CONNESSIONI Riflessioni sulla terapia individuale sistemica · fecalizzare gli aspetti principali...

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5'' Gli articoli di apertura di questo numero di CONNESSIONI dedicato alla TERAPIA INDIVIDUALE SISTEMICA, illustrano in modo esemplare la ricchezza e la complessità del paradigma sistemico. Ognuno dei tre autori interpreta in modo personale il compito di dare cornice e contenuto alle pratiche individuali. TELFENER riflette su alcune specificità del modello sistemico per indirizzare il clinico a fecalizzare gli aspetti principali della teoria in modo da evitare una confusione del proprio operare. MOSCONI utilizza l'idea della costruzione dell'ipotesi, secondo un costrutto ben definito, come cornice generale per integrare e dare significato a quanto awiene in seduta. Punto di forza sistemico è l'ipotesi come contesto principale di significato. PERUZZI propone come cornice generale il contratto terapeutico. Questo è il contesto che definisce i vincoli della relazione e costruisce il significato dell'agire clinico in modo relativamente indipendente dalla teoria di riferimento del terapeuta. CONNESSIONI Riflessioni sulla terapia individuale sistemica Umberta Telfener' Non preoccupiamoci Iroppc Infondo non siamo noi Alla richiesta di scrivere un articolo sulla terapia individuale a curare i «ostri pazienti. sistemica [tis] la prima cosa che ho fatto è stata quella di lamen- Noi semplicemente tarmi, in quanto pensavo fosse "antiquato" proporre specificità di stiamo loro vicini un modello rispetto ad un altro. Le scuole sono nate negli anni e facciamo il tifo cinquanta, sessanta - organizzate intorno ad una o più figure cari- mentre loro smatiche - ed hanno avuto una importanza notevole sia per la ere- curano se stessi. scita della terapia in generale sia per la specificazione dei modelli clinici e della teoria del cambiamento. In questo momento storico quasi ogni clinico si è fatto più di un training e comunque è stato esposto a molte riflessioni sul processo clinico; oggigiorno regna una ecletticità che non è né giusta sbagliata, semplicemente è. Credo che sia sempre più vero che i differenti modelli terapeutici, pur teorizzando pratiche diverse2, propongono nei fatti una prassi molto simile. La terapia si divide sempre più in buona e cattiva pratica anziché venir differenziata rispetto al modello di riferimento. Abbiamo pertanto più psicoanalisi, più modelli sistemici, più terapie cognitive. Nessun clinico può evitare di pensare che l'inconscio esista anche se noi sistemici non gli prestiamo troppa attenzione in terapia; chi espone il paziente a ciò che fa paura riesce a far cambiare la percezione dello stimolo, anche di questo dobbiamo tenere conto, anche se non ten- diamo a farlo come relazionali; così delle potenzialità nell'uso del corpo, pur non sapendo noi quasi neppure cosa sia. Pensando a quello che avrei scritto ho poi compreso quanto fosse invece importante riflettere sul nostro operato di clinici e ho fatto ammenda rispetto alle critiche iniziali. 1. UMBERTA TELFENER, Psicoioga cllnica e didatta sistemica, insegna alla Scuola di Specia- lizzazione in Psicologia della Salute dell'università La Sapienza di Roma 2. Terapeuti che appartengono a modelli diversi differiscono nelle spiegazioni rispetto a: posizioni assunte sulle questioni epistemologiche, metodologiche, aspetti considerati e spiega- zioni fornite, costrutti utilizzati e tecniche impiegate. Erich Fromm 29

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Gli articoli di apertura di questo numero di

CONNESSIONI dedicato alla TERAPIAINDIVIDUALE SISTEMICA, illustrano in modoesemplare la ricchezza e la complessità delparadigma sistemico. Ognuno dei tre autoriinterpreta in modo personale il compito di darecornice e contenuto alle pratiche individuali.

TELFENER riflette su alcune specificità delmodello sistemico per indirizzare il clinico afecalizzare gli aspetti principali della teoria in mododa evitare una confusione del proprio operare.

MOSCONI utilizza l'idea della costruzionedell'ipotesi, secondo un costrutto ben definito,come cornice generale per integrare e daresignificato a quanto awiene in seduta. Punto diforza sistemico è l'ipotesi come contesto principaledi significato.

PERUZZI propone come cornice generale ilcontratto terapeutico. Questo è il contesto chedefinisce i vincoli della relazione e costruisce ilsignificato dell'agire clinico in modorelativamente indipendente dallateoria di riferimento delterapeuta.

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Riflessioni sulla terapiaindividuale sistemica

Umberta Telfener' Non preoccupiamoci IroppcInfondo non siamo noi

Alla richiesta di scrivere un articolo sulla terapia individuale a curare i «ostri pazienti.sistemica [tis] la prima cosa che ho fatto è stata quella di lamen- Noi semplicementetarmi, in quanto pensavo fosse "antiquato" proporre specificità di stiamo loro viciniun modello rispetto ad un altro. Le scuole sono nate negli anni e facciamo il tifocinquanta, sessanta - organizzate intorno ad una o più figure cari- mentre lorosmatiche - ed hanno avuto una importanza notevole sia per la ere- curano se stessi.scita della terapia in generale sia per la specificazione dei modelliclinici e della teoria del cambiamento. In questo momento storicoquasi ogni clinico si è fatto più di un training e comunque è stato esposto amolte riflessioni sul processo clinico; oggigiorno regna una ecletticità chenon è né giusta né sbagliata, semplicemente è. Credo che sia sempre piùvero che i differenti modelli terapeutici, pur teorizzando pratiche diverse2,propongono nei fatti una prassi molto simile. La terapia si divide semprepiù in buona e cattiva pratica anziché venir differenziata rispetto al modellodi riferimento. Abbiamo pertanto più psicoanalisi, più modelli sistemici,più terapie cognitive. Nessun clinico può evitare di pensare che l'inconscioesista anche se noi sistemici non gli prestiamo troppa attenzione in terapia;chi espone il paziente a ciò che fa paura riesce a far cambiare la percezionedello stimolo, anche di questo dobbiamo tenere conto, anche se non ten-diamo a farlo come relazionali; così delle potenzialità nell'uso del corpo,pur non sapendo noi quasi neppure cosa sia.

Pensando a quello che avrei scritto ho poi compreso quanto fosse inveceimportante riflettere sul nostro operato di clinici e ho fatto ammendarispetto alle critiche iniziali.

1. UMBERTA TELFENER, Psicoioga cllnica e didatta sistemica, insegna alla Scuola di Specia-lizzazione in Psicologia della Salute dell'università La Sapienza di Roma

2. Terapeuti che appartengono a modelli diversi differiscono nelle spiegazioni rispetto a:posizioni assunte sulle questioni epistemologiche, metodologiche, aspetti considerati e spiega-zioni fornite, costrutti utilizzati e tecniche impiegate.

Erich Fromm

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Faccio molta supervisione in contesti diversi e sempre più mi accorgoche il dialogo tra clinici di orientamenti diversi è non solo fruttuoso maanche molto ricco, anche se spesso, attenuandosi le differenze, emerge ilrischio del rischio iatrogeno (perdere la specificità fa si che non si identifi-chino più i parametri rispetto ai quali confrontarsi, si rischia di giustificaretutto e non si opera secondo una falsificazione del processo; niente è cioèconsiderato un errore). C'è per esempio, una grossa confusione su qualisiano gli aspetti su cui ci si debba fecalizzare: possibile che ogni clinico sioccupi nello stesso modo di tutto quello che gli viene portato? Certo cheno. Credo che ciascun modello abbia una sua specificità e che il nostroparadigma sistemico, più di altri, si differenzi dagli altri per l'attenzioneprecipua al contesto, per il rispetto della circolarità e il tentativo di superareil riduzionismo in ogni suo aspetto.

La specificità sistemica

I modelli, lo abbiamo già detto tante volte, sono artefatti culturali eseguono le metafore dominanti e debbono quindi ristrutturarsi nel tempo.In questo periodo storico noi ci differenziamo in quanto:

- prestiamo attenzione alle relazioni. Il nostro focus è centrato sul "pat-tern che connette" il sistema consulente al sistema committente, attra-verso un processo che mette in atto sia spinte verso la stabilità cheverso l'evoluzione. Stiamo parlando del ciclo ermeneutico di interpre-tazione e azione su cui si fondano tutti gli affari umani, come direbbeVarela, per cui il punto importante diventa incontrarsi e superare leidentità separate, considerarsi catalizzatori e partecipanti attivi ad unsistema che si auto-organizza e che evolve. Relazionalità è la nostraspecifica, ci definiamo relazionali-sistemici ed è importante che nonperdiamo questa nostra caratteristica e che non 'regaliamo' questonostro expertize ad altri modelli, come era successo, per esempio,alcuni anni fa quando avevamo ceduto il privilegio di parlare di rela-zioni ad un ramo della psicoanalisi (Greemberg e Mitchell, Eagle,Sulloway), rimanendo noi silenti. Relazionalità si esprime in ogni dire-zione, nel fatto che l'individuo non è mai considerato in solitudine maparte integrante di una rete di individui, in famiglia, nel restò della suavita, nelle relazioni del qui e ora della stanza di terapia. Neppure ilclinico è solo, in quanto è naturalmente connesso al sistema che harichiesto aiuto e al gruppo di colleghi che fanno parte del sistemadeterminato dal problema: chi altro si occupa del caso? Come è possi-bile coordinare le azioni di ciascun esperto con quelle di tutti gli altri,

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in modo che il progetto terapeutico possa risultare evolutivo anzichéessere solamente la sommatoria di più interventi singoli'?

' Non è solo la rete relazionale quella che conta ma anche la relazionalitàtra idee, comportamenti ed emozioni, tra tempi storici diversi (passato, pre-sente, futuro, tempo della crisi, tempo in cui è insorto per la prima volta unsintomo), tra narrazioni complementari, tra memoria semantica e memoriaepisodica, tra storia vissuta e storia raccontata.... I singoli comportamentied i sintomi stessi sono mosse di un gioco più grande dell'individuo checoinvolge connessioni tra contesti, idee e persone diverse.

- Proponiamo un'ottica che accoglie la complessità, la co-costruisce e lagestisce, non ammettendo la semplificazione. Nell'ottica sistemica è ilpiù complesso che spiega il più semplice e questa complessità conte-stuale (del sistema osservato e anche del sistema osservante) va gestita.Partiamo da essa, cerchiamo di mantenerla ad un buon livello di com-prensione e gestione. Cosa significa questo? La complementarietà deipunti di vista, il tentativo di non operare sintesi ma accettare anche laconfusione, il lavorare col disordine anziché pretendere spiegazionichiare e organizzazioni razionalmente definite, considerare versionimultiple per ottenere punti di vista non definitivi. La circolarità nellalettura degli eventi è un altro ingrediente coerente col rispetto dellacomplessità, che andiamo addirittura a costruire in seduta, non chie-dendo direttamente alle persone cosa pensino ma chiedendo a ciascu-no cosa pensa un altro pensi. "Ripopolare le storie" lo chiamavaPeggy Penn.

Anche ad un individuo solo chiediamo di mettersi nelle scarpe deglialtri, di considerare il nostro punto di vista (la nostra trasparenza) e di "gio-care" con le ipotesi (una "comunità che costruisce significato", una "con-versazione generativa" definiva il contesto clinico Harlene Anderson).Come mantenere un livello di complessità quindi con un individuo solo?Proponendo punti di vista alternativi, sottolineando narrazioni diverse,proponendosi come interlocutore reale che esplicita idee e stati d'animo,falsificando attivamente le idee presentate, presentificando altri del contestodel paziente. Personalmente solo di rado chiamo altre persone alle sedute,più spesso utilizzo quello che so di tutte le persone nel contesto per sottoli-neare altre prospettive. Il concetto stesso di ipotizzazione è coerente con lacomplessità: non facciamo interpretazioni come se sapessimo quello che staavvenendo, possiamo solo fare delle ipotesi euristiche, che siamo pronti alasciar cadere.

3. Non a caso ho più di una volta suggerito l'utilità sistemica di un case manager che tengadentro la mente la trama delle diverse azioni cliniche e che possa spiegare al singolo ciò che staavvenendo e contenere il progetto, tenere insieme i fili delle diverse azioni.

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Gestire la complessità significa tra l'altro accettare il cambiamentocostante dei modelli di riferimento sia culturali che teorici e rifiutare leggi eregole determinate una volta per tutte.

- Proponiamo un modello bto-psico-sociale per cui il comportamentoumano è determinato da fattori biologici, psicologici e sociali.Aggiungerei i fattori culturali che tanto in questi ultimi anni ci stannoinsegnando rispetto a come funziona il mondo. Rispondere a questomodello significa non semplificare, integrare più livelli di osservazio-ne/analisi/spiegazione e favorire una complementarietà di punti divista e di livelli di intervento diversi.

Significa considerare l'individuo olisticamente nel suo contesto e a que-sto contesto prestare molta attenzione, perché le persone sono malate dicontesto, e il contesto è il sociale. Personalmente credo, e prendo una posi-zione molto forte, che sia il sociale a determinare e influenzare pesantementele altre variabili. Concordo pertanto pienamente con il collega e amico EiaAsen quando sostiene che "I clinici sono dei lettori, dei marcatori e deigestori di contesti ed è sempre il contesto che trasforma dei mostri in bam-bini" (giornata all'Università La Bicocca Milano, 17-11-06). Anche con unindividuo solo una buona parte del lavoro è un lavoro sul contesto in quantogli individui cambiano se cambia il loro dominio di interazioni.

Pur prendendo in considerazione le metafore più attuali della scienza eriferendoci alle teorie più nuove e scientificamente stimolanti, pur facendoci -contagiare da modelli altri, in quanto sistemici sin dall'inizio ci siamo allon-tanati da un'ottica "medica" che utilizza metafore quali cura, disturbo,malattia, intervento prescrittivo, per considerare invece la coerenza di queldeterminato sistema che include un sintomo. Pensiamo che i problemi nonabbiano una "causa" che si possa utilmente scoprire; un problema è lasituazione raggiunta fino al momento attuale dall'intera storia della derivastrutturale co-ontogenetica - direbbe Maturana - che al momento in cui ilpaziente si presenta in seduta coinvolge anche noi.

Gli aspetti "bio" sono scarsamente presi in considerazione da noi siste-mici che "permettiamo al corpo di parlare", e prestiamo attenzione al lin-guaggio esplicito del corpo; personalmente sento come una lacuna la scarsaconoscenza della corporeità e degli aspetti non verbali in terapia. C'è poiun altro discorso importante da fare, che riguarda i farmaci e il loro uso.Personalmente lavoro a stretto contatto con un collega psichiatra cuiinvio le persone che ritengo ne abbiano bisogno in quanto penso che gliinterventi integrati siano un valore aggiunto. A volte è addirittura piùeconomico intervenire coi farmaci e solo in un secondo tempo proporre,su richiesta, un lavoro psicologico [un adolescente a un mese dalla matu-rità, che inizia crisi di panico molto forti; una signora che ha subito un

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lutto; una persona che sta troppo male a seguito di un abbandono; unpaziente maniaco-depressivo che deve regolare l'umore prima di potersisedere e riflettere...]

Rispetto all'aspetto "psico", l'ultimo da prendere in considerazione,sono personalmente molto critica delle categorie psicologiche che mi sem-brano spesso sovradimensionate. La cultura occidentale ha inventato lapsicologia e poi ne ha abusato, ci sono molte situazioni in cui il rapporto èmolto più importante delle categorie psicologiche che si intende utilizzare ein cui le narrazioni che emergono diventano importanti proprio perchélontane da ogni interpretazione. Il discorso potrebbe essere molto lungo.

Credo che possa essere un vero mìnus perdere queste nostre precipuecaratteristiche, molto utili sia nel leggere i contesti e intervenire su progettisociali che nel fare terapia familiare o individuale. Sinceramente non credoche questa tra terapia individuale e familiare sia una differenza sostanziale.Personalmente preferisco incontrare individui singoli ma in seduta presen-tifico molte persone e poco mi occupo di ciò che avviene solo tra le orec-chie di un solo individuo.

Mano a mano che passa il tempo sono sempre più consapevole dellepotenzialità dell'ottica sistemica, che a mio parere è uno strumento di letturadei contesti davvero eccezionale e può diventare una modalità di interventosofisticata e potente. Permette di non semplificare, di contestualizzare,introduce il tempo e l'osservatore nel contesto, permette di decostruire lemappe e danzare insieme nella costruzione di una realtà terapeutica su cuisia possibile lavorare; permette di progettare interventi pensati e coordinaticon altri addetti ai lavori, di considerare importanti tutte le persone chefanno parte del sistema creato dal problema.

Non ci sono a mio parere grosse "novità" da riportare nel campo dellaterapia individuale, non tecniche straordinarie [se non "tecniche nuove digiornata", prese a prestito da altri ambiti e trasversali ai modelli terapeutici- sto pensando all'EMDR, tecnica neuro-ipnotica di sicura efficacia, stopensando al lavoro sull'emisfero sinistro attraverso il disegno, tra gli altri],non modalità di lavoro assolutamente nuove, non contesti in cui entriamoper la prima volta. Non intendo in questo scritto proporre nuove ipotesi dilavoro e nuove tecniche ma mettere in ordine ciò che ciascuno di noi già sa,mettere in ordine e riflettere sulle premesse del nostro agire, perché credo-che siano le nostre premesse a creare il valore aggiunto del nostro lavoro eche troppo poco spesso negli ultimi anni ci siamo fermati a riflettere suquesto livello.

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Pregiudizi sistemici "adattivi"

Intendo pertanto riflettere insieme a voi lettori sugli elementi che contri-buiscono al processo evolutivo della psicoterapia, fattori che si riferiscono aipazienti, al clinico, alla relazione tra i due e al processo che si viene a creare.Idee e azioni che dovrebbero essere esplicite e che invece vengono spessolasciate implicite, assiomi che possono aiutare o bloccare il processo stesso.Si tratta di "bonus" che abbiamo come sistemici, in quanto derivano dallanostre teorie, alcuni "pregiudizi" che rendono il nostro lavoro più facilerispetto a quello di altri modelli

P U N T I D I F O R Z A D E I CHIMICI S I S T E M I C I

Autoreferenzialità, ineluttabile a tutti i livelli (tra teoria e prassi, traosservatore e osservato...]Attenzione alle risorse presentiFiducia ne contestoFiducia negli umani, credere che combino inevitabilmenteLavoro di rete anche con un individuo so o: prendere inconsiderazione i sistemi implicatiConsiderarsi in quanto clinici parte integrante del sistema di curaLavoro attivo sulle premesse in campo (lavoro epistemologico sullemodalità del conoscere]Inconscio immaginato come positivoIntervenire sul cambiamento del cambiamentoPatologia considerata come adattativa, funzionale,il tentativo di soluzione di un problemaImportanza dell'analisi della domandaOperare da una posizione in cui si sa di non sapereAccettazione dell'esistenza di punti ciechi (non sapere di nonsapere)Lavorare su ipotesi euristiche evolutive e processualiCo-sviluppo di una coerenza narrativaProposta di un setting contaminato

Atteggiamento irriverenteDecostruire le narrazioni, allargare le mappe, intervenire perampliare le possibilitàInterventing intervievying

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Come raccontarli? Andrò brevemente a sottolineare alcune specificitàdel modello sistemico e alcune convinzioni che, a mio parere, avvantaggianola procdssualità nel lavoro con gli individui. Gli aspetti che prenderò inconsiderazione varrebbero anche per il lavoro con le famiglie, le organizza-zioni e i contesti. Andrò ad analizzale i singoli aspetti, a mio parerevantaggiosi, selezionandoli rispetto ai diversi livelli implicati nel lavoropsicoterapeutico, quello epistemologico, il modello dell'umano e delrapporto con il contesto, la teoria del modello, la teoria della tecnica.

Livello epistemologico

È la scelta epistemologica quella che differenzia i diversi modelli tera-peutici uno dall'altro. Condividere un'ottica meccanicistico-deterministaoppure definirsi costruttivisti implica letture, priorità, operatività assoluta-mente diverse. Nel primo caso significa lavorare su quelli che Heinz vonFoerster chiamava indecidibili [in quanto sono già decisi dal modello diriferimento], sapere quello che si deve fare, avere protocolli per il propriolavoro che è in qualche modo ripetitivo e determinato a priori; nel secondolavorare sui decidibili [nel senso che siamo noi a decidere come interveniree a doverci assumere la responsabilità per le nostre scelte], dare spazio allacreatività e alla possibilità di creare percorsi alternativi.

È il livello epistemologico quello su cui ci siamo sempre concentrati inquanto è sempre necessario fare una scelta. Il concetto stesso di psicoterapiamuta il suo significato, diventando una delle azioni possibili per favorire l'e-voluzione. Non più la tecnica per eccellenza per costruire il cambiamento,non più l'unico mandato sociale, ma piuttosto un progetto tra altre opzioni.La scelta di proporre una psicoterapia, di passare ad un secondo livello diintervento, implica l'intenzione di iniziare un percorso breve-lungo [breveper numero di sedute, lungo temporalmente] con un contratto esplicito euna finalità definita.

Non scopriamo ìa realtà del paziente ma la inventiamo in seduta; nonfacciamo parte di una realtà data e unica ma mettiamo ordine in una seriedi "capti4" che ci bombardano. Cambia il modo di leggere la realtà, con-nettere i dati tra loro, interpretare le situazioni che vengono presentate,considerarsi in quanto clinici; mutano le categorie da utilizzare per permet-tere alla situazione di non staticizzarsi. Non a caso la scuola di Milano nei

4. Termine usato da noi sistemici spesso, ricordo che t'ha coniato Laing per riferirsi appunto al fatto che gli stimoli non sono dati ma selezionati attivamente tra i tanti da un operatoreattivo e consapevole di esserlo.

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training è sempre stata più attenta al passaggio dall'ottica semplice allasistemica [altro aspetto importante per noi è sempre stata la teoria dellatecnica, anch'essa molto puntuale].

Non siamo l'unico modello terapeutico che si definisce costruttivista,siamo quello, - forse - che lo esplicita con più forza e che insiste sulla danzainterattiva e sociale. Siamo coloro che oltre che definirsi costruttivisti conpiù determinazione e coerenza ne hanno accettato le conseguenze. Qualioperazioni a questo livello epistemologico sono specifiche e ci differenzianodagli altri modelli?

Se il mondo emerge dalle nostre operazioni, diventa imprescindibileriflettere sulle premesse e sulle scelte soggettive che hanno determinatol'emergere di quella particolare "realtà" e non di un'altra; riflettere sullescelte compiute dal clinico, sulle operazioni di secondo ordine che devemettere in atto: la diagnosi della diagnosi, l'attenzione a come le categorieche si utilizzano e gli interventi che si fanno ampliano o restringono il rangedi possibilità, in poche parole la propria partecipazione alla costruzionedella narrazione e al processo in atto.

I - la recursivitàII clinico non contempla oggetti, materia, territorio, ma privilegia i

processi recursivi di secondo ordine, mappe di mappe, punteggiature dipunteggiature, controllo del controllo, retroazioni delle retroazioni, cam-biamento degli usuali processi di cambiamento. La sistemica forse più dialtri modelli si occupa della autoreferenza'; nello specifico teorizza che ciòche conosciamo è sempre il prodotto dell'interazione tra le operazioni cheavvengono tra noi e ciò che ci sta intorno. Ogni fenomeno biologico ha edè un modo di conoscere. Sono operazioni recursive:

- riconoscere la complementarietà oggetto-metodo per cui ciascunorimanda all'altro;

- considerare la referenzialità della relazione l'elemento fondante il lavoro;- intendere la psicoterapia stessa come sistema auto-organizazionale

capace di dare forma alla realtà interattiva in modo da garantire ilmantenimento della sua struttura [di garantire il paziente comepaziente e il clinico come clinico]

- mettere in primo piano i processi recursivi dei sistemi osservati: consi-derare il mondo in cui l'attore agisce su se stesso perché è incluso

5. L'autoreferenza è considerata la capacità di un sistema di rivolgersi a sé e didiventare oggetto della propria osservazione., vedi Sistemica alla voce auto-organizzazione/autoreterenza

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nella sua organizzazione, prestando attenzione ai circuiti che includonoanche il sintomo;

- considerare le categorie che il clinico stesso utilizza al fine di nonbloccare la naturale processualità [automonitoraggio: attenzione a sécome operatore, alle operazioni sulle operazioni, momenti di tinteout, doppia posizione interna ed esterna];

- agire su sé stessi perché inclusi nel sistema e strumento principe nellostudio/sbroglio delle interazioni;

- monitorare la propria posizione all'interno del sistema in modo daottenere ciò che si desidera nella relazione clinica e confermare l'esi-stenza di tutti i partecipanti;

2- L'attenzione alle azioni terapeuticheLa conoscenza scaturisce dall'azione: se vuoi conoscere agisci, ci ricorda

von Foerster, per cui l'epistemologia diventa una teoria della costruzionedell'esperienza strettamente dipendente dal nostro agire. Il conoscere sicostruisce come agire, ogni apprendimento è un'azione, "l'azione è il puntod'inizio dal quale il soggetto conoscente e l'oggetto della conoscenza,all'inizio indistinti, si differenziano uno dall'altro, elaborando insieme ilpensiero che retro-agisce sull'azione." Il mondo che emerge è determinatodalle operazioni che abbiamo fatto. Quali le azioni in terapia?

- Far emergere un sistema [scegliere per esempio di convocare unapersona da sola oppure con la sua famiglia]

- far emergere e organizzare il significato [azione e significato si colle-gano l'uno all'altro in maniera riflessiva: il managment coordinato deisignificati di cui hanno parlato Pearce e Cronen]

- far emergere la mutua specificazione fra costrutti, far emergerel'embricazione6 tra concetti

- il languaging inteso come la danza ineluttabile che si fa al fine diformarsi un mondo comune, attraverso un'azione congiunta

- l'ascolto - anch'esso un'azione - che evoca la comprensione, una via dimezzo tra ciò che viene detto e la pre-comprensione già presente inchi ascolta,

- il processo produttivo che emerge dall'interazione tra le parti, l'entratain una deriva strutturale co-ontogenetica (Maturana) con la necessitàdi non controllare questo movimento, non guidarlo ponendosi fuori,ma analizzarlo a posteriori

6. Facciamo parlare Fruggeri (Sistemica, voce emhnaiztone): "Secondo una prospettiva com-plementare le polarità di una coppia di opposti vengono considerate come due entità asimme-triche governate dal principio dell'autorirlessività: ognuna di loro può essere definita, a undiverso livello, come il processo da cui emerge l'altra." Pag. 300

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- fare e far fare in seduta e durante il processo: i compiti a casa, gliinterventi falsificanti (Valerla Ugazio 1996).

Il comportamento linguistico è un'azione che crea la realtà, il dialogoviene considerato importante per costruire la realtà terapeutica, l'azionepiù importante da fare assieme, prestando attenzione alla sua forma, alleaspettative, alle emergenze. Utilizzare il linguaggio non è un'attività cheavviene nel cervello ma una pratica sociale per spingere le persone adinventare nuovi copioni, a esplorare/inventare nuove ipotesi, a fare le cosein maniera diversa [ogni azione nei sistemi umani è espressa tramite il lin-guaggio]. Se il linguaggio che usiamo determina cosa vediamo, le ipotesiche facciamo come clinici debbono risultare evolutive, favorire l'amplia-mento delle alternative: "L'umanità nasce nelle dinamiche sociali in cui haluogo il languaging, un modo di essere insieme nella collettività" sostieneMaturana. Personalmente credo che sia un'azione congiunta, una forma dilangiaging, anche quella di sorbire del thè sempre disponibile in seduta[una sorta di oggetto transizionale che getta un ponte], o di condividerequalche piccolo rituale compreso nel setting [con gli adolescenti selezionareun argomento pescando delle carte preconfezionate, iniziare le sedute in uncerto modo quasi sempre uguale ] la cui ripetitività offre una gestualitàprevedibile comune e rassicurante.

Per dialogare occorre mettersi nei panni dell'altro, quindi cambiareprospettiva, assumere un altro punto di vista. Dopo aver visitato ilMalborougb Family Center di Londra credo che possa essere utile dareagli individui in terapia anche una cinepresa da portare a casa oppure unaudiotape, comunque metterli nella situazione concreta di osservare unasituazione da più punti di vista [dietro una cinepresa le emozioni sarannoschermate e l'osservatore potrà sentirsi più distante dall'oggetto; usando unregistratore la consapevolezza di quello che avviene muta].

Altra "azione" terapeutica è quella di non pretendere di dare risposteesaustive, ma utilizzare le domande come stimolo per entrare in un dialogo,in un dominio partecipato e per operare distinzioni che perpetuino lapossibilità di operare distinzioni. Così diventa una pratica sociale sistemicaquella di de-costruire le premesse per aumentare i livelli di libertàdell'individuo.

3- // lavoro clinico come lavoro epistemologicoCondividendo una teoria della costruzione dell'esperienza strettamente

dipendente dal nostro agire [se vuoi conoscere agisci, lo abbiamo appenadetto] possiamo considerare il nostro tipo di terapia come un'operazione diproduzione di processi di conoscenza [understanding understanding\enon avviene individualmente ma nella relazione e nel dialogo, esplorando e

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facendo emergere le regole di composizione relazionali, emotive, comporta-mentali e metacognitive comuni [far emergere oggetti pieni di significatoda quello che sembra un mare di luci... costruire una narrazione a partireda emissioni quotidiane disperse - per parafrasare Francisco Varela]. Pernoi sistemici diventa ineludibile considerare l'operatività "psicologica" [leoperazioni cliniche più varie] un processo che ha a che fare con le scelteetiche ed estetiche insite nell'azione del conoscere, un impegno che implicapiù livelli di coinvolgimento. La possibilità di costruire nuove trame [unracconto polifonico] che abbiano origine dalla reciproca partecipazione alprocesso di acquisizione della conoscenza. Il lavoro individuale a mio parerediventa un lavoro epistemologico puntuale; sia il clinico che gli utenti sonospinti a:

- decentrarsi, distanziarsi dal proprio pensiero per diventare più duttilie per prendere le distanze dagli usuali pattern

- relatwizzare, abbandonare una casualità rigida in modo da ampliare lelenti di osservazione

- connettere tra loro eventi e ipotesi, considerare la costruzione deisignificati e le influenze sociali e familiari del loro agire

- introdurre il tempo e la lettura del contesto- processualizzare, descrivere eventi statici come un processo dal pre-

sente al passato e dal presente al futuro [e viceversa]- responsabilizzarsi rispetto ad azioni emozioni e pensieri, ritenersi cioè

parte di ciò che accade anziché vittime o passanti occasionali.

4- L'imperativo etico trasversale ad ogni operazione, ineluttabileSe il mondo emerge dalle nostre operazioni diventa imprescindibile

riflettere sulle premesse e sulle scelte che hanno determinato l'emergenzadi quella particolare 'realtà' e non di un'altra, riflettere su cosa abbiamofatto perché accadesse proprio quello che è accaduto. Come ripete spesso ilmio collega Marco Bianciardi: "La psicoterapia dovrebbe essere consideratauna pratica etica, non medica7".

L'ineludibile capacità di assumersi la responsabilità del processo daparte degli operatori si esprime attraverso la scelta di azioni e ipotesi:

- L'etica come prassi implicita che si manifesta attraverso il linguaggio ele azioni. Avere la responsabilità di creare contesti evolutivi

- Sapere di essere un agente sociale, pagato per questo, acquisireresponsabilità verso il proprio modo di operare

- Avere la consapevolezza di essere parte del mondo del paziente eparte del mondo delle possibili soluzioni, non considerarsi in dis-

7. Marco Bianciardi, comunicazione personale.

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parte rispetto al mondo dell'altro; non siamo osservatori esterni di unmondo indipendente da noiEssere consapevoli della necessità di scegliere rispetto a decisioni chesono per principio in- decidibiliMostrare un sentimento di rispetto che consta nella capacità di provarecuriosità nei confronti della storia unica del pazienteAvere la capacità di assumersi la responsabilità del processo e delcambiamento, quindi: la responsabilità della costruzione della co-costruzione, della evoluzione della co-evoluzione, della creazionedella co-creazione.L'attenzione all'zo devo diventa più importante che il tu devi: assumersila responsabilità del proprio potere, quindiLa capacità di assumersi responsabilità anche per se stessi, il proprioapprendimento e le conoscenze che si hanno, anche della propriavita. Curare la propria competenza, il proprio know how, l'attenzionealle categorie che si utilizzano, la riflessività che si mette in atto rispettoai processi di decodifica della realtà. Responsabilità nei confrontidegli altri per quello che facciamo e responsabilità verso noi stessi perchi siamo.

Livello del modello dell'umano e delle relazioni

II livello del modello dell'uomo e della mente è quello in cui si prendonoin considerazione appunto le teorie che la nostra scuola condivide circal'individuo [terapeuta incluso], il rapporto tra questi e il contesto, le teoriesull'apprendimento... Tutte le teorie psicologiche che permettono di orga-nizzare chi siamo, con chi abbiamo a che fare e dove. E chiaro quanto siaimportante riferirsi alle metafore più attuali sull'umano, quelle che derivanodagli studi più significati e come questo imperativo possa venir espletatosolamente tenendosi informati in maniera interdisciplinare.

Noi sistemici abbiamo sostituito il modello dell'uomo con un modellodelle relazioni familiari triadiche, del rapporto tra individuo e contesto, nonultimo il contesto in cui avviene la consulenza e l'inviante che fa la segnala-zione. Una forte attenzione è sempre stata data al contesto dell'operatore[pubblico/privato8, interdisciplinare o meno, lavoro di rete o lavoro conclu-so nella stanza di terapia] e alle relazioni tra operatori implicati nel caso. Lenozioni rispetto al modello della mente, della motivazione, del rapporto tra

8. Rimando all'articolo di Fruggeri, / contesti della psicoterapia 1991

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CONNESSIONI

emozioni/cognizioni e comportamenti, tra livelli di coscienza sono invecesempre stati impliciti, presi a prestito da altri modelli o lasciati alle esperien-ze del singolo operatore. Alcune convinzioni però accomunano i sistemici:

5- L'individuo in costante evoluzioneGli individui - come ogni sistema - sono in costante divenire, nascono

semplici e si complessificano nel tempo, trovandosi in una costante proces-sualità. Il sistema può fare solo quello che fa, può apprendere solo ciò che èpredisposto ad apprendere. Rispetto al modello dello sviluppo consideriamogli individui come macchine non triviali che si comportano cioè in manieranon prevedibile e non sempre uguale [questo punto di vista valorizza l'ete-rarchia computazionale', la definizione non sempre razionale e prevedibiledi valori e scelte]. Tutti i sistemi sono in costante evoluzione per cui diventaimportante che il clinico non li blocchi ma ne rispetti la processualità,intervenga a cambiare le usuali modalità di cambiamento e immagini gliindividui e le situazioni in divenire'".

Questa visione degli individui implica una estrema fiducia verso di loro:hanno innata la tendenza a risolvere i problemi e il clinico deve soprattuttopreoccuparsi di rimettere in moto il processo evolutivo e non bloccarlo noncerto portarli per mano o spingerli. Importante diventa quindi il rispettodelle capacità di autoregolazione e autoguarigione degli organismi implicati:"l'expertise è dentro le persone - dice Eia Asen - e il nostro compito è quellodi creare contesti in cui sia possibile farla emergere". Questa posizionecomporta la ricerca e l'utilizzo delle risorse presenti nel sistema, nel conte-sto dell'utente e nel contesto terapeutico, l'attenzione ai punti di forza dellenarrazioni e delle situazioni [è nota la grande fiducia della scuola di Milanonegli allievi, così come la fiducia nei pazienti, nella capacità degli umani ingenere di cambiare e di "aiutarsi da sé"].

Implica inoltre l'attenzione al rischio del rischio iatrogeno" inteso comel'attenzione all'andamento del processo e alla possibilità che anche un lavorotecnicamente corretto porti ad uno stallo o ad un blocco, con susseguentepeggioramento del paziente; l'ipotesi è che gli interventi e il processo checura possano anche far male. La creazione della cronicità è uno degli aspettipiù evidenti durante le supervisioni: nei Servizi capita che si offra un inter-

9. McCullouch WS. 197410. \3mano in divenire suggerisce intatti di chiamarci Martin Buber per sottolineare la non

staticità del processo del vivere ["Se vuoi essere te stesso cambia" ricordava Heinz von Foer-ster che considerava ciascuno libero di agire verso il futuro che desidera]

11. latreta, cura medica; gignoiiiai, nascere; che deriva dalla pratica della cura. Indica situa-zioni in cui si ipotizza che il peggioramento non sia dovuto alla struttura della persona maavvenga a seguito delle operazioni del curante

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vento, se ne offra un secondo e un terzo e non si monitorizzi il significatoche questo accumulo produce né si coordinino gli operatori tra loro; se nonsi costruisce un sistema referenziale che ragiona su se stesso, la mancanza diprogettualità porta inevitabilmente ad una collusione sull'idea di "gravita",creando uno stallo terapeutico.

6- L'inconscio amicoL'inconscio, di cui ci occupiamo marginalmente, è considerata un'istanza

"amica". Questa teoria, differente da ciò che insegnava Freud, è stata presain prestito dall'ipnoterapeuta Milton Erickson che, collaborando con JayHaley e con il Gruppo di Palo Alto, ha influenzato la teoria sistemica inmaniera indiretta. Cosa vuoi dire inconscio "amico"? Che non ci troviamodi fronte ad un'istanza estranea ed esterna che rema contro l'individuo ed èindipendente, ma di fronte ad un intuito acuto e molto sviluppato esoprattutto adattativo che può essere messo a disposizione della persona eutilizzato in terapia per ridefinire ciò che avviene e costruire la fiducia.L'acccttazione dell'esistenza di punti ciechi del clinico e del cliente [nonsapere di non sapere] viene considerata ineludibile, tollerata e utilizzata,dando fiducia al disordine e la perdita del me all'ordine che dal disordinepuò emergere. Da parte del clinico, abbandonando il mito del controllo.

7- L'auto-organizzazione del processo terapeuticoII terapeuta, come ogni altro umano, è un sistema capace di autorganiz-

zazione cioè di modificare i propri assetti in modo non deterministico eimprevedibile. Ha però bisogno di un sistema di significati che dia ordineal mondo. Accettare le novità significa accettare le invalidazioni del sistemae imparare a tollerare di destreggiarsi tra disordine troppo grande esemplificazioni inevitabili. Il clinico ha la tendenza, come tutti gli umani,all'autoconvalida per cui rischia di indurre risposte che confermino leproprie aspettative e di creare circuiti interpretativi e interpersonali diconferma di sé e delle sue ipotesi.

Considerare la possibilità della propria ignoranza nel dominio clinico[sapere di non sapere] implica rinunciare al proprio experise. Le situazionisono imprevedibili, le scelte a volte indecidibili; pensare, agire e vederesapendo di non sapere fa sì che in seduta si facciano accadere alcuni eventi,si lavori sugli spigoli che emergono, senza pretendere di controllare e cono-scere il mondo dell'altro.

- Significa immaginare la situazione terapeutica come franale [una figura incui un motivo sempre identico si ripete su scala più piccola o ampliata]'2;

12. Voce "franale" nel libro Sister?

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- significa sopportare l'ansia di rimanere in territori sconosciuti- significa l'ineluttabilità di colludere [ioè anche agire in maniera sinto-

nica al sistema e quindi non introdurre differenze e non operare alfine di un'evoluzione]

- significa monitorare la possibilità di entrare in risonanza.Perdere l'estraneità e pretendere di tutto sapere porta infatti al rischio

di entrare in risonanza (Elicami), la situazione in cui non sappiamo di nonsapere e siamo entrati in una zona cieca, rimanendo inconsapevoli e bloccatinel nostro agire. È quella situazione in cui non "sentiamo/percepiamo/ascoltiamo" alcuni temi e quindi non li evidenziamo, non li facciamoemergere. Si tratta di quelle situazioni in cui i temi trattati sono cosìsignificativi e delicati anche per il clinico che non li riconosce, non li conside-ra, e quindi non li affronta, forse perché anch'esso non li ha "digeriti" nep-pure nel proprio dominio personale.

Livello metodologico

Come leggiamo i problemi che ci vengono portati? Come pensiamo didover intervenire per operare quel cambiamento che ci è richiesto dal man-dato sociale? Qual è il ruolo della terapia e quali sono i suoi ingredienti, lepriorità di cui si occupa? Queste idee differiscono per i diversi modelliterapeutici ed è importante che vengano esplicitate durante il training^

8- II sistema determinato dal problemaII lavoro clinico è considerato un lavoro sulle operazioni del conoscere,

nell'embricazione tra il clinico - in una doppia posizione interna ed esternaal processo - e i partecipanti alla danza, tutti gli operatori inclusi. La realtàche emerge dalla relazione tra i partecipanti costituisce l'oggetto di analisi.Il processo clinico propone la creazione di un campo relazionale, la costru-zione di interazioni partecipate al fine di permettere che ogni definizionene rappresenti e definisca un'altra e che si crei una condivisione ed embri-cazione tra le premesse di tutti gli osservatori [inviante, operatori tutti chedevono necessariamente collaborare] e quelle dei committenti, al fine dicostruire un sistema determinato dal problema, polifonico e complesso cheproponga una progettualità comune. Ipotesi e soluzioni emergono dallarelazione: la possibilità di costruire nuove trame [un racconto a più voci]che abbia origine dalla reciproca partecipazione al gioco di acquisizionedella conoscenza. Grande è l'attenzione dei sistemici ali'interattività intesacome danza emergente di tutte le forze in campo.

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persona

La danza dei partecipanti alla relazione cllnica è sempre stata valutatacome elemento fondamentale, non occuparsene sarebbe come perdere divista una priorità.

9- II cambiamento continuoII significato del sintomo, la concettualizzazione del problema e come si

arrivi alla psicopatologia è un'altra caratteristica a noi specifica. In base allastoria del nostro modello, che non ripropongo e ritengo di dominio di tutti,ci è stato chiesto di rinunciare - come motivazione primaria del lavoro psi-cologico - a ogni fantasia di cura, guarigione, crescita, miglioramento delsé, consapevolezza [rendere conscio l'inconscio, spiegare le trame relazio-nali], tutti concetti cui fanno riferimento gli altri modelli clinici. Non sitratta di produrre un cambiamento ma di interagire in modo che ilcambiamento che comunque si verifica segua un corso piuttosto che unaltro (Maturana, Mendez, Coddu 1988); il cambiamento non è creato nédiretto dal clinico, è soltanto innescato in seduta e dipende dalle reazioniorganizzative del sistema.

Noi sistemici abbiamo a lungo sostenuto che gli individui non sonomalati e che non possiamo pretendere di curarli: sono solamente malati dicontesto. Ci è stato chiesto di instaurare possibili circoli virtuosi, spezzandoquelli viziosi che tanto facilmente si inastano e si ripetono sempre uguali.Operare al di fuori di etichette a priori, uscire dai percorsi usuali, rinunciarealle solite soluzioni - rinunciare ad una salute mentale pensata come a priori- immette nel mondo degli indecidibili. La patologia è un'ecologia di idee acui non è possibile non partecipare e va compresa attraverso i processi diautoregolazione e i meccanismi che la auto mantengono. Comprendere unproblema significa conoscere il modo in cui elementi di natura psicologicadiversa interagiscono tra loro: stili di interazione, significati, emozioni,modalità di regolazione delle stesse, alleanze, rapporti...

10- Gli errori ineludibiliQuali sono gli obiettivi, i criteri, le priorità delle azioni cliniche al fine

di creare un'evoluzione? Non ci possiamo considerare "agenti di cambia-mento" che operano sugli altri per modificarli direttamente. Le persone ele organizzazioni sono continuamente nel flusso del cambiamento; possiamoentrare in una deriva strutturale co-ontogenetica con le persone, ma nonpossiamo controllare questa evoluzione. Ogni consulenza si rivolge inoltrealle possibilità di mutamento strutturale perché non è possibile interveniredirettamente sull'organizzazione. Le differenze avvengono a livello dellastruttura del sistema, diventa necessario quindi ampliare l'orizzonte delle

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scelte, intervenire sulle interazioni, aumentare il numero dei punti di vista,far emergere la ricorsività, rispettare la processualità "naturale" del sistema,tollerare il rumore...

Non esiste un "modo giusto di comportarsi", il consulente non puòpensare di condurre un sistema ad un determinato risultato, esiste però lapossibilità di partecipare alla costruzione della consensualità. Cosi diventafondamentale tener conto del proprio potere, espletato attraverso la com-petenza e l'autorevolezza ma anche attraverso segnali ineluttabili, a voltetrascurati, quali il sesso [in quanto operatori, essere maschi o femmine], larazza [tema meno importante in Italia dove comunque gli operatori e degliutenti sono bianchi, il problema sorge nel lavoro coi migranti], la religione,il contesto di provenienza e di consulenza ...

All'interno di un'epistemologia cibernetica nulla è dannoso o beneficoin sé, può venir definito tale solo all'interno di una relazione e di un conte-sto. La possibilità dell'errore non si distingue dalla possibilità stessa dellaconoscenza ed evitare errori, ci ricorda Keeney, può risultare disastroso peri clienti in quanto la base per l'autocorrezione cibernetica deriva dallapossibilità di generare errori e differenze che permettono di cambiare ipropri comportamenti. Ci sono poi dei comportamenti che sono microsco-picamente "errati":Nel contesto pubblico:

costruire l'incurabilitànon operare una presa in caricofar passare gli utenti da un servizio all'altro, senza coordinamento a retesommare gli interventi anziché fare una accurata strategizzazione

Nel contesto privato:offrire ciò che viene richiestoperdere curiosità e libertà d'azioneessere ridotto all'impotenzarinchiudersi nelle quattro mura dello studio, incuranti dell'esterno

In ambedue:difendersi con la tecnicanon assumersi la responsabilità del cambiamentonon fare una attenta analisi della domandaaccettare una domanda definita dall'urgenza e dalla gravitaseguire un modello ortopedico e seguire il mandato socialecostruire o condividere una premessa di "incurabilità"non organizzare la presenza di un "case manager"perdere il reciproco riconoscimento di estraneità

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persona

lì- 11 ruolo del clinicoIn un articolo del 1992 Laura Fruggeri scrive che a seguito della rivolu-

zione costruttivista muta in maniera significativa il ruolo del clinico: cade lasua potenza, si spezza la bacchetta magica, si apre la crisi di identità.Abbiamo già sottolineato come il clinico debba rinunciare a sentirsiresponsabile dei comportamenti degli altri e diventi responsabile invece delprogetto terapeutico; come debba abbandonare l'idea di curare e rinunciareparimenti alle interpretazioni. Tutti i lettori conoscono l'idea dell'irriverenza,considerata - come diceva Cecchin - un atteggiamento che protegge dalladipendenza verso qualcosa, qualsiasi cosa. ["Si tratta della possibilità diribellarsi alle proprie idee, ai propri miti e credenze che potrebbero inchio-darci in qualche gioco 'pesante', con tanta sofferenza e apparentementesema via d'uscita. Questa ribellione può essere a volte l'unica opportunitàdi un cambiamento. L'irriverenza si manifesta verso le proprie idee, nonquelle degli altri"."}

Nel suo mandato sociale e nella relazione con l'altro il terapista hacomunque alcune operazioni da espletare, che vorrei sottolinearebrevemente:

operatore come perturbatore strategicamente orientatocostituirsi come costante e non farsi inglobare dal sistemarelazionarsi in un dialogo che confermi l'esistenza dei partecipantidecentrarsi, sapersi tirare fuori al fine di compiere aggiustamenti, per

ottenere ciò che si desidera.rinunciare alla razionalità di spiegazioni coerenti, tollerare il disordinenon essere mosso da una modalità finalisticaprogettare, strategizzare al fine di non venire inglobati nel sistema,non perdere la curiosità,non mantenere situazioni iatrogenemostrare un atteggiamento di rispetto

Teoria della tecnica

Oltre agli aspetti epistemologici, come clinici della scuola di Milano,abbiamo insistito sulla teoria della tecnica attraverso le tre direttive che laScuola di Milano ha dato nel 1980 come linee guida della seduta:Ipotizzazione, Circolarità, Neutralità [che non espanderò per scelta,anche se sono stati poi elaborati ulteriormente]. Direttive molto puntuali,

13. voce Irr iverenza nel libro Sister?

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dei veri e propri vincoli/possibilità cui attenersi. È chiaro che i livellid'azione sono anche altri. A volte vengono introdotte tecniche anche presea prestito da altri contesti e da altri modelli, la terapia - lo abbiamo giàdetto - è un processo sempre più contaminato. Credo però ci sia unaprocessualità specifica nostra:

12-Setting flessibile e partecipatoI sistemici si sono poco occupati del setting e poco hanno scritto sulla

sua definizione. Sono però stati i primi ad uscire dalla stanza di terapia e"sporcarlo", invitando più persone, incontrandosi in luoghi altri, nonessendo rigidi sulla durata e la frequenza. Sono stati i primi anche a creareun contesto in cui si potessero fare esperienze concrete ti compiti a casa oin seduta, le sculture, le sedute di pranzo con le pazienti anoressiche diMinuchin, la possibilità di incontrarsi in altri contesti...] Non a caso l'insi-stenza sulla necessità della trasparenza da parte del clinico accentua la paritàtra gli individui presenti in seduta e rende più partecipata la relazione e illavoro comune.

Malgrado il setting sia stato da noi de-sacralizzato e non venga utilizzatocome marca di contesto rigida, come costante che partecipa alla perturba-zione, malgrado poco si metacomunichi sul quanto avviene al suo interno[poco viene interpretato], abbiamo alcune prassi che ci accomunano: la fre-quenza degli incontri [l'uso di vedere le famiglie ogni quindici giorni/unmese mentre nella tis operiamo di solito settimanalmente], l'abitudine anon cambiare stanza con la stessa persona, alcuni rituali che seguonosequenze prevedibili. Personalmente scelgo con chi fissare una stessa oraallo stesso giorno della settimana e con chi invece contrattare il successivoappuntamento ogni volta; condivido il thè con i pazienti [una teiera fuman-te bolle nella stanza, dando una sensazione di accoglienza] e capita sia aloro che a me di passeggiare per la stanza.

Rispetto alla terapia individuale quale dominio delle spiegazioni in cui silavora sulle narrazioni condivise, il contratto emotivo è basato sulla fiduciareciproca, sulla collaborazione e sulla trasparenza di emozioni, pensieri estati d'animo. La sensazione è quella di trovarsi sulla stessa barca, di avereobiettivi comuni e di parteciparsi nel tempo il lavoro che si sta facendo e irisultati conseguiti.

Strategie terapeutiche con gli ind iv idu i

Ricercare il significato adattativo del problema presentatoRicercare la relazione tra il problema presentato e l'organizzazione

familiareRicercare il ruolo adattativo del pd rispetto al contesto allargato

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persona

Allenare ali'auto-osservazione: analisi dei processi di pensiero,emotivi e relazionali in rapporto agli eventi

Approfondire i meccanismi culturali della persona e del contestoIndagare le modalità di attaccamento e distaccoProvocare un distanziamento dall'egocentrismo attraverso

la costruzione di ipotesiCostruire una piattaforma di osservazione non valutativa

dalla quale clinico e utente possano analizzare quelloche avviene [decentramento]

falsificare anziché verificare le ipotesi presentatePrestare maggiore attenzione alla decostruzioneSEMPRE e COMUNQUE costituirsi come referenti

autorevoli e costruire una relazione significativaRiflettere insieme sul processo terapeutico in attoCostituirsi come costante

14- L'analisi della domanda come strumento per non piegare ilpaziente al modello

Si tratta della iniziale sospensione di ogni azione al fine di proporre unalettura psicologica e quindi un'analisi delle motivazioni che sottendono larichiesta di aiuto. Si tratta di istituire uno spazio di pensiero sulle emozioniche hanno motivato la domanda stessa al fine di capirne il senso e di identi-ficare la risposta più adeguata. L'analisi della domanda è una opportunitàper svincolarsi da una risposta preconfezionata, per ridefinire la domandastessa e per progettare l'intervento più adatto alla situazione. Si tratta di unvero e proprio intervento psicologico clinico in quanto

permette di riflettere sul rapporto tra evento e contesto di significaziohe,dissocia il sintomo dalla persona,permette di mettere in piedi un'esperienza multivocale, di costruire unpluriverso,di analizzare il problema anziché risolverlo,permette di rimanere ad un primo livello di intervento,propone all'operatore di entrare nell'universo dell'altro e diricercare o costruire una coerenza tra le mappe che sono in campo.

15- Domande come interventiDell'attenzione alla forma del dialogo, alle aspettative, alle emergenze

ne abbiamo già parlato. Non abbiamo però puntualizzato il fatto che esi-stono molti tipi di domande che aiutano a costruire la realtà terapeutica.

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- ---. CONNESSIONI

II clinico può perturbare una situazione, decostruire ipotesi'"1, lanciare dei"palloni sonda"", creare esperienze falsificanti'".... Tutto questo lo fasoprattutto con le domande che pone, che diventano così dei veri e propriinterventi. Karl Tomm si è particolarmente occupato di questo aspetto e haproposto le domande interventive, quelle che una volta poste definisconouna realtà e determinano una definizione particolare. Sono consideratecome degli "enzimi" che disgregano le vecchie strutture e permettono distabilire nuove connessioni.

.16- La ridefinizione in positivoE una nostra caratteristica precipua quella della ridefinizione in positi-

vo, al punto che alcune scuole (per esempio il Kensington ConsultationCenter) ne fanno la linea guida fondamentale di ogni incontro. Se purpenso che una costante ristrutturazione in positivo a volte rischi di creareuna realtà poco rispettosa del dolore e delle difficoltà delle persone e rischidi perdere contatto con gli aspetti sociali della realtà che il paziente porta,reputo altresì che la capacità da parte del clinico di considerare gli aspettipositivi di ogni situazione costituisca un valore aggiunto alla condivisionecomune. Il concetto stesso di resilience, tanto usato in cllnica attualmente -che indica l'abilità di un individuo di rimbalzare dalle avversità, persevera-re attraverso le difficoltà e ritornare in equilibrio - può forse essere un con-cetto derivato dalla nostra ridefinizione in positivo. La capacità di mobilita-re le risorse elaborando quanto è avvenuto anziché cadérci dentro.

Credo che la nostra capacità di vedere il valore adattativi di un sintomoanche grave (utilizzando per esempio il concetto di "sacrificio" o quello di"matrimonio") sia stato una vera e propria ristrutturazione cognitiva ancheper noi clinici: ci ha abituato a non cadere nella trappola dell'urgenza edella cronicità. Vi ricordate quanto erano potenti quegli interventi basatisulle ridefinizioni radicali, quelle prescrizioni paradossali che facevamo afine seduta? Purché il clinico ci credesse veramente, avevano un effettoristrutturante quasi immediato. Attualmente abbiamo abbandonato le pre-scrizioni paradossali in quanto le abbiamo ritenute 'figlie' di un'ottica stru-mentale e lineare, in cui l'operatore si poneva fuori dal contesto comune;credo però che ogni ridefinizione funzioni purché anche il clinico ci creda enon la proponga solo per dire qualcosa di diverso. La nostra onestà nelcontesto della terapia è un valore che non possiamo dimenticarci mai.

14. Laura Fruggeri, comunicazione personale15. Mauro Mariotti, comunicazione personale16. Valerla Ugazio. 1996

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17- Cercare il sistema di coerenze del pazienteComprendere un problema significa conoscere il modo in cui elementi

di natura psicologica diversa interagiscono tra loro creando un'unitàcoerente che appare ovvia al paziente. Sto parlando dello sviluppo di unacoerenza molto stretta tra comportamenti, idee e interazioni che portano avivere e spiegare un quadro omogeneo di azioni. Il concetto di "attratto-re'^ a mio parere coerente con ciò di cui stiamo parlando, si tratta delnucleo di caratteristiche psicologiche attorno al quale si condensa il funzio-namento di un individuo. La psicoterapia potrebbe essere considerata unprocesso di emergenza di nuovi attrattori, che portano alla formazione dinuove connessioni tra intrapsichico e intersoggettivo, tra intersoggettivo eintrapsichico. Noi andiamo poi ad individuare quel nodo che fa emergerela coerenza tra azioni, pensieri e accadimenti, tra stati d'animo e scelte,quasi che ogni persona mettesse in atto un copione ripetitivo al fine dipotersene liberare.

18- Lavorare sullo spigolo che emergeNon ci sono temi privilegiati o definiti, in terapia si può parlare di tutto

e si sceglie quello che porta l'utente e su cui desidera fecalizzare. Una lungadiatriba è sempre stata quella se ogni seduta fosse da considerarsi comeunica o parte di un processo con storia. Personalmente propendo per laseconda ipotesi, ugualmente non credo sia necessario mantenere unacoerenza discorsiva e affrontare i temi in ordine. Ci si accorge così che untema rimanda ad un altro e che un argomento apparentemente perifericopermette di trattare un tema centrale per quello specifico individuo. Riten-go molto importante avere una strategia a grandi linee, e avere un progettoterapeutico, che può essere portato avanti anche disordinatamente, sce-gliendo di seguire l'utente rispetto ai temi da trattare (ma forse questo dicechi io sia più che non cosa si debba fare in seduta; del resto è fondamentaleadeguare la conduzione a chi noi siamo e alle nostre caratteristiche preci-pue).

29 ,20- . . .invito i lettori ad aggiungere a loro piacimento altri aspetti che ritengo-

no siano nostri precipui e che costituiscano un plus del nostro modello.

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CONNESSIONI

Conclusioni:il valore aggiunto del lavoro sistemico [individuale]

La terapia è un processo di secondo livello, specialistico, in cui è neces-saria la presenza di una domanda esplicita come esplicita deve diventare lamotivazione al cambiamento e il contratto sul lavoro da svolgere. Si trattadi un intervento mirato all'evoluzione, in un percorso determinato dalmodello, in cui il committente è anche l'utente dell'intervento. [A volte l'u-tente stesso può scegliere il modello e la persona con cui lavorare; nellestrutture pubbliche questo non è usuale e Valerla Ugazio ci ha spiegatocome non sia neppure necessario e a volte diventi controproducente(1985)].

La terapia individuale è una conversazione terapeutica nella quale ilcontratto, la relazione privilegiata e la costruzione del dominio consensualeavviene con l'individuo, anche se si può scegliere a volte di incontrarsi conaltre persone significative o di suggerire compiti a casa interattivi, in mododa perturbare comunque l'individuo. Mette in atto una serie di operazionirelazionali, interattive, contestualizzate, soggettive, evolutive, non istruttive,intersoggettive, costruttive, perturbative, responsabili, di secondo ordine,basate sulle retroazioni.... Tutte caratteristiche intrinseche all'otticasistemica che, a mio parere, offrono un valore aggiunto al processo dellapsicoterapia.

Cosa vi ho proposto in questo articolo? Niente che non sapeste già. Hocercato di evidenziare i punti di forza del nostro lavoro come sistemici inquanto ritengo che l'ottica sistemica sia uno strumento fantastico nellalettura e nella prassi cllnica, uno strumento che potremmo ancor piùapprofondire per scoprirne ulteriori vantaggi. Spero che il lettore non si siaspaventato di tutta la teoria proposta, credo che imparare a diventarepsicoterapeuti implichi apprendere a livello teorico molte cose e poi lasciareche fluiscano dentro di sé in modo da poterle dimenticare e tornare a fidarsidel proprio intuito. Un altro livello di conoscenza di cui non abbiamoancora parlato è infatti quello intuitivo: ciò che non sappiamo di sapere.Quello che avviene in terapia non è totalmente oggettivabile, le procedure

" non sono razionali tutte. Seguendo Bateson potremmo proporre il lavoroterapeutico su un doppio binario, quello della conoscenza per conoscenza[un modo di pensare consapevole e finalistico, utile per fare progetti,scrivere, verificare risultati, spiegare, indagare] e una conoscenza persensibilità, [(che favorisce il riconoscimento reciproco, si forma sull'espe-rienza del provare emozioni e sensazioni, sul riflettere e comunicare su taliemozioni]revolezza del clinico e ad alimentare la sua curiosità, favorisce lapossibilità di non semplificare e di costruire una relazione empatica.

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