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LAVORO DI DIPLOMA DI FEDERICO EGGENSCHWILER DIPLOMA DI INSEGNAMENTO PER LE SCUOLE DI MATURITÀ ANNO ACCADEMICO 2018/19 CONFRONTO FRA DIFFERENTI MODALITÀ DIDATTICHE NEL LABORATORIO DI FISICA RELATORE GIORGIO HÄUSERMANN

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LAVORO DI DIPLOMA DI

FEDERICO EGGENSCHWILER

DIPLOMA DI INSEGNAMENTO PER LE SCUOLE DI MATURITÀ

ANNO ACCADEMICO 2018/19

CONFRONTO FRA DIFFERENTI MODALITÀDIDATTICHE NEL LABORATORIO DI FISICA

RELATORE

GIORGIO HÄUSERMANN

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Indice

1 Introduzione 31.1 L’insegnamento della fisica al liceo nel cantone Ticino . . . . . . . . . . . . . 31.2 L’importanza delle attività di laboratorio per l’insegnamento della fisica . . . . 51.3 Empirismo vs. razionalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

2 Sperimentazione 92.1 Prima modalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

2.1.1 Descrizione dell’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.1.2 Obiettivi dell’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.1.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

2.2 Seconda modalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112.2.1 Descrizione dell’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112.2.2 Obiettivi dell’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.2.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

2.3 Terza modalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142.3.1 Descrizione dell’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142.3.2 Obiettivi dell’attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.3.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

2.4 Questionario per gli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.4.1 Descrizione delle classi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.4.2 Obiettivi e struttura del questionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.4.3 Discussione dei risultati del questionario . . . . . . . . . . . . . . . . 18

3 Conclusioni 24Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

A Schede di laboratorio 28A.1 Determinazione dell’accelerazione di caduta libera . . . . . . . . . . . . . . . 28

A.1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28A.1.2 Scopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29A.1.3 Materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

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SUPSI/DFA INDICE

A.1.4 Procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29A.2 Moto di un carrello su un piano inclinato in salita . . . . . . . . . . . . . . . . 30

A.2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30A.2.2 Scopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30A.2.3 Materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30A.2.4 Procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

A.3 Moto di un carrello trainato da un peso in caduta verticale . . . . . . . . . . . . 32A.3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32A.3.2 Scopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32A.3.3 Materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32A.3.4 Procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

B Apparati sperimentali 35B.1 Studio sperimentale dell’elasticità di una sbarra . . . . . . . . . . . . . . . . . 35B.2 Studio sperimentale della somma di forze nel piano . . . . . . . . . . . . . . . 36B.3 Studio sperimentale della pressione nei liquidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37B.4 Studio sperimentale della spinta idrostatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

C Questionario agli allievi 39C.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39C.2 Domande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

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Capitolo 1

Introduzione

1.1 L’insegnamento della fisica al liceo nel cantone Ticino

Il “Piano quadro degli studi per le scuole di maturità” (PQS), rilasciato nel 1994 dalla Conferen-za svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE), definisce quattro settoridi studio:

• Lingue

• Scienze umane ed economiche

• Matematica e scienze sperimentali

• Educazione artistica

Il documento definisce anche le competenze di base che gli studenti liceali devono aver acquisitoal momento del conseguimento del titolo di maturità:

• competenze sociali, etiche e politiche

• competenze logico–formali, scientifiche ed epistemologiche

• competenze comunicative, culturali e estetiche

• competenze concernenti lo sviluppo personale e la salute

• competenze concernenti i metodi di lavoro, l’accesso al sapere e le tecniche dell’informa-zione

L’insegnamento della fisica, presente all’interno del settore di studio “Matematica e scienzesperimentali”, contribuisce, per la natura stessa della materia, allo sviluppo delle competenzelogico–formali, scientifiche ed epistemologiche degli allievi. Oltre a ciò, l’apprendimento dellafisica può aiutare, in maniera indiretta, allo sviluppo di competenze comunicative, culturali e

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estetiche e competenze concernenti i metodi di lavoro, l’accesso al sapere e le tecniche dell’in-formazione.A livello ticinese, le direttive federali del PQS sono confluite nell’elaborazione del “Piano can-tonale degli studi liceali”, il quale, per ogni materia, definisce le finalità formative e gli obiettividell’insegnamento. Per quanto concerne la fisica, al di là delle scelte riguardanti i singoli argo-menti, le finalità formative riguardano soprattutto l’apprendimento dei suoi metodi di indaginee di descrizione della realtà attraverso modelli matematici. Questi aspetti conferiscono unitàalla disciplina malgrado la vastità dei fenomeni studiati.

Anno Scientifico Non scientifico Laboratorio 1 Laboratorio 2

I 2 2 1 0.5II 3 2 0 0.5III 0 1 0 0IV 0 0 0 0

Totale 5 5 1 1

Tabella 1.1: Distribuzione delle ore d’insegnamento del corso base di fisica (teoria +laboratorio) al liceo in Ticino, in base all’indirizzo e alle scelte di sede.

La tabella 1.1 riassume la distribuzione delle ore settimanali d’insegnamento della fisica sull’ar-co dei quattro anni di liceo (Estratto del Regolamento degli studi liceali – Piano delle lezioni

settimanali, 2008). Si può vedere che l’insegnamento della fisica, se fosse compresso in un uni-co anno scolastico, presenterebbe un carico complessivo di sei ore alla settimana, di cui cinquededicate alla teoria ed una alle attività di laboratorio. Esse sono però ripartite in modo diversoin base, sia all’indirizzo di studio scelto scelto da ogni studente, sia alle scelte operate da ognisede liceale, per quanto riguarda l’organizzazione del laboratorio. Al primo anno, non essendoancora avvenuta la separazione nei differenti indirizzi, tutti gli studenti hanno due ore di teoriaalla settimana. Al secondo anno, quando avviene la separazione fra gli indirizzi scientifici enon scientifici, le ore di teoria diventano tre nel primo caso e due nel secondo. Al terzo annoavviene la separazione dei curricoli scientifici nelle opzioni specifiche “Fisica e applicazionidella matematica” (FAM) e “Biologia e chimica” (BIC). Di conseguenza, il corso fondamentaledi fisica cessa per le classi scientifiche, mentre le classi non scientifiche continuano a ricevereun insegnamento della fisica, mediamente pari ad un’ora alla settimana, all’interno del corsointerdisciplinare di “Scienze sperimentali”. Al quarto anno non vi sono più ore di fisica peralcun indirizzo, al di là di coloro che hanno scelto l’opzione specifica FAM o l’opzione com-plementare di fisica.Oltre alle lezioni di teoria, i programmi d’insegnamento della fisica offrono anche delle ore dilaboratorio, le quali vengono svolte a gruppi ridotti corrispondenti alla metà di ogni classe. Adogni sede liceale del cantone viene lasciata libertà riguardo alla modalità con cui ripartire le oredi laboratorio sull’arco dei primi due anni. Le possibilità sono due: un’ora settimanale unica-mente al primo anno, oppure mezz’ora alla settimana al primo ed al secondo anno. Nel primo

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SUPSI/DFA CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

caso, ogni metà classe svolge due ore di laboratorio ogni due settimane per un anno, mentre nelsecondo svolge due ore di laboratorio ogni quattro settimane per due anni.

1.2 L’importanza delle attività di laboratorio per l’insegna-mento della fisica

Essendo la fisica una scienza sperimentale, il suo insegnamento non può limitarsi unicamenteagli aspetti teorici, ma deve essere rivolto anche all’apprendimento dei metodi d’indagine delladisciplina. Il piano cantonale degli studi liceali raccomanda infatti di prediligere, nel corsofondamentale di fisica, un approccio sperimentale alla disciplina. Sebbene le esperienze dimo-strative eseguite dal docente di fronte alla classe rimangano sicuramente utili per illustrare iconcetti teorici, esse non risultano sempre essere pienamente efficaci al fine della comprensionedei modelli scientifici impiegati per descrivere i fenomeni naturali. In particolare, il metododidattico induttivista, tradizionalmente applicato nell’insegnamento della fisica e basato sulladerivazione delle leggi generali a partire da esperimenti dimostrativi, è stato negli ultimi de-cenni oggetto di critiche (Robardet, 1990, 2001): gli esperimenti utilizzati a tale scopo sonoinfatti solitamente progettati in modo tale da “dimostrare” la legge che si desidera verificare erisultano quindi essere troppo distanti dai fenomeni “reali”, che gli studenti incontrano nellavita quotidiana. Ciò presenta degli effetti negativi per quanto concerne la motivazione degliallievi verso lo studio della fisica, che viene così percepita come una materia “inutile” e nonapplicabile alla realtà. Ancora più grave è però il fatto che l’approccio induttivista non sembrifavorire una reale comprensione dei concetti da parte degli studenti: essi apprendono infatti adutilizzare i modelli scientifici per descrivere le situazioni affrontate in classe, ma al contempomantengono le loro rappresentazioni intuitive e spesso errate, per spiegare i fenomeni incontratinella vita quotidiana. La metodologia tradizionale non tiene infatti conto delle rappresentazioniintuitive degli studenti e, non affrontandole, non permette quindi una loro sostituzione con imodelli scientificamente accettati.Al fine di contrastare questi effetti indesiderati e favorire invece i processi cognitivi auspicatinegli allievi, nel corso degli ultimi decenni sono state sviluppate delle metodologie didattiche,di cui una è la situazione–problema (Meirieu, 1987). Essa consiste in una situazione didattica,solitamente basata su un problema tratto dalla realtà e sufficientemente complesso per lo stu-dente, per la cui soluzione egli è chiamato ad affrontare un ostacolo cognitivo, che può esseresuperato unicamente ricorrendo al concetto che si desidera insegnare. Un’altra metodologiadidattica, sviluppata in risposta alla necessità di offrire agli studenti una sperimentazione il piùpossibile diretta, consiste nel far loro svolgere dei semplici esperimenti, spesso costruiti conoggetti incontrati nella vita quotidiana. Queste semplici esperienze risultano essere particolar-mente efficaci per motivare gli allievi allo studio della fisica, mostrando loro che non è unadisciplina avulsa dalla realtà. Esse permettono inoltre di condurre facilmente gli studenti ad

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SUPSI/DFA CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

una tensione cognitiva, sorta dall’osservazione di fenomeni inaspettati ed in contrasto con leloro rappresentazioni intuitive della realtà. Questa tensione cognitiva conduce alla necessità diapprendere un nuovo concetto, al fine di spiegare l’osservazione inattesa, costituendo così labase, nell’allievo, per un desiderio di maggiore conoscenza.Come accennato in precedenza, il piano cantonale degli studi liceali prescrive ai docenti diinsegnare non solo i modelli ed i concetti teorici, ma anche il metodo sperimentale, di cui lafisica si avvale per indagare la realtà e mettere alla prova le proprie teorie. Affinché gli allievipossano apprendere il metodo sperimentale e comprendere il suo ruolo di selettore dei modelli edelle ipotesi, essi devono poterlo mettere in pratica effettuando degli esperimenti più complessie strutturati in una fase di misurazione ed una di analisi dei dati raccolti. A tale scopo, comedescritto nella sez. 1.1, nella griglia oraria sono state inserite delle ore di laboratorio, in cui glistudenti, a gruppi ridotti, possono effettuare dei simili esperimenti, allo scopo di apprendere ilmetodo d’indagine sperimentale. L’obiettivo del presente lavoro di diploma è infatti discuteree confrontare differenti modalità didattiche per le attività di laboratorio, nell’ottica di quale siala più efficace per la comprensione, da parte degli allievi, dei concetti scientifici e del metodosperimentale.

1.3 Empirismo vs. razionalismo

Parallelamente all’evoluzione delle scienze sperimentali, si è sviluppata anche una branca dellafilosofia, detta filosofia della scienza, la quale si occupa di studiare gli aspetti epistemologicidi queste discipline, ovvero i metodi da esse impiegati per giungere alla conoscenza. A partiredal XVII secolo, si sono affermate due correnti di pensiero in contrasto fra loro: l’empirismo

ed il razionalismo. La corrente empirista, i cui maggiori esponenti furono i filosofi inglesi JohnLocke (1632–1704), George Berkeley (1685–1753) e David Hume (1711–1776), sosteneva chela conoscenza dell’essere umano fosse possibile unicamente attraverso l’esperienza ed i sen-si. La corrente razionalista, il cui principale esponente fu il filosofo francese René Descartes(1596–1650), anche noto come Cartesio, propugnava invece la tesi secondo cui la conoscenzaumana potesse avvenire attraverso il solo uso della ragione.Queste visioni contrapposte furono riprese più avanti, in forma aggiornata, all’inizio del XXsecolo. Negli anni ’20 si formò a Vienna il cosiddetto “Wiener Kreis”, un circolo di filosofi escienziati, i cui principali membri furono Moritz Schlick, Rudolf Carnap, Otto Neurath e HansHahn. Costoro ripresero una concezione empirista della conoscenza scientifica e fondarono unacorrente filosofica nota come positivismo logico (o noepositivismo). La concezione di questifilosofi, esposta nel manifesto del circolo “Wissenschaftliche Weltauffassung” (Carnap, Hahn,& Neurath, 1929), prevedeva che esistessero unicamente due forme di proposizioni scientifiche:proposizioni empiriche, verificabili per mezzo di esperimenti e proposizioni analitiche, dimo-strabili con la logica. Il positivismo logico affermava che la conoscenza scientifica avanzasseattraverso un processo induttivo, schematizzato nella fig. 1.1

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SUPSI/DFA CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

Osservazioni sperimentali

Formulazione di un’ipotesi

Derivazione di previsioni dall’ipotesi

Realizzazione di nuovi esperimenti

Confronto fra previsioni dell’ipotesi e risultati degli esperimenti

Confronto positivo

Ipotesi momentaneamente confermata

Formulazione di un principio

Confronto negativo

Ipotesi da correggere o scartare

Figura 1.1: Il metodo induttivo: dall’osservazione sperimentale si giunge alla formulazione diun principio.

Il metodo induttivo consiste fondamentalmente nel giungere a formulare dei principi di valen-za generale partendo da una serie di osservazioni empiriche particolari. In questo paradigma,l’esperimento assume una funzione di verifica delle ipotesi formulate a partire da precedentiosservazioni sperimentali. Secondo i neopositivisti un’ipotesi può quindi essere confermata dauna serie di esperimenti e successivamente generalizzata in un principio di ampia applicabilità.Il paradigma induttivo propugnato dal circolo viennese venne messo in discussione alcuni an-ni dopo dalla fondamentale opera “Logik der Forschung” (Popper, 1934) di un altro filosofoviennese: Karl Popper (1902–1994). Egli individuò nella concezione neopositivista un pro-blema logico di fondo, poiché una serie di affermazioni particolari non possono sempre esseregeneralizzate in un principio generale. Di conseguenza, una serie di esperimenti non potrà maiconfermare una teoria scientifica, poiché nulla esclude che essa venga prima o poi smentita daun nuovo esperimento. Popper propose quindi un nuovo paradigma, che egli stesso chiamòrazionalismo critico, in base al quale le teorie scientifiche non vengono più indotte a partireda una serie di osservazioni sperimentali, ma vengono piuttosto sviluppate per rispondere adun problema teorico. L’avanzamento della conoscenza scientifica avviene quindi attraverso unprocesso deduttivo, in cui gli esperimenti assumono un ruolo di falsificazione delle teorie. In-fatti, se anche un grande numero di esperimenti non è in grado di provare con certezza unateoria, un solo esperimento è sufficiente per smentirla. La fig. 1.2 rappresenta schematicamentei principali punti del paradigma deduttivo: la formulazione del modello teorico ha luogo primadell’oservazione sperimentale, la quale viene effettuata ripetutamente fino a che un esperimentonon confuti la teoria e crei così la necessità di formularne una nuova.

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SUPSI/DFA CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

Nascita di un problema teorico

Formulazione di un modello

Derivazione di previsioni dal modello

Realizzazione di nuovi esperimenti

Confronto fra previsioni del modello e risultati degli esperimenti

Confronto positivo

Modello momentaneamente confermato

Confronto negativo

Modello da correggere o scartare

Figura 1.2: Il metodo deduttivo: l’osservazione sperimentale ha la funzione di falsificare unmodello teorico.

Le due posizioni filosofiche appena esposte costituiscono il quadro teorico di riferimento perlo svolgimento del presente lavoro di diploma. Trattandosi infatti di un’analisi e confronto didifferenti modalità didattiche per il laboratorio di fisica, è essenziale definire innanzitutto ilruolo ricoperto dall’esperimento nell’indagine scientifica e la sua valenza rispetto alle teorie.Più in generale, dovendo un docente liceale di fisica occuparsi di insegnare anche il metodosperimentale ai suoi studenti, con la possibilità di scegliere a quale paradigma appoggiarsi, ènecessario che egli svolga una riflessione approfondita su questi aspetti, al fine di definire ilquadro teorico al cui interno programmare poi le attività didattiche. Le modalità didattiche cheverranno discusse nel cuore del presente lavoro faranno capo ad entrambi i paradigmi, cercandodi sfruttare i loro pregi per l’apprendimento e tenendo conto al contempo dei loro limiti.

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Capitolo 2

Sperimentazione

2.1 Prima modalità

2.1.1 Descrizione dell’attività

La prima modalità didattica sperimentata consiste nello svolgere un esperimento seguendo leindicazioni di un protocollo. L’attività prevede un approccio deduttivo, secondo quanto descrit-to nella sez. 1.3, in quanto il modello che lega le grandezze caratteristiche del fenomeno inesame viene dato in partenza e deve essere verificato per mezzo dell’esperimento da svolgere.Nell’appendice A sono riportate le schede di laboratorio contenenti le indicazioni per lo svol-gimento degli esperimenti effettuati dagli studenti in questa prima parte della sperimentazionedidattica. Gli esperimenti si inseriscono all’interno del capitolo della cinematica ed in partico-lare della parte dedicata allo studio del moto rettilineo uniformemente accelerato. I fenomenistudiati sono la caduta libera verticale (sez. A.1), il moto di un carrello lanciato in salita lungoun piano inclinato (sez. A.2) ed il moto di un carrello che si muove lungo un binario orizzontale(sez. A.3), dapprima trainato, per mezzo di un filo passante su una carrucola, da un corpo incaduta verticale ed in seguito, dopo che il corpo trainante ha toccato il pavimento, per inerzia.Negli esperimenti proposti, gli studenti devono effettuare delle serie di misure volte a verificarele relazioni matematiche che descrivono l’evoluzione temporale delle grandezze caratteristichedel moto, ovvero la posizione e la velocità. Pur non trattandosi propriamente di esperimentidi fisica, poiché non vengono indagate le cause dei moti studiati, ma solamente delle regolematematiche che ne descrivono l’evoluzione temporale, ai fini del presente lavoro essi possonoessere ragionevolmente considerati tali, poiché la metodologia di lavoro appicata segue un pa-radigma deduttivo e gli studenti, a questo stadio di apprendimento, non hanno ancora una pienaconcezione di cosa sia un modello fisico.Come si può vedere, ogni scheda è suddivisa in quattro sezioni: introduzione, scopo, materiale

e procedimento. La prima sezione comprende una rappresentazione schematica dell’apparatosperimentale, una breve descrizione del fenomeno in esame ed il modello teorico da verificareper mezzo dell’esperimento. Nella sezione successiva, viene sinteticamente enunciato lo sco-

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

po dell’esperimento, che prevede la verifica del modello teorico e la determinazione di unagrandezza caratteristica del fenomeno studiato. Nei casi qui considerati, questa grandezza ca-ratteristica è l’accelerazione dei corpi in moto. La terza sezione comprende un elenco deglistrumenti messi a disposizione e del materiale necessario per lo svolgimento dell’esperienza.L’ultima sezione contiene infine la descrizione dettagliata delle operazioni da svolgere, elenca-te in ordine logico. Esse includono sia la parte pratica delle misure, sia la parte più concettualedi analisi dei dati. Quest’ultima viene svolta rappresentando i dati sperimentali in un grafico,che può essere realizzato sia manualmente su un foglio di carta millimetrata, sia al computerper mezzo del programma Excel. In seguito viene richiesto di tracciare una retta di regressionepassante fra i punti sperimentali sul grafico e di determinarne la pendenza. Gli ultimi puntisono quelli che richiedono il maggior sforzo intellettuale per gli allievi, poiché riguardano ladeterminazione della grandezza caratteristica del fenomeno indagato, tramite il confronto fra ilvalore sperimentale della pendenza del grafico ed un’espressione teorica della stessa, determi-nata a partire dal modello teorico. A questo punto, le indicazioni sulle operazioni da svolgeresono accompagnate da alcune domande, sul modello delle seguenti:

• Che unità di misura ha la pendenza della retta che hai tracciato?

• Partendo dal modello teorico, ricava un’espressione per la pendenza.

• Utilizzando l’espressione teorica che hai ricavato ed il valore della pendenza della rettache hai tracciato determina il valore della grandezza caratteristica.

Le domande sono pensate per obbligare gli studenti a riflettere su quanto da loro svolto fino aquel momento. Nei casi qui considerati, ci si aspetta che gli studenti siano in grado di capireche la pendenza di un grafico velocità–tempo, o di un grafico posizione–tempo al quadrato, hale unità di misura di un’accelerazione. Confrontando i modelli teorici, che legano la velocità altempo, o la posizione al tempo al quadrato, con l’equazione di una retta, gli allievi dovrebberoquindi arrivare a capire che nel primo caso la pendenza equivale all’accelerazione, mentre nelsecondo equivale alla metà di essa.

2.1.2 Obiettivi dell’attività

La prima attività di laboratorio ha i seguenti obiettivi di apprendimento:

• gli studenti imparano a lavorare autonomamente, seguendo le indicazioni di un protocollo.

• gli studenti sono in grado di effettuare un esperimento relativamente complesso, com-prendendone il senso.

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

2.1.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità

Questa modalità di lavoro in laboratorio è quella che maggiormente ho applicato durante i mieiprimi due anni e mezzo di insegnamento al liceo di Lugano 1. Sulla base delle esperienze ac-cumulate fino a questo punto, penso di poter affermare che, grazie all’utilizzo delle schede dilaboratorio, gli studenti riescono a lavorare autonomamente e ad effettuare le misure secondo leindicazioni ricevute. Se gli obiettivi didattici si limitassero all’apprendimento e esecuzione diprocedure, si potrebbe considerare questo metodo efficace.Le criticità nascono quando si cercano di perseguire degli obiettivi di apprendimento di ordi-ne cognitivo superiore per mezzo di questa modalità didattica. Essa mostra infatti i suoi limitiquando si chiede agli studenti di comprendere a fondo il senso dell’esperimento che stannosvolgendo. Ho infatti osservato in questi anni che, giunti alla fase di analisi dei dati, gli studentisi bloccano, incapaci di proseguire autonomamente. Solitamente non comprendono la richiestadi ricavare un’espressione teorica della pendenza di un grafico da un modello dato. È quindinecessario il mio intervento, allo scopo di aiutarli a capire il senso di ciò che stanno facendo. Atale scopo cerco di farli riflettere, ponendo loro delle domande, sul significato delle indicazionipresenti sul protocollo, cercando di ricollegarle con le misurazioni da loro effettuate. Il processosi rivela però spesso difficoltoso e non sempre il mio intervento è risolutorio. Si verifica non dirado infatti che, nonostante le mie indicazioni, molti allievi ancora non comprendano il sensodell’esperimento svolto.Personalmente penso che ciò sia dovuto al fatto che gli allievi eseguono le operazioni mec-canicamente, senza comprendere o interrogarsi sul senso di ciò che stanno facendo. Ciò hagenerato in me una notevole insoddisfazione che deriva dal mio desiderio di riuscire ad otte-nere una maggior comprensione da parte degli allievi, rispetto agli esperimenti che chiedo lorodi svolgere. Ritengo infatti che le ore di laboratorio dovrebbero servire ad aiutare gli allievi acomprendere i concetti teorici affrontati a lezione e non semplicemente ad applicare delle leggiprecedentemente apprese che, peraltro, spesso non hanno compreso appieno. L’altro obiettivodelle lezioni di laboratorio, altrettanto importante, è che gli allievi apprendano il metodo speri-mentale e quindi in cosa consiste un esperimento scientifico. Da queste riflessioni è quindi natala mia volontà di cominciare a sperimentare delle altre modalità didattiche in laboratorio, al finedi sostenere in maniera più efficace l’apprendimento degli studenti.

2.2 Seconda modalità

2.2.1 Descrizione dell’attività

Un’ipotesi per spiegare le difficoltà incontrate dagli allievi nella fase di analisi dei dati, nono-stante le indicazioni della scheda, è che queste ultime non risultino sempre sufficientementechiare per loro. Ho infatti riscontrato, in questi miei primi anni di insegnamento, che moltiallievi che approdano al liceo mostrano delle significative difficoltà nella comprensione di te-

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

sti scritti di una certa complessità. Nel corso della redazione delle schede di laboratorio, hocercato di trovare un compromesso fra la sintesi, la chiarezza ed il rigore disciplinare dei testiche ho scritto. Nonostante, a mio parere, dei simili testi dovrebbero essere comprensibili peruno studente di prima liceo, sulla base delle precedenti considerazioni è comunque ipotizzabileche per alcuni studenti essi possano presentare un significativo sforzo cognitivo. Le difficoltàdi ordine concettuale potrebbero quindi essere almeno in parte ricondotte a delle debolezze sulpiano linguistico.Ho perciò pensato che una possibile strategia per far fronte a questi ostacoli potesse esserequella di far spiegare ad ogni gruppo l’esperimento svolto nel corso della precedente sessionedi laboratorio ad un altro gruppo. Applicando questa modalità, ho pensato di sfruttare l’ap-prendimento fra pari, nella speranza che, ricevendo delle spiegazioni formulate nel registrolinguistico da loro abitualmente utilizzato, le difficoltà degli allievi su questo piano venisseroeliminate, favorendo così la loro comprensione del senso dell’esperimento e delle procedure daseguire. Al contempo, questa attività avrebbe potuto costituire un utile esercizio linguistico pergli studenti incaricati di spiegare l’esperimento da loro precedentemente svolto. Le spiegazionifornite, pur non dovendo venire necessariamente espresse in un linguaggio scientifico, avrebbe-ro infatti dovuto essere sufficientemente chiare per il gruppo che le avrebbe ricevute, affinchéesso fosse poi in grado di svolgere autonomamente l’esperimento sulla base di esse. Gli stu-denti incaricati di ricevere le spiegazioni degli esperimenti avrebbero invece dovuto annotarele indicazioni ricevute, esercitandosi così a prendere appunti ed a trascrivere delle procedurein modo sufficientemente dettagliato da essere successivamente in grado di metterle in pratica.Infine, questa modalità didattica presenta anche un obiettivo pedagogico di taglio più genera-le: avendo il compito di spiegare l’esperimento svolto ad un altro gruppo, gli studenti vengonomaggiormente responsabilizzati e chiamati a prepararsi adeguatamente in vista del compito loroassegnato.

Gruppo 1

Gruppo 2

Gruppo 3

Gruppo 4

Gruppo 5

Figura 2.1: La struttura circolare secondo cui un membro di ogni gruppo ha spiegato ad unmembro di un altro gruppo l’esperimento precedentemente svolto.

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Gli esperimenti con cui è stata messa in pratica questa seconda modalità sono i medesimi concui è stata sperimentata la prima, ovvero quelli descritti nell’appendice A. Essendo le classidi laboratorio solitamente costituite da 10 o 11 allievi, esse risultavano suddivise in un numerodispari di coppie. Per poter abbinare le coppie in modo tale che ognuna di esse spiegasse ilproprio esperimento ad un’altra ed al contempo ricevesse da un’altra coppia la spiegazione diun altro esperimento, sono ricorso ad una struttura circolare, come quella rappresentata sche-maticamente nella figura 2.1. Secondo questa struttura, per ogni coppia vi era una allievo chespiegava l’esperimento, mentre contemporaneamente il secondo allievo riceveva una spiegazio-ne. Grazie a questa strategia, messa in atto durante la fase di scambio, ogni allievo era occupatoa spiegare o a ricevere una spiegazione ed ogni gruppo aveva ricevuto alla fine un esperimentoda svolgere. Nella fase successiva, le coppie originali venivano riformate, in modo tale chegli allievi che avevano ricevuto la spiegazione si occupavano di spiegare al compagno il nuovoesperimento da svolgere.

2.2.2 Obiettivi dell’attività

La seconda attività di laboratorio ha i seguenti obiettivi di apprendimento:

• gli studenti sono in grado di spiegare a dei compagni un esperimento precedentementesvolto, sia per quanto concerne i metodi di misura sia per l’analisi dei dati.

• gli studenti apprendono a scrivere un protocollo contenente le l’indicazioni per lo svolgi-mento di un esperimento relativamente complesso.

2.2.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità

Osservando il lavoro degli allievi durante lo svolgimento delle attività ho potuto constatare che,grazie alle spiegazioni ricevute dai compagni, essi sono stati in grado di svolgere autonoma-mente e correttamente la parte pratica delle misurazioni. Si può quindi concludere che, general-mente, sia la capacità di tradurre in un linguaggio condiviso una serie di indicazioni riguardantidelle procedure relativamente complesse, sia l’abilità comprenderle e ad annotarle messe in at-to dagli studenti sono state all’altezza del compito loro assegnato. Sotto questo profilo, questamodalità didattica si è quindi rivelata tanto efficace quanto l’utilizzo della scheda contenente leprocedure.Allo stesso tempo, si sono però ripresentate le medesime criticità che già mi avevano fatto dubi-tare dell’efficacia dell’utilizzo delle schede di laboratorio. Se durante la fase delle misurazioniho potuto lasciare lavorare autonomamente gli allievi, senza che ci fosse la necessità di un miointervento, giunti alla fase di analisi dei dati essi si sono nuovamente bloccati, non sapendocome proseguire. A questo punto si è quindi reso nuovamente necessario il mio intervento, contutte le difficoltà già descritte, fra cui, non da ultima, quella di dover gestire contemporanea-mente cinque coppie di laboratorio in attesa di ricevere spiegazioni da parte mia. Chiedendo

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agli studenti il motivo per il quale non fossero in grado di portare a termine l’analisi dei da-ti dell’esperimento da loro svolto, molti mi hanno risposto di non aver ricevuto spiegazioni ariguardo dai loro compagni. Ciò, a mio modo di vedere, può essere spiegato in due modi: laprima spiegazione è che agli allievi non fosse chiaro che dovessero dare ai loro compagni dellespiegazioni riguardanti anche l’analisi dei dati. La seconda e più probabile è che, non avendoloro per primi capito come analizzare i dati, gli studenti chiamati a dare le spiegazioni, nonfossero in grado di fornire indicazioni su questa parte del lavoro ai loro compagni.Sulla base di queste considerazioni, penso di poter concludere che questa modalità didattica,avendo presentato gli stessi pregi e gli stessi limiti dell’utilizzo delle schede di laboratorio, nonabbia mostrato i miglioramenti auspicati sotto il profilo della comprensione degli studenti, ri-spetto al senso del lavoro da loro svolto. Una doverosa considerazione da fare, comunque, è chela sperimentazione di questa modalità si è svolta utilizzando esperimenti, basati sull’utilizzodi una strumentazione relativamente complessa, che gli allievi avevano precedentemente svol-to seguendo le indicazioni di una scheda. Questo contesto di partenza potrebbe quindi esseresignificativo per spiegare l’apparente inefficacia di questa modalità.

2.3 Terza modalità

2.3.1 Descrizione dell’attività

Le considerazioni illustrate nella sez. 2.2.3 mi hanno spinto a progettare una terza modalitàdidattica, in cui gli allievi sono chiamati a progettare il loro esperimento, senza ricevere indica-zioni da parte del docente, o ricevendone solamente in misura limitata. A mio modo di vedere,ciò dovrebbe inevitabilmente costringere gli allievi ad interrogarsi sugli obiettivi e sul senso dellavoro che stanno svolgendo. Questo aspetto potrebbe inoltre rivalutare l’utilizzo della moda-lità delle spiegazioni reciproche fra studenti, nel caso si decida, in una successiva sessione dilaboratorio, di applicare questo metodo per ruotare le esperienze fra le varie coppie. Avendoinfatti dovuto maggiormente riflettere sull’esperimento ed avendone quindi meglio compreso levarie parti, gli studenti dovrebbero essere in grado di fornire spiegazioni più esaustive ai lorocompagni.Questa terza modalità, da me progettata, consiste nel porre gli studenti di fronte ad un apparatosperimentale, predisposto per lo studio di in fenomeno da loro non ancora conosciuto e studia-to. Gli esperimenti utilizzati per questa fase della sperimentazione sono descritti nell’appendiceB. Essi vertono sullo studio delle forze e della pressione nel caso statico. Nella fattispecie, ifenomeni studiati sono l’elasticità di una sbarra (sez. B.1), la somma delle forze nel piano (sez.B.2), la pressione nei liquidi (sez. B.3) e la spinta idrostatica (sez. B.4). Prima dell’inizio dellamesso in atto di questa modalità, a lezione erano stati introdotti i concetti di forza ed equilibrioe si erano studiate la forza–peso e la forza elastica di una molla. Non essendo il modello teoricofornito in partenza, questo approccio didattico può essere ricondotto al paradigma induttivo,

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secondo quanto descritto nella sez. 1.3. L’obiettivo dell’attività, comunque, è che gli allievigiungano a formulare delle ragionevoli ipotesi rispetto ai fenomeni studiati, non attendendosiin alcun modo che essi arrivino ad indurre il principio generale.Prima dell’inizio dello svolgimento delle attività, ad ogni gruppo ho assegnato un esperimento,dando a tutti la seguente indicazione generale: «Cercate di capire quali strumenti avete di frontea voi, quali grandezze misurano e quali manipolazioni potete effettuare». Nel caso dello studiodella pressione nei liquidi, effettuato per mezzo di un barometro digitale, è stato necessario chespiegassi agli allievi che si trattava di uno strumento che misura la pressione. L’obiettivo dellafase iniziale dell’attività era che gli studenti capissero, almeno a grandi linee, quali fenomenistessero studiando e ne individuassero le grandezze caratteristiche. Successivamente, sulla basedelle loro riflessioni iniziali, dovevano progettare il loro esperimento, allo scopo di ricavare unarelazione fra le grandezze caratteristiche che avevano precedentemente individuato. Nei casiin cui gli allievi mi erano parsi maggiormente in difficoltà, sono intervenuto suggerendo loroalcune misurazioni che era possibile effettuare con gli strumenti a disposizione.In seguito ho lasciato svolgere ad ogni coppia l’esperimento che aveva progettato. In generale,durante questa fase, è stato necessario un monitoraggio piuttosto costante da parte mia del la-voro degli allievi, al fine di assicurarsi sia che i gruppi non fossero in difficoltà, sia che stesserolavorando con la dovuta serietà. Conclusa la fase delle misurazioni, grazie ad alcuni computerpresenti nel laboratorio, gli allievi hanno potuto effettuare l’analisi dei dati raccolti con l’au-silio del programma Excel. Essa consisteva essenzialmente nell’inserire i dati in una tabellaopportunamente strutturata, all’interno di un foglio di calcolo ed in seguito di rappresentarli ingrafico, al fine di visualizzarne l’andamento inserendo la curva di regressione adatta. Durantequesta fase ho discusso con ogni gruppo dei risultati ottenuti, incoraggiando gli studenti for-mulare le loro ipotesi per spiegarli. L’analisi dei dati sperimentali per mezzo di un grafico hafornito anche l’occasione per far riflettere gli allievi sull’accuratezza delle loro misurazioni esu eventuali errori da loro commessi. In alcuni casi, gli allievi hanno dovuto ripetere una partedelle misurazioni. Nel caso dello studio della somma delle forze nel piano, l’analisi dei datinon è stata effettuata al computer. In questo caso ho spiegato agli studenti il metodo grafico(punta–coda) per la somma delle forze nel piano e li ho successivamente invitati a verificarequesta proprietà con almeno un’altra configurazione di forze.La sperimentazione di questa modalità si è infine conclusa con delle presentazioni degli allie-vi, di fronte ai propri compagni, degli esperimenti da loro svolti. Durante le presentazioni hoinvitato gli studenti a fornire spiegazioni più dettagliate delle procedure, quando ciò era a mioavviso necessario, e ad esporre le loro ipotesi riguardo alla causa del fenomeno studiato. Ter-minate le presentazioni degli studenti, ho colto l’occasione per effettuare un momento di teoriain cui ho illustrato i principi generali che si celavano dietro ai fenomeni studiati. Un’altra pos-sibilità per concludere questa attività di laboratorio avrebbe potuto essere quella di far svolgere,a rotazione, ogni esperimento a tutte le coppie, partendo ogni volta dalle spiegazioni reciprochedegli allievi, come già precedentemente menzionato. Oppure, avrei potuto far redigere, ad ogni

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gruppo, un protocollo dell’esperimento svolto, sul modello delle mie schede di laboratorio. Inconclusione, per lo svolgimento di questa attività sono state necessarie, includendo le misure,l’analisi dei dati e le presentazioni finali di tutti i gruppi, quattro sessioni di laboratorio.

2.3.2 Obiettivi dell’attività

La terza attività di laboratorio ha i seguenti obiettivi di apprendimento:

• gli studenti sono in grado di identificare le grandezze caratteristiche di un fenomeno daloro non ancora studiato.

• gli studenti sono in grado di progettare ed eseguire un esperimento per indagare la rela-zione fra le grandezze caratteristiche di un fenomeno.

2.3.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità

Osservando il lavoro degli allievi, durante lo svolgimento delle attività, ho avuto l’impressio-ne che essi fossero maggiormente coinvolti e motivati verso il compito loro assegnato, rispettoalle occasioni in cui avevo implementato le altre modalità. In particolare ho apprezzato quan-do gli studenti, di loro iniziativa, hanno proposto ed effettuato delle misurazioni supplementariper verificare alcune loro ipotesi. Non tutte le coppie, comunque, hanno mostrato il medesimoentusiasmo e spirito d’iniziativa, poiché ciò, chiaramente, dipende anche dalle caratteristichecaratteriali dei singoli allievi e dalla loro motivazione intrinseca. In generale, però, anche igruppi meno motivati sono stati obbligati ad effettuare uno sforzo di riflessione maggiore ri-spetto a quello a cui erano abituati con le altre modalità.Avendo già avuto modo di accumulare esperienze in laboratorio per più di un semestre, glistudenti non hanno generalmente avuto particolari difficoltà nel progettare un esperimento con-sistente in una serie di misurazioni al fine di verificare la relazione fra due grandezze caratteri-stiche del fenomeno in esame. Ciò può essere considerato un indicatore del fatto che l’utilizzodelle schede di laboratorio non sia stato completamente inefficace e che grazie ad esso gli stu-denti abbiano potuto apprendere, almeno in parte, il metodo sperimentale. Come già descrittoin precedenza, si è però reso necessario, da parte mia, un monitoraggio dell’attività degli allievimaggiore di quello che avevo inizialmente ipotizzato. Questo mio accresciuto impegno è peròstato ripagato dalla percezione di un maggior coinvolgimento degli allievi nell’attività. Ho an-che avuto l’impressione che gli studenti si siano maggiormente resi conto delle imprecisioni odegli errori di misurazione da loro commessi, rispetto a quanto percepivo avvenisse con l’uti-lizzo delle altre modalità. Dovendo seguire le indicazioni di una scheda, pur essendo comunquepossibile che commettano degli errori, è meno probabile che gli allievi se ne rendano conto,rispetto ad una situazione in cui hanno dovuto essi stessi progettare l’esperimento, riflettendosulle procedure da svolgere e sulle problematiche ad esse correlate.

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Sulla base di queste considerazioni mi ritengo quindi soddisfatto di questa prima implementa-zione di questa modalità didattica. L’unica sua pecca, se tale può essere considerata, risiedenel maggior tempo necessario per lo svolgimento delle attività rispetto agli altri metodi. Perquesto motivo, questa modalità risulta essere poco adatta per essere l’unica utilizzata durantetutto l’anno scolastico. Essa può però essere sicuramente alternata con altre modalità, al fine dilasciare, di tanto in tanto, più spazio di riflessione agli studenti.

2.4 Questionario per gli allievi

2.4.1 Descrizione delle classi

La sperimentazione delle modalità didattiche sopra descritte ha avuto luogo presso il liceo can-tonale Lugano 1, con due classi prime. Una delle due classi è costituita da 23 allievi, di cui 21sono ragazze. L’altra classe è invece composta da 18 studenti, di cui 3 sono ragazze. La primaclasse presenta quindi una netta maggioranza di femmine, mentre la seconda una prevalenzadi maschi. Oltre che per la composizione, le due classi si differenziano anche per le attitudinidegli allievi. La prima classe è caratterizzata da circa un terzo di allievi che mostrano un di-screto interesse verso la fisica e partecipano attivamente alle lezioni, mentre il resto della classeè tendenzialmente silenzioso e poco partecipe, probabilmente a causa di una certa timidezza.La seconda classe è invece generalmente più vivace. Entrambe le classi, comunque, presentanosia studenti con un quadro scolastico solido che studenti con significative difficoltà scolastiche.Con entrambe le classi, grazie all’impegno mostrato dagli allievi, è stato possibile impostare unlavoro proficuo ed effettuare la sperimentazione in modo soddisfacente.

2.4.2 Obiettivi e struttura del questionario

L’obiettivo della sperimentazione è quello di individuare delle modalità didattiche che sianopiù stimolanti per gli allievi e più efficaci per il loro apprendimento. A tale scopo, ho quindiritenuto necessario rilevare anche le opinioni degli studenti riguardo ai metodi di lavoro in la-boratorio che ho sperimentato con loro. Per questo motivo ho deciso di sottoporre loro un brevequestionario di quattro domande, riportato nell’appendice C. Le domande poste agli studentisono volte ad indagare in quale misura si siano trovati bene con le modalità applicate, quantoa fondo ritengano di aver compreso i fenomeni studiati ed i metodi di misura applicati ed inquale misura le modalità applicate abbiano risvegliato il loro interesse verso gli esperimenti.Gli allievi devono valutare la loro percezione rispetto alle quattro dimensioni sopra descritte, suuna scala da 1 a 5.Nel seguito, i risultati del questionario sono presentati e discussi. Su 41 allievi totali che hannopreso parte alla sperimentazione didattica, solamente 22 hanno risposto al questionario, nono-stante le mie sollecitazioni nei loro confronti in tale senso. Personalmente mi sarei aspettato

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che tutti loro avrebbero risposto alle domande del questionario entro il termine stabilito e sonoquindi un po’ deluso dalla loro mancanza di impegno verso questo compito loro assegnato. Con-siderando però il periodo particolarmente denso di lavori scritti ed il breve tempo loro concesso,gli allievi che non hanno risposto al questionario possono essere almeno in parte scusati.

2.4.3 Discussione dei risultati del questionario

1 2 3 4 50

2

4

6

8

10

12

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Punteggio

Num

ero

dial

lievi

Indicazioni della schedaSpiegazione reciproca

Progettazione dell’esperimento

Figura 2.2: Risultati della domanda sull’apprezzamento generale delle modalità didattiche daparte degli studenti.

Nella fig. 2.2 sono riportati i risultati per quanto riguarda la prima domanda del questionario,volta ad indagare l’apprezzamento generale delle modalità didattiche da parte degli studenti.La modalità didattica della scheda, illustrata nella sez. 2.1, ha ottenuto dei punteggi abbastanzabuoni, che vanno da 3 a 5. La modalità didattica della spiegazione reciproca, descritta nella sez.2.2, ha invece ricevuto dei punteggi perlopiù concentrati fra i valori 3 e 4. Infine, la modalitàdidattica della progettazione dell’esperimento, discussa nella sez. 2.3, presenta un’ampia distri-buzione dei punteggi assegnati dagli allievi, i quali si estendono da 2 a 5. Si noti che all’incircala metà degli studenti ha indicato il suo apprezzamento della prima e della terza modalità con ilpunteggio 4, mentre due terzi di loro hanno attribuito questo punteggio alla seconda modalità.Ciò può essere letto come un segno del fatto che una buona parte di loro si è trovata abbastanzabene con ognuna di esse. La prima modalità ha ricevuto un punteggio pari a 5 da 9 studenti,mentre nessuno di loro ha indicato la seconda modalità con il punteggio più alto e solamente 2studenti hanno assegnato questo punteggio alla terza modalità. Si segnala inoltre che la secondae la terza modalità hanno entrambe ricevuto due valutazioni negative, mentre la prima non ne

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ha ricevuta nessuna.Cercando di interpretare questi dati, possiamo affermare che la modalità maggiormente apprez-zata dagli allievi è stata la prima, mentre la seconda sembra essere quella che ha li maggiormentelasciati indifferenti. La terza modalità sembra invece avere diviso gli animi degli studenti. Que-sti risultati potrebbero essere spiegati considerando che per gli allievi è più semplice seguirele indicazioni di una scheda, in quanto ciò richiede un minor sforzo cognitivo da parte loro.Dover progettare il proprio esperimento, sembra invece aver stimolato gli studenti più motivati,ma potrebbe al contempo aver suscitato qualche disagio a quelli maggiormente in difficoltà. Vacomunque segnalato il fatto che l’utilizzo di una scheda è la modalità a cui avevo maggiormen-te abituato i miei studenti. Questo fatto potrebbe spiegare lo smarrimento da loro provato nelmomento in cui sono stati confrontati per la prima volta con altre modalità didattiche.

1 2 3 4 50

2

4

6

8

10

12

Punteggio

Num

ero

dial

lievi

Indicazioni della schedaSpiegazione reciproca

Progettazione dell’esperimento

Figura 2.3: Risultati della domanda sulla percezione degli studenti rispetto alla lorocomprensione dei fenomeni studiati.

Nella fig. 2.3 sono riportati i risultati delle risposte degli studenti alla seconda domanda del que-stionario, che aveva l’obiettivo di sondare la loro percezione rispetto alla loro comprensione deifenomeni studiati. Si noti innanzitutto che a nessuna delle modalità è stato assegnato il punteg-gio più basso. Tutte e tre hanno però ricevuto un voto negativo da almeno uno studente. Anchein questo caso, nessun allievo ha attribuito il punteggio più alto alla modalità della spiegazionereciproca, che ha ricevuto un punteggio pari a 3 da più della metà degli studenti. I punteggidelle altre due modalità presentano invece delle distribuzioni abbastanza simili, sebbene quelladella scheda abbia ottenuto valutazioni positive da un maggior numero di studenti rispetto allaprogettazione dell’esperimento, la quale ha invece ricevuto più valutazioni negative.Secondo quanto affermato dagli allievi, la prima modalità è quella che ha maggiormente aiutato

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la loro comprensione dei fenomeni studiati. La seconda modalità ha invece ricevuto delle valu-tazioni piuttosto negative a questo riguardo, mentre la terza è stata oggetto di una valutazionecomplessivamente discreta, ma inferiore a quella della prima. La percezione degli studenti, dinon aver appieno compreso i concetti con la seconda modalità è probabilmente da ricondur-re alle spiegazioni lacunose fornite dai loro compagni, non abituati a questo compito. Questorisultato sembra inoltre corrispondere alla mia impressione in questo senso. Al contrario, ilfatto che anche in questo ambito gli studenti sembrino preferire la prima modalità è in contra-sto con le mie osservazioni, secondo cui la terza avrebbe invece maggiormente favorito la lorocomprensione dei fenomeni. Ciò potrebbe essere ancora spiegato considerando che la modalitàdella scheda è quella a cui gli studenti sono maggiormente abituati e che richiede il minor sfor-zo cognitivo da parte loro. Il maggior impegno mentale richiesto dalla terza modalità potrebbeinfatti aver suscitato negli studenti l’impressione di aver capito poco dei fenomeni studiati. Vacomunque ricordato che questa domanda del questionario poteva unicamente sondare una per-cezione degli allievi e non la loro reale comprensione, la quale, peraltro, non è stata verificatamediante un apposito test.

1 2 3 4 50

2

4

6

8

10

12

Punteggio

Num

ero

dial

lievi

Indicazioni della schedaSpiegazione reciproca

Progettazione dell’esperimento

Figura 2.4: Risultati della domanda sulla percezione degli studenti rispetto alla lorocomprensione dei metodi di misura applicati.

Nella fig. 2.4 sono riportati i risultati della terza domanda del questionario, volta a rilevare lapercezione degli studenti rispetto alla loro comprensione dei metodi di misura applicati. Siosserva innanzitutto che, anche in questo caso, nessuna modalità ha ricevuto il punteggio piùbasso. Le modalità della spiegazione reciproca e della progettazione dell’esperimento hannoricevuto valutazioni da 2 a 5, pur con differenti distribuzioni, mentre a quella della scheda non

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sono stati assegnati punteggi inferiori a 3. Anche in questa domanda, la prima modalità è quellache ha ricevuto le valutazioni più alte, con ben 12 studenti che le hanno attribuito il punteggio4 ed altri 6 il punteggio massimo. 12 studenti hanno assegnato il punteggio 3 alla seconda mo-dalità, che ha comunque ricevuto complessivamente 9 valutazioni positive. La terza modalità èstata infine oggetto di un discreto apprezzamento da parte degli allievi, che le hanno attribuito13 voti positivi.Nell’opinione degli allievi, l’utilizzo della scheda li avrebbe maggiormente aiutati a compren-dere i metodi di misura, rispetto alle altre due modalità. Il fatto che la scheda contenesse indica-zioni dettagliate riguardo alle procedure da seguire potrebbe spiegare questa loro impressione,comportando ciò un minor sforzo cognitivo per loro, come già argomentato in precedenza. An-che in questo caso la modalità della spiegazione reciproca sembra aver raccolto meno preferen-ze fra gli studenti, probabilmente a causa delle difficoltà da loro incontrate nello spiegare delleprocedure di una certa complessità. La terza modalità, come nei casi precedenti, ha globalmen-te ottenuto punteggi migliori della seconda ma inferiori alla prima, probabilmente a causa delmaggior impegno richiesto agli allievi nel progettare un esperimento. Anche in questo contestoè però necessario rammentare che è stata rilevata unicamente una percezione degli allievi e nonla loro reale comprensione dei metodi sperimentali applicati.

1 2 3 4 50

2

4

6

8

10

Punteggio

Num

ero

dial

lievi

Indicazioni della schedaSpiegazione reciproca

Progettazione dell’esperimento

Figura 2.5: Risultati della domanda sull’interesse degli studenti verso i fenomeni studiati.

Nella fig. 2.5 sono rappresentati i risultati relativi alla quarta domanda del questionario, voltaad indagare l’influsso delle tre modalità didattiche sull’interesse degli allievi verso i fenomenistudiati. Osservando il grafico, il primo aspetto che salta all’occhio è il fatto che i punteggiottenuti dalla modalità della spiegazione reciproca sono concentrati fra i valori 2 e 4, mentrequelli delle altre due sono sono distribuiti lungo tutta la scala. In secondo luogo, si nota che i

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punteggi assegnati ad essa ed alla modalità della progettazione dell’esperimento sono caratte-rizzati da distribuzioni crescenti. In particolare si può vedere che 12 studenti hanno assegnatoil punteggio 4 alla seconda modalità, mentre ben 17 hanno attribuito i punteggi 4 e 5 alla terza.La modalità della scheda, in questa domanda, ha invece ottenuto dei punteggi inferiori: si notainfatti che solo quattro allievi le hanno assegnato il punteggio più alto, mentre 9 di loro le hannoattribuito delle valutazioni meno positive.Sulla base di quanto osservato, posso concludere che la percezione degli allievi rispetto al lorointeresse sembra corrispondere alle mie impressioni. Infatti, la modalità della progettazione del-l’esperimento sembra aver maggiormente risvegliato il loro interesse rispetto ai fenomeni stu-diati. Questo dato risulta essere particolarmente interessante, se confrontato con quanto emersodalle risposte alle precedenti domande del questionario, in cui gli allievi hanno dichiarato dinon aver percepito miglioramenti della loro comprensione dei fenomeni e dei metodi e di nonessersi trovati particolarmente bene con questa modalità. Sembra infatti che questi aspetti nonsiano in alcuno modo correlati al loro interesse verso gli argomenti trattati. Ciò potrebbe esserespiegato considerando che il maggior sforzo cognitivo richiesto agli allievi dalla progettazionedell’esperimento potrebbe aver suscitato in loro qualche insicurezza ma, al contempo, averlimaggiormente stimolati.

1 2 33

3.2

3.4

3.6

3.8

4

4.2

4.4

Modalità didattica

Punt

eggi

om

edio

Domanda 1Domanda 2Domanda 3Domanda 4

Figura 2.6: Punteggi medi ottenuti dalle tre modalità didattiche nelle quattro domande delquestionario.

Per concludere la discussione dei risultati del questionario sottoposto agli allievi, è utile ed in-teressante riportare in un grafico le medie dei punteggi ottenuti dalle tre modalità nelle quattrodomande, poiché ciò permette di averne un visione più globale. Nella fig. 2.6 sono appuntorappresentati i punteggi medi in funzione delle modalità didattiche, per ogni domanda del que-

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stionario. Si osserva che la modalità della scheda ha mediamente ottenuto i punteggi più altinelle prime tre domande, mentre nella quarta, il punteggio medio più alto è stato assegnato al-la modalità della progettazione dell’esperimento. La modalità della spiegazione reciproca, inognuna delle domande, ha ottenuto i punteggi mediamente più bassi. I punteggi medi ottenutidalla terza modalità nella prima e nella terza domanda sono simili a quelli ricevuti dalla secon-da, così come quelli assegnati alla prima ed alla seconda modalità nella quarta domanda.Si osserva quindi che l’andamento dei punteggi medi rispetto alle modalità ed alle domandedel questionario corrisponde a quanto già precedentemente osservato nei grafici dei risultati diogni domanda. La prima modalità è stata preferita dagli allievi in tre delle quattro dimensioniindagate dal questionario. La seconda modalità è invece stata la meno apprezzata dagli studentiin tutte le categorie osservate. Infine, la terza modalità ha captato le preferenze degli allievinell’ultima domanda.Riassumendo brevemente quanto precedentemente discusso, ho ipotizzato che questi risultatipossano essere spiegati dal fatto che la modalità della scheda sia quella a cui ho maggiormenteabituato i miei allievi. La novità costituita dalle altre due modalità potrebbe quindi aver suscita-to in loro qualche incertezza. È quindi possibile che esista una correlazione fra lo stato d’animodegli allievi durante lo svolgimento delle attività e la loro percezione della comprensione deiconcetti. La modalità della spiegazione reciproca che, sia in base mie osservazioni, sia in basea quanto riportato dagli allievi, sembra essere stata la meno efficace, potrebbe essere stata pena-lizzata dalla loro inesperienza nel fornire spiegazioni ai compagni. Infine, il maggior impegnorichiesto dalla progettazione del proprio esperimento sembra aver presentato qualche difficoltàagli studenti, ma al contempo averli maggiormente stimolati ed interessati.

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Capitolo 3

Conclusioni

Il presente lavoro di diploma è stato per me l’occasione per sperimentare delle nuove modalitàdidattiche nel laboratorio ed ampliare così i miei orizzonti professionali in vista di una possi-bile futura carriera quale docente di fisica in un liceo cantonale. Nei miei primi due anni diinsegnamento, ho preparato delle schede di laboratorio contenenti delle indicazioni dettagliateper lo svolgimento degli esperimenti, come quelle allegate nell’appendice A, da distribuire agliallievi. Ritenevo infatti che questa modalità didattica fosse la più efficace per farli lavorare inmaniera indipendente ed al contempo permettere loro di comprendere sia i fenomeni studiati,sia i metodi sperimentali applicati. Grazie alle esperienze accumulate nel corso di questi dueanni, mi sono però reso conto del fatto che l’utilizzo di una scheda di laboratorio permetta diraggiungere questi obiettivi soltanto parzialmente: se da una parte gli allievi riescono a lavorarein modo autonomo, dall’altra ho sempre avuto l’impressione, come argomentato nella sez. 2.1,che la loro comprensione dei concetti e delle procedure si limitasse ad un livello superficiale.Ho quindi pensato che sarebbe stato utile ed interessante sperimentare delle differenti modalitàdidattiche, al fine individuare altre strategie più adatte ad ottenere la comprensione degli stu-denti.Inizialmente ho ipotizzato che le difficoltà degli allievi potessero essere almeno in parte ricon-dotte a delle debolezze sul piano linguistico, in particolare nell’ambito della comprensione ditesti brevi, ma relativamente densi di informazioni. Ho quindi pensato che una soluzione perfar fronte a queste criticità potesse consistere nel sostituire l’uso delle schede con spiegazionireciproche fra gli studenti, come descritto nella sez. 2.2. L’idea alla base di questa modalitàdidattica consisteva nel cercare di sfruttare il linguaggio comune degli allievi, nella speranzache, eliminando l’ostacolo linguistico, la loro comprensione dei concetti venisse facilitata. Inseguito alla messa in pratica di questa modalità, posso affermare che ciò non si è purtroppoverificato, probabilmente a causa di due fattori principali. La prima probabile causa potrebbeessere il fatto che gli studenti incaricati di spiegare un esperimento precedentemente svolto se-guendo le indicazioni di una scheda non avevano appieno compreso i concetti e le procedure,soprattutto per quanto riguardava l’analisi dei dati. Di conseguenza essi non erano stati in gradodi fornire sufficienti spiegazioni ai propri compagni. La seconda ragione potrebbe consistere

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SUPSI/DFA CAPITOLO 3. CONCLUSIONI

probabilmente nell’inesperienza degli allievi nello spiegare ai compagni concetti e procedure diuna certa complessità.Sulla base di questa esperienza, non pienamente soddisfacente, ho deciso di sperimentare unaterza modalità didattica, discussa nella sez. 2.3. Essa consisteva nel porre gli studenti di frontead un apparato sperimentale da loro non ancora utilizzato, fornendo loro un numero limitatodi indicazioni riguardo al funzionamento degli strumenti di misura. Sulla base delle esperien-ze precedentemente accumulate, gli allievi avrebbero dovuto essere in grado di individuare legrandezze caratteristiche del fenomeno in esame e di progettare il loro esperimento, al fine diindagare la relazione fra di esse. Il mio auspicio era che il fatto di dover progettare un proprioesperimento portasse gli studenti ad interrogarsi più a fondo, sia sui metodi di misura da appli-care, sia sul modo in cui interpretare i risultati. Osservando il lavoro degli studenti durante lasperimentazione, ho avuto l’impressione che essi fossero maggiormente coinvolti nell’attivitàloro assegnata e quindi più motivati a comprendere i principi fisici che si celavano dietro i fe-nomeni studiati. D’altra parte, però, mi sono subito reso conto della necessità di fornire loro unmaggior sostegno di quello che avevo preventivato. L’implementazione di questa modalità miha quindi maggiormente soddisfatto rispetto alle altre, sebbene debba riconoscere di aver forseparzialmente sottovalutato alcune difficoltà degli allievi.A conclusione della sperimentazione delle tre modalità didattiche, ho pensato che fosse utile ri-levare anche le opinioni degli studenti a questo riguardo. A tal fine ho sottoposto loro un brevequestionario di quattro domande, allegato nell’appendice C ed i cui risultati sono discussi nellasez. 2.4. Le risposte degli allievi sono state in parte in accordo ed in parte in contrasto con le mieosservazioni: ad esempio, è emerso che la modalità più efficace nell’ottica della comprensionesarebbe stata la prima, mentre la seconda sarebbe stata la meno apprezzata e la terza avrebbemaggiormente risvegliato il loro interesse verso i fenomeni. Ho quindi ipotizzato che questirisultati siano principalmente dovuti all’abitudine degli allievi all’utilizzo della prima modalità.La messa in pratica per la prima volta di altre modalità potrebbe aver infatti suscitato in loroqualche incertezza, dando loro l’impressione che esse fossero meno efficaci. È comunque in-teressante notare che le impressioni di un docente non sempre corrispondono a quelle dei suoiallievi. Infine, dalle risposte degli allievi sembra emergere anche una certa correlazione fra illoro stato d’animo e la loro percezione della comprensione dei concetti. Al contempo, però, ledifficoltà da loro incontrate non sembrano aver intaccato il loro interesse verso i fenomeni.In conclusione del presente lavoro di diploma, posso affermare che la sperimentazione di dif-ferenti modalità didattiche nel laboratorio ha aperto degli scenari interessanti per il mio futuroprofessionale. Sulla base di quanto emerso nel corso della sperimentazione, ho potuto consta-tare che le differenti modalità didattiche presentano vantaggi e svantaggi e che la loro efficaciadipende sia dal contesto in cui vengono applicate, sia dagli obiettivi che il docente intende per-seguire per mezzo di esse. In particolare l’utilizzo di schede di laboratorio risulta utile per farlavorare gli studenti in modo autonomo, facendoli esercitare nell’applicazione di procedure diuna certa complessità. Volendo però perseguire una maggiore comprensione dei concetti da

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SUPSI/DFA CAPITOLO 3. CONCLUSIONI

parte loro, una modalità in cui essi sono chiamati ad un maggior sforzo cognitivo sembra esserepiù efficace, sebbene possa presentare qualche difficoltà iniziale per loro. Ritengo inoltre che lamodalità delle spiegazioni reciproche possa essere rivalutata e nuovamente applicata in futuro,nonostante nel corso di questa prima sperimentazione non abbia prodotto i risultati desiderati.Penso infatti che dover spiegare un esperimento precedentemente svolto ad un compagno possaessere un utile esercizio per gli allievi, a cui andrebbero maggiormente allenati. In ogni caso,ritengo che la presente sperimentazione abbia indicato la necessità di variare le modalità didatti-che da applicare nel laboratorio, al fine di non abituare gli allievi ad un unico metodo di lavoro edi promuovere lo sviluppo di competenze diverse da parte loro, stimolandoli a molteplici livellicognitivi. Infine, quale proposito per il mio futuro professionale, mi riprometto di continuarea sperimentare ulteriori modalità didattiche, cercando al contempo di perfezionare quelle giàconosciute.

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SUPSI/DFA CAPITOLO 3. CONCLUSIONI

Riferimenti bibliografici

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kreis (A. Wolf, Ed.). Wien: Verein Ernst Mach.Estratto del regolamento degli studi liceali – Piano delle lezioni settimanali. (2008, giugno 25).

Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport / Divisione della scuola / Ufficiodell’insegnamento medio superiore.

Meirieu, P. (1987). Apprendre... oui mais comment. Paris: ESF éditeur.Piano cantonale degli studi liceali. (2001). Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello

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Questa pubblicazione, Confronto fra differenti modalità didattiche nel laboratorio di fisica,scritta da Eggenschwiler Federico, è rilasciata sotto Creative Commons Attribuzione – Noncommerciale 3.0 Unported License.

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Appendice A

Schede di laboratorio

A.1 Determinazione dell’accelerazione di caduta libera

A.1.1 Introduzione

h

tt0

Un corpo, che viene sollevato da terra e poi lasciato libero, cade verso il centro della Terra conun’accelerazione costante. Il valore dell’accelerazione di caduta libera g, in assenza influssiesterni, quali la resistenza dell’aria, è uguale per tutti i corpi, indipendentemente dalla loromassa. Un corpo che viene lasciato cadere da fermo dall’altezza h al tempo t0 = 0 s, toccheràterra all’istante di tempo t. La relazione fra l’altezza di caduta h ed il tempo di caduta t è datadalla seguente formula:

h =12·g · t2 (A.1)

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

A.1.2 Scopo

Lo scopo di quest’esperienza è la verifica sperimentale della formula A.1 e la determinazionedell’accelerazione di caduta libera g.

A.1.3 Materiale

Per svolgere quest’esperienza hai a disposizione:

Metro• Aste e morsetti• Biglia•

Morsetto con contatto• Tappetino di arresto• Cronometro digitale•

Calcolatrice• Carta millimetrata• Righello•

A.1.4 Procedimento

1. Imposta il cronometro digitale sulla modalità GATE. Inserisci la biglia nel morsetto efissala premendo sul pistoncino e stringendo la vite. Azzera il cronometro.

2. Posiziona l’asticella a cui è fissato il morsetto con la biglia in modo tale che la distanza h

fra la parte inferiore della biglia ed il tappetino di arresto sia pari a 10 cm.

3. Lascia cadere la biglia aprendo la vite che blocca il morsetto ed annota il tempo di cadutamisurato dal cronometro. Ripeti la misura 3 volte.

4. Ripetendo i passi precedenti, misura i tempi di caduta aumentando l’altezza h di 10 cmogni volta fino a raggiungere un valore massimo di 1 m. Per ogni altezza h misura 3 tempidi caduta.

5. Calcola la media t di ogni tempo di caduta. Per ogni valore t calcolane il quadrato t2.Inserisci i dati in una tabella come la sottostante.

h [m] t [s] t2 [s2]

0 0 0

0.1 . . . . . .

. . . . . . . . .

6. Utilizzando la carta millimetrata, rappresenta in un grafico h in funzione di t2 (t2 sull’a-scissa e h sull’ordinata).

7. Utilizzando la riga, traccia una retta che avvicini il più possibile i punti sul grafico.

8. Determina la pendenza della retta che hai tracciato. Che unità di misura ha?

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

9. Partendo dalla formula A.1, ricava un’espressione teorica per la pendenza ∆h/∆t2.

10. Utilizzando l’espressione teorica che hai ricavato ed il valore della pendenza della rettache hai tracciato determina l’accelerazione di caduta libera g.

A.2 Moto di un carrello su un piano inclinato in salita

A.2.1 Introduzione

Sensore 1

Sensore 2

s

s0

t

t0Lanciacarrello

Un carrello che viene lanciato in salita lungo un piano inclinato, ad esempio per mezzo di unamolla, si muove con un’accelerazione costante, che è però diretta in direzione opposta rispettoalla sua velocità. La velocità del carrello in funzione del tempo è data dalla formula seguente:

v(t) = a · t + v0 (A.2)

dove a è l’accelerazione del carrello.

A.2.2 Scopo

Lo scopo di quest’esperienza è la verifica sperimentale della formula A.3, la determinazionedell’accelerazione del carrello e della sua velocità iniziale.

A.2.3 Materiale

Per svolgere quest’esperienza hai a disposizione:

Binario munito di metro• Carrello• Lancia–carrello a molla•

Placchetta metallica• 2 fotocellule• Cronometro digitale•

Calcolatrice• Carta millimetrata• Righello•

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

A.2.4 Procedimento

1. Imposta il cronometro digitale sulla modalità PULSE1. Posiziona le due fotocellule alladistanza di 10 cm l’una dall’altra.

2. Comprimi la molla del lancia–carrello fino a che non scatta il blocco. Posiziona il carrellosul binario e mettilo in moto tirando l’innesco del lancia–carrello.

3. Misura il tempo necessario per percorrere lo spostamento fra le due fotocellule. Ripeti lamisura altre 2 volte.

4. Ripeti le misure precedenti aumentando la distanza fra le fotocellule di 10 cm ogni voltafino ad arrivare al valore massimo di 120 cm.

5. Imposta ora il cronometro sulla modalità GATE2. Lascia la prima fotocellula nella posi-zione in cui si trova.

6. Lancia il carrello e misura l’intervallo di tempo per cui la prima fotocellula viene oscurata.Ripeti la misura altre 2 volte.

7. Ripeti le misure precedenti allontanando ogni volta la prima fotocellula di 10 cm fino aduna distanza massima di 120 cm.

8. Calcola la media t di ogni tempo utilizzando i 3 valori misurati.

9. Misura la lunghezza ∆s della placchetta metallica. Calcola la media ∆t di ogni interval-lo di tempo utilizzando i 3 valori misurati. Determina le velocità istantanee v = ∆s/∆t

utilizzando i valori medi degli intervalli di tempo ∆t.

10. Inserisci i dati in una tabella come la sottostante:

s [m] t [s] ∆t [s] v [m/s]0 0 . . . . . .

. . . . . . . . . . . .

11. Utilizzando la carta millimetrata, rappresenta in un grafico v in funzione di t (t sull’ascissae v sull’ordinata).

12. Utilizzando il righello traccia una retta che avvicini il più possibile i punti nel grafico.

13. Determina la pendenza della retta che hai tracciato. Qual’è il significato fisico dellapendenza?

1Nella modalità pulse il cronometro viene avviato quando la prima fotocellula viene oscurata e quando vieneoscurata la seconda viene fermato.

2Nella modalità GATE il cronometro misura l’intervallo di tempo durante il quale la prima fotocellula vieneoscurata.

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

14. Determina la velocità iniziale del carrello e l’istante di tempo in cui esso si arresta com-pletamente.

A.3 Moto di un carrello trainato da un peso in caduta verti-cale

A.3.1 Introduzione

Sensore 1 Sensore 2

tt0

s0 s

Un carrello trainato in orizzontale da un corpo in caduta verticale per mezzo di un filo, si muovecon un’accelerazione costante. La sua velocità in funzione del tempo è descritta dalla seguenteformula:

v(t) = a · t + v0 (A.3)

dove a è l’accelerazione del carrello. Se la trazione del corpo in caduta verticale cessa, il carrellocontinua a muoversi in orizzontale a velocità costante. La sua velocità in funzione del tempo èdescritta in questo caso dalla formula:

v(t) = vfin (A.4)

A.3.2 Scopo

Lo scopo di quest’esperienza è la verifica sperimentale delle formule A.3 e A.4, la determina-zione dell’accelerazione del carrello e della sua velocità finale.

A.3.3 Materiale

Per svolgere quest’esperienza hai a disposizione:

Binario munito di metro• Carrello• Peso e filo•

Placchetta metallica• 2 fotocellule• Cronometro digitale•

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

Calcolatrice• Carta millimetrata• Righello•

A.3.4 Procedimento

1. Imposta il cronometro digitale sulla modalità PULSE3. Posiziona le due fotocellule alladistanza di 10 cm l’una dall’altra.

2. Lascia partire il carrello e misura il tempo necessario per percorrere lo spostamento fra ledue fotocellule. Ripeti la misura altre 2 volte.

3. Ripeti le misure precedenti aumentando la distanza fra le fotocellule di 10 cm ogni voltafino ad arrivare al valore massimo di 120 cm.

4. Imposta ora il cronometro sulla modalità GATE4. Lascia la prima fotocellula nella posi-zione in cui si trova.

5. Lascia partire il carrello e misura l’intervallo di tempo per cui la prima fotocellula vieneoscurata. Ripeti la misura altre 2 volte.

6. Ripeti le misure precedenti allontanando ogni volta la prima fotocellula di 10 cm fino aduna distanza massima di 120 cm.

7. Calcola la media t di ogni tempo utilizzando i 3 valori misurati.

8. Misura la lunghezza ∆s della placchetta metallica. Calcola la media ∆t di ogni interval-lo di tempo utilizzando i 3 valori misurati. Determina le velocità istantanee v = ∆s/∆t

utilizzando i valori medi degli intervalli di tempo ∆t.

9. Inserisci i dati in una tabella come la sottostante:

s [m] t [s] ∆t [s] v [m/s]0 0 . . . . . .

. . . . . . . . . . . .

10. Utilizzando la carta millimetrata, rappresenta in un grafico v in funzione di t (t sull’ascissae v sull’ordinata).

11. Identifica due diverse fasi nel moto del carrello. Di quali tipi di moto si tratta? Quandoavviene il cambiamento e perché?

3Nella modalità pulse il cronometro viene avviato quando la prima fotocellula viene oscurata e quando vieneoscurata la seconda viene fermato.

4Nella modalità GATE il cronometro misura l’intervallo di tempo durante il quale la prima fotocellula vieneoscurata.

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

12. Utilizzando il righello, traccia per ogni fase del moto una retta che avvicini il più possibilei punti nel grafico.

13. Determina la pendenza di ogni retta che hai tracciato. Qual’è il significato fisico delle duependenze?

14. Determina l’istante di tempo in cui avviene il cambiamento nel moto e la velocità finaledel carrello.

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Appendice B

Apparati sperimentali

B.1 Studio sperimentale dell’elasticità di una sbarra

(a) (b)

Figura B.1: (a) L’apparato sperimentale per la misura della flessione di una sbarra in funzionedella forza applicata nel suo centro. (b) Dettaglio del micrometro con sensibilità di 0.01 mm,utilizzato per misurare la flessione della sbarra.

In questo esperimento viene studiata l’elasticità di una sbarra metallica. L’apparato sperimen-tale messo a disposizione degli studenti, visibile nella fig. B.1, è costituito dalla sbarra, daisostegni su cui viene appoggiata, a loro volta fissati ad un banco ottico, da corpi di differentimasse da appendere per mezzo di un apposito sostegno nel centro della sbarra e da un micro-metro con sensibilità di 0.01 mm, utilizzato per misurarne la flessione. Il modello teorico chedescrive la relazione fra la flessione y e la forza applicata F è la seguente:

y =L3

4a3 bE·F (B.1)

dove L è la distanza fra i sostegni, a è la lunghezza del lato verticale della sezione della sbarra, b

è la lunghezza del lato orizzontale e E è il modulo di elasticità del materiale. Vediamo quindi che

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SUPSI/DFA APPENDICE B. APPARATI SPERIMENTALI

si tratta di un modello relativamente complesso, che mette in relazione fra loro ben sei grandezzediverse. L’apparato sperimentale messo a disposizione permette di studiare la relazione fra laflessione y e:

• la forza F applicata nel centro, appendendo corpi di masse diverse

• la distanza fra i sostegni L, allontanandoli o avvicinandoli fra loro

• il modulo di elasticità E, utilizzando sbarre di differenti materiali

• i lati a e b, utilizzando sbarre di sezioni diverse

B.2 Studio sperimentale della somma di forze nel piano

(a) (b)

Figura B.2: L’apparato sperimentale utilizzato per lo studio della somma di forze nel piano: (a)vista prospettica, e (b) dettaglio del disco centrale a cui sono fissati i fili.

In questo esperimento viene studiata la somma di tre forze nel piano. La strumentazione messaa disposizione degli studenti, rappresentata nella fig. B.2, è costituita da una tavola provvista digoniometro, tre fili fissati al medesimo disco nel centro della tavola ed a cui vengono appesi deicorpi di masse differenti e tre pulegge che vengono fissate ai lati della tavola e su cui vengonofatti passare i fili. Ad ogni filo viene appeso un corpo, di cui è stata precedentemente misu-rata la massa con una bilancia, e le pulegge vengono spostate attorno alla tavola, fino a che ilsistema non risulta essere in equilibrio. Quando il sistema è in equilibrio, il disco centrale, acui sono legati i fili, resta sospeso all’interno del cerchio rappresentato nel centro della tavola,come visibile nella figura B.2b. A questo punto, grazie al goniometro riportato sul bordo dellatavola, gli angoli fra i fili e quindi fra le forze esercitate sul disco centrale possono essere mi-surati. Fatto ciò, la situazione può essere riportata su un foglio, rappresentando le forze comefrecce. Applicando il metodo–punta coda, si può verificare che la loro somma è pari a zero. Il

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SUPSI/DFA APPENDICE B. APPARATI SPERIMENTALI

procedimento può essere ripetuto a piacimento, modificando le masse dei corpi appesi ai fili, alfine di studiare la somma delle forze nel piano con differenti configurazioni.

B.3 Studio sperimentale della pressione nei liquidi

(a) (b) (c)

Figura B.3: L’apparato sperimentale utilizzato per lo studio della pressione in un liquido: (a)vista della strumentazione, (b) vista della sonda inserita nel liquido e (c) il barometro digitale.

Lo scopo dell’esperimento è lo studio della relazione fra la pressione in un liquido e la pro-fondità. A tale scopo, gli studenti dispongono dell’apparecchiatura rappresentata nella fig. B.3,consistente in un barometro digitale collegato, per mezzo di un tubo di gomma, ad una sondaa forma di campana capovolta, che viene inserita verticalmente in un liquido contenuto in unrecipiente cilindrico. Inserendo la sonda nel liquido a differenti differenti profondità, che puòessere misurata per mezzo di un metro pieghevole, e leggendo il valore della pressione indicatodal barometro, è possibile studiare la relazione fra queste due grandezze. Le misure possonoessere successivamente ripetute utilizzando un altro liquido, al fine di studiare l’influsso delladensità sull’aumento della pressione con la profondità. Oppure può essere mantenuto lo stessoliquido, ma posto in un contenitore più capiente, allo scopo di verificare che la pressione nondipende dalla sua quantità ma unicamente dalla profondità.

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SUPSI/DFA APPENDICE B. APPARATI SPERIMENTALI

B.4 Studio sperimentale della spinta idrostatica

(a) (b) (c)

Figura B.4: L’apparato sperimentale utilizzato per lo studio della spinta idrostatica: (a) vistadella strumentazione, (b) vista della strumentazione con il corpo immerso nel liquido e (c)dettaglio del dinamometro.

Lo scopo dell’esperimento è lo studio della relazione fra la spinta idrostatica, esercitata da unliquido su un corpo in esso immerso, ed il volume del liquido spostato. Agli studenti viene mes-sa a disposizione l’apparecchiatura rappresentata nella fig. B.4, consistente in un dinamometrofissato ad un’asta rigida, a cui viene appeso un corpo di forma regolare. Abbassando l’asta, ilcorpo viene gradualmente immerso nel liquido contenuto nel recipiente cilindrico. Il dinamo-metro a cui esso è appeso permette di misurare la diminuzione dell’intensità della forza totaleagente sul corpo. Ciò è dovuto all’aumento dell’intensità della spinta idrostatica esercitata dalliquido sul corpo. Grazie ad alcune tacche riportate a distanze regolari sul corpo, esso può es-sere facilmente immerso di frazioni del suo volume note e prestabilite. Sapendo che il volumedella parte immersa del corpo corrisponde al volume del liquido spostato, si può studiare la re-lazione fra questa grandezza e la spinta idrostatica. Le misure possono essere successivamenteripetute utilizzando un altro liquido, al fine di studiare l’influsso della sua densità sulla spintaidrostatica. Oppure è possibile mantenere lo stesso liquido, ma utilizzando corpi di forme emateriali diversi, allo scopo di verificare che la spinta idrostatica dipende unicamente dalle sueproprietà e non da quelle dei corpi immersi.

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Appendice C

Questionario agli allievi

C.1 Introduzione

A partire dal mese di gennaio, abbiamo lavorato a laboratorio applicando differenti metodi:

1) seguendo le indicazioni di una scheda redatta dal docente

2) seguendo le indicazioni di un compagno che aveva svolto l’esperimento in precedenza

3) progettando il tuo esperimento per studiare un fenomeno non ancora affrontato a lezione,sulla base delle esperienze precedentemente accumulate

Ti viene chiesto ora di rispondere ad un breve questionario, valutando i tre metodi applicati alaboratorio rispetto alle seguenti dimensioni:

1) quanto ti sei trovata/o bene o male con ogni metodo

2) quanto hai capito dei fenomeni studiati

3) quanto hai capito dei procedimenti seguiti per lo svolgimento degli esperimenti

4) quanto ti sei sentita/o interessata/o verso i fenomeni studiati

C.2 Domande

1) Valuta come ti sei trovata/o durante lo svolgimento delle attività di laboratorio rispetto aimetodi di lavoro applicati.

molto male male né bene né male bene molto bene

Seguendo le istruzioni della scheda � � � � �Seguendo le istruzioni di un compagno � � � � �

Progettando il tuo esperimento � � � � �

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SUPSI/DFA APPENDICE C. QUESTIONARIO AGLI ALLIEVI

2) Valuta quanto hai capito dei fenomeni studiati rispetto ai metodi di lavoro applicati alaboratorio

nulla poco qualcosa molto tutto

Seguendo le istruzioni della scheda � � � � �Seguendo le istruzioni di un compagno � � � � �

Progettando il tuo esperimento � � � � �

3) Valuta quanto hai capito dei procedimenti seguiti per lo svolgimento degli esperimentirispetto ai metodi di lavoro applicati a laboratorio.

nulla poco qualcosa molto tutto

Seguendo le istruzioni della scheda � � � � �Seguendo le istruzioni di un compagno � � � � �

Progettando il tuo esperimento � � � � �

4) Valuta il tuo interesse verso i fenomeni studiati rispetto ai metodi di lavoro applicati alaboratorio.

nessuno scarso medio discreto elevato

Seguendo le istruzioni della scheda � � � � �Seguendo le istruzioni di un compagno � � � � �

Progettando il tuo esperimento � � � � �

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