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LINGUA, LINGUE Premessa Anche nell’Altro e nel Diverso noi possiamo in qualche modo incontrare noi stessi. Ma più pressante che mai è oggi il dovere di riconoscere nell’Altro e nel Diverso quel che vi è di comune. Hans Georg Gadamer Nell’affrontare il problema dell’insegnamento della Lingua2, è sostanziale la consapevolezza che l’essenza del linguaggio non è un fatto linguistico: non risiede nella realizzazione storica, nel diffuso inarrestabile fluire di parole, bensì in quel vuoto che viene detto l’essere in potenza di, ossia la potenzialità che l’infante dell’uomo ha di parlare, ma anche di non farlo. Qui si radica l’elementarmente umano, che ci ac-comuna e ci permette di comunicare. Siamo corpi parlanti e, pertanto, la corporeità è per noi al centro di ogni progetto educativo e didattico. Il corpo rappresenta un territorio privilegiato per l’incontro fra culture con la conseguente trasformazione di sé e dell’altro, verso nuove e più soddisfacenti forme d’identità. Perciò,nel momento in cui due persone stanno di fronte, in uno spazio, con l’intento di interagire, sono strumenti validi tutti i linguaggi espressivi non verbali, dalla musica all’espressione grafico-pittorica e plastica, al linguaggio motorio ed al teatrale. La corporeità si esprime tutta intera nei linguaggi e nella lingua, e la parola rappresenta il risultato biologico e evolutivo, sintesi di natura e cultura, di quel processo di simbolizzazione che, dalla primitiva separazione dagli oggetti, genera le rappresentazioni mentali e edifica gli apparati semiotici. 1

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LINGUA, LINGUE

Premessa

Anche nell’Altro e nel Diverso noi possiamo in qualche modo incontrare noi stessi.Ma più pressante che mai è oggi il dovere di riconoscere nell’Altro e nel Diverso quel che vi è di comune.Hans Georg Gadamer

Nell’affrontare il problema dell’insegnamento della Lingua2, è sostanziale la consapevolezza che l’essenza del linguaggio non è un fatto linguistico: non risiede nella realizzazione storica, nel diffuso inarrestabile fluire di parole, bensì in quel vuoto che viene detto l’essere in potenza di, ossia la potenzialità che l’infante dell’uomo ha di parlare, ma anche di non farlo.Qui si radica l’elementarmente umano, che ci ac-comuna e ci permette di comunicare.Siamo corpi parlanti e, pertanto, la corporeità è per noi al centro di ogni progetto educativo e didattico. Il corpo rappresenta un territorio privilegiato per l’incontro fra culture con la conseguente trasformazione di sé e dell’altro, verso nuove e più soddisfacenti forme d’identità. Perciò,nel momento in cui due persone stanno di fronte, in uno spazio, con l’intento di interagire, sono strumenti validi tutti i linguaggi espressivi non verbali, dalla musica all’espressione grafico-pittorica e plastica, al linguaggio motorio ed al teatrale.La corporeità si esprime tutta intera nei linguaggi e nella lingua, e la parola rappresenta il risultato biologico e evolutivo, sintesi di natura e cultura, di quel processo di simbolizzazione che, dalla primitiva separazione dagli oggetti, genera le rappresentazioni mentali e edifica gli apparati semiotici. Da questa riflessione emerge chiaramente l’importanza che attribuiamo alla Lingua Materna. E’ proprio essa, che per prima ha appagato il dolore della separazione dal corpo della Madre e ha dato voce ai bisogni primari e fisiologici, a costituire la matrice su cui si struttura, per somiglianze e differenze, la nuova lingua, quella appresa dopo, dunque non solo e non più straniera, ma seconda.La persona non ancora parlante la lingua del paese ospite non è in stato di deficit ( come appare nello stereotipo generalizzato), vive bensì una condizione transitoria: del tutto immersa nel nuovo ambiente di vita, dove tutto parla ai suoi sensi, visivamente, sonoramente e audio-visivamente. Dunque, l’esperienza precede il discorso su quell’esperienza: non si impara per liste o per grafici, ma per associazioni a rete, come ci dicono i più recenti contributi di letteratura scientifica sull’argomento.La persona, sua volta parla con il suo esserci, seleziona, costruisce e sceglie senso comune, con l’altro.

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Se in questo percorso viene guidata, come accade a scuola, da un insegnante di Lingua2, avrà modo di valorizzare, mentre apprende, i propri saperi, e di uscire pian piano dalla nube indistinta in cui giace il nuovo universo semiotico.Sappiamo, ad esempio, quanto vasto è il patrimonio di conoscenze con cui le bambine e i bambini entrano nella scuola. Esso va salvaguardato e rispettato, proprio perché è lì che insiste la prima radice dell’apprendimento linguistico più complesso e dell’apprendimento di un'altra lingua.All’interno di tale processo è basilare promuovere le parole del sé: il vissuto, la memoria e i suoi echi emotivi, l’impatto col nuovo nel presente, le routine spazio-temporali ed infine la dimensione progettuale, fatta di desideri, sogni e aspettative.

PAROLE CHIAVE

Corpo parlante VoceParole incorpate Matrice Dialogo Silenzio Lingua Materna

Relazione GiocoRitualità Prossimità Senso comune Gruppo

Stili di insegnamento Contesto Competenze/Abilità

Patto Consapevolezza Responsabilità Linguaggi Teatro Narrazione

Laboratorio

I presupposti: funzione della Lingua

[…] perché i corpi, i piaceri, i gesti,le pulsioni non possono valere per se stessi come principio di sapere e di intelligenza? Sappiamo che questo di fatto è il regime in vigore nella nostra cultura, che quasi non riconosce un parlare e un sapere direttamente modellati dai loro moventi materiali cui impone sempre una traduzione mediata.Luisa Muraro

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Il processo di appropriazione della realtà si attua quando essa è definita con la nominalizzazione delle cose - persone, elementi dell’ambiente naturale - che la costituiscono. Possiamo dunque dire che il mio mondo finisce là dove finisce il mio linguaggio. Il comunicare presuppone l’esistenza dell’altro, perché è solo attraverso lo scambio che il mio parlare acquista senso. Lo sguardo dell’altro mi definisce, la mia identità esiste solo grazie all’altro che mi riconosce. La relazione è dunque la base dell’esistere, anche nell’accoppiamento strutturale di tipo biologico e, per l’animale che si parla, essa definisce il nostro esserci, abitare il mondo. C’è bisogno del dialogo, dia-logos: riconoscimento reciproco. Nello scambio linguistico avviene una vera e propria negoziazione di aspettative e di significati, un fenomeno di decentramento cognitivo e affettivo, una co-costruzione dei sensi comuni , l’accettazione degli altrui punti di vista.Solo così è possibile consolidare l’agire comunicativo che è presupposto e esito del vivere sociale.Il linguaggio dell’agire comune, se rappresenta una ricerca di unificazione, è anche espressione della propria unicità. Il comportamento linguistico svela le modalità relazionali con l’esterno, è lavorato dal desiderio dell’altro, come doppio genitivo: chi ci desidera e chi desideriamo. Ma è anche atteggiamento di difesa quando la diversità è percepita come aggressione, come messa in scacco del sé. La lingua è dunque sempre espressione della propria e dell’altrui unicità: in questo senso ci sembra di interpretare il monolinguismo dell’altro.

I presupposti: apprendimento della lingua e identità culturale

Esiste una differenza irriducibile tra Lingua Materna e un'altra lingua. Posso esprimerla semplicemente dicendo che conosco a memoria un gran numero di poesie in tedesco. In un certo senso hanno avuto origine sempre nel fondo della mia mente, in the back of my mind; naturalmente questo è qualcosa che non si potrà mai ripetere. […] Non esistono alternative alla Lingua Materna. Certo, la si può dimenticare, come ho potuto vedere. Ma in questo modo si parla un'altra lingua: un cliché non fa che sostituirne altri, perché la creatività linguistica viene amputata quando si dimentica la propria lingua.Hanna Arendt

La Lingua Materna veicola quei valori individuali, sociali e culturali che fanno parte della storia di ognuno. Su di essa si struttura il processo continuo dell’identità ed anche quello, come si è detto dell’apprendimento di una seconda lingua.

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La Lingua Materna è quella della prima lallazione, del rinforzo vocale effettuato sui primi suoni da parte della madre, che li interpreta per empatia naturale, coglie, o attribuisce senso, al nesso tra suoni, gesto, intonazione, sguardo. Per questo è importante che la madre possegga e abbia amore, cura, per la prima lingua.L’acquisizione di una lingua altra, è indice di comprensione della cultura in cui è nata e in cui vive, ma non rappresenta mai un’adesione totale alla cultura di quella lingua. L’equivalenza, fra l’acquisizione delle competenze linguistiche e l’interiorizzazione della cultura è fenomeno soggettivo: deriva dal grado di interesse, è moto dell’affettività e quindi della intenzionalità del discente.Il fenomeno della fossilizzazione linguistica ne è una prova: esso avviene in parallelo al consolidarsi ed arrestarsi del livello di aspirazioni. Solo se tale livello s’innalza, si scioglie il blocco a livello linguistico. Lo stimolo più efficace è di tipo affettivo, anche se spesso la molla è di tipo economico-sociale, frutto dell’aspirazione alla mobilità verticale nella società.Lingua, pertanto, non è solo l’insieme di suoni significativi che chiamiamo parole e delle occorrenze grammaticali, ma è tutto l’insieme degli aspetti che danno significato alle parole: la mimica, la gestualità, l’atteggiamento corporeo, il tono della voce, la sua modulazione, lo sguardo, colori che mi vestono, la distanza che si frappone fra me e il mio interlocutore In definitiva, il corpo nella sua intierezza.La voce, in modo particolare, rappresenta lo strumento attraverso il quale si riconoscono gli altri, indica il loro modo di essere, la loro gioia, il loro dolore, il loro stato: essa trasmette un’immagine del loro corpo e, al di là, tutta una psicologia. Voce come uscita dal silenzio, ma anche sua evocazione costante. Essa rivela, nell’etimologia di molte lingue, la sua stretta compromissione con il corpo, con la bocca, con l’alito, con l’organo della fonazione che è stato, ed è, anche quello del respiro e della ingestione, che ci mantengono in vita. Soffio, pulsazione, ritmo su cui le lingue si fanno espressione. Voce-corpo della madre, come si è detto, agli inizi della vita. Performance indispensabile nella dimensione della oralità delle lingue, ma altrettanto quando la scrittura è al servizio della poesia, che nasce come suono significante. Voce per recitare i performativi del rito o della Legge. In definitiva, tutta la gamma emotiva nella globalità mente-corpo-spirito, si presenta al mondo attraverso la lingua, come l’abbiamo descritta. Il protagonista è, sempre e comunque, il corpo. I sensi entrano in gioco, insieme, in quel fenomeno chiamato sinestesia per cui tutti i canali sensoriali interagiscono, anche quando uno solo viene stimolato. Sinestesia che, prima di essere un espediente retorico-espressivo, è una modalità percettiva, un fenomeno di sincretismo funzionale.

I docenti: gli atteggiamenti e i comportamenti

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Allora che Lingua parleremo nel Duemila?[...] parleremo l’inglese […] ma se guardiamo più a vicino questa risposta ha bisogno di essere dettagliata: nella sua diffusione internazionale, nella sua esplosiva capacità di penetrare nelle altre lingue, l’inglese che parleremo non sarà, con ogni probabilità, né l’inglese dell’Inghilterra, né l’angloamericano. Sarà piuttosto una approssimazione […]Raffaele Simone

Comprendere un enunciato linguistico pone sempre un problema, anzi una somma, un intreccio di problemi quale che sia l’enunciato e quale che sia la perizia di chi lo riceve e lo vuole capire. Comprendere è difficile non solo dinanzi all’enunciato parlato o scritto nella lingua che ci sia straniera[…]Tullio De Mauro

Nelle considerazioni che seguono non differenziamo i tipi di scuola per ordine e grado, ma cerchiamo di evidenziare la cifra comune dell’insegnamento e dell’apprendimento in ambito migratorio, consapevoli che ogni scuola è sempre interculturale, anche quando non pluri-etnica.Indispensabile nel docente, in tutti i gradi, è l’atteggiamento di consapevolezza della complessità dell’insegnamento di una Lingua2.Complesso è infatti il vissuto migratorio per le variabili che lo caratterizzano: da una parte la separazione dal territorio d’origine, la lacerazione del tessuto relazionale in cui ha preso avvio il processo identitario e, dall’altra, il desiderio-bisogno di inserimento in un tessuto sociale nuovo.Il processo di inserimento necessita di strutture e di schemi di riferimento mentali diversi per leggere ed interpretare la nuova realtà. Entrano qui in gioco il livello delle aspirazioni, il grado di istruzione già raggiunto, lo spessore della diversità culturale (religione, tradizioni, ruolo della famiglia).Complessa è la natura del linguaggio verbale: l’ambiguità è consustanziale al discorso, frutto delle presupposizioni affettive, relazionali e culturali dei co-enunciatori. Il discorso deve essere disambiguato nella pratica comunicativa attraverso la negoziazione e l’esplicitazione degli impliciti. Per affrontare tale complessità è richiesto al docente un atteggiamento atto a favorire l’ osservazione mirata, l’attenzione, ma anche un comportamento centrato sull’intenzionalità come capacità di predisporre le condizioni adeguate al compito, la conoscenza della didattica della lingua, la creazione di contesti che facilitino l’interazione, docente-discenti e dei discenti tra loro. Un docente non tanto dispensatore di conoscenze, ma un facilitatore e un coordinatore di azioni focalizzate soprattutto all’integrazione del singolo nel gruppo. L’isolamento sociale, la mancanza di competenze pragmatiche, la sfiducia e i sentimenti di inferiorità e vergogna, sono la principale causa del deficit linguistico.

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L’intenzionalità dell’agire richiede al docente l’assunzione di una personale responsabilità rispetto al ruolo. Ma egli deve anche essere capace - nella stessa mossa - di suscitare nel discente la propria responsabilità, all’interno del percorso di apprendimento, come processo sinergico.E’ dunque un ruolo che prevede un atteggiamento di ascolto e flessibilità nell’operare cambiamenti, una scansione delle fasi del programma in relazione ai bisogni, alle effettive capacità di ricezione del gruppo, ai suoi saperi pregressi. Dare tempo, rispettare il silenzio, che non è mai vuoto, è risposta coerente con la definizione di lingua, come potenzialità di parlare, che abbiamo assunto nei nostri presupposti teorici.Come nella tradizione del Movimento di Cooperazione Educativa, si tratta di dare priorità al fare, in funzione del sapere.In quest’ottica verificare e valutare le competenze comunicative del gruppo, deve essere osservazione e giudizio pattuito con i discenti circa il graduale passaggio da una interlingua transitoria, di appoggio, verso una maggiore autonomia linguistica, verso un arricchimento della lingua a disposizione. Operazione che, ovviamente, serve al docente per valutare l’efficacia delle scelte educative e didattiche. Fornire continue conferme circa i piccoli successi, incentivare l’autostima, fondamentale rinforzo della motivazione ad apprendere, oltre gli obiettivi minimi richiesti dalle istituzioni in cui ci si trova ad operare: questo deve essere l’orientamento etico e educativo del docente di Lingua2. Ne siamo convinte, di ogni docente.Assumere un comportamento di riflessività atto a valutare criticamente il contenuto, il processo e le premesse del proprio percorso educativo- didattico Manifestare e sollecitare curiosità verso suoni linguistici nuovi promuovendo confronti, comparazioni; favorire gli apporti reciproci delle lingue a livello lessicale, interagendo con la storia dei costumi, dell’arte, delle scienze, espressioni delle diverse culture.Porre attenzione al vissuto di ciascuno, alla memoria, al presente che costituisce in embrione il nuovo tessuto relazionale, ai sogni, ai desideri, alle aspettative, ai fabbisogni sociali e ai bisogni personali.Imparare ad osare, utilizzando metodi e strategie diversi, di volta in volta rispondenti alla situazione, lasciarsi guidare dal lato creativo che alberga in ciascuno, attingere alle risorse di ognuno, legate alla corporeità, alla varietà nell’utilizzazione di tutti i linguaggi espressivi. In un clima di insegnamento/apprendimento di questa qualità, la narrazione diventa lo strumento privilegiato. Modalità umana e trans-culturale, essa trasforma la storia e il racconto provenienti dal vissuto e dai depositi culturali di provenienza, in storia condivisa, di tutti.

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I docenti e i discenti: il contesto, lo spazio fisico e linguistico

Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana[…] Ad ogni essere umano occorrono radici multiple[…] Gli scambi di influenze tra ambienti molto diversi tra loro sono altrettanto indispensabili quanto il radicamento nell’ambito naturale. Un determinato ambiente deve essere influenzato dall’esterno, non per essere arricchito, ma per essere stimolato a rendere più intensa la sua vita.Chi è sradicato sradica, chi è radicato non sradica.Simone Weill L’etimologia del termine contesto consente di cogliere la potenza cognitiva e pragmatica delle metafora, che al suo interno si conserva. Come testo e cotesto, di ambito più strettamente linguistico e letterario, il contesto riporta all’atto del tessere, e al tessuto come risultato di tale azione. Tessitura che rappresenta, metaforicamente, il lavoro di messa a punto dei tanti fattori che caratterizzano un ambiente. Quest’ultimo termine porta ad altre aperture di tipo sistemico, cibernetico e alla contrapposizione ad un tempo biologica e culturale, fra Ambiente (Umwelt), il mondo circoscritto, ai cui stimoli chi lo abita risponde in abbinamento diretto, e Mondo, nel significato di ambiente-Realtà. Luogo, questo, totalmente aperto, collocazione da cui scaturisce la risposta simbolica, linguistica, agli stimoli da parte degli umani, aperti al Mondo. Ne rendiamo rapidamente conto solo perché nel concetto di contesto che vogliamo qui utilizzare, gli aspetti simbolici e linguistici sono molto importanti. La tessitura, su cui si realizza il compito di apprendimento e di insegnamento intenzionale, a scuola, equivale alla descrizione di scenari, o sfondi significativi, su cui si gioca la relazione fra soggetti. Restringiamo così la definizione di contesto all’esito di una unità di analisi, in cui i segnali caratteristici che marcano i luoghi fisici, una serie di discorsi e pensieri lì ammessi, costituiscono altrettanti nodi di un tessuto coerente e condiviso.

Proviamo ora ad utilizzare il concetto per descrivere lo scenario tipico in cui si gioca la relazione di insegnamento/apprendimento. Schematizzando, diremo che il contesto è :

- la cornice istituzionale, il tipo di scuola, con il suo specifico mandato da cui discendono l’organizzazione, il sistema dei ruoli e delle responsabilità educative, didattiche, amministrative;

- la caratteristica dei gruppi che facendone parte, progettano, realizzano il percorso culturale tipico dell’istituto, e di quelli che sono – nella differenza di età cronologia – i destinatari, capaci a loro volta di orientare e di condizionare i percorsi, segnandoli, anche inconsciamente, con la loro specificità e con gli effetti dell’interazione;

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- il territorio, luogo fisico, geografico, e sociale, con le sue risorse, le memorie anche quando occultate, i codici culturali, le lingue e i dialetti, che simbolicamente vi coabitano;

- l’insieme delle regole (scritte e implicite) che scandiscono i tempi, l’esplicitarsi dei ruoli e delle funzioni, il consolidarsi e l’evolversi delle ritualità e delle routine;

Nel ragionamento appena svolto, la classe, come micro-contesto o come incasso nel contesto più ampio della scuola, ha particolare rilevanza. E’ il luogo in cui si manifestano tutti i caratteri precedentemente sintetizzati. L’aula (chi vi abita) è il luogo che contribuisce allo strutturarsi delle relazioni, ne condiziona la qualità, ne favorisce lo sviluppo in senso democratico e cooperativo o, al contrario, ne inibisce le potenzialità creative e costruttive. E’ necessario per coloro che organizzano la classe mantenere uno sguardo consapevole sulle sue caratteristiche. Si tratta di esplicitare dove si guarda e cosa si vede; significa favorire pratiche educative che vanno nella direzione di una sostanziale convivenza interculturale. E’ importante porre attenzione alla qualità della dimensione spazio-temporale, poiché essa consente di costruire relazioni e conoscenza: tutto ciò che apprendiamo prende forma e significato nel tempo e nello spazio, nella declinazione sociale e in quella che ci è propria. Certo, ci sono condizioni non modificabili nei contesti scolastici, quanto meno a breve e medio periodo, e queste vanno assunte. Ma è sempre possibile operare interventi di cura, finalizzati a trasformare la classe (e anche l’intera scuola!) in uno spazio protetto ma inclusivo, in grado di far sentire a tutti e tutte la condizione di abitanti. Un gruppo classe plurilingue, al quale si riconosca la varietà culturale, sia come origine etnica, che come risultato di appartenenze identitarie plurali, impone operazioni di cura dello spazio. Occorre:

predisporre il luogo di lavoro con segnali che permettono il suo riconoscimento, ad esempio, disporre gli arredi in modo da facilitare la lettura della propria collocazione rispetto alle singole persone e al gruppo, rendere evidente la non rigidità dell’assetto, la sua continua modificabilità, a seconda delle attività da svolgere.

evitare l’esposizione di simboli, immagini, schemi, elenchi, rappresentazioni unilaterali tipiche del punto di vista degli autoctoni; ad esempio, è importante l’esposizione di carte geografiche di diverse proiezioni, che rendano ragione dei punti di vista sul mondo rappresentato e della nostra collocazione in esso.

predisporre spazi per attività ludiche, e non solo per i più piccoli; il gioco incentiva la creatività e l’imitazione reciproca, essenziali per l’apprendimento.

mettere a disposizione i materiali più vari (stoffe, colori, strumenti musicali, foto, oggetti…), invitare a portarne di propri; favorire l’uso di

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tutte le forme di linguaggio (corporeo, musicale, figurativo) e supportare, anche mediante la forza simbolica di certi oggetti, la dimensione narrativa e biografica.

I contesti: nella diversità, nella differenza

Mio è solo il paeseche si trovanella mia animaIo vi entro senza passaportocome a casa mia […]Lì non ci sono caseSono state distrutte fin dall'infanziaGli abitanti vagabondano nell'ariaalla ricerca di un rifugioMa abitano nella mia anima.Marc Chagall

Per i non parlanti la lingua italiana, attraverso la nuova lingua, si pone la base da cui partire per esplorare il Mondo. Essa diventa l’opportunità per ri-nominare le cose, le emozioni, i sentimenti, gli affetti che si vogliano condividere. Questa nuova nominazione è per tutti (anche per i parlanti autoctoni o esperti) un’opportunità: diventa un modo di ritrovare il senso delle parole, di usarle con cura, di riavvicinarle a sé, in una parola di s-banalizzarle e ri-significarle.Nell’orizzonte che gli è più vicino, nel qui e ora della classe, il discente compie un percorso di sintesi, dopo l’incontro, tra la ricerca personale di nuove appartenenze e lo sforzo, di chi rappresenta l’istituzione, di evitare strategie di assimilazione, di omologazione al ribasso, più facili, apparentemente più economiche dal punto di vista delle energie da investire. Ma sappiamo come gli effetti di un insegnamento discendente e semplificato nelle pratiche possono essere devastanti e, alla lunga, perdenti o addirittura anti-economici. Come abbiamo detto, la scuola è sempre una comunità multi-inter-culturale. E’ necessario fare i conti con lingue diverse e distanti, con credi religiosi e valori che orientano comportamenti e abitudini spesso conflittuali, con persone che portano con sé memorie di luoghi e di spazi molto diversi. Una situazione che riguarda anche coloro che provengono dai variegati mondi culturali delle nostre grandi città, o delle piccole province, persone che possono utilizzare strumenti cognitivi diversi e, pertanto, condizioni e stili d’apprendimento disomogenei, persone spesso profondamente spaesate. Appaesare le persone, dunque, vuol dire favorire il ritrovamento di punti di

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riferimento, quelli esistenti, tipici della dimensione quotidiana di ciascuno, senza travolgere di aspettative, di consegne, di richieste, frutto delle immagini sociali dominanti. La meta del riconoscimento di se stessi nel nuovo spazio, di cui la nuova lingua è una dimensione importantissima, richiede condivisione, vuole un patto che è, consapevolmente, anche un compromesso.Volendo riassumere un po’ schematicamente, diremo che, per favorire la domesticità dei luoghi di apprendimento, occorre:

- sbanalizzare l’ovvietà, ascoltare le dissonanze, non appiattirle sul già noto e sul pregiudizio;

- riconoscere – docenti e discenti - nei luoghi le tracce significative delle presenze, valorizzare il frutto del lavoro collettivo e gli apporti di ciascuno;

- curare la ritualità, i passaggi, dare valore alla circolarità degli inizi e delle conclusioni, pattuire e rispettare gli appuntamenti (le valutazioni periodiche ed gli esami ufficiali, le interrogazioni), altrettanti puntelli e limiti che danno valore al fare scuola insieme;

- curare l’accoglienza dell’altro, rimandandogli il compito di accogliere a sua volta;

- ri-nominare i punti di riferimento nella nuova lingua, i luoghi, le cose, con consapevolezza del loro significato e della pluralità delle definizioni nelle diverse lingue.

I docenti e i discenti: il LABORATORIO

Da F. FRASNEDI – Y.MARTARI –L.POLILa Lingua in laboratorio Napoli 2005

[…] un laboratorio didattico è una mente. Una mente, diceva già molti anni fa Gregory Bateson, è un aggregato di parti componenti interagenti; e, in molti casi, alcune parti di tale aggregato possono esser a loro volta delle menti [Bateson, 2004]. E proprio questo è evidentemente il caso di un laboratorio di esseri umani. Con laboratorio, intendiamo la situazione di co-costruzione di conoscenza che coinvolge un gruppo o più gruppi di soggetti, i quali lavorano cooperativamente per realizzare un dato progetto. In un laboratorio il docente svolge una funzione di mediazione e di supporto (tale supporto nella letteratura psicopedagogica prende il nome di scaffolding dal termine

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impiegato per la prima volta da Bruner et alii, 1976), più che una funzione di docenza frontale; non ha un compito principalmente informativo, ma piuttosto di organizzazione strategica delle energie e delle competenze dei soggetti. Il laboratorio ha necessità di un certo setting, cioè di una certa struttura in uno spazio: una struttura fisica e logistica – come un’aula adeguata alle inter-relazioni tra gli studenti – e una struttura di relazioni tra i partecipanti. (pp 61/62)

Da M. SALAIl volo di Perseo Bergamo 2004

[…] l’insegnante, mentre fa oggetto di rielaborazione una propria esperienza educativa con i bambini vive direttamente un’altra esperienza formativa…E’ dagli anni settanta che nel Movimento di Cooperazione Educativa si pratica quella forma di autoformazione che viene definita “laboratorio a livello adulto”, in cui si mette fra parentesi il proprio ruolo professionale per rapportarsi direttamente agli oggetti di conoscenza. Rispetto alle usuali esperienze di aggiornamento cambiano le regole del gioco: non ci si chiede < che cosa c’entra questo con la mia attività di insegnante?>, quanto piuttosto < che cosa c’entra questo con me?>; non < quali applicazioni didattiche potrà avere?>, ma < quali cambiamenti stanno avvenendo nel mio operare cognitivo?> ; non < come suscitare la motivazione dei bambini verso la scienza?>, ma <quali curiosità scientifiche mi sono sorte?> (pp 44-45)

Da R. Brodetti - G. Conte Lavorare per l’intercultura. La ricerca-azione della Scuola Interculturale di Formazione MCE Parma 2010 pp. 36-37-38-39)

Il laboratorio è un contesto formativo che permette di tenere insieme, in modo organico e necessario, pensare e fare. Conoscenza ed esperienza, ragione ed emozione, non possono essere disgiunte […] Essendo collegate, quando una persona sta vivendo un’esperienza di formazione e di apprendimento, partecipando ad esempio a un laboratorio, ricaverà un significato se e quando, accogliendo tale esperienza, può collocarla, collegarla nella/con la propria storia. L’esperienza in sé non garantisce l’apprendimento: è necessaria un’attività di riflessione guidata (dal docente/conduttore) sull’esperienza stessa che permette di interiorizzarla. Nel laboratorio la persona è coinvolta nella sua interezza e tale coinvolgimento dei vissuti soggettivi nell’attività di conoscenza non rimane implicito, ma si affronta a livello meta cognitivo[…] l’apprendimento in questo modo è quindi allo stesso tempo un processo di conoscenza del sé.Il laboratorio è una proposta che permette l’accadere e quindi la conoscenza di qualcosa di nuovo, di diverso, di più rispetto al momento precedente all’incontro.

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Da O. Mele Dieci anni di laboratorio adulto nel MCE Movimento di Cooperazione Educativa Firenza1986 I presupposti su cui si fonda il nostro modello di formazione permanente dell’educatore partono dal convincimento: che non occorre aggiornare, ma mettere in ricerca; che bisogna partire da ciò che ciascuno sa ed è e da una motivazione al conoscere; che chi pratica la ricerca in prima persona è in grado di contagiarne la passione; che la ricerca educativa è più ricca di quella che non lo è ed è coerente con i valori che promuove; che il contesto relazionale condiziona il processo di conoscenza; che al centro del lavoro va posto il rapporto che intercorre fra il soggetto che conosce e l’oggetto di conoscenza.Per questo nel laboratorio adulto sono assicurate almeno tre condizioni:

1. la non immediata finalizzazione didattica (che permette di misurarsi direttamente con l’oggetto della ricerca, in quanto persone, prescindendo momentaneamente dal proprio ruolo professionale);

2. la pariteticità dei membri del gruppo cooperativo (che permette l’emergere dei saperi e dei vissuti di ognuno rispetto all’oggetto della conoscenza..)

3. il gruppo misto, composto da insegnanti di livelli scolastici e di discipline diverse e da non insegnanti (che permette la molteplicità di approcci e di apporti)”

In questa schematica, ma crediamo chiara, spiegazione di che cos’è un laboratorio per il Movimento di Cooperazione Educativa, si può trovare una cornice, un paradigma di riferimento per impostare il laboratorio didattico per l’insegnamento della Lingua2. Un laboratorio finalizzato alla didattica, non alla formazione del mestiere di educatore, dal quale ricavare i principi metodologici e le premesse pedagogiche.Una proposta didattica in forma di laboratorio ha presupposti e scopi più ampi rispetto alle proposte più diffuse per l’insegnamento della Lingua2. Infatti, quelle che si possono trovare nei manuali di glottodidattica, sono quasi sempre basate sull’articolazione di Unità Didattiche. Queste si presentano suddivise in momenti di apprendimento discreti, ruotano intorno a un testo, inteso come l’unità fondamentale della comunicazione, dal quale partire per raggiungere gli obiettivi d’apprendimento della lingua. Con il laboratorio l’approccio è completamente diverso. Secondo l’ impostazione sopra descritta, esso non è immediatamente finalizzato a

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valutare quantitativamente le competenze linguistico-comunicative in Lingua2 raggiunte dai discenti. In realtà, quelle descritte dai manuali, e spesso dagli stessi obiettivi del programmi europei, sono abilità, non sempre trasferibili ai diversi contesti comunicativi che costituiscono la vita reale del discente. Il laboratorio è piuttosto una situazione pensata, predisposta, mediata sulle condizioni reali, dal docente, atta a valorizzare un incontro, una comunicazione autentica. E’ una esperienza, frutto di un percorso intenzionale tracciato dall’insegnante, dalla quale attendersi che scaturiscano spiazzamento e curiosità, nonché nuova consapevolezza della lingua, sia Materna che seconda, e dei propri e altrui modelli culturali. Si tratta di una strategia operativa volta a favorire la nascita di nuovi pensieri (conoscenze e scoperte, saperi nuovi e/o ri-conosciuti), di nuove parole per nominarli. E’ necessario però accettare che tutto ciò non è subito traducibile e dicibile; bisognerà affidarsi al gruppo che ha condiviso l’esperienza anche grazie alla regia esperta dell’insegnante, e proseguire verso un processo di co-costruzione delle conoscenze.

Le Esperienze come buone pratiche

Riteniamo utile segnalare e condividere, alcune esperienze della nostra pratica didattica dell'insegnamento di Italiano come Lingua2 in cui un'attività, un cambiamento, un'idea, si sono rivelati efficaci, nel percorso, a risolvere una difficoltà, a indicare un iter adeguato; come pure certe situazioni in cui l'input positivo è consistito nel prendere coscienza di alcuni dettagli che nessuna teoria o manuale possono insegnare, legati come sono alla relazione tra le persone, o con i luoghi, in sintesi al vissuto di ciascuno, che - ribadiamo - è di prioritaria importanza.

( R. Benedetti)Premessa esperienziale: La poesia salva la vita (B. Biscetti). Fare poesia nell’età infantile ed adolescenziale rappresenta uno straordinario strumento per conoscere sé stessi, costruire la propria identità, sentirsi “grandi” anche nelle cose piccole, avere occhi diversi per guardare il mondo e la vita, leggere oltre , liberi da conformismi e pregiudizi. Si cresce in modo incredibile, come ho avuto modo di verificare nella mia esperienza professionale, nella consapevolezza del sé, e di conseguenza nella coscienza del proprio valore, della propria dignità, della propria unicità. E’ una sfida, costa fatica, ma ne vale la pena.Come spesso ho ripetuto ai miei alunni, mutuando le parole del poeta L. Ferlinghetti : Essere poeti a 16 anni vuol dire avere 16 anni,

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essere poeti a 40 vuol dire essere poeti. Siate entrambi le cose

Contesto. Classi di Secondaria di Primo Grado di un popolare quartiere romano, retroterra sociale medio-basso con qualche eccellenza, presenza di alcuni alunni non italiani e di ragazzi diversamente abili. Amo le parole, ed ancor più amo la poesia; e sempre nelle mie classi non ho temuto di “andare oltre”, di pretendere, anche da chi era in possesso di una competenza lessicale e sintattica molto limitata in italiano come Lingua2, la disponibilità a sperimentare questo atto creativo.

Percorso. Il viaggio inizia quando, nel primo giorno di scuola, poggio sulla cattedra un misterioso pacco dono, ornato di nastri e di colori, che sollecita inevitabilmente un viva e malcelata curiosità. Spiego che lì dentro c’è il mondo e le sue meraviglie , la natura e gli animali, gli uomini i bambini e i loro sentimenti… ci sei tu e tu e tu, attraverso le mille parole che danno voce ai pensieri, ai desideri, ai bisogni, ai sogni. Naturalmente è un vocabolario, e non è importante che sia in lingua italiana: il mio obiettivo è far sì che i ragazzi percepiscano che le parole ci circondano, le respiriamo come l’aria, hanno peso, hanno leggerezza, hanno una loro intrinseca bellezza. Per amare la poesia ritengo non si debba iniziare dall’analisi del testo, dalla struttura metrica e lessicale, dalle figure retoriche… questo avverrà in un momento successivo. Si inizia dall’ascolto: è compito del docente scegliere testi adeguati, relativamente brevi, ma in grado di evocare suggestioni colori emozioni suoni, ed effettuarne una prima lettura alla classe, cercando di imporre intensità e insieme levità alla lettura. Poi sarà la volta degli alunni, e se c’è timore o vergogna, suggerisco di posizionarsi dietro la lavagna mentre tutti ascoltano in silenzio come “alla radio”. Valutare. In genere, prima di verificare la comprensione di un testo, lascio che i bambini rappresentino nella massima libertà con il disegno la” visione” che i versi hanno suggerito loro. Non c’è giudizio, non ci sono le difficoltà poste dalle limitate conoscenze linguistiche. Io non spiego mai prima una poesia. Desidero che i bambini mi offrano la loro interpretazione, sollecito a ricordare un verso, una sola parola che li abbia colpiti, “la parola chiave” sulla quale si costruiranno poi i significati. E se decido che imparino a memoria ( a maggior ragione se il testo è impegnativo) lascio alla loro personale scelta le strofe da ricordare. Ne uscirà poi una sorta di recitazione collettiva a più voci, nella quale ognuno ha il suo ruolo, indipendentemente dalla propria lingua di origine. Questa strategia li rende “attori” del momento didattico, offre spunti di confronto e di riflessione estremamente significativi, si inizia a percepire la poesia non come un noioso esercizio didattico, ma come espressione del sé.Rilancio laboratoriale. Una volta percepita l’importanza e la bellezza della poesia, come costruire un laboratorio di scrittura creativa e poetica? Nei

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laboratori da me realizzati ho attuato una tecnica che si è rivelata molto efficace per la comprensione del passaggio dalla prosa alla poesia.Ho invitato gli alunni ha scrivere un breve testo ( massimo due- tre righe) su una tematica personalmente scelta, o condivisa dalla classe: la breve espressione di un ricordo, di un’emozione, di un momento particolare. Poi, per ciascuno di loro, si è effettuato alla lavagna ( quindi con un coinvolgimento collettivo) una sorta di identificazione delle parole “ dense” di significato: come in un alberello si sono tagliate le fronde, i rami inutili, le foglie secche, per far emergere le “ gemme” , le parole più pregnanti, evocatrici di suoni, di colore, di profumo, di emozioni, che isolate nei versi, costruiscono la magia della poesia. I bambini rimangono incantati di fronte alla trasformazione, sono stupiti nel constatare di aver prodotto “ poesia”L’esercizio può essere ripetuto alcune volte, ma viene rapidamente appreso, anche dai ragazzi non italiani e da quelli in difficoltà. Nella mia lunga esperienza ho constatato che proprio questi ultimi spesso rivelano una sensibilità unica , offrendo una lettura non convenzionale di sé e della realtà circostante.Inoltre, molti termini usati nella poesia sono di livello fondamentale (T. De Mauro Vocabolario di Base). Ricordo, dolore, sogno, città, deserto…ricorrono nella loro primordiale potenza evocatrice , e sono posseduti anche da chi si approccia da poco allo studio della lingua. A questa fase si accompagna l’analisi delle figure retoriche, sia in relazione ai testi di poesia ufficiale che in quelli prodotti dai ragazzi. Scoprire che si è creata una metafora, un ossimoro, una sinestesia ( non si abbia paura di osare, i ragazzi amano il rischio!) suscita stupore e soddisfazione personale. Penso in questo momento alla figura indimenticabile del protagonista di Il postino, mio film cult, capace come pochi di emozionare, nell’attimo in cui scopre, che “ la letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta” (F. Pessoa)A questo punto la poesia diviene uno strumento di espressione libero. Si scrive quando urge la necessità di far emergere un’emozione, un sentimento rimosso, un attimo lontano, la nostalgia di ciò che si è perso, la speranza del domani, di ciò che diverremo, la dimensione del sogno: nulla, come questa spinta, è in grado di evocare parole, trarle dal profondo. Ho constatato più volte che la spinta emotiva è, soprattutto nei ragazzi stranieri, la molla più potente all’espressione verbale scritta.

(Angela Fossa):Contesto: classe d'Italiano L 2 in scuola svizzera di lingua francese, livello 2°media, per immigrati italiani, adolescenti di 2° generazione, frequentanti

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scuole di livello diverso ( la 1ère, simile all'avviamento pre-riforma della scuola media in Italia ; il Collège, strutturato per avviare al ginnasio, con studio latino). Conseguente conflittualità alta tra gli allievi; scarsa motivazione all'apprendimento dell'Italiano in aggiunta alle materie della scuola svizzera; grande difficoltà ad entrare in empatia con loro; eterogeneità di competenza nell'Italiano ( compresenza nel parlato di dialetto d'origine e Italiano, sia a livello lessicale che morfo-sintattico , come pure di altre lingue per i matrimoni misti, e interferenze col francese).I tentativi di attività laboratoriali acuivano la conflittualità. Il cambiamento è avvenuto con la decisione di utilizzare l'attività già in corso per drammatizzare una novella di Pirandello "Il galletto", vicina al mondo contadino dei paesi d'origine delle loro famiglie, lasciando la libertà di parlare liberamente la loro lingua di famiglia. Ho pensato che la forma dialogica li avrebbe facilitati. Nessun estraneo era presente alla rappresentazione: il cambiamento nell'attitudine è stato repentino. Con un'autonomia e solidarietà insospettabili fino ad allora, l'aula si è trasformata in uno spazio scenico: scambi di giacche, fazzoletti per i costumi volavano in un disordine ordinato. Tutti improvvisavano i gesti e le cadenze con una spontaneità straordinaria. Esageravano con una sorta di esaltazione le inflessioni di Avellino, Catania, Benevento, Carnia , con una sorta di esaltazione.Rielaboravano liberamente le frasi per non leggere il testo: una vera Babele, da cui però non si generava confusione, ma l'intento di agire insieme.Da lì è iniziato con pazienza e interesse il lavoro di analisi delle differenze, prima fonetiche, tra i dialetti innanzitutto, e il perché di quelle differenze. la Storia ha acquistato un senso, scoprendo i "segni" linguistici dei vari passaggi di popoli, le contaminazioni e gli apporti lessicali, degli Arabi, Spagnoli , Francesi. Non si parlava più di errori: si cercava insieme la strada per arrivare ad una lingua comune, analizzando i passaggi da fare per arrivare all'espressione corretta. Gli allievi del Collège all'interno di piccoli gruppi aiutavano utilizzando il Latino per confronti con francese e spagnolo, senza conflitti.I miglioramenti nell'ortografia italiana hanno avuto effetti positivi sull'ortografia francese. Cosa aveva ribaltato l'atmosfera ? Certamente la drammatizzazione ha aperto un percorso nuovo, poi utilizzato con varie modalità sempre con successo, ma penso che si siano sentiti veramente accettati, ed hanno accettato me , con la grammatica italiana.

(Angela Fossa)Contesto: classe di alfabetizzazione per adulti italiani immigrati in CH, risultati analfabeti in lingua materna, con necessità urgente di apprendere il francese o il tedesco per riqualificazione nel lavoro, su richiesta del governo federale svizzero.

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Lavoro molto difficile per le maestre e docenti delle due lingue nazionali. La motivazione ad apprendere era molto forte, ma anche la disistima e il pudore a rivelare le proprie lacune linguistiche.Lezione di supporto con l'obiettivo di aumentare l'autostima e facilitare il dialogo: visione di diapositive della casa Scala ( Firenze) suddivise per temi: il primo ciclo è stato sulle opere di artisti italiani, i "grandi nomi": Michelangelo scultore, Leonardo pittore e inventore, Caravaggio, Antonello da Messina. Il piacere era evidente dagli sguardi ed esclamazioni, ma le parole di commento richieste molto poche. 2° ciclo: arte orafa ellenistica del museo di Taranto ed architettura della Magna Grecia, peninsulare e insulare: molti provenivano da quelle zone e ci sono state richieste di spiegazione sulle migrazioni greche nelle diverse fasi. Inizio di dialogo. 3° ciclo: paesaggi del Sud in cassetta per video: lì sono cominciate le sgomitate tra vicini di banco e compaesani a bassa voce , poi quando si è arrivati alle grotte carsiche in Puglia, un signore si è alzato gridando "Le Zinzuluse!!" La mia richiesta di spiegazione sul senso del nome (stracci) ha dato finalmente avvio ad una conversazione, ad uno scambio, trasformato poi in piccole frasi, su cui lavorare da parte delle maestre.Non si guarda solo con gli occhi, ma con tutti i sensi che stimolano associazioni e memorie, e soprattutto si guarda col cuore: in quel "qui e ora" da quel tipo di sguardo è nata la capacità di reagire alla propria insicurezza, prendendo realisticamente coscienza del bisogno immediato di apprendere , disponendosi con fiducia e caparbietà ad assolvere questo compito.

( Angela Fossa)Contesto: 3 classi di livello 1° media per immigrati italianidi 2° generazione in Svizzera.Avendo verificato l'importanza della consapevolezza della propria situazione esistenziale, diadolescenti inseriti in un processo migratorio non scelto da sé ma dai genitori, con i problemi di tutti gli adolescenti e in aggiunta quello di sentirsi diversi , "come tirati tra due paesi e diversi in entrambi" ( dal lavoro di un allievo), studiata e verificata la connessione tra lingua e comportamento, con tutti gli allievi si è impostata una ricerca sulla lingua parlata in famiglia.Ciascuno ha fatto un'osservazione sistematica di quale lingua si parlava e con chi nella propria famiglia. Rilevazione dei dati dopo tre mesi: i maschi utilizzano normalmente il dialetto d'origine col padre; le femmine parlano in francese con la madre; i genitori parlano tra loro in dialetto;i figli parlano in francese tra loro. Anche nelle feste della "famiglia allargata "e nei luoghi di lavoro, dove provengono generalmente dalle stesse zone, domina il dialetto.l'Italiano è utilizzato nei rapporti con le istituzioni italiane, come codice segreto in classe o in altre situazioni extra-scolastiche quando non vogliono

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farsi capire. Durante le vacanze in Italia usano il francese come codice tra fratelli per lo stesso motivo.Il dialetto tra i maschi ha una corrispondenza col permanere di alcuni atteggiamenti maschilisti, e i progetti di ritorno all'età della pensione, che si ritrova nei testi scritti e nelle conversazioni orali. La difficoltà di apprendimento del francese da parte della 1° generazione si spiega col suo uso nel lungo tempo passato al lavoro tra connazionali e coi parenti nelle feste. Le donne lavorando come colf o nei grandi magazzini sono più a contatto con le famiglie svizzere e il pubblico, perciò sono motivate e facilitate ad apprendere, e aiutano le figlie ad integrarsi.Questa ricerca è stata preziosa prima di avviare la scrittura di frammenti autobiografici sul presente e sul "Laggiù", paese della famiglia che attira per l'affettività, ma si connota anche negativamente per la mancanza di pulizia ( interferenza costante del francese "propre" al posto di "pulito") e difficoltà a trovare un lavoro.L'obiettivo primario di questi lavori era quello di aprirsi agli altri, chiarire problemi e desideri, ma nel contempo allargava la competenza lessicale e dava materiale "in situazione" per la sistemazione grammaticale e morfo-sintattica.

(Angela Fossa)Contesto: classe di 1° media a Frascati: un terzo circa degli alunni presenta difficoltà ad esprimersi nel parlato e nello scritto, inoltre sono presenti molti errori di ortografia . Tentativo di spostare l'obiettivo dal linguaggio verbale ad un altro, utilizzando la lingua come tramite. Tutti ascoltano un brano musicale ( la prima volta Journey in the fantasy di Kitaro), con cuffiette individuali per riascoltarlo a piacere. Si chiede di descrivere le immagini evocate dalla musica: frasi semplici per ogni immagine, con le quali poi si costruirà una storia. Scoraggiamento iniziale di tutti, sicuri che non vedranno niente! Eppure ognuno coi propri tempi, si mette a scrivere. Ascolto musicale… pausa… scrittura. Poi la lettura, le correzioni: la sorpresa è stata constatare che gli errori di ortografia erano di numero molto inferiore al solito. Di fatto la preoccupazione si era spostata dal contenuto e dalla forma al rapporto immagine-musica ; l'attività aveva più il carattere del gioco che di una "prova" in una materia curricolare. Questa strategia è stata utilizzata poi nella 3° classe con inserimento di due allievi non italiani, di lingua inglese e portoghese, con nessuna conoscenza dell'Italiano. hanno scritto entrambi nella loro lingua, poi le frasi sono state tradotte insieme in italiano, mettendo in rilievo le "parole chiave"nelle tre lingue. Il secondo ci ha sorpreso, chiedendo alla fine di cantare una canzone brasiliana sulla "Saudade", spiegando con gesti, mimica e lingua mista questo particolare sentimento dei Brasiliani, simile alla malinconia-nostalgia.

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Ancora una volta il cambiamento è avvenuto dopo un momento di vuoto e perplessità, di ascolto della situazione, dando fiducia alla forza del livello emotivo-relazionale per innescare un'attività razionale.

(R. Puleo, B. Seravalle, M.Tutino)Il CONTESTO: Istituto Superiore di Secondo Grado, classi con discenti di diversa e recente provenienza da paesi stranieri. I docenti, sia di Italiano che di altre discipline, chiedono un supporto esperto agli insegnanti del Centro Territoriale Permanente Istruzione Educazione Adulti (CTP) del territorio. I Dirigenti attivano un protocollo di intesa che permette la costituzione di un laboratorio misto: discenti italiani e non, iscritti nell’Istituto e presso il CTP, intorno ad un progetto di integrazione culturale, di apprendimento e rinforzo della lingua, Materna e Seconda. Il presupposto condiviso dai docenti delle due scuole è che le disabilità linguistiche accumunano sia i discenti autoctoni sia i non-italiani. Titolo del laboratorio: LASCIARE TRACCE…perché le lasciamo dietro di noi e perché sempre le cerchiamo…COSA. Costruzione di un Laboratorio Linguistico nella forma di una bottega artigiana, o di un atelier dove il labor consiste nella trasformazione del materiale linguistico a cura di un capomastro-precettore, ad uso di un gruppo di apprendisti; il laboratorio è dunque basato sull’esperienza di eccellenza del capomastro che mostra pratiche linguistiche.Lo scopo è coltivare la motivazione ad utilizzare la lingua per scopi personali o/e sociali.La lingua da manipolare è l’Italiano come Lingua2 e come Lingua Materna.Si vuole costruire un percorso volto ad incentivare e a curare le competenze linguistiche; si intende catturare il desiderio di possedere una più solida competenza linguistica sia in soggetti stranieri sia in parlanti italiani, mettendo a confronto e a profitto le due esperienze.Il laboratorio serve da modello didattico per futuri interventi mirati alla creazione di curricoli di lingua.CHI. Discenti di Lingua Madre italiana, non italiani, adolescenti e adulti, interni ed esterni all’Istituto Superiore, che mostrino difficoltà multifattoriali con la lingua italiana e siano fortemente desiderosi di apprenderla. La presenza degli esterni serve al trasferimento della motivazione ad apprendere da persone che scelgono di imparare tornando in formazione, verso ragazzi che si sentono obbligati a farlo. Sono attivi nel laboratorio due insegnati del CTP e un docente dell’Istituto Superiore; uno dei due docenti del CTP funge da osservatore e tiene un diario di bordo; fin dal primo incontro viene introdotta la scrittura con un insegnante – o un corsista se in grado – in funzione di scriba.PERCHE’. La premessa epistemologica dell’attività laboratoriale è contenuta nella affermazione che “non tutto si comprende” negli scambi linguistici, anche fra parlanti abili che utilizzano lo stesso codice e lo stesso registro

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linguistico. La lingua produce sempre un resto fra i parlanti. Non si può mai ottenere una comprensione satura, il messaggio lascia sempre una zona d’ombra. Negli scambi significativi (dal punto di vita relazionale e dunque affettivo) non si esaurisce lo spazio comunicativo grazie ad informazioni (secondo un modello computazionale), ma il significato e il senso costituiscono sempre e solo una approssimazione.COME. Il percorso si snoda lungo cinque appuntamenti ( vedasi calendario) di tre ore ciascuno svolti in orario scolastico; il laboratorio da accesso al sistema dei crediti per gli studenti dell’Istituto. Quindici ragazze e ragazzi vengono scelti dagli insegnanti dell’Istituto con modalità non invasive (non vengono svolti test di ingresso, ma ci si basa su una valutazione qualitativa delle difficoltà, della motivazione, delle potenzialità), gli “esterni” vengono intercettati con le modalità consuete di iscrizione ai corsi del CTP XI .Lo sfondo integratore del percorso è costituito dal racconto e dalle modalità per apprenderne l’arte in forma orale e scritta; il pre-testo con cui si avvia l’esperienza è costituito da una situazione linguistico-comunicativa straniante, che susciti curiosità e che abbia lo scopo di agganciare i corsisti mediante un disagio che conoscono, ma non sanno elaborare per mancanza di strumenti. L’ascolto di un brano dialettale o di slang (un grammelot; una sequenza filmica con uno scambio in linguaggio giovanile o in una lingua sconosciuta) da avvio alla manipolazione del materiale, il capomastro-insegnante ci “mette le mani” mostrando come si può operare e avvia gli apprendisti a cimentarsi per prove ed errori. Il percorso si conclude con una restituzione di materiale linguistico elaborato in forma di scrittura.Inoltre, esso prevede: un rilancio con diverse tematiche; l’inserimento in moduli di Lingua2 del CTP per alcuni discenti (valutazione condivisa e pattuita con loro); l’attivazione di un modulo a cura del CTP di Lingua2 come lingua di studio (soprattutto per alcune discipline ad apprendimento critico, ad esempio Diritto e Storia)

Ipotesi di scansione delle attività ( questa parte può subire cambiamenti in corso determinati dalla creazione del contesto)Primo Il gruppo: giochi di presentazione e di integrazione Spiegazione del lavoro da intraprendere Proiezione del filmato e/o ascolto del brano scelti come pre-testoSecondo Continuazione attività punto precedente (il film sfogliato come un libro)Terzo Cosa comporta “ascoltare”: fonologia/e (ogni lingua è un mondo di suoni); grafemi e fonemi dell’italiano; lingue a confronto (piccole sezioni di linguistica comparata (esperienza EUROM4 -Paris)

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Quarto Come nascono le parole: etimologie; significati sedimentati; metafora e metonimia come strumenti della semeiotica; poesia, giochi di linguaQuinto Raccontarsi: la struttura della narrazione e della biografia fra oralità e scrittura

(G. Conte)Un anno fa con un gruppo di studenti e studentesse adulte/i ho avuto modo di prendere coscienza di quanto il nostro lavoro, se impostato secondo il modello della programmazione rigida da manuale – appiattito in essa – rischiasse di produrre dentro le persone un fatto drammatico: una sorta di allontanamento da parti di sé che in precedenza erano state propulsive e vitali per consentire un’ evoluzione nella conoscenza e nell’uso della propria Lingua in un modo che mi viene da definire creativo, artistico. Ho proposto a un gruppo di studenti di livello non elementare un laboratorio a partire da una poesia di Neruda dal titolo Alla casa abbandonata. Ho letto il testo, scandendo lentamente le parole, senza commentare, affidandomi ai suoni dei versi.Azzardo, perché il testo è difficile, pieno di metafore, rimandi, impliciti, ma passa…emoziona.Il tema della casa lasciata ci accomuna tutti, perché tutti abbiamo prima o poi lasciato un nido. In particolare per i migranti è un tema profondamente significativo, perché connota la loro storia di viaggiatori che si portano dietro bagagli minimi quando traslocano in altre case. Case veramente lontane, diverse, inimmaginabili. Oggetti, mobilio, perfino la stessa biancheria del quotidiano, non li seguirà. Do a ciascuno la copia del testo. Chiedo, se possono, di trascrivere la frase, la parola che sono riusciti a visualizzare in qualcosa di conosciuto e sperimentato e di rappresentarla in qualsiasi modo, con il disegno, con altre parole, con oggetti, con un gesto…. Avverto che la rappresentazione di questi significati mi farà entrare in mondi culturali che potrò non capire, poiché non stiamo solo parlando di “cose” ma di contesti.Tutti disegnano e trascrivono parole. Molti scrivono l’incipit della poesia : “Arrivederci casa! Non posso dirti quando torneremo” … I Bangladesi riportano i versi dove si cita la pioggia …il tuo tetto/ su cui cade/sgranata/la pioggia/come se scivolasse/la musica dal cielo. Chiedo perché hanno scelto questo pezzo. Reazul mi dice che gli manca la pioggia del Bangladesh. Mi fa capire quanto è rovinosa, con i danni che può fare, ma dice che per lui in alcuni giorni è un suono legato all’intimità della casa, una specie di ninna nanna.Sanjida è una donna bangladese, giovane, istruita, tenace, che si porta dentro, come molte e molti altri, un senso sacro dello studio e della scuola, Accoglie ogni proposta, esegue scrupolosamente le consegne e si adegua, è

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un’allieva modello, ma è inquieta, ansiosa e confusa. Sanjida trascrive la sua frase e disegna con molta cura una luna che da una finestra irradia i suoi raggi in una stanza da letto.Quando chiedo di provare a spiegare di cosa si tratta, lei ci racconta, ricorda della sua casa prima che si sposasse e delle notti in cui, parole sue, “la luna visitava me” Scrive anche un testo che ho conservato: “una notte con pieno di luna, mi piace, la mia stanza è buia…Quando la luna arriva dentro la mia finestra e crea un disegno…quel momento sono molto romantica.”In seguito in altre occasioni comunicò il suo amore per la poesia. Scriveva poesie. Prima di sposarsi e di venire in Italia frequentava un gruppo di amici appassionati come lei di poesia, e insieme a loro leggeva i poeti indiani e bengalesi, in particolare Tagore. All’esame di Licenza Media (che ha sostenuto qualche mese dopo) nel testo scritto riporta una narrazione personale, fa una lunga citazione (tradotta in italiano) di una poesia di Tagore per connotare un aspetto della sua esperienza di migrante. A casa mia a una cena dove si festeggiava la conclusione del corso dopo gli esami superati, Sanjida recita nella propria lingua con grande trasporto un poema di Tagore. Apre la strada, anche gli altri cantano nella loro lingua canzoni per l’occasione, anch’io canto le mie canzoni siciliane… . Io ho pensato con tenerezza a quella sera, a come ci eravamo sentiti tutti “interi”e come le tante lingue si erano date con naturalezza insieme al proprio “sé” e non erano state una parte” oppressa”, emarginata e tenuta fuori dal contesto.

Pagine Scelte

Proponiamo alcune pagine da altrettanti testi che per noi hanno rappresentato “le parole per dire” – con più maestria – il senso delle esperienze e delle riflessioni di cui alle pagine precedenti.

Da A. Lenger “ Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica” Fondazione A. Langer/Stiftung Bolzano 19948. Dell’importanza di mediatori,costruttori di ponti,saltatori di muri,esploratori di frontiera. Occorrono traditori della compattezza etnica, ma non trasfughi.In ogni situazione di coesistenza inter-etnica si sconta, in principio, una mancanza di conoscenza reciproca, di rapporti, di famigliarità. Estrema importanza positiva possono avere persone, gruppi, istituzioni che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunità conviventi e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione. La promozione di eventi comuni ed occasioni di incontro e di azione comune non nasce dal nulla, ma chiede una tenace e delicata opera di sensibilizzazione, di

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mediazione, di familiarizzazione, che va sviluppata con cura credibilità. Accanto alla identità ed ai confini più o meno netti delle diverse aggregazioni etniche è di fondamentale rilevanza che qualcuno, in simili società, si dedichi all’esplorazione e al superamento dei confini: attività che magari in situazioni di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’inter-azione.Esplosioni di nazionalismo, sciovinismo,razzismo,fanatismo religioso, ecc, sono fra i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali,ecologiche o economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l’economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica e la religione. Occorre quindi una grande capacità d affrontare e dissolvere la conflittualità etnica. Ciò richiederà che in ogni comunità si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunità: veri e propri traditori della compattezza etnica, che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili. Proprio in caso di conflitto è essenziale relativizzare e diminuire le spinte che portano le differenti comunità etniche a cercare appoggi esterni (potenze tutelari, interventi esterni, ecc) e valorizzare gli elementi di comune legame al territorio.

Da H.M. Enzensberger “Nel labirinto dell’intelligenza” Torino 2008Ipotizziamo la seguente disposizione sperimentale. Un ricercatore qualsiasi di Stanford, di Londra o di Berlino, viene messo a confronto con le seguenti persone, che devono valutare la sua intelligenza:

a) con un inuit della Groenlandia, b) con un indio dell’Amazzonia, c) con un navigatore della Polinesia.

Non occorre molta fantasia per indovinare l’esito di un test del genere. Il nostro esperto sarebbe assolutamente impreparato. Già il fatto di avere a che fare con degli analfabeti lo irriterebbe. E rimarrebbe del tutto frastornato, se quella gente esaminasse le sue facoltà intellettive al fine di appurare la loro capacità di distinguere fra migliaia di piante, di identificare impronte, di captare correnti sottomarine in base a impercettibili increspature della superficie equorea. La figuraccia sarebbe clamorosa. (pp 50-51)

Da F. Rossi-Landi “Ideologie della relatività linguistica” Padova, 1968; Milano 2007Noi tutti parliamo: abbiamo in comune le tecniche ideative, espressive e comunicative della lingua e per suo mezzo acquisite. D’altra parte siamo divisi in gruppi detti linguistici […] Per ognuno di questi gruppi c’è una Lingua Materna, nella quale si apprende a parlare. La lingua costituisce un patrimonio o capitale costante: fornisce materiali, strumenti, e “denaro” linguistici comuni al gruppo […] Una volta che l’abbiamo appresa, noi continuiamo a essere partecipi della Lingua Materna; possiamo tornare ad essa dopo un periodo in cui ne abbiamo parlata un’altra […] il patrimonio

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offertoci dalla Lingua Materna non è sostituibile né ripetibile. L’esperienza che ne abbiamo fatta si sottrae proprio alla ripetibilità caratteristica di altre funzioni dell’esperienza […] delle rare persone, di cui si constata che sono perfettamente bilingui, sembrerebbe potersi dire che abbiano ripetuto lì esperienza di apprendere la Lingua Materna. A guardar meglio si trova però che esse hanno appreso l’una lingua dopo l’altra […] Se poi una persona ha appreso le due lingue insieme, nello stesso periodo di tempo e in stato di continua mescolanza, potremmo dire che ha appreso ciò che per essa è “una” Lingua Materna composta da due lingue solitamente distinte dalla linguistica descrittiva […] il cui insieme, o la cui alternanza, “funziona da” Lingua Materna. (pp 119-120)

Da G. Prodi “ Le basi materiali della significazione” Milano 1977Pp226-227)La dinamica storica è fonte di differenziazione, quindi genera pluralità. Possiamo ritenere che storicamente molte lingue siano totalmente non-comunicanti, integralmente estranee l’una all’altra, cioè mondi chiusi di contatto con la realtà. Ognuna si sviluppa per conto proprio, dà della realtà resoconti diversi. Quanto diversi? Se vi è nelle lingue una meccanica (se esse servono a qualcosa), anche in situazioni storicamente e geograficamente diverse, ognuna di esse si organizzerà secondo un modello comune, cioè riprodurrà uno schema fondamentale. Ognuna di esse opererà quindi sulle variabili (perché nel nostro schema ogni contatto, compreso quello linguistico, opera sul particolare e dentro il particolare) in modo che esse servano ad un fine fondamentale di scambio.[…] E’ chiaro che, nell’orizzonte dell’uomo, accanto alla nascita e alla morte o ad altre tipiche costanti, c’è anche una forte variabilità dell’ambiente, e che deserto o foresta o montagna devono aver giocato parti essenziali in ogni comunicazione.[…] Ogni lingua come processo di collegamento tra individui lavora sui suoi materiali fonologici e sulle sue costruzioni sintattiche per raggiungere quei risultati di comunicazione che le sono richiesti. Essi sono, evidentemente, particolari, ma largamente comuni a tutte le situazioni: esprimono informazione, influenzamento, comando, persuasione, ecc.

SIF-MOVIMENTO di COOPERAZIONE EDUCATIVAA cura di: BENEDETTI Rita, CONTE Graziella, FOSSA Angela, PULEO Renata (Questo testo non sarebbe stato scritto senza il contributo di molte discussioni e senza il lavoro-docente di tutti i membri della SIF)Nota redazionale. Parole e frasi in corsivo rappresentano citazioni, fatte proprie nel testo, le cui fonti sono contenute nella bibliografia.

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