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CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA Vincenzo Roppo Prof. ord. dell’Università di Genova CAUSA CONCRETA: UNA STORIA DI SUCCESSO? DIALOGO (NON RETICENTE, NÉ COMPIACENTE) CON LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ E DI MERITO (*) Sommario: 1. La causa come funzione economico-sociale tipica, e il suo superamento. — 2. Anticipazioni della causa concreta: una buona decisione in tema di presupposizione. — 3. Segue: un’altra buona decisione in tema di mutuo di scopo e collegamento fra con- tratti. — 4. Una più opinabile decisione in tema di contratti collegati. — 5. L’esordio della causa concreta: cominciano i problemi. — 6. Cass. 2006/10490: forse si trascura l’elemento chiave per la decisione. — 7. Cass., sez. un., 2010/6538: forse si confonde fra gratuità e liberalità. — 8. Cass. 2007/12235: la causa concreta discutibilmente con- trapposta alla presupposizione. — 9. Cass. 2007/16315 sulla « causa turistica »: il caso e la decisione. — 10. Segue: decisione giusta in sé, ma opinabile sotto vari profili (con- trasto inavvertito con Cass. 2007/12235, fattispecie mal qualificata, regola di giudizio mal formulata, scarsa pertinenza della causa concreta). — 11. Cass. 2009/23941: la causa concreta come criterio di interpretazione del contratto, ovvero un altro caso di ri- chiamo non pertinente (e di confusione fra causa e motivi). — 12. Quando la causa concreta viene ignorata: la giurisprudenza sulla nullità del preliminare di preliminare (Cass. 2009/8038). — 13. La causa concreta come categoria funzionale alla repressione dei contratti illeciti: scoperta dell’acqua calda? — 14. La giurisprudenza della sezione tributaria della Cassazione in tema di dividend washing e dividend stripping: nullità per difetto di causa concreta... — 15. Segue: ... in casi nei quali una più completa indagine sulla causa concreta avrebbe condotto ad accertare l’esistenza della causa; e semmai a qualificarla come illecita. — 16. La causa concreta nella giurisprudenza (di merito) sui derivati finanziari: linee dello scenario fattuale e normativo. — 17. Una giurisprudenza frastagliata, e l’ordinanza del Tribunale di Bari 15 luglio 2010. — 18. Segue: una di- scutibile decisione del Tribunale di Milano (2011/5118); e altre più recenti decisioni. — 19. Dei fini e dei mezzi: quale futuro per la causa concreta? 1. — Usata soprattutto dagli economisti aziendali, la formula « storia di successo » (success story) indica quelle innovative idee industriali, quelle feli- ci e anticonvenzionali intuizioni di mercato che si traducono in sorprendenti trionfi commerciali, capaci di conquistare il pubblico dando ai loro autori — generalmente degli outsiders — fama e ricchezza inaspettate. Per capirci: Ap- ple di Steve Jobs, Google di Sergiej Brin e Larry Page, Facebook di Mark Zuckerberg sono storie di successo, così come erano state storie di successo — in prospettiva più domestica — la pizza o il caffè espresso o la Fiat 500. (*) Il lavoro riprende — con ampliamenti, aggiornamenti e corredo di note — la lezione svolta al XVII Incontro nazionale della Scuola dei dottorati riuniti e del Coordinamento dei dottorati di diritto privato (Venezia, 21-25 giugno 2011). L’origine del testo ne spiega l’an- damento colloquiale, che ho conservato.

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CONFRONTO CON LA GIURISPRUDENZA

Vincenzo RoppoProf. ord. dell’Università di Genova

CAUSA CONCRETA: UNA STORIA DI SUCCESSO?DIALOGO (NON RETICENTE, NÉ COMPIACENTE) CONLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ E DI MERITO (*)

Sommario: 1. La causa come funzione economico-sociale tipica, e il suo superamento. — 2.Anticipazioni della causa concreta: una buona decisione in tema di presupposizione. —3. Segue: un’altra buona decisione in tema di mutuo di scopo e collegamento fra con-tratti. — 4. Una più opinabile decisione in tema di contratti collegati. — 5. L’esordiodella causa concreta: cominciano i problemi. — 6. Cass. 2006/10490: forse si trascural’elemento chiave per la decisione. — 7. Cass., sez. un., 2010/6538: forse si confondefra gratuità e liberalità. — 8. Cass. 2007/12235: la causa concreta discutibilmente con-trapposta alla presupposizione. — 9. Cass. 2007/16315 sulla « causa turistica »: il casoe la decisione. — 10. Segue: decisione giusta in sé, ma opinabile sotto vari profili (con-trasto inavvertito con Cass. 2007/12235, fattispecie mal qualificata, regola di giudiziomal formulata, scarsa pertinenza della causa concreta). — 11. Cass. 2009/23941: lacausa concreta come criterio di interpretazione del contratto, ovvero un altro caso di ri-chiamo non pertinente (e di confusione fra causa e motivi). — 12. Quando la causaconcreta viene ignorata: la giurisprudenza sulla nullità del preliminare di preliminare(Cass. 2009/8038). — 13. La causa concreta come categoria funzionale alla repressionedei contratti illeciti: scoperta dell’acqua calda? — 14. La giurisprudenza della sezionetributaria della Cassazione in tema di dividend washing e dividend stripping: nullità perdifetto di causa concreta... — 15. Segue: ... in casi nei quali una più completa indaginesulla causa concreta avrebbe condotto ad accertare l’esistenza della causa; e semmai aqualificarla come illecita. — 16. La causa concreta nella giurisprudenza (di merito) suiderivati finanziari: linee dello scenario fattuale e normativo. — 17. Una giurisprudenzafrastagliata, e l’ordinanza del Tribunale di Bari 15 luglio 2010. — 18. Segue: una di-scutibile decisione del Tribunale di Milano (2011/5118); e altre più recenti decisioni. —19. Dei fini e dei mezzi: quale futuro per la causa concreta?

1. — Usata soprattutto dagli economisti aziendali, la formula « storia disuccesso » (success story) indica quelle innovative idee industriali, quelle feli-ci e anticonvenzionali intuizioni di mercato che si traducono in sorprendentitrionfi commerciali, capaci di conquistare il pubblico dando ai loro autori —generalmente degli outsiders — fama e ricchezza inaspettate. Per capirci: Ap-ple di Steve Jobs, Google di Sergiej Brin e Larry Page, Facebook di MarkZuckerberg sono storie di successo, così come erano state storie di successo —in prospettiva più domestica — la pizza o il caffè espresso o la Fiat 500.

(*) Il lavoro riprende — con ampliamenti, aggiornamenti e corredo di note — la lezionesvolta al XVII Incontro nazionale della Scuola dei dottorati riuniti e del Coordinamento deidottorati di diritto privato (Venezia, 21-25 giugno 2011). L’origine del testo ne spiega l’an-damento colloquiale, che ho conservato.

Traslando la formula dalla dimensione dei beni economici a quella deiconcetti giuridici, può dirsi che la causa concreta (del contratto) identifica es-sa pure una storia di successo? A tutta prima, non si vedono ragioni per nonrispondere: certamente sì.

La causa concreta esibisce in primo luogo un successo quantitativo (intermini, per così dire, di « fatturato » delle categorie legali): fino a non moltotempo fa la formula era sostanzialmente sconosciuta in giurisprudenza, mada qualche anno compare, in modo sempre più pervasivo, nelle motivazionidi molte e molte sentenze, di merito e di legittimità, rese nelle fattispecie e ne-gli ambiti più diversi. Ed è considerata a tal segno una conquista rilevantedell’evoluzione giurisprudenziale, da suggerire alla stesse sezioni unite dellaCassazione di esibirla come un fiore all’occhiello anche in contesti nei quali ilsuo richiamo non appare particolarmente necessario ai fini della decisione. Èaccaduto con la nota sentenza del 2010 in tema di fideiussione, polizza fi-deiussoria e contratto autonomo di garanzia (1). Era già accaduto perfino conpronunce rese su questioni non tipicamente contrattuali ma piuttosto di re-sponsabilità civile: le quattro sentenze gemelle del novembre 2008 in tema didanno non patrimoniale (2). E torna ad accadere recentissimamente, in uncampo ancora più estraneo al tradizionale perimetro del diritto dei contratti:quello delle procedure concorsuali, e precisamente del concordato preventi-vo (3).

Di più. La causa concreta spinge la sua risonanza oltre la cerchia tecnica

(1) Cass., sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947, in F. it., 2010, I, c. 2799. Dove, con pro-sa non immune da faticosa complessità, si rileva come « appaia oggi predicabile un’erme-neutica del concetto di causa che, sul presupposto dell’obsolescenza della matrice ideologi-ca che la configurava come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le pro-prie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del nego-zio..., ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contrattostesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dun-que ragione concreta) della dinamica contrattuale, ... funzione individuale del singolo, spe-cifico contratto posto in essere », di « quella determinata, specifica (a suo modo anche uni-ca) convenzione negoziale ».

(2) Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972-26975, in Danno e resp., 2009, p. 19ss. Qui il tema specifico è la risarcibilità del danno non patrimoniale nell’ambito della re-sponsabilità contrattuale: per affermarla si ricorda che l’art. 1174 c.c. legittima la deduzio-ne in obbligazione (e dunque in contratto) di interessi non patrimoniali; e si precisa chel’indagine circa l’eventuale presenza di essi « va condotta accertando la causa concreta delnegozio, da intendersi come sintesi degli effetti reali che il contratto stesso è diretto a rea-lizzare, al di là del modello anche tipico adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, del-la dinamica contrattuale ».

(3) Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in F. it., 2013, I, c. 1534, dove per defi-nire i termini del sindacato giudiziale sulla proposta di concordato (e sulla fattibilità del re-lativo piano) si ritiene necessario invocare « la preventiva individuazione della causa con-creta del procedimento di concordato sottoposto al suo esame », da cogliere nelle modalitàoperative con cui il debitore proponente e i suoi creditori « dovrebbero ... realizzare la com-posizione dei rispettivi interessi ».

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degli addetti ai lavori giuridici, e conquista più ampia risonanza mediatica:trovando spazio perfino nei titoli di un quotidiano ad alta tiratura (4).

Sicché si comprende come qualche osservatore parli di vero e proprio« trionfo della causa in concreto » (5).

D’altra parte, il successo quantitativo sembra anche qualitativamentemeritato: l’esplosione del fatturato pare giustificarsi per la bontà del prodotto,che ha tutta l’aria di andare finalmente a soddisfare una vasta e pressante do-manda del pubblico.

Fuor di metafora, e tratteggiando per grandissime linee una storia cul-turale ben nota. In principio, e per lungo tratto, fu Emilio Betti e fu l’ege-monia della bettiana funzione economico-sociale: questa era la formula concui la causa veniva designata nel comune linguaggio dei civilisti teorici epratici, e in particolare — pressoché invariabilmente — nelle sentenze. Ilsenso della formula era chiaro: concepire la causa in termini generali, astrat-ti, tipizzati, e così escludere dall’area del negozialmente rilevante tutte leidiosincrasie della fattispecie concreta, e cioè tutti gli interessi di cui le partifossero specificamente portatrici in quella vendita, fra loro conclusa in quel-le determinate circostanze e su quei determinati presupposti, ma non ugual-mente ricorrenti in tutte le vendite. Lo spirito della (causa intesa come) fun-zione economico-sociale era in definitiva lo stesso che portava la giurispru-denza — non senza l’avallo di amplissimi settori della dottrina — a negaredi fatto ai contratti atipici quello spazio che formalmente era loro ricono-sciuto dall’art. 1322, comma 2o, c.c., per via di forzosa riconduzione a qual-che tipo legale.

La storia che segue è nota (6). Negli anni sessanta del XX secolo la dot-trina (7) comincia a contestare la prospettiva riduzionista prevalente in giuri-sprudenza e a rivendicare un approccio radicalmente diverso, che nel lin-guaggio del suo più deciso fautore si traduce nella formula — antipodica aquella bettiana — della (causa come) funzione economico-individuale (8): unapproccio propenso a dotare di rilevanza causale anche quegli elementi speci-

(4) « Swap nulli senza causa concreta » è il titolo dell’articolo di M. Frisone nel Sole24 Ore dell’11 settembre 2010, inserto PLUS24, p. 15. A cui ne sono seguiti altri, del me-desimo autore: « Derivati nulli senza finanziamento. Per i giudici pugliesi è assente la cau-sa concreta », ivi, 15 settembre 2012, p. 13; « Swap nullo se non equilibrato. Ancora unasentenza sulla mancanza di causa concreta nell’accordo », ivi, 6 ottobre 2012, p. 11.

(5) Rolli, Causa in astratto e causa in concreto, Padova 2008, p. 139.(6) Ed è ricordata in tutte le migliori trattazioni generali della causa: in luogo di tanti,

v. ad es. C. Scognamiglio, Problemi della causa e del tipo, in Roppo (dir.), Trattato delcontratto, II, Regolamento, a cura di Vettori, Milano 2006, p. 88 ss.; Alpa, La causa e il ti-po, in E. Gabrielli (cur.), I contratti in generale, I, in Tratt. Rescigno-Gabrielli, 2a ed., To-rino 2006, p. 550 ss.; da ultimo (nel quadro, peraltro, di una generale svalutazione dellacategoria causale) Girolami, L’artificio della causa contractus, Padova 2012, p. 62 ss.

(7) Sacco, Autonomia contrattuale e tipi, in R. trim. d. proc. civ., 1966, p. 785 ss.(8) G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano 1966.

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fici della concreta fattispecie contrattuale, che escono invece espunti o steriliz-zati dal processo di astrazione funzionale alla costruzione del tipo.

Per un po’ la giurisprudenza resiste, arroccata sulla vecchia impostazio-ne; ma poi poco a poco cede, aprendo spazi sempre più ampi alla nuova con-cezione di causa che nel frattempo conquista in dottrina l’egemonia. Inizial-mente lo fa senza darlo a vedere, o addirittura provando a nasconderlo conuna sorta di dissociazione fra la sostanza delle decisioni e le formule linguisti-che adoperate nella parte motiva delle sentenze: perché da un lato riconosce ilvalore causale di elementi individualizzanti delle fattispecie concrete, come faquando — per richiamare due filoni di casistica molto importanti — apre consempre maggiore larghezza alla rilevanza della presupposizione e del collega-mento negoziale (in pratica: offre rimedi alla frustrazione di interessi atipici,eppure ritenuti causalmente significativi); mentre dall’altro lato continua im-perterrita a definire la causa come la funzione economico-sociale tipica delcontratto.

2. — Ma la dissociazione non può reggere all’infinito, a un certo punto —inevitabilmente — il livello definitorio si riconcilia con il livello operativo:quando, intorno al volgere del secolo, nelle sentenze si cominciano a leggeredefinizioni di causa in termini non più di funzione economico-sociale tipica,ma in termini diversi e concettualmente opposti. Questa mutazione lessicalematura soprattutto sul terreno della presupposizione e del collegamento fracontratti.

È chiaramente un caso di presupposizione quello deciso da Cass. 1995/975, che evoca la causa definendola come « la funzione pratica che le partihanno effettivamente assegnato al loro accordo »: dove se pure non si usa an-cora la formula della causa concreta, l’idea è in definitiva quella (9). Il caso èsimpatico. Un tifoso del Torino si abbona alle partite del prossimo campiona-to, sul presupposto che — come solennemente dichiarato dal presidente dellasocietà calcistica durante la campagna abbonamenti — il centravanti Lentiniavrebbe continuato a giocare nel Toro; e invece, a stagione appena iniziata, ilgiocatore viene ceduto. Deluso nel suo affidamento, l’abbonato agisce per pri-vare di effetti il contratto, e recuperare il costo dell’abbonamento. Il giudiceconciliatore respinge la domanda sotto il profilo che ciò che l’abbonato la-menta non è frustrazione della causa del contratto, ma delusione di un sem-plice motivo irrilevante. Impugnando la sentenza per saltum, l’attore soccom-bente va in Cassazione. E la Cassazione cassa, per due concorrenti ragioni. Laprima: la dichiarazione precontrattuale della società che Lentini non sarebbestato ceduto può integrare dolo, rilevante anche se induce la vittima in unsemplice errore sui motivi. Ma qui interessa soprattutto la seconda: non è af-fatto detto che il desiderio di veder giocare Lentini sia un irrilevante motivodell’abbonato; concependo la causa nel modo non rigido e tipizzato, ma inve-

(9) Cass. 26 gennaio 1995, n. 975, in F. it., 1995, I, c. 2502.

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ce aperto alla considerazione di interessi individuali e concreti, che risulta im-plicito nella formula della « funzione pratica che le parti hanno effettivamen-te assegnato al loro accordo », e indagando la reale portata che in quel conte-sto assume la presenza di Lentini nella compagine del Toro, non può esclu-dersi che a questo dato debba attribuirsi valore causale.

3. — Troviamo in nuce l’idea (seppure non la formula) della causa con-creta anche in Cass. 2001/5966, che si occupa di collegamento fra contratti:per la precisione, fra un mutuo di scopo diretto a finanziare l’acquisto diun’auto, e il conseguente acquisto dell’auto (10).

In motivazione si legge che nel mutuo di scopo « acquista rilievo, accantoalla causa genericamente creditizia, il motivo specifico per il quale il mutuoviene concesso »: l’acquisto dell’auto, con la stipulazione del relativo contrattoche per questa via si collega al contratto di mutuo integrandone la causa. Ac-cade infatti che « uno dei due negozi trovi la sua causa in un rapporto scatu-rito dalla funzione che un negozio adempie rispetto all’altro, dall’intento spe-cifico e particolare delle parti di coordinare i negozi, instaurando tra essi unaconnessione teleologica ». E ancora: « La clausola di destinazione della som-ma mutuata si inserisce nel contratto, ... ragion per cui... il contratto si fun-zionalizza » a tale destinazione, che « dalla sfera dei motivi si inserisce nelnegozio, fino a tradursi nella funzione », e « da motivo estraneo alla strutturaentra a far parte del regolamento contrattuale ». È, con assoluta chiarezza (ein modi perfino troppo insistiti), linguaggio della causa, classicamente con-trapposta ai motivi; ed è linguaggio che della causa parla in termini indivi-duali e concreti, non generali e astratti.

La conseguenza pratica è che « nell’ambito della funzione complessivadei negozi collegati, essendo lo scopo del mutuo legato alla compravendita »,ove mai quest’ultima venga meno per risoluzione consensuale, anche il mutuoviene meno: conclusione ineccepibile.

Ma è condivisibile, anche se meno scontato e per certi versi ardito, purel’ulteriore profilo di trattamento della fattispecie che la Cassazione ricava dalsuo approccio « concreto » alla funzione (causa) della macchina contrattualein gioco: « Il soggetto, che in via definitiva beneficia della somma concessa inmutuo, non è il mutuatario (acquirente), ma il venditore del veicolo, che ri-spetto al mutuo è terzo ». Infatti « Il mutuatario... non consegue la proprietàdell’oggetto, per il cui pagamento il mutuo gli viene concesso », mentre il ven-ditore ha incassato la somma e « sicuramente deve restituirla »; ma anzichérestituirla al compratore che poi la restituirà a sua volta al mutuante, la resti-tuisca direttamente a quest’ultimo! La cui pretesa restitutoria, dunque, « nonva proposta nei confronti del mutuatario, ma direttamente ed esclusivamentenei confronti del venditore ». Una soluzione ardita, si diceva: perché rompe il

(10) Cass. 23 aprile 2001, n. 5966, in Contratti, 2001, p. 1126, con nota di Perrotti,Compravendita e mutuo di scopo: un’ipotesi di collegamento negoziale.

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muro della relatività del contratto, anticipando (ma a veder bene anche am-pliando) la soluzione che si sarebbe legislativamente affermata solo nel 2010con la nuova disciplina del credito ai consumatori, e in particolare con l’art.125 quinquies, inciso finale, T.U.B. Ardita, ma giustificabile proprio in termi-ni di causa concreta: perché se è vero che mutuante e venditore non sono par-ti del medesimo contratto ma di contratti diversi, è vero anche che il contrattodell’uno (il mutuo) ha causa nel contratto dell’altro (la vendita), e viceversa.

4. — È sempre il collegamento fra contratti la materia di Cass. 2003/11240 (11). C’è un contratto di leasing, a cui si collega un successivo contrat-to di opzione per l’acquisto del bene da parte dell’utilizzatore; l’opzione vienea un certo punto esercitata, e il bene è adesso proprietà dell’utilizzatore, manel frattempo il leasing (rectius, il credito per i canoni di futura scadenza) èstato ceduto a un terzo. Il problema è se l’utilizzatore-opzionario, che in baseal contratto di opzione ha acquistato (e pagato) la proprietà del bene, devecontinuare a pagare (al terzo cessionario) i canoni previsti dal contratto dileasing. Deve rispondersi ovviamente no, perché l’attuazione del contratto diopzione priva, in concreto, di causa il contratto di leasing.

È dunque giusta la risposta data in questo senso dalla sentenza, dove pe-rò figura un passaggio che lascia perplessi. È dove la Corte indica come rile-vante il problema di capire se in una operazione contrattuale complessa (co-me quella per cui è lite) debba ravvisarsi un unico contratto oppure « unapluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autono-ma, anche se ciascuno è finalizzato a un unico regolamento dei reciproci inte-ressi ». E il criterio distintivo che si propone non è di tipo formale (unità opluralità di documenti; contestualità o meno della stipulazione), bensì è dato« dall’elemento sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti ».

Col suo riferimento agli « interessi perseguiti », questo passaggio sembraun apprezzabile tributo all’idea di causa concreta. Eppure esso suscita dueordini di perplessità. La prima riguarda il criterio proposto: astratto (!), oscu-ro, non significativo. Che cosa significa « interesse unico », contrapposto a« pluralità di interessi »? (Un interesse può essere presentato in modo unita-rio, ma può anche scomporsi in una pluralità di profili, legittimamente pre-sentabili come altrettanti interessi distinti). E poi: a quale sfera di interessi cisi riferisce? Quella di una parte? Quelle dell’una e dell’altra parte? O a qual-che interesse comune a entrambe? Domande a cui è veramente arduo rispon-dere; e la difficoltà delle risposte è inversamente proporzionale alla buonaoperatività del criterio che dovrebbe suggerirle. La seconda perplessità ri-guarda la rilevanza stessa del problema: che francamente non si vede. L’uni-co punto rilevante è se la vicenda dell’opzione di acquisto influenzi o meno illeasing: e la risposta è affermativa sia che opzione e leasing formino i conte-

(11) Cass. 18 luglio 2003, n. 11240, in Rep. F. it., 2003, voce Contratto in genere, nn.244 e 265.

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nuti di un unico contratto, sia che integrino due distinti contratti collegati (12).Di unamassima di giurisprudenza che offre un criterio poco agibile per risol-

vere un problema poco significativo, francamente non si sentiva gran bisogno.

5. — Qualche anno dopo il giro del secolo, le locuzioni variamente impie-gate in giurisprudenza per affrancarsi dallo schema della funzione economi-co-sociale finalmente si fissano nella formula — destinata ad affermarsi —della causa concreta. Salvo errore, la prima sentenza a proporla è Cass. 2006/10490, dove la si trova corredata di una definizione che esprime come meglionon si potrebbe lo spirito che anima il suo impiego giurisprudenziale: causaconcreta è « lo scopo pratico del negozio... sintesi degli interessi che lo stesso èconcretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola especifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato » (13).

Verrebbe da dire: perfetto! Finalmente un modo di intendere la causache si libera dalle astrattezze e rigidezze della formula bettiana, aprendosi auna considerazione degli atti di autonomia privata immensamente più ricca,più completa, più aderente al sottostante piano di interessi — in definitivapiù efficace e più giusta.

Ma non sempre è tutto oro quel che luccica. Il sospetto che insieme al-l’oro ci siano metalli meno pregiati viene dall’analisi un po’ più ravvicinata emeno superficiale delle sentenze che inneggiano alla causa concreta: dove cri-ticità e aporie a veder bene non mancano. Anzi, sorge il dubbio che quandonel linguaggio giurisprudenziale si consolida la formula della causa concreta,ebbene proprio in quel momento — paradossalmente — il relativo approccio,in linea di principio sacrosanto, prenda a tradursi sempre più spesso in deci-sioni non ineccepibili.

Consideriamo dunque alcune sentenze (soprattutto di Cassazione) ches’inscrivono nel « nuovo corso » della causa concreta.

6. — Cominciamo proprio da Cass. 2006/10490, cui si deve la creazionedel marchio (14) con la splendida, accattivante definizione appena riferita.

Il caso è quello di un professionista della gestione aziendale, incaricato di

(12) Può essere interessante notare che il Repertorio citato alla nota precedente estrapoladalla sentenza due distinte massime, e le colloca in luoghi non contigui fra loro: una massimasu unicità o pluralità di negozi (pubblicata sotto il n. 244) e una massima sull’influenza che ilvenire meno di un negozio dispiega sul negozio collegato (inserita sotto il n. 265).

(13) Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, p. 1718, con nota di Rolfi,La causa come « funzione economico-sociale »: tramonto di un idolum tribus?

L’ideale primato di questa decisione, nello sviluppo di carriera della causa concreta, èsubito riconosciuto anche da C. Scognamiglio, Problemi della causa e del tipo, cit., p. 93,nt. 25, e pp. 137-138.

(14) Ma, a ben vedere, una lungimirante dottrina aveva fin da prima introdotto il termi-ne: a parlare di un « concetto di causa concreta », che « esprime l’oggettiva rilevanza del-l’assetto di interessi regolato contrattualmente » era già stato Breccia, Causa, in Bessone(dir.), Trattato di diritto privato, XIII, Il contratto in generale, III, Torino 1999, p. 55.

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seguire un gruppo di società: a tal fine conclude con la capogruppo un con-tratto di consulenza, e parallelamente viene designato amministratore di alcu-ne società del gruppo. Guastatisi i rapporti, agisce per il corrispettivo previstonel contratto di consulenza; la società resiste opponendo plurime eccezioni; igiudici accolgono, fra le molte, l’eccezione di nullità del contratto di consu-lenza, in quanto la causa di esso — apprezzata in concreto, alla luce di tuttele circostanze rilevanti del caso e in particolare alla luce dei paralleli incarichidi amministratore nelle controllate — si ritiene vanificata dal fatto che gli im-pegni contrattuali assunti a titolo di consulenza sono sostanzialmente assorbi-ti da quelli assunti a titolo di amministratore, e quindi risultano privi di auto-nomo sostegno causale.

Alla decisione può rimproverarsi — mi pare — qualcosa che paradossal-mente entra in contrasto proprio con lo spirito della causa concreta, che pureessa erige a « manifesto » del propria concezione: un difetto di concretezza,un’insufficiente considerazione del quadro dei dati rilevanti della fattispecie, ein particolare l’obliterazione del più rilevante fra tutti i dati. Intendo la misu-ra dei corrispettivi in gioco. Perché a ragionare molto « in concreto », i casisono due. O l’emolumento di amministratore è significativamente più altodello standard applicabile al tipo di società amministrata: e allora può pen-sarsi che il surplus vada a remunerare l’impegno di consulenza per il gruppo,che in tal caso sarebbe effettivamente privo di fondamento causale (un po’come se la capogruppo avesse acquistato un servizio cui aveva già diritto neiconfronti del prestatore — non troppo diversamente dal caso di acquisto dicosa già in proprietà dell’acquirente, immarcescibile esempio scolastico dicausa mancante). Oppure l’emolumento è allineato sullo standard: e alloraremunera solo l’attività amministrativa e null’altro, in particolare non l’impe-gno di consulenza che quindi può ben funzionare come sostegno causale delcorrispettivo pattuito in cambio di esso; nel qual caso, il contratto avrebbecausa. Bene: di questo elementare ma fondamentale riscontro « concreto »nella decisione non c’è traccia.

7. — La causa concreta viene poi evocata da Cass., sez. un., 2010/6538,con larghezza di riferimenti storici, come la categoria che permette di risolve-re il contrasto fra la tesi che configura il pagamento di debito altrui effettuatodal terzo poi caduto in fallimento alla stregua di atto oneroso e la tesi che alcontrario lo qualifica gratuito, per il fine del suo assoggettamento a revocato-ria fallimentare. Il dictum delle sezioni unite è nel senso che la questione nonpuò porsi in astratto e risolversi una volta per tutte in modo univoco; bensìpuò risolversi in un senso o nell’altro, a seconda dei casi, in funzione di un’in-dagine sulla causa concreta da svolgere volta per volta in relazione a ciascunasingola fattispecie (15).

(15) Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538, in F. it., 2010, I, c. 2460, con nota di F.S.Costantino, Adempimento di debito altrui, fallimento del « solvens » e revocatoria al vaglio

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L’indicazione è, in generale, appropriata (16). Quando però si passa alcriterio operativo su cui impostare l’indagine, l’indicazione non sembra deltutto appagante. Il criterio sarebbe infatti l’esistenza o meno di « un qualchevantaggio, sia pure mediato e indiretto... della società poi fallita con riguardoall’esecuzione della prestazione », ovvero l’essere il pagamento preordinato omeno, dal punto di vista del solvens, « al soddisfacimento di un ben precisointeresse economico, sia pure mediato e indiretto ». Ma criteri del genere sem-brano idonei a discriminare non già — come dice la Cassazione — fra attionerosi e atti gratuiti, bensì piuttosto fra atti liberali e atti interessati: che so-no coppie qualificatorie concettualmente diverse, e orientate a differenti fina-lità pratiche.

Il criterio appropriato per sciogliere l’alternativa onerosità/gratuità (ingenerale, e tanto più ai fini della revocatoria fallimentare) è se a fronte del-l’attribuzione sotto esame sia prevista o sia stata eseguita a favore del solvensuna correlativa prestazione, capace di apportargli un vantaggio giuridico-eco-nomico: se una prestazione siffatta esiste, l’atto è oneroso; se non esiste, è gra-tuito. E resta gratuito anche se il pagamento del debito altrui sia fatto in vistadi « un qualche vantaggio » o di un « interesse economico, sia pure mediato eindiretto », che il solvens possa avere di mira, o avere considerato. L’esistenzadi un tale vantaggio o interesse certo colora la causa concreta dell’atto: masemplicemente, per quanto possa rilevare, nel senso di renderlo interessato

delle sezioni unite (con chiose su « causa concreta » e vantaggi compensativi nelle operazio-ni di gruppo).

In motivazione si rileva il superamento della vecchia concezione di « causa del negozioquale tradizionalmente individuata in base alla nota definizione della relazione al codicecivile — la funzione economico-sociale che il diritto riconosce ai suoi fini e che solo giustifi-ca la tutela dell’autonomia privata —; ed applicata negli anni immediatamente successividalla giurisprudenza secondo una concezione unificante le varie tipologie (c.d. causa tipi-ca) e perciò fondata sull’astrattezza di tale requisito ». E si afferma l’esigenza di tenereconto « dell’evoluzione che ha interessato la nozione di causa del negozio in questi ultimidecenni » e « dei risultati al riguardo raggiunti dalla più qualificata dottrina e dalla giuri-sprudenza di legittimità ». Tali risultati si riassumono nella elaborazione di Cass. 2006/10490, che « ha definito causa del contratto, qualificandola “concreta” in contrapposizio-ne alla nozione tradizionale, lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi chelo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. “causa concreta”), quale funzione indivi-duale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. E lesuccessive decisioni di questa corte, rese anche a sezioni unite... hanno ripetutamente con-diviso e ribadito la nozione di causa concreta ».

(16) Che l’area delle « prestazioni isolate » (cioè sganciate da una controprestazionecorrispettiva) costituisca un terreno ideale per ragionare della causa in termini concreti ri-sulta bene dalle analisi di Navarretta, Le prestazioni isolate nel dibattito attuale, in questaRivista, 2007, I, specie pp. 828-829 (« Accertare che la causa esista in concreto significa...verificare che i suoi presupposti funzionali sussistano e siano in grado di rendere la funzio-ne realizzabile »); e già Navarretta, La causa e le prestazioni isolate, Milano 2000, speciep. 231 ss. Sugli intrecci fra causa e categorie della onerosità e gratuità v. da ultimo, con isuoi discorsi in tema di « donazione non voluta », Rocchio, Causa ed efficacia dell’atto, Mi-lano 2012, p. 101 ss.

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(non liberale) ancorché gratuito; non invece nel senso di renderlo oneroso, edi sottrarlo così al regime degli atti gratuiti.

8. — Di causa concreta parla, sia pure per incidens, Cass. 2007/12235, ilcui oggetto specifico e centrale è tuttavia la presupposizione (17). E il puntoda sottolineare è che, nell’ambito del discorso sulla presupposizione, il temadella causa concreta viene evocato non per assimilazione o almeno contiguità,bensì per contrapposizione.

La pronuncia è infatti molto netta nel differenziare le due categorie sulpiano concettuale: richiamata la nota definizione di presupposizione, correntein una giurisprudenza oramai consolidata, Cass. 2007/12235 esclude « chepossano ad essa ricondursi fatti e circostanze ascrivibili alla causa, nel sensocioè di condizionarne la realizzazione nel suo proprio significato di causaconcreta, quale interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare(cfr. Cass. 8 maggio 2006). I cc.dd. presupposti causali assumono infatti ri-lievo già sul piano dell’interesse che giustifica l’impegno contrattuale, e per-tanto appunto la causa dello stesso ».

Ma soprattutto la pronuncia è netta nel divaricare le conseguenze opera-tive dell’una e dell’altra: mentre il rimedio offerto alla parte colpita dal difet-to del presupposto è il recesso dal contratto, il difetto di causa concreta « rile-va in termini di invalidità del contratto (e su tale piano, diversamente che inpassato, da una parte della dottrina viene ora propriamente ricondotto ilclassico esempio del balcone affittato per assistere alla sfilata del corteo,evento riconducibile all’interesse delle parti concretamente inteso realizzarecon la stipulazione del contratto e pertanto alla causa del medesimo, il cuimancato verificarsi depone, con la venuta meno della medesima, per la con-seguente invalidità del negozio) ».

Che dire? Il meno che a me sembra possa dirsi, è che una così marcatadivaricazione delle conseguenze in termini di trattamento del contratto (inva-lidità dell’atto vs. scioglimento del rapporto: un’alternativa su cui da sempresi tormentano i cultori della presupposizione) non dovrebbe affidarsi a unadistinzione concettuale poco limpida, ancor meno articolata e del tutto noncorredata di sicuri criteri applicativi, come quella tratteggiata nel passo dellamotivazione riferito poco sopra.

Può aggiungersi che collocare la presupposizione in un campo così radical-mente separato da quello della causa (concreta) priva la figura di un ancorag-gio — al tempo stesso teorico e normativo — assolutamente prezioso o addirit-tura necessario per legittimare all’interno del sistema un rimedio introdottonon dalle norme ma dalla creatività degli interpreti, collocandolo su basi piùsolide di quelle garantite da meri afflati di giustizia sostanziale (18). Senza dire,

(17) Cass. 25 maggio 2007, n. 12235, in Nuova g. civ. comm., 2007, I, p. 1177, con notadi Azzarri, Difetto di presupposizione e rimedi esperibili: il révirement della Suprema Corte.

(18) Il legame fra presupposizione e causa (concreta) è invece correttamente colto e va-

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infine, che sottrarre al dominio della presupposizione (per trasferirla nel cam-po, che si pretende diverso, del difetto di causa concreta) una fattispecie come icoronation cases, è una sfida così violenta a tutta una tradizione di pensiero sultema, che avrebbe forse meritato un sovrappiù di impegno argomentativo.

9. — Segue a distanza di soli due mesi la nota sentenza sulla « causa tu-ristica » (19), il cui caso è presto detto: il turista compra un pacchetto-vacanzaper Cuba, ma prima della partenza scopre che sull’isola è in atto un’epidemiadi dengue emorragico (malattia non mortale, ma neppure banale); per questorinuncia a partire, ripudiando il pacchetto e rifiutando di pagarlo; il tour ope-rator, qualificando l’atto del cliente alla stregua di un recesso ingiustificato,agisce per il prezzo; il cliente eccepisce di non dovere, in relazione all’accadu-to, alcun prezzo.

La Corte accoglie l’eccezione sotto il profilo della « estinzione dello stipu-lato contratto... per irrealizzabilità della causa concreta », a cui consegue« l’esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni ». Più di preciso, il ragio-namento si sviluppa così. Causa concreta del contratto per l’acquisto di unpacchetto turistico è la « finalità turistica » o lo « scopo di piacere » (ovvero-sia l’insieme degli obiettivi « di relax, svago, ricreativi, ludici, culturali,escursionistici, ecc. ») che il turista persegue, o con altre parole « lo scopo va-canziero, e cioè il benessere psicofisico che il pieno godimento della vacanzacome occasione di svago e riposo è volto a realizzare ». L’epidemia in corso,esponendo il turista al timore, all’ansia, al disagio indotti dal rischio di am-malarsi, preclude la realizzazione dello « scopo vacanziero » che fa tutt’unocon l’interesse creditorio e con la causa (concreta) del contratto. Ma « il venirmeno dell’interesse creditorio determina... l’estinzione del rapporto obbligato-rio, in ragione del sopravvenuto difetto dell’elemento funzionale (art. 1174c.c.). E ove come nella specie il rapporto obbligatorio trovi fonte in un con-tratto, il venir meno dell’interesse creditorio comporta la irrealizzabilità dellacausa concreta del medesimo », che opera quale « autonoma causa di relati-va estinzione ».

Precisa la Corte che l’epidemia non rende impossibile la prestazione deltour operator (trasporto, alloggio, vitto, servizi accessori), sicché non ricorrequi una fattispecie di risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463lorizzato da Cass. 24 marzo 2006, n. 6631, in Contratti, 2006, p. 1085, con nota di Am-brosoli, La presupposizione in due recenti pronunce della Suprema Corte, dove la presup-posizione viene indicata come « figura giuridica che, da un lato, si avvicina a una partico-lare forma di “condizione” da considerarsi implicita... nel contratto e, dall’altro lato, allastessa “causa” del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica in concreto che ilcontratto è destinato a realizzare ». Peccato solo per quella « funzione tipica in concreto »,che ha il suono un po’ stridente dell’ossimoro.

(19) Cass. 24 luglio 2007, n. 16315, in Danno e resp., 2008, p. 845, con nota di DelliPriscoli, Contratti di viaggio e rilevanza della finalità turistica, e in Nuova g. civ. comm.,2008, p. 531, con nota di Nardi, Contratto di viaggio « tutto compreso » e irrealizzabilitàdella sua funzione concreta.

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c.c. Piuttosto essa determina la « sopravvenuta impossibilità di utilizzazionedella prestazione » da parte del turista. Ma anche quest’ultima rileva comepossibile fattore di estinzione del vincolo contrattuale, purché sia « non impu-tabile al creditore » e incida « sull’interesse che risulta anche tacitamenteobiettivato nel contratto e che ne connota la causa concreta »: una caratteri-stica che ad avviso dei giudici certamente ricorre nel caso di specie, proprioperché il soggiorno in un’isola infestata dal dengue risulta incompatibile conquello « scopo vacanziero » o « di piacere » che è la causa concreta dell’ac-quisto del pacchetto turistico. Non potrebbe dirsi lo stesso — aggiunge laCorte — se a risultare frustrate fossero finalità ulteriori, diverse e più perso-nali quali « il desiderio di allontanarsi per un po’ dal coniuge o dalla cerchiadegli amici o dall’ambiente di lavoro »: questi non integrano causa (concre-ta), ma si riducono a motivi irrilevanti.

10. — Probabilmente il decisum è giusto: se uno compra un pacchettoper soggiorno turistico in una località dove poi si crea un (inatteso e serio) ri-schio di malattia, è giusto consentirgli il recesso, o comunque non tenerlo vin-colato al contratto. E allora dove sta il motivo di insoddisfazione che una sen-tenza come questa, con il suo insistito richiamo alla causa concreta, generanell’osservatore?

Sta prima di tutto in un difetto di coordinamento — anzi, probabilmente,in un vero e proprio contrasto su un punto chiave — con Cass. 2007/12235,di due mesi anteriore. La sentenza ora in commento non dice in modo esplici-to quale conseguenza determini sul contratto la frustrazione della sua concre-ta « causa turistica », parlando in modo generico di « estinzione » dell’obbli-gazione pecuniaria del cliente, e del contratto che ne è fonte: ma il contestodegli argomenti spesi per giungere a questa conclusione, e lo stesso svolgersidella fattispecie (il cliente era receduto), indica con sufficiente sicurezza che,nel pensiero della Corte, la frustrazione della causa concreta determina scio-glimento del contratto. E qui matura il conflitto con Cass. 2007/12235: laquale, come si ricorderà, aveva invece poco prima affermato con chiarezzache, frustrata la causa (concreta), il contratto risulta invalido. Che Cass.2007/16315 ometta di fare i conti con la diversa soluzione affermata pocoprima in sede di legittimità appare tanto più sorprendente, se si considera cheessa richiama in modo espresso Cass. 2007/12235 a sostegno del proprio ar-gomentare in termini di causa concreta!

Ma il punto che mi preme è soprattutto un altro. Temo che la categoriadella causa concreta, per come viene declinata e applicata nel caso della va-canza minacciata dal dengue, sconti un qualche grado di confusione con altrecategorie meritevoli di essere tenute distinte, e in definitiva non agevoli l’im-postazione e la soluzione razionale dei problemi.

La sentenza dice che il diffondersi dell’epidemia nel luogo della vacanzacomprata integra sopravvenuta impossibilità (per il turista creditore) di uti-lizzare la prestazione del tour operator; e come tale va assoggettata al tratta-

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mento sopra descritto. In questo modo la Cassazione sembra voler definire intermini generali il regime dell’impossibilità creditoria di utilizzo della presta-zione: apparentemente fissandolo come regime in forza del quale il creditore èliberato dall’obbligo di controprestazione (ovvero: il contratto si scioglie) suldoppio presupposto che l’impossibilità non sia imputabile al creditore mede-simo, e che essa incida « sull’interesse che risulta anche tacitamente obietti-vato nel contratto e che ne connota la causa concreta ». Ora, applicando inmodo rigido questo criterio di giudizio, e assumendo che l’interesse costituen-te causa concreta dell’acquisto del pacchetto turistico sia « godersi la vacan-za », se ne dovrebbe ricavare che qualunque evento non imputabile al cliente,e capace di precludergli il godimento della vacanza, lo legittima a ripudiarel’acquisto (rifiutandone il pagamento, o ripetendolo se già eseguito): dall’in-fluenza contratta il giorno prima della partenza, all’avere perso il volo chartercompreso nel pacchetto per via di un gigantesco ingorgo di traffico impreve-dibilmente creatosi sulla via dell’aeroporto.

Siccome nei due casi appena indicati è tutt’altro che sicura la soluzionein senso risolutorio/liberatorio (anzi, è abbastanza sicura la soluzione oppo-sta), nella regola di giudizio offerta dalla Cassazione, e basata sulla causaconcreta, c’è evidentemente qualcosa che non va. L’errore sta, a mio giudizio,nell’avere riferito quella regola ai casi di impossibilità creditoria di utilizza-zione della prestazione (che nell’accezione appropriata sono quelli in cui l’im-possibilità matura nella sfera soggettiva del creditore), mentre la fattispecieoggetto di decisione non è per nulla un caso siffatto. L’epidemia di denguescoppiata a Cuba ostacola sì la regolare fruizione della prestazione, ma lo fanon alla stregua di fattore « soggettivo » (collocato cioè nella sfera del credi-tore), bensì alla stregua di fattore « oggettivo », che si colloca nella sfera dellaprestazione considerata in sé e per sé. Ed è precisamente questa « oggettivi-tà » che la rende rilevante ai fini della risoluzione del contratto.

Viceversa, se il turista non potesse utilizzare il pacchetto vacanza perchési ammala o perde l’aereo per il traffico, la conseguente impossibilità di fruiredella prestazione, pur non imputabile a lui, non lo libererebbe dal contrattoproprio perché sarebbe una impossibilità che matura nella sua sfera soggetti-va. Invece il criterio proposto dalla sentenza n. 16315/2007 porterebbe im-propriamente a liberarlo anche in questi due casi (a meno che la Cassazione,quando parla di impossibilità « non imputabile » al creditore, intenda in real-tà parlare di una impossibilità « non riferibile alla sua sfera »).

In ogni caso, la questione nel suo nucleo essenziale è: chi deve sopportare ilrischio della infruibilità della prestazione? E si è visto come può enunciarsi —grossolanamente parlando — il relativo criterio di giudizio. Quel rischio devesopportarlo il creditore della prestazione non fruita (ugualmente tenuto allacontroprestazione) quando — come nei casi della mancata partenza del turistaper malattia o per impossibilità di accedere in tempo all’aeroporto — l’infrui-bilità dipende da fatti, pur incolpevoli, che si collocano nella sua sfera soggetti-va (lui si è ammalato, lui è arrivato in ritardo). Deve invece sopportarlo il debi-

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tore quando l’infruibilità dipende da fattori che si collocano (come nella fatti-specie della vacanza minacciata dal dengue) nella sfera oggettiva della presta-zione. E sempre che la ragione dell’infruibilità si collochi, secondo appropriatiparametri, al di sopra della giusta soglia di rilevanza. Per dire: saremmo al disotto di quella soglia se anziché di dengue si trattasse di una più banale epide-mia di influenza; ma anche se la ragione addotta per dichiarare infruibile laprestazione del tour operator fosse non un inusitato fenomeno epidemico, mauna normale situazione endemica (chi vuole andare in vacanze in certi paesidel mondo sa o deve sapere che in alcune zone di essi il dengue è endemico, enon può addurre questa elemento per rifiutare il pacchetto comprato).

Bene: con tutto questo la causa concreta non c’entra granché; e rischiapiuttosto di offuscare gli appropriati termini del problema, distraendo l’inter-prete e allontanandolo dalla sua corretta impostazione (20).

Considerazioni non diverse possono riservarsi ad altra pronuncia dellaCassazione, di poco successiva, che decide negli stessi termini, e con identicamotivazione, un caso analogo (contratto di soggiorno alberghiero per unacoppia di coniugi, non utilizzato per la sopravvenuta morte di uno di es-si) (21).

11. — Ancora meno — a mio giudizio — la causa concreta c’entra qual-cosa con la questione da risolvere, nel caso deciso da Cass. 2009/23941 (22).Lì si trattava di giudicare se la vedova di un uomo schiantatosi al suolo men-tre era alla guida del suo aeroplanino da diporto avesse o meno diritto all’in-dennità assicurativa in base a polizza contenente la clausola — opposta dallacompagnia per rifiutare il pagamento — che « esclude la garanzia nel caso incui il decesso dell’assicurato è causato da incidente di volo, quando questiviaggi a bordo di aeromobile non autorizzato al volo o con pilota non titolaredi idoneo brevetto o, in ogni caso, quale membro dell’equipaggio ».

Ebbene, la Cassazione dice che per risolvere il problema è necessario nonarrestarsi a considerare « in astratto la causa del contratto assicurativo stipu-lato tra le parti » bensì indagarne la causa concreta, e cioè interrogarsi perchél’assicurato « avesse concluso quel contratto, quali esigenze lo avessero indot-to ad assicurarsi in quel modo, ovvero quale fosse la funzione concreta chequel contratto... veniva a svolgere nel contemperamento degli interessi in gio-co »: sicché erra il giudice del merito, la cui motivazione « valorizza la causa

(20) Analoghe perplessità in Ferrante, Causa concreta e impossibilità della prestazionenei contratti di scambio, in Contratto e impr., 2009, p. 151 ss., specie p. 166 ss.

(21) Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958, in Corr. giur., 2008, p. 921, con nota (parzial-mente critica) di Rolfi, Funzione concreta, interesse del creditore e inutilità della presta-zione: la Cassazione e la rielaborazione del concetto di causa del contratto, e in Contratti,2008, p. 786, con nota (essa pure critica) di Barbiera, Risoluzione per impossibilità soprav-venuta e causa concreta del contratto a confronto.

(22) Cass. 12 novembre 2009, n. 23941, in Nuova g. civ. comm., 2010, I, p. 448, connota di Di Leo, Contratto di assicurazione e causa concreta.

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astratta del contratto, liquidando come irrilevanti le “motivazioni personali”evidenziate... dalla... ricorrente », e omette di « verificare alla luce del com-portamento complessivo tenuto dalle parti... se quel contratto aveva in sé unacausa concreta individuale ».

Qui davvero la distorsione è forte, e si manifestano i pericoli di un usopoco sorvegliato della categoria. La sentenza si attira almeno due censure.

La prima riguarda la giusta collocazione e relazione delle categorie. Quiin gioco non c’è altro, se non un problema di interpretazione del testo di unaclausola del contratto. E allora cosa c’entra la causa? Proprio nulla, direi.Perché tirare in ballo la categoria della causa (concreta), che serve a stabilirese il contratto è valido e può stare in piedi, quando il problema è tutt’altro, ecioè scoprire in via ermeneutica, con i criteri legali degli artt. 1362 ss. c.c., la« comune intenzione delle parti » di un contratto che si presuppone valido eoperante? Forse il giudicante non ci ha pensato: ma sovrapporre, come eglifa, l’elemento della causa con l’elemento dell’accordo significa identificare lacausa con la volontà, e in definitiva assorbire la prima nella seconda, decre-tandone la superfluità: che è — come noto — l’essenza del pensiero anticau-salista!

La seconda censura riguarda i contenuti che la sentenza sembra assegna-re alla categoria. A quanto pare, questa dovrebbe includere le « esigenze » e« motivazioni personali » che hanno spinto l’assicurato a stipulare la polizza(e che la sentenza sembra identificare nell’esigenza e nella motivazione diprocurarsi una copertura assicurativa la più ampia possibile). Ma è ovvio chel’interesse dell’assicurato — di qualunque assicurato — è avere la coperturaassicurativa più ampia possibile, che avere la massima copertura assicurativaè la volontà e il desiderio di qualunque assicurato! Senonché, certo non bastaquesto per dire che la massima copertura possibile è la comune intenzionedelle parti. Se no, si finisce per identificare impropriamente la comune inten-zione delle parti con l’intenzione (l’interesse) individuale di una sola parte. O,volendo esprimersi, come fa la sentenza, nel linguaggio della causa: si finisceper confondere causa e motivi, che in questo campo è il più mortale dei pec-cati.

12. — Abbiamo registrato criticamente casi in cui la causa concreta èstata evocata in modi un po’ ridondanti, quando si poteva fare a meno di sco-modarla. Ma in qualche caso ci si imbatte nel vizio opposto: la si ignoraquando la sua considerazione sarebbe stata opportuna, e avrebbe potuto con-durre a decisioni diverse da quelle rese, e più soddisfacenti.

Vedo un esempio nella recente sentenza con cui la Cassazione afferma inlinea generale la nullità (per mancanza di causa) del preliminare di prelimi-nare (23). La motivazione è stringata (ancorché la stessa Corte ricordi che la

(23) Cass. 2 aprile 2009, n. 8038, in Contratti, 2009, p. 986, con nota di Toschi Vespa-siani, Il « preliminare di preliminare » e la « proposta di acquisto accettata ».

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questione si affaccia per la prima volta al vaglio del giudice di legittimità):« L’art. 2932 c.c. instaura un diretto e necessario collegamento strumentaletra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettiva-mente il risultato finale perseguito dalle parti. Riconoscere come possibilefunzione del primo anche quella di obbligarsi... ad obbligarsi a ottenere quel-l’effetto, darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta daalcun interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben po-tendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico il pro-mettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo su-bito ».

È l’esaltazione della funzione tipica del preliminare, vista in terminiesclusivamente generali e astratti; è il trionfo della sua funzione economico-sociale. Qualunque variante che in concreto ne fuoriesca (come quella che inluogo della tipica sequenza preliminare — definitivo si configura nella più ar-ticolata sequenza preliminare 1 — preliminare 2 — definitivo) è senz’altro« inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meri-tevole di tutela ». E chi lo dice? Perché escludere a priori che un interesse sif-fatto possa invece emergere da un’indagine sul modo in cui le parti hannoconcepito « lo scopo pratico del negozio », da una ricognizione degli « interes-si che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individua-le della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizza-to » (24)? Ma a questa indagine, a questa ricognizione Cass. n. 8038 non con-cede il minimo spazio: e così nega qualsiasi rilevanza alla causa concreta.

Con risultati che possono essere discutibili e ingiusti. A e B sono in tratta-tiva per una compravendita immobiliare. A, interessato all’acquisto, rivolge alproprietario B proposta scritta di chiudere l’operazione per un certo prezzo dapagare a scadenze che si indicano, e con la precisazione che se la propostaverrà accettata si procederà a stipulare entro il mese successivo il relativo pre-liminare per atto pubblico ai fini della trascrizione del medesimo. B rispondeper iscritto ad A, dichiarando di accettare la proposta. Ma dopo qualche gior-no lo stesso B cambia idea, e rifiuta di onorare l’impegno preso. Ebbene, se-condo Cass. 2009/8038 B avrebbe il diritto di farlo impunemente, perché lasua accettazione ha concluso un contratto affetto da « nullità per mancanzadi causa »!

In questo modo il giudice sostiene comportamenti opportunistici e scor-retti della parte. E a tanto arriva perché — prigioniero di un’idea di causa ti-pizzante e astrattizzante — ignora la causa concreta, rifiutando di vedere chenella fattispecie esistono specifici interessi e scopi pratici (per nulla immerite-voli di tutela) idonei a giustificare la più complessa sequenza negoziale adot-tata dalle parti: dove il preliminare 1, concluso con accettazione della propo-sta, si basa sull’interesse a fermare giuridicamente l’operazione in modo snel-

(24) Si è appena ripetuta, come all’attento lettore non sfugge, la definizione canonicadella causa concreta, introdotta da Cass. 2006/10490.

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lo e veloce; mentre il preliminare 2, prefigurato nella forma dell’atto pubbli-co, soddisfa da un lato l’interesse a definire l’operazione stessa in termini piùprecisi e articolati, e dall’altro l’interesse a rendere il contratto trascrivibile.

Non è questo un buon esempio di causa (concreta) del preliminare dipreliminare?

13. — Nei casi e nelle decisioni considerati fin qui la causa concreta serve(o sarebbe servita) per stabilire se il contratto si presenta e si sviluppa comeun’operazione sensata, alla luce degli interessi che le parti vi hanno dedotto edel modo in cui hanno voluto sistemarli e bilanciarli; in definitiva, essa funzio-na come strumento per decidere se la pretesa che una parte rivolge contro l’al-tra è coerente, secondo razionalità, con quell’assetto di interessi; o se invece ac-cogliere la pretesa darebbe luogo a un risultato irrazionale e insensato. Sono icasi in cui si dice che la causa manca, o è venuta meno, o è stata frustrata.

Ma la causa ha anche un’altra funzione: rilevare che l’assetto di interessiperseguito col contratto — perfettamente sensato e razionale nella logica dellerelazioni fra le parti, e non toccato da nessun successivo fattore di frustrazio-ne o disturbo — è un assetto che l’ordinamento giuridico riprova alla luce diqualche interesse generale. Sono i casi in cui si dice che la causa è illecita.

La dimensione concreta della causa rileva anche su questo secondo terreno.Ne dà chiara testimonianza Cass. 2008/24769, che decide se debba con-

siderarsi nulla per illiceità della causa la locazione di un terreno agricolo, fi-nalizzata per espressa previsione pattizia a consentire al conduttore di erigervie mantenervi e utilizzare un capanno per il ricovero di attrezzi: una destina-zione incompatibile con il regime urbanistico dell’area. La risposta è afferma-tiva, pur in assenza di un’espressa sanzione di nullità come quella dell’art. 18della l. n. 47/1985, ritenuto non direttamente applicabile alla fattispecie. Adessa si perviene osservando che « Decisivo rilievo assume al riguardo la consi-derazione della causa concreta » del negozio sotto scrutinio, che « si sostan-zia nello scopo pratico dalle parti perseguito..., nell’interesse che l’operazionecontrattuale è cioè propriamente diretta a soddisfare (cfr. Cass. 8 maggio2006, n. 10490) »: scopo pratico e interesse consistenti nella specifica concre-ta destinazione del bene locato, che lo stesso testo contrattuale si cura diesplicitare. E la Corte precisa che nel caso in esame, relativo a « contratto incui la causa concreta si pone direttamente in contrasto con le disposizioni ur-banistiche..., la nullità discende allora non già... alla stregua della frode allalegge di cui all’art. 1344 c.c. ..., bensì ai sensi dell’art. 1343 c.c., in ragionedella diretta violazione di norme imperative che esso vale a integrare » (25).

A veder bene, però, la rilevanza della causa concreta ai fini della qualifi-cazione di illiceità del contratto va oltre i casi in cui la categoria risulti evoca-ta in modo esplicito nelle motivazioni delle sentenze. Perché ci sono almeno

(25) Cass. 7 ottobre 2008, n. 24769, in G. it., 2009, p. 1655, con nota di Galati, Breviosservazioni in tema di c.d. « causa concreta » del contratto.

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due norme che definiscono fattispecie di contratti nulli per illiceità della cau-sa, in cui la causa è — necessariamente, inevitabilmente — causa concreta:sicché quando i giudici applicano queste norme, cercano e scoprono — anchese non lo dichiarano — precisamente la causa concreta del contratto in gioco.Nel campo dell’illiceità, insomma, non c’è particolare bisogno della creativitàdegli interpreti per scoprire la causa concreta: questa è già scritta nelle nor-me. Parlo ovviamente degli artt. 1344 e 1345 c.c.

Per valutare se un’opportuna combinazione di negozi fra loro collegati, ol’impiego di un tipo contrattuale opportunamente conformato e piegato a unafunzione atipica, integrano frode alla legge (perché ad esempio perseguonouno scopo di garanzia in termini sostanzialmente equivalenti a quelli di unpatto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c.), che cosa fanno i giudici se nonricostruire — attraverso la rilevazione di specifici elementi del contratto o del-la combinazione di contratti — la relativa causa concreta? Non c’è bisognoche lo enuncino: in un’indagine come quella imposta al giudice dall’art. 1344c.c. l’identificazione della causa come causa concreta è per così dire in re ip-sa (26).

Ma lo stesso può dirsi — e anzi può dirsi a più forte ragione — per l’art.1345 c.c. Che cos’è il motivo comune a entrambe le parti, e così forte per en-trambe da essere l’unica ragione che le ha determinate al contratto, se noncausa del contratto? E che genere di « causa » è quella che si sostanzia in unospecifico « motivo » che riflette specifici interessi delle parti di quello specificocontratto, se non — quasi per definizione — causa concreta?

Viene allora il sospetto che la « scoperta » della causa concreta nel cam-po dell’illiceità contrattuale non si distacchi più che tanto dalla scoperta del-l’acqua calda.

14. — Negli anni 2005/2006 la causa concreta ha conosciuto un momen-to di gloria in campo non strettamente civilistico, con alcune interessanti sen-tenze della sezione tributaria della Corte di Cassazione: che peraltro impiega-no la categoria in modi e con esiti alquanto discutibili.

La materia è quella delle operazioni elusive, in base a cui — per farlabrevissima, e saltando parecchi passaggi tecnici — A vende a B un pacchettoazionario alla vigilia della distribuzione dei relativi dividendi; B, come attualeproprietario, li incassa; ma subito dopo rivende il pacchetto ad A (per unprezzo inferiore a quello di acquisto, onde tenere conto del dividendo incassa-to). Il bilancio economico finale delle due operazioni collegate è pari a zero:ciascuna delle parti si ritrova, in punto effetti economici, nella stessa posizio-ne di prima (A con le stesse azioni, B con gli stessi soldi). Quello che cambia èil bilancio fiscale, che segna vantaggi per entrambe le parti: A evita la tassa-zione sui dividendi, « trasformandoli » in plusvalenza non tassabile; B paga

(26) Come risulta in modo affatto esemplare, fra le tante, da Cass. 19 maggio 2004, n.9466, in Contratti, 2008, p. 979.

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l’imposta sui dividendi (scomputando peraltro ritenuta d’acconto e creditod’imposta), ma soprattutto mette a conto economico una minusvalenza fiscal-mente deducibile, pari al differenziale negativo del prezzo di rivendita. Que-sto è il c.d. dividend washing. Ne costituisce variante il c.d. dividend strip-ping, in cui anziché vendita e rivendita si ha cessione del pacchetto azionarioin usufrutto di brevissima durata: con effetti fiscali un po’ diversi da quelli vi-sti sopra, ma sempre vantaggiosi per le parti.

Nel 2005 la Corte di Cassazione decide che questa pratica elusiva deveessere stroncata. E lo strumento utilizzato è una certa qualificazione della fat-tispecie contrattuale, e del suo regime, che a tutta prima si presenta come ro-bustamente basata sull’idea di causa concreta.

È vero che la formula non ricorre nella motivazione delle sentenze, doveanzi la Corte fa cadere espressioni di sapore astrattizzante o tipizzante (comequando la causa viene testualmente definita nei termini parabettiani di « sco-po economico-sociale ») o addirittura vagamente dirigistico (come quando siafferma che « le parti non possono trasferire beni soltanto per trasferirli »). Etuttavia la sostanza del ragionamento sembra procedere sul filo logico dellacausa concreta. L’argomentare della Corte, infatti, poggia tutto sulla valoriz-zazione del collegamento fra i due negozi (trasferimento e ritrasferimento),con l’insistito rilievo che la ricerca della causa va fatta « sul negozio o sui ne-gozi collegati, nel loro complesso, e non con riferimento ai singoli negozi o al-le singole prestazioni », che « l’esistenza della causa dei contratti collegatideve essere ricercata nell’intera operazione e non in ciascuna attribuzionepatrimoniale separatamente considerata ». E proprio considerando la con-nessione fra l’atto di trasferimento e quello di ritrasferimento (intervenuto aun solo giorno di distanza), i giudici rilevano che dal complessivo meccani-smo contrattuale così congegnato « nessuna delle parti conseguiva alcun van-taggio economico »: di qui la sua « mancanza di ragione, che investe nellasua essenza lo scambio tra le prestazioni contrattuali attuato attraverso ilcollegamento negoziale », determinando nullità per difetto di causa (difettoche invece non si sarebbe rilevato se l’attenzione del giudicante si fosse con-centrata su ciascuno dei due negozi isolatamente considerati, astraendo dalmodo in cui le parti li hanno, in concreto, collegati fra loro) (27).

Ora, si è in precedenza rilevato come proprio il collegamento negozialedefinisca uno dei terreni elettivi di applicazione del concetto di causa concre-ta. E del resto è significativo che i commentatori individuino nell’uso del con-cetto di causa concreta il profilo saliente di questa giurisprudenza (28).

(27) Cass. 21 ottobre 2005, n. 20398, in Rass. trib., 2006, p. 295. Segue a meno di unmese una sentenza gemella, formulata in termini sostanzialmente identici: Cass. 14 novem-bre 2005, n. 22932, in D. prat. trib., 2006, II, p. 252, con nota di Corasaniti, La nullitàdei contratti come strumento di contrasto alle operazioni di dividend washing nella recentegiusrisprudenza della suprema corte.

(28) V. Rolli, Il rilancio della causa del contratto: la causa concreta, in Contratto eimpr., 2007, pp. 421-422; F.M. Giuliani, Elusione fiscale, frode alla legge e causa concreta

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15. — La verità è però un’altra. Questa giurisprudenza della Cassazionenon applica davvero la causa concreta: fa solo finta di applicarla, o tutt’al piùne fa un’applicazione riduttiva e monca.

Causa concreta è l’insieme delle ragioni e degli interessi specifici che de-terminano le parti al contratto; è l’insieme degli elementi che danno rispostaalla domanda: perché le parti hanno fatto il contratto? Ora, considerando lefattispecie in esame, non c’è dubbio che la ragione, il « perché » del primotrasferimento stia nella prospettiva del successivo ritrasferimento: A nonavrebbe venduto le azioni, e B non le avrebbe comprate, se non con la pro-spettiva di riacquistarle e rispettivamente di ricederle. Dunque è giusto dire,come la Cassazione dice, che il collegamento fra i due contratti è causa (con-creta) dell’operazione negoziale. Ma per spiegare il senso della complessivamacchina contrattuale così costruita questo non basta; deve considerarsi unaltro elemento, tanto semplice quanto decisivo. Perché, per quale ragione, invista di quale interesse le parti hanno concluso quel trasferimento e quel ri-trasferimento, fra loro collegati? La risposta è perfino banale, nella sua ovvie-tà: per l’interesse a realizzare un risparmio fiscale, eludendo qualche imposta!

Eppure la Corte non considera questo dato, così fondamentale per illumi-nare il senso dell’operazione di autonomia privata. Non perché lo ignori, chéanzi mostra di averlo ben presente, là dove dice che dall’operazione « nonconsegue per le parti alcun vantaggio economico, all’infuori del risparmio fi-scale ». Ma perché considera questo genere di « vantaggio economico » irrile-vante ai fini della ricostruzione della causa: « La ricerca dell’elemento causa-le non può... riguardare le conseguenze fiscali, che si ricollegano ope legis alnegozio posto in essere, e che possono al più, assurgere al livello di motivi ».Difficile negare che ricorra qui un tipico esempio di pensiero tautologico: il ri-sparmio fiscale non è causa perché... non è causa (tanto significa dire che èmotivo). E di pensiero infondato: perché mai una « conseguenza » del con-tratto non potrebbe annoverarsi fra le ragioni causali che hanno indotto le

del contratto, in Contratto e impr., 2007, p. 455 ss.; Stevanato, Le « ragioni economiche »nel dividend washing e l’indagine sulla « causa concreta » del negozio: spunti per un ap-profondimento, in Rass. trib., 2006, p. 309 ss., e in particolare p. 315 ss.: « Sembra... chela Corte abbia voluto prendere le distanze dalla tradizionale concezione “oggettiva” dellacausa come funzione economico sociale tipica e astratta del contratto », per indagare inve-ce circa l’eventuale « mancanza della causa in concreto », facendo proprie le più moderne« concezioni della causa come “funzione economico-individuale” del contratto, che enfatiz-zano l’analisi del concreto contesto economico in cui i privati hanno agito, e la rilevanza diuna “causa concreta” del negozio ». Ma cfr. anche St. Romano, La pretesa nullità di negozielusivi di norme fiscali, in Contratti, 2008, p. 1162 ss., specie pp. 1170-1171: la Corte« chiarisce che la nullità per mancanza di causa non può essere comminata al negozioastrattamente inteso », essendo invece « necessario ricorrere alla nozione di causa in sensoeconomico-concreto, sì da considerare operativamente le concrete ragioni che giustificano ilparticolare contratto ovvero il collegamento fra più negozi...: abbandonando la teoria bet-tiana della causa in astratto quale funzione economico-sociale del contratto, si arriva aconsiderare le ragioni pratiche concrete delle parti, ossia la causa quale funzione economi-co-individuale del singolo contratto ».

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parti a concluderlo, solo perché essa si ricollega ope legis al contratto stesso?Sarebbe come dire che alla causa della compravendita è estraneo lo scambiofra trasferimento della cosa e obbligo del prezzo, visto che si tratta di conse-guenze ricollegate ope legis al contratto!

Sbaglia quindi la Corte a espungere la ragione del risparmio fiscale, con-cretamente perseguito dalle parti, dalla causa (concreta) dell’operazione con-trattuale sotto giudizio. Se la sua ricostruzione della causa concreta fosse statapiù appropriata, includendo anche questo dato, l’esito sarebbe stato opposto:si sarebbe riconosciuto che il dispositivo contrattuale ha un senso chiarissimoe poggia su una robusta ragione di « vantaggio economico » delle parti (altroche « trasferire beni soltanto per trasferirli, e cioè senza perseguire uno scopoeconomico »!); dunque, che non è affatto privo di causa.

Non varrebbe, a difesa di questa decisione, segnalarne la consonanza conil filone di giurisprudenza della Cassazione sull’« abuso del diritto » in campofiscale, culminato con le tre sentenze rese dalle sezioni unite nel dicembre2008: dove, da un lato, l’operazione che genera risparmio fiscale è ammessasolo se sostenuta da « valide ragioni economiche »; e dall’altro lato il meroobiettivo di risparmio fiscale non è considerato, a tal fine, « valida ragioneeconomica » (29). È infatti molto diversa, nelle une e nelle altre, la prospettivadel ragionamento giuridico. Il punto è che, a differenza delle sezioni semplicidel 2005, le sezioni unite del 2008 non ragionano in termini di causa: piùprecisamente, non dicono che la mancanza di « valida ragione economica »dell’operazione (tale non potendosi considerare la ragione di risparmio fisca-le) la rende nulla per difetto di causa; bensì soltanto che la rende inopponibileal fisco. In altre parole: la « valida ragione economica » della giurisprudenzasull’abuso non è la causa in senso civilistico, e non rileva sul piano civilistico;rileva bensì solo sul piano fiscale, come elemento la cui presenza giustifical’operazione agli occhi del fisco rendendo operativo il correlato risparmiod’imposta, mentre la sua mancanza rende l’operazione inopponibile al fisco(ma non civilisticamente invalida).

Acquisito che nelle fattispecie decise da Cass. 2005/20398 e 2005/22932la causa esiste, altro discorso è se essa sia per avventura illecita. Non sarebbescandaloso sostenerlo, ad esempio rilevando che la combinazione contrattualein oggetto è stata concepita dalle parti come mezzo per eludere norme impe-rative (fiscali), e dunque va colpita di nullità per frode alla legge ex art. 1344c.c. Dire questo implica necessariamente fare quello che la giurisprudenza inesame non ha fatto, e cioè valorizzare l’obiettivo di risparmio fiscale come ele-mento della causa (concreta) del contratto: perché si ha frode alla legge pro-prio quando la specifica ragione elusiva entra nella causa del contratto, quali-

(29) Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, nn. 3055-3057, in R. giur. trib., 2009, p. 216,con nota di Lovisolo, L’art. 53 cost. come fonte della clausola generale antielusiva e il ruo-lo delle « valide ragioni economiche » tra abuso del diritto, elusione fiscale e antieconomici-tà delle scelte imprenditoriali.

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ficandola — lo dice espressamente l’art. 1344 c.c. — come causa illecita. Eproprio questo si trova affermato (sia pure incidentalmente) in una sentenzaresa dalla medesima sezione tributaria della Corte di Cassazione nel maggio2005 (30), che precede di pochissimo (ma in punto qualificazioni civilistichecontrasta frontalmente) quelle di ottobre e novembre dello stesso anno (31).

Diciamo per completezza che anche questa pronuncia è, peraltro, quasicertamente sbagliata sotto un profilo più generale: in una fattispecie del gene-re, invero, la conseguenza della nullità sembra davvero eccedente lo scopodella norma elusa, rispetto a cui appare di gran lunga più appropriata la so-luzione che non tocca la validità civilistica del negozio (32), limitandosi a rite-nere i suoi effetti come inopponibili al fisco così da assoggettare le parti alleconseguenze tributarie che esse cercavano di eludere (33). Resta tuttavia fer-mo che sotto il profilo civilistico — e più specificamente dal punto di vista diun buon uso della categoria della causa del contratto — questa pronuncia èsenza dubbio più solida e coerente.

16. — Nella sua travolgente carriera « di successo », tra il 2009 e il 2010la causa concreta conquista un nuovo affascinante territorio: quello dei con-tratti derivati, stipulati con banche soprattutto da enti pubblici territoriali nellaprospettiva di « ottimizzare » la propria finanza. Le cronache riferiscono chespesso questi contratti si sono rivelati disastrosi per gli enti stipulanti, generan-do a loro carico perdite o costi inattesi; che per difendersi da siffatti negativi ri-sultati gli enti hanno spesso attaccato in giudizio il contratto pregiudizievole,chiedendo la rimozione dei suoi effetti; che in diversi casi i giudici hanno accol-to la domanda, invalidando il contratto; che fra le ragioni su cui si basano tali de-claratorie di invalidità figura precisamente il difetto della causa concreta (34).

(30) Cass. 12 maggio 2005, n. 20816, in R. d. trib., 2006, II, p. 690, con nota di F.M.Giuliani, Su talune categorie privatistiche evocate da tre pronunce del supremo collegio intema di elusione-evasione. In motivazione testualmente si legge: « Il Collegio ritiene perti-nente... il richiamo all’art. 1344 del codice civile ».

(31) Dove si esclude espressamente che ricorrano, nella fattispecie, gli estremi di unanullità per frode alla legge.

(32) Anche alla luce del principio sotteso all’art. 10 dello Statuto dei diritti del contri-buente (l. 27 luglio 2000, n. 212): « Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamentetributario non possono essere causa di nullità del contratto ».

(33) In questo senso, v. ad esempio Stevanato, Le « ragioni economiche » nel dividendwashing e l’indagine sulla « causa concreta » del negozio, cit., pp. 324-325; St. Romano,La pretesa nullità di negozi elusivi di norme fiscali, cit., pp. 1171-1172. E poi — soprattut-to — le sezioni unite della Cassazione, citate sopra, alla nt. 29. L’indirizzo che per combat-tere le operazioni elusive non reputa necessario scomodare la nullità per difetto di causa(concreta) sembra oramai stabilizzato: v. da ultimo Cass. 22 febbraio 2013, n. 4535, inDir. e giust., 2013, p. 203.

(34) Per completezza d’informazione si ricorda che gli enti locali, coinvolti in derivatipenalizzanti, hanno individuato e in qualche caso praticato un altro mezzo di tutela dellapropria posizione finanziaria, diverso dall’impugnazione del contratto dinnanzi al giudice

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Prima di esaminare questa giurisprudenza, conviene richiamare almenoper grandissime linee il genere di fattispecie in gioco, e il pertinente contestonormativo.

Dando per noto che cos’è un contratto derivato (genus la cui species piùnota è il contratto swap), ricordiamo — in termini semplificati, e senza indu-giare nelle tecnicalità — che esistono fondamentalmente due tipi di derivati:derivati di copertura e derivati speculativi. I derivati di copertura hanno es-senzialmente la funzione di « coprire » — cioè proteggere — il cliente controil rischio di un andamento avverso degli indici che influenzano il peso econo-mico dell’operazione di finanziamento in cui il cliente stesso è coinvolto. Inve-ce nei derivati speculativi è dominante la funzione di « scommessa » sull’an-damento degli indici rilevanti, di modo che — a seconda del segno e dell’am-piezza di quell’andamento — il cliente potrà trovarsi a guadagnare (anchemolto) o viceversa a perdere (anche molto), nel suo rapporto di dare/averecon la controparte bancaria (35). Un fattore ritenuto decisivo per qualificare iderivati nell’uno oppure nell’altro senso, è come la strutturazione finanziariadel contratto assesti la bilancia del dare e dell’avere fra banca e cliente (c.d.mark-to-market) nel momento iniziale del rapporto: se il mark-to-market èinizialmente assestato sulla parità (qualificandosi appunto come derivato deltipo « par »), il derivato è di copertura; se invece risulta fin dall’inizio negati-vo per il cliente (che parte quindi con un potenziale debito verso la banca), ilderivato si presenta come speculativo — salvo che questo sbilancio in pregiu-dizio del cliente venga compensato con una rimessa di pari importo fatta dal-la banca in suo favore (c.d. upfront) (36).

Ricordiamo ancora che la stipulazione di contratti derivati da parte di

ordinario: il mezzo consistente nell’autoannullamento in via di autotutela della delibera le-gittimante la stipulazione del contratto derivato, con conseguente automatica caducazionedel contratto stesso. Il Consiglio di Stato ha ritenuto questa via percorribile, con una sen-tenza (Cons. St., sez. V, 17 maggio 2011, pubblicata in massima in F. amm. - Cons. St.,2011, p. 2769, ma leggibile per esteso in www.giustizia-amministrativa.it) dove non mancaun riferimento al concetto di causa: là dove — con formula peraltro un po’ oscura — si diceche « il potere di autotutela... non è stato esercitato per sottrarsi puramente e semplice-mente a un contratto economicamente squilibrato, quanto piuttosto a causa della mancatacorretta valutazione della convenienza economica che legittimava l’operazione di ristruttu-razione del debito, ai sensi dell’art. 41 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che, come ta-le, non rientrava nella “causa” del contratto di swap, costituendone piuttosto il presuppo-sto logico-giuridico ». Dove non è così chiaro il rapporto fra « causa » del contratto e suo« presupposto logico-giuridico ».

(35) Illuminanti, nella loro concisione, gli spunti di G. Gabrielli, Operazioni su derivati:contratti o scommesse?, in Contratto e impr., 2009, p. 1133 ss.

(36) Ribadisco la protestatio circa l’estrema semplificazione con cui ho descritto un fe-nomeno che si presenta in realtà quanto mai complesso e sofisticato; e ricordo che la rico-struzione e la « lettura » di esso sono tutt’altro che incontroverse, ma danno invece luogo amarcati contrasti di opinione: cfr. al riguardo A. Carleo-C.D. Mottura-L. Mottura, Sul« valore » di un derivato. Argomentazioni in margine alla disputa tra amministrazioni pub-bliche e banche, in Contratti, 2011, p. 383 ss.

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enti pubblici territoriali è stata disciplinata dall’art. 41 della l. 28 dicembre2001, n. 448 e più in dettaglio dal d.m. (Economia e Finanze) 1o dicembre2003, n. 389, anche con l’obiettivo di contenere il rischio finanziario che puòderivarne a carico degli enti. In tale prospettiva, l’art. 3 del citato d.m. n.389/2003 individua le tipologie di operazioni in derivati che agli enti è con-sentito compiere, dovendosi ritenere che operazioni di tipo diverso sono inve-ce precluse. Da questa disciplina risulta che gli enti territoriali possono stipu-lare contratti derivati « di copertura », mentre è fatto ad essi divieto di stipu-lare contratti derivati « speculativi » (37).

17. — Le sentenze in materia cominciano a uscire intorno al 2005, e di-segnano un panorama frastagliato.

Alcune decisioni sono favorevoli alle banche, e salvano il contratto (38). Al-tre dichiarano il contratto invalido o inefficace, in accoglimento della domandadel cliente. E questo con una pluralità di motivazioni diverse: ora facendo levasul fatto che il cliente — nella specie un Comune — non ha veste di « operatorequalificato » ai sensi della disciplina del mercato finanziario (39); ora per con-trasto con la norma imperativa che limita la possibilità per i Comuni di stipula-re derivati di tipo speculativo (40); altra volta per indeterminatezza e indeter-minabilità dell’oggetto (sotto il profilo della mancata indicazione in contrattodel « capitale di riferimento », che concorre a definire l’entità del rischio assun-to dal cliente) (41); altra volta ancora per difetto dei necessari poteri rappresen-tativi in capo all’organo della società cliente che aveva sottoscritto con la bancail contratto derivato (42). E infine — secondo un orientamento che appare indecisa espansione — per difetto di causa concreta (43).

(37) La materia è stata successivamente regolata dall’art. 62 del d.l. n. 112/2008, con-vertito nella l. n. 133/2008, con norme che peraltro non si applicano alle fattispecie decisedalla giurisprudenza di cui al seguito, ricadenti ratione temporis sotto la disciplina anterio-re. Il citato art. 62 è stato impugnato dinnanzi alla Corte costituzionale per lesione dellecompetenze legislative regionali, ma la Corte lo ha ritenuto costituzionalmente legittimo inquanto coperto dalla riserva di legislazione statale esclusiva che l’art. 117 Cost. pone per lematerie dei mercati finanziari e dell’ordinamento civile: C. cost. 18 febbraio 2010, in Ban-ca, borsa, tit. cred., 2011, II, p. 1. Nell’illustrare il tema dei derivati, l’estensore non hamancato di evocare il concetto di causa: rilevando che i contratti in questione, « oltre adavere una finalità di copertura, possono espletare anche una funzione speculativa, inciden-te sulla stessa struttura causale del contratto ».

(38) Ad esempio Trib. Lanciano 6 dicembre 2005, in G. comm., 2007, II, p. 131; Trib.Bologna 1o dicembre 2009, in G. comm., 2010, II, p. 189, con nota di Caputo Nassetti,Contratto swap con ente pubblico territoriale con pagamento upfront.

(39) Trib. Rimini 12 ottobre 2010, in Guida ent. loc., 2010, fasc. 45, p. 44.(40) Trib. Pescara 12 aprile 2010, in Contratti, 2011, p. 247.(41) Trib. Treviso 17 luglio 2010, in http://studiolegale.leggiditalia.it.(42) Trib. Bergamo 4 maggio 2006, in R. dott. comm., 2007, p. 705.(43) Questo impiego del concetto è apprezzato da Vettori, Il contratto senza numeri e

aggettivi. Oltre il consumatore e l’impresa debole, in Contratto e impr., 2012, p. 1200 ss.,

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A quanto mi consta, quest’ultimo filone è inaugurato da una pronuncia(non una sentenza, però, ma un’ordinanza emessa in sede cautelare) del Tri-bunale di Bari (44). Dovendo valutare il fumus della posizione del cliente(questa volta un privato), che nega di dovere alla banca quanto sarebbe risul-tato in esecuzione del contratto di swap concluso fra le parti, il giudice lo ri-conosce presente proprio sotto il profilo di una molto probabile nullità delcontratto per difetto di causa concreta.

Premesso che la categoria « risponde al modo in cui ormai la giurispru-denza di legittimità concepisce il requisito causale » (45), il Tribunale procedea « verificare, sul piano della causa concreta, se l’incorporazione nel regola-mento della passività pregressa e degli ulteriori costi renda lo schema nego-ziale ab origine incapace di realizzare la funzione di copertura del rischio, daintendersi connaturata al tipo sociale ». Constatato quindi, in base a eviden-ze prodotte in causa, che « il 44,5% del costo complessivo dell’operazione perla società attrice si spiega con costi impliciti, e non sulla base di movimentiavversi di mercato », l’ordinanza così conclude: « Benché la questione meritiun approfondimento in sede di giudizio di merito, anche eventualmente amezzo di c.t.u., sul piano del fumus boni iuris... può concludersi nel senso delverosimile difetto genetico di causa nei contratti stipulati » (46).

dove si rileva che « Facendo riferimento allo scopo pratico negoziale perseguito dalle partila giurisprudenza di merito ha tutelato in modo convincente l’interesse del risparmiatore »il quale si dolga del suo investimento in derivati (ivi, p. 1202).

(44) Trib. Bari, ord. 15 luglio 2010, in F. it., 2010, I, c. 3220, e in Contratti, 2011, p.244, con note di Orefice, Operatore qualificato e nullità virtuale o per mancanza di causa(ivi, p. 250 ss.) e di Pisapia, Rinegoziazione del contratto e nullità per mancanza di causa(ivi, p. 260 ss.). Non può farsi a meno di rilevare la forte componente accademico-scientifi-ca che connota il caso: il difensore della società istante è Giuseppe Tucci; il giudice autoredel provvedimento è Enrico Scoditti, di cui si leggono spesso apprezzabili scritti nelle rivistedi giurisprudenza.

Altri due provvedimenti cautelari gemelli in materia di derivati sono stati poi resi daTrib. Civitavecchia, ord. 8 giugno 2011 e ord. 1o agosto 2011, in Nuova g. civ. comm.,2012, p. 133, con nota di L.G. Vigoriti, Profili soggettivi e oggettivi dei contratti di swapsu tassi di interesse. Il riferimento alla causa è però più esplicito nella nota di commento(dove si parla di « vizio della dimensione causale concreta del contratto ») di quanto lo sianella pronuncia (dove, senza mai evocare la causa, ci si limita alla formula anodina di una« inadeguatezza degli strumenti finanziari... rispetto allo scopo perseguito »).

(45) E qui si fa espresso richiamo a Cass. 2006/10490 e a Cass. 2009/23941 (dietro, ri-spettivamente ai nn. 5-6 e al n. 11), ma anche alle sentenze delle sezioni unite del 2008 intema di danno non patrimoniale, e alla più recente n. 2010/3947 (dietro, rispettivamentealle nt. 2 e 1).

(46) Come dicevo, mi consta che questa sia la prima pronuncia che affronta il tratta-mento dei contratti derivati sotto il profilo della causa (concreta). Nella motivazione di es-sa, peraltro, si richiama un Trib. Monza 31 agosto 2009, la cui decisione sarebbe nel sensoche « la previsione a carico del cliente di un tasso fisso in misura crescente, nell’ambito diuna sequenza di contratti, preclude il raggiungimento dello scopo della copertura del ri-schio, e determina pertanto la nullità del contratto per difetto di causa »: ma di tale pro-nuncia non sono riuscito a reperire il testo.

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Per contiguità geografica e tematica segnalo un altro più recente provve-dimento (sempre d’urgenza, sempre di un giudice pugliese, sempre in tema diderivati, sempre fondato sulla causa concreta) (47): che però si distacca dal fi-lone qui considerato in quanto ricava la nullità del contratto derivato (per di-fetto di causa concreta) non dall’intrinseco squilibrio del contratto stesso, madalla mancata erogazione del finanziamento rispetto a cui il derivato avrebbedovuto svolgere funzione di copertura; e dunque sul terreno del collegamentonegoziale (48).

18. — Il concetto di causa concreta è ripreso, in modo più frontale e di-steso, da una recente decisione del Tribunale di Milano (49), che si segnalapurtroppo come emblematica dei fraintendimenti e delle distorsioni cui la ca-tegoria della causa concreta può dare luogo.

Qui il contratto derivato in questione risulta stipulato da un Comune. Lasentenza muove da un’attenta ricostruzione (assistita da apposita consulenzatecnica d’ufficio) del suo contenuto e dei suoi effetti, rilevando: che il relativomark-to-market era inizialmente negativo per il Comune; che a fronte dellaconseguente potenziale passività a carico del Comune non era stato corrispo-sto a questo alcun upfront; che — contrariamente a quanto sostenuto dalladifesa della banca — la passività stessa non poteva (se non in misura mini-ma) giustificarsi a titolo di commissioni dovute dal Comune alla banca.

Ciò rilevato, la sentenza: da un lato ne ricava che i contratti sotto esamepresentano « connotati speculativi in misura accentuata », così discostandosidallo schema del derivato « di copertura » e quindi dalla « causa in concretopredeterminata dal legislatore »; e dall’altro dà come pacifico (anche per ilfatto di « risultare dagli stessi negozi stipulati ») che le parti avevano invece« inteso stipulare contratti di swap conformi alle tipologie consentite al Co-mune, secondo la normativa sopra richiamata ».

Infine, sulla base di tutto questo i giudici milanesi concludono per la« declaratoria di nullità dei... contratti... per difetto della causa in concretoloro consentita ».

Che pasticcio!La confusione emerge già a livello delle formulazioni linguistiche usate

dalla sentenza: perché parlare di « causa in concreto predeterminata dal legi-slatore » è, puramente e semplicemente, un ossimoro! La causa « concreta » o« in concreto » è, per definizione, quella non predeterminata dal legislatore:

(47) Trib. Lucera, ord. 26 aprile 2012, in http://www.ilcaso.it.(48) Posto che i derivati oggetto di lite « dal punto di vista della causa concreta che li

sostiene, ... sono stati previsti nel contratto di finanziamento al fine di cautelare le particontro il rischio di variazione dei tassi di interesse, ... deve assumersi... l’esistenza di uncollegamento negoziale tra strumento di finanziamento e quelli di copertura... costituentela causa concreta della complessiva operazione, specifica ed autonoma rispetto a quella deisingoli contratti ».

(49) Trib. Milano 14 aprile 2011, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 305.

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la causa che il legislatore predetermina coincide, al contrario, con la causaastrattamente delineata dalle norme che disegnano il tipo contrattuale, e a cuila causa concreta si contrappone proprio perché comprende elementi noncontemplati dalla causa legislativamente tipizzata.

La confusione nell’uso delle parole sembra riflettere pari confusione nellosviluppo del ragionamento. Vediamo.

Dalla sentenza risultano i dati seguenti: a) il contratto concluso fra leparti si autodenomina come derivato « di copertura », e l’intenzione delleparti era precisamente concludere un contratto derivato « di copertura »; b)ma il contratto in questione, per come effettivamente congegnato, ha in realtànatura di derivato « speculativo »; e c) la conclusione di un derivato « specu-lativo » risulta, in quel caso, normativamente proibita. Ebbene, mettendo as-sieme questi dati, la conclusione non sarebbe in nessun caso potuta esserequella affermata dal Tribunale, e cioè la nullità per difetto di causa concreta.Non è difficile spiegare perché.

L’affermazione sub b) riflette l’esercizio di un potere-dovere senzadubbio spettante al giudice: qualificare il contratto secondo la realtà dellasua sostanza economico-giuridica, anche in contrasto con l’autoqualificazio-ne operata dalle parti. E dunque: se anche le parti lo hanno chiamato de-rivato « di copertura », bene ha fatto il Tribunale a dire che quel contrattoin realtà è — e va trattato come — un derivato « speculativo ». Ma se sicombina questo dato con quello esposto sub c), che cosa se ne ricava? Cheil contratto è nullo sì, ma nullo ex art. 1418, comma 1o, c.c. per contrarie-tà a norma imperativa (la norma imperativa, e più precisamente probitiva,del d.m. n. 389/2003, che vieta ai Comuni di concludere contratti derivati« speculativi »): senza bisogno di scomodare la causa concreta, e il suopreteso difetto.

Ricorre qui, tipicamente, un caso in cui l’uso improprio dell’idea di causaconcreta fa tutt’uno con l’indebita sovrapposizione fra due fattispecie di nulli-tà che vanno invece tenute ben distinte: da un lato la nullità per mancanza dicausa, ispirata a una ratio « privata » di salvaguardia dell’assetto di interessidedotto dalle parti nel loro contratto, contro fattori che lo perturbano a detri-mento di una di esse (50); e dall’altro la nullità per (illiceità della causa, o peraltre) ragioni « pubbliche » che rendono il contratto indesiderabile nella pro-spettiva dell’interesse generale. Ma non è l’unico caso in cui la giurisprudenzaappassionata di causa concreta sceglie la casella sbagliata (o la designa conl’etichetta sbagliata). Un altro caso si è incontrato con le sentenze rese nel

(50) Con la conseguenza che non sarebbe affatto peregrino ricondurre la nullità permancanza di causa al paradigma delle nullità relative (esattamente come vi si riconduce,secondo pacifico e del tutto condivisibile orientamento giurisprudenziale, la nullità dell’in-tero contratto in conseguenza della nullità di una singola clausola ex art. 1419, comma 1o,c.c.): per uno spunto, cfr. Roppo, Il contratto, 2a ed., in Tratt. Iudica-Zatti, Milano 2011,p. 708.

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2005 dalla Cassazione in tema di dividend washing e dividend stripping (51).E un altro ancora si propone in una recentissima sentenza di merito, relativaal mutuo di scopo (52).

Immaginiamo ora che controparte della banca non fosse un Comune, maun privato, non soggetto alla norma proibitiva appena richiamata. In questocaso il contratto non potrebbe dirsi nullo di nullità virtuale, perché non risul-ta contrario a nessuna norma imperativa: ma ciò non significa che necessaria-mente si apra la via a una nullità fondata su base diversa, e in particolare suldifetto di causa (concreta).

A leggere la sentenza con attenzione (e forse anche con un pizzico di mali-zia) nasce il sospetto che la ragione vera e profonda su cui i giudici basano il lo-ro giudizio di nullità del contratto stia nel rilievo (svolto qualche pagina primadi introdurre l’idea di causa concreta) per cui il mark-to-market pesantementenegativo fin dall’inizio, e non compensato da un upfront capace di « ricondurrel’operazione finanziaria nell’ambito di un corretto rapporto di sinallagmatici-tà..., comportava che lo squilibrio di partenza sfavorevole alla posizione delComune si risolveva interamente in un vantaggio ingiustificato per la contro-parte ». Di qui l’ulteriore sospetto che — nel pensiero del Tribunale — il difettodi causa concreta faccia tutt’uno con la rilevata mancanza di un « corretto rap-porto di sinallagmaticità », a sua volta desunta dal fatto che il contratto impli-

(51) Sopra, ai nn. 14-15.(52) Trib. Brindisi 22 marzo 2013, in http://www.ilcaso.it. La fattispecie è un mutuo

edilizio (finalizzato ex lege alla realizzazione di alloggi di edilizia popolare), che le particoncepiscono e utilizzano invece come mezzo per ripianare il debito pregresso del mutuata-rio verso la banca mutuante.

Lasciamo pure in disparte l’ossimoro non voluto in cui incorre il Tribunale quandoparla di « causa in concreto, quale obiettiva funzione economico-sociale del contratto », eandiamo alla sostanza del ragionamento. Il giudice parte col dire che l’analisi dell’elemen-to causale va svolta (in concreto, e non in astratto) « al fine di verificare — secondo il di-sposto degli artt. 1343 e 1344 c.c. — la conformità a legge dell’attività negoziale postain essere dalle parti »: quindi imposta il discorso nella linea della causa illecita. Ma pocherighe dopo ecco la virata sorprendente e incomprensibile: constatato che le parti hannoutilizzato lo schema del mutuo di scopo edilizio « per realizzare una funzione obiettiva di-versa da quella per la quale tale strumento giuridico è prevista dalla legge » (e precisa-mente una funzione solutoria di debito preesistente), ne conclude che « difetta, in concre-to, e fin dall’origine, la causa dello stesso ». Dove è chiaro l’errore: la causa (concreta)non manca affatto, al contrario è ben presente proprio nella funzione solutoria che le par-ti hanno (in concreto) assegnato al loro mutuo, e che spiega e giustifica, dal loro punto divista, il senso del contratto; il problema è se mai che la causa solutoria risulta, dal puntodi vista della legge, ripugnante alla funzione edilizia che la legge stessa inderogabilmenteassegna a quel tipo di mutuo; e dunque si configura come causa illecita. In altre parole:quello che manca non è la causa concreta, bensì l’aderenza della causa concreta al tipolegale costruito dalle norme senza margini di flessibilità (preziosi, in questa prospettiva, iragionamenti di Gitti, La « tenuta » del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, inquesta Rivista, 2008, I, p. 491 ss., specie p. 504 ss.). E allora si capisce l’ossimoro de-nunciato sopra: il giudice mescola e confonde causa (concreta) e funzione legalmente tipi-ca del contratto.

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ca uno « squilibrio di partenza sfavorevole alla posizione del Comune » e cor-relativamente « un vantaggio ingiustificato per la controparte » (53).

Ovvero: la causa concreta come grimaldello per superare (o piede di por-co per scardinare) il principio della tendenziale insindacabilità dell’equilibrioeconomico del contratto, e per affermare in linea generale che un contrattocon divario di valore fra prestazione e controprestazione può ritenersi nulloper mancanza di causa (54). Con ciò saltando a piè pari il gigantesco dibattitoda sempre vivo sul tema (e comunque dimenticando la risalente e mai smen-tita giurisprudenza della Cassazione che riconosce la piena validità, sotto ilprofilo causale, della vendita a prezzo irrisorio). Uno stile di decisione e argo-mentazione che riesce difficile condividere (55).

Una diversa via per aggredire il contratto può essere suggerita, se mai,dall’affermazione sub a), che il Tribunale formula senza trarne le appropriateconseguenze. Essa si sostanzia nel dire che le parti si rappresentavano di fare,e intendevano fare, un contratto diverso da quello realmente sottoscritto (underivato « di copertura », e non un derivato « speculativo »). Ebbene, questosarebbe indiscutibilmente un errore, e altrettanto indiscutibilmente un errore

(53) Una logica non dissimile sembra ispirare la decisione (cautelare) di Trib. Modena,ord. 23 dicembre 2011, in Contratti, 2012, p. 130, con nota di Sangiovanni, Contratto diswap, alea unilaterale e interessi meritevoli di tutela. La pronuncia (che non parla espres-samente di causa) ravvisa il fumus della pretesa cautelare del cliente nel rilevato squilibriodelle alee, posto che il contratto litigioso « appare insuscettibile di recare un apprezzabilepregiudizio a un contraente » (la banca), « esponendo viceversa — solamente — l’altrocontraente al rischio di oscillazione dei mercati »; e precisa che tale squilibrio, ben concepi-bile nei contratti tipici dove le parti sono libere di pattuire lecitamente un’alea unilateraleche gravi su una sola di esse, non può invece ammettersi in un contratto atipico come il de-rivato, « soggetto al vaglio di liceità imposto dall’art. 1322 c.c. ».

(54) In questo senso, la sentenza milanese in esame sembrerebbe dare ragione a Liberti-ni, Il ruolo della causa negoziale nei contratti d’impresa, in Jus, 2009, p. 278, là dove af-ferma che « gli usi giurisprudenziali e dottrinali della nozione di “causa in concreto” ...portano ad ammettere un pervasivo controllo dell’equità del contratto da parte del giudi-ce », e quindi « possono essere visti come una variante nominale “domestica” di una regolapiù generale di controllo equitativo della giustizia degli scambi ». Ma l’affermazione puòforse ridimensionarsi, se si considera che un impiego siffatto della causa concreta appareisolato, in un contesto di decisioni che impiegano piuttosto la categoria nella diversa funzio-ne di controllare la coerenza fra l’operatività del contratto e l’assetto di interessi lecitamen-te prescelto dell’autonomia privata delle parti, quale che sia la ragione di scambio sottesa almedesimo.

(55) E che tanto più sorprende, se si considera che solo pochi mesi dopo un’altra sentenzadello stesso Tribunale di Milano (con un collegio presieduto, curiosamente, dallo stesso magi-strato — Laura Cosentini — che presiedeva il collegio cui si deve la decisione criticata nel te-sto) avrebbe seguito una linea di ragionamento radicalmente diversa: Trib. Milano 8 febbraio2012, in http://www.ilcaso.it. Quest’ultima pronuncia, infatti, respinge la pretesa invaliditàdel contratto derivato per asserito « squilibrio delle obbligazioni assunte dalle parti », preci-sando che la presenza nel contratto di componenti speculative non ne determina la nullità permancanza di causa, posto che i derivati speculativi non sono di per sé illeciti: dove quest’ulti-mo passaggio suscita perplessità per la commistione fra il profilo della (nullità per) mancan-za di causa e il profilo della (nullità per) illiceità (un vizio ricorrente, v. sopra, alle nt. 49-52).

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essenziale, in quanto caduto su « natura » o « oggetto » del contratto ex art.1429, n. 1, c.c. (56). Ove ne risultasse anche la riconoscibilità, esso darebbeluogo ad annullamento del contratto (57).

Ma nessuno spazio — si ripete — sembra esservi per una nullità da difet-to di causa (concreta). E lo stesso pare a dirsi riguardo ai casi decisi da altrepiù recenti pronunce (58).

19. — Tutto questo suona abbastanza familiare, trasmette come una sen-sazione di storia già vista: la storia di una giurisprudenza che — presa dal-

(56) L’astratta configurabilità — in fattispecie del genere — di un errore sulla naturadel contratto è espressamente affermata da Trib. Milano 19 aprile 2011, in Contratti,2011, p. 761 (collegio ancora presieduto da Laura Cosentini): il Tribunale tuttavia nonpronuncia l’annullamento, ritenendo in concreto non raggiunta la prova circa l’effettivasussistenza e portata dell’errore.

(57) Anzi, potrebbe perfino ipotizzarsi che nella fattispecie risulti superfluo il requisitodella riconoscibilità, se da un lato si seguisse la tesi interpretativa che espunge tale requisitonei casi di errore « comune » a entrambe le parti, e dall’altro lato si seguisse la posizionedel Tribunale, apparentemente nel senso che sia il Comune sia la banca si rappresentavanodi fare un contratto diverso da quello fatto. Deve però dirsi che questo francamente nonsembra realistico, alla luce dell’asimmetria informativa fra le parti: se può credersi che ilComune immaginasse falsamente che il contratto in via di stipulazione fosse un derivato dicopertura (e non speculativo, quale in realtà era), è realistico pensare che la banca fosse in-vece ben consapevole (e desiderosa!) di stipulare proprio il derivato speculativo effettiva-mente stipulato.

(58) Così a proposito di Trib. Monza 14 giugno 2012, in Banca, borsa, tit. cred., 2012,II, p. 70, che sembra anch’essa sovrapporre nullità per difetto di causa ed errore sulla natu-ra o sull’oggetto del contratto, là dove afferma che « La non rispondenza delle condizionieconomiche contrattuali alla funzione di copertura del rischio negli stessi enunciata necomporta la nullità per difetto di causa..., da intendersi quale sintesi degli interessi concre-tamente perseguiti dalle parti ».

Così pure a proposito di Trib. Orvieto 12 aprile 2012, inedita, che del pari sorvola sullacomplessità del problema della ragione di scambio originariamente squilibrata, nel momen-to in cui con troppa nonchalance parla di « squilibrio genetico tra le posizioni dei con-traenti, destinato a risolversi in una mancanza della causa concreta del contratto diswap ». Forse per rafforzare una motivazione di cui percepisce la fragilità, la pronuncia ag-giunge che la richiesta del Comune di cancellare il derivato gravoso si giustifica anche conla rilevata violazione degli obblighi informativi a carico della banca, integrante grave ina-dempimento contrattuale.

In questo panorama, Trib. Pescara 3 ottobre 2012, in http:/www.ilcaso.it, spicca perl’assenza di alcun riferimento alla causa concreta. In termini molto neutri si limita a rileva-re che « ove gli swaps fossero ab origine contratti non par, ossia... presentassero al momen-to della stipula un valore di mercato negativo..., l’equilibrio finanziario delle condizioni dipartenza dovrà essere ristabilito attraverso il pagamento di una somma di denaro da partedel contraente avvantaggiato al contraente svantaggiato..., che... prende il nome di up-front »: senza spingersi a dire (forse perché nella fattispecie l’upfront era effettivamenteprevisto) che in caso contrario il contratto sarebbe nullo per difetto di causa concreta. Ladecisione condanna bensì la banca a riversare al Comune somme trattenute (sull’upfrontcorrisposto) a titolo di commissione: ma, banalmente, sul rilievo che tali commissione nonerano contrattualmente previste e quindi non erano contrattualmente dovute.

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l’ansia di produrre un risultato giusto — usa tuttavia lo strumento sbagliato(o usa in modo sbagliato uno strumento astrattamente giusto).

Nella specifica area del contratto, in anni recenti lo abbiamo già visto al-meno due volte.

Una volta con il filone giurisprudenziale (prevalentemente di merito, manon senza qualche sponda in Cassazione) che per consentire al risparmiatoreil recupero dell’investimento sfortunato colpiva il relativo contratto di acqui-sto degli strumenti finanziari con una nullità virtuale ex art. 1418, comma 1o,c.c., pretendendo di fondarla sulla contrarietà del contratto stesso alle normerelative agli obblighi informativi dell’intermediario finanziario, violate daquest’ultimo: quando la via corretta per giungere al risultato non era quelladella nullità, bensì quella delle risoluzioni e/o dei risarcimenti (59).

Un’altra volta con la molto discussa sentenza di Cassazione 2009/20106in tema di sindacato giudiziale sull’esercizio del recesso pur contrattualmenteconsentito (60): dove il condivisibile obiettivo di proteggere il destinatario delrecesso contro modalità scorrette e conseguenze ingiustamente pregiudizievolidel suo esercizio è perseguito con l’enunciazione di un generale « manifesto »dei poteri di sindacato giudiziale sugli atti di autonomia privata, dai contenu-ti e dalle formulazioni non sempre condivisibili (61).

Finiremo con l’includere anche la categoria della causa concreta (pur cosìaccattivante, pur così promettente) nel catalogo dei « mezzi » troppo imper-fetti — troppo spesso oscillanti fra impieghi futili e impieghi perfino un po’pericolosi (62) — per essere tranquillamente giustificati dai « fini »? Finiremocon l’ascriverla alla serie di quelle « buone intenzioni » di cui è purtroppo la-

(59) Ma si deve riconoscere che la stessa giurisprudenza ha poi messo le cose a posto,con Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, in Danno e resp., 2008, p. 525. Del tema mi sonooccupato in alcuni scrittarelli, cui mi permetto di rinviare: Roppo, La protezione del rispar-miatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattua-li), in Contratto e impr., 2005, p. 896 ss.; Roppo (con G. Afferni), Dai contratti finanziarial contratto in genere: due punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilitàprecontrattuale, in Danno e resp., 2006, p. 29 ss.; Roppo, La nullità virtuale del contrattodopo la sentenza Rordorf, in Danno e resp., 2008, p. 536 ss.

(60) Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, in F. it., 2010, I, c. 85, con nota di Palmieri ePardolesi, Della serie « a volte ritornano »: l’abuso del diritto alla riscossa.

(61) Come ho cercato di argomentare nella relazione al convegno « Draft Common Fra-me of Reference: What for? », organizzato dall’Università Bocconi (Milano 8 ottobre 2009).Ma la sentenza è stata oggetto di discussione e attenzione critica molto ampia in dottrina: v.da ultimo C. Scognamiglio, L’abuso del diritto, in Contratti, 2012, p. 5 ss. (e ivi, alla nt. 1,estese indicazioni bibliografiche).

(62) Paradigmatico degli impieghi futili il richiamo contenuto nella pronuncia (sopra,alla nt. 3) in tema di concordato preventivo (e v. infatti i condivisibili rilievi di Scoditti,Causa e processo nel concordato preventivo: le sezioni unite alla prova della fattibilità, inF. it., 2013, I, cc. 1578-1579). Mentre gli impieghi pericolosi (in quanto veicolo di decisio-ni ingiuste) sono bene esemplificati dalle sentenze che danno valore di causa a interessi diparte che dovrebbero confinarsi al rango di semplici motivi: come quella in materia assicu-rativa, riferita al n. 11.

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stricata la via dell’inferno? (L’inferno — intendo — della distorsione dei con-cetti e della torbidezza dei ragionamenti. Dunque dell’arbitrio delle decisio-ni).

Non lo considero un esito ineluttabile. È sufficiente — per scongiurarlo— che gli interpreti evitino di innamorarsi superficialmente della causa con-creta intesa solo come bella formula; non si appaghino di profferirla godendo-ne il suono, ma si sforzino di afferrarne e tenerne saldamente i contenuti e iconfini; rifuggano da viverla come una formula magica, come un mantra as-sai trendy ma vuoto; e si decidano piuttosto a trattarla più laicamente e piùsobriamente, come strumento operativo da maneggiare con sapienza profes-sionale per produrre giudizi al tempo stesso giusti e tecnicamente ben fondati.

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