondi, in aggiunta a tutto questo, godono di untrattamento preferenziale nel sistema di collocamento pubblico e laloro posizione può essere tutelata da specifiche decisioni ammini-strative basate sui criteri ricavati dalle direttive del Ministrofederale del lavoro e degli affari sociali.

Il sistema di collocamento mirato impone obblighi di assun-zione alle imprese che hanno un numero di dipendenti pari osuperiore a 25, prevedendo l’assunzione di almeno un lavoratoredisabile (appartenente alla seconda categoria di cui sopra) ogni 25lavoratori complessivi. Alcune categorie di soggetti protetti val-gono doppio ai fini di questa percentuale, essendo sufficienteassumerne uno ogni 50 lavoratori. Si tratta di: persone cieche,disabili che seguono programmi di formazione, persone in sedia arotelle, disabili di età inferiore ai 19 anni, di età superiore ai 50, macon invalidità superiore al 70%, e infine disabili di età superiore ai55. Tuttavia, con una sorta di efficient breach legalizzata, l’ordina-mento consente alle imprese di non rispettare queste obbligazioniprestabilendo una sanzione amministrativa di natura pecuniaria infunzione compensativa, di ammontare variabile, ma tendenzial-mente attestata su poche centinaia di euro al mese per ciascunsoggetto non assunto. Parallelamente si prevedono benefici parti-colari per i datori che assumono disabili coinvolti in attività diformazione professionale.

Molto significativa in Austria è la disciplina limitativa dellicenziamento. Si stabilisce una regola generale di durata minimadel rapporto di lavoro con la persona disabile, che non deve essere

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inferiore ai quattro anni (in precedenza sei mesi!). Eccezioni sonopreviste nel caso di incidenti legati al lavoro o di cambi di sededentro il medesimo gruppo.

Il periodo di preavviso per l’intimazione del licenziamento èaumentato a 4 mesi e il vaglio sulla legittimità del recesso segueuna corsia particolare. Esiste infatti un organo speciale, il Comi-tato per le persone disabili, incaricato di operare un bilanciamentotra gli interessi in gioco. In concreto, tale organo nella sua decisioneinerente alla legittimità del licenziamento deve tenere in conside-razione diversi elementi: sul luogo di lavoro non ci devono esserealtre posizioni idonee per quel lavoratore; possono essere licenziatilavoratori disabili che divengano effettivamente incapaci di svol-gere le mansioni assegnate; possono licenziarsi lavoratori che co-stantemente svolgano male la prestazione per ragioni disciplinari.Dinanzi al Comitato devono essere sentiti i membri del comitatoaziendale e i rappresentanti dei lavoratori disabili. Un licenzia-mento irrogato senza il consenso di detto organo è nullo e privo dieffetti. In alcuni casi è permesso che il consenso del Comitatointervenga ex post, ad esempio se il datore ignorava scusabilmentela disciplina. Giudice d’appello contro le decisioni del Comitato è laCorte federale amministrativa

In parallelo alla disciplina descritta, è d’uopo segnalare chequalsiasi licenziamento può sempre essere contestato anche sullabase della disciplina antidiscriminatoria, di cui alle sezioni da 7a a7f della Legge austriaca sul lavoro dei disabili.

Altra importante figura in Austria è il rappresentante specialedei lavoratori disabili (poc’anzi citato). Se in una unità produttivasono impiegati in forma stabile più di 5 lavoratori disabili, questihanno diritto a eleggere un rappresentante che rafforzi la tutela deiloro interessi a tutti i livelli operativi, adoperandosi per migliorareil coordinamento e l’effettività delle misure adottate. Nello speci-fico i doveri dello speciale rappresentante sono: monitorare ilrispetto della Legge sul lavoro dei disabili; segnalare particolarinecessità dei lavoratori disabili; partecipare alle riunioni del comi-tato aziendale e alle procedure di controllo sul licenziamento difronte al Comitato ad hoc.

Da ultimo, nell’ordinamento austriaco si segnalano alcuneprevisioni in tema di tutela della salute e sicurezza. Gli oneri acarico dei datori di lavoro sono aumentati di recente in questosettore e oggi si prevede di prestare particolare attenzione alle

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condizioni psicofisiche dei soggetti assunti col sistema di quoteobbligatorie, di rendere i locali di lavoro accessibili, di rispettare lespecifiche direttive ministeriali di volta in volta emanate, di ga-rantire risorse economiche ricavate da un fondo fiscale compensa-tivo. L’applicazione e il rispetto di queste norme sono assicuratidall’Ispettorato del lavoro, che svolge ispezioni periodiche, che puòproibire l’esecuzione di determinate lavorazioni pericolose, che puòimporre determinate condizioni al datore di lavoro perché siagarantita la sicurezza e che può infliggere sanzioni pecuniarie per ilmancato rispetto delle regole in materia.

4.2. Il Belgio.

Anzitutto si è partiti da alcuni dati, piuttosto rilevanti innegativo: negli ultimi anni lo stato belga si è collocato in posizionepiuttosto bassa in Europa in termini di tasso di impiego dei disabilinella fascia di età 15-64 anni. Non oltre il 40% della popolazionedisabile lavora. È di conseguenza abbastanza alto il dato sulladifferenza di tasso di impiego tra soggetti disabili e soggetti “nor-modotati”.

In Belgio non esiste una definizione di disabilità a fini lavori-stici. Esistono diverse nozioni in altri campi. Per esempio nellalegge del 27 febbraio 1987 in tema di prestazioni di sicurezzasociale si prevede che determinati sussidi siano accordati ai disabilitra 21 e 65 anni, « la cui capacità di ottenere un impiego è ridottaa un terzo o più, rispetto a quella di una persona sana ». Lavalutazione è di tipo medico ed è rimessa ad un apposito ufficiosanitario che si occupa delle invalidità.

Si sono poi citate definizioni dottrinarie (WADDINGTON e LAW-SON), altre ricavate da lavori parlamentari di alcuni anni fa e altreancora invece ancorate a un modello definitorio di stampo medico.

Risulta significativa un’affermazione del Tribunale del lavorodi Bruxelles (in funzione di giudice d’appello), che in una decisionedel 9 gennaio 2013 ha affermato che « la definizione di disabilitàfornita dalla CGUE (caso Chacon Navas) si sofferma sulla meno-mazione sofferta dall’individuo, che impedisce la partecipazione almercato del lavoro. La Corte si riferirà a questa definizione didisabilità nel dare applicazione alla legge nazionale del 10 maggio2007 ».

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Diverse fonti intersecano il problema della disabilità in Belgio,a partire dal macro-sistema degli strumenti di contrasto alle di-scriminazioni. In primo luogo si segnala la legge del 2007 appenacitata, che supera una precedente del 25 febbraio 2003. In essasono presenti un insieme di norme di diritto antidiscriminatorioche menzionano la disabilità tra i fattori protetti, con rinvio anchealla direttiva 2000/78/CE. L’art. 14, in particolare, prevede che ilrifiuto del datore di lavoro di disporre gli accomodamenti ragione-voli costituisca una discriminazione. Ma è l’art. 4 che fornisce unadefinizione di “accomodamenti ragionevoli”: essi sono « misureappropriate, ove necessarie in casi particolari, a consentire a unapersona con disabilità di avere accesso, partecipare o avvantag-giarsi in uno degli ambiti coperti dalla presente legge, a meno chetali misure non impongano un sacrificio sproporzionato al datore dilavoro. Tale carico non è mai sproporzionato quando vi si può farfronte sfruttando gli strumenti esistenti nell’ambito delle politichepubbliche sulla disabilità ». L’art. 5 individua le finalità dell’im-plementazione di tali accomodamenti nella garanzia della relazionedi lavoro, delle prestazioni di sicurezza sociale (principali e com-plementari), dell’accesso a beni e servizi e infine dell’accesso epartecipazione ad altre attività economiche, sociali e culturali.

Sugli accomodamenti ragionevoli si segnala inoltre: da un lato,che nel 2007 è stato sottoscritto un Protocollo di accordo tra ilGoverno federale e le Regioni che sembra evocare un “modellosociale” di accomodamenti ragionevoli (parlando di misure con-crete idonee a contrastare l’impatto dell’ambiente sulla partecipa-zione di una persona disabile); dall’altro, che esiste un Manuale delministero del lavoro del 2005 che indica quali sono i parametriconcreti da tenere in considerazione per vagliare la “ragionevo-lezza” degli interventi (costi, capacità economica del datore dilavoro, presenza di sussidio pubblico, effetti indiretti sulla piùampia comunità dei lavoratori, durata).

Esistono poi dei contratti collettivi (il contratto collettivo n. 38sulle procedure di assunzione e il n. 95 sulla parità di trattamento)che estendono l’area della tutela antidiscriminatoria con riferi-mento alla disabilità.

Con riguardo al tema del collocamento dei disabili, in Belgionon esiste un sistema legale di quote nel settore privato, mentre nelpubblico impiego si fissano degli obiettivi (il cui mancato raggiun-gimento non si traduce in sanzioni): a livello federale il 3% del

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totale dei lavoratori di un’impresa dovrebbe essere disabile; nellaregione di Bruxelles il 5%, nelle Fiandre il 4,5%, in Vallonia il2,5%.

Una disciplina particolare è poi prevista con riguardo ai bam-bini affetti da disabilità: viene infatti prevista un’estensione delcongedo parentale fino al raggiungimento dei 21 anni di età delfiglio (normalmente il limite è 12 anni) se quest’ultimo ha unainvalidità superiore al 66% e un diritto a una riduzione del tempodi lavoro per la cura del figlio fino a un periodo massimo di 48 mesi.

A livello regionale esistono diverse forme di sostegno econo-mico pubblico: un incentivo per l’adozione degli accomodamentiragionevoli e per le assunzioni in tutte le tre regioni; per l’imple-mentazione di programmi di addestramento tra colleghi dellastessa unità e per lo svolgimento di tutoring a beneficio di uncollega nella regione di Bruxelles; per la formazione professionalein Vallonia e nella regione di Bruxelles.

In tema di sicurezza sociale, si segnalano una legge e un regiodecreto del 1987 in tema rispettivamente di sussidi per la disabilitàe sostegno al reddito, un regio decreto del 1990 istitutivo di sussidia favore degli anziani e uno del 2003 sulle procedure per l’attribu-zionedei sussidi ai disabili. Per ricevere tali sussidi è necessario averetra 21 e 65 anni e avere una capacità di collocamento professionaleinferiore al 33% di quella di una persona sana e normodotata.

Altri sussidi integrativi sono concessi in base al grado diautonomia della persona disabile (con una valutazione medica) eper soddisfare alcune necessità materiali (trasporto, nutrizione,igiene).

4.3. La Francia.

La presentazione dell’ordinamento francese si è aperta con uninteressante excursus storico a partire dalla metà del secolo scorso:si è evidenziato come la prima legislazione in materia fosse conse-guenza del secondo conflitto mondiale e si è sottolineato un certoattivismo del legislatore transalpino che dagli anni ’50 ha conti-nuamente introdotto e modificato le regole in tema di tutela deidisabili.

Volgendo lo sguardo alla legislazione più recente, il primo attonormativo da tenere in considerazione è la legge n. 102 dell’11febbraio 2005. Vi si enfatizza l’importanza per le persone disabili

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della costruzione di un piano di vita che comprenda ogni aspettodella vita sociale e si prevede che tutte le persone disabili abbianodiritto al supporto da parte dell’intera comunità nazionale, inmodo che sia loro assicurato il godimento di tutti i diritti fonda-mentali.

Il quadro complessivo delle fonti si completa poi con i riferi-menti presenti nelle Costituzioni, prima quella del 1946 poi quellagollista del 1958, dove si prevede il dovere di solidarietà in capoallo Stato a favore delle persone con disabilità.

La definizione di lavoratore disabile è offerta dall’art. L5-1213del Codice del Lavoro francese: « qualsiasi persona la cui capacitàdi ottenere o mantenere un impiego sia effettivamente ridottacome risultato di un’alterazione di una o più delle funzioni fisiche,sensoriali o cognitive ». La ricognizione di tale status è soggetta aduna serie di procedure a cui provvede la Commissione sui diritti el’autonomia delle persone disabili. La procedura di ufficiale rico-noscimento dello status di disabile è fondamentale per consentire allavoratore di beneficiare delle misure sull’impiego obbligatorio odel diritto agli accomodamenti ragionevoli.

Nel contesto delle discriminazioni, la legge francese proibisceanche quelle basate sullo stato di salute e dal punto di vistadefinitorio non è fondamentale stabilire una distinzione concet-tuale tra le discriminazioni basate sullo stato di salute e quellebasate sull’handicap, perché quest’ultima è assorbita dalla malat-tia. Non esiste infatti giurisprudenza che operi tale distinzione.

Con riguardo alle assunzioni vincolate, l’ordinamento transal-pino conosce un sistema di quote. Ogni impresa che impieghialmeno venti lavoratori deve infatti assumere almeno sei lavora-tori in condizione di disabilità. Esistono cinque modi per rispettaretale obbligazione. Si può:

— assumere in via spontanea e diretta lavoratori riconosciuticome disabili dallo stato;

— stipulare un subcontratto con aziende ad hoc, oppure riser-vare una unità produttiva ai lavoratori protetti (13) (nei limiti del50% della quota obbligatoria);

(13) Si tratta dei c.d. sheltered workshops, espressione non facilmente traducibile initaliano: nel nostro ordinamento, peraltro, viene da pensare al fenomeno dei “reparticonfino” che viene riguardato negativamente (v. infra per qualche ulteriore cenno).

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— impiegare i disabili come apprendisti nella formazione pro-fessionale;

— stipulare un contratto collettivo approvato dall’autoritàcompetente che assicuri l’implementazione di un programma de-dicato ai lavoratori disabili;

— contribuire economicamente a dei fondi ad hoc.In caso di mancato rispetto di questa obbligazione esiste un

complesso sistema di sanzioni. Si tratta di sanzioni amministrativepecuniarie cui vanno soggetti i datori inadempienti. Una specificaorganizzazione (Agefiph) è responsabile della raccolta delle sommederivanti dal pagamento di tali sanzioni che vengono poi utilizzateper promuovere l’integrazione professionale e l’impiego dei lavo-ratori disabili.

Sul piano dei divieti di discriminazione, quella basata sulladisabilità è posta sull’identico delle altre tipologie di discrimina-zione previste dalla legge. Sono naturalmente vietate sia quelledirette, sia quelle indirette, con un peculiare meccanismo perfornire la prova e con un ruolo di rilievo per la figura del Difensoredei diritti (introdotta alcuni anni fa in Francia come forma di“difesa civica”). Il rifiuto del datore di adottare gli accomodamentiragionevoli e le altre misure imposte dalla legge è equiparato a uncomportamento discriminatorio. Le sanzioni sono piuttosto severe:ad esempio, il licenziamento discriminatorio per disabilità è unodei pochi casi in cui l’ordinamento francese prevede la reintegra-zione e non solamente la tutela di tipo indennitario.

In conclusione si può ritenere che il sistema di tutela dellepersone disabili sul lavoro in Francia offra un sufficiente livello diefficacia: alcuni dati mostrano un miglioramento negli ultimi anni(aumento dal 2006 del numero di imprese che impiegano almenouna persona disabile; calo dal 2009 della percentuale di imprese cherispettano l’obbligo di assunzione solo pagando un contributoeconomico) anche se la crisi economica ha prodotto alcuni effettinegativi.

4.4. L’Italia.

Nella relazione relativa al nostro paese il tema è stato affron-tato con un respiro assai ampio. Oltre all’approccio esegetico, larelatrice si è infatti misurata anzitutto con i più rilevanti contri-buti relativi alla disabilità che provengono dalla filosofia politica.

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Del resto, come già evidenziato, il tema è potenzialmente interdi-sciplinare e una riflessione “pre-giuridica” che approfondisca ilruolo del disabile come persona e le sue capacità nella societàimpreziosisce l’analisi tecnica, che peraltro è indispensabile e nellarelazione italiana non è mancata.

Sulla disabilità un problema del contrattualismo classico (infilosofia politica) è l’esclusione dei soggetti disabili dal contrattosociale che coinvolge i consociati « liberi, eguali e indipendenti ».Anche nelle teorie della giustizia di stampo liberal si corre ilmedesimo rischio. La filosofa americana Martha C. Nussbaum haproposto soluzioni diverse per superare queste difficoltà, medianteil c.d. “approccio delle capacità”.

Il capability approach (14) in relazione alla disabilità da Nus-sbaum è stato approfondito in un volume di una decina di annifa (15) e in altri contributi successivi. Dopo essersi misurata con leimplicazioni che sul tema ha la teoria della giustizia di JohnRawls (16), si sofferma sul tema delle politiche pubbliche in temadi disabilità, peraltro nella consapevolezza che esiste pur sempreuna certa difficoltà nella traduzione di una riflessione di tipofilosofico sulle capacità delle persone disabili in politiche concrete(o, in ultima analisi e con linguaggio più consueto per il giurista, indiritto positivo): all’esito della propria trattazione teorica, infatti,Nussbaum avverte che « è impossibile che una discussione diquesto genere possa offrire più di un qualche abbozzo di alcuneimplicazioni politiche che tale approccio potrebbe avere sulla si-tuazione di persone con menomazioni mentali » (17).

Secondo Nussbaum, tuttavia, mettendo al centro il valoredella dignità umana, si deve intendere in modo estremamentestringente il principio di eguaglianza, mettendo i disabili nellacondizione di non dover affrontare nessuno svantaggio che la mag-

(14) Per un importante e recente contributo sull’utilità del capability approach,inteso come teoria normativa, nel diritto del lavoro v. R. DEL PUNTA, Labour law and thecapability approach, in International Journal of Comparative Labour Law and industrialRelations, 2016, 383 ss.

(15) M. NUSSBAUM, Le nuove frontiere della giustizia, Bologna, 2007.(16) Che mette al centro l’utilità e l’accesso alle risorse economiche e materiali,

mentre Nussbaum valorizza le “libertà sostanziali” di cui anche la persona disabile riesce ausufruire, come ad esempio la possibilità di partecipare agli scambi economici e all’attivitàpolitica.

(17) Ivi, p. 212.

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gioranza delle persone non debba sopportare, senza compromessi,salvo che per i casi più gravi. Altri studiosi hanno poi valorizzato,sulla base di tali premesse, la c.d. concezione relazionale del sog-getto di diritto, alla cui stregua sono le interazioni sociali cheforniscono la sagomatura effettiva dei soggetti giuridici per le variefinalità previste dalla legge e, con riguardo alla disabilità, è dunqueanche il contesto materiale di vita che deve essere costruito inmaniera da eliminare gli ostacoli alla autonomia e alla autodeter-minazione della persona disabile. Per la piena garanzia dei dirittiumani di quest’ultima, contano non solo le risorse e i beni adisposizione, ma anche le c.d. relazioni di sostegno.

La UNCRPD è un esempio di trattato sui diritti umani chevalorizza proprio la concezione relazionale del soggetto giuridico,considerando la persona disabile come costantemente in contattocon altri individui e con il proprio contesto. Il paradigma giuridicorelazionale, però, ha come obiettivo ultimo l’autonomia della per-sona, nel senso che questa deve poter realizzare e perseguire ipropri obiettivi e le proprie preferenze, come un soggetto piena-mente libero e attivo e non come oggetto di una tutela paternali-stica.

Queste considerazioni sviluppano l’idea, risalente agli annisettanta, del modello sociale di disabilità, che postula il supera-mento di una nozione solo fisica di invalidità, cogliendo che ladisabilità crea in primo luogo segregazione sociale. Si arriva a direche la disabilità sarebbe addirittura una “creazione sociale” piùche una condizione svantaggiata a livello medico-sanitario. L’au-tore che ha fornito uno dei contributi più rilevanti a questariflessione (18) afferma che il passaggio fondamentale consistenell’identificazione della relazione sociale che marginalizza e discri-mina il disabile e non nel riconoscimento del “limite” di cui ildisabile è portatore.

Volgendo lo sguardo ai contesti giuridici concreti si osservadunque che il modello medico di disabilità porta a impiegarestrumenti di tutela di welfare classico ed è più diffuso nel livellonazionale, mentre il modello incentrato sui diritti (“the rights modelof disability”) si adatta perfettamente al contesto dell’UE. Infatti,

(18) Si allude a Carol Thomas: ID., Female Forms: experiencing and understandingdisability, Buckingham, 1999.

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nel primo caso le tutele richiedono la presenza di risorse economi-che, burocratiche e amministrative, mentre nel secondo caso, poi-ché l’Unione in sé non dispone di questi mezzi, la tutela passa dallaaffermazione (giurisdizionale) dei diritti.

Si è poi posto l’accento sul legame tra la nozione di disabilecontenuta nella UNCRPD (v. supra e infra) e la giurisprudenzadella CGUE, che a tale nozione opportunamente tende a riferirsi,con il suffragio anche dell’OMS, che dal 2001 considera la disabilitàcome una condizione di salute che, tra le altre, crea difficoltà inambito relazionale.

In Italia per lungo tempo la disabilità è stata affrontata conapproccio assistenzialistico e paternalistico, anche in forza dellapercezione che la maggioranza della popolazione ha relativamenteai disabili, con i quali si ritiene normalmente « molto difficilestabilire relazioni di qualsiasi tipo » (così in una ricerca del CENSISdel 2010). Non a caso, i dati statistici sulla presenza dei disabili nelmercato del lavoro sono assai deludenti nel nostro paese, sia peruna percentuale di occupati molto inferiore a quella media, sia perla preoccupante tendenza mostrata dal dato sulla fuoriuscita de-finitiva dei disabili dal mercato del lavoro (secondo l’ISTAT oltreil 40% dei disabili che lavorano escono prima del tempo dalmercato sena farvi rientro). Ma vi è di più: sono stati richiamatianche dati che mostrano come durante la crisi economica deglianni più recenti la crescita proporzionale della disoccupazione deidisabili sia stata superiore a quella, pur elevata, della generalità deilavoratori. Tutto ciò ha prodotto conseguenze sociali significativein termini di appesantimento dei carichi familiari, alimentando lec.d. “nuove povertà”.

La descrizione diacronica del quadro normativo nazionale si èpoi aperta partendo dalla l. n. 482/1968, che introduceva unsistema di quote con assunzione basata su una lista di “candidati”disabili nella quale si individuava il lavoratore sulla base del profiloastrattamente richiesto dal datore. Oggi questo sistema ha un’ap-plicazione molto residuale.

Con la l. n. 104/1992, infatti, si è avviata una significativarivisitazione del quadro normativo: essa, oltre a fornire una defi-nizione di “handicap” all’art. 3, promuove la formazione e l’adde-stramento professionale delle persone disabili, garantendo incen-tivi e sussidi alle imprese e alle cooperative che adeguano i propricontesti lavorativi. Successivamente, con la l. n. 68/1999, si intro-

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duce il principio del collocamento mirato in senso moderno, darealizzarsi mediante « strumenti tecnici e di supporto che permet-tono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle lorocapacità lavorative e di inserirle nel posto adatto ». Il meccanismodi assunzione è incentrato sulle caratteristiche e competenze per-sonali del disabile e sulle necessità effettive dell’impresa, chedevono incontrarsi. Le autorità amministrative locali sono coin-volte nel sistema di collocamento mirato, che opera su base terri-toriale.

Un ruolo significativo è giocato anche dal d.lgs. n. 81/2008, intema di salute e sicurezza, che impone l’adeguamento delle man-sioni anche nel caso di incapacità sopravvenuta del disabile asvolgere le funzioni precedenti.

Dal punto di vista della nozione di disabilità, la legge del 1999non offre una definizione sistematica, ma elenca una serie dicategorie di lavoratori protetti: « persone in età lavorativa affetteda minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handi-cap intellettivi, che comportino una riduzione della capacità lavo-rativa superiore al 45%, accertata dalle competenti commissioniper il riconoscimento dell’invalidità civile », « persone invalide dellavoro con un grado di invalidità superiore al 33%, accertatadall’INAIL », ciechi, sordomuti e invalidi di guerra e civili (tali inbase alle leggi in materia).

La legge, nella versione oggi vigente (perché è stata in partemodificata), impone a datori privati e pubblici di assumere il 7% dilavoratori disabili se il numero totale degli occupati è superiore a50, oppure due lavoratori se il totale è tra 36 e 50 o un lavoratorese il totale va da 15 a 36 dipendenti. Sotto i 15 dipendenti sussisteovviamente la facoltà di assumere disabili, ma non l’obbligo.

A queste regole si arriva con alcuni interventi recenti. Inparticolare, nel 2012 viene ampliato il novero dei lavoratori daincludere fra coloro che compongono la c.d. “quota di riserva”(ossia i disabili obbligatoriamente assunti), mentre nel 2015, comevedremo, si modificano le quote stesse.

La procedura di collocamento, in sintesi, si articola in una seriedi passaggi: registrazione del disabile in appositi registri (dove siforma una graduatoria che tiene conto di vari fattori, come adesempio le condizioni economiche e familiari); invio annuale di unainformativa da parte dei datori relativamente alla forza lavoroimpiegata; invio della richiesta di avviamento da parte del datore

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se rientra nel campo di applicazione della normativa (con descri-zione delle posizioni lavorative interessate). Il tutto si svolge conl’assistenza degli uffici competenti. Dopo questi passaggi si apre lafase basata sugli accordi, ai quali segue l’effettiva assunzione. Taliaccordi sono di varia natura e vengono stipulati dalle imprese congli uffici dei “servizi per l’impiego” allo scopo di definire le moda-lità di ingresso, formazione e addestramento del lavoratore disa-bile.

Nel 1999 si è attribuito un ruolo anche alle Università, che sonoonerate di predisporre percorsi di facilitazione e inserimento per idisabili, anche mediante l’istituzione di una apposita sezione nelfondo di finanziamento degli atenei. Dal 2003, inoltre, le Univer-sità possono svolgere funzioni di intermediazione nel mercato dellavoro, anche a favore dell’incontro tra domanda e offerta checoinvolge i disabili.

Come accennato, con il d.lgs. n. 151/2015 (19), si è di recenteintervenuti a rivedere la disciplina: si è abbassata a 15 dipendentila soglia minima per far scattare l’obbligo di quota di riserva, si èampliato il campo di applicazione (esteso ad esempio alle organiz-zazioni di tendenza) e si è rimosso ogni limite alla c.d. assunzionenominativa, che ha luogo quando il datore sceglie una specificapersona (dotata dei requisiti) per coprire il posto destinato aldisabile.

Sono stati poi aumentati i sussidi e gli incentivi economici afavore di chi assume lavoratori disabili ed è stata istituita unaapposita banca dati per il collocamento mirato, per rendere piùagevole la raccolta di informazioni sulle assunzioni e sulle misureadottate per rispettare l’obbligazione di predisporre gli a.r. Infinesi segnala che esistono alcune categorie di imprese esonerate dallaquota obbligatoria (ad es. per la natura particolarmente rischiosadell’attività svolta) e che sono possibili anche sospensioni tempo-ranee in casi di grave crisi economica aziendale.

Con riferimento al licenziamento si prevede che: i lavoratoriche diventano inidonei allo svolgimento delle mansioni precedenti

(19) Senza pretesa di completezza, sul tema si vedano: C. SPINELLI, La nuovadisciplina dell’inserimento al lavoro delle persone disabili (d.lgs. n. 151/2015) nel quadro dellanormativa internazionale e dell’Unione europea, in E. GHERA — D. GAROFALO (a cura di),Semplificazioni sanzioni ispezioni nel Jobs Act 2, Bari, 2016, 11 ss.; F. LIMENA, Il restylingdella l. n. 68/1999 sul collocamento dei disabili, in Il Lavoro nella giurisprudenza, 2016, 429 ss.

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in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionalenon possono essere licenziati ma devono essere ricollocati con altremansioni. Il licenziamento è invece possibile solo qualora, a frontedi una disabilità acquisita ex novo o di un significativo aggrava-mento della stessa, una commissione pubblica certifichi che non èpossibile alcuna ricollocazione del lavoratore nell’organizzazionelavorativa.

Si prevedono poi una serie di istituti legati alla cura dellepersone disabili: in particolare bisogna ricordare i permessi (divario genere) disciplinati dalla citata legge n. 104/1992 e tenden-zialmente posti a carico del sistema di sicurezza sociale. Inoltre ilavoratori disabili beneficiano di due mesi all’anno di contribuzionefigurativa per raggiungere in anticipo la pensione di vecchiaia epossono avere accesso preferenziale al lavoro a tempo parziale.

Dal punto di vista del diritto antidiscriminatorio, nel quadrodei noti principi di cui agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, l’Italiaha recepito con il d.lgs. n. 216/2003 la direttiva 2000/78/CE.Inizialmente, però, tale decreto non prevedeva espressamentequanto richiesto dall’art. 5 della direttiva, ossia l’obbligo di adot-tare gli a.r. per i disabili. A seguito di una sentenza della Corte diGiustizia (20), giunta a seguito di una procedura di infrazioneattivata dalla Commissione Europea, nel 2013 la normativa è stataadeguata.

La vicenda ha fatto molto discutere perché, come sostenutodal Governo italiano nella controversia, anche se priva di unaprevisione apposita di portata generale sugli a.r., la legislazioneitaliana prevede in molti frangenti adeguate misure di tutela deidisabili e promozione della loro integrazione lavorativa. Cionondi-meno, la Corte ha condannato l’Italia ritenendo parziali le solu-zioni normative previste, nella misura in cui queste non coinvol-gevano tutte le tipologie di disabili, né si applicavano a tutti ilavoratori, né, infine, abbracciavano tutti gli aspetti del rapportodi lavoro.

In effetti, anche la legge n. 67/2006, dedicata alla tutelagiudiziaria nei casi di discriminazioni basate sulla disabilità, non èdedicata espressamente al settore lavoristico e la nozione di discri-

(20) CGUE, 4 luglio 2013, C-321/2011, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, 939, con nota diM. LUGHEZZANI.

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minazione ivi accolta, pur includendo sia quella diretta che quellaindiretta, ricalca quanto previsto nella legge n. 104/1992, senzaraggiungere l’ampiezza della definizione di cui alla UNCRPD che,invece, come si è detto, è quella a cui il diritto europeo tende adallinearsi.

Si sono poi descritte le speciali regole processuali previste peri giudizi in materia di discriminazioni (art. 28, d.lgs. n. 150/2011)che favoriscono notevolmente la persona vittima di discrimina-zioni, alleggerendo la posizione processuale della medesima anchesul piano probatorio e prevedendo un giudizio rapido e deforma-lizzato. La sentenza di condanna deve inoltre essere notificata alleautorità pubbliche affinché queste adottino le opportune misurecon riguardo ai benefici accordati all’impresa. Essendo infine pre-vista una procedura diversa per le discriminazioni basate sulgenere, bisogna segnalare che in caso di discriminazione multipla(basata sul genere e sulla disabilità) tale secondo procedimentoassorbe in un unico giudizio ogni profilo controverso.

Come conclusione si è presentata una rassegna critica di casigiurisprudenziali (21) che mostrano la recente evoluzione nelleinterpretazioni giudiziali in materia di disabilità: in passato, in-fatti, era maggioritaria la visione restrittiva della Corte di Cassa-zione alla cui stregua la disabilità emersa durante il rapporto dilavoro non imponeva al datore di adattare il luogo di lavoro,nemmeno in caso di peggioramento della condizione di un lavora-tore già assunto in base alla legge n. 68/1999, dovendosi soloverificare se fosse possibile il reimpiego in altre mansioni, perevitare il licenziamento.

Negli ultimi anni, in conformità alla giurisprudenza europea(ad esempio valorizzando i principi della sentenza Coleman (22)) leinterpretazioni giudiziali sono assai meno restrittive, specie sullaspinta delle corti di merito.

(21) Come pronunce di merito si sono richiamate: Trib. Pavia, 19 settembre 2009,Trib. Milano, 20 settembre 2010, Trib. Napoli, 31 maggio 2012, App. Torino, 7 febbraio2013, Trib. Milano 20 novembre 2014, Trib. Ivrea 24 febbraio 2016. Nella giurisprudenza dilegittimità risultano degne di nota Cass., 4 febbraio 2016, n. 2209 e Cass., 3 novembre 2015,n. 22421.

(22) V. infra, nota n. 26.

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4.5. La Germania.

L’ordinamento tedesco è stato descritto a partire dal suobackground storico: dopo la prima guerra mondiale la regolamen-tazione dell’impiego dei disabili è stata una conseguenza del note-vole dispendio di risorse umane e materiali nelle attività militari. Ènato il primo sistema di quote per le assunzioni, con la previsionedi sanzioni amministrative per il caso di mancato rispetto e conuna protezione speciale contro il licenziamento.

Nel 1974 è intervenuta una importante riforma che ha portatoa un sistema di tipo “finalistico”, in cui al centro non c’è unaesigenza pubblica, ma lo scopo di prendersi cura della personadisabile. Rimane come precondizione la sussistenza di una seriadisabilità, ma si costruisce una trama normativa tendente al rein-serimento della persona.

La revisione costituzionale del 1994, inoltre, introduce espres-samente l’obiettivo della protezione contro le discriminazioni aidanni delle persone disabili, ed è seguita dalla legge del 2001, diriforma del diritto del lavoro e della sicurezza sociale, che inseriscenel nono libro del “codice sociale” (Sozialgesetzbuch IX) alcunedisposizioni sul reinserimento della persona e nuove regole lavori-stiche per la tutela dei disabili.

Nel 2006 è invece la volta di un intervento sul fronte antidi-scriminatorio: si introducono nuovi divieti riferiti alla disabilitànella trama del diritto privato.

Esaurito lo sguardo diacronico e considerando il diritto vi-gente, si deve osservare che in Germania esistono due tipi dicondizioni che consentono di ricevere la protezione accordata dallalegge: la disabilità e la disabilità grave. La prima è consideratasufficiente dal diritto antidiscriminatorio (anche perché è il dirittoUE che prevede una disabilità “semplice” come fattore protetto),mentre la seconda ricorre quando vi sia una menomazione supe-riore al 30% (parametro richiesto perché l’autorità pubblica possadichiarare sussistente lo status di disabile in certi casi) o superioreal 50% (parametro richiesto per applicare le previsioni lavoristichedel codice sociale).

Le autorità preposte al riconoscimento della mera disabilità edi quella grave sono differenti, ma va precisato che solo per ilicenziamenti e per le decisioni in tema di parità di trattamentorileva il riconoscimento amministrativo.

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Il sistema di assunzioni mirate in Germania si basa anzituttosull’onere di ciascun datore di lavoro di richiedere all’autoritàpubblica la valutazione sulle obbligazioni a cui è vincolato. Fon-damentalmente, ogni impresa con più di venti dipendenti deveassumere almeno il 5% di lavoratori disabili, potendo pagare multecompensative (tra 115E e 290E) in caso di mancato rispetto delrequisito. Come in altri ordinamenti, il fondo che raccoglie questesomme è destinato a sostenere i costi di una serie di attività miratealla tutela e alla integrazione dei disabili stessi. Il tutto si basadunque su un meccanismo di tipo “contrattuale”, privatistico.

Il datore di lavoro ha poi alcuni obblighi specifici da rispettarenei confronti dei lavoratori disabili: attribuzione di mansioni com-patibili con le loro capacità, accesso prioritario alla formazioneprofessionale sul luogo di lavoro, facilitazioni nell’accesso allaformazione esterna, ambiente di lavoro adeguato e privo di bar-riere, riserva di somme adeguate da vincolare a questo scopo.Inoltre: il disabile gode di priorità nell’accesso al lavoro part-time sequesto è necessario in conseguenza della sua particolare condi-zione; esistono procedure preventive per evitare il licenziamentonel caso in cui il rapporto lavorativo entri in crisi; esiste una formadi integrazione professionale in caso di inabilità al lavoro superiorea sei settimane nel corso di un anno; si concedono cinque giorni diferie aggiuntivi in un anno.

La protezione contro il licenziamento prevede che questo possaintervenire dopo l’autorizzazione di apposito ufficio (“Ufficio perl’integrazione”) se il lavoratore è impiegato da oltre sei mesi e seaveva chiesto il riconoscimento dello status almeno tre settimaneprima. Se viene licenziato in assenza di autorizzazione, il dipen-dente disabile deve contestare entro tre settimane la violazione.L’Ufficio per l’integrazione decide con un margine di discrezione epuò convalidare un licenziamento per giusta causa se questa nonha nulla a che vedere con la disabilità.

Esistono alcuni strumenti di rappresentanza dei disabili insede collettiva: in primo luogo è previsto un Rappresentante deidisabili gravi (eletto democraticamente e sostanzialmente titolaredi diritti di informazione, ma non di codeterminazione), inoltre iconsigli aziendali hanno alcuni obblighi con riferimento alla tuteladella posizione dei disabili, infine il datore di lavoro è onerato diconcludere specifici accordi su questa materia con le appositerappresentanze in azienda.

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Volgendo lo sguardo al divieto generale di discriminazione, giàsi è detto che nell’ordinamento tedesco esso è modellato su quantoprevisto dalla direttiva europea del 2000 e abbraccia anche ladiscriminazione semplice. Una regola fondamentale è l’inversionedell’onere della prova a beneficio del soggetto disabile in caso dicontroversia, inoltre opera una presunzione per cui in caso diviolazione degli obblighi procedurali a favore dei disabili questo èun indice del trattamento discriminatorio.

Una interessante questione si è posta dinanzi al Tribunalefederale del lavoro proprio nel corso del 2016. Tale giudice haaffermato che il datore ha diritto a porre apertamente la questionedella disabilità quando stipula un nuovo contratto di lavoro, conconseguente assenza di un “diritto al segreto” (rectius, tutela dellaprivacy) del disabile relativamente alla propria condizione. Il mec-canismo è quindi opposto a quello che opera quando si offre tutelacontro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Questoorientamento pare in contrasto con la politica di piena integrazioneperseguita dalle norme del Codice sociale, essendo il diritto a tenerenascosta la condizione di disabilità una diretta conseguenza di undiritto personale fondamentale al pieno sviluppo della propriapersonalità.

In conclusione si può osservare che il diritto tedesco conriferimento a questo tema è un diritto in evoluzione, è sempre più“pubblicistico” e meno “civilistico”, ma non privo ancora di alcunilimiti. Tra questi si segnala che la legge consente molti comporta-menti opportunistici da parte dei datori, anche in virtù dellaeccessiva articolazione e complessità tecnica delle previsioni nor-mative.

4.6. I Paesi Bassi.

In Olanda l’evoluzione storica è passata inizialmente attra-verso una legge generale sulla malattia all’inizio del ventesimosecolo, poi attraverso una legge del 1967 sulla disabilità che pro-pone una visione unitaria del fenomeno, escludendo la distinzionetra rischio sociale e rischio professionale. In conseguenza di questadisciplina, però, sono considerevolmente aumentati i soggetti chegodevano dei requisiti per essere considerati disabili e dunqueprotetti, giungendo alla fine degli anni ottanta a circa il 20% dellapopolazione: rimane famosa la frase del 1990 del Premier Ruud

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Lubbers che affermò « l’Olanda è malata » con riferimento al-l’esplosione del fenomeno.

In quell’anno, infatti vi erano circa novecentomila beneficiaridei trattamenti di lungo termine di sostegno alla disabilità. Inter-venne pertanto una nuova disciplina razionalizzatrice, la leggesull’assicurazione contro la disabilità (c.d. WAO (23)). Essa fuaccolta positivamente dagli imprenditori, allargò leggermente lemaglie della licenziabilità dei lavoratori disabili e portò, a partiredagli anni novanta, alla tendenziale privatizzazione del sistema.

Con un’altra legge del 1996, in particolare, si privatizzò ilsistema di tutela contro la malattia: l’art. 7:629 del codice civiledisponeva infatti che il datore di lavoro dovesse pagare il 70%della retribuzione durante il primo anno di malattia (nel 2004 taleperiodo è stato esteso a due anni), ma il tutto era basato sull’ap-poggio su compagnie private di assicurazione. Vennero introdottianche incentivi ai datori per favorire la reintegra dei lavoratori incaso di cessazione del rapporto a causa della malattia, pur essendosempre prevista una speciale protezione contro il licenziamentoillegittimo nel medesimo periodo.

Nel 1998 per i casi di disabilità di lungo termine si introdusseun sistema assicurativo con premio variabile, commisurato almutamento del grado di rischio (c.d. experience rating), a carico deldatore di lavoro per i primi dieci anni. Nel 2005 venne inserita unaopzione volontaria per il datore che, a proprio rischio, può rinun-ciare a pagare il premio, senza che con ciò venga meno il suo oneredi corrispondere il sussidio in presenza dei requisiti.

Già nel 2001 però il sistema si era mosso nella direzione direndere autoresponsabili i datori di lavoro, attribuendo allo Statoun ruolo di chiusura (lo Stato come “guardiano”): le imprese hannoun onere di favorire la reintegrazione nel mercato del lavoro deldisabile che abbia perso il posto (o nel proprio contesto produttivoo altrove) e lo Stato può sanzionare il mancato svolgimento di talefunzione imponendo il pagamento aggiuntivo di un anno di retri-buzioni. Si deve peraltro sottolineare che restano talora un’inco-gnita le modalità con cui deve realizzarsi questo supporto allareintegrazione nel mercato del lavoro.

Nel 2013 è intervenuta una nuova legge sulla tutela nei con-

(23) Si tratta dell’acronimo in lingua olandese.

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fronti della malattia, basata su un sistema premiale di benefit c.d.di experience rating. Questa novità dovrebbe prevenire la tendenzaa fronteggiare il peso della disabilità di lungo termine con l’uso dellavoro flessibile e precario.

Gli ultimi sviluppi raccontano del Ministro degli Affari sociali,Lodewijk Frans Asscher, che ha recentemente proposto un alleg-gerimento del carico di oneri per le piccole e medie imprese, chedovrebbe realizzarsi riducendo il grado di “privatizzazione” delsistema assicurativo e di protezione. Allo stato, peraltro, si trattadi mere proposte.

4.7. Il Regno Unito.

Nell’ordinamento britannico l’evoluzione storica nel corso delnovecento ha condotto da un sistema basato su dipendenza epaternalismo a uno basato su interdipendenza e autonomia. Ilprimo intervento normativo specificamente dedicato ai disabilirisale al 1944 (e già all’epoca si prevedeva un sistema di quote perle assunzioni). Nel 1948 invece si riformò il sistema di assistenzanazionale aumentando i poteri delle autorità locali. Nel 1970 unalegge su disabilità e malattie croniche ampliò gli oneri delle pub-bliche autorità, ponendosi come anticipatrice del principio di pa-rità di trattamento in senso moderno. Il momento chiave però èforse nel 1995, quando fu varata una legge contro le discrimina-zioni basate sulla disabilità: si trattava della prima legge di questotipo a livello europeo. Essa pose fine al sistema delle quote eintrodusse l’obbligo di accomodamenti ragionevoli. Alcuni regola-menti del 2010, infine, hanno introdotto dei codici di buone prati-che, da rispettare sotto la supervisione della Commissione perl’eguaglianza e i diritti umani.

Nel 2010, inoltre è stata emanata una legge molto importante(il c.d. Equality Act) che ha inquadrato la disabilità come unfattore oggetto di specifica protezione contro trattamenti discrimi-natori e ne ha dato una definizione: « menomazione fisica o mentaleche produca effetti negativi sostanziali e di lungo periodo sullapossibilità di svolgere le normali attività quotidiane ». Il requisitodel “lungo termine” si ritiene integrato quando il periodo rag-giunga i dodici mesi (v. caso Patel v. Oldham del 2010). Quello degli“effetti negativi sostanziali” è invece presente quando la riduzione

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delle capacità porta queste ultime ad essere veramente modeste (v.caso Goodwin v. Patent Office del 1999) (24).

La portata della nozione di discriminazione basata sulla disa-bilità è molto ampia nel Regno Unito e include la disabilità passataoltre a una serie di patologie come la distrofia muscolare, il cancro,l’HIV, la cecità, etc. Non sono invece incluse le condizioni didipendenza da alcool, nicotina e sostanze stupefacenti.

Attraverso l’evoluzione giurisprudenziale (la sentenza è delresto il formante che più caratterizza l’ordinamento anglosassone)il modello di disabilità è diventato sempre più di tipo “sociale”,anche in virtù dell’evoluzione della giurisprudenza europea (25).

Nel quadro dei divieti di discriminazione e delle regole a tuteladella privacy, è previsto che il datore al momento dell’assunzionenon possa in generale rivolgere domande sullo stato di salute delcandidato, ma sono consentite alcune domande relative a: even-tuali necessità di adattamento del luogo di lavoro; idoneità delcandidato allo svolgimento di una specifica funzione; valutazionedelle diversità tra i profili professionali dei candidati a un deter-minato posto; adozione di azioni positive per assistere i disabilidurante il rapporto.

La protezione speciale accordata ai soggetti disabili, a prescin-dere dalla presenza di trattamenti discriminatori diretti o indiretti,consente agli interessati di rivendicare in giudizio l’adozione degliaccomodamenti ragionevoli qualora determinate circostanze ine-renti al rapporto di lavoro mettano la persona disabile in condi-zione di “svantaggio sostanziale” (vedi il caso Archibald v. FifeCouncil del 2004).

In Regno Unito, inoltre, è tenuta in grande considerazione lac.d. discriminazione per associazione (o “discriminazione asso-ciata”): uno dei più importanti leading case in materia (26) arrivòinfatti alla Corte di Lussemburgo dai tribunali britannici: la fatti-specie si verifica quando un lavoratore che non versa in stato didisabilità subisce un trattamento deteriore in virtù del suo legame

(24) Sulla nozione di “normali attività quotidiane” si veda invece il caso Banaszczykv. Booker del 2015.

(25) Cfr. sentenza Kaltoft, causa C-354/13 e sentenza Danmark, causa C-335/11.(26) V. CGUE, sentenza Coleman v. Attridge Law, causa C-303/2006, in Riv. crit. dir.

lav., 2008, 1169, con nota di L. CALAFÀ, Disabilità, discriminazione e molestia « associata »: ilcaso Coleman e l’estensione elastica del campo di applicazione soggettivo della direttiva 2000/78.

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con un’altra persona disabile oppure perché viene percepito comedisabile. La Corte di giustizia europea impone che anche in tali casisi accordi la protezione richiesta dalla direttiva 2000/78/CE.

Qualora il lavoratore debba richiedere tutela in sede giudizialeha tre mesi di tempo per attivare il ricorso e una volta allegata lacircostanza della discriminazione l’onere della prova è trasferito incapo al datore di lavoro. I rimedi che può accordare il tribunale dellavoro sono essenzialmente di tre tipologie: una dichiarazioneinerente alla sussistenza del diritto; un risarcimento; una “racco-mandazione” nei confronti del soggetto responsabile, cui questo sideve adeguare.

Nell’ambito della sicurezza sociale, l’ordinamento anglosas-sone prevede poi dei benefici economici da erogare direttamentealle persone disabili, che si basano sul principio della personaliz-zazione e individualizzazione dei trattamenti e sono legati allecondizioni economiche, lavorative e alla potenzialità lavorativa(“capability work assessment”) della persona.

Nel settore pubblico la tutela del disabile passa attraverso trefondamentali oneri legati al principio di eguaglianza sostanziale(che informa l’Equality Act): eliminare discriminazioni, molestie evittimizzazioni; accrescere l’eguaglianza delle opportunità tra lepersone protette dalla normativa antidiscriminatoria e quelle nonprotette; favorire le buone relazioni tra tali ultime categorie disoggetti. Il primo di questi tre oneri si declina rimuovendo ominimizzando gli svantaggi in cui incorrono i soggetti coinvolti,adottando misure per venire incontro alle esigenze delle personeprotette quando queste differiscono dalle esigenze della generalitàdei lavoratori; incoraggiando le persone dei gruppi protetti apartecipare alla vita pubblica o ad altre attività in cui normal-mente partecipano meno.

In conclusione si può osservare che la legislazione britannica èstata senz’altro all’avanguardia con l’intervento del 1995, ma oggirimangono diverse sfide da affrontare: un tasso di occupazione deidisabili ancora molto basso, ulteriormente inferiore se si conside-rano i lavoratori impiegati a tempo pieno, una retribuzione deilavoratori disabili inferiore di circa il 10% rispetto a quella media,la tendenza alla creazione di unità produttive “confino” (“shelteredworkshops”) e un livello troppo elevato dei contributi fiscali dapagare per agire in giudizio dinnanzi al tribunale del lavoro.

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4.8. La Spagna.

La Costituzione spagnola effettua un esplicito richiamo alladisabilità all’art. 49, ove si postula il dovere dell’autorità pubblicadi prevenire, curare, riabilitare ed integrare le persone con disabi-lità, con una formulazione che rappresenta una chiara esplicazionedel principio di eguaglianza sostanziale, che pone determinateobbligazioni a carico dello Stato.

Nella legislazione ordinaria, il più recente riordino della disci-plina in materia di disabilità è stato effettuato con il Real DecretoLey n. 1/2013, che agli artt. 35 e 36 garantisce il diritto al lavoro deidisabili assicurando che sia implementato il principio di egua-glianza sul lavoro e vietando discriminazioni dirette e indirette. Gliartt. 67 e 68, inoltre, per assicurare l’eguaglianza delle opportunità,prevedono l’adozione delle c.d. “azioni positive”. Anche la legge sullavoro adottata con il Real Decreto Ley 3/2015 si sofferma sullamateria.

La nozione di disabilità in Spagna si fonda su due elementi: inprimo luogo la disabilità deve essere connessa ad una “limitazione”a livello fisico, cognitivo, intellettuale o sensoriale; in secondo luogola menomazione deve avere una durata lunga (o almeno prevedi-bile come tale), altrimenti si tratta di mera malattia. In ogni casoun lavoratore è considerato disabile quando gli viene riconosciutoun grado di disabilità uguale o superiore al 33%, determinatosecondo le procedure e la graduazione previste nella legge citata.

Il divieto di discriminazione abbraccia la discriminazione di-retta e indiretta e viene sostenuto anche dalla previsione di cuiall’art. 9, comma II, della Costituzione, che ricorda molto l’art. 3,comma II, della Costituzione italiana, richiedendo all’autoritàpubblica la “rimozione degli ostacoli” che impediscono la realizza-zione dell’individuo e la sua partecipazione alla vita politica,economica, culturale e sociale (quindi anche al lavoro).

L’art. 40, comma II, della legge del 2013 introduce l’obbligoper le imprese di adottare accomodamenti ragionevoli per adattarei luoghi di lavoro e garantire l’accessibilità di questi. In particolarequeste misure devono garantire a tutti i lavoratori disabili di poterprogredire nella carriera e ricevere formazione, a meno che talimisure non impongano un onere troppo gravoso al datore. Perstabilire se tali oneri siano o meno proporzionati bisogna tenereconto del sostegno pubblico che le imprese ricevono, del costo di

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esso, della dimensione e del “turnover totale” richiesto all’azienda,con ciò risultando più difficile che l’onere sia considerato eccessi-vamente gravoso nel caso di imprese di grandi dimensioni.

I meccanismi di collocamento dei disabili sono di vario tipo:ordinari e protetti. In primo luogo esistono degli incentivi econo-mici. Esiste poi un sistema di quote, che può essere evitato conmisure alternative. Infine, si prevedono strumenti di sostegnoanche al lavoro dei disabili prestato in forma autonoma.

Con riguardo agli incentivi, c’è anzitutto da sottolineare chequesti sono indirizzati a favorire la stipulazione di contratti atempo indeterminato, poi bisogna distinguere tra gli incentiviconsistenti in uno sgravio che riduce il costo del lavoro abbassandola contribuzione dovuta al sistema di sicurezza sociale e quelliconsistenti in una erogazione di somme di danaro.

Le quote, invece, che sono l’esempio tipico di azioni positive inquesto campo, sono previste con regole diverse sia nel settorepubblico che in quello privato. Nel primo caso si deve riservare il7% dei posti vacanti ai soggetti disabili (il 2% a chi soffre dimenomazioni di natura intellettuale). Nel secondo caso le impreseche impiegano più di cinquanta lavoratori devono assumere il 2%di lavoratori disabili.

È possibile adottare misure alternative al rispetto di tali quotein presenza di due presupposti: o l’agenzia per l’impiego non è ingrado di trovare un lavoratore disabile per la posizione richiestaoppure sussistono ragioni economiche, tecniche, organizzative eproduttive alla base di una particolare difficoltà nell’integrazionedei lavoratori disabili nella compagine aziendale. Tali misure sonodi tre tipologie: stipulazione di un contratto commerciale con unospeciale centro per l’impiego o coinvolgimento di un disabile lavo-ratore autonomo nell’approvvigionamento di materie prime, mac-chinari o equipaggiamenti; medesima procedura per garantire ser-vizi e strumentazione al di fuori della ordinaria attività aziendale;donazioni e promozione di attività varie finalizzate allo sviluppodell’occupabilità dei disabili e alla creazione di idonei posti dilavoro.

In Spagna l’impiego in forma autonoma è un canale alterna-tivo di impiego dei disabili molto incentivato, sia in contestispecificamente dedicati a tali soggetti (sheltered employment) sia insituazioni ordinarie di impiego: in particolare si prevedono beneficieconomici per aziende e imprenditori per ciascun lavoratore auto-

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nomo disabile del quale siano committenti per la realizzazione diopere o servizi. Altri benefit sono invece riservati direttamente aidisabili impegnati come autonomi o free-lance.

I contesti lavorativi “protetti” (sheltered) sono creati da entipubblici e privati (anche imprese) e sono individuati come quelli incui « il principale obiettivo è sviluppare un’attività produttiva dibeni e servizi partecipando regolarmente al mercato con la finalitàdi assicurare impiego redditizio ai lavoratori disabili » e che aquesti ultimi « devono garantire servizi, supporto e adattamenti sullavoro ». L’onere fondamentale è che il personale dell’unità pro-duttiva “protetta” sia costituito dal maggior numero possibile dilavoratori disabili: almeno il 70% della manodopera complessivasenza contare i soggetti preposti a garantire servizi e adattamentispecifici. A queste condizioni il governo garantisce un supportoeconomico per assicurarne la fattibilità.

Per evitare però la versione deteriore degli sheltered workshops,ossia il fenomeno delle c.d. enclave lavorative, esistono meccanismiche agevolano il transito verso imprese “ordinarie”: in particolarequeste ultime stipulano dei contratti con i centri per l’impiego perprogrammare il coinvolgimento progressivo dei disabili in alcuneattività.

4.9. L’Ungheria.

Il punto di partenza è stato un’analisi statistica di alcuni datirelativi alla popolazione disabile in Ungheria: nel censimento del2001 è risultato che il 5,7% della popolazione fosse disabile. Il datoè sceso al 4,6% nel 2011. Considerando che circa il 10% dellapopolazione ha un qualche tipo di invalidità è ragionevole ritenereche in Ungheria vi siano circa un milione di invalidi.

Il problema fondamentale è il basso tasso occupazionale deidisabili (circa il 18% nel 2011) e la collocazione del 90% di costoroin “reparti confino”.

Il quadro delle fonti è articolato: le più rilevanti sono la leggesui disabili del 1998 (Legge ungherese sulla disabilità), la legge del2003 sulla parità di trattamento, il codice del lavoro del 2012 e lalegislazione sulla sicurezza sociale. Esiste anche un programmanazionale decennale (2015-2025) sulla disabilità.

Non esiste una unica definizione di disabilità nell’ordinamentoungherese, dove vi è un elevato livello di confusione concettuale.

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In alcune fonti normative, focalizzate sulla concessione di beneficieconomici e sulla garanzia della parità di trattamento, si adottauna definizione più restrittiva; in altre si parla di “lavoratori in unostatus speciale”, di “gruppi vulnerabili” e di “lavoratori che hannomodificato le loro abilità”. Quest’ultima nozione è di tipo medico,è finalizzata alla garanzia di idonee politiche occupazionali e disicurezza sociale e si declina in alcuni casi con un sistema di calcolodell’invalidità in punti percentuali, in altri casi con riferimento amenomazioni di varia natura.

Alcune definizioni (per esempio per concessioni di agevolazioninell’uso dei trasporti) contengono una lista tassativa di patologie,il che complica notevolmente il quadro normativo.

Il codice del lavoro si allinea alle norme del codice civile conriferimento al tema della capacità giuridica del soggetto disabile.In particolare, in presenza di un rappresentante legale, è richiestoil consenso di questo per la validità degli atti (dei minori lavoratorio della persona la cui capacità di agire è limitata) relativi allastipula, modifica o estinzione del contratto di lavoro.

Anche in Ungheria esistono obbligazioni inerenti agli accomo-damenti ragionevoli: questi devono essere garantiti in ogni conte-sto lavorativo in forma progressiva. La previsione, peraltro, èestremamente generica e mancano del tutto sia norme di maggiordettaglio, sia interventi amministrativi o giurisprudenziali sultema, il che dimostra la notevole ineffettività della previsionelegale. In dottrina si è ritenuto che l’omissione degli a.r. debbaessere considerata come una sottocategoria della discriminazioneindiretta.

La protezione speciale in materia di licenziamento (art. 66,par. 7, del codice del lavoro) prevede che il datore possa interrom-pere il rapporto con il lavoratore che abbia capacità lavorativaridotta per ragioni di salute e che stia seguendo un trattamentoriabilitativo solo se: il lavoratore non può più essere impiegatonella sua posizione originaria; nessun’altra posizione compatibilecon la sua condizione è disponibile; il lavoratore rifiuta un’offertadi lavoro senza giustificato motivo.

Dall’art. 212 del codice del lavoro emerge che il contratto dilavoro degli invalidi è peculiare (“atipico”) sotto alcuni profili. Ilbackground in materia è costituito dalla sentenza n. 39 /2011 dellaCorte Costituzionale, sulla scorta della quale la legge oggi prevedeche:

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— i disabili possono concludere contratti di lavoro per fun-zioni che siano in grado di svolgere in forma stabile e continuativain considerazione della loro condizione sanitaria;

— deve essere dettagliato il quadro delle responsabilità dellavoratore, connesse anch’esse allo stato di salute;

— il lavoratore deve essere costantemente supervisionato pergarantire il rispetto degli obblighi di sicurezza;

— le norme a tutela dei lavoratori giovani si applicano aidisabili, con la precisazione che questi ultimi non possono esserecostretti a risarcire eventuali danni.

In proposito si è evidenziato che alcune voci in dottrina (es.HALMOS 2016) criticano radicalmente questo approccio fatto pro-prio dalla legislazione recente poiché ancorato a basi teorichescorrette, laddove non si distingue tra le categorie della capacitàlegale e della capacità lavorativa.

La legge (art. 264 del codice del lavoro) attribuisce agli organirappresentativi dei lavoratori in azienda (consigli aziendali) alcunipoteri e responsabilità, ma le previsioni, si è osservato, sono so-stanzialmente lettera morta. I datori dovrebbero consultare iconsigli prima di adottare decisioni programmatiche o azioni checoinvolgano un ampio numero di lavoratori. In particolare, tra taliazioni dei datori si includono quelle relative alla « riabilitazione deilavoratori con menomazioni sanitarie e ridotta capacità lavora-tiva ».

All’art. 118 si prevedono alcune ipotesi di sospensioni e congediper il lavoratore che abbia figli minori di sedici anni. Il limite deigiorni di astensione dal lavoro è aumentato in caso di figli disabili.Inoltre, una sospensione ulteriore è concessa anche ai lavoratoriche abbiano subito una menomazione invalidante di oltre il 50%,che siano destinatari del sussidio previsto per i disabili o delbeneficio attribuito ai ciechi.

Sono poi previsti permessi e congedi non retribuiti per i lavo-ratori che devono assistere un parente disabile per lunghi periodi(tra i 30 giorni e i 2 anni). In caso di licenziamento il periodo dipreavviso non può iniziare a decorrere prima del giorno successivoall’ultimo giorno di congedo non retribuito. Sono infine previstialcuni sussidi a favore di chi svolge queste attività di cura (non piùdi 29,50 fiorini al mese, ossia meno di 100E).

Il sistema del collocamento obbligatorio articola le quote nelmodo seguente: le imprese che occupano oltre 25 lavoratori devono

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assumere almeno il 5% di lavoratori disabili e la legge prevedel’irrogazione di una sanzione economica a carico delle imprese chenon rispettino tale quota.

I datori che impiegano lavoratori con mutata o ridotta capa-cità lavorativa si devono accreditare presso gli uffici competentiper ottenere un sussidio. A tale fine l’impiego dei lavoratori disabilipuò essere sia a tempo indeterminato sia determinato. E può essereorientato alla riabilitazione o realizzato in unità produttive pro-tette.

A livello di politiche sociali si segnala un recente mutamento ditendenza: dalle politiche basate sui benefit ci si muove verso unamaggiore attenzione all’occupazione e all’inserimento degli invalidinel mercato del lavoro, anche nel rispetto delle linee guida europeein materia. Si sono pertanto ridotte le prestazioni di sicurezzasociale. Dal 2007, in particolare, le pensioni di invalidità “passiva”sono state quasi completamente sostituite da sussidi garantiti infunzione di attività riabilitative. Il modello medico di valutazionedella capacità lavorativa, inoltre, è progressivamente sostituito daun approccio che connette quest’ultima alle potenzialità di recu-pero e riabilitazione che ha la persona coinvolta.

Alla fine del 2011 si è approvata una nuova legge sui sussidi allepersone con capacità lavorativa mutata che inquadra il fenomenoin termini “sociali” più che medico-sanitari e disciplina aspettiattinenti alla reintegrazione sociale e al sostegno al reddito, foca-lizzando la valorizzazione della “capacità lavorativa residua”.

I destinatari del sussidio riservato a chi ha subito un muta-mento della propria capacità lavorativa, più nel dettaglio, devono:

— avere uno stato di salute pari al 60% o inferiore;— essere stati in malattia per almeno 1095 giorni negli ultimi

cinque anni;— non svolgere alcuna attività lavorativa remunerata;— non ricevere altre entrate economiche regolari.Tale sussidio, appartenente alla categoria delle assicurazioni

sanitarie pubbliche, si distingue in due componenti: una destinataalla riabilitazione (e limitata al tempo necessario alla ripresa di unacondizione di “normalità”), se questa è possibile entro tre annidall’inizio dell’erogazione del beneficio, e una destinata alla disa-bilità tout court, se non è possibile alcun tipo di riabilitazione.L’ammontare è determinato dalla legge, entro limiti minimi emassimi commisurati al precedente reddito e alla presumibile

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rapidità della riabilitazione. Per avere accesso al sussidio l’autoritàpubblica effettua una valutazione complessa, che tiene conto diprofili sanitari e sociali della persona.

5. Comparazione orizzontale.

In questa sezione sono riportati i principali risultati dell’ap-profondimento svolto nei gruppi di lavoro e presentato nella se-conda parte del seminario. Sono stati selezionati i seguenti quattrotemi:

— I gruppo: “La definizione di disabilità”. Tutor: Prof. IacopoSenatori. Membri: Christoph Ludvik (Austria); Alexander Maes(Belgio); Lucie Jubert (Francia); Ilaria Bresciani, Simone D’Ascola(Italia); Philipp Matzke (Germania); Samiha Said (Paesi Bassi);Katrina Sissins (UK); Rafael Moll (Spagna); Adrienn Lukács (Un-gheria).

— II gruppo: “Gli accomodamenti ragionevoli”. Tutor: Prof.ssaCarla Spinelli. Membri: Lisa Jobst (Austria); Miet Vanhegen (Bel-gio); Emma Ben Abdallah (Francia); Stefania Buoso, Alida Cima-rosti, Giovanna Pistore (Italia); Nicole Thoma (Germania); ImkeLintsen (Paesi Bassi); Eduardo Taléns (Spagna); Éva Konta (Un-gheria).

— III gruppo: “Il collocamento mirato”. Tutor: Prof.ssa MariaCristina Cimaglia. Membri: Verena Zwinger (Austria); ThomasDouillet (Belgio); Laure Beaujot (Francia); Francesca De Michiel,Giulia Frosecchi, Giuseppina Pensabene Lionti (Italia); JulianStassek (Germania); Marcus Meyer (Paesi Bassi); Oscar Requena(Spagna); Flóra Farkas (Ungheria).

— IV gruppo: “Speciali protezioni e approccio anti-discrimina-torio”. Tutor: Prof.ssa Elisabeth Brameshuber. Membri: MichaelaLexer (Austria); Evelien Timbermont (Belgio); Carlotta Favretto,Giulia Marchi (Italia); Cindy Schimank (Germania); Monique vander Poel (Paesi Bassi); Eva Gredilla (Spagna); Katalin Bagdi(Ungheria).

5.1. Disabilità e definizioni.

L’individuazione della definizione di disabilità è fondamentaleper delimitare il campo di applicazione della normativa prevista in

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materia e stabilire chi sono i destinatari di determinate previsioni.La finalità del lavoro del primo gruppo è stata offrire una visioneglobale, non dettagliata. Si è provato a evidenziare quali elementierano ricorrenti e comuni tra i vari paesi e quali invece fossero leprincipali differenze, con l’accortezza iniziale di sottolineare cheanche all’interno della legislazione di un unico ordinamento spessoconvivono diverse nozioni di disabilità, difficili da coordinare traloro.

Nell’intreccio delle fonti normative che offrono diverse defini-zioni bisogna tenere conto della compresenza di diversi livelli(europeo e domestico) e formanti (legislativo, giurisprudenziale econtrattuale-collettivo).

I principali settori della legislazione in cui rileva la nozione didisabilità sono tre in quasi tutti i paesi: disciplina del rapporto dilavoro, norme di sicurezza sociale e diritto antidiscriminatorio.

I due approcci definitori principali sono invece quello medico equello sociale: in particolare, in via tendenziale si impiega il primoapproccio nell’ambito delle norme di sicurezza sociale (emblema-tico il caso francese) e il secondo nel diritto antidiscriminatorio,mentre per la disciplina del rapporto di lavoro la tendenza èoscillante, anche se l’approccio sociale si sta diffondendo semprepiù anche in questo ambito (per es. l’Italia ha aggiunto di recenteelementi di questo tipo dentro una legislazione tradizionalmentefondata su parametri definitori medico-sanitari). Un ruolo rile-vante è poi ricoperto in materia dalla giurisprudenza della Corte diGiustizia UE, che tende nettamente a valorizzare la “nozionesociale” di disabilità (27).

Con riguardo alla formulazione delle definizioni è emerso chenella maggior parte degli ordinamenti si impiegano elementi nega-tivi, descrivendo ciò che il disabile “non può fare” (es.: Austria,Belgio, Francia, Italia, Germania, Paesi Bassi), ma in alcuni casi siindividua la persona disabile anche descrivendo ciò che questa“può fare” (così per certi versi in Spagna e Ungheria). Le sceltelessicali nella legislazione sono comunque sempre legate al contestoe alla finalità della specifica definizione.

Un altro problema significativo da tenere presente è quello dei

(27) Si pensi alle sentenze Kaltoft, causa C-354/13 e Danmark, cause C-335/11 eC-337/11.

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concetti contigui a quello di disabilità, sia perché talora usati inmaniera fungibile (o imprecisa) nella legislazione, sia soprattuttoperché a certi fini il trattamento riservato ai lavoratori che versanoin tali situazioni è assimilato a quello dei lavoratori disabili: ilriferimento è a determinati tipi di infermità, a condizioni di par-ticolare fragilità (28), alla disabilità percepita (29) e soprattuttoalle malattie croniche (30).

La descrizione della disabilità si basa di solito su tre elementi:l’esistenza di una menomazione, il contesto e la durata dellasituazione di invalidità.

Con riguardo alla menomazione, nelle diverse legislazioni siusano termini diversi ma tendenzialmente di stampo medico (fi-sico, mentale, cognitivo, biologico, sensoriale), anche se, in virtùdello spostamento verso nozioni “sociali” di disabilità non man-cano espressioni più caratterizzate in tal senso come quelle checonsiderano una menomazione comunicativa, psico-sociale o, se-condo il più moderno orientamento europeo, “bio-psico-so-ciale” (31).

Il contesto è invece determinato dalla finalità protettiva cuirisponde un determinato intervento normativo: per tale ragioneuna condizione sanitaria patologica in certi casi può essere disabi-lità e in altri no. I settori della vita considerati sono perlopiù iseguenti: l’inserimento nel mercato del lavoro (inteso come capa-cità di lavorare e di ottenere un impiego adeguatamente remune-rativo), lo svolgimento di attività quotidiane, l’integrazione alivello di apprendimento e formazione, l’effettiva partecipazionealla vita sociale. La legge considera questi aspetti utilizzando di

(28) Per es. la Corte di Giustizia ha considerato assimilabile alla disabilità (perrendere operativo il divieto di discriminazione di cui alla direttiva CE 2000/78) la condizionedi obesità che, di per sé, potrebbe addirittura non essere considerata patologica. Ma se talecondizione ostacola il regolare svolgimento del lavoro si può operare questa analogia (v. ilcitato caso Kaltoft).

(29) Con il meccanismo citato della “discriminazione per associazione”.(30) In materia il leading case recente più importante è la citata sentenza Danmark.

In questi casi, peraltro, la CGUE amplia la nozione di disabilità interpretando il dirittoeuropeo alla luce della UNCRPD, a conferma della rilevanza dell’intreccio tra diversi livellinormativi più volte sottolineato.

(31) L’approccio bio-psico-sociale sarebbe quello fatto proprio dalle più recentisentenze della CGUE: v. A. VENCHIARUTTI, La disabilità secondo la Corte di Giustizia: ilmodello bio-psico-sociale diventa “europeo”?, in Diritti comparati, 15 maggio 2014.

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solito un “comparatore” ossia valutando quanto la condizione deldisabile lo obbliga a discostarsi da un soggetto “normale” in quegliambiti.

La valutazione degli uffici pubblici sulla condizione si basa inquasi tutti i paesi sull’elenco di possibili menomazioni associato aun punteggio percentuale relativo alla gravità dell’invalidità. NeiPaesi Bassi non esiste questo elenco; in Spagna esiste ed è tassa-tivo; nella gran parte dei paesi esiste, ma non è tassativo.

Si deve segnalare che, specie nell’ambito della legislazione sullasicurezza sociale, alcuni paesi considerano anche l’elemento econo-mico (la perdita di una determinata percentuale di reddito) comeindice ausiliario della condizione di disabilità (accade in Austria,Belgio, Francia, Paesi Bassi e Spagna).

Con riguardo all’elemento temporale della durata, è emerso chediversi paesi non quantificano la durata necessaria della condizionedi invalidità affinché questa costituisca una disabilità ma impie-gano espressioni generiche come “stabile” o “permanente” (es.:Francia, Ungheria, Italia e Spagna), mentre altri considerano cometempo minimo 6 mesi (Austria, Belgio e Germania), 1 anno (RegnoUnito) o 2 anni (Paesi Bassi).

5.2. Gli accomodamenti ragionevoli.

Su questo tema si deve preliminarmente ricordare la citataquestione terminologica relativa alla difficile traducibilità dell’e-spressione reasonable acccommodations (v. nota n. 11). Ciò posto, sisegnala anzitutto come praticamente tutte le fonti in materiafacciano oggi riferimento al dovere di adozione di tali accomoda-menti, a tutti i livelli: dalla UNCRPD alle direttive europee, allelegislazioni nazionali.

Gli accomodamenti ragionevoli, ci si è poi chiesti, costituisconosempre “azioni positive” finalizzate a raggiungere una appagantesituazione di eguaglianza sostanziale? Non sempre: entro certilimiti sono riconducibili al principio di eguaglianza formale, maspesso nella loro implementazione richiedono che si intervenga coni meccanismi tipici delle azioni positive e più in generale dell’im-plementazione del principio di eguaglianza sostanziale (v. art. 5UNCRPD).

Anche la Strategia europea decennale sulla disabilità (cfr.

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supra) attribuisce agli accomodamenti ragionevoli una posizionecentrale.

Una domanda di partenza importante è poi la seguente: lamancata predisposizione degli a.r. costituisce ex se trattamentodiscriminatorio? La risposta non è univoca. Se si guarda allaUNCRPD, l’art. 2 prevede espressamente che si tratti di unacondotta discriminatoria. La direttiva CE/2000/78, invece, non loprevede espressamente.

La definizione di accomodamenti ragionevoli si ricava anzi-tutto dagli artt. 27 e 2 della UNCRPD. In particolare il secondoparla di « modifiche e adattamenti necessari e appropriati che nonimpongano un sacrificio eccessivo o sproporzionato » (cfr. supra).Questa previsione evoca un modello sociale di disabilità.

Nella Convenzione ONU non vi sono esempi di a.r. ma esistonoun apposito manuale e una serie di decisioni e commenti delComitato che forniscono supporto a tale scopo. L’obbligazionedegli accomodamenti ragionevoli non è assoluta, proprio perché sideve vagliare la “ragionevolezza” delle misure attraverso una sortadi test di proporzionalità (32) che verifichi necessità e appropria-tezza degli a.r.

Nella direttiva europea 2000/78/CE (art. 5) si prevedono prin-cipi simili sull’equilibrio con cui valutare gli a.r. Nel Considerandon. 20 della direttiva c’è una lista di esempi non esaustiva, che parla,ad esempio, degli equipaggiamenti, dell’orario di lavoro e delladistribuzione degli oneri per la formazione e l’integrazione. Lafinalità degli a.r. dovrebbe essere sempre individualizzata, ossiacentrata sulla concreta situazione del disabile e sulle sue necessità.

Anche il Considerando n. 21 aiuta a stabilire cosa è “ragione-vole” precisando che è doveroso tenere presente anche la dimen-sione economica dei costi in relazione alle risorse finanziare dell’or-ganizzazione del datore e la possibilità o meno di ottenere sussidipubblici o altra assistenza.

La giurisprudenza della CGUE, ad esempio, ha stabilito che lariduzione dell’orario di lavoro può essere una misura ragionevole.

A livello nazionale, nei singoli stati, si impiegano diversetecniche per definire nella legislazione cosa siano gli a.r.: talora si

(32) Si ricordi, peraltro, quanto già osservato in precedenza sul “margine di apprez-zamento” in materia.

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traduce l’art. 5 della Direttiva (Belgio e Francia), a volte si procedea una riformulazione dell’obbligo prevista nella stessa (Paesi Bassie Austria), oppure si traduce la formula della Convenzione Onu(Spagna) o la si richiama (Italia). Solo Ungheria e Germaniarisultano prive di una espressa definizione nel proprio dirittopositivo. Le definizioni giurisprudenziali tendono a riferirsi alleprevisioni internazionali.

I paesi europei devono seguire delle linee guida (non vinco-lanti) per effettuare il test all’esito del quale valutare la ragione-volezza delle misure. Gli elementi da tenere conto a questa streguasono i costi, la capacità economica del datore, la dimensionedell’impresa, la capacità lavorativa del disabile, le indennità pub-bliche, gli effetti indiretti sulla comunità dei lavoratori, i rischi persalute e sicurezza sul luogo di lavoro e gli effetti sul tempo dilavoro.

Nelle legislazioni domestiche, l’obbligazione di garantire gli a.r.è recepita nelle fonti normative di contrasto alle discriminazioni,nella legislazione sul rapporto di lavoro e nei contratti collettivi, infonti dedicate ad altri ambiti o nelle policies aziendali.

Alla luce del diritto domestico dei singoli paesi, inoltre, siapprezza meglio la già avocata questione inerente alla automaticanatura discriminatoria (o meno) del mancato rispetto dell’obbliga-zione di predisporre gli a.r.: in alcuni Stati la discriminatorietàsussiste automaticamente (Germania, Paesi Bassi, Belgio e Fran-cia), mentre in altri il passaggio è meno immediato (Austria,Ungheria, Italia e Spagna).

Con riguardo a rimedi e sanzioni, a livello di fonti internazio-nali nulla è specificato, mentre nell’Unione vige l’art. 17 delladirettiva del 2000 che prevede che « gli Stati membri determinanole sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali diattuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedi-menti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni, che possonoprevedere un risarcimento dei danni, devono essere effettive, pro-porzionate e dissuasive ». A livello nazionale, nei vari paesi, sianell’ambito del diritto antidiscriminatorio sia nella legislazione sulrapporto di lavoro, sia prevedono rimedi sia di tipo compensativo(con quantificazione predeterminata o meno del risarcimento spet-tante ai lavoratori coinvolti) sia obblighi di esecuzione “in formaspecifica”, oltre a misure di favore per i soggetti protetti come ad

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esempio l’inversione dell’onere della prova in sede processuale.Non mancano nemmeno le sanzioni pecuniarie amministrative.

Un altro tema significativo è il legame tra gli a.r. e l’obbligo ditutela di salute e sicurezza generalmente vigente in capo ai datoridi lavoro. In particolare, è emerso che quest’ultimo ha tendenzial-mente una maggiore estensione e ci si è chiesti se la predisposizionedegli a.r. sia un’obbligazione da considerare interamente inclusadentro la tutela di salute e sicurezza oppure se la sovrapposizionetra le due sia solo parziale. Non è possibile offrire una rispostaunivoca e certa, ma la conseguenza fondamentale di una sovrap-posizione completa tra i due ambiti sarebbe una sorta di espan-sione ulteriore della portata degli obblighi di sicurezza perché quasiogni violazione di questi diverrebbe un trattamento in sé discrimi-natorio.

5.3. Il collocamento mirato.

Il tema del collocamento obbligatorio dei disabili è fondamen-tale perché è uno dei nuclei classici della disciplina di tutela inmateria e al contempo è un sistema in continua evoluzione perchéè noto che nel contesto presente buona parte della tutela è transi-tata dal rapporto al mercato, con la conseguenza che le politicheattive sono ancor più rilevanti che in passato, specie con riferi-mento alle categorie protette di lavoratori.

Le fonti internazionali rilevanti sono gli articoli 26 e 27 dellaUNCRPD dedicati al diritto al lavoro e alla tutela del mercato dellavoro e delle opportunità di lavoro. Anche nel sistema del Consi-glio d’Europa si deve segnalare l’art. 15 della Carta Sociale Euro-pea che opera un riferimento al tema.

Nell’Unione, invece, vengono in rilievo gli artt. 21 (non discri-minazione) e 26 (integrazione dei disabili) della Carta dei DirittiFondamentali e gli artt. 3 e 7 della direttiva 2000/78/CE. Di questiultimi, il primo si occupa dell’accesso al lavoro, delle condizioni diaccesso al lavoro dipendente e autonomo e della formazione pro-fessionale pratica e teorica, mentre il secondo riguarda le azionipositive.

La strategia 2010-2020, inoltre, pone quattro obiettivi in ma-teria: il diritto fondamentale alla partecipazione, la crescita deltasso di occupazione dei disabili, l’incremento dei processi diformazione e addestramento e la protezione contro i rischi di

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povertà ed esclusione sociale cui vanno incontro tali categorie disoggetti.

Il sistema complesso di tutela dell’accesso al lavoro dei disabilisi può suddividere concettualmente in quattro momenti: le obbli-gazioni derivanti dalle fonti sovranazionali, il procedimento diassunzione, le misure di sostegno e il sistema delle quote.

Nella fase dell’assunzione un ruolo cruciale è ricoperto daiservizi per l’impiego, che si occupano di far incontrare l’offerta e ladomanda di lavoro. Nel farlo, con riferimento ai disabili, nellamaggior parte dei paesi si tengono presenti le caratteristiche “so-ciali” e relazionali dei lavoratori coinvolti, più che quelle medico-sanitarie.

In sede di colloquio in vista dell’assunzione, in quasi tutti ipaesi sono vietate domande relative alla condizione di disabilitàper ragioni di tutela della privacy, ma si è evidenziato che questaregola può avere un risvolto negativo nel senso di assecondare latendenza a nascondere e occultare la propria condizione per merotimore di conseguenze pregiudizievoli.

Tra i soggetti coinvolti nelle procedure di assunzione si anno-verano anche organismi rappresentativi dei lavoratori, chiamatiper consultazioni obbligatorie o investiti del ruolo di stipulareaccordi collettivi in materia. Decisivo è però il ruolo dei c.d. serviziper l’impiego, ossia gli uffici pubblici che devono favorire l’incontrotra le aziende e i lavoratori.

Il sistema delle quote è fondamentale in questo settore. Infatti,nonostante non vi siano espliciti richiami ad esso in nessuna dellefonti europee o internazionali, tutti i paesi interessati lo preve-dono: in tre su otto di questi le quote sono diverse tra settoreprivato e settore pubblico. In Spagna, inoltre, esiste un sistemaspecifico di quote per i soggetti colpiti da una invalidità di tipomentale. Non tutti i paesi prevedono una contribuzione economicaobbligatoria per finanziare il sistema delle quote.

Il principale problema di questo meccanismo di tutela è la suaineffettività: infatti, poiché quasi ovunque si concede alle impresedi non adempiere pagando una somma di danaro non elevatissima,è diffusa in tutti i paesi la tendenza a non rispettare l’obbligo so-stanziale di assunzione di determinate quote di lavoratori disabili.

Le sanzioni per il mancato rispetto delle quote (previste in seipaesi su otto) sono di tipo economico o di tipo interdittivo (ad es.:esclusione dalla partecipazione alle gare d’appalto pubbliche).

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Sul versante opposto, anche le misure di sostegno (a imprese elavoratori) sono di tipo economico e di tipo tecnico. Le prime con-sistono in integrazioni al reddito, esenzioni fiscali o contributive erimborsi di vario genere. Le seconde si realizzano con l’assegnazionedi esperti formatori, con la predisposizione di campagne informativee attraverso la fornitura di tecnici esperti che aiutino a predisporrel’ambiente di lavoro per l’integrazione dei disabili.

Il tema dell’integrazione, peraltro, è cruciale. Con riguardo adesso vi sono due approcci, uno classico, che attribuisce primariaresponsabilità all’autorità pubblica, e uno più moderno, che tendea responsabilizzare i datori di lavoro (che conoscono meglio lecapacità, le skill e le necessità dei lavoratori oltre alle caratteristi-che del luogo di lavoro). Questo secondo approccio prefigura obiet-tivi di lungo termine e si basa di solito su incentivi alle imprese.

Si è poi affrontato anche il tema degli sheltered workplaces, ossiai contesti lavorativi protetti e dedicati specificamente a lavoratoricon determinate caratteristiche. Questi sono previsti in sette su ottodei paesi coinvolti e ci si è domandati se siano una modalità perallinearsi all’art. 27 della UNCRPD (33) oppure se costituiscano unaviolazione dello stesso. È impossibile stabilirlo aprioristicamente,perché ovviamente dipende da come in concreto viene strutturatoil contesto produttivo, ma il rischio che spesso si tratti di strumentidi “esclusione” piuttosto che di “inclusione” è alto, anche perché disolito non esiste una regolamentazione dettagliata in materia.

In conclusione si è evidenziato che in generale il sistema dellequote è largamente ineffettivo (come testimoniano i dati sulladisoccupazione dei disabili) a causa di vari fattori, tra cui lacarenza di meccanismi coercitivi a garanzia del rispetto dellenorme e dell’esecuzione degli ordini provenienti in materia dalleautorità amministrative o giudiziarie e la possibilità per le impresedi adottare arbitrariamente soluzioni alternative. Sarebbe inoltreauspicabile un coinvolgimento maggiore degli organismi collettividi rappresentanza (sindacati e consigli aziendali) e l’attribuzione diun ruolo più rilevante alla contrattazione collettiva per specificarele previsioni legali sovente molto generiche.

(33) Che postula il diritto a lavorare in un mercato del lavoro aperto, inclusivo eaccessibile.

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5.4. Speciali protezioni e approccio anti-discriminatorio.

Per governare adeguatamente il fenomeno della disabilità oc-corre agire su più fronti. Pertanto, oltre ai principali istituti didiritto positivo, bisogna tenere in considerazione anche le politicheseguite in materia a tutti i livelli.

Al centro c’è il principio della dignità umana, che si realizza seciascun individuo ha la possibilità di partecipare alla vita sociale subasi eguali rispetto al resto dei consociati, il che richiede che, entrocerti limiti, sia anche la società a doversi “adeguare” e non solo ilsoggetto protetto che va tutelato e sostenuto. Per entrambe questefunzioni cruciale è la distribuzione dei costi e degli oneri.

Per raggiungere gli obiettivi di piena integrazione sociale deldisabile, infatti, non bastano gli interventi descritti nei paragrafiprecedenti, ma servono anche regole di tutela antidiscriminatoria ealtre misure, che possono essere divise in quattro aree.

La prima area è quella della protezione speciale contro illicenziamento per le persone disabili, che si aggiunge alla tutelaordinaria e di solito si allinea alle regole genericamente previste peril licenziamento discriminatorio (il rapporto tra disciplina specialedel licenziamento discriminatorio tout court e disciplina speciale peril licenziamento del disabile varia di paese in paese: in alcuni laseconda è semplicemente una delle ipotesi della prima, in altri vigeuna disciplina ad hoc).

La seconda area individuata attiene alla rappresentanza degliinteressi dei lavoratori protetti nei confrontideidatori di lavoro: essasi articola attraverso organi generali ed inclusivi (come in Francia)oppure con rappresentanze speciali per le particolari categorie dilavoratori coinvolte (distinguendo, quindi, tra i lavoratori sulla basedel tipo di interesse da tutelare, come ad esempio in Germania). Inmateria non esiste una regolamentazione europea, salvo quanto pre-visto con riferimento alla tutela della salute, che però non è suffi-ciente a tutelare ogni aspetto della sfera di necessità del disabile.

La terza area è costituita da ulteriori benefici accordati al la-voratore invalido. Si considerano ad esempio speciali forme di con-gedo o periodi più lunghi di ferie. Spesso sono trattamenti riservatia chi è in condizioni di disabilità grave, poiché di norma la logica èquella di adattare l’ambiente e le mansioni nell’ottica di consentireal lavoratore di poter poi svolgere una prestazione tendenzialmenteanaloga (anche dal punto di vista della produttività) a quella degli

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altri lavoratori. Senonché questo tipo di scelta da parte del legisla-tore rende più delicata la compatibilità dell’istituto con il principiodi uguaglianza perché si opera una doppia distinzione: non solo tradisabili e non disabili, ma anche tra disabili generici e disabili gravi.È pertanto decisivo individuare parametri di distinzione precisi,congrui e ragionevoli (ad es. nei Paesi Bassi si distingue in base al-l’età, ossia con un criterio a forte rischio di discriminatorietà).

La quarta area è contigua agli a.r. perché considera gli adat-tamenti delle condizioni e dei tempi di lavoro, necessari per l’inte-grazione dei lavoratori disabili. In alcuni paesi (es.: Italia e Fran-cia) esistono previsioni specifiche sugli adattamenti in questo am-bito che, nei limiti del loro campo di applicazione, superano l’ob-bligazione di predisporre gli a.r., richiedendo interventi piùprofondi. Dove invece mancano previsioni del genere opera ladirettiva (e il recepimento domestico di questa) e si segue lostandard degli a.r. Il problema che si pone è allora, come sempre,quello della parità di trattamento tra categorie di lavoratori.

Successivamente si sono evidenziati alcuni fondamentali obiettiviin tema di tutela dei disabili sul lavoro per domandarsi quali misuresiano necessarie per conseguirli e se eventualmente sia sufficiente ildiritto antidiscriminatorio. Poiché questa riflessione è stata presentatain forma schematizzata, si riportano di seguito le tabelle esplicative.

Obiettivi Esempi Problemi delle spe-ciali protezioni

Problemi del dirittoanti-discriminatorio

Reddito sicuro e ade-guato / sicurezza dellavoro

Protezione contro ilicenziamenti

Portata personalemodesta

Minore certezza

Requisiti di accesso Minore effettività(danni, reinseri-mento non obbliga-torio)

Disuguaglianze tragruppi di disabili(es. la disabilitàgrave)

Adattamento dellecondizioni e deitempi di lavoro (ap-proccio ex ante)

Giustificazione delladiseguaglianza(“sani e abili” vsdisabili)

Incertezza (portataampia degli a.r.)

Giustificazione delcarico eccessivo

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(Ri)attivazione Ferie aggiuntive Disuguaglianza (duelivelli)

A.r.? / Incertezza

Giustificazione diuna concessione ge-nerale

Adattamento dellecondizioni e deitempi di lavoro

V. supra, sul reddito sicuro e adeguato

Integrazione dentrola società

Rappresentanza deilavoratori

Disuguaglianza tragruppi di disabili

Incertezza dell’in-terpretazione suglia.r. (cfr. articolo 28CFR — discrimina-zione?)

Potere / Effettività

Coinvolgimento dellasocietà

Cessione delle ferieai genitori con figlidisabili

Possibile sposta-mento della respon-sabilità (+/-)

Non è uno stru-mento adeguato

In conclusione si è evidenziato che la ratio di fondo dellanormativa antidiscriminatoria è il perseguimento della parità ditrattamento in conseguenza del principio di uguaglianza sostan-ziale, mentre adottando misure speciali i disabili vengono trattatiin maniera diversa per essere “resi uguali” agli altri lavoratori.

Inoltre si è rilevato che oggi si considera preferibile modificaree adattare l’ambiente di lavoro perché sia idoneo anche al lavorodei disabili piuttosto che considerare la persona disabile comel’oggetto della tutela. Per far questo in alcuni contesti è sufficientevalorizzare i divieti di discriminazione e in altri sono necessariemisure speciali più specifiche.

6. La conclusione del seminario.

Come già accennato, prima della conclusione dei lavori, vi èstato spazio per un momento non programmato di approfondi-mento sul tema dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.Erano infatti trascorsi pochissimi giorni dal referendum del 23giugno e il Prof. Kenner ha svolto una brillante relazione suiprincipali nodi giuridico-politici apertisi con la vittoria del “Leave”(e oggi in larga parte ancora irrisolti, con il nuovo esecutivo di

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Theresa May impegnato nelle trattative su “se, quando e come”avviare le procedure necessarie).

Sono state descritte, in particolare, le fasi previste dall’art. 50TUE per recedere dall’Unione, in cui un ruolo centrale è svolto dainegoziati politici per stabilire le condizioni del recesso e soprat-tutto i rapporti reciproci tra UE e Stato fuoriuscito nella fasesuccessiva.

Su tale secondo aspetto vi sono diverse opzioni. Se il RegnoUnito non tornerà sui propri passi (il che tecnicamente è possibile,poiché il referendum aveva valore solo consultivo, vincolantemeramente in termini di accountability politica), potrebbe: rima-nere all’interno dello Spazio Economico Europeo, pur senza farparte dell’Unione, come attualmente Islanda, Liechtenstein e Nor-vegia; stipulare con l’Unione un trattato di libero scambio ad hoc,sul modello del CETA canadese del 1988; oppure rimanere sempli-cemente all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commerciodi cui anche l’Unione fa parte.

Ciascuna opzione presenta evidentemente un complesso intrec-cio di vantaggi e svantaggi (per l’UK, per l’UE e per alcuni paesidi questa) su cui non è possibile soffermarsi in questa sede.

Il Prof. Kenner ha comunque risposto alle molte domande chei presenti gli hanno rivolto, pur potendosi ragionare sul tema inmaniera del tutto ipotetica.

Prima della serata finale (apertasi con un “colpo di mano” delProf. Gaeta, che ex auctoritate ha rimosso l’obbligo per gli uomini diindossare giacca e cravatta in occasione della “cena formale”), ilProf. Loffredo ha svolto un appassionato intervento conclusivo incui ha sottolineato tutte le ragioni per cui la scelta del tema si erarivelata azzeccata alla luce dei lavori svolti nel corso del seminario,i cui risultati sono parsi assai soddisfacenti.

In particolare, sono stati evidenziati gli aspetti etici, politici eassiologici sottesi alle soluzioni tecniche adottate in tema di disa-bilità: per fare solo qualche esempio, menzioniamo il costo econo-mico dei diritti sociali, il legame delle politiche in questi campi conla crisi economica, il modello di società (più o meno inclusiva) chederiva dal metodo con cui l’integrazione è perseguita, l’ineffetti-vità di proclamazioni contenute nelle Carte dei diritti, il ruolo dellasolidarietà e altri temi ancora.

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7. Disabilità, lavoro e diritto in un finale aperto.

In conclusione si può dire che i lavori di Pontignano XXXIIIhanno costituito un’occasione preziosa di riflessione sui tantissiminodi che il tema della disabilità pone nel suo intersecare la disci-plina giuridica del lavoro.

Le relazioni nazionali ed i lavori di gruppo hanno peraltromostrato come molte questioni non siano risolte, sia perché lamateria necessita di costante adeguamento normativo e giurispru-denziale, per rendere più moderne e più giuste le soluzioni adot-tate, sia per la diffusa ineffettività della normativa già esistente,spesso trascurata e disapplicata.

Per dare l’idea dell’ampiezza e trasversalità della tematica,volgendo lo sguardo prevalentemente al contesto italiano, si pos-sono segnalare anche ulteriori questioni ancora aperte in tema didisabilità e lavoro, sulle quali occorre appuntare l’agenda per tuttigli attori in campo: legislatore, sindacato, giudici e studiosi.

Dal problema dei c.d. “reparti confino” (34), ancora diffusinelle imprese italiane, alla disciplina delle prestazioni di Long TermCare (35).

Dalle carenze nell’impiego dell’approccio prevenzionistico inmateria di disabilità (art. 28, d.lgs. n. 81/2008) al problema dellesempre più diffuse malattie croniche (36) e della loro assimilazionealla disabilità.

Dalle oscillazioni giurisprudenziali sulla valutazione della du-rata dell’infermità affinché questa sia qualificata come disabi-lità (37) a quelle sui permessi di cui alla legge n. 104/1992 (38).

La disabilità, del resto, è un fenomeno sociale talmente rile-vante che in una società moderna e inclusiva non può non porre

(34) Cfr. Trib. Roma, sez. lav., 18 novembre 2014, in Riv. giur. lav., 2015, II, 100 ss.,con nota di O. BONARDI, Sui reparti confino.

(35) Su cui si vedano le analisi nella seconda parte del XV Rapporto annuale INPS,pubblicato in http://www.rivistalabor.it/uscito-xv-rapporto-inps-occasione-punto-sulle-riforme-recenti-non-solo/.

(36) V. S. VARVA (a cura di), Malattie croniche e lavoro, Milano, 2014.(37) Sul tema v. la recentissima sentenza CGUE, 1 dicembre 2016, C-395/2015.(38) Si pensi da un lato alla recente sentenza della Corte costituzionale che ne ha

esteso la fruibilità al convivente more uxorio oltre che al coniuge (Corte Cost., 23 settembre2016, n. 213); dall’altro al tema della finalità con cui utilizzare il tempo del permesso, su cuila Cassazione mantiene fermo il proprio discusso orientamento restrittivo (v. Cass., 13settembre 2016, n. 17968 sull’uso “per motivi privati”).

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continue questioni a livello normativo, economico e istituzionaleper la sua gestione. Con un’ultima notazione, utile a dimostrareulteriormente l’attualità del tema, si deve sottolineare come la piùrecente pronuncia della Corte Costituzionale (39) sul classico pro-blema della compatibilità finanziaria dei diritti sociali, che hamesso i limiti alla spesa in secondo piano rispetto alla garanziadell’esercizio di determinati diritti, è relativa ad una legge regio-nale dell’Abruzzo proprio in tema di disabilità: nella disciplinacensurata si prevedeva che il diritto allo studio dei minori disabili(per il quale occorre investire in insegnanti di sostegno e altremisure) si potesse garantire solo nei limiti delle disponibilità finan-ziarie del momento.

Verona-Pisa, febbraio 2017

(39) Corte Cost., 16 dicembre 2016, n. 275, su cui v. F. PALLANTE, Diritti e bilancio:quale equilibrio? un commento alla sentenza 275/2016 della corte costituzionale, 2 febbraio 2017,in http://www.sidiblog.org/2017/02/02/diritti-e-bilancio-quale-equilibrio-un-commento-alla-sentenza-2752016-della-corte-costituzionale/.

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INDICE SOMMARIO

Elenco dei partecipanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V

Cronaca del congresso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX

PARTE PRIMA

RELAZIONI E INTERVENTI

Giovedì 16 giugno 2016 - pomeriggio

Presentazione

MAURIZIO RICCI, La legislazione del lavoro tra flessibilità e occupazione . . . . . . . . 5

Relazioni

LORENZO GAETA, « La terza dimensione del diritto »: legge e contratto collettivo nelNovecento italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

EMILIO BALLETTI, I poteri del datore di lavoro tra legge e contratto . . . . . . . . . . . 67

Interventi

CARLO CESTER, Ricordo di Giuseppe Suppiej . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157GIAMPIERO PROIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163CARLO PISANI, I limiti al mutamento delle mansioni, l’autonomia collettiva e la

formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168BARBARA GRANDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

Venerdì 17 giugno 2016 - mattina

Relazioni

SANDRO MAINARDI, Le relazioni collettive nel nuovo Diritto del lavoro. . . . . . . . . . 181FAUSTA GUARRIELLO, Legge e contrattazione collettiva in Europa: verso nuovi equilibri?. 277

Interventi

ANTONELLA OCCHINO, Osservazioni sulle tecniche di normazione collettiva . . . . . . . . 333LUCA NOGLER . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 340

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ALESSANDRO BELLAVISTA, Gli orizzonti del diritto del lavoro post-statutario . . . . . . . 342FELICE TESTA, L’incidenza della nuova disciplina del mutamento di mansioni sul c.d.

obbligo di repêchage. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347DOMENICO MEZZACAPO, Potenzialità e mancanze della contrattazione collettiva attuativa

delle nuove norme in materia di mansioni e collaborazioni . . . . . . . . . . . . 351ANTONELLO ZOPPOLI, Sindacato comparativamente più rappresentativo vs. sistema (e

democrazia) sindacale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354

Venerdì 17 giugno 2016 - pomeriggio

Interventi

EDOARDO ALES . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363MASSIMILIANO MARINELLI, Obbligo formativo del datore di lavoro ed assegnazione a nuove

mansioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 366ANDREA LASSANDARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373MARCO ESPOSITO, Gli interstizi della negoziazione sindacale tra legge e contrattazione

collettiva: brevi spunti di riflessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 378VINCENZO BAVARO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 381ANNA TROJSI, Controllo a distanza e protezione dei dati del lavoratore: legge, contratto

collettivo e codice di deontologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385

Repliche

LORENZO GAETA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389EMILIO BALLETTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 390SANDRO MAINARDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 398FAUSTA GUARRIELLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 399

PARTE SECONDA

NOTIZIARIO A.I.D.LA.S.S.

Notiziario nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407Premio « Ludovico Barassi » - edizione 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407Premio « Francesco Santoro Passarelli » - edizione 2016 . . . . . . . . . . . . . . . . 411

PARTE TERZA

NOTIZIARIO INTERNAZIONALE

Seminario internazionale di diritto del lavoro comparato - Pontignano XXXIII“Disability and work”. Modena, 28 giugno -1 luglio 2016. Disabilità e diritto dellavoro: istantanee dall’Italia e dall’Europa: sintesi dei lavori a cura di SIMONE

D’ASCOLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 415

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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIRITTO DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA SOCIALE

Annuario di Diritto del lavoro

01. I licenziamenti nell’interesse dell’impresa (1969), 8°, pag. IV-204.02. L’obbligo di fedeltà nel rapporto di lavoro (1970), 8°, pag. IV-176.03. La sistemazione didattica del diritto del lavoro nell’insegnamento universitario

(1970), 8°, pag. IV-144.04. La rappresentanza professionale e lo statuto dei lavoratori (1971), 8°, pag. IV-224.05. I poteri dell’imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori (1972), 8°,

pag. IV-368.06. Statuto dei lavoratori ed enti pubblici (1974), 8°, pag. IV-228.07. Mansioni e qualifiche dei lavoratori: evoluzione e crisi dei criteri tradizionali (1975), 8°,

pag. IV-232.08. Il nuovo processo del lavoro (1977), 8°, pag. IV-292.09. Il rischio professionale (1977), 8°, pag. IV-176.10. La disciplina giuridica del lavoro femminile (1978), 8°, pag. IV-204.11. Il lavoro a termine (1979), 8°, pag. IV-268.12. Le sanzioni nella tutela del lavoro subordinato (1979), 8°, pag. IV-252.13. Innovazioni nella disciplina giuridica del mercato del lavoro (1980), 8°, pag. IV-236.14. Problemi giuridici della retribuzione (1981), 8°, pag. IV-216.15. Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello (1982), 8°, pag. IV-144.16. Prospettive del diritto del lavoro per gli anni ’80 (1983), 8°, pag. XII-340.17. L’intervento del giudice nel conflitto industriale (1984), 8°, pag. VIII-212.18. Rischio e bisogno nella crisi della previdenza sociale (1985), 8°, pag. VIII-180.19. Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro (1986), 8°, pag. VIII-296.20. Il tempo di lavoro (1987), 8°, pag. XII-264.21. Licenziamenti illegittimi e provvedimenti giudiziari (1988), 8°, pag. X-312.22. Lo sciopero: disciplina convenzionale e autoregolamentazione nel settore privato e pub-

blico (1989), 8°, pag. X-378.23. Rappresentanza e rappresentatività del sindacato (1990), 8°, pag. X-430.24. Licenziamenti collettivi e mobilità (1991), 8°, pag. X-322.25. Riforma pensionistica e previdenza integrativa (1994), 8°, pag. VIII-220.26. Autonomia individuale e rapporto di lavoro (1994), 8°, pag. X-252.27. Il dialogo fra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale del lavoro (1994), 8°,

pag. X-338.28. Il processo del lavoro: bilancio e prospettive (1994), 8°, pag. VIII-240.29. Poteri dell’imprenditore, rappresentanze sindacali unitarie e contratti collettivi (1996),

8°, pag. X-248.30. Lavoro e discriminazione (1996), 8°, pag. X-404.31. Le trasformazioni dei rapporti di lavoro pubblico e il sistema delle fonti (1997), 8°,

pag. XX-410.32. Autonomia collettiva e occupazione (1998), 8°, pag. VI-300.33. Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro (1999), 8°, pag. X-292.34. Diritto del lavoro e nuove forme di decentramento produttivo (2000), 8°, pag. XVIII-392.35. Il diritto del lavoro alla svolta del secolo (2002), 8°, pag. IV-392.36. Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro (2002), 8°, pag. IV-558.37. Interessi e tecniche nella disciplina del lavoro flessibile (2003), 8°, pag. X-778.38. Autonomia individuale e autonomia collettiva alla luce delle più recenti riforme (2005),

8°, pag. IV-396.39. Rappresentanza collettiva dei lavoratori e diritti di partecipazione alla gestione delle

imprese (2006), 8°, pag. X-510.40. Il danno alla persona del lavoratore (2007), 8°, pag. XIV-472.41. Formazione e mercato del lavoro in Italia e in Europa (2007), 8°, pag. XII-462.42. Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro (2008), 8°, pag. VIII-560.43. Inderogabilità delle norme e disponibilità dei diritti (2009), 8°, pag. VI-416.44. La figura del datore di lavoro - Articolazioni e trasformazioni. In ricordo di Massimo

D’Antona, dieci anni dopo (2010), 8°, pag. XII-530.

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45. Il diritto del lavoro nel sistema giuridico privatistico (2011), 8°, pag. X-398.46. La riforma dell’Università tra legge e statuti. Analisi interdisciplinare della legge n.

240/2010, a cura di Marina Brollo e Raffaele De Luca Tamajo (2011), 8°, pag. XIV-476.47. Le relazioni sindacali nell’impresa (2012), 8°, pag. VIII-450.48. Il diritto del lavoro al tempo della crisi (2013), 8°, pag. XII-610.49. La crisi economica e i fondamenti del diritto del lavoro (2014), 8°, pag. X-428.50. Clausole generali e diritto del lavoro (2015), 8°, pag. VIII-594.51. Lavoro, diritti fondamentali e vincoli economico-finanziari nell’ordinamento multilivel-

lo (2016), 8°, pag. XII-448.52. Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario. Atti delle giornate

di studio di diritto del lavoro - Napoli, 16-17 giugno 2016 (2017), 8°, pag. X-470.

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