COOPERATIVA SOCIALE GET - Piccolo museo didattico del … · L'ombra è l'area scura proiettata su...

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1 COOPERATIVA SOCIALE GET ACCADEMIA DEL CINEMA RAGAZZI ENZITETO PICCOLO MUSEO DIDATTICO DEL CINEMA

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COOPERATIVA SOCIALE GET ACCADEMIA DEL CINEMA RAGAZZI ENZITETO

PICCOLO MUSEO DIDATTICO DEL CINEMA

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PRIMA SALA IL MONDO DELLE PROIEZIONI

1- L’OMBRA

2- IL TEATRO DELLE OMBRE

3- LE OMBRE CINESI

4 - IL TEATRO DELLE OMBRE GIAVANESI

5 - LA CAMERA OSCURA

6- LA LANTERNA MAGICA

7- IL MONDO NUOVO

8- LA STEREOSCOPIA

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1- L’OMBRA

L'ombra è l'area scura proiettata su una superficie da un corpo che, interponendosi tra la superficie stessa e una sorgente luminosa, impedisce il passaggio della luce. L'aspetto dell'ombra può variare di molto a seconda delle condizioni ambientali e osservative: in assenza di atmosfera (come nello spazio) e di altre fonti luminose dirette o indirette, la quantità di luce che raggiunge la superficie in ombra è esattamente zero, per cui l'ombra è completamente nera. Nell'atmosfera terrestre, invece, la superficie in ombra riceve comunque una certa quantità di luce diffusa (variabile a seconda delle condizioni meteorologiche), per cui appare scura ma non completamente nera. Negli ambienti chiusi o con cielo nuvoloso o nebbia, poi, la luce diffusa costituisce la componente luminosa predominante: in questo caso le ombre sono molto sfumate o addirittura non osservabili del tutto. Nel caso di una sorgente luminosa puntiforme, l'ombra ha contorni netti: ogni punto della superficie o è illuminato dalla sorgente o non lo è. Nel caso invece di una sorgente luminosa estesa (come il Sole che, visto dalla Terra, ha un diametro angolare di circa mezzo grado), il contorno dell'ombra è sfumato, in quanto vi è una regione intermedia in cui la sorgente luminosa è occultata solo parzialmente, e quindi si ha un passaggio graduale tra luce e ombra.

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Cos'è l'ombra

In ottica: parte non illuminata di una superficie, dovuta all'interposizione di un oggetto fra la sorgente luminosa e la superficie stessa.

Correntemente: sagoma oscura proiettata da ogni corpo opaco se esposto a una sorgente di luce (sagoma: profilo, linea, forma esterna, contorno di un oggetto).

Nel nostro caso si dovrebbe parlare di sagoma (silouette) visualizzata attraverso uno schermo (ma non necessariamente). Altre tecniche danno la vera ombra: sagome proiettate (ombres projectées), ombre con le mani.

L'ombra umana sta tra la sagoma (si vede il contorno della persona "appoggiata" allo schermo) e l'ombra. Il nome corrente per tutte le tecniche è comunque ombra.

La sagoma è detta in particolare ombra cinese perché la sua origine antichissima è cinese, o meglio asiatica.

Forse fece la sua comparsa dapprima in Malesia e Indonesia, si diffuse poi in Turchia, Grecia, perfino in Africa.

Ebbe grande diffusione in Francia nel diciottesimo/diciannovesimo secolo fino all'avvento del cinema. Si vendevano set di sagome con annessa lampada a petrolio per l'illuminazione dello schermo o la proiezione sulla parete. In origine si utilizzavano anche sagome a grandezza naturale, magari coloratissime, mosse da più animatori, con diverse parti articolate (braccia, gambe, testa).

Non necessariamente si usava lo schermo (Giava, Bali). Erano costruite in materiale leggerissimo e solido: pergamena o cuoio. In Francia si è poi passati al più comodo cartone, generalmente nero.

La sagoma senza schermo è paragonabile al burattino piatto che però è più colorato, accessoriato e dettagliato e può muoversi in uno spazio tridimensionale.

Il nostro tipo di sagoma (quello presentato in questa "bottega") è definito ombra a contatto (ombre plaquée) perché la sagoma viene "pressata" mediante un manico contro uno schermo leggermente inclinato (per lavorare meglio) e posto ad un'altezza di circa 90 cm da terra.

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Altre sagome possono essere presentate su di uno schermo ad "altezza burattini" (tenendo i manici sopra la testa).

L'ombra, rispetto al burattino, ha alcuni vantaggi: effetti più fantastici, effetti speciali (sfumatura, sparizione/apparizione improvvisa), si nasconde facilmente dietro un'altra, è più veloce e facile da costruire, si monta facilmente, costa pochissimo.

Svantaggi (relativi): irreale (sfruttabile però in positivo), meno manovrabile (ma anche un minimo movimento ben fatto produce effetti sorprendenti).

Nell'ombra proiettata: possibilità di presentare diversi piani, di utilizzare luci particolari, di creare una specie film).

(FONTE : CEMEA-BANCA DATI)

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Citazioni sul buio, l'oscurità e le tenebre

• Allora non preoccuparti del buio | possiamo ancora trovare un modo | perché niente dura

per sempre | neanche questa fredda pioggia di novembre. (Guns N' Roses)

• Il buio e l'attesa hanno lo stesso colore. (Giorgio Faletti)

• Ho cominciato ad amare le mie tenebre perché credo che siano una parte, una piccola parte

delle tenebre di Gesù e della sua pena sulla terra. (Madre Teresa di Calcutta)

• Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela. (Laozi)

• L'oscurità appartiene all'essenza della città; partecipa della sua vera identità; Londra è

posseduta, in senso letterale, dalle tenebre. (Peter Ackroyd)

• L'oscurità della materia è come la profondità del mare che noi attraversiamo come pesci

luminosi. (Hans Urs von Balthasar)

• La caratteristica del buio è che ci galleggi dentro: tu e l'oscurità siete separati l'uno dall'altra

perché l'oscurità è assenza di qualcosa, è un vuoto. La luce, al contrario, ti avvolge. Diventa

parte di te. (Sunshine)

• La notte non è mai così nera come prima dell'alba ma poi l'alba sorge sempre a cancellare il

buio della notte. Così ogni nostra angoscia, per quanto profonda prima o poi trova motivo di

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attenuarsi e placarsi, purché lo vogliamo. Sappiamo che c'è la luce perché c'è il buio che c'è

la gioia perché c'è il dolore che c'è la pace perché c'è la guerra e dobbiamo sapere che la vita

vive di questi contrasti. (Romano Battaglia)

• La notte trascorreva e Stephen si tormentava scioccamente, come spesso avviene nel buio,

quando la vitalità e il coraggio, la capacità di ragionare e il buon senso sono in fase di

stanca. (Patrick O'Brian)

• Non avere paura del buio, ti aiuterà a trovare la luce. (Neale Donald Walsch)

• L'uomo ha da sempre temuto l'oscurità e per poter sopravvivere ha squarciato le tenebre con

il fuoco. (Neon Genesis Evangelion)

• Se guardi nel buio a lungo, c'è sempre qualcosa. (William Butler Yeats)

• Se lo guardi non te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio... Tutto quell'infinito

diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco. Non lo spegni, il mare, quando

brucia nella notte. (Alessandro Baricco)

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2- IL TEATRO DELLE OMBRE

Un antenato del cinema è il teatro d’ombre, che è chiamato altresì delle “ombre cinesi” o “giavanesi”, ma di cui parla anche Platone nel Convivio.

La suggestione delle proiezioni ha origini molto remote. Se ne trova traccia anche nel mondo antico, per esempio nel mito della caverna di Platone, dove le ombre proiettate ai prigionieri sono metafora dell'intero mondo "dell'opinione", cioè il sentire comune avulso dal pensiero filosofico,[1] oppure nel mito della nascita della pittura, redatto da Erodoto, dove la figlia di un vasaio, per conservare l'immagine dell'amato in partenza per la guerra, ne disegnò il profilo copiandone l'ombra sul muro. Aristotele nel IV secolo a.C. scrisse come aveva visto un'eclissi proiettata sul terreno attraverso i fori di un colino.

Il teatro d'ombre è una antica forma di spettacolo popolare, realizzato proiettando figure articolate su uno schermo opaco, semitrasparente, illuminato posteriormente per creare l'illusione di immagini in movimento.

Questa forma di spettacolo è diffusa in varie culture. Ai nostri giorni, compagnie di teatro d'ombre sono presenti in oltre 20 paesi.

In entrambe le forme di spettacolo troviamo gli stessi elementi costitutivi: schermo, fonte di luce, riprese in “campo lungo” e “medio” (immaginiamo un cavaliere in lontananza e, ravvicinato, lo stesso che varca un ponte levatoio), “dissolvenze incrociate” (il passaggio da “esterno” a “interno”), “figura intera”, “primo piano”, “primissimo piano” (close up), e “dettagli”. Per la fonte di luce, nel teatro d’ombre bastava una lanterna o una fiaccola al posto della inesistente corrente elettrica.

Col cinematografo il mondo delle ombre venne mostrato sugli schermi con l’elettricità. Ecco l’origine del nome che in Cina fu dato al cinema: “Ombre elettriche”.

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3- LE OMBRE CINESI

Lo spettacolo delle ombre cinesi viene tradizionalmente fatto risalire al II secolo a.C., di cui una probabile filiazione sono state le ombre giavanesi, ma il filosofo Mozi aveva già osservato e messo per iscritto il fenomeno della proiezione capovolta di un paesaggio esterno se filtrata in una camera oscura attraverso un piccolo foro (stenoscopia). Al cinese Ting Huan, nel 180 a.C. circa, spetta anche la creazione di un elementare zootropio.

Il teatro delle ombre cinesi è una forma d'arte cinese che può vantare una lunghissima tradizione. Le ombre cinesi sono un tipo di spettacolo molto antico che veniva svolto in teatrini ambulanti che si spostavano da un paese all'altro, similmente ai gabbiotti delle marionette o dei pupi siciliani. Era comune trovare questi teatri ambulanti vicino ai templi, durante le ricorrenze religiose, ma anche nelle feste laiche come il Capodanno o alle fiere di paese. Negli spettacoli le figure non si vedono direttamente ma, come dice il nome stesso, appaiono solo le loro ombre. Lo spettatore si pone davanti a uno schermo bianco semi-trasparente dietro il quale degli attori manovrano le figure e recitano le varie parti. Una potente fonte di luce proietta le ombre direttamente sullo schermo con l'effetto di ingigantirle e rendere animate le figure. Una leggenda vuole che l'Imperatore cinese Wudi (140-85 a.C.) fosse divenuto molto triste in seguito alla morte della sua concubina Li Furen. Per consolare il sovrano, i suoi eunuchi fecero scolpire una figura in legno simile alla donna e ne proiettarono l'ombra su una tenda. L'Imperatore credendo che fosse lo spirito della sua amata che tornava a fargli visita si sentì consolato. Ovviamente oggi le figure non sono più di legno, ma di cuoio, più leggero e più semplice da maneggiare. L'antica arte cinese è, poi, stata esportata in tutto il mondo e, al giorno d'oggi, con ombre cinesi si indicano, in generale, tutte le ombre che vengono proiettate attraverso l'uso delle mani o di ritagli di carta o cartoncini.

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Il teatro d'ombre è una antica forma di spettacolo popolare, realizzato proiettando figure articolate su uno schermo opaco, semitrasparente, illuminato posteriormente per creare l'illusione di immagini in movimento.

Questa forma di spettacolo è diffusa in varie culture. Ai nostri giorni, compagnie di teatro d'ombre sono presenti in oltre 20 paesi.

Cina

Un fantoccio Hai Lu dalla popoli Han della Cina. 20 ° secolo Il teatro cinese ha origini antichissime. Fino all'introduzione in Cina dei generi teatrali occidentali, alla fine del XIX secolo, il teatro cinese ha in gran parte coinciso con la cosiddetta opera cinese, che si è sviluppata in una miriade di generi diffusi nelle varie province della Cina. Altre forme tradizionali di spettacolo sono le ombre cinesi e il teatro di marionette e burattini. Fu probabilmente il grande favore di cui il teatro d'ombre godeva presso i Mongoli a determinarne la diffusione nei paesi conquistati successivamente.

Turchia Il teatro d'ombre tradizionale turco prende il nome di Karagöz ed è un genere che ebbe grande diffusione sotto l'impero ottomano. Karagöz e Hacivat sono i due personaggi principali, ma sono presenti molti altri personaggi che rappresentano tutti i principali gruppi etnici e le classi sociali della cultura ottomana. Le figure del Karagöz sono controllate da un solo animatore, che dà voce a tutti i ruoli imitando suoni, voci e dialetti per caratterizzare i singoli personaggi.

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Karagöz Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Karagöz (a destra) e Hacivat (a sinistra) Karagöz (occhio nero in lingua turca) è il personaggio principale - insieme ad Hacivat (o Hacivad) - del teatro d'ombre turco tradizionale, divenuto popolare sotto l'impero ottomano. Il tema centrale delle commedie sono i contrasti fra i due personaggi principali: Karagöz rappresenta l'uomo del popolo, illetterato e diretto, mentre Hacivat appartiene alla classe istruita, e si esprime in un linguaggio letterario. Lo spirito semplice ma arguto di Karagöz ha sempre la meglio sull'istruzione di Hacivat, anche se i suoi espedienti per arricchirsi inevitabilmente si traducono in un fallimento.[1] Gli spettacoli del Karagöz sono associati soprattutto al Ramadan. Fino all'avvento della radio e del cinema, fu la forma di intrattenimento più popolare in Turchia, e sopravvive anche oggi, anche se in forme indirizzate soprattutto al pubblico infantile.[1] Non si conosce l'origine di questa forma di spettacolo. Alcuni storici ritengono che i primi spettacoli di Karagöz furono realizzati per il sultano Selim I (regno 1512–1520) in Egitto, dopo la conquista dei Mamelucchi, ma lo scrittore Evliya Çelebi, nel XVII secolo, dava notizia di alcuni spettacoli sotto il regno di Bayezid I (1389–1402). Gli stessi personaggi di Karagöz e Hacivat sarebbero stati ispirati da due lavoratori che parteciparono alla costruzione di una moschea a Bursa sotto Orhan I, che regnò sul nascente impero ottomano negli anni 1326-1359. I contrasti fra i due lavoratori divertivano i colleghi, ma rallentavano la costruzione al punto che vennero condannati a morte. Secondo una versione di questa leggenda, fu un loro contemporaneo, Şeyh Küşteri, a realizzare le prime marionette con le sembianze dei due eroi popolari e a mettere in scena i primi spettacoli.[1]

I personaggi Gli altri personaggi degli spettacoli, oltre a Karagöz e Hacivat, sono l'ubriacone Tuzsuz Deli Bekir, con l'immancabile bottiglia di vino, Uzun Efe dal collo lungo, l'oppiomane Kanbur Tiryaki con la sua pipa, l'eccentrico nano Altı Kariş Beberuhi, lo sciocco Denyo, lo spendaccione Civan, e la civettuola Nigâr. Fra i personaggi sono compresi anche danzatori e jinn, oltre a vari personaggi non turchi: un arabo che non conosce il turco (di solito un mendicante o un venditore ambulante), una domestica nera, una domestica circassa, una guardia albanese, un dottore greco, un armeno (generalmente un domestico o un cambiavalute), un ebreo (di solito un orafo), un persiano che recita poesie con accento azero.[1]

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La tecnica Le figure usate nel teatro Karagöz, alte generalmente 35-40 cm., sono realizzate in pelle animale, specialmente di cammello, trattata fino a diventare semi-trasparente. Le varie parti della figura sono ritagliate separatamente e dipinte con colori translucidi, quindi unite da giunti che ne permettono l'articolazione. Le figure, controllate da bacchette, vengono accostate ad uno schermo di tessuto semitrasparante, chiamato ayna ("specchio"), illuminato posteriormente da una lampada ad olio. Il pubblico, sistemato davanti allo schermo, vede le ombre proiettate su di esso e non vede l'animatore che aziona le bacchette.[1]

Lo spettacolo

Spettacolo di Karagöz alla Turkfest di Seattle (2007) Lo spettacolo di Karagöz è strutturato in quattro parti:

• Mukaddime: introduzione; Hacivat canta un semai (differente per ogni spettacolo), recita una preghiera e informa di essere alla ricerca del suo amico Karagöz, che invita sulla scena. Karagöz entra dal lato opposto.

• Muhavere: dialogo fra Karagöz e Hacivat • Fasil: trama principale • Bitiş: una breve discussione fra Karagöz e Hacivat che si conclude sempre con Hacivat che

rimprovera Karagöz di aver "rovinato" qualsiasi impresa, e con Karagöz che chiede perdono per le sue trasgressioni.

Animatori

Lo Hayalî Craig Jacobrown al Turkfest di Seattle (2007) Gli animatori del teatro Karagöz sono chiamati hayalî, creatori di immagini. Sono anche noti come Karagözcu o hayalbaz. Lo hayalî interpreta tutti i ruoli dello spettacolo, imitando suoni, dialetti e

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timbri vocali dei vari personaggi. Normalmente, è assistito da un apprendista che monta e smonta la scena e che gli porge i vari personaggi al momento giusto. Quest'ultimo compito può essere svolto anche da un sandıkkâr (da "sandık", "cofano"). Altri collaboratori possono essere lo yardak, cantante, e il dairezen, suonatore di tamburello.[1]

Indonesia

Figura Wayang Kulit (Bali, inizio del XX secolo) In Indonesia (soprattutto a Giava e Bali), il teatro d'ombre è diffuso col nome di wayang kulit. In lingua giavanese Wayang significa ombra, immaginazione e Kulit significa pelle, con riferimento alla pelle animale di cui sono fatte le figure animate. Le storie presentate negli mitologiche o racconti morali, che rappresentano spesso la battaglia fra il bene e il male. Le figure sono fatte soprattutto di pelle animale, e sono animate per mezzo di bacchette. Le ombre sono proiettate su uno schermo da lampade ad olio. Il Wayang Kulit è spesso associato al gamelan, la musica tradizionale basata sulle percussioni. Il teatro d'ombre è molto popolare in Indonesia anche al giorno d'oggi. Gli spettacoli sono presentati durante le cerimonie sacre nei templi, in funzioni private e in luoghi pubblici nei villaggi. Uno spettacolo può durare anche tutta la notte, talvolta fino all'alba.

Thailandia Il teatro d'ombre thailandese è chiamato Nang Yai; a sud, una forma tradizionale è denominata Nang Ta Lung. Le figure del Nang Yai sono generalmente realizzate in pelle e vimini. Gli spettacoli sono accompagnati da canti e musica.[1]

Francia Il teatro d'ombre si diffuse in Europa alla metà del XVIII secolo, quando alcuni missionari francesi portarono questa forma di spettacolo in Francia. Alcuni spettacoli a Parigi e Marsiglia suscitarono molto interesse. L'animatore Dominique Séraphin presentò il suo primo spettacolo a Parigi nel 1776, e in seguito a Versailles nel 1781. Il genere si radicò quindi in Francia, dove diede luogo ad una forma particolare, detta ombre francesi[2].

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Il teatro d'ombre era un genere di spettacolo popolare a Parigi durante il XIX secolo, specialmente nei teatrini di Montmartre. Il cabaret Le Chat noir presentò numerosi spettacoli di teatro d'ombre negli anni 1880, in una forma spettacolare che vedeva al lavoro fino a 20 animatori. Il teatro d'ombre ebbe una forte influenza sul genere della fantasmagoria[3]. Fantasmagoria Fantasmagoria o Fantasmagorie anche Phantasmagoria (grafia americana) era una forma di teatro che usava una versione modificata della lanterna magica per proiettare immagini spaventose come scheletri, demoni e fantasmi su muri, fumo o schermi semi-trasparenti, spesso da dietro lo schermo. La maneggevolezza rendeva possibili effetti come l'ingrandimento e il rimpicciolimento dei personaggi e, usando più dispositivi, si poteva passare anche da un'immagine ad un'altra molto velocemente, creando un effetto "montaggio" in tempo reale. Inventato in Francia nel tardo XVIII secolo, questa forma di teatro ha guadagnato popolarità in Europa, soprattutto in Inghilterra nel corso del XIX secolo.

Proiezioni di Fantasmagoria in un'incisione del 18mo secolo

Primo cartone animato La tecnica del teatro di Fantasmagorie è stata usata come base per quello che si ritiene il primo cartone animato "completo" della storia Fantasmagorie appunto, realizzato nel 1908 dal francese Emile Cohl (vero nome Émile Courtet), composto da circa 700 disegni, inchiostrato in nero su foglio bianco e poi sviluppato in negativo per ottenere l’effetto lavagna (questa tecnica era stata già

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usta da J. Stuart Blackton per il suo Humorous Phases of Funny Faces del 1906, considerato dagli storici il primo vero cartone animato), creato in circa tre mesi di lavorazione, per appena due minuti di proiezione. Fu proiettato per la prima volta al Théâtre du Gymnase di Marsiglia.

Ombra francese della collezione del Museo del PRECINEMA collezione Minici Zotti

Italia In Italia, un'importante compagnia piacentina, Teatro Gioco Vita (teatro stabile di innovazione) lavora utilizzando burattini, marionette e sagome per il teatro delle ombre. Dal 1978 è impegnata nella produzione di diversi spettacoli che hanno come tema comune il contatto fra il teatro delle ombre e i bambini. La lunga collaborazione con l'illustratore Emanuele Luzzati è sfociata nella realizzazione della mostra: "Un mondo di figure d'ombra. Omaggio a Lele Luzzati" ospitata a Roma dalla Casa dei Teatri. Altra nota compagnia italiana attiva dal 1994 è Controluce Teatro d'Ombre che ha indagato a lungo sul rapporto fra musica e ombra, coinvolgendo la danza e il movimento in genere, con importanti collaborazioni in campo musicale in Italia e all’estero, fra cui Jordi Savall, Fabio Biondi, Mario Brunello, Gabriel Garrido, Vinicio Capossela. Promuove e dirige dal 1994 il festival Incanti particolarmente attento al teatro d’ombre e al teatro di figura rivolto a un pubblico adulto.

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Ombra francese della collezione del Museo del PRECINEMA collezione Minici Zotti

Il Museo del Precinema collezione Minici Zotti, possiede una collezione di 70 ombre francesi, simili a quelle esibite al Cabaret du CHAT NOIR di Parigi nel 1890, comprensive del teatro originale e degli sfondi dipinti oltre a due lanterne magiche per proiettare gli scenari. Le ombre fino ad oggi attribuite sono: La Marche a l'Etoile, La Sphinx, L'Age d'Or, Le Carneval de Venise. Si presume che le ombre fossero utilizzate per gli spettacoli in tournee in Francia e all'estero. Questo fondo è un'importante donazione della Fondazione Centro Studi della Barbariga. Anche la collezione alla sezione del "Pre-cinema e fotografia storica" del Museo nazionale del Cinema di Torino presenta alcune ombre cinesi.

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Germania Negli anni dieci del XX secolo, l'animatrice tedesca Lotte Reiniger inventò una nuova forma di animazione di silhouette, con la tecnica del passo uno (immagini riprese un fotogramma alla volta). Questa tecnica è stata conservata da altri animatori, ed altre forme di animazione cinematografica e computerizzata hanno più volte imitato gli effetti del teatro d'ombre.

Teatro di figura

Teatrino di carta Viene denominato teatro di figura quella particolare arte teatrale che utilizza burattini, marionette, pupazzi, ombre, oggetti, come protagonisti dello spettacolo teatrale e segni di un linguaggio fortemente visuale e sensoriale. Il termine teatro di figura si è affermato in Italia alla fine degli anni '70, come termine generico e riassuntivo, sostituendo " teatro di animazione", spesso confuso semanticamente con l'animazione teatrale e sociale.[1] Nel termine teatro di figura [2], analogamente a molte altre lingue e culture si riassume così il concetto di una azione teatrale specifica e quello, corposo, dei manufatti ad essa necessari, appunto le "figure" (nel significato di derivazione latina di oggetto modellato)[3]. In buona parte del mondo, l'animazione (o la manipolazione, a seconda della cultura) del teatro di figura rimane solo parzialmente conosciuta. Tra le tecniche più famose ci sono i burattini a guanto, o a bastone (marotte), le marionette a fili o a bastone (pupi), i fantocci e i pupazzi, gli oggetti, le ombre e le silhouette, il teatro nero e il bunraku.

Le origini

La rappresentazione e l'animazione di figure antropomorfe è un fenomeno universale, probabilmente di origine religiosa, le cui origini si perdono nella notte dei tempi e si confondono con la nascita del teatro: negli ancestrali culti di statue di dei mosse da corde e fili, passando per la maschera e legando la storia della marionetta a quella dell'attore in carne ed ossa e quindi dell'uomo. Storicamente l'origine delle figure animate può essere attribuita all'India (Chesnais), dove si trovano tracce di spettacoli con marionette religiose risalenti all'XI secolo a.C. Il teatro di figura sembra aver preceduto il teatro con attori in carne ed ossa, perché la rappresentazione degli dei era una pratica vietata agli uomini. In questo senso, i marionettisti[4] detti sutradhara (colui che narra, che tira i fili) erano figure sociali prese in grande considerazione.[5] Si narra addirittura che il primo marionettista nacque dalla bocca di Brahma.[5] Gli spettacoli erano allestiti soprattutto la sera su un palco di bambù provvisto di sipario. La rappresentazione era accompagnata da un'orchestra ed i movimenti delle marionette seguivano il suono del fischietto del sutradhara. I personaggi principali sono proprio Sutradhara, letteralmente “colui che tira i fili” e Vidouchaka. Quest'ultimo è “nano e gobbo, con degli enormi denti e gli occhi gialli e completamente calvo”; ridicolo nelle espressioni e nel costume, concupiscente e lubrico, ciarlone e volgare, picchiatore inesorabile, è il prototipo dei Pulcinella di tutto il mondo. Altri personaggi sono eroi ed eroine, nobili e dei tra i quali Krishna.

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Figura del teatro d'ombre Wayang Kulit di Bali

Nel suo passaggio ad occidente Vidouchaka prende, in Turchia, il nome di Karagöz, letteralmente “occhio nero”. In origine questo è costituito da una figurina di pelle colorata, mostrata al pubblico da dietro uno schermo di stoffa semi-trasparente. Molte sono le leggende legate a questo personaggio: la più interessante è quella che lo vuole bottegaio davanti alla moschea del sultano. Karagöz e l'inseparabile amico Hadjivad sono due commercianti che hanno le loro botteghe vicino alla moschea in costruzione. Le loro chiacchiere e le loro storie divertenti distraggono però gli operai che procedono a rilento con i lavori alla moschea. Messo a conoscenza del fatto, lo stesso sultano si mette ad ascoltare dal palazzo le chiacchiere dei due. Se pur divertenti, le loro storie sono però irriverenti nei confronti delle autorità ed in più disturbano gli operai. Il sultano decide così di far tagliare la testa ai due manigoldi in modo da riportare la calma e far riprendere i lavori. Dopo un po' di tempo, annoiato e nostalgico delle divertenti storielle dei due, il potente signore decise di farli rivivere creando delle marionette a loro immagine.

L'antichità

Anche se non esistono prove documentali, sembra che in Egitto ci fossero delle statue animate che venivano utilizzate nei riti ieratici in favore del dio Osiride.[6] Cronache di questi riti si ritrovano in molti autori greci, soprattutto in Erodoto.[7] E proprio la Grecia classica riporta i primi testi scritti per marionette, insieme ad un vasto repertorio di statue animate (Neurospastos). Anche in questo caso si tratta di testi sacri per il culto del dio Bacco. Secondo lo studioso Magnin, gli antichi muovevano le marionette dall'alto, almeno fino all'arrivo dei castelli per burattini. Con il passaggio dal teatro greco a quello latino, le bambole articolate perdono il loro carattere religioso a favore di un utilizzo ludico e ricreativo, divenendo rapidamente un gioco popolare. Gli stessi costumi, in un primo periodo sacri, divengono in seguito quelli grotteschi del dramma satirico, legato a Pan e ai Sileni in Grecia ed alle farse atellane a Roma. Riportano testimonianze di spettacoli di marionette Platone, Aristotele, Orazio, Marco Aurelio, Petronio, Galliano, Apuleio, Tertulliano. I personaggi descritti, oltre che per la pancia prominente e la gobba, sono caratterizzati da un fallo enorme, a ricordo degli antichi culti in favore di Osiris descritti da Erodoto. Presso i romani ritroviamo pupazzi animati di tutti i tipi (pupae, homunculi, ligneolae hominum figurae...) a volte simili a burattini, altre a marionette. L'evoluzione romana degli spettacoli porta alla pantomima, espressa nel canticum, traduzione lirica o epica dell'azione, resa dall'attore. I soggetti sono perlopiù storie bibliche, leggende di santi, ma anche racconti profani dove emergono le figure di Pappus e Maccus, il primo progenitore europeo di Pulcinella.

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4- IL TEATRO DELLE OMBRE GIAVANESI

Il teatro delle ombre giavanesi è il tradizionale Wayang Kulit

È una delle forme di spettacolo del Wayang, parola che in lingua indonesiana indica genericamente le forme teatrali che appartengono al teatro di figura[1]. Il termine wayang deriva infatti a sua volta da bayang, che vuol dire ombra. Era diffuso a Giava, come a Bali, già dal X secolo.[2]

Il 7 novembre 2003 il Wayang Kulit è stato proclamato dall'Unesco parte del Patrimonio orale e immateriale dell'umanità.[3]

Il Wayang Kulit viene rappresentato tramite delle figure intagliate nella pelle di bufalo di poco spessore (da 5 mm in media al centimetro e mezzo) finemente lavorate: gli arti superiori sono mobili, mentre la testa è saldamente fissata al busto. Il movimento della marionetta è garantito da tre asticelle, fissate rispettivamente ai due arti superiori e alla base della figura. Sebbene la tradizione occidentale consideri la marionetta mossa dall'alto con i fili ed i burattini dal basso, le figure del Wayang Kulit sono delle marionette: sono infatti a figura intera, a differenza del burattino che viene calzato come un guanto.[4]

Le figure sono mosse dietro ad uno schermo di cotone, e le ombre delle stesse erano originariamente ivi proiettate grazie all'ausilio di lampade ad olio: oggigiorno, moderne fonti di illuminazione garantiscono l'esecuzione dello spettacolo. Il marionettista è chiamato dalang e si occupa del movimento scenico: l'azione è accompagnata da un'orchestra di strumenti a percussione, detta gamelan.[5] Da notare è il fatto che, nonostante le figure agiscano come ombre, sono comunque finemente e riccamente dipinte: è da ricordare che, anticamente, mentre per le donne era consuetudine assistere alla proiezione delle ombre, gli uomini non di rado guardavano lo spettacolo dall'altra parte dello schermo di cotone, ossia senza la proiezione sullo stesso delle ombre delle figure.

La durata dello spettacolo è lunga: la rappresentazione inizia la sera per protrarsi fino all'alba, permettendo così esecuzioni della durata di anche nove ore consecutive. I personaggi sono moltissimi e le storie rappresentate derivano dall'epica indiana, e precisamente dai due cicli classici del Mahabharata e del Ramayana. Oltre a questi esiste il ciclo Panji, di origine giavanese e le storie di Amir Hamzah, leggendario re arabo.[6]

Le occasioni di rappresentazione erano molteplici: dai riti di passaggio alla maturità fino ai giorni di festa, matrimoni e festività religiose.[7]

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5 – LA CAMERA OSCURA Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La camera oscura (o camera ottica) è un dispositivo ottico la cui invenzione è alla base di tutta la tecnica fotografica. Non a caso gli apparecchi per riprese fotografiche ancora oggi sono chiamati camere: le prime camere oscure erano infatti delle vere stanze abitabili al cui interno i pittori e gli scienziati lavoravano. Una camera oscura può essere composta da una semplice scatola chiusa con un piccolo foro (stenopeico) su un lato che lasci entrare la luce. Questa luce proietta sul lato opposto all'interno della scatola l'immagine capovolta di quanto si trova avanti al foro. Più il foro è piccolo e più l'immagine risulta nitida e definita. Il pregio maggiore di una camera così semplice è che tutti gli oggetti paiono a fuoco (anche se nessuno lo è), a prescindere dalla loro distanza dal foro: in altre parole il foro stenopeico si comporta come un obiettivo che non ha una sua lunghezza focale specifica. L'altro verso della medaglia è che il foro lascia passare pochissima luce, per cui si possono fotografare solo oggetti immobili.

Nelle fotocamere reali, il foro è sostituito da un obiettivo, corredato di dispositivi per il controllo dell'apertura e della messa a fuoco: sul piano su cui si proietta l'immagine è collocata la pellicola fotografica da impressionare o, nel caso di apparecchi digitali, il sensore. La camera oscura fu descritta dagli arabi (camera obscura), poi ripresa da Leonardo da Vinci (camera oscura leonardiana), fino a essere utilizzata nel Rinascimento come aiuto nel disegno. Fu solo agli inizi del XX secolo che la sensibilità delle pellicole rese possibile acquisire immagini con il foro stenopeico, che richiede un lungo tempo di esposizione.

Nel 1905 il manuale La fotografia senza obiettivo di Luigi Sassi permise un'ampia diffusione del procedimento, reso ancor più popolare dell'estrema economicità della realizzazione.

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Storia della camera oscura

Canaletto: Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, a Venezia. Veduta ottenuta accostando quattro fogli disegnati con l'aiuto di una camera oscura.

Lo studio della camera oscura è molto antico: il primo scienziato ad occuparsene, nell'XI secolo, con largo anticipo sugli studi successivi, fu l'arabo Alhazen. I suoi studi sui raggi luminosi e sulla teoria della visione furono tradotti dal monaco Vitellione nell'opera Opticae thesaurus Alhazeni arabis.

La camera oscura fu un fenomeno che Aristotele descrisse nel quarto secolo a.C.

Nel 1292 Guglielmo di Saint-Cloud per le sue osservazioni astronomiche utilizzò la proiezione dell'immagine del Sole su uno schermo mediante una camera oscura, il cui funzionamento è spiegato nel prologo della sua opera Almanach planetarum. Il 24 gennaio 1544 Gèmma Rainer, detto Frisius, un fisico olandese, osservò l'eclissi di Sole proprio per mezzo di una camera oscura.

Anche Leonardo la studiò, anzi arrivò a proporre di dotare il foro di una lente, cosa che fece Gerolamo Cardano. La camera oscura leonardiana venne usata come strumento per la pittura, grazie alla quale si potevano copiare paesaggi fedelmente proiettati (anche se capovolti) su di un foglio appositamente appeso.

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Camera oscura leopardiana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'immagine ricostruita all'interno della camera oscura

La camera oscura leonardiana è uno dei primi esempi, in ambito occidentale, di studio sulla proiezione di immagini dal vero (stenoscopia) tramite lente. Leonardo da Vinci descrisse nel 1515, nel Codice Atlantico, un procedimento per disegnare edifici e paesaggi dal vero, che consisteva nel creare una camera oscura nella quale veniva praticato un unico foro su una parete, sul quale veniva posta una lente regolabile (come verificò Gerolamo Cardano). Sulla parete opposta veniva così a proiettarsi un'immagine fedele e capovolta del paesaggio esterno, che poteva essere copiata su un foglio di carta ("velo") appositamente appeso, ottenendo un risultato di estrema precisione. Con la camera oscura Leonardo intendeva dimostrare che le immagini hanno natura puntiforme, si propagano in modo rettilineo e vengono invertite dal foro stenopeico, arrivando a ipotizzare che anche all'interno dell'occhio umano si avesse un capovolgimento dell'immagine analogo.

La stenoscopia è un procedimento fotografico che sfrutta il principio della camera oscura per la riproduzione di immagini. La fotocamera utilizza un foro stenopeico (dal greco stenos opaios, stretto foro), in pratica un semplice foro posizionato al centro di un lato della fotocamera, come obiettivo. La fotocamera con foro stenopeico produce immagini poco nitide, perché i raggi luminosi provenienti dal soggetto divergono e creano piccoli cerchi. Aumentare la nitidezza richiederebbe una diminuzione del diametro e dello spessore del foro, aumentando al contempo i già prolungati tempi di esposizione. Un foro troppo stretto comporta inoltre la comparsa di problemi di diffrazione. La nitidezza, seppur non eccelsa, si estende per tutti gli oggetti inquadrati, creando una profondità di campo illimitata. Un ulteriore vantaggio determinante alla diffusione di questa tecnica, è il costo estremamente basso degli strumenti e della facilità di costruzione in proprio.

La camera oscura risultava ancora usata nel XVIII secolo, da pittori come Bellotto e Canaletto (la cui camera oscura originale si trova al Museo Correr di Venezia), i quali grazie a questo strumento acquisirono quella precisione "fotografica" nel fissare i paesaggi che ancora li rende celebri.

Questi studi furono alla base dello sviluppo della lanterna magica, spettacolo di proiezioni antenato del cinema. Nella sua opera del 1568, Pratica della prospettiva, Daniele Barbaro descrisse una camera oscura con lente, che permetteva lo studio della prospettiva. Da allora le camere oscure furono largamente utilizzate dai pittori nell'impostazione di quadri con problemi prospettici: alcuni quadri del Canaletto pare siano stati dipinti col suo ausilio. Anche Antonio Vallisneri possedeva una camera ottica nella propria collezione.

Fin dall'inizio inoltre fu previsto di usare la camera oscura anche come lanterna magica, cioè come una sorta di proiettore di diapositive.

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Proiettore di luce

Nel gergo cinematografico, con il termine generico di proiettore di luce si indica ogni apparecchiatura di proiezione della luce artificiale. Esso si differenzia dal proiettore cinematografico in quanto quest'ultimo, oltre che proiettare semplicemente luce, proietta, su uno schermo, anche l'immagine di una pellicola. Il termine stesso è sinonimo di cinema, ed è anche sinonimo della Mole-Richardson Company che storicamente è stata la maggiore produttrice americana di proiettori per la cinematografia[1].

I proiettori si distinguono in varie tipologie; quelli ad arco voltaico, ormai quasi del tutto abbandonati, e quelli a lampade che sono i più moderni e denominati a seconda del tipo di lampade che usano. Ad incandescenza quelli che utilizzano le lampade a filamenti di tungsteno, e a scarica, con lampade a gas fluorescenti come il neon o lo xeno o ancora lampade ai vapori di quarzo o di mercurio[2], fabbricate con vetri speciali per ottenere tipologie di luce diversa, più calda o più fredda, per modificarne il passaggio alla luce ultravioletta, per modificarne la temperatura di colore.

Quello che più di tutti ha caratterizzato il proiettore di luce nel cinema, è stato senz'altro il proiettore ad arco voltaico, detto semplicemente ad arco, conosciuto nel cinema italiano con il termine di bruto. Questo è stato il proiettore più usato nella storia del cinema di tutto il mondo. Venne usato da tutti i grandi direttori della fotografia[2] e ha caratterizzato l'illuminazione del cinema in bianco e nero dal dopoguerra fino agli anni 1980. Ancora oggi viene usato in scene particolari, nelle grandi produzioni, per le sue caratteristiche di diffusione della luce e per la morbidezza di questa, oltre che per il suo calore, caratteristiche che rimangono ancora insuperate dai più moderni proiettori.

6 – LA LANTERNA MAGICA

Storia La lanterna magica è una forma di proiezione di immagini dipinte (di solito su vetro) su una parete (o uno schermo appositamente predisposto) in una stanza buia, tramite una scatola chiusa contenente una candela, la cui luce è filtrata da un foro sul quale è applicata una lente. Il procedimento è del tutto analogo nella sostanza a quello dei moderni proiettori di diapositive.

Si tratta del dispositivo del precinema più vicino allo spettacolo cinematografico vero e proprio.

La più antica descrizione di una lanterna magica risale al 1646, quando il padre gesuita Athanasius Kircher la incluse nel libro Ars Magna Lucis et Umbrae[1]. Probabilmente però a quell'epoca lo strumento doveva essere già noto alle corti europee, importato forse dalla Cina tramite la mediazione degli islamici.

Nel 1659 il matematico, astronomo e fisico olandese Christiaan Huygens lo citò fra le sue invenzioni, definendolo proprio lanterna magica, mentre l'ottico don Matteo Campani in Italia l'avrebbe costruita nel 1678[2].

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Athanasius Kircher

Athanasius Kircher (Geisa, 12 maggio 1602 – Roma, 28 novembre 1680) è stato un gesuita, filosofo e storico tedesco del XVII secolo. Pubblicò una quarantina di opere, anzitutto nei campi degli studi orientali, geologia e medicina. Kircher è stato paragonato al suo confratello gesuita Ruggiero Giuseppe Boscovich e a Leonardo da Vinci per la sua enorme varietà di interessi, ed è stato onorato con il titolo di "maestro in un centinaio d'arti".[1]

Kircher fu il più celebre "decifratore" di geroglifici del suo tempo, malgrado buona parte dei suoi presupposti e "traduzioni" in questo campo da allora siano stati smentiti. Egli tuttavia condusse uno dei primissimi studi sui geroglifici egiziani, stabilendo il legame corretto tra la lingua egizia antica e il copto, per il quale è stato considerato il fondatore dell'Egittologia. Era inoltre affascinato dalla sinologia e scrisse un'enciclopedia della Cina, nella quale notava per la prima volta la presenza dei cristiani nestoriani, ma tentò anche di stabilire collegamenti più tenui con l'Egitto e il cristianesimo.

L'opera di Kircher sulla geologia comprendeva studi su vulcani e fossili. Tra le prime persone ad osservare microbi attraverso un microscopio, fu talmente in anticipo sul suo tempo da proporre la tesi che la peste era causata da un microrganismo infettivo, e da proporre misure efficaci per prevenire la diffusione della malattia. Kircher mostrò inoltre un vivace interesse per la tecnologia e le invenzioni meccaniche: tra le invenzioni che gli sono attribuite vi sono un orologio magnetico, diversi automi e il primo megafono.

L'invenzione della lanterna magica è spesso attribuita impropriamente a Kircher, che condusse uno studio sui principi inerenti nel suo trattato Ars magna lucis et umbrae.

Fu una delle più famose personalità del suo tempo in campo scientifico, venendo oscurato verso la fine della sua vita dal razionalismo di Cartesio e altri. Nel tardo XX secolo, tuttavia, la qualità estetica della sua opera ha ricominciato ad essere apprezzata.

Uno studioso moderno, Alan Cutler, ha descritto Kircher come "un gigante tra gli studiosi del XVII secolo" e "uno degli ultimi pensatori che potrebbero giustamente rivendicare come suo dominio tutta la conoscenza".[2] Un altro studioso, Edward W. Schmidt, si riferisce a Kircher come all'"ultimo uomo del Rinascimento".

Nel 1659 il matematico, astronomo e fisico olandese Christiaan Huygens lo citò fra le sue invenzioni, definendolo proprio lanterna magica, mentre l'ottico don Matteo Campani in Italia l'avrebbe costruita nel 1678[2].

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Lo spettacolo della lanterna magica è il più diretto antenato della proiezione cinematografica (che non si tratta di altro che della proiezione di fotografie invece che di lastre disegnate, a una velocità tale da dare l'illusione del movimento), e continuò ad essere praticato anche dopo l'invenzione del cinema. La diffusione della lanterna magica fu rapida ed ebbe due principali applicazioni: una didattica e una fantastica, di intrattenimento.

La diffusione della lanterna magica fu rapida ed ebbe due principali applicazioni: una didattica e una fantastica, di intrattenimento.

Nel primo caso si poteva istruire mostrando luoghi, monumenti, oggetti, piante, animali che nessuno aveva mai visto, con un effetto molto più suggestivo della stampa; nell'altro caso si potevano proiettare immagini fantastiche, sia come sussidio alle conferenze e prediche religiose (si pensi alla serie di punizioni dei dannati tra le fiamme e alla felicità dei beati in paradiso quale supporto alla spiegazione dei versetti sul giudizio universale).

I due scopi potevano anche essere strettamente collegati, per potenziare l'insegnamento sviluppando l'immaginazione.

Bisogna anche tener conto che fino al XIX secolo non esisteva una netta demarcazione tra scienza e suggestione, tra realtà e fantasia: la trattazione scientifica abbondava infatti di elementi magici e fantastici, mentre le suggestioni e superstizioni fantastiche si appoggiavano quasi sempre sull'osservazione di fenomeni reali dei quali non si sapeva dare spiegazione.

Non è dunque infrequente trovare nei vetrini da lanterna magica superstiti immagini vere e di fantasia accostate: animali reali e animali fantastici (come elefanti accanto a dragoni), luoghi lontani e luoghi immaginari (la Cina accanto a Atlantide), ecc.

Tra i più celebri usi vi fu però quello di suggestione spiritica, abilmente sfruttato da Cagliostro; prima di lui, all'inizio del XVII secolo, il mitico rabbino Loew aveva intrattenuto l'imperatore Rodolfo d'Asburgo con una processione dei suoi antenati, che atterrì i convitati nel castello di Praga, dando origine a un'esplosione di paura e confusione, che portò anche a un incendio.

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"Fig 404 La Lanterna Magica di Kircher (. Dal Ars Lucis et umbrae, 1671, p 768) La lampada è una fiamma nuda con un riflettore concavo dietro Le immagini sul vetro sono dipinte su una lunga striscia con molte immagini. che può essere visualizzata una dopo l'altra. la slitta lanterna appare dal lato sbagliato dell'obiettivo proiezione, rendendo difficile vedere come può essere qualsiasi immagine proiettata. nella parte inferiore dell'immagine è una parte del testo in cui la prima descrizione di lanterna Walgenstens è la prima descrizione che è stata fatta . " Dati originali: 1671; riproduzione: 1914 Fonte ottica di proiezione: Principi, installazione ed uso della Lanterna Magica, Microscopio proiezione, Lanterna Riflettendo, Machine Moving Picture, da Simon Gage Henry e Henry Gage Phelps, Ph.D. Ithaca, New York, Comstock Publishing Company. 1914. pagina 676. scansione da User: Davepape Autore Athanasius Kircher

La lanterna magica era uno strumento di semplice utilizzo che potrebbe essere paragonato ai moderni proiettori di diapositive. L'invenzione è stata attribuita ad alcuni noti inventori o studiosi del XVII secolo: al padre Athanasius Kircher, il quale ne descrisse il funzionamento in Ars Magna Lucis et Umbrae[2], al matematico astronomo e fisico olandese Christiaan Huygens, in un cui manoscritto del 1659 si trova un riferimento, fra le altre sue invenzioni, a uno strumento che egli stesso definisce lanterna magica, e all'ottico don Matteo Campani il quale l'avrebbe costruita nel 1678[3].

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Il meccanismo di funzionamento era intuitivo: bastava inserire i disegni nella macchina perché questa li proiettasse su una parete o su uno schermo appositamente predisposto.

La lanterna si prestava ai più svariati utilizzi, infatti fu utilizzata fin dall'inizio sia per scopi educativi (raccontare, ad esempio, la Bibbia col supporto di immagini colorate a tutto schermo), sia di intrattenimento. Col tempo si capì che oltre la semplice proiezione si potevano riprodurre movimenti elementari. Alcune di queste semplici "animazioni" consistevano nel far scorrere dei vetri dipinti davanti l'obiettivo; usare sorte di ombre cinesi mosse con leve e fili; oppure attraverso levette far muovere parti delle pitture, come ad esempio gli occhi, ottenendo così degli "effetti speciali" primordiali.

L'invenzione della fotografia infine, nel 1826, principalmente per opera di Joseph Nicéphore Niépce, pose le premesse per un ulteriore sviluppo. Se si fosse trovato il modo di far passare davanti all'obiettivo delle fotografie in successione si sarebbe potuto riprodurre la realtà. Sarà l'idea vincente dei fratelli Lumière.

Il movimento

Lastra scorrevole per lanterna magica

Inizialmente con la lanterna magica si proiettava una sola immagine fissa per volta, ma a poco a poco, grazie a varie invenzioni accessorie, si arrivò a moltiplicare le immagini ed a farle muovere, magari facendo scorrere due o più lastre l'una sull'altra, ottenendo per esempio l'effetto di due persone che si allontanavano o di un cavaliere che muoveva verso un castello.

Proust, all'inizio della Recherche, parlò di una lanterna magica di ultima generazione, che dava l'illusione del movimento tramite lastre sovrapposte, mostrando il traditore Golo che cavalca verso il castello dove vive Ginevra

L'imbonitore

Lanterna magica del 1890

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Figura chiave nello spettacolo della lanterna magica (e non solo), era quella dell'imbonitore, cioè di un personaggio che spiegasse le immagini mostrate oppure, nel caso di una storia che si sviluppava su una sequenza di illustrazioni, raccontasse gli avvenimenti che venivano proiettati. Le immagini da sole infatti non erano sufficientemente chiare per essere capite nel senso dal pubblico, che quindi aveva bisogno di un commento parlato per comprendere a pieno.

Questa figura di narratore presente fisicamente alle rappresentazioni venne conservata anche in tutti gli spettacoli del cinema delle origini, almeno per tutta la fase del cosiddetto cinema delle attrazioni (1895-1908).

Schema di lanterna magica

M = specchio; L = lente convergente; ab = immagine dipinta su vetro; m = sistema lenticolare (obiettivo); BA = immagine rovesciata e ingrandita. Da Ganot, Corso di fisica elementare, 1868.

Il meccanismo di funzionamento era intuitivo: bastava inserire i disegni nella macchina perché questa li proiettasse su una parete o su uno schermo appositamente predisposto.

La lanterna si prestava ai più svariati utilizzi, infatti fu utilizzata fin dall'inizio sia per scopi educativi (raccontare, ad esempio, la Bibbia col supporto di immagini colorate a tutto schermo), sia di intrattenimento.

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Col tempo si capì che oltre la semplice proiezione si potevano riprodurre movimenti elementari. Alcune di queste semplici "animazioni" consistevano nel far scorrere dei vetri dipinti davanti l'obiettivo; usare sorte di ombre cinesi mosse con leve e fili; oppure attraverso levette far muovere parti delle pitture, come ad esempio gli occhi, ottenendo così degli "effetti speciali" primordiali.

7 – IL MONDO NUOVO

Il Mondo nuovo è uno strumento ottico di intrattenimento popolare, con cui è possibile vedere "vedute ottiche", stampate su carta e colorate a mano, retroilluminate da una candela.[1]

La sua maggiore diffusione si registra tra il XVIII e il XIX secolo, ad opera soprattutto di ambulanti che giravano per le feste di paese, chiedendo un compenso per la visione delle immagini

Cromolitografia di F. von Schlotterbeck del 1843 che illustra uno spettacolo di Mondo Nuovo "In sta cassela mostro el Mondo niovo. Con dentro lontananze, e prospetive,

Vojo un soldo per testa, e ghe la trovo."

Il Mondo nuovo era un apparecchio simile nel funzionamento alla lanterna magica, però le immagini, invece che essere proiettate da una scatola verso l'esterno, erano fruibili guardando dentro la scatola stessa. Si trattava di uno strumento diffuso nelle feste di paese, dove gli ambulanti facevano guardare a pagamento le immagini nella scatola, spesso mosse tramite fili, come le marionette. A differenza della lanterna magica quindi il mondo nuovo era un dispositivo diurno, che poteva essere usato anche alla luce del sole e all'aperto, ed ebbe un fondamentale ruolo nella divulgazione degli eventi storici soprattutto legati alla Rivoluzione francese negli strati più bassi della popolazione.

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Un altro tipo di intrattenimento popolare, per certi versi simile al futuro spettacolo cinematografico, era il "panorama", grandi stanze rotonde coperte da disegni che simulavano vedute a 360°. Il panorama (anche conosciuto come ciclorama, cosmorama, kosmorama, ecc.) era uno tipo di intrattenimento popolare in voga tra XVIII e XIX secolo, consistente essenzialmente in una stanza circolare con le pareti coperte da un disegno di una veduta a 360°, che ricreassero l'illusione di un paesaggio che circondava lo spettatore. L'illuminazione proveniva solitamente dal soffitto e solo con la diffusione dell'energia elettrica si iniziò a usare stanze buie illuminate artificialmente.

Principio di funzionamento

Mondo Nuovo con tracolla, Museo di Stato di Württemberg

Simile nel principio alla lanterna magica, ha però un funzionamento opposto, poiché le immagini non vengono proiettate all'esterno, ma, per poterle visualizzare, l'osservatore deve guardare all'interno del dispositivo. Il mondo nuovo è costituito da una cassa di grandi dimensioni, alta quanto una persona o quasi. All'interno è possibile osservare delle immagini costituite da dipinti su carta colorate a mano, spesso con alcuni particolari intagliati, per ottenere in trasparenza, l'effetto giorno-notte di un paesaggio. In tali rappresentazioni sono talvolta calate delle figure umane snodate animate grazie a dei fili.[1]

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Caratteristiche A differenza della lanterna magica, le cui proiezioni potevano essere osservate solamente di notte o all'interno di una stanza buia, il mondo nuovo poteva essere utilizzato durante il giorno, all'aperto, nelle piazze. Così come nel caso della lanterna magica, le immagini utilizzate, potevano avere un uso didattico o di intrattenimento con soggetti che mostravano paesi lontani, paesaggi, cerimonie pubbliche, o di genere fantastico, che però ottenevano maggiore effetto durante la visione notturna.

Tipiche del mondo nuovo erano invece le immagini che raccontavano eventi reali, una sorta di notiziario per immagini particolarmente popolare negli strati più bassi della popolazione analfabeta: divenne particolarmente in voga durante la Rivoluzione Francese. In questo caso l'imbonitore poteva illustrare ai fruitori gli avvenimenti narrati dalle immagini. Una scena molto popolare in questo periodo era la decapitazione di Maria Antonietta, poiché la esecuzioni erano considerate fatti di spettacolo, chi non poteva assistervi direttamente si accontentava di queste riproduzioni.

Si tratta del dispositivo del precinema più vicino allo spettacolo del kinetoscopio di Thomas Edison.

Gaetano Zompini: "Mondo Nuovo"

engraving (1785)