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PLATONE

Idee e mondo sensibile

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Il materiale informativo è tratto dal testo: G. Reale, D. Antiseri, La filosofia nel suo sviluppo

storico, vol. I; Editrice La Scuola (Brescia)

i box sono sensibili

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Platone Discepolo di Socrate, Aristocle - detto

"Platone" per le sue larghe spalle, ovvero per il suo stile ampio - è uno dei più grandi filosofi dell'antichità; al suo pensiero si sono ispirati pensatori di tutti i tempi.

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PLATONE

DialoghiSocrate

MitoSeconda

navigazione(Metafisica)

Idee

Cosmo sensibile

Conoscenza

Arte Eros

Dualismo dell’uomo

Lo Stato

Il mito della caverna

Dualismo

episteme

doxa

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I dialoghi platonici e il Socrate personaggio dei dialoghi Platone ha esposto la sua "filosofia" nei "dialoghi", cioè in opere in cui

alcuni personaggi espongono le loro opinioni, in modo tale che dal confronto, e quindi dalla critica delle opinioni sbagliate, venga fuori la "verità". Nel far questo, egli ha preso a modello il modo di filosofare di Socrate, che non scrisse nulla e ridusse tutta la sua attività di maestro a un dialogare con i discepoli.

In questi dialoghi, protagonista sarà per lo più Socrate (anche quando si affrontano argomenti che Socrate non ha trattato), ma protagonista è anche il lettore dei dialoghi, perché la verità (cioè, ciò che Platone vuole insegnare in quel dialogo) non viene esposta in modo sistematico, ma emerge dall'analisi e dal ragionamento che il lettore riesce a fare insieme ai personaggi. Lo stesso Socrate, più che limitarsi ad esporre il "punto di vista" di Platone, opera criticando le opinioni altrui e mostrandone la non-verità.

Ovviamente, il Socrate dei "dialoghi" non coincide con il Socrate realmente esistito, ma è una specie di portavoce dello stesso Platone.

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DialoghiSocrate

dia-logos protagonisti

Socrate

lettore

ricerca

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Recupero e nuovo significato del "mito" in Platone Leggendo i dialoghi platonici, può sorgere un dubbio:

come mai Platone, che attribuisce tanta importanza alla "ragione" (logos), alla riflessione razionale come strumento del filosofare - tanto è vero che considera la vera realtà non quella che appare ai nostri sensi (vista, udito, olfatto,...), ma quella che possiamo cogliere con la ragione, e che lui chiama "idea" - ha usato il "mito", che è una forma di narrazione "fantastica"? Che senso ha il "mito" per Platone?

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Mito Il "mito" suggerisce la verità, piuttosto che spiegarla

razionalmente. Perciò forse Platone vuol farci capire che alcune verità non possono semplicemente essere trasmesse dal filosofo all'allievo, ma richiedono, da parte di quest'ultimo, uno sforzo di rielaborazione personale, un impegno a "ricercare" la verità, sulla strada che il maestro ha indicato: in ciò consiste il significato più autentico della "filosofia" come "amore della saggezza" e quindi come un processo continuo di ricerca personale. (Ricordiamo che anche il "dialogo" è una forma di comunicazione nella quale la "verità" emerge dalla ricerca.)

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Mito

ricerca verità

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La "seconda navigazione“(naturalisti e Socrate)

I filosofi "naturalisti" avevano cercato la spiegazione di tutto (la verità) in cause di tipo fisico (acqua, aria, terra, fuoco,...).

Socrate, al contrario, aveva indicato che la verità è di tipo concettuale, cioè può essere colta solo dalla ragione, perché essa è universale e necessaria, mentre ogni cosa fisica è sempre particolare.

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La "seconda navigazione“(la scoperta della metafisica)

Platone porta a compimento la dottrina socratica, affermando che il "vero" non è ciò che percepiamo con i sensi, ( perché il mondo sensibile varia continuamente), ma ciò che sappiamo mediante la ragione, qualcosa di non sensibile, ma razionale, e quindi la verità è "oltre" la sensibilità e il mondo fisico: è "metafisica" ("metà ta fisicà", in greco, vuol dire appunto: "oltre il mondo fisico, sensibile").

A differenza di Socrate, però, Platone attribuisce al "concetto" socratico una esistenza reale (e non solo nella mente dell'uomo), e lo chiama Idea. La verità, dirà Platone, è "idea", cioè realtà razionale.

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La "seconda navigazione“(Platone)

La scoperta del carattere sovrasensibile , metafisico, della verità, è chiamata da Platone "seconda navigazione", (egli usa l'espressione del linguaggio marinaresco per sottolineare il suo contributo personale), per distinguerla dalla "prima navigazione", cioè dalle affermazioni filosofiche dei filosofi "naturalistici".

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I due piani dell'essere Con la scoperta di Platone (seconda navigazione),

nella storia della filosofia occidentale viene stabilita, una volta per tutte, la distinzione tra due piani dell'essere, cioè della realtà quale il filosofo può conoscerla: il piano che possiamo cogliere con i nostri sensi (e perciò "sensibile", o "fenomenico", cioè appartenente alle cose che appaiono ai sensi) e quello che possiamo individuare solo con la ragione (e perciò "ultra-sensibile", "metafisico","intellegibile", cioè che può essere colto dall'intelletto-ragione). Il primo è "apparenza", il secondo è "sostanza".

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Seconda navigazione(Metafisica)

Prima navigazione

(Fisica)

Realtà sensibileCosmo

Realtà intellegibile

Idee

dualismo

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Le Idee: introduzione Il mondo che ci circonda è pieno di oggetti, alcuni simili tra loro,

altri molto diversi. Se noi, per esempio, incontriamo un nostro amico, riconosciamo in lui un "uomo", cioè un essere che ha alcune caratteristiche in comune con altri esseri simili a lui. Di queste caratteristiche, alcune sono mutevoli e varie (es. il colore dei capelli o degli occhi, l'altezza, ecc.) e noi non le consideriamo essenziali per stabilire che il nostro amico è un "uomo" (cioè egli può essere alto o basso, biondo o bruno, senza essere meno uomo). Altre caratteristiche sono invece tali che senza di esse non possiamo considerarlo "uomo"; ad es., Aristotele dirà che un uomo è un "animale razionale", intendendo con questa definizione che l'uomo appartiene al genere degli esseri animati ("animale"),- ha una serie di caratteristiche in comune con gli animali -, ma se ne differenzia per qualcosa di specifico, che è appunto la "ragione" ("razionale").

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L'Iperuranio, ovvero il mondo delle Idee Le caratteristiche necessarie perché un essere sia

quello che è sono da considerarsi "essenziali"- cioè tali da costituire l'essenza, la sostanza -, perché senza di esse l'essere in questione sarebbe diverso da quello che è.

Platone dà un nome a queste sostanze, le chiama Idee, e afferma che esse si trovano in un mondo diverso da quello che cade sotto i nostri sensi: l'Iperuranio ("sopra il cosmo fisico").

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Idee e pensieri Bisogna però stare attenti: le Idee, come le intende

Platone, non sono i contenuti della nostra mente, del nostro pensiero; esse hanno una realtà autonoma, sono - come Platone dirà in seguito - come dei "modelli", che stanno nell'Iperuranio, e dei quali le cose che stanno sulla terra sono delle semplici copie, più o meno simili, ma mai perfettamente identiche, all'originale.

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Idee ed esseri L'esempio fatto prima per l'uomo vale per ogni essere

che sta sulla terra, e non solo per "esseri" per così dire fisici (animali, piante, uomini,...), ma anche per "esseri" apparentemente più astratti, come i valori: il bello, il buono, il giusto (o, se si preferisce, la bellezza, la bontà, la giustizia); come gli enti matematici, ed altri ancora, che noi consideriamo astratti solo perché non li vediamo né li sentiamo, mentre invece essi sono più universali degli altri esseri. Anche di essi esistono, nell'Iperuranio, le Idee, ed anzi queste Idee, proprio perché più universali, occupano un posto più alto nella gerarchia delle Idee.

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Idee = cause Le Idee sono le vere cause di tutte le cose sensibili

(che mutano), ed esse non mutano, sono incorruttibili, perché altrimenti dovrebbero, a loro volta, dipendere da cause ancora più generali.

L'Iperuranio non è però un luogo "fisico", visto che è abitato da "essenze non fisiche"; dobbiamo immaginarlo come luogo "metafisico", come una specie di altra dimensione, fatta di realtà puramente "razionali" ed "intellegibili": le Idee.

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La gerarchia delle Idee Come abbiamo detto sopra, nell'Iperuranio le Idee

sono molteplici: Idee di valori estetici, Idee di valori morali, Idee delle varie realtà fisiche, Idee di enti matematici, ecc.; esse però non si trovano alla rinfusa, ma sono ordinate secondo una scala gerarchica, che va dalla Idee meno universali (in basso) a quella più universale (in alto), che, secondo Platone, è l'Idea del Bene. Tale Idea è come un sole, che, illuminando tutte le altre, ce le fa intendere.

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L’Idea del bene Platone non ha scritto nulla su questa Idea (Idea del

Bene), dalla quale derivano tutte le altre, ma ne parlava ai suoi discepoli nelle sue lezioni "Intorno al Bene", perché - come scrive nella Lettera VII - "La conoscenza di queste cose non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma dopo molte discussioni fatte su queste cose, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende da una scintilla che si sprigiona, così nasce nell'anima, e da se stessa si alimenta".

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Principi primi : Uno (Bene) e Diade indefinita Il principio supremo, come abbiamo visto, è l'Idea del

Bene, che è detta anche "Uno", perché tutto deriva da lei.

All'Uno era contrapposto un secondo principio, generalissimo, ma meno universale: la Diade, o principio della molteplicità.

Dalla cooperazione di questi due principi - il primo (Uno) "determinante", il secondo (Diade) "indeterminato" - nasce la totalità delle Idee "determinate", ovvero le singole Idee, ciascuna con le determinazioni (caratteristiche) proprie, che la fanno diversa dalle altre.

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Gli enti matematici Al livello più basso della gerarchia del mondo

intellegibile, si trovano gli "enti matematici" (numeri e figure geometriche), i quali si trovano più in basso delle altre Idee, perché sono molteplici (molti uno, molti due, molte linee,...), ma si trovano più in alto delle cose sensibili, perché sono enti intellegibili e non fisici: perciò Platone li chiama enti "intermedi" tra le Idee e le cose sensibili.

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Idee

essenza

Gerarchia

Iperuranio

Uno e Diade

Enti matematici

Bene

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Genesi e struttura del cosmo sensibile Il problema che si pone a questo punto è il seguente:

come è possibile che dal mondo delle Idee (intellegibili) nasca il mondo delle cose (sensibili), che è quello nel quale noi viviamo?

La risposta di Platone è la seguente: esiste un Demiurgo (un Dio artefice, ma non creatore, come il Dio cristiano, perché il Dio cristiano ha creato il mondo "dal nulla", e quindi ha creato anche la materia, mentre invece il Demiurgo trova già esistenti sia le Idee che la materia), il quale, prendendo a modello le Idee, che sono delle "forme", plasma la materia sensibile (chora).

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Il mondo come copia Dunque, il mondo che cade sotto i nostri sensi, e che

noi consideriamo spesso come l'unica realtà, è invece nient'altro che una "copia", ovvero un insieme di copie molteplici e mutevoli, dell'unico vero mondo, quello delle Idee (modelli ideali).

Perché il Demiurgo ha voluto generare il mondo sensibile? Platone risponde: per "bontà" e amore di bene.

Perciò, per farlo più perfetto possibile (anche se sempre imperfetto, rispetto alle Idee), lo ha dotato anche di un'anima (l'anima del mondo),una sorta di principio vivificatore, a somiglianza dell'anima umana.

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Cosmo sensibile

apparenza

copia

Demiurgo

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La conoscenza L'uomo vive nel mondo sensibile, a contatto con gli

oggetti. Come può dunque "conoscerli", visto che conoscerli significa scoprire in essi, al di là delle apparenze mutevoli, il sostrato razionale (Idea), di cui essi non sono che semplici copie?

La risposta di Platone è la seguente: conoscere significa "ricordare". La conoscenza è "anamnesi" (ricordo).

Platone spiega questa concezione del conoscere in due modi: uno mitico ed uno dialettico.

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Mito orfico Secondo il mito orfico, l'anima umana, immortale, si

incarna più volte (in corpi diversi), ma, fra un'incarnazione e l'altra, dimora presso le Idee e le conosce. Quando si unisce al corpo (che è una sorta di prigione), l'anima dimentica ciò che conosce (le Idee). Poi, a contatto col mondo, viene stimolata a ricordare ciò che già sa.

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Metodo dialettico La dimostrazione dialettica Platone la fa con uno

schiavo ignorante. Interrogandolo, Socrate dimostra che lo schiavo è in grado di risolvere un problema geometrico (il che implica conoscenze matematiche, che nessuno ha insegnato allo schiavo). Donde ha tratto lo schiavo le conoscenze necessarie a risolvere il problema? Non da "fuori di sé" (insegnamento, esperienza,...); quindi non può che averle tratte "da sé". Ciò dimostra che esistono nell'uomo delle conoscenze di cui egli non ha coscienza, se non opportunamente guidato a riconoscerle.

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Conoscere = ricordare Conoscere è quindi un ricordare, che procede per

tappe: perciò diversi saranno i gradini di questa salita verso la conoscenza più perfetta: quella delle Idee.

Platone, dopo aver distinto tra una conoscenza più fallace (doxa o opinione) ed una più vera (episteme o scienza), divide ciascuna della due in due gradi diversi. Avremo così, in ordine di salita, quattro tappe: eikasia (immaginazione), pistis (credenza), dianoia (conoscenza mediana), noesis (pura intellezione).

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Tappe del conoscere

doxa

episteme

eikasia (immaginazione)

pistis (credenza)

dianoia (conoscenza mediana)

noesis (pura intellezione)

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La dialettica Gli uomini comuni si fermano ai primi due livelli (eikasia

e pistis), quindi all'opinione; i matematici arrivano al terzo livello (dianoia); solo il filosofo raggiunge la vetta: la noesis o intellezione pura delle Idee.

Il procedimento conoscitivo del filosofo, mediante il quale egli passa da un'Idea all'altra, fino al raggiungimento dell'Idea suprema, è detto "dialettica" (dal greco: dià e leghein, dire tra).

Esistono due tipi di dialettica: una "ascensiva" (dal mondo sensibile, alle Idee, fino a quella suprema) ed una "discensiva" (partendo dall'Idea suprema, e procedendo per divisione, si scende verso il basso).

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Conoscenza

reminiscenza

episteme

doxa

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L’arte Platone ha una concezione negativa dell'arte: essa è

una "copia" (mimesi) del mondo sensibile, il quale a sua volta è una "copia" del mondo delle Idee; perciò l'arte è una "copia della copia della verità“. L’arte è corruttrice (spinge lo spirito umano verso le cose del mondo e lo allontana dalla Idee) e va bandita dallo Stato ideale.

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Eros Platone ci offre un'interpretazione alquanto

originale dell'amore (in greco: Eros), facendone una sorta di metafora della stessa filosofia.

Infatti Eros è desiderio di qualcosa che non si possiede ancora, ma di cui si intravede, in qualche modo, il valore.

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Mito di Eros Eros, secondo il mito,è figlio di Poros (ricchezza) e

di Penia (povertà), quindi è un essere intermedio, che traduce in sé la presenza dei genitori nel suo essere "desiderio di", "aspirazione a". Egli non possiede la pienezza del padre (soddisfatto del suo status divino), né la privazione assoluta della madre (insoddisfatta e senza possibilità alcuna di soddisfazione), ma si muove da una condizione di mancanza verso una condizione di possesso, identificandosi con questa "tensione", con questa continua ricerca.

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Eros = filo-sofia Per questa sua caratteristica, esso ben rappresenta

ogni processo di "ricerca" e di mediazione (tra sensibile e soprasensibile, tra umano e divino,...) e soprattutto la "filosofia", che è desiderio dell'assoluto (verità, Idee), partendo dalla condizione umana; infatti la "filo-sofia" è "desiderio di sapienza", non possesso pieno di essa, e il filosofo diventa una specie di metafora dell'uomo, anche lui, in quanto composto di anima e di corpo, sospeso tra il cielo e la terra, ma con una profonda nostalgia della sua patria celeste.

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Eros = amore del bene-bello (-) Eros è perciò il vero desiderio della Bellezza, che a

sua volta coincide con il Bene, e perciò l'amore platonico è una via che porta all'assoluto.

Esistono vari livelli di amore, da quello sensibile a quello spirituale, fino all'amore più puro e perfetto: l'amore del Bello in sé, dell'Assoluto.

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Eros

Poros

Penia

Filosofia = desiderio

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Concezione "dualistica" dell'uomo Anima e corpo, nel loro insieme, costituiscono l'uomo;

ma essi sono qualitativamente diversi: soprasensibile e immortale, l'una; sensibile e mortale l'altro. Perciò l'uomo è composto "dualisticamente", ma la sua parte migliore (l'anima) non si trova bene nel corpo - che anzi, secondo la dottrina Orfica, è da considerarsi come una "buia prigione"- e aspira a ritornare là dove si sente a casa sua: nell'Iperuranio, a contatto con altre realtà (Idee) della sua stessa natura (intellegibili).

Platone paragona l'attività dell'anima rispetto al corpo a un "carro alato", trascinato da due cavalli impetuosi (anima irascibile e anima concupiscibile), che vengono guidati da un auriga esperto (anima razionale).

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Lo Stato Nella "Repubblica", Platone traccia le linee di uno

Stato ideale, modellandolo sulle caratteristiche (anime) dell'essere umano.

Alle tre "anime“ (concupiscibile, irascibile, razionale) presenti nell'uomo corrispondono altrettanti funzioni sociali, svolte da "gruppi" (classi) di individui, per il mantenimento di quel grande "corpo sociale", che è appunto lo Stato:

i lavoratori / mercanti i guerrieri I filosofi

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Lavoratori/mercanti i lavoratori e i mercanti, con la loro attività,

provvedono al sostentamento materiale dell'organismo sociale. La virtù dell'anima concupiscibile è la temperanza, cioè la sottomissione agli appetiti della ragione; allo stesso modo, la temperanza dei mercanti consiste nella loro ubbidienza alla classe che nello stato rappresenta la ragione: i filosofi.

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Guerrieri i guerrieri formano la seconda classe. La

virtù dell'anima irascibile è la fortezza o il coraggio; loro compito è difendere lo Stato, ed anche loro devono sottomettersi ai filosofi.

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Filosofi l'ultima classe è rappresentata dai filosofi, il

cui compito è di guidare lo Stato, allo stesso modo in cui compito dell'anima razionale è di guidare l'uomo. La loro virtù specifica è la sapienza e il loro scopo è la ricerca del Bene.

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La giustizia La giustizia è poi la virtù comune a tutte e tre

le classi e consiste in questo, che ciascuna classe adempia al proprio compito e non se ne attribuisca altro che quello.

Da tutto ciò si capisce che a Platone lo Stato interessa in quanto ha per scopo il perfezionamento morale degli uomini.

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Lo Stato L’uomo

Filosofi

Guerrieri

Mercanti

Aninarazionale

Aninairascibile

Aninaconcupiscibile

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Il "mito della caverna " Nella "Repubblica" si trova uno dei miti platonici più

famosi: il "mito della caverna". Immaginiamo che alcuni schiavi vivano incatenati in

una caverna, con le spalle all'uscita e con la faccia rivolta verso la parete di fondo. Immaginiamo poi che fuori della caverna ci sia un muro, oltre il quale passano degli uomini, che portano sulle spalle delle statue raffiguranti tutti i generi di cose e che dietro di loro arda un fuoco, mentre in alto splende il sole.

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Gli schiavi Gli schiavi nella caverna, vedendo proiettate sul fondo

della stessa le "ombre" delle statue e udendo - per effetto dell'eco - le voci di chi passa di fuori, crederanno - non avendo mai visto altro - che questa sia la vera realtà.

Ma se uno di loro riuscisse a "liberarsi" dalle catene, cambierebbe la sua opinione. Prima, vedendo le statue, crederebbe che esse - e non le ombre - siano la vera realtà; poi, procedendo verso l'esterno, attribuirebbe agli "uomini" che portano le statue il carattere di vera realtà, e infine, abituatosi alla luce del sole, capirebbe che esso, con la sua luce, è la causa di tutte le cose visibili.

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I quattro significati del mito della caverna Il "mito della caverna" ha quattro

significati: 1) Innanzitutto rappresenta i vari livelli

della realtà: le ombre sono le pure apparenze; le statue sono le cose sensibili; gli uomini e gli oggetti al di là del muro sono le idee e il Sole simboleggia l'Idea del Bene.

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2) In secondo luogo, rappresenta i gradi della conoscenza: la visione delle ombre è l'eikasia (immaginazione); quella delle statue, la pistis (credenza); quella degli oggetti e degli uomini la dialettica nei vari gradi.

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3) In terzo luogo, rappresenta l'aspetto mistico-religioso del platonismo: durante la vita umana, l'anima è come incatenata in una caverna, dalla quale aspira ad uscire per raggiungere la sua vera patria, a contatto con le realtà intellegibili.

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4) Infine, il mito della caverna rappresenta la concezione politica di Platone: egli parla di un "ritorno nella caverna", da parte dello schiavo liberatosi, per aiutare anche i suoi compagni di una volta a liberarsi dalle catene. In tal modo Platone sottolinea l'impegno del filosofo a non ritenersi pago, una volta raggiunta la visione della verità, ma anzi ad impegnarsi (politicamente) per indicare anche agli altri uomini la via della verità e del Bene.

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