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BOMPTANJ TESTI A FRONTE

PldLone Apologia di Socrate

TESTO INTEGRALE

Due sono le opere di Platone più lette: il F etio ne e l'Apologia di Socrate. Tn entrambe l'eroe protagonista di eccezionale statura è $òcratè . L'evento ClJi si tifeti$ce l'Apologta -uno dei dialoghi delTa giovinezza - è· la difesa che Socrate pronuncia dinanzi ai giudic i , durante il processo nel 399 a.C., sotto l'accll�a di Mileto . Tl filosofo S0crate, a seguito di una congiura polìtica, è accusato di corrompere i giovani e di empietà. Per questo è c:ondannato a morte . Ma agli accusatori Socrate rivolge un ultimo e definitivo messa&aio: se credete, col condannar� a morte uomini , di impedire a qualct.mo di ì"iiTlproverarvi perché non vivete in modo retto, voi non pensate bene; a un uomO buono, infatti, liQn può càpitàre nessun male, né in vita né in morte. ll Bene è la vera dimensione dell'Assoluto. Quest'edizione- curata da Giovanni Reale; uno dei ma&,oiori esperti dì Platone a .livello italiano e intetnazìbnale- si d istingue per la terminologia moderna adottata e perl'originale scansione delle p·arti del dialogo . Le nate al testo ri spondcmo a lfesigenza di chiarite i passi più difficili .. Le parole chiave rappresentano un valido aiuto per entrare nel nucleo filosofico del dialogo. La bibliografia raccoglie gli stpdi pi:CJ importanti Sl.lll'Apo.logia degli ultimi Cinquant'anni. Tnoltte il lettore hà a disposizione Una ictmograffa 'SOCratica. IJ testo greco a fronte Tiproduce esattamente l'edizione critica oggi di riferimento(]. Burnet , . Plotonis Opera, "Scriptorum Clàssicotum Bihliotheca Oxoniensis"), conservandone la struttura di rjga e la numerazione.

€ 10.,00 www.bompiani.eu

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Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi

Direttore letterario Mario Andreose

Editor Bompiani Eugenio Lio

l S BN 978-88-452-9024-4

© 2000/2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8- 20132 Milano Xlii edizione Testi a fronte gennaio 2015

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Dedico quest'opera a Carlo Rivolta, che l'ha portata in scena integrale per la prima volta, e come un messaggio vero per il sem­pre, con grande successo presso i giovani.

Perché un pensiero cambi il mondo, biso­gna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che cambi in esempio.

A. Camus, Taccuim; Il, p. 139

G. Reale

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Introduzione

S1RUTTURA, CONCETII CARDINE E FINALITÀ DELL' <<APOLOGIA DI SOCRATE»

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l. Una premessa ermeneutica: l' «Apologia» è da leg­gere e intendere come il documento più cospicuo, veridico e comunicativo presentatoci sulla figura e sul pensiero di Socrate come filoso/o.

Le due opere di Platone in larga misura più lette sono il Pedone e l'Apologia di Socrate.

In tutte e due queste opere l'eroe protagonista di eccezionale statura è Socrate. Ma il modo in cui viene presentato nell'una e nell'altra è molto diverso, con tutta una serie di conseguenze che è opportuno met­tere bene in evidenza.

La differenza di fondo consiste in quanto segue. Nel Pedone Socrate viene presentato soprattutto

come dramatis persona, e, potremmo ben dire, come maschera emblematica del filosofo per eccellenza. Pur riferendosi a ben precisi dati storici (soprattutto nel finale) , Platone gli mette in bocca dottrine che non sono affatto socratiche, ma sono sue precipue scoper­te. In particolare, mette in bocca a Socrate una cospi­cua e sistematica presentazione della teoria delle Idee e su di essa fonda il concetto di anima e la dimostra­zione dell'immortalità di essa. In altri termini: nel Pe­done Platone usa la maschera di Socrate per presen­tare i punti-chiave della propria dottrina, che, pur sviluppando alcuni elementi del maestro, vanno mol­to al di là di lui, spingendosi fino agli estremi della di­mensione del metafisico.

Per contro, nell'Apologia di Socrate Platone non introduce, se non incidentalmente, tratti specifici de­rivanti dalla propria dottrina. Presenta quindi un So­crate reale e non una maschera drammaturgica, to- ·

gliendo tutti quei tratti aggiuntivi, ossia tutta quella

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serie di implicanze e di conseguenze che egli traeva parlando mediante quella maschera, per mostrarci il personaggio vero e mostrarci il suo messaggio ultima­tivo, almeno in quel preciso modo in cui egli li aveva visti e compresi.

A prova di quanto stiamo dicendo, vanno messi in rilievo alcuni precisi avvertimenti che Platone stesso ci fornisce, ma che troppo spesso vengono trascurati, oppure non adeguatamente intesi.

Platone nelle sue opere cita se stesso solo tre volte, e proprio nelle due opere di cui stiamo parlando: una volta nel Pedone, due volte nell'Apologia.

Nel Pedone dice di non essere stato presente alla morte di Socrate, e scrive: «Platone, credo, era am­malato» (59 B). Nell'Apologia, invece, ribadisce la propria presenza al processo in maniera marcata (cfr. p . 34 A e p . 38 B) . Nel secondo dei passi citati Plato­ne si mette addirittura in prima fila fra coloro che erano disposti a pagare la multa per riscattare Socrate dalla condanna. Leggiamo il passo: «Ma ci sono qui Platone, cittadini ateniesi, Critone, Critobulo e Apol­lodoro, i quali mi esortano a multarmi di trenta mine e sono loro stessi che ne danno garanzia. Propongo, dunque, la multa di trenta mine. E di questa multa vi saranno garanti costoro, in piena fiducia».

li significato di questi messaggi è chiaro: nel Pedo­ne Platone indica con un preciso gioco drammaturgi­co che quanto dirà non è una narrazione storica; nel­l'Apologia, invece, egli si colloca nella dimensione og­gettiva, che con terminologia moderna potremmo di­re della verità storica.

Inoltre, c'è da tener ben presente anche quanto se­gue. Solo l'Apologia reca nel titolo stesso il nome di Socrate, mentre in tutti gli altri dialoghi, in cui So-

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crate è pure protagonista, il titolo del dialogo è dato dal deuteragonista. La ragione di questo sta nel fatto che negli altri dialoghi Socrate è presentato in preva­lenza (e in certi casi addirittura esclusivamente) come maschera emblematica del filosofo, mentre nell' Apo­logia viene presentato non come maschera, ma come personaggio reale, e perciò il suo nome compare nel titolo.

Naturalmente, si può obiettare che le varie fonti da cui traiamo notizie su Socrate differiscono fra lo­ro. In particolare Senofonte, la fonte più ricca oltre quella di Platone, ci dà un'immagine più sbiadita, e comunque di ben altra rilevanza.

Si può dire, allora, che Platone, nell'Apologùz, ha amplificato o addirittura falsificato la vera immagine di Socrate?

La risposta che si può dare al problema, a nostro avviso, è semplice. Posto anche che Platone abbia in­grandito l'immagine di Socrate, nel fare questo egli non ha modificato la cosa stessa, ma, al più, potrem­mo ben dire, come in uno specchio di ingrandimen­to, ne ha evidenziato certi tratti, facendocela com­prendere meglio, e, sotto certi aspetti, in modo pres­soché perfetto.

Altre fonti invece, in particolare Senofonte, sono come uno specchio che rimpicciolisce. D'altra parte, è proprio il caso di dirlo, quidquid recipitur, ad mo­dum recipientis recipitur. In effetti, l'eccezionale gran­dezza del personaggio Socrate comportava, come con­seguenza, il fatto che non poteva se non venir recepi­to in modo differente, appunto secondo la portata delle capacità che aveva colui che lo recepiva.

In ogni caso, c'è una controprova che conferma la veridicità storica dell'Apologia di Socrate.

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Trattandosi di un processo di Stato che portò So­crate alla condanna a morte, se Platone avesse detto il falso in questo suo scritto, si sarebbe reso colpevole nei confronti dello Stato medesimo, con tutta una se­rie di conseguenze facilmente immaginabili. Il nume­ro assai elevato dei giudici e anche quello del pubbli­co che assistette al processo, in ogni caso, rendevano di fatto impossibile qualsiasi falsificazione, o comun­que cospicue modificazioni delle cose awenute e det­te, proprio da parte di un discepolo della notorietà e del calibro di un Platone.

2. Il processo intentato contro Socrate e i capi d} ac­cusa formali su cui si fondava.

L'evento cui si riferisce l'Apologia, come abbiamo già detto sopra, è il processo stesso intentato contro Socrate nel 399 a.C. , mentre l'azione rappresentata nel corso dello scritto è appunto la grande difesa del filosofo al processo.

Ma per quale motivo fu intentato a Socrate un processo di tale portata che implicava la pena di mor­te, e quale fu il preciso atto d'accusa che gli venne ri­volto?

Platone stesso ce lo riferisce bene: «Socrate è col­pevole di corrompere i giovani e di non credere in quegli dèi in cui crede la Città e di introdurre nuove divinità» (24 B-C). Senofonte ci conferma questo atto d'accusa quasi con le stesse parole: «Socrate è colpe­vole di non credere negli dèi in cui crede la Città e di introdurre altre nuove divinità; è colpevole anche di corrompere i giovani» (Memorabilz� I 1). Nel para­grafo che segue leggeremo anche il documento conte-

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nente l'accusa formale, il cui testo ci è stato conserva­to, che corrisponde in modo perfetto a quanto scrivo­no Platone e Senofonte.

Questo atto d'accusa non era di carattere privato, ma, in base alle leggi vigenti in Atene, era considerato un processo di Stato. Si tenga presente, infatti, che le questioni riguardanti gli dèi e i culti religiosi erano di competenza della Città, che in materia aveva una so­vranità, per certi aspetti, pressoché assoluta. Offen­dere gli dèi della Città era considerato un atto di offe­sa contro la Città medesima. L'accusa che veniva fatta contro chi faceva questo, l'istruzione del conseguente processo e la sua celebrazione erano, per conseguen­za, questioni di Stato. Tanto più se, come nel caso del­l'accusa rivolta contro Socrate, le idee religiose in que­stione venivano considerate fonte di corruzione dei giovani e quindi dei cittadini.

Gli dèi in cui Socrate non credeva erano gli dèi del­la tradizione mitologica. Ed egli respingeva tali dèi per due motivi.

In primo luogo, egli giudicava assurdi e incompa­tibili con il concetto del divino i comportamenti che venivano loro attribuiti. La mitologia parlava di con­tese tremende fra gli dèi, di lotte e di conflitti ad di­rittura fra padri e figli, di adultèri, di spergiuri e di al­tre cose di tal genere, di cui gli dèi si sarebbero mac­chiati, proprio come gli uomini, e addirittura in mo­do ancora peggiore. Al sacerdote Eutifrone, nel dia­logo omonimo, Socrate dice espressamente: «Allora ri­tieni che, veramente, fra gli dèi ci sia guerra degli uni con gli altri, e che ci siano lotte e tremende contese e molte altre cose di questo genere, quali ci vengono narrate dai poeti, e con le quali i nostri templi sono ornati dai nostri valenti pittori, e delle quali è ricama-

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to perfino il peplo che viene portato sull'Acropoli nel­le grandi Panatenee? Dovremo, dunque, dire che que­ste cose sono vere, Eutifrone?» (6 B-C). La natura di dio, secondo Socrate, va pensata in modo totalmente diverso, in strutturale e incontrovertibile relazione con il giusto e il bene.

In secondo luogo, Socrate respingeva la teologia tradizionale anche per le conseguenze etiche che essa comportava. Su quella teologia non risultava possibile fondare un modo di vivere moralmente ordinato e san­to. In effetti, tutte le colpe umane potrebbero venire giustificate, appellandosi al comportamento stesso degli dèi, in quanto di ogni colpa commessa l'uomo potreb­be difendersi dicendo che in quello stesso modo si so­no comportati il tale o il talaltro dio in circostanze ana­loghe alle sue (cfr. Repubblica, II 377 E-378 C).

La natura di dio va pensata, pertanto, in modo to­talmente differente rispetto a quanto la tradizionale teologia mitica insegnava. Come già abbiamo accen­nato sopra, il dio deve coincidere con la natura stessa del bene.

Ma a Socrate nell'atto d'accusa veniva imputato an­che di introdurre nuove divinità.

A che cosa si riferiva questa imputazione? Non si riferiva al concetto filosofico che stava alla

base delle sue critiche agli dèi tradizionali, ma a un certo «segno divino» o «voce divina», o daimonion, che egli soleva affermare di sentire dentro di sé, fin da fanciullo.

Oltre che nell'Apologia (cfr. 27 C ss.;,) l C-D; 40 A-B;-41 D) Platone parla del daimonion socratico an­che in altri dialoghi, come per esempio nell'Eu ti demo ( 272 E), nella Repubblica (496 C), nel Fedro (242 B­C), nel Teeteto (151 A).

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Ma in che cosa consiste questo daimonion? Le precise e inequivoche parole che Platone usa

per illustrarlo non dovrebbero lasciare dubbi. In pri­mo luogo, il daimonion è un segno interiore, è una vo­ce intima. In secondo luogo, tale voce non incita So­crate a fare, bensì lo trattiene dal fare determinate co­se; dunque, non lo esorta, ma gli si oppone. Senofonte nei Memorabili (I 1,4 ; IV 8,1), contrariamente a Plato­ne, dice che il segno divino talvolta spingeva Socrate anche positivamente ad agire: ma si tratta, quasi cer­tamente, di una amplificazione di un dato di fatto ope­rato da Senofonte stesso in maniera indebita. In terzo luogo, si tratta di una voce che Socrate sente nel suo in­timo, ma che egli ritiene non provenire solamente dal­la sua coscienza, ma appunto dal dio, donde l' espres­sione daimonion (evento, fenomeno, fatto divino) .

Naturalmente, molti hanno ritenuto di doversi spingere molto oltre a questo che ci viene detto, per raggiungere una spiegazione soddisfacente. E, nel far questo, hanno seguito due vie opposte: da un lato, qualcuno si è spinto a identificare il «segno» o «feno­meno divino» con un dèmone, personalizzandolo; dal­l' altro, invece, non pochi si sono spinti in direzione opposta, identificando il daimonion semplicemente con la voce morale della coscienza, o addirittura con la vo­ce dell'inconscio.

Ciò che emerge dai testi in maniera chiara è che la verità sta nel mezzo: il daimonion è, come dicevo, una voce interiore della coscienza, ma rappresenta quel momento della coscienza che entra in rapporto con il

·divino. Non si trattava quindi di una nuova divinità, come

l'atto d'accusa diceva, bensì di uno speciale rapporto di Socrate con il divino, nella misura in cui egli sentiva

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quella voce provenire da qualcosa che trascendeva la sua stessa coscienza. Insomma, quel daimoni'on socra­tico esprimeva quel punto di incontro dell'umano col divino, in una dimensione del religioso del tutto stra­ordinaria nel mondo ellenico.

Nella misura in cui Socrate comunicava ai suoi di­scepoli tutto questo, che non rientrava in alcun modo nel credo religioso della Città, gli si imputava di cor­rompere i giovani e coloro che lo frequentavano.

3. Le effettive ragioni per cui Socrate venne trascina­to in tribunale, i suoi accusatori e alcune caratteri­stiche del processo.

Ma fu dawero questo motivo di carattere religioso che spinse gli accusatori di Socrate a presentare l'atto d'accusa?

La risposta non implica dubbi. I motivi furono, in realtà, di carattere politico, e la questione religiosa fu, pertanto, il mascheramento dei veri motivi, e quindi di una vera e propria congiura contro il filosofo.

Questo tipo di processo veniva intentato e cele­brato, in Atene, in seguito alla formale presentazione di un preciso atto di accusa da parte di un responsa­bile, firmatario del medesimo. Nel caso di Socrate il responsabile dell'accusa fu Meleto.

Diogene Laerzio (Il 40) ci riporta i testo integrale, che veniva conservato nel Metroo, ossia nell'archivio di Stato: «Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, con­tro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece, presentò quest'accusa e la giurò: Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèi che la Città riconosce e di introdurre nuove divinità. Inoltre è colpevole di cor-

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rompere i giovani. La pena richiesta è la morte». Co­me si vede, la corrispondenza con i testi di Platone e di Senofonte, letti al precedente paragrafo, è presso­ché perfetta.

Tale personaggio era un rappresentante dei poeti (Apologt'a, 23 E). Ma si trattava di un poeta che non aveva avuto alcun successo, e che promuoveva l'azio­ne giudiziaria contro Socrate prestandosi a un gioco dei politici, e quindi agendo come una pedina da loro mossa. Con questa operazione egli cercava di farsi pubblicità e di avere quel successo e quella notorietà che invano cercava come poeta. Nell' Euti/rone Sacra­te, commentando l'accusa che gli presentava, lo de­scrive nel modo che segue, con un'ironia veramente sferzante: «Un'accusa non certo volgare, mi pare; in­fatti, che un giovane come lui abbia conoscenza di una questione di tanta importanza, non è cosa da po­co. Costui, infatti, a quanto dice, sa in che modo i gio­vani si corrompano e sa chi siano coloro che li cor­rompono. Dev'essere un sapiente. Ora, essendosi ac­corto della mia ignoranza, e che io corrompo i suoi contemporanei, viene ad accusarmi davanti alla Città come davanti a una madre. E mi pare che, fra gli uomini politici, sia il solo che inizia bene la sua atti­vità. È bene, infatti, prima di ogni altra cosa, pren­dersi cura dei giovani, affinché crescano nel miglior modo possibile, allo stesso modo che un buon agri­coltore è naturale che, prima di tutto, si prenda cura delle piante giovani, e, poi, anche delle altre. Così an­che Meleto, forse, vuoi togliere di mezzo noi che, a quanto dice, corrompiamo i giovani germogli; in se­guito, dopo aver fatto questo, si prenderà cura, evi­dentemente, anche dei più anziani e sarà causa di be­nefici assai grandi e numerosi per la Città: ed è natu-

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rale che ciò gli riesca, dal momento che ha preso le mosse da un punto di vista così eccellente» (2 C-3 A) .

Certamente, questo «giovane sconosciuto» non può essere il personaggio di cui Aristofane parla nelle Rane (1303 ) , perché Aristofane parlava solo di perso­naggi assai noti. Era appunto . un giovane awenturie­ro, un fallito che giocava una carta d

, azzardo.

Ma colui che tirò le fila del processo fu il politico Anito, il quale ideò r operazione e convinse Meleto a presentare l

, accusa. Un certo ruolo significativo ebbe

anche il retore-politico Licone, il quale svolse il com­pito di organizzare e dirigere le procedure. In effetti, erano soprattutto i politici a temere e detestare Socra­te per le sue sferzanti critiche, che mettevano a nudo il loro vano e apparente sapere, con tutte le conseguen­ze che ciò comportava, come preciseremo più avanti.

Ecco ciò che ci riferisce Diogene Laerzio (II 38 , traduzione M. Gigante) : « . . . molta invidia si riversò su di lui; specialmente perché tacciava di stolta insipienza quelli che molto presumevano di sé, come, per esem­pio, Anito ( . . . ) . Mal sopportò costui la canzonatura di Socrate e prima attizzò contro lui Aristofane e i suoi amici, poi indusse Meleto a intentargli processo sotto l,accusa di empietà di corruzione dei giovani. L'atto

di accusa fu presentato da Meleto (. .. ) ; tutti i prepara­tivi procedurali furono assolti dal demagogo Licone».

Un processo come quello intentato contro Socra­te, per cui era richiesta la pena di morte, secondo le leggi ateniesi doveva necessariamente svolgersi e ri­solversi nel corso di una sola giornata.

I giudici, come già abbiamo sopra ricordato, erano ben cinquecento, e, oltre ai giudici, p6tevano essere presenti in aula molte altre persone, che assistevano in qualità di cittadini.

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Nell'arco di tempo di una sola giornata avveniva quanto segue. Dopo il discorso che illustrava l'accu­sa, veniva data parola all'accusato per la propria dife­sa. Subito dopo, aveva luogo una prima votazione, me­diante la quale i giudici si esprimevano a favore della condanna oppure della assoluzione. Nel caso che i giu­dici votassero a favore della condanna, essendo richie­sta dall'accusa appunto la pena di morte, la legge ate­niese offriva al condannato la possibilità di proporre una pena alternativa a quella inflittagli. L'accusato (or­mai condannato) , faceva quindi un secondo discorso per convincere i giudici a moderare la pena e di ridur­la nel senso richiesto. Di conseguenza, i giudici dove­vano fare una seconda votazione, al fine di approvare oppure di respingere la pena alternativa proposta dal­l'imputato. L'esito di questa seconda votazione si im­poneva quindi come definitivo e non più discutibile.

I risultati della prima votazione al processo di So­crate furono i seguenti: 280 votarono contro di lui, mentre 220 votarono a suo favore. Secondo la legge ateniese, se solo 250 avessero votato a suo favore (dun­que solo trenta in più) , sarebbe stato assolto.

I risultati della seconda votazione furono invece disastrosi. Socrate, infatti, come vedremo, invece che una pena alternativa (che molti speravano chiedesse) sostenne di meritare addirittura un premio. Di conse­guenza, 360 giudici votarono contro di lui, e 140 a suo favore.

A questo punto il condannato non aveva più alcun diritto di parlare; ma Socrate, approfittando del fatto che i magistrati erano ancora impegnati nell'espletare le pratiche, e quindi non era giunto ancora il momen­to di essere portato in carcere (3 9 E), fece un ultimo discorso di commiato.

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4. I criteri e la struttura drammaturgica adottati da Platone nell' «Apologia di Socrate».

Platone avrebbe potuto includere nel suo scritto tutta una serie di elementi, anche assai interessanti e particolarmente efficaci dal punto di vista narrativo: dalle motivazioni addotte nel discorso degli accusato­ri, ai due momenti delle due votazioni, alle varie rea­zioni del pubblico e dei giudici in particolare, agli at­teggiamenti di Socrate stesso negli intervalli, durante le votazioni, e così di seguito. Avrebbe potuto far uso almeno di un paio di " intermezzi" , di cui in altri suoi scritti ha fatto uso in modo magistrale. Invece, ha spogliato l'evento di tutti i particolari e ha concentra­to l'«azione» nei puri discorsi di Socrate e nell'essen­za dei loro contenuti.

Anzi, ha addirittura congiunto strettamente i tre di­scorsi al punto che qualche lettore, che non tenga ben presente le modalità seguite nella celebrazione del processo, può cadere facilmente nell'errore di ritene­re che si tratti di un unico discorso.

Fra un discorso e l'altro, in realtà, dovette trascor­rere non poco tempo, vale a dire quello richiesto dal­l'operazione della votazione di ben cinquecento giu­dici e dal conteggio dei loro voti. Ma Platone brucia questi tempi, e con grande abilità artistica congiunge l'uno dall'altro, con grande efficacia, dividendoli arti­sticamente con una potente sferzata drammaturgica, ottenuta mediante il semplice richiamo degli esiti del­le votazioni.

li primo discorso conclude: «E affiqo a voi e al dio il compito di giudicare di me in quel modo che sarà migliore e per me e per voi» (3 5 D) . E subito di se-

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guito, senza che di fatto si parli della prima votazio­ne, si legge: «Che io non sia indignato o cittadini ate­niesi, per quello che è accaduto, ossia che abbiate vo­tato per la mia condanna . . . ». Analogamente, il secon­do discorso conclude: «Propongo, dunque, la multa di trenta mine. E di questa multa vi saranno garanti costoro in piena fiducia» (3 8 B). E il terzo discorso, in modo improvviso, in modo del tutto analogo al se­condo, senza che si parli della seconda votazione, su­bito comincia: «Per non voler attendere non molto tempo, o cittadini ateniesi, voi avrete la cattiva fama e la colpa, da parte di coloro che vogliono rimprovera­re la Città, di aver condannato a morte Socrate, uomo sapiente . . . ».

Platone astrae in modo straordinario dalla contin­genza degli eventi e da tutti quanti i particolari, per mirare, nella maniera più forte e più radicale, all'idea di fondo.

Viene qui alla mente un bel passo di von Humboldt che qualcuno ha giustamente già usato per interpre­tare la vita di grandi uomini, ma che proprio a Sacra­te si addice in modo perfetto: «Nell'uomo, come in ogni altra vivente realtà, c'è sempre una certa parte che riguarda solo lui e il suo essere accidentale, e che muore con lui, dopo essere rimasta a buona ragione sconosciuta agli altri; per contro, c'è in lui un'altra parte mediante la quale egli si connette a un'idea, che in lui si è espressa con particolare chiarezza, e di cui egli è il simbolo. Si può anzi fondare la distinzione fra gli uomini nel fatto che gli uomini comuni sono sola­mente simboli del concetto della loro stirpe (: . . ), gli uomini grandi e straordinari simboleggiano un'idea, alla quale si poté pervenire solo perché essi la rappre­sentarono con la loro vita» (Tagebucher, II 452).

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Ed è proprio questo che Platone ha espresso nella sua Apologia di Socrate: ha puntato per intero sull'i­dea che Socrate ha simboleggiato e alla quale si poté giungere, appunto perché e nella misura in cui Sacra­te l 'aveva simboleggiata.

Nei tre discorsi strettamente connessi leggeremo appunto la rappresentazione di questa idea in tutte le sue implicanze e conseguenze.

5. Struttura del primo discorso.

TI primo dei discorsi di Socrate, che contiene la sua vera e propria «difesa», è di gran lunga il più am­pio e più complesso, mentre gli altri due esplicitano alcune conseguenze.

Esso si impernia su quattro punti chiave: in primo luogo, dopo una breve introduzione intesa a dimo­strare i metodi che seguirà nella sua difesa, Socrate chiama in causa i suoi primi accusatori, non quelli che hanno intentato il processo, ma quelli che, in qualche modo, hanno preparato quei presupposti dal quale esso è nato. Questi primi accusatori lo hanno in vario modo diffamato, creandogli una immagine negativa, che si è in vario modo diffusa.

In secondo luogo, vengono chiamati in causa i veri accusatori che lo hanno portato in tribunale, e in par­ticolare Meleto, e vengono confutate le sue accuse.

In terzo luogo, Socrate presenta il nucleo centrale del suo pensiero filosofico e spiega il senso della sua missione. A questo terzo momento se ne connette strettamente un quarto, che ha lo scopo di mostrare le conseguenze sociali ed educative del suo pensiero e della sua missione.

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A conclusione di questo suo grande discorso, So­crate chiede ai giudici non pietà, ma giustizia.

n lettore, che non segua con attenzione questa com­plessa articolazione del discorso, rischia di non coglie­re il suo messaggio in tutta la sua portata, e per que­sto motivo abbiamo cercato, con opportuni titoli e con una giusta impostazione tipografica, di scandire in mo­do opportuno la struttura e il ritmo drammaturgico.

Prendiamo in esame, sia pure in modo sintetico, ciascuno di questi punti-chiave.

6. I primi accusatori di Socrate.

I primi accusatori di Socrate sono stati quelli che hanno identificato il suo pensiero con quello dei Na­turalisti e dei Sofisti.

Si è creduto (confondendolo con alcuni dei filosofi naturalisti) che egli indagasse sulle cose che stanno nei cieli e sotto terra, sconvolgendo, con la sua sapienza, le comuni opinioni degli uomini, negando, per esem­pio, la divinità del Sole e della Luna, affermando che essi sono pietra e terra. E, in particolare, si è creduto (confondendolo con i Sofisti) che egli insegnasse a presentare, con l'abilità del discorso, come più forti le cose che sono di per sé più deboli, e viceversa. E proprio Aristofane, nella sua commedia Le Nuvole, più di tutti ha contribuito a consolidare e a diffonde­re queste convinzioni.

In realtà, Socrate è ben lungi dal considerarsi un sapiente, almeno nel senso in cui si consideravano tali i filosofi della natura o i Sofisti. Quella che egli am­mette espressamente di possedere è una «sapienza umana», vale a dire una sapienza ben cosciente della

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propria fragilità, e anche della fragilità delle cose stes­se cui essa si riferisce.

Ma, allora, come mai Socrate si è creato una così grande fama di sapiente?

Tale fama derivò a Socrate da un responso dell'Ora­colo di Delfi. L'amico Cherefonte, infatti, un giorno chiese alla sacerdotessa Pizia in Delfi chi fosse in Grecia il più sapiente. E la Pizia diede quel responso che per i Greci divenne emblematico: «Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini».

Ma che cosa poteva mai voler dire il dio di Delfi, con questa affermazione, dal momento che Socrate riteneva, invece, di sapere una sola cosa, ossia di non sapere?

Per interpretare il responso del dio di Delfi, allora, Socrate sottopose a un attento esame tutti coloro che comunemente si ritenevano depositari del sapere: i politici, i poeti e i tecnici.

Ma i politici, messi alla prova, si rivelarono ben lontani dall'essere in possesso di quel sapere che rite­nevano di avere, con il comune consenso.

E, ·dopo aver narrato del primo esame cui sottopo­se uno dei più famosi politici del momento, con cui si dimostrava che egli semplicemente credeva di essere sapiente, ma che in realtà non lo era affatto, Socrate conclude: «Di conseguenza, mi feci nemici sia lui, sia molti di coloro che erano presenti. E mentre me ne andavo trassi allora le conclusioni che rispetto a que­s(uomo io ero più sapiente. Si dava il caso, infatti, che né l'uno né l'altro di noi due sapesse niente di buono né di bello; ma costui era convinto di sapere mentre non sapeva, e invece io, come non sapevo, neppure cre­devo di sapere. In ogni caso, mi parve di essere più sa­piente di quest'uomo, almeno in questa piccola cosa,

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INTRODUZIONE 25

ossia per il fatto che ciò che io non so, neppure ritengo di sa perlo» (21 D) .

A loro volta, i poeti, sottoposti alla prova, mostra­rono di non aver conoscenza di quelle stesse cose sul­le quali avevano scritto. Essi, infatti, componevano i loro carmi non sulla base di una precisa sapienza, ma per una certa dote naturale, e precisamente per una divina ispirazione, del tipo di quella che hanno i vati e gli indovini.

Ed ecco la conclusione che, di conseguenza, So­crate trasse: « . . . mi accorsi che i poeti, a causa della lo­ro poesia, ritenevano di essere i più sapienti degli uo­mini anche in quelle cose in cui non lo erano. Pertan­to, mi sono allontanato anche da questi, con la persua­sione di valere di più per lo stesso motivo per cui vale­vo di più degli uomini politici» (22 C).

Infine, gli artigiani, sottoposti essi pure alla prova, rivelarono di avere, sì, certe conoscenze specifiche sul­le cose che facevano; ma ciascuno di essi era convinto, proprio a motivo di queste conoscenze specifiche, di essere sapiente anche sulle cose che non avevano nul­la a che vedere con quelle su cui verteva la sua arte.

Ed ecco le conclusioni tratte da Socrate sugli arti­giani: «Perciò, stando al responso dell'oracolo, posi a me stesso la domanda se avrei accettato di rimanere in quello stato in cui mi trovavo, ossia di essere né sa­piente della loro sapienza, né ignorante della loro igno­ranza, oppure di avere tutte e due quelle cose che essi avevano. La risposta che io diedi a me e all'oracolo fu che, per me, era meglio rimanere in quello stato in cui mi trovavo» (22 E) .

Ma, allora, che cosa ha inteso dire l'oracolo con il suo responso: «Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini»?

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26 INTRODUZIONE

L'oracolo ha voluto dire che, in realtà, il vero sa­piente è solo il dio, mentre la sapienza umana ha po­co o nessun valore. Di conseguenza, vero sapiente è chz: come Socrate, si è reso conto della fragilità e della limitatezza della sapienza umana.

Dunque, conclude Socrate: « .. .il dio sembra che parli proprio di me, Socrate, e invece fa uso del mio nome, servendosi di me come di esempio, come se di­cesse questo: "O uominz: fra di voi è sapientissimo eh� come Socrate, si è reso conto che, per quanto riguarda la sua sapienza, non vale nulla"» (23 A-B).

Ma proprio in conseguenza di tutto questo nacque a Socrate la fama di essere un grande sapiente, e in particolare l 'odio di tutti coloro che furono esaminati e confutati, così come nacque anche il parallelo entu­siasmo dei giovani che seguivano questo suo sotto­porre a esame i presunti sapienti.

7. I secondi accusatori di Socrate.

n secondo gruppo di accusatori fu quello dei pro­motori dell'atto di accusa: Anito, Li con e e in partico­lare Meleto.

La confutazione che Socrate fa dei due punti del­l'accusa di corruzione dei govani e di empietà è netta e categorica.

In primo luogo, per poter accusare uno di cor­rompere i giovani e quindi di metttere a repentaglio la loro educazione, bisognerebbe possedere una pre­cisa conoscenza della natura stessa dell'educazione degli uomini. Bisognerebbe sapere che cosa sia ciò che veramente li educhi e che cosa invece li corrom­pa. Ma Meleto, chiamato in causa, si confonde e si

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contraddice, e mostra di essere ben lontano dall'ave­re conoscenza di queste cose. Pertanto, Meleto accu­sa Socrate di corrompere i giovani, senza avere ade­guate conoscenze delle cose stesse su cui la sua accu­sa si fonda.

Nella difesa contro t» accusa di empietà, Socrate se­gue una via particolare.

L'accusa, infatti, imputava a Socrate di non crede­re in quegli dèi in cui crede la Città, e di introdurre nuove divinità.

Sul primo punto Socrate non discute. Avrebbe do­vuto dire quelle cose che Platone gli fa dire nell' Euti­/rone, di cui abbiamo sopra riferito. Evidentemente, su questo punto non sarebbe stato per nulla compre­so dai più, e adducendo quelle sue motivazioni, pur adeguatamente fondate, avrebbe in ogni caso confer­mato la validità dell'accusa, ossia di non credere negli dèi della Città.

Socrate, pertanto, porta la sua difesa su un piano dialettico-confutativo assai più efficace.

Chiede a Meleto se, col rivolgergli t» accusa di em­pietà, intenda rivolgergli anche r accusa di essere ateo, ossia di non credere affatto negli dèi. E alla risposta positiva e secca di Meleto, Socrate ha buon gioco nel dimostrare come r accusa sia autocontraddittoria. Es­sa, infatti, imputa a Socrate di non credere negli dèi della Città, ma, a un tempo, imputa anche a Socrate di introdurre nuove divinità. Di conseguenza, impu­ta a Socrate, in maniera congiunta, sia di non credere sia di credere negli dèi. È del tutto assurdo pensare che uno possa essere un ateo e a un tempo un intro­duttore di nuovi dèi nella Città.

Dunque, le accuse mosse a Socrate sono inconsi­stenti e incoerenti in tutti i sensi.

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8. Il messaggio /z'loso/ico di Socrate e i suoi concetti di base: l'uomo è la sua anima e il /t'ne supremo della vita dell'uomo è la cura dell'anima.

Dicevamo sopra, leggendo il passo di von Hum­boldt, che gli uomini grandi e straordinari sono quelli che incarnano un'idea e la portano in atto. E l'idea di fondo che Socrate ha portato in atto consiste nella scoperta dell'essenza dell'uomo e della connessa fon­dazione della filosofia morale.

Lo scopo del filosofare di Socrate, degli esami e delle molteplici prove cui sottoponeva i suoi interlo­cutori, era questo: dimostrare che l'essenza dell'uomo sta nella sua anima (nella sua psyche), ossia nella sua intelligenza, vale a dire nella sua capacità di intendere e di volere, e quindi in ciò per cui egli diventa buono o attivo.

In realtà, secondo Socrate, l'uomo si occupa trop­po di ciò che ha, e troppo poco di ciò che è. Per essere veramente se medesimo l'uomo non deve occuparsi in prevalenza del suo corpo, dei suoi possessi e del suo po­tere, ma appunto della sua anima, al fine di render/a migliore il più possibile, perché da essa dipende tutto ciò che nella vita vale.

n concetto di anima e quello della cura dell'anima costituiscono il cardine del socratismo.

VApologùz riassume questo messaggio di Socrate in una pagina veramente splendida: «Cittadini atenie­si, vi sono grato e vi voglio bene; però ubbidirò più al dio che non a voi; e finché abbia fiato e sia in grado di farlo, io non smetterò di filosofare, di esortarvi e di farvi capire, sempre, chiunque di voi incontri, dicen­dogli quel tipo di cose che sono solito dire, ossia que-

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sto: "Ottimo uomo, dal momento che sei ateniese, ci­ttadino della Città più grande e più 'famosa per sa­pienza e potenza, non ti vergogni di occuparti delle ricchezze per guadagnare il più possibile, e della fa­ma e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità e della tua anima, in modo che diventi il più possibile buona?, . . E se qualcuno di voi dissentirà su questo e sosterrà di pren­dersene cura, io non lo lascerò andare immediata­mente, né me ne andrò io, ma lo interrogherò, lo sot­toporrò a esame e lo confuterò; e se mi risulta che egli non possegga virtù, se non a parole, io lo biasi­merò, in quanto tiene in pochissimo conto le cose che hanno il maggior valore, e in maggior conto le cose che ne hanno poco. E farò queste cose con chiunque incontrerò, sia con chi è più giovane sia con chi è più vecchio, sia con uno straniero sia con un cittadino, ma speciahnente con voi cittadini, in quanto mi siete più vicini per stirpe. Infatti, come sapete bene, queste cose me le comanda il dio. E io non ritengo che ci sia per voi nella Città un bene maggiore di questo mio servizio al dio. In/atti io vado intorno facendo nient'al­tro se non cercare di persuadere vot� e più giovani e più veccht� che non dei corpi dovete prendervi cura, né del­le ricchezze né di alcun' altra cosa prima e con maggior impegno che dell'anima, in modo che diventi buona il più possibile, sostenendo che la virtù non nasce dalle ricchezze, ma che dalla virtù stessa nascono le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico» (29 B-30B) .

'Per giungere all'adeguata comprensione di questo messaggio socratico si è faticato non poco, e alcuni restano tuttora in difficoltà. Rimandiamo chi volesse approfondire il problema alla nostra Storia della /ilo-

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sofia antica (Vita e Pensiero, Milano, vol. I, pp. 300 ss.) . Qui dobbiamo !imitarci ad alcuni richiami e rilievi es­senziali.

Un passo di Werner Jaeger (Paideia, edizione ita­liana, vol. II, pp. 62 s . ) può essere particolarmente il­luminante a questo riguardo, e perciò mette conto ben meditarlo: «Quello che colpisce è che quando Socra­te, in Platone come negli altri Socratici, pronuncia questa parola "anima" , vi pone sempre un fortissimo accento e sembra awolgerla in un tono appassionato e urgente, quasi di evocazione. Labbro greco non ave­va mai, prima di lui, pronunziato così questa parola. Si ha il sentore di qualcosa che ci è noto per altra via: e il vero è che qui per la prima volta, nel mondo della civiltà occidentale, ci si presenta quello che noi anco­ra oggi talvolta chiamiamo con la stessa parola ( . . . ). La parola "anima" , per noi, in grazia delle correnti spiri­tuali per cui è passata alla storia, suona sempre con un accento etico o religioso; come altre parole, "ser­vizio di dio" e "cura d'anime" , essa suona cristiana. Ma questo alto significato, essa lo ha preso per la pri­ma volta nella predicazione protrettica di Socrate».

A prova di questo esiste tutta una serie di documen­ti, che il lettore interessato potrà trovare nella nostra già citata Storia della filosofia antica, l, pp. 305-311.

Quanto abbiamo precisato, in ogni caso, basta per provare l'importanza e la portata veramente rivoluzio­naria del messaggio socratico.

Si comprendono quindi molto bene le conseguen­ze e gli effetti prodotti da questo messaggio, che So­crate cerca di far intendere ai giudici. L'attività da lui svolta doveva essere intesa come l'attuazione di un compito affidatogli dal dio, e dunque come una vera e propria missione. Il suo messaggio, infatti, doveva

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essere come uno stimolo educativo per la Città ad­dormentata, e pertanto esso aveva una funzione so­ciale e altamente morale.

9. Conclusione del primo discorso.

Anche le conclusioni del primo discorso non sono facili da comprendere, nella loro portata, per il letto­re moderno.

Bisogna richiamare un costume dell'epoca, trasci­natosi in molti modi per molto tempo.

Era costume che l'imputato facesse venire in tri­bunale la propria famiglia, e in particolare la moglie e i figli, nonché parenti e amici, per implorare il più possibile compassione e pietà.

Socrate si oppone a questo costume, malgrado le conseguenze negative che ne potevano derivare, por­tando fino in fondo il suo impegno morale.

Ecco le sue affermazioni, veramente straordinarie, appunto nella misura in cui rovesciavano un costume, considerato sacrosanto: «Cittadini (. .. ) non credo sia (. .. ) giusto supplicare il giudice e schivare la condan­na con suppliche, ma mi sembra giusto fornirgli spie­gazioni e persuaderlo. Infatti il giudice ha la funzione non già di /are regalo della giustizia, ma di giudicare secondo giustizia. Ha giurato non già di fare grazia a chi sembri a lui opportuno, ma di fare giustizia se­condo le leggi» (35 B-C) .

Socrate ribadisce questo concetto, ricordando ad­dirittura che le suppliche rivolte ai giudici per schiva­re la condanna, nella misura in cui implicherebbero una sollecitazione a venir meno al giuramento da loro fatto, li esorterebbero a non credere in quegli dèi per

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32 INTRODUZIONE

cui hanno giurato, e quindi a cadere proprio in ciò in cui Socrate è accusato, vale a dire non credere negli dèi.

Ed ecco le sue conclusioni: «Invece la cosa non sta affatto così. lo, o cittadini di Atene, credo negli dèi come nessuno dei miei accusatori. E affido a voi e al dio il compito di giudicare di me in quel modo che sarà il migliore per me e per voi».

10. Il secondo discorso e il ribaltamento strutturale dei piani: Socrate presenta il suo messaggio e la connessa sua attività come meritevole non già di una pena ma di un grande premio.

TI secondo discorso, quello in cui Socrate, dopo la prima votazione che lo condannava a morte, avrebbe dovuto proporre una pena alternativa alla morte, è molto breve, ma assai ardito e tagliente.

Quando uno chiede una pena alternativa, proprio in quanto la chiede, si considera colpevole. Di conse­guenza, con la richiesta della pena alternativa, deve cercare di delimitare la portata della sua colpevolez­za, e quindi cercare di ottenere una pena più modera­ta. Ma Socrate non si ritiene colpevole in alcun mo­do. Anzi, come abbiamo visto, giudica l'opera da lui svolta come una missione affidatagli dal dio, e pertan­to come un bene per la Città.

Di conseguenza, la sua prima risposta alternativa, invece di entrare in quell'ottica, la capovolge, ribal­tando radicalmente la posizione di accusato in cui si trovava, in quella di cittadino che, per il suo operato, meriterebbe un premio dalla Città.

Ecco le sue parole: «Allora, che cosa merito di ri­cevere, dal momento che sono un uomo di questo ge-

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nere? Un bene, o cittadini ateniesi, se si deve giudica­re quello che io veramente merito. E deve essere an­che un bene che convenga a me. Che cosa conviene a un uomo che è povero, che è un vostro benefattore, e che chiede solo di avere tempo libero per potervi esortare? Non c'è nulla che si addica di più, o cittadi­ni ateniesi, se non che un uomo come questo venga nutrito a pubbliche spese nel Pritaneo, assai più che 'non si addica a uno di voi che con un cavallo o un cocchio o una quadriga abbia vinto nei giochi delle Olimpiadi. Infatti costui vi fa credere felici, e io inve­ce vi faccio essere felici. E mentre lui non ha bisogno di ricevere alimenti, io ne ho bisogno. Pertanto, se devo chiedere secondo il giusto ciò che merito, quel­lo che chiedo è questo: di essere mantenuto nel Prita­neo a pubbliche spese» (36 D-37 A).

Molto probabilmente, la maggior parte di coloro che avevano votato contro Socrate, avrebbero sperato che, appunto di fronte alla pena di morte, Socrate a­vrebbe accettato l' aternativa del carcere o dell'esilio, o comunque un tipo di pena che gli impedisse di par­lare in pubblico. I politici avrebbero, con questo, rag­giunto pienamente il loro scopo, che era appunto quel­lo di farlo tacere.

Ma Socrate respinge questo in modo categorico, per due motivi.

In primo luogo, se tacesse, verrebbe meno al com­pito affidatogli dal dio, sottraendosi alla missione che gli era stata affidata.

In secondo luogo, verrebbe meno alla sua stessa convinzione di fondo sul significato del filosofare. Ed ecco le sue conclusioni: «... il bene più grande per l'uomo è fare ogni giorno ragionamenti sulla virtù e sugli altri argomenti intorno ai quali mi avete ascolta-

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to discutere e sottoporre a esame me stesso e gli altri ( . .. ): una vita senza ricerche non è degna per l'uomo di essere vissuta» (3 7 E-3 8 A) .

Ma gli amici (con alla testa Platone) premevano su Socrate che proponesse la pena di una multa di tren­ta mine, che avrebbero provveduto a, pagare loro stes­si, per salvarlo.

E questo Socrate propone, per rispetto agli amici, sia pure a malincuore e senza effettiva convinzione.

1 1. Il terzo discorso e l'ulteriore ribaltamento di pia­ni: Socrate si eleva al di sopra del giudicato e assu­me il ruolo di giudice dei suoi giudici.

Dopo la seconda votazione e la definitiva condan­na a morte, Socrate fa un breve discorso di commia­to, diviso in due momenti: un primo è rivolto a quelli che lo hanno condannato, e un secondo rivolto a quelli che hanno invece votato a suo favore.

A coloro che lo hanno condannato (erano 360) So­crate rivolge due importanti messaggi.

In primo luogo, mette a confronto morte e malva­gità con uno splendido gioco di immagini, assai toc­cante. Veramente difficile non è già sfuggire alla mor­te, bensì sfuggire alla malvagità, perché la malvagità corre molto più veloce che non la morte. E i suoi ac­cusatori, così abili e pronti, sono stati raggiunti pro­prio dalla malvagità, che è la più veloce, mentre lui Socrate, debole e lento, è stato raggiunto dalla mor­te, che è la più lenta. Ed ecco come queste immagini si aprono in profondi concetti: «E ora io me ne vado, condannato alla pena di morte; mentre questi se ne vanno condannati dalla verità per iniquità e ingiusti-

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zia. lo sto alla mia punizione, e questi alla loro» (39 B). In secondo luogo, fa una predizione. Ai giudici

che lo hanno condannato, nella speranza di liberarsi per sempre di chi li costringeva a rendere conto della propria vita, accadrà esattamente il contrario: molti saranno coloro che in futuro faranno quello che lui ha fatto in passato, e saranno tanto più aspri, quanto più saranno giovani.

Ed ecco le conclusioni profetiche del discorso di Socrate a coloro che lo hanno condannato: «Infatti, se credete, col condannare a morte uomini, di impedire a qualcuno che vi faccia rimproveri perché non vivete in modo retto, voi non pensate bene. Questo modo di liberarsi non è certo possibile,. né bello. Invece è bellissimo e facilissimo non quello di stroncare la pa­rola degli altri, ma quello di cercare di diventare buo­ni il più possibile. Questa è la profezia che io faccio a voi che mi avete condannato» (39 D).

È, questo, un concetto di straordinaria portata ve­ritativa: uccidendo un uomo, non si uccide quell't'dea che egli aveva creato e portato in atto, se quell'idea stes­sa è idea di vita. In/attz: se quell'idea tocca verità di fondo, essa si rafforza proprio mediante la morte impo­sta a chi l'ha sostenuta.

Ai giudici che lo hanno assolto (erano 140) Socr­ate rivolge invece alcune considerazioni generali sulla morte e sul suo significato.

Sull'immortalità dell'anima egli non poteva ancora avere precise idee filosofiche, che implicavano guada­gni metafisici raggiunti solo da Platone. (Come abbia­mo sopra già detto, nel Fedone, opera in cui vengono messe in bocca a Socrate le celebri dimostrazioni del­l'immortalità dell'anima, Platone fa capire chiaramen­te di usare Socrate come maschera drammaturgica. )

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La posizione di Socrate doveva essere proprio que­lla qui espressa nell'Apologia.

Dal punto di vista razionale si può dire che la mor­te potrebbe essere una di queste due cose: o una sor­ta di notte eterna, ossia come un andare nel nulla as­soluto, oppure è un passaggio a un'altra vita, un an­dare in altro luogo, dove ci sono veri giudici e dove si trovano tutti gli altri uomini che sono morti, divenuti immortali, e dove si vive una vita felice.

Ebbene, in tutti e due questi casi la morte risulta es­sere un guadagno: nel primo caso, scomparendo ogni cosa, scompare anche ogni sofferenza; nel secondo ca­so, invece, si passa a una vita beata. Con quella che noi chiamiamo "fede" , Socrate era certamente propenso a credere nell'al di là, mentre, dal punto di vista razio­nale, era convinto che conoscesse la verità su queste cose solo la sapienza di dio e non quella dell'uomo.

E le ultime parole dell'Apologia sono rivelative: «È ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e voi, inve­ce, a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, è oscuro a tutti, tranne che al dio».

Ma una frase che Socrate pronuncia poco prima e­sprime la sua convinzione di fondo, in modo veramen­te emblematico: «· ... a un uomo buono non può capita­re nessun male, né in vita né in morte. Le cose che lo riguardano non vengono trascurate dagli dèi» (41 D).

ll Bene è la vera dimensione dell'assoluto.

12. La morte di Socrate.

L'esecuzione della condanna a morte di Socrate non avvenne immediatamente dopo il processo, ma più di un mese dopo.

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Era costume in Atene che dal giorno in cui era in­coronata la nave che veniva mandata in voto ad Apol­lo all'isola di Delo fino al suo ritorno, nessuna pena capitale potesse essere eseguita.

Nel Pedone Platone spiega: «Questa è la nave, co­me raccontano gli Ateniesi, su cui, una volta, Teseo salpò verso Creta, portando le sette coppie di fanciul­li e fanciulle [che ogni nove anni dovevano venir sacrificati nel labirinto del Minotauro] e le salvò dalla morte e salvò anche se stesso. E si racconta che allora gli Ateniesi promisero ad Apollo, se mai quelli si fos­sero salvati, di mandare tutti gli anni a Delo un sacro pellegrinaggio. E dal momento in cui la cerimonia incomincia, è prescritto agli Ateniesi di mantenere la Città pura, e di non mandare a morte nessuno per pubblica condanna per tutta la durata di essa: cioè fi­no a quando la nave sia giunta a Delo e poi non sia di nuovo tornata ad Atene. E qualche volta passa molto tempo, quando capitano venti contrari, che la tengo­no ferma colà. La cerimonia comincia dal giorno in cui il sacerdote di Apollo incorona la poppa della na­ve: e, come dicevo, l'incoronazione della nave awen­ne proprio il giorno precedente la sentenza. E per questo motivo Socrate dovette passare tanto tempo in carcere, fra la condanna e la morte».

Come è noto, in questo periodo di tempo, più vol­te gli amici scongiurarono Socrate di fuggire dal c�u­cere (cosa nell'Atene di allora facile, mediante l'aiuto degli amici) . Il Critone rappresenta l'ultimo di questi tentativi fatti dal suo più caro amico d'infanzia. Ma secondo Socrate il rispetto della legge, anche se male applicata: doveva essere assoluto. La sua scelta fu, quindi, quella di rimanere in carcere e attendere l'e­secuzione della pena.

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ll Pedone rappresenta, invece, le ultime ore di So­crate, fino al momento in cui bewe la cicuta e morì.

Le parole che Platone mette in bocca a Socrate stesso, quando ormai era quasi morto e gran parte del suo corpo era paralizzato dal veleno, e che suonano quasi come parole che vengono dall'aldilà, esprimono il suo messaggio ultimativo veramente emblematico in senso globale: «Critone, dobbiamo un gallo ad Ascle­pio: dateglielo, non dimenticatevene !».

Asclepio, come è noto, era il dio della medicina. Gli antichi gli sacrificavano un gallo come dono di grati­tudine, quando venivano risanati da qualche malattia. E la morte, se c'è un aldilà, può essere vista appunto come una liberazione dal corpo e dai suoi mali, e quindi come una sorta di guarigione. E nel mettere in bocca a Socrate queste parole, proprio quando sem­brava ormai morto, Platone lo fa riemergere alla vita terrena come dall'aldilà, quasi per fargli dire che il suo messaggio era sicuro, perché egli stava ormai toccando l'altra sponda, e costatava che dawero l'aldilà c'era.

13 . Le reazioni degli Ateniesi dopo la morte di Socrate.

La reazione degli Ateniesi dopo a morte di Socrate furono assai forti: si pentirono amaramente, dichiara­rono in lutto la Città, condannarono gli accusatori e onorarono il filosofo.

Diogene Laerzio (II 43 ) ci riferisce: «E Socrate non era più fra gli uomini; e gli Ateniesi subito se ne pentirono, e chiusero le palestre e i ginnasi. E gli altri condannarono all'esilio, Meleto a morte; e onorarono Socrate con una statua di bronzo che posero nel Pom­peo; e l'autore fu Lisippo. Quelli di Eraclea, nello stes-

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so giorno in cui vi fece ritorno, bandirono Anita» (tra­duzione di M. Gigante) .

Altre fonti riferiscono che fu condanato a morte anche Anita. Ma si tratta, quasi certamente, di ampli­ficazioni. Plutarco (I:invidia e l'odio, 8) scrive addi­rittura: «l calunniatori di Socrate, in quanto si erano spinti agli estremi della malvagità, vennero odiati dai cittadini ateniesi al punto che non volevano dar loro il fuoco, né rispondere alle loro domande, né voleva­no lavarsi in quei bagni dove essi erano stati, e co­stringevano addirittura gli addetti a buttar via l'acqua dove quelli si erano lavati, come se fosse stata conta­minata. Al punto che essi si impiccarono, non poten­do più sopportare quell'odio».

Le notizie riferiteci da Diogene Laerzio sono le più credibli. Anche la notizia della statua di bronzo fatta fare da Lisippo è del tutto accettabile, anche se questo dovette accadere qualche decennio dopo la morte di Socrate, dato che, come da tempo gli stu­diosi hanno riconosciuto (cfr. G. Richter, The Por­traits o/ the Greeks, London 1965, vol. II, pp. 109 s.) . Diogene dice che gli Ateniesi "subito" si pentirono, ma non dice che "subito" fecero anche costruire a Li­sippo la statua in suo onore (cfr. quanto diciamo nel­l' Iconografia socratica) .

In questo modo gli Ateniesi hanno consacrato la figura di Socrate nella sua giusta statura.

14 . Conclusioni.

Abbiamo riportato sopra (cfr. § 4) un passo di von Humboldt, e in una epigrafe (cfr. p. 5) un passo di Camus. Conviene qui richiamarli, al fine di trarre le

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conclusioni di queste notazioni che abbiamo presen­tato, per affrontare in modo adeguato la lettura del­l'Apologia di Socrate.

TI von Humboldt dice che gli uomini grandi e stra­ordinari simboleggiano un'idea, alla quale fu possibi­le giungere solamente perché essi la realizzarono con­cretamente nella loro vita. E abbiamo indicato l'idea di fondo che Socrate ha simboleggiato e realizzato nella sua vita: bisogna spogliare l'anima, ossia sotto­parla alla giusta prova, per poterla curare, per cerca­re di renderla il più possibile migliore, affinché l'uo­mo si possa realizzare nel suo giusto valore.

Si tenga ben presente che per il Greco il filosofare non è mai un puro astratto ricercare, ma è un cercare il vero per calarlo nella realtà. Le idee hanno senso so­lo se e nella misura in cui si fanno vita. La verità rag­giunta con il pensiero è proprio quella che, calata nella vita, porta l'uomo al suo telos1 ossia alla eudaimonia.

In questo senso, si può dire che Socrate impersona in modo perfetto il filosofo come lo intendev3 il Gre­co, ossia come colui che ricerca il vero e ne fa sostan­za della sua vita, condotta con una assoluta coerenza, fino all'accettazione della condanna a morte.

Camus diceva: «Perché un pensiero cambi il mon­do, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo e­sprime. Che cambi in esempio». E la vita di Socrate è stata veramente un "esempio" : un esempio-modello per eccellenza, proprio come lo vede e rappresenta Platone nell'Apologia.

Ma Socrate stesso in qualche modo aveva compre­so questo, e lo dice con il suo modo ironico: «li dio sembra che parli proprio di me, e invece fa uso del mio nome, servendosi di me come di esempio (para­deigma)» (23 B) .

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INTRODUZIONE 41

E la figura di Socrate si impone come "paradig­ma" , owiamente, non in senso metafisica astratto, ma proprio come incarnazione esistenziale esemplare del modello ideale del fiosofo.

Ci troviamo di fronte, insomma, a una capolavoro di vita rappresentato da un capolavoro d'arte.

E l'enorme successo che ha avuto nei secoli e an­che oggi ha l'Apologia di Socrate, può in qualche mo­do considerarsi come il corrispettivo della statua che gli Ateniesi fecero erigere dal grande Lisippo. Ma, in questo caso, si tratta di una grandiosa erma bifronte: un monumento al Socrate rappresentato, per il suo pensiero e per la sua vita, e un monumento anche a Platone per il modo in cui l'ha compreso e l'ha rap­presentato, e quindi lo ha consacrato per il sempre.

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BIOGRAFIA E CRONOLOGIA DI PLATONE

427 Platone nasce ad Atene. Diogene Laerzio (III 2) ci riferisce che Apollodoro indicava come data di nascita l' ottantotte­sima Olimpiade (428-425), nel mese di Targelione, corri­spondente al nostro maggio-giugno, nel giorno in cui gli abitanti dell'isola di Delo dicevano essere nato Apollo. «Platone» non è il nome che gli era stato imposto dai geni­tori, ma un soprannome. Diogene Laerzio (III 4 ) ci riferi­sce tre differenti interpretazioni del nomignolo: secondo alcuni, era stato il maestro di ginnastica a chiamarlo così per l'ampiezza della sua corporatura (in greco platos signi­fica appunto estensione e ampiezza) ; secondo altri aveva avuto questo nomignolo per l'estensione e l'ampiezza della sua fronte; secondo altri ancora, invece, per l'estensione del suo stile. La prima indicazione è la più probabile. Il suo vero nome era Aristocle, nome del nonno paterno. Il padre di Platone, Aristone, discendeva da una famiglia che vantava tra i suoi antenati il re Codro. Anche la madre Perictione apparteneva a una nobile e potente famiglia, di cui Diogene Laerzio (III l ) ci riferisce quanto segue: «Pla­tone era figlio di Aristone e Perictione ( . . . ) , che faceva risa­lire la sua ascendenza a Solone. Dropide era fratello di So­Ione ed era padre di Crizia, del quale era figlio Callescro. Di Callescro furono figli Crizia, che fu uno dei Trenta [sci!. Tiranni] e Glaucone. Glaucone fu padre di Carmide e Pe­rictione. Da Perictione e da Aristone nacque Platone». Da Perictione e da Aristone nacquero anche Adimanto e Glaucone (Platone stimò e onorò questi suoi fratelli, intro­ducendoli come interlocutori nella Repubblica) , e una figlia di nome Potone, da cui nacque Speusippo, che sarà succes­sore di Platone nella direzione dell'Accademia.

409-407 Periodo della efebia. Stando ad Aristosseno (fr. 1 1 Wehrli) , Platone avrebbe preso parte per tre volte a campagne mili­tari: a Tanagra, a Corinto e a Delio, appunto in questo pe­riodo di tempo. A Delio avrebbe ottenuto anche un premio per il suo valore.

408-407 A vent'anni Platone divenne discepolo di Socrate.

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44 BIOGRAFIA E CRONOLOGIA DI PLATONE

Prima di diventare discepolo di Socrate, Platone si dedicò ad attività poetiche e frequentò l'eracliteo Cratilo. Diogene Laerzio ci riferisce alcune notizie, che, per quanto possano essere inquinate, contengono senza dubbio elementi di ve­rità: «Vi è pure chi dice, come Dicearco nel primo libro Del­le vite, che egli abbia partecipato alle gare di lotta all'Istmo, e che abbia studiato pittura e scritto poesie, prima ditiram­bi, poi anche canti lirici e tragedie. ( . . . ) Si narra che Socrate abbia sognato di avere sulle ginocchia un piccolo cigno che subito mise ali e volò via e dolcemente cantò e che il giorno dopo, presentandosi a lui Platone come alunno, abbia det­to che il piccolo uccello era appunto lui. Studiava filosofia all'inizio (. . . ) , seguendo le teorie eraclitee. Poi mentre si accingeva a partecipare con una tragedia all'agone, udita la voce di Socrate, dinanzi al teatro di Dioniso, bruciò l'opera esclamando: "Efesto, avanza così: Platone ha bisogno di te". Da allora, dicono - e aveva vent'anni -, fu discepolo di So­crate fino alla sua morte» (III 4-5 , traduzione di M. Gigan­te) . Sui rapporti di Platone con l'eracliteo Cratilo, si veda anche quanto dice Aristotele in Metafisica, libro primo, capitolo sesto. Gli anni passati accanto a Socrate furono decisivi per Pla­tone, a tutti gli effetti, non solo per il suo pensiero, ma an­che per le sue scelte esistenziali.

404 Si conclude la guerra del Peloponneso e si impone la su­premazia di Sparta; ad Atene assumono il governo gli oli­garchici con i cosiddetti «Trenta tiranni», fra cui elemento di spicco era proprio Crizia, zio di Platone, che lo invitò a partecipare al governo, da cui, peraltro, questi tosto si ri­trasse deluso.

403 In seguito alla rivolta dei democratici, Crizia muore nella battaglia di Munichia, e cade il governo dei Trenta tiranni.

399 Socrate viene condannato a morte. Della condanna furono in larga misura responsabili i democratici, che dal 40 l ave­vano saldamente ripreso il potere. E questo convinse Pla­tone che per il momento era bene tenersi lontano dalla vita politica militante. Probabilmente, subito dopo la condanna di Socrate, Plato­ne si reca a Megara, con alcuni Socratici (forse per evitare possibili persecuzioni, che potevano venirgli inflitte per aver fatto parte del circolo dei Socratici) . Ma a Megara, proba­bilmente, si ferma solo per poco tempo.

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BIOGRAFIA E CRONOLOGIA DI PLATONE 45

388 Platone si reca in Italia meridionale, spinto dal desiderio di conoscere le comunità dei Pitagorici. Dalla Lettera VII (388 C) sappiamo che conobbe Acchita. Durante questo viaggio si reca a Siracusa presso il tiranno Dionigi I, che probabilmente egli sperava di convertire al suo ideale di re­filosofo e agli ideali espressi nel Gorgia (scritto subito pri­ma o subito dopo questo viaggio). A Siracusa stringe un forte legame di amicizia con Dione, parente del tiranno, in cui Platone ritiene di trovare un discepolo capace di diven­tare re-filosofo. Dionigi si irrita fortemente con Platone, al punto da farlo vendere come schiavo a Egina. Fortunata­mente, a Egina si trova il socratico Anniceride di Cirene che lo riscatta, come ci narra Diogene Laerzio, III 20. (La narrazione, forse, è un po' forzata; Platone potrebbe essere stato costretto a sbarcare a Egina, che, essendo in guerra con Atene, potrebbe averlo preso come schiavo; questa è, comunque, un'ipotesi.) Oltre a questo sicuro viaggio in Italia, perché di esso si par­la nella sua Lettera VII, è possibile che Platone ne abbia fatti anche altri in Africa. Ci dice Diogene Laerzio: « . . . andò a Cirene da Teodoro il matematico, indi in Italia dai Pita­gorici Filolao ed Eurito. E di qui in Egitto dai profeti, dove dicono gli sia stato compagno Euripide, il quale ammalato­si fu guarito dai sacerdoti con la cura del mare, onde in un luogo cantò: "Lava il mare tutti i mali degli uomini" . Inol­tre, Omero diceva che tutti gli uomini d'Egitto sono medi­ci. Platone aveva anche deciso di incontrarsi con i Magi, ma le guerre in Asia lo costrinsero a rinunziarvi» (III 6; tra­duzione di M. Gigante). Si tratta di viaggi possibili, ma non confermati in modo preciso.

387 A partire da questa data, Platone, tornato ad Atene, si impe­gna a fondare una scuola. Acquistato un ginnasio e un parco dedicato all'eroe Accademo, apre qui una scuola che viene chiamata, dal nome dell'eroe, Accademia. Il Menone è pro­babilmente il primo manifesto programmatico della scuola. L'Accademia si afferma subito e richiama molti giovani e uomini illustri.

367 Platone si reca una seconda volta in Sicilia a Siracusa. Mor­to Dionigi I, gli era succeduto Dionigi II, che, a dire di Dio­ne, avrebbe potuto realizzare i disegni di Platone ben più del padre. Ma Dionigi II si rivela subito essere come il pa­dre. Esilia Dione con l'accusa di tramare contro di lui. Trat­tiene Platone quasi come un prigioniero.

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46 BIOGRAFIA E CRONOLOGIA DI PLATONE

365 In seguito allo scoppio di una guerra, che impegna perso­nalmente Dionigi, Platone può lasciare Siracusa e tornare ad Atene.

361 Platone si reca per la terza volta in Sicilia a Siracusa. Dio­ne, che si era rifugiato ad Atene, lo convince ad accogliere il pressante invito di Dionigi II a ritornare, sperando di placare il tiranno. Ma i rapporti con Dionigi si aggravano subito e di molto. Solo per l'intervento di Archita e dei Ta­rantini Platone si salva.

360 Platone ritorna ad Atene.

357 Dione riesce a prendere il potere in Siracusa.

353 Dione viene ucciso da una congiura capeggiata da Callippo.

347 Platone muore in Atene all'etÌI di circa ottant'anni.

N .B. Sulla cronologia dell'azione e della composizione dell'Apologia di Sacra­te si veda quanto viene detto nell'Introdu1.ione, pp. 7 - 1 1 . Il testo greco che viene riprodotto a fronte della traduzione è quello dell'edizione di riferimen· to di John Burnet, Platonis Opera, I, Oxonii 1900, pp. 17-42 Stephanus.

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ITAATQNOI, AfiOAOriA LQKPA TOYL

PLATONE APOLOGIA DI SOCRATE

WJ..• EyÒ> oux 7tavtòç tou �iou OllJ.lO­mc;t LE El 7tOU n rnpcl;a totoutoç cJI<x­VOUJ.lal, KaÌ. i.oic;t ò autòç outoç, ou­&vì. 7tOmOtE <JVYXwpftcraç où&v 1tapà tò OlKalOV.

Potrà risultare a tutti che nella mia vi­ta mi sono comportato, nelle mie po­che uscite pubbliche, esattamente co­me in privato e quale sono ora: senza mai fare concessione a nessuno che contrawiene alla giustizia.

Apologia, 33 A

Ho passato tutta la vita a preparare la mia difesa.

Senofonte, Memorabilz; IV 8 ,4 .

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Parte prima

IL GRANDE DISCORSO DI DIFESA DI SOCRATE [17 A - 35 DJ

lo vado intorno facendo nient'altro se non cercare di persuadere voi, e più giovani e più vecchi, che non dei cor­pi dovete prendervi cura, né delle ric­chezze né di alcun'altra cosa prima e con maggiore impegno che dell'ani­ma, in modo che diventi buona il più possibile, sostenendo che la virtù non nasce dalle ricchezze, ma che dalla vir­tù stessa nascono le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini, e in pri­vato e in pubblico.

30 A-B

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[Steph., Il

17 A "On J..lÈ:V "ÙJ..1ÉÌç, ro avopeç 'ASTIVOOot, 1tC7tOv8ate "Ù7tÒ "tOOV EJ..l&V KO:"tT\YOprov, oùx: o1oo· ey<Ì> o' oùv x:a\ aùtòç "Ù7t' aùt&v 6A.i. you EJ..1autou E7teA.aSoJ..111V, o"ihro 7ttSav&ç EÀEyov. x:ai. tot cXA118Éç "YE roç E7tOç el1tetV OÙOÈV eipr\ x:acnv. J..laA.tcna oè

5 aùt&v Ev èaauJ..1acra t&v 1toll&v ffiv bveooavto, touto ev cP eÀEyov roç :xpflv "ÙJ..1(iç eùA.aj3e1crSat J..11Ì ù1t' EJ..10U eça1ta"tT\Sflte ·

8 Òlç OetVOU ovtoç A.ÉyetV. tÒ yàp J..llÌ aicr:xuvaflvat on aùnx:o: ù1t' ÈJ..10U èl;eÀEY:XSr\crovtat epyCQ, È1tetoàv J..111�>' 61trocrtwuv cpai.vroJ..1at OetVÒç A.éyetv, touto J..10t f.oo!;ev aùt&v àvatcr:xuv­t6tatov etvat, ei J..llÌ apa OE\VÒV x:aA.oucnv OU"tOt ÀÉ:yEtV "tÒV

5 tàA.rtSfl ÀÉ:yovta· ei. J..1Èv yàp touto A.éyoucnv, ÒJ..1oA.oyotllV &v eyroye où x:atà "tOU"tOUç dvat pr\trop. OU"tot J..1È:V oùv, c007tEp ey<Ì> ')..kyro, il n iì o'ÙOÈY à.A.rtSÈç Ei.pftx:amv, UJ..1etç BÉ J..10U àx:oU. crecrSE 1tdcrav 'tltV àA.r\Setav - OÙ J..1ÉV"t0t jlà �i.a, ro avopeç 'ASTIVO:lot, KeKO:ÀA\E1tT}J..1ÉVOUç YE Àoyouç, rocrm:p ol. "tOU"t(J)V,

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Prologo t

Premessa generale al discorso di Socrate

Io non so quale sia, cittadini ateniesi, l'impressio- 17 A

ne che avete provato nel sentire i miei accusatori. An­ch'io per poco non mi dimenticavo di me stesso, così convincente era il modo in cui parlavano.

Eppure di vero, per dirla in breve, non hanno det­to proprio nulla.

Soprattutto una tra le molte menzogne che hanno detto mi ha meravigliato, quando hanno affermato che voi dovevate essere circospetti in modo da non !asciarvi ingannare da me, in quanto sono straordina- s

rio nel parlare. E che non provassero vergogna, dal momento che li avrei subito confutati di fatto non ap­pena vi sarei apparso tutt'altro che straordinario nel parlare, questa mi è sembrata la cosa più vergognosa da parte loro. A meno che non chiamino straordina­rio nel parlare colui che dice la verità. Se è questo che intendono, allora io pure potrei ammettere di essere un oratore, ma non come pensano loro.

Costoro, dunque, come vi ripeto, hanno detto di vero poco o niente. Invece da me udrete tutta quanta la verità.

Però, per Zeus, cittadini ateniesi, voi non sentirete da me discorsi ornati con belle frasi e con belle parole, c come quelli di costoro, e neanche ben ordina.ti. Udre­te, invece, cose dette un po' a caso, con le parole che

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52 APOLOGIA DI SOCRATE, 17 C · 18 B

yàp ol:tcata Et vat a Afyro - Kat J.lT}OEÌç ÙJ..lci>V 1tpO<JOOKT\<JcX.'t<ù aÀ.À.<ùç' OÙOÈ yàp civ Or\ 1tOt> 1tpÉ1tOl, ro dvopEç, 'ttl OE 'ttl

' i}A.tKi.� c001tEp J..lEtpaKi.<p JtÀ.anovn A.oyouç Eiç ÙJ..léiç Eicrtévat. Kat J..lév'tOl KOO mxvu, ro &vopeç 'A8T\Va10l, 'tOUtO ÙJ..l<i>v OCOJ..lOO. Kat 1tapiEJ..lat· èàv otà t&v aùt&v A.oyrov aKOUT\tÉ J..lOt> aJto­A.oyot>J..lÉvou ot' OOVltEP droea À.ÉyEtV KaÌ ÈV ayop4 E1tt 't<i>V tpa1tEs<i>v, tva ÙJ..lrov 1tOÀ.À.oÌ UKT\KOacrt, Kaì dA.A.o8t, J..lrttE

o eauJ..lasEtv J..lrttE 8opu�E1v toutou evEKa. EXEt yàp oùtrocrL vuv ÈyÒ> 1tp&tov È1tt OlKacrtt1ptov ava�É�T\K<X, EtT\ yeyovÒ>ç È�OOJ..ltlKOVta· UtEXV<i>ç OUV l;évroç EX<ù 't�ç ÈV8cXOE A.él;Eroç. c001tEp o'Ùv av, Ei tql OV'tl çévoç hunavov rov, <Jt>VEytyvro-

.5 <JKE'tE Oft1t0t> av J..lOl Ei ÈV ÈKEl VlJ tij cj>rovij tE KaÌ 'tql tp01tQl 18 A EAEYOV ÈV olcr1tEp ÈtE8pcXJ..lJ..lT\V, Kat O� KaÌ VUV 'tOUtO ÙJ..l<i>V

OÉoJ..lat oiKatov, cilç yé J..lOt ooK<i>, tòv J..lÈV tpo1tov �ç Ail;Eroç èdv - tcrroç J..lÈV yàp xeiprov, tcrroç OÈ �EA.nrov Civ El T\ - aÙtÒ · OÈ touto <JK01tE1v Kat tout<p tòv vouv 1tpocrÉXEtv, Ei oiKata

.5 A.Éyro ii J..l it . O l Kacrtou J..lÈV yàp a ii 'tT\ àpEtr\ ' Prl topoç OÈ tàÀ.T\8� ÀiyEtV.

np&tov J..lÈV oùv OtKatoç ElJ..ll a1toA.oyt1cracr8at, ro avopEç 'A8llvdiot, 1tpòç tà 1tp&ta J..lOt> wEt>O� K<X'tT\YOPT\J..léva Kàt. toùç 1tp<Òtouç K<XtT\yopouç, E1tEt ta oÈ 1tpòç tà ucrtEpov Kat toùç

B ùcrtépouç. ÈJ..lou yàp 1toA.A.ol. Ka'ti}yopm yEyovacrt 1tpòç ÙJ..ldç Kat 1tcXÀ.at 1tOUà flOT\ EtT\ KaÌ OÙOÈV cXÀ.T\8Èç A.éyovtEç, ouç

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I. PROLOGO 53

mi capitano. Infatti, sono convinto che quanto affer­mo sia giusto.

E nessuno di voi si attenda altro da me. D'altra parte, cittadini, non sarebbe davvero con­

veniente che, a questa età, mi presentassi davanti a voi a fare discorsi come un giovinetto. E anzi, cittadini ate­niesi, vi chiedo e vi supplico di una cosa: se mi udrete sostenere la mia difesa con quegli stessi discorsi che sono solito pronunciare anche sulle piazze, davanti ai banchi dei cambiavalute, dove molti di voi mi hanno ascoltato, e in altri luoghi, non dovete meravigliarvi e o

non dovete far chiasso per questo. La cosa sta in questi termini. È la prima volta che

vengo in tribunale e ho l'età di settant'anni. Perciò so­no veramente straniero al linguaggio che si usa in que­sto luogo. E come voi avreste certamente indulgenza se fossi veramente uno straniero e parlassi nella lingua e nei modi nei quali sarei stato educato, così ora vi chie- ts A

do una cosa che a mio giudizio è giusta, ossia che siate tolleranti del linguaggio che userò - linguaggio che po­trebbe essere forse peggiore, ma che potrebbe essere forse migliore di quello che usano loro -, e che consi­deriate e facciate attenzione se dico cose giuste o no. Infatti, proprio in ciò sta il buon servizio di chi giudi-ca, mentre il buon servizio di chi parla è dire la verità.

I criteri che Socrate seguirà nella difesa

Dunque, prima di tutto, è giusto che io mi difenda, cittadini ateniesi, dalle prime false accuse e dai primi falsi accusatori, poi dalle accuse successive e dagli ac-cusatori successivi. B

Infatti, ci sono stati molti che mi hanno accusato davanti a voi, già da tempo e per parecchi anni e sen-

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54 APOLOGIA DI SOCRATE, 18 B-E

èyro J.l.d.Uov cpopoUJ.l.Cll il toùç CÌJ.l.cpl ., A vutov, !C Cl l m:p ovtaç ICCll toutouç SEtvouç· ciU'ÈKEtVOl SElVOtEpOl, ro avSpEç, o'i

' 'ÒJ.l.OOV toùç 7tOÀ.À.oùç ÈK 1taiSoov 7tapaÀ.ClJ.l.Pc:ivovtEç E7tEt96v tE KClt KCltllYOpouv ÈJ.l.OU J.l.d.UoV où&v CÌÀ.118Éç, cilç ean V nç :to>Kpc:itllç aocpòç àvt\p, tc:i tE J.l.EtÉoopa cppovnat�ç Kaì tà u1tò yfiç 1tc:ivta àvEçlltllKCÌ>ç Kaì. tòv iittoo À.oyov Kpehtoo

C 1tOlOOV. oÙtot, ro avSpeç 'A811VCltOl, <Oh tClUtllV tftV cpt\J.l.llV KataaKESc:iaavteç, o\. Se t voi el ai v J.l.OU Katt\yopot· o\. yàp OOcOOOV'tf.ç TTYOUVtCXl toùç ta\>ta çlltOUVtcxç o\& 8Eoùç VOJ.l.i.ç&v. E1tEl tci Etat v oÙtOl oi Katt\yopot 1tOÀ.À.OÌ. KaÌ. 1tOÀ.ÙV xpovov

' iiS11 Kat11YOP11K6teç, en Sè Ka\ Èv tautt;t t1] iJÀ.tKi� llyovteç 7tpòç ÙJ.l.éiç Èv u &v J.l.ciÀ.tata E1tlateooatt:, 7tatSEç ovteç evtot ÙJ.l.oov Ka\ J.l.EtpciKta, àtexvéòç èpt\J.l.llV Katllyopouvteç àxoÀ.o­youJ.l.Évou ouSev6ç. o Sè 1tcXVt(J)V cXÀ.oyrotatov, Otl o'ÒSÈ tà

D ÒVOJ.l.ata OtOV tE autoov EÌSÉvat KaÌ. EÌ1tÈlV, 1tÀ.ftV El ttç · KOOJ.l.q>So7totòç tuyxcivet ciiv . oam Sè cp96v0) Kaì. StaPoÀ.l] XPcOJ.l.EVOl UJ.l.éiç CÌVÉ1tEt8ov - o\. Sè KCll auto\. 1tE1tElOJ.l.ÉVOt &llouç m:i.eovteç - oùtot xcivtEç àxoprotatoi dm v· où& yàp

' àvaPtPciaaa8at oiov t' èat\ v autoov èvtau8oi oùS' èlly�at ouSévcx, àU' àvciyKll àtexvcllç cilam:p aKlaJ.l.axéiv à7toÀ.oyou­J.l.Ev6v tE Kat ÈÀ.ÉYXEtV J.l.llSEvÒç cX1tOKplVOJ.l.ÉVOU. àl;troaatE oùv Ka\ ÙJ.l.E'iç, cilam:p èyro À.Éyoo, St ttouç J.l.Ou toùç Kat11y6pouç ye:yovévoo, étfp<>uç J.l.Èv toùç &pn Katllyopt\aavtcxç, étfp<>uç &

E toùç 1tc:iÀ.Clt ouç èyro À.Éyoo, KaÌ. o\ T\811tE Sclv xpòç EKEivouç

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l. PROLOGO 55

za che dicessero niente di vero. Io temo questi accu­satori molto più di Anito2 e dei suoi amici, anche se pure costoro sono terribili. Però quelli sono più terri­bili, cittadini, ossia quei primi i quali, prendendo la maggior parte di voi fin da fanciulli, vi hanno persua­so e hanno rivolto contro di me accuse per niente ve­re: che c'è un certo Socrate uomo sapiente, che fa in­dagini sulle cose celesti e fa ricerche su tutte le cose che stanno sotto terra, e che rende più forte il ragio­namento più debole.

Coloro che hanno diffuso tali voci, cittadini ate- c niesi, sono accusatori terribili. Infatti, chi li ascolta ri­tiene che chi indaga tali cose non creda nell'esistenza degli dèi. Inoltre, questi accusatori sono numerosi e mi hanno rivolto accuse già da molto tempo. E, per giunta, parlavano a voi in quella età nella quale erava-te particolarmente disposti a credere, quando alcuni di voi erano fanciulli e giovinetti, accusandomi in con­tumacia, senza che nessuno mi difendesse.

E la cosa più strana di tutte è che di costoro non si o possono sapere né dire i nomi; fatta eccezione di un commediografo3 .

Ma quanti, mossi da invidia e servendosi di calun­nie, vi persuasero - e persuadendo gli altri si convin­cevano essi stessi -, ebbene, tutti costoro sono assolu­tamente irraggiungibili. Infatti, non è possibile porta­re qui sulla tribuna alcuno di loro a testimoniare, né confutarli; ma mi trovo da w ero nella necessità di di­fendermi come combattendo con delle ombre, e di confutarli senza che ci sia nessuno che mi risponda.

Dunque, dovete credere anche voi, come vi dico, che si sono levati contro di me accusatori di due tipi: alcuni che mi hanno messo sotto accusa da poco, al­tri, invece, che mi hanno messo sotto accusa da molto E

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56 APOLOGIA DI SOCRATE, 18 E - 19 C

7tp&t6v J.lE à7toÀ.oyiJaaa9at· Kaì yàp UJ,.letç ÈKei vrov 7tpotepov tiKouaate Katll)'Opouvtrov Kaì 7tOÀ.Ù J.lcXÀ.À.ov il t&voe t&v uatepov.

Elev· <Ì1tOÀO)'ll'tÉOV oiJ, 00 avopeç 'A9llVCllOl, ICCll èmxetpll-19 A téov UJ.lWV èçeÀÉa9oo nìv OlCl�OÀllV fìv UJ,.letç ÈV 1tOÀAQ> xpovcp

ECJXE'tE 'tClU'tllV ÈV OUto>ç ÒÀ.t)'Q> XPOVQ>. �OUÀOtJ.lllV J.lÈV o'Òv à.v 'tOU'tO OU'to>ç yevéa9at, e'i tl aJ.lElVOV ICCll UJ.llV ICCll ÈJ.lOl, ICCll 1tÀÉOV 'tt J.lE 1tOtflO'at Ò:7tOÀ.O)'OUJ.lEVOV " OtJ.lal oè a'ÙtÒ

5 xaÀ.e7tÒV elvat, ICCll où 1tCXVU J.lE À.avac:ivet oiov ÈO'tlV. OJ.lo>ç 'tOU'tO J,.lÈV t '[O) 01t1J 'tql 9eqì <jltÀOV' 'tql oè VOJ.lq> 1tElO''tÉOV ICCll <Ì1tOÀ.O)'ll'tÉOV.

'AvaÀ.c:i�OlJ.lEV OÙV È/; apxflç nç li ICCltll)'Opta ÈO''tÌV Èç Ttç B li ÈJ.lll ota�oÀ.il yf:yovev, fl o-il Kaì mateurov MÉÀ.llt6ç J.le èypc:i­

\jlato 'tTJV ypa<jliJv 'tClU'tllV. elev· n OTJ À.Éyovteç OlÉ�aÀ.À.OV Ot Ota�aÀ.ÀOV'tEç; 000'7tEp OÙV KCl'tll)'OpOOV 'tftV Ò:VtOOJ.lOCJtClV · Oel àvayvoovat autoov· "l:roKpatllç Ò:OtKEl KClÌ 1tEptepyc:içetat

S çll'tWv 'ta 'tE ÙltÒ yiìç KCll OUpWta Kal 'tÒV f\nro 'J....O)'OV Kpet'ttOl c 1t0t&v ICal ooouç 'tClU'tà 'tClU'tCl OlOOalCOOV., 'tOlClUtll ti.ç ÈO'n v.

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II. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 57

tempo e dei quali vi sto parlando. E dovete credere che bisogna che io mi difenda, in primo luogo, pro­prio nei confronti di costoro. Infatti, voi avete ascol­tato le accuse di questi accusatori prima e molto più di quelle degli altri che sono venuti dopo.

Bene ! Allora devo difendermi, cittadini ateniesi, e devo cercare di rimuovere da voi, in così poco tempo, 19 A

quella calunnia che vi tenete dentro da molto tempo. E desidererei proprio che questo si verificasse, se ciò è meglio per me e per voi, e col difendermi traessi qual-che vantaggio. Però ritengo che sia difficile, e non mi sfugge affatto quale sia la difficoltà.

In ogni caso, vada come è caro al dio; bisogna ub­bidire alla legge e difendersi !

Difesa contro i primi accusatori e la posi­zione filosofica di Socrate4

L'accusa di occuparsi delle cose che stanno sotto terra e nel cielo

Riprendiamo, dunque, da principio l'accusa da cui è sorta contro di me la calunnia, basandosi sulla qua- B le anche Meleto ha intentato questo processo contro di me. Ebbene, che cosa affermavano i miei calunnia­tori nel calunniarmi?

Dobbiamo leggere il loro atto di accusa, come se fossero accusatori veri e propri: «Socrate commette ingiustizia e si dà molto da fare, indagando le cose che stanno sotto terra e quelle celesti, facendo appa­rire più forte il ragionamento più debole e insegnan- c do queste medesime cose anche agli altri>�.

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58 APOLOGIA DI SOCRATE, 19 C o 20 A

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II. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 59

Questa è l'accusa che mi fanno. E queste stesse co­se le avete viste nella commedia di Aristofane, un So­crate che là viene portato attorno, dicendo di cammi­nare nell'aria e molte altre sciocchezze: tutte cose que­ste di cui io non mi intendo né molto né poco6.

Dico ciò non in quanto ho disprezzo per una scienza come quella, posto che ci sia qualche sapiente di tali cose: che io non debba ricevere da Meleto an­che un'accusa di tal genere ! Dico invece che di que­ste cose, cittadini ateniesi, io non faccio assolutamen­te rtcerca.

Chiamo a testimoni, di nuovo, la maggior parte di D voi. E ritengo opportuno che vi informiate a vicenda e che riferiate le vostre opinioni, quanti mi avete sen­tito discutere. - E siete in molti che mi avete sentito ! - Consultatevi dunque a vicenda, se c'è qualcuno di voi che mi abbia mai udito discutere di cose di tal ge­nere, o poco o molto. E così vi renderete conto che anche le altre cose che i più dicono su di me sono co­me queste.

In realtà, niente di tutto questo è vero.

Le accuse di essere un sofista

E se poi avete udito da qualcuno che io cerco di edu­care uomini e che esigo denaro, neanche questo è vero. E

In realtà mi sembra che sia una cosa bella, se uno è in grado di educare uomini, come sono in grado di farlo Gorgia di Leontini, Predico di Ceo e lppia di Elide7. Infatti, ciascuno di costoro, cittadini, è in gra-do, andando di città in città, di persuadere i giovani -ai quali sarebbe pur possibile frequentare gratuita­mente chi vogliono dei concittadini - ad abbandona- 20 A re la compagnia di quelli e a stare invece con loro, dan-

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60 APOLOGIA DI SOCRATE, 20 A-C

J.la'ta Stoovtaç Ka\ xapt v 1tpOOE\SÉVCXl. E1tEl JC(ll <iÀ.À<>ç àvftp EOtl napwç èveaSE ao�òç ov E)'CÒ tja90J.l'lV èmSTlJ.lOUVta· E'tuxov yàp 1tpOOEÀ9Òlv àvSp\ oç tE'tÉÀEKE XPitJ.la'ta ao�tata.'iç

s 1tÀEtro ii OUJ.l1tavteç o\ cV..ì..ot, Kalll� te'i> '11t1tOVtKou· toutov o'Òv <ÌV'lPOJ.l'lY - èatòv yàp aùtci> Suo ue1 - "70 KaUl.a," �v S' eym, " Ei J.lÉV aou tcò ùe'i 1tmì..ro ii J.loaxro eyevéa9'1V, ElXOJ.lEV dv aùto1v E1tlOta't'lV ì..a�E1v Ka\ J.ll09cOOaa9at oç

B EJ.lEÀÀEV aùtro K<XÀ.<J) tE Kàya9Òl Jtou\aetv t'JÌv 1tpoaftKouaav àpetftv, �v S' dv outoç il 'tOOV l1t1tl!COOV ttç ii 'tOOV )'Eropyt!COOV" vuv S' E1tEtST} àv9p001t(J) EO'tOV, ti va auto'iv tv v<Q EXEl<; E1tlO'ta't'lV Aa�Et V; nç tilç 'tOl(lU't'lç àpetilç, tilç àv9prom V'l<;

s tE Ka\ 1toì..t ttKiìç. E1ttatftJ.lrov èan v; olJ.lat yap aE èaKÉ�9at Stà 'tftV 'tOOV ÙÉOOV K'tiìatv. eanv nç, " E�'lV E)'W, " ii ou;" " navu )'E," � S ' oç. "Tiç, " �v S ' E)'W, "Kat 1tOSa1téç, Kal 1toaou StSaaKet; " " Eu'lvoç," e�'l. "ro tmKpatEç, napwç; 1tévtE J.lvrov." Ka\ èym tòv Eu'lvov EJ.laKaptaa Ei OOç àì..'l9ci)ç

c EXOl 't(lU't'lV t'JÌV 'tÉXV'lV IC(lt outroç EJ.lf..LEÀOOç StSaaKEl. Eyc:Ì> yoùv KOO aùtòç bcalluv6f..L'lv 'tE Koo fl�puv6J.t'lv &v Ei timat4J.'lv taùta· àU' où yàp èmataJ.lat, ro èivSpeç 'A9llva'iot.

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II. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 61

do loro denari, e per giunta mostrando gratitudine nei loro confronti. ·

Anzi, c'è un altro sapiente di Paro, di cui ho sapu-to che è venuto ad abitare qui. Infatti, mi è capitato di incontrare un uomo �...he ha profuso denaro ai sofi­sti più di tutti gli altri messi insieme, Callia figlio di Ipponico8. E a quest'uomo, che è padre di due figli, ho domandato: «Callia, se questi tuoi figli fossero due puledri o due vitelli, dovremmo prendere e pagare uno che si curi di loro e che si impegni a farli diventa- B re belli e buoni in quella virtù specifica che conviene loro e costui sarebbe un competente di cavalli o un agricoltore. Ora, dal momento che i tuoi figli sono uomini, chi hai in mente di prendere che si curi di loro? Chi è che ha conoscenza della virtù di questo tipo, ossia della virtù dell'uomo e del cittadino? lo ri­tengo che tu abbia ben riflettuto su questo, per il mo­tivo che hai figli. C'è qualcuno - dissi - che ha tale conoscenza, oppure non c'è?».

«Certamente», mi rispose. «E chi è - gli chiesi - e di dov'è e a che prezzo in­

segna?». «È Eveno9 - mi rispose -, Socrate, è di Paro e

vuole cinque mine»lo. E io considero Eveno fortunato, se possiede vera- c

mente tale arte e se la insegna a un prezzo così modico. Anch'io, a ogni modo, se avessi conoscenza di queste cose, me ne farei vanto e ne sarei orgoglioso.

Ma di tali cose non ho proprio conoscenza, citta­dini di Atene !

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62 APOLOGIA DI SOCRATE, 20 C. E

'l7toÀ.a�m àv oùv nç 'ÒJ.lroV ioroç· '"AÀ.À', oo l:dncpatEç, 5 tò oòv ti E:on 7tpclyJ.1a; 7t08EV ai Ota�oÀai 00\ autat YEYO­

vacrt v; où yàp Or\7tou oou yE oùOèv trov aÀ.À.rov 7tEpt n6tEpov 7tpc:xyJ.1atEUOJ.1Évou E7tEl ta tooauTll <l>rlJ.lll tE Kaì À.6yoç yÉ:'(oVEv, Ei. Jlrl n E7tpattEç aÀ.À.OtOV iì o\ 7tOÀ.Àoi . ÀÉYE oùv lÌJ.ltV n

o èonv, 'iva JllÌ 1ÌJ.1Étç 7tEp\ oou aùtooxEotaçroJ.lEV." tauti J!Ot OOKEt OtKata ÀÉYE\V ò À.Éyrov, Kayro uJ.(iv 7tEtpaOOJ.1at a7to-0Et�at ti 7tot' E:otì v touto o EJ.lOÌ 1tE1toi llKEv t6 tE ovoJ.la Kat "tftV 0\a�OÀ.rlV. aK01)E'tE Or\ . Kat tO(J)ç JlÈV 00�(1) '!\O l V

5 UJ.lOOV 7taiçE\V " EÙ JlÉV"tO\ tO'tE, 7téioav UJ.ltV 'tftV aÀ.r\8Etav epro. éyro yap, oo &vopEç 'Aa..,vruot, ot ' oùoèv aÀ.À.' iì otà oo<)>iav nvà to-Gto tò OVOJ.la EOXllKa. 1toiav oit oo<)>iav taU'tllV; Tl1tEp EO'tl v ioroç av8pro7ti Vll oo<)>ia· 'tql ovn yàp K\VOUVEU(J) taU'tllV Etvat oo<)>6ç. OU't01 OÈ tax' civ, ouç apn

E EÀ.Eyov, JlEiçro nvà ti Kat' av8pro7tOV oo<)>iav oo<)>oì elev, iì OÙK exro ti À.Éyro· où yàp OlÌ eyroye aùttìv E:7tiotaJ.1at, cXÀ.À.' oonç <!>llOÌ 'lfEUOE'tat tE KaÌ É7tÌ Ota�OÀTJ Tfj EJ.lTJ À.ÉyEt. Kai JlOl, 00 avOpEç 'A811vat01, JllÌ 8opU�rlOlltE, JlllO' èàv Oo�ro n

5 uJ.(iv J.1Éya À.ÉyEtV" OÙ yàp ÈJ.1ÒV Èpro 'tÒV À.oyov OV àv À.Éyro,

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IL DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 63

La sapienza umana di Socrate

Ora, qualcuno di voi potrebbe fare questa consi­derazione: «Ma allora, Socrate, qual è la tua occupa­zione? Da che cosa ti sono derivate queste calunnie? Certamente non perché non ti occupavi di nulla di più straordinario degli altri, si sono levate queste voci e una fama così grande. Non sarebbero sorte, se tu non avessi fatto nulla di diverso rispetto agli altri. De-vi dirci, dunque, che cos'è, affinché non ti giudichia- o mo in modo sconsiderato».

Chi dice ciò, mi sembra che dica il giusto. E io cercherò di mostrarvi che cosa ha dato origine alla cattiva fama e alla calunnia contro di me.

Dunque, ascoltatemi ! Forse a qualcuno di voi sem­brerà che io stia scherzando. Ma sappiatelo bene: io vi dirò tutta la verità.

Io, cittadini ateniesi, mi sono procurato questa ri­nomanza non per altro che per una certa sapienza.

Qual è questa sapienza? Quella che, forse, è una sapienza umana. Infatti,

di questa può darsi veramente che io sia sapiente. Invece, quei tali di cui poco fa parlavo, o saranno E

sapienti di una sapienza superiore rispetto a quella umana, o non so che cosa dire. Certamente, io non conosco questa sapienza. E chi dice, invece, che la conosco, mente; e lo dice per calunniarmi.

D responso dell'oracolo di Delfi sulla sapienza di Socrate

Ora non fate chiassoii , cittadini ateniesi, neppure se vi potrà sembrare che io dica cose grandi. Infatti, ciò che vi riferirò non è un discorso mio, ma lo attri-

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64 APOLOGIA DI SOCRATE, 20 E · 21 B

àì..ì..' dç àl;u)xpEwv UJ.ltV tòv ì..Éyovta àvoiaw. tilç yàp EJ.liìç, EÌ o� tiç Èanv aoq,ia KCXÌ oia, J.l<iprupa uJ.ftv 1tCXpÉI;OJ.1CXl tòv 9Eòv tòv Èv �EÀ4j)oiç. XatpE4j)oovta yàp iatE 1tou. o\rtoç

21 A ÈJ.1oç tE haipoç tiv èK véou Kaì 'ÒJ.lrov tQ> 1tì..�8Et ha1p6ç tE KCXÌ auvÉ4j)uyE t�v q,uy�v taUtt'\V Kaì J.1E9' UJ.lOOV Katiìì..9E. KCXÌ tOtE O� o\oç tÌV XatpEq,6)V, 00ç a4j)oOpÒç È4j)' on ÒpJ.lr\OEtEV. KCXÌ Or\ 1tOtE KCXÌ EÌç �Eì..q,oùç ÈÀ9CÌlv ÈtOÀJ.lllOE tOUtO J.lCXVtEU-

' aaa9m - Kat, 01tEp ÀÉyw, J.11Ì 9opuj3E1 tE, ro avOpEç - iipuo yàp o� Et nç ÈJ.1ou Ei11 ao4j)rotEpoç. avEiì..Ev oùv Ti nueia J.lllOÉva 004j)OOtEpOV ElVCXt. KCXÌ tOUtWV 1tÉpt Ò cl0EÀ4j)Òç uJ.ftv CXUtOU OUtoaÌ J.lCXptupr\aEt, È1tEtOJÌ ÈKEtvoç tEtEÀEUtllKEV.

a I:JCÉVaa9E OJÌ ÒJv EvEKa taf>ta ì.kyw· J.1ÉÀÀ.o> yàp i>J.lfiç otO<i-/;Etv o9Ev J.lOl Ti OtCX�OÀlÌ YÉYOVEV. tauta yàp èyCÌl clKOUaaç ÈVE9UJ.10UJ.111V OUtWOl · "T{ 1tOtE ÀÉyEt Ò 9EOç, KCXÌ ti 1tOtE aivittEtCXt ; Èy<Ì> yàp o� OUtE J.1Éya OUtE OJ.llKpÒv auvotOCX

' EJ.lCXUtlQ aoq,òç ffiv· ti o'Ùv 1totE ì..ÉyEt q,<iaKwv EJ.lÈ ao4j)ro­tatov d vat ; où yàp ori 1tou 'I'EUOEtai yE· où yàp 9ÉJ.1tç CXÙtlQ . " KCXÌ 7tOÀÙV J.1ÈV XPOVOV T\1tO pOUV tt 7tOtE ÀÉyEt '

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II. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 65

buirò a colui che lo ha detto, ben degno di fiducia da parte vostra.

Della mia sapienza, se pure è sapienza e di quale sia, vi porterò come testimone il dio di Delfi.

Certamente voi conoscete Cherefonte12. Costui fu mio amico dalla giovinezza e fu amico del vostro par- 21 A

tito popolare e in quest'ultimo esilio andò in esilio con voi e con voi ritornò. E sapete anche che tipo era Cherefonte e come era risoluto in ogni cosa che intra­prendeva.

Ebbene, un giorno, reca tosi a Delfi, ebbe l'ardire di interrogare l'oracolo su questo.

Come ho detto, cittadini ateniesi, non fate chiasso. Cherefonte domandò, dunque, se c'era qualcuno

più sapiente di me. La Pizial3 rispose che più sapiente di me non c'era

nessuno. Di queste cose sarà testimone suo fratello che è

qui, dal momento che Cherefonte è morto.

Per capire l'oracolo, Socrate sottopone a esame i politici

Fate ora attenzione al motivo per cui vi dico que- B

ste cose. Infatti, mi accingo a spiegare da dove è sorta la calunnia.

Dopo che ebbi udito il vaticinio, feci le seguenti considerazioni: «Che cosa dice il dio e a che cosa al­lude per enigma? Infatti, io ho chiara coscienza, per quanto mi riguarda, di non essere sapiente, né molto né poco. Allora, che cosa intende dire il dio, affer­mando che io sono sapientissimo? Certamente non dice menzogna, perché questo, per lui, non è lecito».

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66 APOLOGIA DI SOCRATE, 21 B-E

E1tEt 't<X �6ytç mxvu E1tl STt'tTJO't v CXÙ'tOU 'tot<X'IhTJV n và E'tp<X1t0· � TJV - � À.9ov È 1tt n vcx 't WV OOlCOU V't(!) V O'Oij>WV d VCXl ' roç

c èvtcxuacx Et7tEp 1tou ÈÀiyl;rov tò �cxv'te'iov Kcx\ a1tolj>cxvrov 'tQl XPTJO'�Ql o n "OU'tOO'l E�OU aolj><i>'tep6ç Èan, O'Ù o' É�È Elj>TJ0'9CX. n otcxaKo7trov o'Òv toutov - òv6�cxn yàp oùoèv oéo�cxt Àiyetv, �v oÉ nç 'tWV 7tOÀ.t nKrov 7tpÒç ov èycb O'K07trov totOi3t6v n

5 E1tCX9ov, ro èivopeç 'A9TJVCXlot, KCXl OtCXÀ.EyO�EVOç CXÙ'tQl - eool;É �ot outoç ò avilP ooKE'iv �èv elvcxt aolj>òç èiUotç 'tE 7tOÀ.À.o'iç cXV9pomotç K<Xl �aÀ.tO''tCX ÈCXU'tQl, Etv<Xt o' OU' Ka1tEt 't<X btetpcO­�TJV CXÙ'tQl OEtlCVUVCXt on o'iono �ÈV EtVCXl O'Oij>oç, elTJ o' ou.

D EV'teu9ev o'Òv to\mp 'tE cX7tTJX9Ò�TJV Kcx\ 7tOÀ.À.Otç trov 7tcxp6vtrov· 7tpÒç E�CXU'tÒV o' o'Òv amcbv ÈÀ.O'fl.SO�TJV on 'tOU'tOU �èv 'tOU av9pc07tOU Èy<Ìl O'Oij>cO'tEpoç el�t · 1Ct VOUVEUEt �ÈV yàp it�rov OUOÉ'tEpoç OUOÈV KCXÀ.ÒV Kaycx9òv eioévcxt, aJ..J..' OU'tOç �Èv

' o\e'tai n eioévat ouK eioooç, èycb oé, roa1tep o'Òv ouK oloa, ouoè o'io�cxt· EOtKCX youv 'tOU'tOU ye O'�tKpQ> 'ttVt CXU'tQl 'tOU'tQl aolj><i>'tepoç Etvcxt, on & �lÌ OtOcx ouoè o'io�ext EtOÉV<Xt. EV'tEU9ev E7t' aÀ.À.OV i1cx 'tOOV EKel vou OOKOUV't(J)V O'Oij>ro'tÉprov el V<Xt K<Xl

E �Ot 't<XU'tà 't<XU't<X EOOl;E, KCXÌ ÈV't<XU9CX KcXKEl Vq> KCXÌ aÀ.À.otç 1tOÀ.À.Otç cX7tTJX90�TJV.

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II. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 67

E per molto tempo rimasi in imbarazzo su ciò che il dio intendesse dire. In seguito, con fatica intrapresi una ricerca su questo punto nel modo seguente.

Andai da uno di coloro che sono ritenuti sapienti, nella convinzione che solamente in questa cerchia, se c mai da qualche parte, avrei confutato il vaticinio e avrei mostrato all'oracolo quanto segue: «Questo qui è più sapiente di me; e tu, invece, hai affermato che sono to».

Ora, mentre sottoponevo a esame quell'uomo - non c'è bisogno che io vi dica il suo nome; era uno degli uomini politici, sul quale, svolgendo il mio esame e discutendo insieme con lui, ho tratto le seguenti im­pressioni -, mi sembrò che godesse fama di sapiente presso molti altri uomini e soprattutto che egli stesso si considerasse tale, anche se, in realtà, non lo era af­fatto. E quindi cercai di dimostrargli che credeva di essere sapiente, ma che invece non lo era.

Di conseguenza, mi feci nemici sia lui sia molti di o coloro che erano presenti. E mentre me ne andavo, trassi la conclusione che, rispetto a quell'uomo, io ero più sapiente. Si dava il caso, infatti, che né l'uno né l'altro di noi due sapesse niente di buono né di bello; ma costui era convinto di sapere mentre non sapeva, e invece io, come non sapevo, così neppure credevo di sapere.

In ogni modo, mi parve di essere più sapiente di quell'uomo, almeno in una piccola cosa, ossia per il fatto che ciò che non so, neppure ritengo di saperlo.

Subito dopo, andai da un altro di coloro che erano ritenuti più sapienti di quello, e ne ricavai le stesse . . .

unpressmm. E anche in questo caso mi inimicai sia lui sia molti E

altri.

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68 APOLOGIA DI SOCRATE, 2 1 E · 22 B

Metà tai>t' oùv 11a11 È<!Jel;f\ç i;ia, aicreavoJ.levoç J.!ÈV [lcaìl À.U1t01JJ.1EVOç KCXÌ aeotÒlç on U1tllX8CXVOJ.11lV, OJ.lW<; OÈ avay�ea'iov

5 èaoKEt el VCXt 'tÒ 'tOU 8EOU 7tEpÌ. 7tÀ.EtO'tOU 1t0tEtcr9at - Ì tÉOV oùv, OK01tOUVn tòv XPllOJ.lÒV n À.Éyet, È1tÌ a1tavtaç touç n

22 A OOKOUVtaç eiMvat. Kat V'lÌ 'tÒV KUVCX, m avopeç 'A91lVCXt0t ­oe'i yàp 1tpòç ÙJ.léiç taÀ.119f\ À.Éyetv - � Jl�V Èyro t1ta9ov n tmoutov· o\ J.1Èv JlaÀ.tcrta eùaoKtJ.loi>vtEç E.ool;av J.lOt òÀ.tyou ae1 V 'tOU 1tÀ.EtO'tOU ÈVOEEtç EÌ Vat ç 11 'tOUV'tt Katà tÒV 9EOV,

5 aÀ.À.Ot aè OOKOUVteç <!JauÀ.otepOt ÈmEt KÉOtEpOt EÌ vat avapeç 1tpÒç tò <IJpOVtJ.l(J)ç EXEtV. OEt OTÌ UJ.ltV t'JÌV ÈJ.1TÌV 1tÀ.cXV1lV È1ttae'i/;at c001tEp 1tOVouç nvàç 1tOVOUVtoç 'iva JlOt KCXÌ av­ÉÀ.EyKtoç JÌ J.lCXV'telCX yÉVOt 'tO. JlE'tÙ yàp 'tOÙç 1tOÀ.t 'tt KOÙç lJCX È1tÌ. toùç 7tOtlltàç touç te trov tpayq�otrov �eaì. toùç trov

8 Ot9upciJ.113rov KCXÌ toùç aÀ.À.ouç, roç Èvtcxu9a È1t' cxùto<!Jropql KCX'tCXÀ.ll\jiOJ.lEVOç ÈJ.lCXU'tÒV UJ.1CX9Écrtepov ÈKEt V(J)V OV'tCX. avcx­À.CXJ.lj3civrov oÙv CXÙ'tOOV tà 1t0t ftJ.lCX'tCX a JlOt ÈOOKEt JlcXÀ.tcrtcx 1tE1tPCXYJ.1CXteucr9cxt cxùtol.ç, Ot llPol't(J)V av cxùtoùç n À.ÉyOtEV'

5 tV' aJ.lCX 'tt KCXÌ J.lCXV9cXVOlJ.lt 1tCXp' CXÙ'tOOV. CXÌOXUVOJ.lCXt OÙV UJ.ltV el1telV, m dvapeç, t<ÌÀ.119f\ · OJ.lroç aè Pll'tÉOV. roç exoç yàp EÌ1tEtV ÒÀ.{you CXÙ'tOOV a1tCXVtEç Ol 1tCXpOVtEç Ò.V j3ÉÀ.nOV EÀ.eyov 1tEpÌ. mv CXU'tOÌ. È1tE1tOlftKEOCXV. eyvrov oùv cxù KCXÌ. 1tEpÌ 'tOOV 1t0t ll'tOOV ÈV ÒÀ.{ yq� 'tOU'tO, o n ou cro<IJ{� 1tOtOtEV

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Il. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 69

Socrate sottopone a esame anche i poeti

Dopo di ciò, proseguii con ordine le mie indagini, rendendomi conto però, addolorato e intimorito, che diventavo odioso. Eppure mi pareva che fosse neces­sario tenere in grandissima considerazione l 'oracolo del dio. Per cercare di capire che cosa l'oracolo in­tendesse dire, dovevo andare da tutti coloro che pen- 22 A

sano di sapere qualcosa. Ebbene, corpo di un cane, cittadini ateniesi - bi­

sogna che vi dica la verità -, ecco quello che mi è ca­pitato. Quelli che avevano la maggior fama, prose­guendo la mia indagine in base all'oracolo del dio, mi sono sembrati quasi tutti privi di sapienza in grado supremo; invece, altri che erano giudicati di minor valore, si trovavano più vicini alla saggezza.

Ma devo descrivervi il mio vagabondaggio e quali fatiche ho sopportato, affinché il detto dell'oracolo diventasse inconfutabile.

Dopo aver esaminato gli uomini politici, andai dai poeti, da quelli che compongono tragedie e da quelli che scrivono ditirambi e anche dagli altri, nella con- B vinzione che in quella cerchia avrei potuto verificare al di là di ogni dubbio il fatto che io sono più igno­rante di loro. Prendevo i loro poemi, quelli che mi sembravano composti nel modo migliore, e doman­davo loro che cosa intendessero dire, al fine di poter anch'io imparare qualcosa.

Mi vergogno a dirvi, cittadini, la verità. Eppure bi­sogna che ve la dica !

Tutti gli altri che erano presenti, per così dire, par­lavano quasi meglio di loro intorno alle cose sulle qua­li essi avevano composto poesie.

Dunque, anche dei poeti venni in breve tempo a conoscere questo, e cioè che non per sapienza com-

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70 APOLOGIA DI SOCRATE, 22 C-E

C a 1t010lEV, aÀ.À.à tjlUOEl nv\ tea\ Èv9ouau:içovtEç 0001tEp o\ 9EOJ.uivtetç �ea\ o\ XPT\OJ.Hpoo\ · tea\ yàp outot Myoum J.1ÈV 1tOÀ.À.à tea\ teaÀ.a, \aaatv OÈ oùoèv OOV À.Éyouat. tOlOU'tOV ti J!Ot i:t��<iv11aav 1ta8oç tea\ oi 7tOt1'\ta\ 7tE7tov96teç, tea\

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Teuutrov o'Òv È1tÌ toùç xetpottxvaç ija· ÈJ.laUtcQ yàp D OUVlJOT\ OÙOÈV ÈmataJ.1ÉvQ> <ilç btoç EÌ1tElV, tOUtouç OÉ y' ljo11

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Il. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 71

ponevano le cose che componevano, ma per una cer- c ta dote di natura e perché erano ispirati da un dio, come i vati e gli indovinil4. Anche costoro, infatti, di­cono molte e belle cose, però non sanno nulla di ciò che dicono. Un fenomeno simile mi è sembrato esse-re anche quello che riguarda i poeti. E, a un tempo, mi accorsi che i poeti, a causa della loro poesia, rite­nevano di essere i più sapienti degli uomini anche nelle altre cose in cui non lo erano.

Pertanto, mi sono allontanato anche da costoro, con la persuasione di valere di più per lo stesso moti­vo per cui valevo più degli uomini politici .

Da ultimo Socrate sottopone a esame anche gli artigiani

Infine, andai dagli artigiani. Infatti, ero perfetta­mente consapevole di non sapere nulla della loro ar- o te, per dirla in breve, mentre ero convinto che avrei trovato in costoro la conoscenza di molte e belle cose.

E non mi ingannai. Infatti, avevano conoscenze che io non avevo e, rispetto a me, in quelle erano più sa­pienti15 .

Tuttavia, cittadini ateniesi, mi sembrò che i poeti e i cari artigiani avessero il medesimo difetto. Infatti, per il motivo che sapevano esercitare bene la loro ar­te, ciascuno di essi era convinto di essere sapientissi­mo anche in altre cose grandissime, e proprio questo difetto metteva in secondo piano la sapienza che pur avevano.

Perciò, stando al responso dell'oracolo, posi a me E stesso la domanda se avrei accettato di rimanere in quello stato in cui mi trovavo, ossia di essere né sa-

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72 APOLOGIA DI SOCRATE, 22 E - 23 B

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23 A 1tOÀ.À.a.Ì J.lÈV a1tÉX9Eta.i J.lOt yEyova.at Ka.Ì Ota.t XO.ÀE1t<Ò'ta.ta.t ICO.l j3a.pU'tO.'tal, cOO'tE 1tOÀ.À.àç Ota.j}oA.àç a1t' a.ÙtéòV yeyoVÉVal, ovoJ.la. oÈ touto A.É.yEa9a.t , crocpòç EÌ va.t · oi:ovta.t ycip J.lE ÉKaCJ'tO'tE OÌ 1ta.pOV'tEç 'tO.U'ta. a.Ù'tÒV Etva.t aocpÒV a dv WJ...ov

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a tci) È !lei? 6voJ.1a.n, ÈJ.lÈ 7ta.pcioEt YJ.la. 1totouJ.1Evoç, roa7tEp dv <EÌ> et1tot on "oU-roç UJ.léòV, ro av9pro1t01, aocpro'ta.'toç Èanv, oanç c001tEp I:ro!Cpci'tllç EyYOOICEV O'tl OÙOEVÒç &/;toç èan 'tlj àA.Tt9ei� 7tpòç aocj>ia.v. " ta.u-r' oùv èyoo J.lÈV e n Ka.ì vuv

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Il. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 73

piente della loro sapienza, né ignorante della loro igno­ranza, oppure di avere tutt'e due le cose che essi ave­vano.

La risposta che diedi a me e all'oracolo fu che, per me, era meglio rimanere in quello stato in cui mi tro­vavo.

n significato del vaticinio: Socrate è il più sapiente degli uomini perché sa che la sapienza umana è un nulla

Da tale accurato esame, cittadini ateniesi, mi cleri- D A

varano molte inimicizie, pericolosissime e gravissime, al punto che da esse sorsero molte calunnie e mi pro­venne anche la reputazione di essere sapiente. Così, ogni volta, tutti qùelli che erano presenti pensavano che io fossi sapiente in quelle cose sulle quali confu­tavo l'altro .

. Invece, cittadini, si dà il caso che, in realtà, sapien­te sia il dio e che il suo oracolo voglia dire appunto questo, che la sapienza umana ha poco o nessun va­lore.

ll dio sembra che parli proprio di me Socrate, e in­vece fa uso del mio nome, servendosi di me come di B esempio, come se dicesse: «Uomini, fra di voi è sa­pientissimo chi, come Socrate, si è reso conto che, per quanto riguarda la sua sapienza, non vale nulla>>l6.

Appunto per questo anche ora, andando attorno, ricerco e indago, in base a ciò che ha detto il dio, se io possa giudicare sapiente qualcuno dei cittadini e degli stranieri. E, dal momento che non mi sembra che siano tali, venendo in soccorso al dio, dimostro che non esiste un sapiente.

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74 APOLOGIA DI SOCRATE, 23 B-E

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C 1tEVlçt J!Upi.çt Etj..lÌ OUX tTÌV tOU 8EOU À.atpEi.av. npòç OÈ toùtotç o\. VÉOl JlOl È1t<XK'OÀ.ou9ouvteç - ol.ç Jlcl·

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E ovteç Kaì c:s<Poopo\ Kaì 1toi..J..oi, Ka\ auvtetaJlÉvroç Kaì m ­eav&ç À.éyovteç 1tEpt ÈJ.LOU, Éjl1tE1tÀ.rlK'<XCJlV UJ.LOOV tà rota K'<XÌ 1tcii..at Kaì a<Poop&ç ota�cii..J..ovteç. ÉK" toùtrov Kaì MÉÀ.lltoç

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II. DIFESA CONTRO I PRIMI ACCUSATORI 75

Effetti prodotti dall'esame condotto da Socrate

Proprio a causa di questo mio impegno, non ho avuto a mia disposizione il tempo di fare alcunché per la Città che fosse degno di considerazione e nep­pure per me privatamente. E, a causa del servizio che c ho reso al dio, mi trovo in grandissima povertà.

Per giunta, i giovani che mi seguono di loro spon­tanea volontà, quei giovani che più di tutti hanno tempo libero e che sono figli dei più ricchi, gioiscono nelr ascoltare come gli uomini vengano da me sotto­posti a esame, e più volte essi stessi mi imitano, e cer­cano di sottoporre a esame anche altri. E allora - cre­do - trovano una grande abbondanza di uomini che sono convinti di sapere qualche cosa e che, invece, sanno poco o niente.

Di conseguenza, quelli che vengono sottoposti a esame da loro, si adirano contro di me e non già con se medesimi, e affermano che Socrate è in sommo D

grado abominevole e che corrompe i giovani. E allor­ché uno domanda a loro che cosa fa e che cosa inse­gna Socrate, non hanno nulla da dire e non lo sanno. E per non far la figura di non saperlo, dicono le solite cose che si dicono contro tutti i filosofi, e cioè che «fa ricerche sulle cose che stanno sotto terra», che «non crede nell'esistenza degli dèi» e che «fa apparire più forte il ragionamento più debole».

La verità - mi pare - essi non la vorrebbero dire, ossia che è risultato evidente che hanno la presunzio­ne di sapere tutto e, invece, non sanno nulla.

E dal momento che - penso - sono ambiziosi, vio­lenti e numerosi, e parlano di me in maniera ferma e E convincente, hanno riempito completamente le vo­stre orecchie già da un pezzo, calunniandomi pesan­temente.

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76 APOLOGIA DI SOCRATE, 23 E - 24 C

Jl.Ol È1tÉ8EtO tca\ "Avutoç tca\ AUK(I)V, MÉÀ.T\tOç J..LÈv u1tÈp trov s 1t0t T\tOOV ax.8oJ..LEVOç, "A vutoç OÈ U1tÈp trov OT\J..LlOUpyrov tca\

24 A trov 1tOÀ.ltl1COOV, AU1C(I)V OÈ \mÈp trov PT\tOpcov· oocrtE, 01tEp apx.oJ..LEVOç Èyro EÀ.Eyov, 8CtUJ..LclçotJ..L ' dv EÌ oioç t' EtT\V Èyro 'ÒJ..Lrov tetUtTJV nìv Otai3<>A.liv èçeA.W8at ÈV outroç òA.i.yq> x.p6vq> OU't(l) 1tOÀ.À.lÌV yeyovuiav. tCXUt' ecrttv UJ.llV, ro avopeç 'A811-

s VOOOl, t<iÀT\8fl, 1C<Xl UJ..Ldç OUtE J..LÉY<X OUtE J..Ll1CpÒv a1t01CpU'J1cl­J..LEVOç èyro À.Éyro oùo' \mocrtetA.ciJ..Levoç. tccxi. tm olocx crx.eoòv Otl aùto1ç tOUtOtç a1tEx.8civoJ..LOO, o 1C<Xl tEKJ..Lt\ptov Otl &À.T\8fl À.Éyro tcaì. ott ai> t'l Ècrtì. v i) ota�oA.tì i) ÈJ..LlÌ tcaì. tà ai na

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nepÌ. J..LÈV O'ÒV OOV o\ 1tp00t0t J..LOU Kettt\yopot 1C<XtTJ'YOPOUV CtU'tT\ E<Jt(J) t1CCtVft a1tOÀ.oyia 1tpÒç UJ..Ldç· 1tpÒç OÈ MÉÀT\'tOV

S tÒV aya8ÒV 1C<Xl cptÀ01tOÀ.tV, ooç tP'lOt, 1CCXÌ. to'Ùç ÙOtÉpouç J..LEtà t<XUt<X 1tElpclOOJ..l.Ctl a1tOÀ.Oyr\aaa8.at. a'Ò8tç yàp Or\, Wcr1tEp ÈtÉprov toutrov ovtrov Kett'lYOprov, A.ci�roJ..LEV a'Ò tlÌV tOUt(J)V avtOOJ..LOOiav. EX.Et OÉ 1troç rooe· r.rotcpcl'tT\ tPT\OÌ. v aOt1CElV touç tE vÉouç Otacp8e\povta tca\ aeoùç ouç i) 1t0Àtç

c voJ..Liçet ou VOJ..Liçovta, etepcx oÈ OatJ..LOVta Kat vci. tò J..LÈV OlÌ

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 77

In base a questo, Meleto e Anita e Licone si sono scagliati contro di me: Meleto sdegnato in nome dei poeti, Anita in nome degli artisti e dei politici, Li- 24 A

eone in nome degli oratori17 . Perciò, come da principio vi dicevo, mi meraviglie­

rei se fossi capace di strappare via da voi questa calun­nia in così breve tempo, dato che è cresciuta così tanto.

La verità, cittadini ateniesi, è questa ! E la dico a voi, senza nascondervi proprio nulla, né molto né po­co, e senza simulazione. Eppure, so pressoché per cer­to che per tali motivi vengo odiato. Qui sta un'altra prova del fatto che dico la verità e che proprio questa è la calunnia ai miei danni e che tali sono le cause. E se indagherete su ciò, adesso o più avanti, costaterete B

che è proprio così.

Difesa contro il secondo gruppo di accusa­toriiB

L'atto di accusa di Meleto

Per quanto riguarda le cose di cui mi hanno accu­sato i primi accusatori, sia sufficiente la difesa che ho sostenuto davanti a voi.

Ora cercherò, invece, di difendermi nei confronti di Meleto, buono e amante della sua Città, come lui afferma, e nei confronti degli accusatori che sono ve­nuti dopo.

Ancora una volta, dunque, come se fossero accu­satori differenti dai precedenti, prendiamo in consi­derazione l'atto di accusa di costoro. Dice all'incirca così: «Socrate è colpevole, in quanto corrompe i gio­vani, e non crede negli dèi in cui crede la Città, ma in c divinità diverse e nuove»19.

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78 APOLOGIA DI SOCRATE, 24 C-E

eyJCÀllJ.la tOlOUtOV ÈCJtlV ' tOUtO'U Bè tou ÈyKÀtlJ.latoç EV EJCaatov èçetaaroJ.lEV.

«1»11a\ yàp Btì toùç vÉouç àStJCEtV J.lE StoopOe\povta. Èyoo BÉ ' ye, m avSpeç 'A011Vatot, àStJCEtV c!lllJ.ll MÉÀlltOV, on axouSij

:xaptevt\çetat, �S\roç eiç ày&va JCaOtatàç àvOpcfutouç, 1tEp\ 1tfXX'YJ.100(1)V 1tp001t0to4Jevoç 01tou&ll;a v JCOO Kft&aOat CÌN o\&r tOUtq> 1tolxOtE ÈJ.1ÉÀ11CJEV' <Ìlç BÈ tOUtO outroç E:XEl, 1tEtpaOOJ.lat JCa\ UJ.ltV Èm&t�OO- JCat J.lOl &Upo, m MÉÀlltE, Eixé· &uo n il

D m:p\ 1tÀ.EtCJtO'U 1t0lij 01t0>ç <Ìlç �ÉÀnCJtOl o\ VEOOtEpOt ECJOVtat; "Eyroye. "IOt Bti vuv dxè toutotç, tiç aùtoùç �EÀtiouç xote'i ;

Biì Àov yàp o tt oìaea, J.léÀov yé aot. tòv J.lÈV yàp Sta-' cpOeipovta èçeupo)v, ID; cpl]ç, ÈJ.lÉ, Eiaayetç toutma\ JCa\ Katll­

yope1.ç· tòv Bè Bl) �EÀ t\ouç xotouvta tOt eixè JCa\ J.1T1vuaov aùto'iç tiç Èattv. - 'Opqç, <Ò MéÀlltE, o.tt atyqç KaÌ OÙJC E:xetç ei1téìv; JCattot oùJC aia:xp6v aot SoJCE1 elvat Ka\ \JCavòv tEKJ.lllPlOV où Btì Èy(Ì) À.Éyro, on CJOl oùSèv J.1EJ.1ÉÀ111CEV; à).).'

10 EÌ1tÉ, dlyaOÉ, t\ç aùtoùç àJ,lEtvouç xote1.; 0\ VOJ.lOl.

E 'A).).' oÙ tOUtO Èprot&, <Ò �éÀnatE, àÀ.À.à t\ç av0p(l)1toç, oanç xp&tov JCa\ aùtò tOUtO ol&, toùç VOJ.lO'Uç;

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 79

Questa è, dunque, l'imputazione. Esaminiamo, al­lora, ciascuno dei suoi punti.

Meleto afferma che io sono colpevole di corrom­pere i giovani, e io, invece, cittadini ateniesi, affermo che colpevole è Meleto, in quanto scherza su cose serie, porta alla leggera uomini in tribunale, facendo credere di occuparsi seriamente e di prendersi cura di ciò di cui egli non si è mai occupato.

E che la situazione stia proprio in questi termini, tenterò di dimostrarlo anche a voi.

Meleto accusa Socrate di corrompere i giovani sen­za avere competenza in queste cose

Vieni qui, Meleto, e rispondimi20. «Non tieni in grandissimo conto che i giovani ere- o

scano nel modo migliore possibile?» «Sì.» «Orsù, di' a costoro: chi li rende migliori? È evi­

dente che tu lo sai, dato che te ne prendi cura. Infatti, avendo scoperto che io li corrompo, mi trascini qui in tribunale e mi accusi. Perciò, di', chi li rende migliori e mostra a costoro chi è.»

« . . . »2 1 «Vedi, Meleto, che te ne stai in silenzio e non sai

che cosa dire? E non credi, allora, che sia una brutta cosa e una prova adeguata di quello che dico io, ossia che tu di ciò non ti sei mai preso cura? Ma dimmi, brav'uomo, chi li rende migliori?»

«Le leggi.» «Ma io non ti domando questo, carissimo; ti do- E

mando qual è l'uomo il quale, prima di tutto, deve co­noscere appunto anche quello che dici, ossia le leggi.»

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80 APOLOGIA DI SOCRATE, 24 E - 2.5 B

Où? ., �,!, • 1: l 'tOl, (t) ""-U1Cpateç, Ol ullCCia'tat. nci>ç À.Éyetç, cò MÉATI'tE; OlOE toùç vtouç 1tat&unv oioi

s tÉ Eim Kaì �EA.'tiouç xmoootv; Maì..tata. n6ttpov &xavttç, i\ o\ �v a'Ùtéòv, o\ S' ou; ., Axavteç. EÙ 'YE VTÌ t'JÌV "Hpav A.éyetç KaÌ 1t0AA'JÌV à4j>9oviav 'tcOV

10 CÒCj)EAOUV't(t)V. n OÈ or\ ; o\ BÈ àKpoataì �EA.'tiouç 1tOlOU<nV 25 A i\ OU;

Kaì outot. Ti oÉ, o\ �oui..Eutai; Ka\ o\ �oui..Eutai.

s 'AU' apa, CÒ MÉA.TltE, �lÌ o\ Év 'ti] ÉKKA.Tlai�. o\ ÉlClCATI-maatai, Ota4j}9Etpoum to'Ùç VEro'tÉpouç; i\ lC<ÌlCElVOl �A.'tiouç 1tOlOU<nV cl1t<XVtEç;

KàKÉÌVOl. navteç apa, ci>ç EOllCEV. • A an vai Ol lCaA.oùç Kàya9oùç

10 1tOlOU<Jl 1tA'JÌV É�ou, èycò OÈ �6voç ota4j)9eipro. OU't(J) A.éyetç; navu a4j>6opa tauta A.éyro. noA.A.r\v yÉ �O'U lCatÉyvroKaç Buatuxiav. Kai �Ol àx6-

1CplVat · Ti Kaì xepì i xxouç oil'tro aot ooKEi EX El v; o\ �È v 8 �EA nouç 1tOlOUVtEç a'ÙtoÙç 1taVtEç av8p(J)1t0l El Val, eiç OÉ

nç 6 ota4j>Oeiprov; i\ to'Ùvav'tiov tOU'tO'U 1t<lV Etç �V nç 6 �A.nouç Otoç t' OOV 1tOlElV Tl 1taVU ÒAt'YOl, o\ l1t1tl1COt, o\ Sè 1tOAAol ÉaV1tEp G'UVéòal lCaÌ XPcOVtat t1t1tOtç, ota4j}8etpOUO'tV;

' oux outroç EXEl, Ò> MÉATI'tE, lCaÌ 1tEpÌ 'i1t1t(J)V lCaÌ téòv aUcov axavtrov çq)rov; xavtroç or\1tO'U, éavtE aù KaÌ , A vutoç o\> 4!>iìtE ÉaVtE 4!>iìte· xoi..A.'JÌ yàp av nç E'ÙOat�ovia EtTI 1tEpÌ.

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 81

«Sono costoro, Socrate, i giudici ! >�2 «Come dici, Meleto? Questi sono in grado di edu­

care i giovani e li rendono migliori?» «Certamente.» «Tutti quanti, oppure alcuni di loro sì e altri, inve­

ce, no?» «Tutti quanti.» «Dici bene, per Era ! C'è una gran quantità di uo­

mini che giovano ! E poi? Questi che sono qui pre-senti al processo23 li rendono migliori, o no?» 25 A

«Anche questi ! » «E i consiglieri?»24 «Anche i consiglieri !» «E allora sono forse i componenti dell'assemblea,

ossia gli ecclesiasti25 , coloro che corrompono i giovani? Oppure anche tutti costoro li rendono migliori?»

«Anche costoro ! » «Dunque, tutti quanti gli Ateniesi, come sembra,

rendono i giovani buoni e virtuosi, tranne me. Io solo li corrompo ! Dici così?»

«Dico proprio questo, con fermezza.» «Tu hai riconosciuto in me una grande disgrazia !

Ma rispondimi ancora: credi che sia così anche per i cavalli? Coloro che li rendono migliori sono tutti quan- B

ti gli uomini, mentre uno solo è colui che li guasta? O, proprio al contrario di questo, uno solo è capace di renderli migliori, o comunque sono molto pochi, ossia gli intenditori di cavalli, e invece i più, se tratta­no con i cavalli e ne fanno uso, li guastano? Non è for-se così, Meleto, e per quanto riguarda i cavalli e per tutti gli altri animali?»

« . . . » «È sicuramente così, sia che tu e Anita lo diciate

sia che non lo diciate. E sarebbe una ben grossa for-

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82 APOLOGIA DI SOCRATE, 25 B-E

'toùç vÉouç ei eiç f.I.Èv IJ.ovoç aù'toùç �tacjl9Ei.pet, o\. �· <UM>t c rocjleÀ.ou<n v. <iÀ.À.à yap, ro MÉAll'tE, bcavroç È1tt�eh:vuaat

on où�e1too1to'te Ècjlp6vnaaç 'tcOV vérov, KCÌt aacjlclìç à1tocjlai­vetç 'tlÌV aau'tou �av, on où� aot llQJÉÀllKEV 1tep\ CÒV Èf.I.È eiaciyetç.

s "En �È Tt!J.tV ei1té, ro 1tpÒç �tòç MÉAll'tE, 1to'tep6v Èanv obcéiv {4Letvov ÈV 1tOÀ.t'tmç XPllG'toiç i\ 1tOV,po\ç; éb 'tcXv, mro­Kpt vm · où&v ycip tot XCXÀrnÒv Èprotro. oùx oi IJ.Èv 1tov,po\ K<XKOV n Èpyaçovtat toùç àe\ È'yyutatro a'ÒtcOV ovtcxç, oi �· àya9o\ àya96v n;

10 ncivu ye. D "Eanv OÙV oanç �OUÀ.etat Ù1tÒ tcOV G'UVOVt(J)V �AcX1ttea9at

�J.WJ..ov i\ CÌlcjleA.Éia9at; à.rcoKpi.vou, cò àyaaé· KCÌt yàp ò VO!J.oç KEÀ.eUet <Ì1t01Cpi.vea9at. ea9' oanç j3ouÀ.et<Xt �AcX1ttEG9<Xt;

Où �flta. s �e Oli. ruYtEpov ÈpÈ rlaayaç &Upo eh; fuooparlpovta to'Ùç

vÉouç K<XÌ 1tOV11PO'tÉpouç 1tOlOUVt<X ÈKOVt<X i\ aKOVt<X; 'EKOV't<X eyroye. n �flta, ro MÉÀ.lltE; "COGOUtOV aù È!J.OU aocjlo)tepoç d 'tll·

À.t1CO'I)"CO'U ovtoç tllÀ.llCOO& rov, cOOtE aù J.lÈV Eyv001C<Xç O'tt oi 10 f.I.Èv K<XlCOÌ lC<XlCOV n Èpyaçovtat àE\ toùç f.lcXAt<Jta 1tAllalOV E È<X'U'tcOV, o\ � aya9o\ àya96v, È'yCÌ> & �lÌ eiç tOOOUtOV <Ìf.la­

Oiaç i\Kro roate K<XÌ tout' àyvoclì, Ott Èav nva IJ.OX911PÒV 1t0tit<Jro 'fiiN auv6v'tCilV, nv&u'VE'OOro Koocov 'tt Aaj3éiv im' aùtoU, OO<Jte tOUtO <tÒ> tOGOUtOV KUlCÒV ÈKCÌ>V 1t0t00, ci>ç cjll]ç <JU;

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 83

tuna per i giovani se fosse uno solo colui che li cor­rompe, mentre tutti gli altri fossero di loro giovamen- c to ! Ma di fatto, Meleto, hai dimostrato a sufficienza che tu non ti sei mai dato pensiero dei giovani, e mostri chiaramente la tua incompetenza, in quanto non ti sei mai preso cura di ciò per cui mi porti qui in tribunale. Ma, dimmi ancora, Meleto, in nome di Zeus, è meglio vivere fra cittadini buoni oppure fra quelli cattivi?»

« . . . » «Amico caro, rispondi ! Non ti sto domandando

niente di difficile. I cattivi non fanno del male a quelli che stanno sempre vicini a loro, e i buoni non fanno invece del bene?»

«Certamente.» o «E c'è qualcuno che voglia ricevere danno, invece

che giovamento, da coloro con i quali sta insieme?» « . . . » <<Rispondi, caro. Anche la legge ordina che si rispon­

da. C'è forse qualcuno che voglia ricevere danno?» «Proprio no.» «Su, avanti ! Tu mi porti qui, in quanto corrompo i

giovani e li rendo cattivi deliberatamente, oppure con­tro volontà?»

«Volontariamente, dico.» «E come, Meleto? Tu che sei così giovane26, sei a

tal punto più sapiente di me che sono così vecchio, da essere a conoscenza del fatto che i cattivi fanno sempre del male a quelli che sono più vicini a loro, mentre i buoni fanno del bene, e io sono invece giun- E to a tal punto da ignorare anche questo, che se ren­derò malvagio qualcuno di coloro con i quali sto in compagnia, correrò anch'io il rischio di ricevere del male da lui, e per giunta faccio deliberatamente tutto questo male come affermi tu?

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84 APOLOGIA DI SOCRATE, 25 E · 26 C

' tauta Èyoo aot ou m:i9o).lat, 00 MÉÀlltE, Ol).lat & ouOè &uov civ8pcil1trov ouoÉVa· CÌÀÀ' li ou otacp9Eipro, li El otacp9Eipw,

26 A chcwv, roatE au YE ICat' CÌJ.lcpOtEpa \jiEUOlJ . Ei OÈ aiC(I)V Ota­cpaeipro, 'tOOV 'tOtOU't{J)V [!Ca\ aiCO\lCJl(I)V] èq.laptll).latrov OU &Upo VO).lOç EtaayEtV rotiv, WJ..it i.oi� Àaj36vta OtOOaiCElV ICOO VO\l· 9Etitv· 01ÌÀOV yàp on Èàv ).la9ro, 1ta000J.l(Xl o YE aiCOOV 1t0t00.

s aù OÈ auyyevéa9at J.lÉV J.lOl IC(Xl otociçat ecpuyeç IC(Xl OUIC it9ÉÀ1laaç, oeupo Oè Ei.aO:yetç, oì voJ.loç Èan v eiaayet v toùç KoMiaeroç OEOJ.lÉvouç <ÌÀÀ' ou ).la9flaeroç.

'AÀ"A.à ycip, ro avopeç 'A911V<Xl0l, 'tOU'tO J.lÈV Tt011 OlÌÀOV B ouy<Ò EÀEyov, O'tt MEÀtl'tql 'tOU't(I)V OU'tE ).lÉya OU'tE J.ll!CpÒv

1tro1tote eJ.lÉÀllaev. o).lmç oè o� ÀÉye itJ.ltv , 1troç J.lE cp� ç Otacp9EipEtV, ro MÉÀll'tE, toùç VEOO'tÉpouç; li OlÌÀOV o� O'tl Katà 'tlÌV ypacpitv iìv Èypa\jfro 9eoùç otOciaKovta J.llÌ VOJ.liçetv

s ouç lÌ 1t0Àtç VOJ.liçet, EtEpa OÈ OalJ.lOVta JC(Xt vci; où 't(XU't(X· ÀÉyEtç on OtOOCJIC(I)V. Otacp9Eipro;

n<ivu J.lÈv oùv acp6opa tauta Uyro. npòç aut&v toivuv, ro MÉÀll'tE, 'tOU't(I)V t&v ee&v rov vUV

o Àoyoç Èati v, ei1tÈ Ett aacpÉatEpov Ka\ È ).lo\. 1ea\. to'iç civ­c opamv tO\ltatai. Èy<Ì> yàp OU ouva).lat J.l<X9EtV 1tO'tEpov ÀÉyEtç

OtOOaiCElV J.lE VOJ.ltçav ElVat uvaç 9Eo'Òç- ICOO autòç &pcx VOJ.ltçro

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 85

Questo, Meleto, non me lo fai credere, e penso che non lo fai credere neppure a nessun altro. Ma, al­lora, o io non li corrompo, oppure, se li corrompo, non faccio questo deliberatamente. Sicché tu menti 26 A

in tutti e due i casi ! E se non li corrompo deliberata­mente, per una colpa di questo tipo la legge non im­pone che si conduca qui in tribunale colui che sba­glia, ma, piuttosto, che, presolo da parte, lo si istrui-sca e gli si diano consigli. Infatti, è evidente che nel momento in cui avrò imparato, cesserò di fare ciò che involontariamente faccio. Invece, tu mi hai evitato, e non hai voluto avere rapporti con me e istruirmi. E ora mi conduci qui in tribunale, dove la legge impone che si conducano quelli che devono essere puniti, ma non coloro che devono essere istruiti.»

Inconsistenza dell'accusa che Socrate non crede negli dèi

Ma allora, cittadini ateniesi, quello che vi dicevo appare ormai evidente, ossia che Meleto non si è mai a

occupato, né molto né poco, di queste cose. Comunque, rispondi, Meleto, alle seguenti doman­

de: <<ln che modo dici che io corrompo i giovani? O è già chiaro, in base all'atto di accusa che hai presenta­to, che faccio questo insegnando loro a non credere in quegli dèi in cui crede la Città e a credere invece in nuove divinità? Non sostieni che li corrompo inse­gnando loro appunto questo?»

«Sì, dico proprio questo ! » «Allora, Meleto, in nome di questi dèi di cui stia­

mo ora discorrendo, parla in maniera più chiara a me e agli uomini qui presenti27, Infatti, non riesco a capi- c re se sostieni che io insegno a credere che esistano dèi

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86 APOLOGIA DI SOCRATE, 26 C · 27 A

EÌ.VOO. 9EO'Ùç lCcÌl O'ÙlC EÌ.J.LÌ tÒ 1UXp<Xruxv &9t:oç o'ÙOÈ taUtlJ àfulC& - où JIÉVtOt oucnrep "(E TJ 1tOÀ.tç auà Èttpouç, lCcÌl tout' Eatt V

5 o J.Lot ÈyKaA.Eiç, ott ètÉpouç, ii 1tavta1taai J.LE cpTj ç outE aùtòv voJ.Liçetv 9Eoùç touç tE &u.ouç tauta St&iax:Etv.

Tauta ì..tyro, cbç tò mxpa1tav où voJ.LiçEtç 9Eouç. D 7.Q 9auJ.LaatE MÉÀ.TttE, 'iva ti tauta ÀÉ"(Etç; ouSÈ Tiì..tov

OUBÈ OEÀ.tlVTIV apa VOJ.Liçro 9Eo'Ùç el vm, ciXntep o\ &llot &v-9p(J)1t0t;

Mà �i', cò avSpEç StlC<XOtai, È1tEÌ tòv J.LÈV T\ì..tov ì..i9ov 5 cj)TtOÌ V Et V<Xt, 'flÌV BÈ OEÀ.tlVT\V yflv.

'Av�ay6pou oiet lCatT\yopEiv, CÒ cpiì..E MÉÀ.T\tE; lCcÌl outro lCatcxcppovÉiç t&v& lCcÌl o'iet aUtoùç OOtrlpouç yp<XJ.J.J.Uit(I)V dvoo. cilatE o'ÙK rlaévm ott tà 'A v�ay6pou �t�ì..ia tou IO.açoJ.LE­viou yÉJ.!El toutrov t&v ì.i:Jyrov; Kcit S"it 1ecit oi vém tafua oop'

to èJ.Lou J.Lav9avoumv, ii EçEottv Eviote rl. 1t<ivu 1toUou SpaXJ.Lfìç E ÈlC tflç òpxt1otpaç 1tptaJ.LÉvotç .I:c.o1Cpatouç KatayEMiv, èàv

1tp001t0t fl'tat Èa.'UtoU d v m, èXAAroç tE lCcÌl oi>troç clt01t<X ovta; àì..ì..', 00 1tpÒç �t6ç, oùtroai OOt SolC&; ouaéva VOJ.Liçro 9EÒV ';" ElV<Xt;

5 Où J.LÉVtOt J.l<Ì �ia ouS' Ò1troattouv. "A1ttatoç y' d, cò MÉÀ.T\tE, lCaÌ tauta J.LÉVtOt, roç ÈJ.LOÌ

OOlCEtç, oautQì. ÈJ.LOÌ yàp OOlCÉÌ oùtooi, ro avSpEç 'A9Tivaiot, 1tavu El v m ù�pto'tftç Kaì àK6À.aatoç, 1eaì àuxv&ç 'tftv ypa­«Ptìv t<XUtT\V u�pEt tt v\ lCaÌ àlCOMxoi� lCaÌ VEOtT\tl ypavao9m.

21 A eotlCEV yàp cixmEp aiVtyJ.La ouvtt9évtt Sta1tEtproJ.LÉvcp ""Apa yvroaEtat l:co1CpatT\ç ò oocpòç Stì EJ.Lou xaptevnçoJ.Livou 1eaì èvavti' EJ.l<X'UtQi À.Éyovtoç, ti �a1t<X'ftloro aùtòv Kcit toùç ciì..­À.Ouç 'tO'Ùç àlCOUOVtaç;" outoç yàp EJ.LOÌ cpai VEtro tà èvavtia

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 87

- e pertanto credo io pure che esistano dèi e non so­no per nulla ateo e non sono colpevole di questo -, però non quelli in cui crede la Città, ma differenti, e se quindi è questa l'accusa che mi fai, ossia che sono divinità differenti; oppure se sostieni che in assoluto io non credo che ci siano dèi e che insegno queste co­se agli altri.»

«Dico questo: tu non credi assolutamente negli dèi.» «Meraviglioso Meleto, a quale scopo dici questo? o

lo non credo, dunque, che il Sole e la Luna siano dèi, come credono, invece, gli altri?»

«Per Zeus, giudici, lui non crede, perché afferma che il Sole è pietra e che la Luna è terra.»

«Ritieni, caro Meleto, di accusare Anassagora?28 E hai tanto disprezzo di costoro29, e li ritieni così privi di istruzione, da non sapere che i libri di Anassagora di Clazomene sono pieni di tali affermazioni? E i gio­vani apprenderebbero proprio da me queste cose, mentre possono, al prezzo di una dracma a dir tanto, comprarsele talvolta dall' orchestraJO e ridersi di So- E crate, che fa credere sue siffatte dottrine, peraltro co-sì stravaganti? Ma, per Zeus, hai proprio questa opi­nione di me? Io non credo che esista alcun dio?»

«No, per Zeus, proprio nessuno!» «Non sei attendibile, Meleto. E , almeno in questo,

penso, neanche a te stesso.» In verità costui, cittadini ateniesi, mi sembra che

sia assai tracotante e intemperante e che abbia pre­sentato l'accusa appunto per tracotanza, intemperan-za e awentatezza. Sembra uno che escogita un enig- 21 A

ma per sottoporre me alla prova: «Riconoscerà Sacra-te, il sapiente, che io sto facendo un gioco e che mi contraddico? O trarrò in inganno lui e tutti gli altri che stanno ascoltando?». Infatti, mi pare proprio che

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88 APOLOGIA DI SOCRATE, 27 A-C

' 'Aiya v aùtòç èautQ) Èv 'tfj ypaclnj cixmEp &.v EÌ e'btot· '" ASt KEi IroKpa'tT\ç 9Eoùç o'Ù VOJ.liçrov, aUà 9Eoùç VOJ.liçrov. " x:al'tot tout6 Ècrn 1taiçovtoç.

IUVE1t1CJKÉ'I'aCJ9E Sr\' 00 avSpEç, tj J.101 q,at VE'tal tauta AiyEtV' crù Sè l'IJ.ltV cX1tOKplVal, ro MÉÀ.Tt'tE. 'ÙJ.1Etç SÉ, 01tEp

8 Kat' apxàç UJ.léiç 1tap1J't110QJ.1TtV, J.1ÉJ.1VTtCJ9É J.101 J.l� Oopu�ElV èàv Èv tQ> e\ro96n tp61t<p toùç J..6youç 1tOtcOJ.1a1.

"Ecrnv oonç av9pclmrov, 00 MÉÀ.TttE, av9pCÒJteta J.1ÈV VOJ.llçEl 1tpciyJ.1at' elvat, av9pc01tOUç Sè où VOJ.llçEt ; a1tOKptvÉcr9ro, ci\

' avSpeç, x:a\ J.l� WJ..D. x:a\ d.Ua Oopu�itro· ro9' oonç 't1t1touç J.1ÈV où voJ.liçEt, \.1t1ttx:à Sè 1tpayJ.1ata; li a'ÙÀ.Tttàç J.1Èv ou VOJ.llçE\ Etval, a'ÙÀ.TtnKà & 1tpciyJ.1ata; O'ÙK Ecrnv, ro aptcrte àvSprov· Ei J.11Ì crù �oui..Et a1tox:pi vEcr9at, èyro cro\ 'Aiyro x:a\ toiç aÀ.À.otç tOUtotcri . cXÀ.À.<Ì tò E1tl 'tOUt(J,l YE cX1tOKptvat·

C E09' ocrnç 00\J.lOVla J.1ÈV VOJ.llçE\ 1tpayJ.1at' Et vat, OOlJ.lOVQç SÈ O'Ù VOJ.llçEt;

O'ÙK Ecrnv. ·nç OOVTtcraç on J.10ytç cX1tEKpivro \mò toutrov\ avayx:aç6.

' J.1Evoç. oùx:ouv OOtJ.lOVla J.1ÈV q,ljç J.lE x:a\ VOJ.liçav x:a\ StOO.­CJKEtv, eh' oùv x:at và d tE 1taÀ.ata, c:ii..J..' o'Ùv SatJ.16vta ye

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 89

nell'accusa egli si metta in contraddizione con se me­desimo, come se dicesse: «Socrate ha la colpa di non credere negli dèi, ma anche di credere negli dèi». E questo vuoi proprio dire scherzare !

Contraddizioni dell'accusa di Meleto

Ora, cittadini, esaminate insieme con me in che ma­niera mi sembra di poter dire queste cose. Tu, Mele­to, rispondi. E voi, come vi ho pregato all'inizio, ri- B

cardatevi di non fare chiasso3 1 , se condurrò i miei ra­gionamenti al solito modo.

«Ci può essere qualche uomo, Meleto, il quale cre­da che esistano cose umane e non creda, invece, che esistano degli uomini?»

« . . . » «Bisogna che risponda, cittadini, e che non faccia

sempre confusione. Ci può essere qualcuno che non crede che esistano cavalli e che, invece, sia convinto che esistano cose che riguardano i cavalli? O qualcu­no che non pensi che esistano suonatori di flauto, e che pensi, al contrario, che esistano cose che riguar­dano il suonare il flauto?»

« . . . » «Non c'è, carissimo; e se tu non vuoi dirlo, lo dico

io, a te e agli altri che sono qui presenti ! Ma tu ri­spondi almeno a ciò che segue a questo. Ci può esse- c re qualcuno che crede esistano forze demoniche, ma non crede esistano dèmoni?»

«Non c'è.» «Mi hai fatto cosa gradita nel rispondere, anche se

a malapena e per costrizione dei presenti32. Dunque, tu sostieni che io credo e insegno che esistono cose demoniche; orbene, che tali cose siano nuove o che

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90 APOLOGIA DI SOCRATE, 27 C - 28 A

voJ.Liçro Katà tòv aòv 'A.Oyov, Kaì tauta Kaì St(I)J.loaro èv tij avnypacpfj . EÌ SÈ SatJ.LOVta VOJ.Liçro, KaÌ SaiJ.Lovaç St11tO'U 1tOAA1Ì liv<iYK11 VOJ.LiçEtV J.Lt tanv· oùx outroç EXEt; EXEt St1·

10 ti&rtJ.Lt yap <JE ÒJ.LOÀ.Oyouvta, E1tEtS'JÌ O'ÙK a1t01CptV1J. toùç & D &xi.J.LOV<Xç o'ÙXÌ Titot 9EOuç YE TtYOUJ.LE9a i\ 0Erov 1tatSaç; cp-.Jç

i\ oil; na.w yE. OùKouv a1tEp Sai.J.Lovaç l'tyouJ.Lat, ci1ç aù cp'Qç, rl J.LÈV OEoi.

s n vÉç El m v oi SaiJ.LovEç, tout' àv d 11 o tym IP11J.Li aE al vi t­tEa9oo Km xaptEvtiçEaOat, 0Eo'Ùç O'ÙX ftYOUJ.I.EVOV cpavat J.1.E 9Eoùç aù itynaOoo 1taÀ.t v, E1tEt5'f11tEp yE Sai.J.Lovaç l'tyouJ.Lat · rl S' aù oi &xi.J.LOVEç 0Eéòv 1t<X1Séç rlmv v69ot nvèç i\ be V'UJ.L­cp&v i\ EK tt vrov allrov còv Bit KOO À.Éyovtoo, tiç &v avOpffi-

10 1t(l)V 9Eéòv J.lÈV 1tatSaç itydito dvoo, OEoùç & J.Lll; ÒJ.Loiroç yàp E av dt01tOV El 11 c001tEp av El ttç t1t1t(J)V J.Lèv 1taiSaç ftYOt tO

ft KaÌ ovrov, to'Ùç ftJ.LlOVO'Uç, 'i1t1touç 5È KaÌ ovouç J.L'JÌ ftYOltO dvat . aÀÀ' , ro MÉÀ11tE, OÙK E<JttV 01troç aù ta'fita oùxì a1t01tEtpffit.a,Evoç TtJ.LOOV Eypavro t'JÌV ypacp'JÌV taUtTtV i\ a1toprov

s Ott EyKCIÀ.Oiç EJ.I.Ol liÀ110Èç OOlKllJ.La• 01troç & au nva 1tEt0otç àv KaÌ OJ.LtKpÒV VOUV EXOVta av9pcfutrov, CÌ>ç O'Ù tOU a'ÙtOU ronv KOO 5ooJ.LOvta KOO 8Éia. fryÉiaOoo, KOO aò toU a'ÙtoU J.LiJ'tE

28 A &xi.J.LOV<Xç J.Ltl'tE 9Eo'Ùç J.lll'tE f\proaç, o'Ù&J.Lt(X J.1.11XavJl EOttV.

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III. DIFESA CONTRO I SECONDI ACCUSATORI 91

non lo siano, stando al tuo discorso, in ogni caso io crederei che esistano realtà demoniche e ne hai fatto anche giuramento nel tuo atto di accusa. Ma se io credo nell'esistenza di cose demoniche, allora è vera- o mente necessario che creda che esistano anche dèmo­ni. Non è così?»

« . . . » «È proprio così. Suppongo che tu sia consenzien­

te, dal momento che non fornisci una risposta. E i dèmoni non diciamo che sono dèi o figli di dèi? Dici sì, o no?»

«Certamente.» «Dunque, se io credo, come tu sostieni, che esista­

no dèmoni, e se i dèmoni sono certi dèi, proprio que­sto è ciò che io dico che tu presenti come enigma e che fai per gioco; intendo il tuo affermare che io, non credendo che esistano gli dèi, credo all'opposto che ci siano dèi, perché credo che esistano dèmoni. Se, poi, i dèmoni sono certi figli spuri di dèi, che sono nati da ninfe o da altre madri di cui si racconta, allora quale uomo potrà ritenere che esistano figli di dèi, ma non esistano dèi? Sarebbe una cosa assurda, pro- E

prio come se uno credesse che esistano figli di cavalle e di asini, ossia i muli, ma non credesse che esistano cavalle e asini.

«Ma è impossibile, Meleto, che tu abbia presenta­to questo atto di accusa, se non al fine di sottopormi alla prova, oppure perché ti trovavi in imbarazzo nel­l'imputarmi una vera colpa. Per riuscire a convincere qualcuno, anche se di poca intelligenza, che una stes­sa persona possa credere che esistano cose demonia­che e cose divine, e, d'altra parte, possa non credere che esistano né dèmoni né dèi né eroi, non c'è mezzo 2a A

possibile.»

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92 APOLOGIA DI SOCRATE, 28 A-C

'Aì..ì..à ycip, W avOpEç 'A811Vatot, cilç JlÈV ÈyCÌ> OlHC àoucfu Ka'tà 'tfJV MEÀTt'tOU ypatl>ftv, OÙ 1tOÀÀfìç J-10\ OoKet EtVat <Ì1t0· ì..oyiaç, àì..ì..à iKavà KaÌ 'ta\ha· o oÈ Kaì Èv 'to'iç EJ-11tpocr8ev

5 EÀEyov, on 1tOÀÀ� JlOl <Ì1tÉX8Eta yÉyOVEV KaÌ 1tpÒç 1tOÀÀO'I)ç, EÙ tO''tE on <ÌÀ118Éç Ècrnv. KaÌ 'tOU't' Ecrnv o ÈJlÈ aipe'i, Èciv-1tEp al.piJ, où MÉÀ'l'toç oùoÈ: "Avu'toç ili' tì 't&v 1toì..ì..&v ota­�oì..ft 'tE KaÌ ti>86voç. a OJÌ 1tOÀÀOÙç KaÌ UÀÀouç KaÌ àya8oÙç

B avopaç UPTIKEV, OlJlat & 1(00 ai.p�O'Et' où&v & &tvòv JllÌ Èv ÈJlOÌ cr't"ij.

"Icrroç èiv oùv e'i1tot nç· "El 't' oùK aicrxuv1J, w l:roKpa'teç, 'tOlOU'tOV Èm 'tft&uJla Èm 'tTlOEOOaç fl; ou Kl v&uve\>etç vuvì àxo-

' 8avitv;" ÈyCÌ> & 'tOU'tQ1 &v oi.Kawv ì..Oyov cXv'tel1totJlt, on "OU KaÀ&ç ÀÉYEtç, W av8p(J)1tE, Et OtEl OEtV KlVOUVOV U1tOÀOytçEcr8at 'tOU çfìv iì 't€8vavat avOpa O'tOU n KOO O'JllKpÒv OtllEÀ6ç Ècrnv, ili' OÙK bcéìvo JlOVOV O'K01tÉÌ.V O'tav 7tpciTI1J, 1tO'tEpov oixooa � UOtKa 7tpa't'tEt, KaÌ àvopòç àya8ou epya Tl KaKOU. tl>aUÀOt

c yàp àv 'tci) yE crei) ì..6yq> Eh:v 'trov TJJ-1t8Érov ocrot Èv Tpoi.q 'tE'tEÀEU'ttl KaO'tV Ol 'tE clÀÀOl Kat Ò 'ttlç 9É'tlOOç UOç, oç 'tOO'OU'tOV 'tOU KtVOUVOU Ka'tEti>pOVTIO'EV 1tapà 'tÒ aicrxpov 'tl

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IV. IL MESSAGGIO DI SOCRATE FILOSOFO 93

Cimpegno e il messaggio di Socrate come fi­losofo33

D posto assegnato dal dio a Socrate: vivere filoso­fando

Dunque, cittadini ateniesi, mi pare che non ci sia bisogno di una lunga difesa per convincere che non ho la colpa che mi viene imputata nell'atto di accusa di Meleto. Sono sufficienti le cose che ho detto. Ma ciò che vi dicevo all'inizio34, ossia che contro di me è sor­to in molti un grave odio, sappiate bene che è vero.

Ciò che mi infligge condanna, se pure ci sarà con­danna, non sono né Meleto né Ani t o, bensì la calun­nia e l 'invidia dei più. Queste cose hanno inflitto con­danna a molti altri uomini valenti e credo che ne in­fliggeranno anche in futuro. Non c'è da temere che si arrestino a me. B

Qualcuno potrebbe forse dirmi: «Allora, Socrate, non ti vergogni di esserti dedicato a questa attività, per la quale sei in pericolo di morire?».

A costoro potrei rispondere con un giusto ragio­namento: «Non dici bene, amico, se ritieni che un uomo, che possa essere di qualche giovamento anche piccolo, debba tener conto anche del pericolo della vita o del morire e non debba, invece, quando agisce, guardare solo a questo, ossia se possa fare cose giuste o ingiuste, e se le sue azioni sono azioni di un uomo buono oppure di un uomo cattivo. Se si sta al tuo ra- c gionamento, sarebbero state persone di poco valore tutti quei semidei che sono morti a Troia. E come gli altri anche il figlio di Tetide35, il quale, invece di sop­portare l'infamia, disprezzò il pericolo a tal punto che,

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94 APOLOGIA DI SOCRATE, 28 C · 29 A

unoiJÉiVat cixne, i:neto� elnev ti IJ�tllP aùt<P npo9u1JOUIJÉVq> ' "EKtopa ànoKte'ivat, Oeòç o'Ùaa, oùt(J)(Jt nooç, cbç i:yoo oliJat ·

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D ÀOV OetO'aç tÒ çiìv IC<XJCÒç CÌ>V IC<Xl totç cjltÀO\ç j.l� t\j.l(J)pÉiV, 'Auti Ka,' cpnai , ' te9vainv. oi KTlV Èm9e\ç t<i} àotJCoi:ivtt, '{va llft i:v9cioe IJÉV(J) KatayÉÀaatoç napà VTlUO'Ì KOp(J)v{aw axaoç àpoUpTlç.' Il� autòv OtE\ «<>POVttO'<X\ Oavatou IC<XÌ

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10 aiaxpou . Èyoo o'Òv oewà dv Ei11v eipyaaiJÉvoç, cò dvopeç E 'A9Tlvdiot, Ei. O'tE J.1ÉV j.1E o\ &pxovtEç roxnov, oU; iltJdç Éi.ÀEO'Ot

apXEl V j.lOU, KaÌ ÈV notE\O<Xt� !Ca\ Ev 'AIJ«<>11tOÀEl IC<Xl È1tÌ Il TlÀt<p, tote IJÈV où EKÉi vo1 etattov E,.tevov roa7tEp Km dUoç nç Km EIC\vouveoov &xo9avéiv, tou & Oeou tcinovtoç. m; èyili

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29 A ii WJ..• ònouv npfry1Ja Àt1t011Jl titv t�\V. OE\v6v tàv Ei11. Ka\ cbç à.À.Tl96lç t6t' dv IJE O\Kai.ooç eiaciym nç e\ç O\K<XO'tflptov, on OÙ VOj.llç(J) 9eo'Ùç e1val Ò.1tE\900V tfj j.l<XVtet� IC<Xl OeO\Òlç 9avatov Kaì oi oj.levoç aoc�>òç eiva1 ouJC òiv. tò yap tot

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IV. IL MESSAGGIO DI SOCRATE FILOSOFO 95

allorché la madre, che era dea, disse a lui che deside­rava ardentemente di uccidere Ettore, all'incirca così: "Figlio, se tu vendicherai la morte del tuo amico Pa­troclo e ucciderai Ettore, morirai anche tu , perché a quello di Ettore subito segue già pronto il tuo desti­no" , nell'ascoltare queste parole non si diede pensie-ro del pericolo e della morte. Invece, temendo molto o di più il vivere da codardo e il non vendicare gli ami­ci, disse: "Che io muoia subito, non appena abbia pu­nito chi ha commesso la colpa, e che non rimanga qui deriso presso le curve navi, e inutile peso della ter­ra"36. E allora, amico, pensi che egli si sia preoccupa-to per la morte e per il pericolo?».

Così stanno le cose, cittadini ateniesi, secondo la verità: al posto in cui uno collochi se medesimo, con­siderandolo il migliore, o in cui sia stato collocato da chi ha il comando, proprio qui io penso debba resta­re e affrontare i pericoli, e non tener conto della mor­te né di nessun'altra cosa piuttosto che del disonore.

Dunque, cittadini ateniesi, io avrei fatto una terri- E bile azione se, mentre da una parte, quando i capi che voi avete eletto per comandarmi mi assegnarono un posto a Potidea, ad Anfipoli e a Delio37 , rimasi nel posto che mi assegnarono e corsi pericolo di morire, dall'altra parte, invece, quando il dio mi ha assegnato il posto, almeno come ho ritenuto e creduto, di vivere filosofando e sottoponendo a esame me stesso e gli altri38, per paura della morte o di qualcos'altro avessi 29 A

abbandonato questo posto. Sarebbe cosa dawero terribile ! E allora veramente

a giusta ragione mi si porterebbe in tribunale, per il motivo che non credo che esistano gli dèi, in quanto disubbidisco all'oracolo, ho paura della morte e sono convinto di essere sapiente, mentre non lo sono.-<.'

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96 APOLOGIA DI SOCRATE, 29 A-C

5 8<Xvatov &:otÉVat, ib avOpEç, où&v WJ..o Ècrt\v � OOKEtV cr()(j)Òv EÌvat JllÌ OVta· OOKEtV yàp EioÉvat Ècrt\v èi OÙK OtOEV. OtOE JlÈV yàp OÙOEÌç tÒV 9cXVCXtOV OÙO' Ei tUYXcXVEt tql àv9promp 7tc:ivtrov J.1Éytcrtov ov tWV àyaewv, OEOiam o' cOç EÙ EiootEç

B on JlÉYtOtOV tWV KCXKWV Ècrtt. KaitOt 7t6}ç OÙK àJ.la9ia Ècrnv autll ..; È7tovriotcrtoç, ..; tou o'iEcr9at EÌBÉVat èi oùK oì&:v; Èyro o', ib avopEç, tOUtql KCXÌ Èvtauea tcrroç OtacjlÉpro tWV 7tOÀ.À.WV àv8pro1trov, Ka\ Ei oiJ t<P crocprotEpoç tou cpairtv EÌvat, tout<P

5 &:v' on OÙK El.&ì>:; \ KCXV<ix; 1tEpt 'tWV ÈV "A 100\) OUt(J) KOO OtOJ.lOO. OÙK EÌOÉVat' 'tÒ OÈ àOtKEtV KCXÌ à1tEt9EtV tql �EÀ.tlOVl KCXÌ 9Ecp Kaì àvapclwp, on KaKòv Kàt ai.crxp6v oon v oì&x.. 7tpò oùv t&v KaKiòv dlv oìoo on KaKci oon v, èi JllÌ oìoo El. Kàt àyaeà ovta wyxcivEt oùoÉ7totE cpo�iJcroJ.lat oùoÈ cpEu�oJ.lat · ffiatE oùo' E'i

c JlE vuv UJ.lElç àcpiEtE 'A VUtql à7ttcrtt1cravtEç, oç Ec!>ll ii t'JÌV àpx'JÌv où odv ÈJ.lÈ OEUpo EicrEì..9E1v f\, È1tEtO'JÌ EÌcrflì..9ov, oux o1.6v t' d vat tò JllÌ à7toKtd vai JlE, À.Éyrov 7tpòç 'ÒJ.léiç cOç EÌ OtCXcjlEU�OlJ.lllV T\011 [àv] UJ.lWV o\ udç Èm tllOEUOVtEç èi :EffiKp<i-

5 tllç otoc:icrKEt 7tc:ivtEç 7tavtc:i7tacrt 8tacp9apiJcrovtat, - Et JlOt 7tpòç tauta Et7tottE' "7!l uoKpatEç, vuv JlÈV 'Avut<P où 1tEt-

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ICONOGRAFIA SOCRA TICA

a cura di Giovanni Reale

Da Diogene Laerzio (II 43 ) sappiamo che gli Ateniesi onorarono Sacra­

te, � 1po la sua morte, con una statua di bronzo che collocarono nel salone

delle processioni, e che fu opera di Lisippo. Per ragioni cronologiche con­

neSSl all 'attività di Lisippo, che è nato poco dopo la morte di Socrate, questa

statu:\ deve risalire all'incirca ai primi lustri della seconda metà del secolo IV a.C. , 4uindi alcuni decenni dopo la condanna di Socrate. Ma certamente già

prinv della condanna (399 a .C. ) dovettero circolare immagini di Socrate.

Nel corso dei secoli, in epoca tardo-antica, le riproduzioni divennero sempre

più n ' l!llerose. Alcune sono ispirate certamente a Lisippo, altre alla prece­

dente tonte. Bj :>agna rilevare che riproduzioni scultoree del viso di Socrate erano par­

ticolarmente stimolanti, a motivo delle sue fattezze, che richiamavano celebri figure mitiche. In particolare, gli occhi sporgenti e il naso camuso richiama­vano precisi tratti con cui i Greci rappresentavano i Sileni. Ricordiamo che

Sileno era il mitico personaggio che aveva allevato Dioniso. (TI nome Sileni

era poi passato a designare i Satiri seguaci di Dioniso. ) Nel Simposio (2 15 B), Platone mette in bocca ad Alcibiade questa descrizione: «Dico che egli asso­miglia 1 quei Sileni, che vengono messi in mostra nelle botteghe degli sculto­ri, che gli artigiani costruiscono con zampogne e flauti in mano, e che, quan­do vengono aperti in due, rivelano di contenere anche immagini di dèi» (cfr. anche 216 D ss. ; 221 D s . ) . Nel Teeteto ( 145 E), Platone conferma che So­crate «aveva il naso rincagnato e gli occhi sporgenti in fuori».

I trMti del viso di Socrate richiamavano anche certi tratti del viso del mi­rico Marsia. Sempre nel Simposio (2 15 B ss. ) , Platone mette in bocca ad Alci­biade an che queste parole: «E inoltre dico che Socrate assomiglia a Mar­sia ( . .. ). Sei arrogante, no? ( . .. ) E non sei forse suonatore di flauto? Anzi, sei molto p i ·, mirabile di quello. Marsia incantava gli uomini mediante strumen­ti, con la potenza che gli veniva dalla bocca ( . .. ). E tu sei diverso da lui sola­mente in questo, ossia che, senza usare strumenti, produci questo stesso ef­fetto con le nude parole».

Al n. l riportiamo la bella erma di Socrate conservata nel Museo Ar­cheologico Nazionale di Napoli. Sull'erma è riprodotta un'affermazione em­blematica, che Platone mette in bocca a Socrate nel Critone (46 B) : «lo non ora per la prima volta, ma sempre intendo dare ascolto a null'altro di ciò che è in me, se non alla ragione, a quella che a me, ragionando, risulta la miglio­re)). Si ve(l rà al n. 8 il particolare del viso. Forse si ispira al modello lisippeo.

Al n. 2 riportiamo una tipica rappresentazione di un Sileno (conservata nei Musei Vaticani in Roma) e al n. 3 un volto di Socrate (conservato nel

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Museo Capitolino di Roma) che rende ben visibili i tratti di somiglianza co] Sileno.

Al n. 4 riportiamo una terracotta raffigurante Sileno (conservata a Mona­co, Antikensammlungen) ; e ai nn. 5 e 6 teste-ritratto di Socrate, che eviden­ziano i tratti silenici del suo volto (sono conservate, rispettivamente, al Mu­seo Nazionale di Roma e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) .

Al n. 7 riproduciamo una scultura raffigurante Marsia (conservata a) Museo Barracco di Roma) e al n . 8 il particolare del viso dell'erma ripro­dotta al n. l , che, in un certo senso, ne richiama alcuni tratti (si veda anche il n. 16) .

Al n. 11 riportiamo uno splendido particolare del cartone della Scuola di Atene di Raffaello (conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano) e a fianco, ai nn. 9 e 10, i profili di due teste-ritratto pervenuteci, che più si avvi­cinano al modello cui Raffaello dovette ispirarsi (sono conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli e nei Musei Vaticani di Roma) .

Ai nn . 12-15 riportiamo particolari di una testa-ritratto conservata a Ro. ma nella Villa Albani e un'erma di analoga fattura conservata nei Musei Va­ticani, che esprimono bene il viso pensoso e accigliato di Socrate.

Ai nn. 16 e 17 riportiamo, rispettivamente, il particolare del viso di So­crate che originariamente faceva parte di un'erma bifronte con Platone (conservata nei Musei Vaticani) e un bassorilievo (conservato a Roma nella Villa Albani) , che danno un tono quasi ieratico all'espressione del viso del filosofo.

Ai nn . 1 8 e 1 9 riproduciamo una interessante variante degli originali (che pare risalire all'epoca degli Antonini) , in cui Socrate viene presentato Ì.t1 pen­sosa concentrazione (è conservata a Boston, al Museum of Fine Arts).

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2

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IV. IL MESSAGGIO DI SOCRATE FILOSOFO 97

Infatti, avere paura della morte, cittadini, non si­gnifica altro che credere di essere un sapiente, mentre in realtà non lo si è: è un credere di sapere cose che non si sanno. In effetti, nessuno sa che cosa sia la morte e se essa non sia per l'uomo il maggiore di tutti i beni; e invece gli uomini ne hanno paura, come se sapessero bene che essa è il più grande dei mali. Non B

è forse ignoranza questa, e anzi la più riprovevole, l'essere convinti di sapere le cose che invece non si sanno?

Io, cittadini, appunto per questo e in questo sono forse diverso da molti degli uomini. E se potessi dire di essere più sapiente di qualcuno in qualche cosa, sarebbe proprio in questo, ossia che, non sapendo a sufficienza delle cose dell'Ade, sono anche convinto di non saperle. Invece, il fare ingiustizia e il non ub­bidire a chi è migliore, a dio o a un uomo, so che è una cosa cattiva e turpe.

Il punto-cardine del messaggio di Socrate

Dunque, a confronto con i mali che so essere dav­vero mali, non si darà mai il caso che io tema e fugga quelle cose che non so se siano altresì beni.

Pertanto, anche se voi ora mi faceste uscire dal car- c cere non dando retta ad Anito - il quale per altro ri­teneva che o non bisognava fin dall'inizio farmi veni-re qui, o, dal momento che fossi venuto, non sarebbe stato possibile non condannarmi a morte, sostenendo che, se fossi riuscito a evitare la condanna, immedia­tamente i vostri figli, mettendo in pratica le cose che Socrate insegna, sarebbero stati corrotti in tutto e per tutto - e, contrariamente a quello che lui afferma, mi diceste: «Socrate, noi non daremo retta ad Anito39 e

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98 APOLOGIA DI SOCRATE, 29 C - 30 A

CTOJ.LE9a <ÌÀÀ' àcjltEJ.LÉV aE, èn:ì 'tOU'tQl J.LÉV'tm, Ècjl' c\ltE J.lllKÉn Èv taU'tlJ tfj çll'tllCJEt Statpi�Etv J.LllSè cjltÀocrocjlEiv· ÈÒ:v Sè

D aM{lç en 'tOU'tO n:pt:inrov, àn:o9av'ij" - EÌ. OUV J.LE, on:Ep EÌn:ov, bt\ 'tOU'tO\ç Qcjliot'tE, Et11:01J.L' &v Uj.ltV on '"Ey<Ì> Uj.léìç, ro avSpEç 'A811va1m, àan:t:içoJ.Lat J.Lèv Kaì cjltMil, n:eicroJ.Lat Sè J.léiÀÀ.OV tQ) 9Eql ii UJ.llV, KaÌ E(I)(J11:Ep dv ÈJ.L11:VÉOO KaÌ oioç 'tE ro, o'Ò Il�

' n:aucrroJ.lat cjltÀocrocjloov Kaì 'ÒJ.l'iv n:apaKEÀEUOJ.LEvoç tE Kaì èvSEtKVUJ.LEvoç otQl dv àt:ì Èv'tt>yxt:ivro 'ÒJ.loov, ÀÉ.yrov oit:in:Ep etro9a, on •-;-n, cXptCJ'tE àvopoov, 'A911Vatoç rov, n:oÀ.Eroç tfìç J.LEytCJtllç Ka\ E'ÒOoKtJ.Lrott:i'tllç El.ç crocjliav Ka\ i.crxuv, XPllJ.lt:itrov j.lÈV O'ÒK aÌ.CJ;(UVlJ Èn:tJ.LEÀOUJ.LEVOç on:roç CJO\ ECJ'tat ffiç n:Àclcrta,

E KaÌ Mç,ç KaÌ nJ.Lfìç, cjlpovt'tcrEroç oè Kaì <ÌÀ119Eiaç KaÌ tfìç 'l't>Xfìç on:roç roç �EÀ tlCJ'tll ECJ'tat O'ÒK Èn:tj.lEÀfj O'ÒOÈ cjlpovti­çEtç;' Ka\ èt:iv nç UJ.LOOV cXJ.LcjltCJ�llnlOlJ Kaì cjl'ij Èn:tJ.LEÀE1cr9at, OUK eUaùç QcjliJcrro autòv ooo' OOtaJ.lt, à).)..' ÈpTJOOJ.Lat autòv Ka\

' Eçuaaro Kaì ÈÀÉ'yl;ro, Ka\ èav J.LOt J.LTÌ OoKU KEK'tf\cr9m àpen1v. 30 A cjlt:ivat OÉ, ÒVEtSt& on 'tÒ: 11:À.ElCJ'tO\l ciçta n:ep\ ÈÀ.a;(tCJ'tO\l 11:01·

Ei tat, tò: oè cjlauÀotEpa n:ep\ n:À.Eiovoç. tauta Kaì vErotépcp Kaì n:pEcr�utÉpQl O'tQl èiv Èvtuyxt:ivro n:m t'taro, Kaì l;évQl Kaì àatcp, J.LéiÀÀOV & to1ç àcrto'iç, OOQl J.LOU ÈyyUtÉpro ÈcrtÈ yévet.

' tauta yò:p KEÀE'\)et ò 9E6ç, eu tcrtE, Ka\ èycò otoJ.lat ouotv n:w UJ.L1v J.LE1çov àyaeòv yEvroecn èv n] n:oÀ.Et ii 't'fÌv ÈJ.LTÌV tep 9ecp

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IV. ll.. MESSAGGIO DI SOCRATE FILOSOFO 99

ti permetteremo di uscire dal carcere, però a questa condizione, ossia che tu non dedichi più il tuo tempo a un tal tipo di indagini e non faccia più filosofia; ma se sarai preso a fare ancora queste cose, morirai»; e o con ciò, come dicevo, mi lasciaste uscire dal carcere a patto che rispettassi queste condizioni, allora vi darei questa risposta: «Cittadini ateniesi, vi sono grato e vi voglio bene; però ubbidirò più al dio che non a voi; e finché abbia fiato e sia in grado di farlo, io non smet­terò di filosofare, di esortarvi e di farvi capire, sem­pre, chiunque di voi incontri, dicendogli quel tipo di cose che sono solito dire, ossia queste: "Ottimo uo­mo, dal momento che sei ateniese, cittadino della Cit-tà più grande e più famosa per sapienza e potenza, non ti vergogni di occu parti delle ricchezze per gua­dagnarne il più possibile e della fama e dell'onore, e E invece non ti occupi e non ti dai pensiero della sag­gezza, della verità e della tua anima, in modo che di­venti il più possibile buona? "».

E se qualcuno di voi dissentirà su questo e soster­rà di prendersene cura, non lo lascerò andare imme­diatamente, né me ne andrò io, ma lo interrogherò, lo sottoporrò a esame e lo confuterò. E se mi risulterà che egli non possegga virtù, se non a parole, lo biasi- JO A

merò, in quanto tiene in pochissimo conto le cose che hanno il maggior valore, e in maggior conto le cose che ne hanno molto poco.

E farò queste cose con chiunque incontrerò, sia con chi è più giovane, sia con chi è più vecchio, sia con uno straniero, sia con un cittadino, ma specialmente con voi, cittadini, in quanto mi siete più vicini per stir­pe. Infatti queste cose, come sapete bene, me le co­manda il dio. E io non ritengo che ci sia per voi, nella Città, un bene maggiore di questo mio servizio al dio.

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100 APOLOGIA DI SOCRATE, JO A-C

U7tflpEaiav- OUOÈV yàp aÀ.À.O 1tpattrov ÈyCÌl 1tEptÉPXOJ.l<Xl � 1tei8rov 'ÒJ.lrov Kaì verotÉpouç Kaì 7tpEa�utépouç J.lfttE aroj.lc:itrov

B ÈmJ.lEÀ.Eiaeat J.lfttE XPllJ.lcitrov 7tpotepov J.lllOÈ oihro acpoopa roç tfìç 'JIUXfìç 07troç roç àpiatll EOtat, À.Éyrov on 'OuK ÈK XP11J.1Utrov àpEtlÌ yi yvetat, ÙÀ.À.' èl; àpetfìç XPftJ.lata Kat tà aÀ.À<X àyaeà toiç àvepc:il1tOtç éi1tavta Kaì io\� Kaì OllJ.loai�- •

' ei. J.1Èv oùv tauta À.Éyrov otacpedpro toùç véouç, taut' èiv e\11 �À.a�epci- EÌ OÉ nç llÉ tPllOl v cXÀ.À.a ÀÉYEl v i\ tauta, OUOÈV À.ÉyEt . 7tpÒç ta'Gta, " cpa{ l'lV av, "ro avOpEç 'A811V<ll0l, � 1te\eeaee ·A vutq> i\ Il it. Kaì i\ àcpieté J.lE i\ Il it. cbç ÈJ.lou ouK

C èiv 1t0t ftO<XVtoç cXÀ.À.a, OUO' EÌ J.1ÉÀ.À.ro 1tOÀ.À.ciKtç tE8VUV<Xl. " M lÌ eopu�EltE, <Ò avopeç 'A8f1V<Xt0l, UÀ.À.' EJ.lj.lei vatÉ J.lOl

ol.ç è&iteflv 'ÒJ.1&v, Il lÌ eopu�iv ècp' ol.ç &v iJ:yro àÀ.À.' àKouetv· Kaì yétp, cbç èyro oÌJ.lat, òvitaeaee àKouovteç. J.1ÉÀA.ro yàp oùv

' atta UJ.llV ÈpEiv KaÌ aÀ.À.a ècp' o1ç iaroç �oitaeaee· ÙÀ.Àà J.1 fiO<Xj.lWç 1tOlEl tE tOUtO. EÙ yàp lO tE, Èav J.lE Ù7tOKtei V l'l tE tOtoUtOV ovta o1ov ÈyCÌl À.Éyro, OUK EJ.lÈ J.lEiçro �À.U'JIEtE � 'Ùj.ldç autouç· ÈJ.1È J.1ÈV yàp OUOÈV &.v �À.ci'JIElEV OUtE MÉÀ.fltOç OUtE "A vutoç - OUOÈ yàp èiv ouvat tO - ou yàp OlOJ.l<ll 8EJ.1l tòv

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 101

Infatti, io vado intorno facendo nient'altro che cer­care di persuadere voi, e più giovani e più vecchi, che non dei corpi dovete prendervi cura, né delle ricchez- B ze né di alcun'altra cosa prima e con maggiore impe­gno che dell'anima, in modo che diventi buona il più possibile, sostenendo che la virtù non nasce dalle ric­chezze, ma che dalla virtù stessa nascono le ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico40.

Se, dunque, con l'affermare questo, corrompessi i giovani, allora ciò sarebbe dannoso. Ma se qualcuno sostiene che io dico cose diverse, e non queste, costui non dice nulla di vero.

Pertanto, cittadini ateniesi, sia che diate retta ad Anita, sia che no, sia che mi lasciate uscire dal carce­re, sia che no, ebbene vi devo dire che non farò mai c altre cose, neppure se dovessi morire molte volte.

n significato morale e sociale dell'attività e del messaggio filosofico di Socrate41

Socrate illustra il significato della sua missione co­me dono divino

Non fate chiasso, cittadini ateniesi, ma continuate a rispettare la preghiera che vi ho rivolto di non far chiasso per le cose che dico42, e di prestarmi attenzio­ne, perché credo che, nell'ascoltarmi, trarrete vantag­gio. Infatti, sto per dirvi altre cose, nell'udire le quali, forse, farete strepito. Ma non fatelo in alcun modo !

Sappiate, infatti, che, se condannerete a morte me, che sono così come vi dico, non danneggerete me più di voi stessi. Infatti , a me Anita e Meleto non fareb-

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102 APOLOGIA DI SOCRATE, 30 D . 3 1 A

D E1vat <ÌJlEl VOV\ àvap\ '\mò Xelpovoç �ÀCXlt't'E09at. <Ì1tOIC't'El VE\E JlEV't'àv icrroç lÌ �EMOE\EV lÌ <Ì't'tJlolaE\EV' wJ .. à 't'aU't'a OU't'oç JlÈV icrroç OlE't'at !Ca\ W.ì..oç nç 1tOU JlEyaM ICaiC<i, ÈyC:Ò a· OUIC o'ioJlat, àì..ì..à 1tOÀ.Ù JlclUoV 1tO\EtV a OU't'Ocrl vUV 1t0\ÉÌ, &vapo:

S àaiKO>ç È1ttXEtpEtV <Ì7tOIC'tE\VUVa\. VUV o'Òv, 00 avapeç 'A9TJ­vat0\, 1tOÀ.ÀOU aéro Èy<Ìl U1tÈp ÈJlaUtOU <Ì1tOÀoyeicr9at, ci)ç ttç &v OlO\ 't'O, àUà u1tÈp UJl&V, JlTt n èl;aJ,i<ip'tlltE 7tEpÌ tlÌV toù

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 103

bero alcun danno, e nemmeno lo potrebbero, perché non credo che sia possibile che un uomo migliore ri- o

ceva danno da uno peggiore. Ani t o potrebbe con d an­narmi a morte, cacciarmi in esilio e spogliarmi dei di­ritti civili. Ma queste cose, costui e forse altri con lui crederanno che siano grandi mali, mentre io non pen-so che lo siano43.

lo credo, invece, che sia un male molto più grande fare quelle cose che ora fa Anito, ossia cercare di mandare a morte un uomo contro giustizia. E dun­que ora, cittadini ateniesi, sono ben lontano dal pro­nunciare una difesa a mio vantaggio, come qualcuno potrebbe pensare, bensì a vostro vantaggio, perché, col condannarmi, non cadiate in colpa nei confronti E

del dono che il dio vi ha dato. Infatti, se mi condannerete a morte, non potrete

trovare facilmente un altro, quale sono io, che sia sta-to posto dal dio a fianco della Città, come - anche se potrebbe sembrare piuttosto ridicolo a dirsi - al fian-co di un grande cavallo di razza, che proprio per la grandezza è un po' pigro e ha bisogno di venir pun­golato da un tafano. In modo simile mi sembra che il dio mi abbia messo al fianco della Città, ossia come uno che, pungolandovi, perseguendovi e rimprove­randovi a uno a uno, non smetta mai di starvi addos- n A

so durante tutto il giorno, dappertutto. Un altro simile a me non sarà facile che nasca, cit­

tadini. Perciò, se mi date retta, dovete assolvermi. Ma voi, forse, incolleriti con me, come quelli che

vengono svegliati mentre stanno dormendo, datomi un grosso colpo, ascoltando Anito44, mi condannere­te facilmente a morte e poi continuerete a dormire per tutto il resto della vita, se il dio, in pensiero per voi, non vi mandasse qualcun altro.

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104 APOLOGIA DI SOCRATE, 3 1 A-D

còv tmoil'toç oioç 'imò tou 8Eou 'tiJ 1tOÀEt BE06cr8at, èv8ÉvBE B dv Katavor\crat'tE' o·ù yàp àv8p(JmtvqJ EOtKE tò ÈJ.1È 'tCilv

J.1ÈV ÈJ.1autou mivtrov lÌJ.lEÀ.flKÉVat Kaì Ò:VÉXECJ8at téòv oiKEirov ÒJ.1EÀOUJ.1Évrov tocrauta i\B11 E'tfl, tò & ÙJ.lÉ'tEpov 1tpa't'tEtv cit:i, iBt� ÉKacrtq> 1tpocrt6vta 001tEp 1tatÉpa ii àBEÀ.cj>Òv 1tpEcr�u-

' tEpov 1tet8ovta È1ttJ.1EÀE'icr8at àpEtijç. Kaì Ei J.1ÉV n à1tò toutrov à1tÉÀ.auov Kaì ·J.1tcr8òv À.aJ.l�avrov tauta 1tapEKE· ÀEUOJ.lflV, eixov av nva Myov· vuv BÈ òpéitE B'JÌ KaÌ aùtoì on o\. Katr\yopot tdÀ.À.a 1taV'ta àvatCJXUV't(l)ç OU't(l) Ka'tfl· yopouvtEç tout6 yE oùx oioi tE ÈyÉvovto à1tavatcrxuvtf\crat

C 1tapaCJXOJ.1EVOt j.laptupa, Wç Èyro 1tO'tÉ 'tt Va fì È1tpa�aj.lflV J.Ucr8òv iì l]tflcra. \. Kavòv yap, olJ.lat, Èyro 1tapÉXOJ.1at tòv J..Laptupa Wç àÀ.fl8ft Àf:(ro, t'JÌV 1tEVtaV.

"Icrroç àv o'Ùv a6�EtEV at01tOV El vat, o n B'JÌ Èyro iat� J.lÈV s tauta cruJ.l�ouÀ.Euro 1tEpn<Ìlv Kaì 1tOÀ.u1tpayJ.1ovéò, BTIJ.locri� Bè

OÙ 'tOÀ.J..léÌl àva�a{ V(I)V Eiç 'tÒ 1tÀ.f\8oç tÒ Ùj.1ÉtEpOV CJUj.l�OU· ÀEUEtV tij 1tOÀ.Et . toutou BÈ ai n6v Ècrnv o ÙJ.1Etç ÈJ.lo\ì 1tOIJ..ci.Ktç àlCflKOatE 1tOÀ.À.aXOU À.ÉyOVtOç, on J..LOt 8{tov n K<XÌ.

o BatJ.lOVtov yi yvEtat [cj>rovr\1, o Bit Kaì È v tij ypacj>ij È1ttKro­J..Lq>Bcilv MÉÀ.fltoç Èypa'lfato. ÈJ.lOÌ BÈ tout' ecrn v ÈK 1tat0òç àp�aJ..LEvov, cj>rovr\ nç ytyvoJ.1ÉVfl, ii otav yÉvfltat, àEì à1to-

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 105

E che si dia il caso che un tale uomo dato dal dio in dono alla Città sia proprio io, potrete capirlo an- o che da questo: infatti, non pare cosa umana che io abbia trascurato tutti i miei affari, sopportando ormai da tanti anni che vengano lasciati da parte i miei inte­ressi, per occuparmi, invece, sempre dei vostri, fre­quentando in privato ciascuno di voi come un padre o un fratello maggiore, al fine di convincervi a pren­dervi cura della virtù.

E se da queste cose traessi qualche giovamento e dessi consigli per ricevere compensi in denaro, una qualche motivazione ci sarebbe. Ma lo vedete pure voi che i miei accusatori, i quali mi hanno accusato delle altre cose in modo così spudorato, per questo non so­no stati a tal punto spudorati da portare un solo testi- c mone per provare che io anche una sola volta mi sia fatto pagare o che abbia preteso qualche compenso45 .

Il testimone atto a provare che io dico il vero, ve lo porto invece io: la mia povertà !

I motivi per cui Socrate si è astenuto dalla vita po· liti ca

Forse potrebbe sembrare assurdo che io, in priva­to, consigli queste cose, andandomene attorno, e che mi dia tanto da fare, e invece in pubblico non osi, sa­lendo sulla tribuna per parlare alla folla, dare consigli alla Città per quello che è il vostro interesse.

La causa di questo fatto è quello che mi avete sen­tito dire molte volte e in vario modo, ossia che in me si manifesta qualcosa di divino e di demonico, quel- D lo che anche Meleto, facendo beffe, ha scritto nell'at-to di accusa. Ciò che si manifesta in me fin da fan­ciullo è come una voce che, allorché si manifesta, mi

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1 06 APOLOGIA DI SOCRATE, 3 1 D - 32 B

tpÉm:t J.lE touto o Civ J.lÉUoo 1tpattEt v, 1tpotpÉm:t oè ouxote. s to'Gt' eatt v o J.lOt Èvavttoutat tà 1tOÀ.t n Kà 1tpc:i ttEt v, Ka\

1t<XyK<iMoç yÉ J.lOt OoKEl ÈV<lV'tlOUO'Oat' EÙ yàp t O' tE, ID avopeç 'AOf\V<llOt, El ÈyÒ> 1taÀ.at E1tEXElPflO'<l 1tpc:ittElV tà 1tOÀ.t nKà 1tpayJ.1ata, xaÀ.at Civ ci1tOÀ.WÀ.T\ K<lt out' Civ UJ.lnç �EÀ.�KTJ

E OUOÈV out' Civ EJ.l<lU'tOV. Kai. J.lOt llTÌ èixeeaee À.Éyovn 'tàÀ.f\Ofl· ou yàp eanv oanç civepro1t(I)V aooO�O'E't<ll OUtE uJiiv OUtE aUq> 1tÀ.tl0Et OUOEVÌ yvf\ai.ooç Èvavnm)J.lEVOç KaÌ Ol(llC(I)À.U(I)V 1tOÀ.À.à eX O t K<l K<lt 1t<lpaVOJ.l<l EV ttj 1t0 À.Et yi yYEO'O<lt, QÀ,À,'

}2 A civayKa'i6v EO''tl tòv 'tql ovn J.l<XXOUJ.lEVOV 'Ò1tÈ.p tou OllC<llO\l, KaÌ El J.lÉÀ.À.El ÒÀ.i. yov XPOVOV aooO�O'EO'Oat, lOlOOtEUEl v ciUà llTÌ 01'\J.lOO'lEUEl V.

MEyaÀ.a o' eyooyE UJ.llV 'tEKJ.lr\pta 1t<lpÉçoJ.lat tOUt(I)V, où ' À.oyouç aÀ.À.' o UJ.lEtç 'tlJ.lnte, epya. QlCOUO'<l'tE o� J.lOl tà

O'UJ.113EI3flK6ta, 'iva ElOfìtE on ouo' Civ ÉVÌ U1tEt1Cc:iOotJ.ll 1tapà tò OllC<llOV &iaaç eavatov, llTÌ U1tEl1C(I)V OÈ. ciUà Kàv ci1to­À.OlJ.ll'\V. Èpro OÈ. uJiiv cjlopnKà J.lÈ.V KaÌ OtKavtKc:i, aÀ.l'\Oil OÉ. ÈyÒ> yc:ip, ro avopeç , AOT\VOOOl, cXÀ.ÀT\V J.lÈV cipxtìv OUOEJ.li.av

s xroxotE �pça ev tfj x6ut, Èj3ouÀ.Euaa Oé· Kaì huxev TtJ.lciìv it cjluÀ.TJ 'Avnox\ç xputaveuouaa o tE UJ.lEtç toùç oh:a atpatTtyoùç toùç o'ÒK civEÀ.OJ.lÉvouç toùç ÈK tflç vauJ.laxiaç Èj3ouÀ.Eooaaee aep6ouç Kpi.VEtV, 1tapav6J.1ooç, m; Èv tql OOtÉpcp

' XPOVQl xamv UJ.llV eooçev. t6t' Èyc.Ìl J.16voç trov xputaVECilV flvavnroeTtv 'ÒJ.ltV J.lT\OÈv xote1v oopèx toùç v6J.1ouç Km Èvav'tia

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 107

dissuade sempre dal fare quello che sono sul punto di fare, e invece non mi incita mai a fare qualcosa46.

È appunto questo che mi distoglie dall'occuparmi di affari politici. E mi pare che faccia molto bene a distogliermi. Infatti, voi sapete bene, cittadini atenie­si , che se io da tempo avessi intrapreso la carriera po­litica, da tempo sarei morto, e non sarei stato di gio-vamento a voi e neppure a me. E

Non arrabbiatevi con me, perché dico la verità. Non c'è nessun uomo che riesca a salvarsi, nel caso che si opponga in modo schietto sia a voi sia ad altra moltitudine, e cerchi di impedire che avvengano nella Città molte cose ingiuste e illegali. Anzi, è necessario J2 A

che chi combatte veramente a favore di ciò che è giu-sto, se intende salvare la vita anche per breve tempo, conduca una vita privata e non una vita pubblica.

E di questo vi fornirò grandi prove e non solo a parole, ma in base a ciò che voi stimate di più , ossia in base a fatti.

State dunque a sentire le cose che mi sono capita­te, affinché possiate rendervi conto che non sono di­sposto a piegarmi ad alcuno, mettendomi contro la giustizia per timore della morte, e come sia anche di­sposto a morire per non arrendermi. E vi dirò cose volgari e tediose, ma vere.

Io, cittadini ateniesi, non ho esercitato alcun altro ufficio pubblico, tranne quando feci parte del Consi- B glio47. Alla nostra tribù antiochide toccò il pubblico ufficio di tenere la presidenza48 proprio nel momento in cui voi volevate giudicare in massa i dieci strateghi che non avevano raccolto i superstiti della battaglia navale, mettendovi contro la legge, come più tardi tut-ti avete ammesso. Allora, io solo dei pritani mi opposi a voi, cercando che non faceste nulla contro la legge,

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108 APOLOGIA DI SOCRATE, 32 B · 33 A

E'lf11cptcrc:iJ.lTtV" Kcù éto\J.lrov ovtrov èv&tKVuvat J.lE Kcx\ à1tc:Xyetv trov pnt6prov, K<Xt UJ.lrov KEÀ.Euovtrov Kcx\ �ooovtrov, J.lE'tà toù

c VOJ.lOU K<Xt toù OtKcxiou cPJ.lllV JlMÀov JlE oclv Ot<XKtvouveuetv ii J.1E9' UJ.lOOV yevécr9<X1 llTt oiK<Xl<X �OUÀ.EUOJ.lÉVOOV, cpo�neévtcx OEOJ.lÒV ii ac:Xvcxtov. K<Xt 't<XÙ't<X J.lÈV �v E'tl OllJ.lOKp<XtOUJ.lÉVllç tflç 1toÀ.Eroç· E1tetoit oè ÒÀtycxpxtcx èyéveto, ol. tptc:XKovtcx cx'Ò

5 J.lE't<X1tEJ.l'lfcXJ.lEVO\ J.lE 1tÉJ.l1t'tOV <X'ÙtÒV Etç 'tftV 90ÀOV 1tpOCJÉ't<X�<XV àycxye'ì v È:K !.cxÀcxJ,ii voç AÉovtcx tòv LcxÀ<XJ.li VlOV '{va à1to9c:Xvot, O t <X oit K<Xt &llotç EKEt VOl 1tOÀÀotç 1tOUà 1tpoCJÉ't<X'ttOV' �OU· ÀOJ.lEVOt c0ç 1tÀ.E\crtouç àvcx1tÀiìcrcxt <XÌ nrov. tOtE JlÉVtOl EyCÒ

D où ÀOYC() àÀÀ1 epyql cx'Ò EVEOEl�clJ.lllV O'tl EJ.lOt ecxva'tOU J.lÈV J.lÉ).Et, EÌ. J.lTÌ àypotKOtEpov �V Et1tÉÌV, ooo' Ò'tlOUV, 'tOU OÈ J.l110Ev aOtKOV J.lllO' àvocrtov Èpyaçecr9cxt, tOU'tOU oè 'tÒ 1tciV J,lÉÀ.Et. ÈJ.tè yàp ÈKEivn it àpxtì oùK È�É1tÀll�Ev, outroç icrxupà o'Òcrcx,

5 rocr'tE cXOlKOV 'tl Èpyacrcxcr9cxt, àÀÀ1 E1tElOft EK tij ç 90ÀOU �i)À90J.1EV, Ot J.lÈV 'tÉ'tt<XpEç QlxOV'tO EÌç !.cxÀ<XJ.ltV<X K<Xt TlY<XYOV AÉOV't<X, ÈyCÒ OÈ <QxoJ.lTtV àmCÌlv OtK<XOE. K<Xl icrroç dv otà t<XÙ't<X à1tÉ9<XVOV, EÌ J.lft 'JÌ àpXft Otcl t<XXÉOOV K<XtEÀU91l. KCXt

E toutrov i>J,iiv ecrovtcxt 1tOÀÀot J.laptupeç. '�'A p' o'Òv èiv J.lE oiecr9e tocrc:Xoe E'tll otcxyevÉcr9cxt Ei E1tpcxnov

tà onJ.tocrtcx, K<Xt 1tpattrov à�i.roç àvopòç àycx9ou è�oi)eouv to'ìç OlK<Xiotç K<Xt rocmep XPTÌ tOÙtO 1tEpt 1tÀ.Eicrtou È1tOlOUJ.11lV;

5 1tOÀÀou ye oe'i , w civopeç 'A9Ttvcx'iot· oùoè yàp dv aÀÀoç .n A àv8poo1trov o'Òoeiç. àÀÀ' ÈyCÌl otà 1tcxvtòç tou �iou OTtJ.locric;t

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 109

e votai contro. E proprio quando gli oratori si mostra­vano pronti a denunciarmi e ad arrestarmi e voi li esor­tavate e gridavate, ritenni di dover mettere in pericolo c la mia vita, pur di restare fedele alla legge della giustizia, invece che rimanere con voi che volevate cose ingiuste, perché preso dalla paura del carcere o della morte49.

Queste cose successero mentre la Città era ancora governata democraticamente. Dopo che soprawenne l'oligarchia5o, invece, i trenta, fattomi chiamare con al­tri come quinto nella sala del Tolo5I , ci ordinarono di condurre da Salamina Leonte di Salamina, per poterlo uccidere. Ordini di questo tipo essi ne davano molti e a molti, con l'intenzione di riversare colpe sul maggior numero possibile di persone. E anche in quella occasio­ne diedi prova non solo con le parole, ma con i fatti, che o della morte non m'importa, se non è troppo eccessivo dirlo, proprio niente. Ciò che m'importa più di tutto, invece, è di non commettere ingiustizia o empietà52 .

Quell'autorità, che pure era così potente, non mi im­paurì al punto da farmi commettere qualcosa di ingiu­sto, ma, una volta usciti dalla sede dei pritani, gli altri quattro si recarono a Salamina e portarono via Leonte, mentre io me ne andai per conto mio e ritornai a casa.

Forse a causa di queste cose sarei morto, se quel governo non fosse caduto in un breve giro di tempo.

E di queste cose potrete avere molti testimoni. E

Allora, credete che avrei potuto continuare a vive-re per tanti anni, se mi fossi impegnato nelle cose del-lo Stato e, impegnandomi in un modo degno di un uomo buono, avessi portato soccorso alle cose giuste, e, come bisogna fare, mi fossi preoccupato di ciò più che di ogni altra cosa?

Ci vuoi altro, cittadini di Atene ! E nessun altro uo-mo lo avrebbe potuto. n A

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1 10 APOLOGIA DI SOCRATE, 33 A-C

tE El 1tOU tt E1tpal;a tOtOUtoç cj><XVOU).lat, K<XÌ \Si� 6 autòç oùtoç, ou&vì 1tC01t0tE auyxcopt\aaç ouSèv 1t<Xpà tò Sbcatov OUtE cXÀÀ.ql OUtE tOUt(J)V ouSEVÌ oùç Stì Sta�aÀÀ.OVtEç É).lé

' cj><Xmv È).lOÙç ).l<X9Tttàç Elvat. ÉyCÌl 8È Stoo<JK<XÀ.oç ).lÈV ouSEvòç 1too1tot' ÈyEVO).lT\V' El SÉ tiç ).lOU A.éyovtoç K<XÌ tà É).lautou 1tpc:itt0Vtoç Èm9u).lot <ÌKOUEtV, Et tE VEcOtEpoç El tE 1tpE<J�UtEpoç, oU&:v't 1tOOnOtE bp96Vll<JCX. oi>Oè XPfJ).l<Xt<X ).lÈV ÀaJ.l!XXvrov St<XÀÉ-

B YO).l<Xt ).lJÌ À.<X).l�avcov SÈ OU, àJ..A.' Ò).lOtroç K<XÌ 1tÀ.OU<Jtql K<XÌ 1tÉVT\tt 1tapéxro É).lautòv èprotéiv, Kaì èav nç �o'ÙÀ.Tttat Ò:1tOKpt vo).levoç Ò:KOUEt v còv dv À.Éyco. Kaì toutrov Èyro d te nç XPT\<Jtòç yiyvetat ettE ).ltl, o'ÙK dv StKairoç tftV aitiav

5 t)1tÉXot).lt, CÒv ).li)tE t)1tE<JXO).lT\V ).lll&VÌ J.lT\SÈV 1tcOxOtE ).la9T\).l<X ).lfJtE ÉSiool;a· EÌ SÉ tiç ci>T\<Jt 1t<Xp' È).lOU 1tol1tOtÉ tt ).la9éiv � àKouaat \Si� on ).llÌ Kaì o\ &Uot 1tavteç, eù iate on ou�e Ò:À.T\9ll A.ÉyEt.

'AJ..A.à Stà ti St1 1tOtE )!Et' É).lOU xaipouai ttvt:ç 1tOÀÙV c XPOVOV Statpi�OVtEç; <ÌKT\lCO<XtE, ro avSpeç 'A9Ttvcx1ot, 1tcX<Jav

U).ltV tftV ò:J..i)9Et<XV ÉyCÌl d1tOV' Ott Ò:KOUOVtEç xaipouatv È/;Etaço).lÉVotç to'iç OLO).lÉVotç ).lÈV et V<Xt aocj>o'iç, o'Òat S' OÙ. ean yàp ouK ò:11séç. È).loì st: touto, roç tyro «<>ll).lt, 1tpoatt-

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 1 1 1

I rapporti avuti da Socrate con coloro che lo han· no frequentato

In tutta la mia vita a servizio dello Stato, per quel poco che ho fatto, e in privato, vi apparirò sempre un uomo di questo tipo, vale a dire uno che non è mai ve­nuto a nessun compromesso con nessuno contro la giu­stizia, né con altri e neppure con nessuno di quelli che i miei calunniatori affermano essere miei discepoli53 .

Io non sono mai stato maestro di nessuno. Ma se qualcuno desidera ascoltarmi mentre parlo e mentre svolgo la mia attività, giovane o vecchio che sia, que­sto non l'ho mai impedito a nessuno.

E neppure discuto solo nel caso che riceva denari, mentre se non ne ricevo non discuto, ma concedo al- B lo stesso modo sia al ricco che al povero di interro­garmi e, se qualcuno lo voglia, di starmi a sentire men­tre rispondo54.

Se poi succede che, di costoro, uno diventi onesto e uno no, non è giusto che io ne subisca la responsa­bilità, dal momento che non ho mai fornito a nessuno di essi alcuna dottrina, né ho insegnato. E se qualcu­no afferma di aver ascoltato o di aver imparato da me, in privato, qualcosa che non abbiano imparato e ascol­tato anche tutti gli altri, sappiate bene che non dice la verità.

Ma per quale motivo, allora, alcuni hanno piacere di trascorrere tanto tempo insieme con me? c

L'avete già udito, cittadini ateniesi; a voi ho detto tutta quanta la verità. Hanno piacere di ascoltarmi quando da me vengono sottoposti a esame coloro che ritengono di essere sapienti, mentre in realtà non lo sono.

Infatti, questa non è una cosa sgradevole.

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1 12 APOLOGIA DI SOCRATE, 33 C · 34 A

' tatctoo. i»tò toi> 9eou xpatta v �eàt ètc llavtrloov �eàt Eç èvuxvi(I)V �ea\ navù tp<)Jup Qm-p t1.ç xott: �ea\ WJ..11 erla J.lOtpa &vap<ilrup tca\ 6ttouv 7tp00Éta!;e xp<ittetv. tauta, ro civopeç 'A8Ttva10l, tca\ àÀ118iì Èatt v tca\ EÙÉÀ.eyiCta. ei. yàp OlÌ eyooye t&v VÉOOV

D toùç J,LÈV Otacp8eipoo toùç OÈ OtÉcp8aptca, xpf\v Otl7tOU, El 'tE uvèç aùt&v xpeaj3utepot yevoJ.lEVOt Ey-vcooav ott vÉOtç o'Òmv autoiç èyro �ea�eòv xroxotÉ tt auvej3ou)..euaa, vuv\ aùtoùç avaj3aivovtaç ÈJ,LOU tcatTtYOPElV tca\ 'tljlOOpE1a8at· ei. OÈ Il�

' aùto\ fi8eÀov, t&v oi.tcrioov ttvàç t&v h:eivoov, xatÉpaç tca\ a&Àcj>oÙç tca\ clÀÀouç toùç 7tp00tliCOVtaç, El7tEp 'Ù7t' ÈjlOU 'tl ICaiCÒV È7tE7tOV8Eaav aÙtOOV o\. OtiCElOl, VUV jlEJ.LVf\a8at IC(X\ ttjloope'ia8at. x<ivtooç oè x<ipetat v aùt&v xoÀÀo\ èvtau8oi ouç ÈyÒ> 6p&, xp&tov J,LÈV Kpi 't(l)V o'Ùtoai, EjlÒç ftÀliClolt'lç

E �ea\ OTtll6'tl'lç, Kpt toj3ouÀOu tou& xati}p, exena Aooaviaç ò Lpr1tnoç, Aiaxivou tOUOE xatr1p. E'tl o' 'Avttcp&v 6 KTtiPt­atEÙç oùtoai, 'Em yÉvouç xatr1p. aÀ.Àot toi vuv oùtot oov o\ aOEÀcpol. EV taU'tlJ tij Otatptj31] yey6vaatv, Nttc6atpatoç

' E>eoçotioou, àoEÀ.cpòç E>Eoò6tou - tcal. 6 llÈV E>E6òotoç tE'tE· ÀEU'tlliCEV, cOOtE O'ÙIC éiv ÈICE'iv6ç YE a'ÙtOU ICataOETt8etTt - Ka\ nap<iÀtaç ooe, 6 �111loo6�eou, où �v E>E<iYllç à&À.cpoç· ooE 8è

34 A 'A&iJ,Lavtoç, 6 'Apiatoovoç, oÙ à&Àcj)Òç o'Ùtoa\ nMtoov, Ka\ Aiavt6ooopoç, où 'AxoÀÀ.oooopoç oòE àoeÀcj)oç. �ea\ aÀÀouç 7tOÀÀO'Ùç ÈyÒ> ExOO 'ÙJ.LtV Et1tÉÌV, WV 'tlVa ÈXPlÌV jlc:iÀtata ll�V Èv tep éautou Àoy<p xapaaxéa8at MÉÀTttov J.laptupa· el Oè t6tE

' ÈxEM:i8eto, vuv xapaaxéaaoo - èyro xapaxoop& - tca\ ÀEyÉtm

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V. SIGNIFICATO MORALE DEL MESSAGGIO SOCRATICO 1 13

E a me questo, come ancora vi dico, è stato co­mandato dal dio, con oracoli e con sogni e in tutti quei modi con cui, talora, anche in altri casi, il desti­no divino comanda all'uomo di compiere una cer­ta cosa55.

E questo che affermo, cittadini ateniesi, è vero, e si può controllare facilmente. Infatti, se io corrompo alcu-ni giovani e in passato ne ho corrotto altri, si sarebbe D

pur dovuto verificare che alcuni di costoro, divenuti ormai vecchi e resisi conto del fatto che io ho dato loro cattivi consigli quando erano giovani, ora salisse­ro qui sulla tribuna per accusarmi e per vendicarsi. E se non avessero intenzione di farlo loro stessi, alcuni dei loro congiunti, padri, fratelli e altri parenti, nel caso che i loro congiunti avessero subìto male da me, ora se ne potrebbero ricordare e potrebbero vendicarsi.

In ogni modo, molti di loro sono qui presenti. In primo luogo c'è Critone56, qui davanti, che è della stessa mia età e del mio demo, padre di Critobulo. E Poi c'è Lisania di Sfetto, padre di questo Eschine57. E ancora, c'è qui Antifonte di Cefisia col figlio Epige­ne58. E poi sono qui presenti anche altri, i cui fratelli hanno avuto rapporti con me: Nicostrato figlio di Teozotide fratello di Teodoto, il quale però è morto e non potrà pregare il fratello di intercedere in mio favore; c'è anche P aralo, figlio di Demodoco, di cui era fratello Teagete59; c'è Adimanto figlio di Aristo- l4 A

ne60, di cui è qui presente anche il fratello Platone61 , e Aiantodoro, di cui è qui presente anche il fratello Apollodoro62.

E potrei richiamare anche molti altri; e Meleto nel suo discorso avrebbe dovuto citare proprio qualcuno di questi come testimone. Nel caso che allora se ne sia dimenticato, lo faccia comparire ora come testimo-

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1 14 APOLOGIA DI SOCRATE, 34 A-C

e'i n EXEt 'totou'tov. W..Mì 'to1hou 1téiv 'touvavnov Eup�OE'tE, ro &vopeç, 1tCXV'taç EjlOÌ. �Oll9ÉÌV É'tOljlOUç 'tqJ Otacjl9ripovn, 'tQl KaKà èpyaçojlÉvq> 'tO'Ùç Ol.KelOUç aU'tWv, ci); cj>am MÉÀ.tl'tOç KaÌ.

B "A VU'toç. aÙ'tOÌ. jlÈV yàp oi OlEcjl9apjlÉVOl nix' a v A.oyov EXOlEV �Oll90UV'tEç· o\. oè aotcicjl9ap't0l, 1tpEO�U'tEpOt tlOll cXVOpEç, O l 'tOU'tCOV 1tpOO�KOV'tEç, n va cXAAOV EXOUOt A.oyov �Otl90UV'tEç EjlOÌ àA.A.' ii 'tÒV op9ov 'tE KaÌ oiKatov, O'tt

' auviaam MEA�'tq> J.LÈV 'VEUOOJlÉVq>, ÈJ.Lot oè aA.tl9Euovn; EtEV or\, ro avopEç' d. jlÈV èycò EXOtjl' av a1toA.oyE'ia9at,

OXEOOV èan 'taU'ta Kat clUa taroç 'tOtaU'ta. 'tcixa o' civ nç c i>jl&v àyavaK�OEtEV cXvaJ.LVtl09Ètç Éau'tou, d ò J.LÈV Kaì OO't't(J)

'tOU'tOUl 'tOU ayrovoç àyrova àyoovtçOjlEVOç ÈOE�9ll 'tE KaÌ iKÉ'tEuaE 'toùç otKaa'tàç J.LE'tà 1toÀ.A.ci>v oaKpuoov, 1tatoia 'tE aU'tOU &va�t�a<X,.tevoç 'i va on jlciA.ta'ta EAEtl9Eltl, Kat &uouç

' 'trov oi KEioov Kaì cjliÀ.OOv 1toA.A.ouç, èycò oÈ oùoèv èipa 'tOU't(J)V 1tOtr\aoo, Kat 'taU'ta KtVOUVEU(J)V, <ilç àv ool;atjlt, 'tÒV EOXa'tOV Kivouvov. "Ccix' civ oùv 'ttç 'tau'ta èvvor\aaç aù9aoÉa'tEpov àv 1tp0ç jlE OXOl 11 Kat Òpyt09Etç au'totç 'tOU'tOtç 9Éi. "CO àv jlE't'

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VI. CONCLUSIONE DELLA DIFESA 1 15

ne. lo gli cederò il posto. E dica, se ha da dire qual­cosa di questo genere.

Invece, costaterete tutto il contrario di ciò, cittadi­ni, ossia li troverete tutti quanti pronti a soccorrere me, il corruttore, vale a dire colui che fa del male ai loro parenti, come sostengono Meleto e Anita. B

Coloro che sono corrotti, potrebbero forse avere qualche motivo per venirmi in soccorso. Invece, coloro che non sono stati corrotti e che sono piuttosto avanti negli anni e sono parenti di costoro, quale altra ragio­ne potrebbero mai avere per venirmi in soccorso, se non la ragione vera e giusta, ossia perché sanno bene che Meleto dice il falso, e che io invece dico il vero?

Conclusione della difesa63

Socrate non chiede pietà, ma giustizia

E sia, cittadini ! Le cose che potevo dire in mia di­fesa sono all'incirca queste o forse altre di questo ge­nere.

Probabilmente qualcuno di voi potrebbe essere c contrariato, ricordandosi; nel caso che si sia trovato a lottare in un processo anche meno grave di questo, di avere fatto ricorso a preghiere e a suppliche ai giudici insieme a molte lacrime, e di aver fatto venire in tri­bunale i suoi figli per suscitare compassione il più possibile e anche molti dei suoi parenti e dei suoi amici, mentre io, dal canto mio, non farò nessuna di queste cose, anche se, come potrà sembrare, vado in­contro all'estremo pericolo.

È possibile, dunque, che qualcuno, facendo que­ste considerazioni, si senta infuriato contro di me, e,

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1 16 APOLOGIA DI SOCRATE, 34 D - 35 B

D òpyiìç tlÌV viìcpov. El Br\ tl<; UJ.lcilV outcoç EXEl - OÙK àl;tcil J.lÈV yàp eyoryE, El S' oùv -ÈmEtKiì èiv J.lOl BoKcil npòç tOUtOV À.ÉyEt v À.Éyrov on " 'EJ.loi., cò èiptatE, ElCJÌ v J.1ÉV noù n VE<; Kaì OlKÉiOl" KaÌ yàp touto autÒ tÒ tOU 'OJ.lr\pou, ouS' Éy<Ì> 'ànò

s Bpuòç oùB' ànò 1tÉtPll<;' 1tÉcpuKa àA.}..' El; àv9p001tCiJV, roatE K<Ìt. OlKÉÌ.Ol J.lOl Eim Km ÙE1<; YE. 00 avBpE<; 'A911Vcii0l, tpéiç, El<; J.lÈV J.lEtpaKlOV iiBll. ouo & nooota· WJ..' OJlCiJ<; oùOéva aut&v &Gpo àva�t�aaaJlEvoç &r\aoJ.loo 'ÒJ.lcilv àno'l'llcp1.aaa9at. " ti. Bfl oùv où&v tOUtCiJV 1t0l iJaro; OÙK aù9®tç6J.1EVO<;, ro avOpE<;

E 'A911Val0l, ouo' UJ.lcl<; àttJ.laçrov, àìJ..' El J.1ÈV 9appaÀ.Écoç ÈyCÌl ExCiJ 1tpÒ<; 9avatOV i\ J.ltl, iiÀAo<; A.6yoç, 1tpÒ<; O' o\lv 06çav KaÌ E,.lo\ Kaì UJ.ltV Kàt OÀlJ tfj n6A.Et oo J.lOl OoKÉÌ. KaA.òv ilvat ÈJ.!È tOUtCiJV oÙBÈv 1tOletV KaÌ tllÀlKOVBE ovta KaÌ touto tOUVOJ.la

s exovta, Et t' o'Òv àA.ll9Èç Et t' o\> v 'VEUOo<;, àU' o\> v OEBOyJ.lÉVOV JS A yÉ Eati. t<9 l:roKp<itll otacpÉpEtv tcilv noA.A.cilv àvapo>nrov. d

oùv uJ.1cilv o\ ooKouvtE<; otacpÉpEt v Et tE aocpi.� d tE àvopEi.� EttE &uu 'ÙtlVlOUV àpEtfj tOlOUtOl roovtat, alaxpòv àv Elll" o'i0001tEp Èy<Ì> 1tOU<iKt<; ÈropaKa tl Va<; OtaV Kpl VCiJVtat, 00-

S Kouvtaç J.1ÉV n Etvat, 9auJ.1c:ima & ÈpyaçoJ.lÉvouç, cb<; BElVOV n OlOJ.1Évouç nEiaEa9at Ei àno9avouvtm, ciXmEp à9avc:itrov ÈC10J.1ÉVCiJV àv UJ.!Éi<; autoùç J.llÌ ànoKtElVlltE" o'i ÈJ.10Ì OoKOOOlV aÌCJXUVllV 't'fj n6A.Et 1tEptc:i1ttElV, roat' av tl va KaÌ tcilv l;Évrov

B unoA.a�Eiv Otl o\. OtacpÉpovtE<; 'A9llvai.rov EÌ.<; àpEtt1v, ouç

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VI. CONCLUSIONE DELLA DIFESA 1 17

irritato per queste ragioni, deponga il suo voto con o rabbia.

Se c'è qualcuno di voi che si trova in questa posi­zione - non ritengo che senz'altro ci sia, ma nel caso che ci sia -, credo di potergli fare un discorso ragio- . nevole, dicendogli questo: «Carissimo, ho anch'io dei parenti, e vale anche per me il detto di Omero che non sono nato né da querda né da pietra64, ma da uo­mini. Perciò ho anch'io parenti e figli, cittadini ate­niesi: ho tre figli di cui uno giovinetto e due bambi­ni65 . Tuttavia, non ne ho portato qui in tribunale nes­suno, per scongiurarvi di assolvermi».

E perché, dunque, non faccio nessuna di queste cose? Non per presunzione, cittadini ateniesi, né E perché ho disistima di voi. Se, poi, io sia coraggioso nei confronti della morte o no, è un discorso diverso. Invece, per la buona reputazione mia e vostra e di tutta quanta la Città, mi pare che non sia bello fare nessuna di queste cose, e per l'età e per il nome che ho; sia esso vero sia esso falso, si ritiene comunque che Socrate sia diverso in qualche cosa da molti degli '' A

uomm1. Se, dunque, quelli tra voi che sono ritenuti diversi

dagli altri, sia per sapienza, sia per fortezza, sia per qualche altra virtù, assumeranno questo atteggiamen­to, sarà vergognoso. Mi è capitato spesso di vedere alcuni uomini di questo genere, i quali, pur essendo considerati di un certo valore, quando sono sotto processo, compiono azioni fuori dall'ordinario, nella convinzione di subire qualcosa di tremendo se devo­no morire, e come se dovessero essere immortali, nel cas� che voi non li condannaste a morte. Mi sembra che essi coprano la Città di disonore, al punto che qualcuno degli stranieri potrebbe farsi l'opinione che B

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1 18 APOLOGIA DI SOCRATE, 35 8-D

auto\ éautrov EV tE tatç <ipxaiç JCat taiç aì..ì..atç ttj.laiç 7tpoKpivoumv, o'Òtot yuvooK&v oùOÈv Staqipoumv. tc:xUta y<lp, ro avSpeç 'A911V<Xl0l, OUtE Uj.ldç XPlÌ 7t0tE'iv toùç OOICOUVtaç

' IC(Xl 01t1JOUV tl etvat, out', èiv tiJ.lEtç 1t0lOOJ.lEV, Uj.ldç E1tl­tpÉ1tElV, <iì..ì..à tOUtO autò èv&iKvua9at, Otl 1tOÀÙ j.laÀÀOV Kata'lfllcpte'ia9e toiJ tà ÈÀEl và taiJta Spcij.lata eiaayovtoç Kàt IC<Xt<X"(ÉÀ<XOtOV tftV 1t0Àl V 7t0lOUVtoç ft toiJ ftOUXl<XV ayovtoç.

Xc:op\ç Sè tilç S6!;11ç, ro avSpeç, ouSÈ SiKat6v J.lOl SoKei c el voo &i.a9at toiJ StKaatoiJ où& &6J.1evov ànocpruyet v, W.UX.

StSc:iaKetv Ka\ 1tEt9etv. ou yàp è1t\ toutq> JCc:i9T)tat ò StKa­ati}ç, bt't teP Kataxapiçea9at tà Si.Kata, àll' bt\ teP Kpivetv taiJta· IC<Xl ÒJ.loltOICEV OÙ X<XPlÉi09at Otç W OOJCU a'Ùtcj), àìJ.à

' StlCc:iOEl v ICatà toùç VOJ.lOUç. OUICOUV XPlÌ OUtE TtJ.ldç eaiçew UJ.ldç èmopKElV ou9' Uj.ldç èatçea9at · oùaétepot yàp &v tiJ.l&V euaej3o'iev. lllÌ o'Òv àl;toiJtÉ J.lE, CÒ avSpeç 'A9T)va'iot, tOtaiJta Séiv 7tpÒç Uj.ldç 1tpc:ittElV a J.ltltE TÌ"fOUJ.l<Xl Kaì..à EtV<Xl lltltE

D StlC(Xt(X lltltE oma, WJ.c:oç tE J.lÉVtOl Vft L\ta 7tc:ivtc:oç JCaÌ <iae­j3eiaç cpeuyovta 'Ò1tÒ Meì..t1tou toutout . aacp&ç yàp èiv, el 1tEt90tJ.lt UJ.ldç Kaì teP Saa9cxt j3taçoiJ.lT)V Òflc:otlOK6taç, 9eoùç &v StMaKOtJ.lt lllÌ tiye'ia9at UJ.ldç e1vat, Ka\ cX'texvWç à1toì..o-

' yo'Òj.levoç IC<X'tll"(OpotT)V èJ:v ÈJ,l<XUtOU <iJç 9eoùç OU VOJ.ltçoo. WJ..i:J.

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VI. CONCLUSIONE DELLA DIFESA 1 19

quelli degli Ateniesi che eccellono nella virtù, ossia quelli che gli Ateniesi medesimi mettono al primo posto nelle magistrature e negli altri onori, in realtà non sono diversi in nulla dalle femmine.

Pertanto, cittadini ateniesi, bisogna che non fac­ciate queste cose, voi che godete di una certa consi­derazione, e che non siate indulgenti con noi, se sia­mo noi a farle. Invece, dovreste mostrare a tutti que­sto, ossia che condannerete chi porta in scena questi drammi miserevoli e mette in ridicolo la Città molto più di chi si mantiene tranquillo di fronte alla morte.

Ma, cittadini, anche prescindendo dalla questione della comune opinione, non credo che sia neppure giusto supplicare il giudice e schivare la condanna c con suppliche, ma mi sembra giusto fornirgli spiega­zioni e persuaderlo. Infatti, il giudice ha la funzione non già di fare regalo della giustizia, ma di giudicare secondo giustizia. Ha giurato non già di fare grazia a chi sembri a lui opportuno, ma di fare giustizia se­condo le leggi.

Perciò non bisogna che vi avvezziamo a violare il giuramento, né che voi stessi vi avvezziate a questo, perché, in questo caso, nessuno di noi farebbe cosa pta.

Allora, cittadini ateniesi, non dovete pretendere che io debba fare, di fronte a voi tutti, certe cose che non considero essere né belle né giuste né sante; D tanto più, per Zeus, per il fatto che sono accusato di empietà da questo nostro Meleto. Infatti, è evidente che, se vi convincessi con il supplicarvi e costringessi voi che avete fatto giuramento, insegnerei a voi a non credere che esistano gli dèi. E appunto mentre mi difendo, accuserei me stesso di non credere negli dèi.

Invece la cosa non sta affatto così.

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120 APOLOGIA DI SOCRATE, 35 D

1tOÀÀOU Sei outooç EX El v· VOJ.liçro tE yap, ò) avSpeç • A91lVOOOl, eh; o�ç tcl:Jv fpci':Jv Katlly6pwv, Kat 'ÒJ.ltV OOtpÉ1t(l) Kàt tep 9EQ) Kpivoo 1tEp\ EJ.lOU 01t1J J.1ÉllEt EJ.lOt tE èiptata elvat Ka\ UJ.ltV.

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VI. CONCLUSIONE DELLA DIFESA 12 1

Io, cittadini di Atene, credo negli dèi come nessu­no dei miei accusatori. E affido a voi e al dio il com­pito di giudicare me in quel modo che sarà il migliore e per me e per vm.

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Parte seconda

DISCORSO DI SOCRATE DOPO LA PRIMA VOTAZIONE

[35 E - 38 B]

Una vita senza ricerche non è degna per l'uomo di essere vissuta.

38 A

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E TÒ J.LÈV J.LlÌ àyavaK'tÉiV, éb avopeç 'A9llVCXlOt, bt\ 'tOU'tQl 36 A t(\> yeyovon, o n J.LOU KCX'tE'IfllcplO'CX0'9E, cXAÀCX 'tÉ J.LOt 1tOAAà

auJ.Lj3aA.A.etat, Kat oùK àvÉA.ma-rov J.LOt yéyovev -rò yeyovòç 'tOU'tO, àA.A.à 1tOÀ:Ù J.LaÀ.À.OV 9CXUJ.Laçro ÉKCX'tÉprov 'tWV \jlftcprov -ròv yeyovo-ra àptOJ.L6v. où yàp cQOJ.LllV Eyroye ou-rro 1tap'

' 6 A. i. yov EO'EO'OCXt àA.A.à 1tapà 1tOA u . vuv OÉ, roç EOt KEV, d 'tpUXKOV'tCX J.LOVat J.LE'tÉ1tEO'OV tciìv Witcprov, cX1tE1tEcpEUY11 dv. MÉAlltov J.LÈV oùv, OOç EJ.LOt ooKciì, Kat vuv à1to1tÉcpeuya, KCXt OÙ J.LOVOV cX1t01tÉcpeuya, WJ...à. 1tCXVtl oftA.ov tOUtO ye, on EÌ. J.L� avél311 , A vutoç KCXt A UK(J)V KCXtllYOPftO'OVtEç EJ.LOU, Kàv ébcpA.e

8 XtA.i.aç opaxJ.Lciç, où J.LE'tCXÀ.CXj3Ò>v 'tÒ 1tÉJ.L1ttOV J.LÉpoç tciìv 'l'li cprov.

TtJ.Liitat o' oÙv J.Lot ò àvi!p Oavcitou. dev · tyro oÈ o� nvoç ÙJ.iiv cXV'tt'ttJ.lllO'OJ.LCXt, 00 avopeç 'A91lVCXtOt; ÌÌ oftA.ov on

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Giudizio di Socrate sulla condanna e sue proposte ai giudici66

Socrate pensa di meritare non la pena, ma un pre­mio per ciò che ha fatto

Che io non sia indignato, cittadini atemest, per E quello che è accaduto, ossia che abbiate votato per la 36 A mia condanna, è dovuto, tra l'altro, al fatto che que-sto che mi è accaduto, non mi è accaduto inaspettato. Anzi, mi meraviglio molto di più del numero di voti delle due parti che è emerso. Infatti, non credevo che si sarebbe verificata una differenza così piccola, bensì una molto più grande.

Ora, invece, come risulta, se solo trenta dei voti si fossero trasferiti dall'altra parte, io sarei stato assolto dall'accusa.

Dunque, per quanto si riferisce a Meleto, come mi sembra, io sono stato assolto anche ora. E, anzi, non solamente assolto, ma almeno questo è chiaro a tutti che, se Anito e Licone non si fossero presentati qui ad accusarmi, Meleto avrebbe dovuto pagare anche una multa di mille dracme, per non aver ottenuto in B suo favore la quinta parte dei voti67.

Quest'uomo, dunque, chiede per me la condanna a morte.

E sia pure ! E quale pena alternativa vi chiederò per me, citta­

dini ateniesi?

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126 APOLOGIA DI SOCRATE, 36 B-D

s tfiç a�iaç; 'tl oÙv; 'tl d�toç EÌ.j.lt 1t<X8Et v il cXJtO'tEtO<Xl, o n j.l<X8CÌlv EV 'tql �icp oùx ticruxiav �yov, a1J • .' cXj.lEÀr\craç OOV1tEp o\ noÀÀoi, XPTlJl<XncrllOU tE Ka\ oiKovoJJ.iaç Kaì crtpatllytéòv 1ea\ BllJJ.TlYOpt&v 1eàt t&v {J).)..rov &pxrov Kaì auvOOJJ.omrov Ka\ Cf'tcXCJE(J)V 'tOOV ÈV 'tlJ 1tOÀEt yt yYOJlÉVOOV, tiYTlOcXJlEVOç EJl<XU'tÒV

c 't(j> ovn emEtKÉO'tEpov EÌvat il OXJ'tE Eiç 't<XU't' lOV't<X crq)çecr8at, evtauaa JlÈV OÙIC ùa oi EÀ8CÌlv Jlrl'tE UJltV JlrltE EJl<XU'tql EJlEÀ­ÀOV JlllBÈv OcpEÀoç EÌVat, em Bè tò iB\q. ElC<XO'tOV icòv EÙEpyE­tE'iv t'JÌV JlEYlO'tTlV EÙEpyEOl<XV, ooç eycJ> cj}TlJll, Evtau8a �a,

' emxetpoov EKacrtov ÙJloov 7tet8Etv JllÌ npotepov JlrttE toov eautou Jlll&vòç emJlEÀEtcr8at 1tp\v Éautou emJlEÀTl8Et11 o1troç ooç �ÉÀ ncrtoç K<XÌ cppOVlJlW't<XtOç ecrot 't O, Jl tl 'tE téòv tfiç 1tO­ÀEroç, 1tpÌ v aùtfiç tfiç JtOÀEroç, trov 'tE a').)...(J)v OU't(J) IC<Xtà tòv

D aùtòv tp01tOV EmJlEÀ.Eicr8at - n oùv EtJll &çtaç 1ta8E1v totou­toç OOV; aya86v n, ro dvBpeç 'A811V<Xt0l, EÌ BEt YE Katà ttìv a�\av tij étÀ.Tl8Eiq. 'tlJld08at· IC<XÌ 't<XU'tcX YE aya8òv 'tOlOU'tOV on dv 1tpÉ1tOl EJJ.Oi. ti oùv 1tpÉ1tEl avBp\ JtÉVTl'tl EÙEpyÉ'tlJ

' BEOJlÉVCfl ayEtV OXOÀ'JÌV em tfj UJlE'tÉpq. JtapalCEÀEUOEl; OÙIC ecr8' on JlaÀÀOV, 00 avBpEç 'A811Vat0t, 1tpÉ1tEl outroç c.0ç tÒV 'tOtOU'tOV avBpa EV 1tpUt<XVElCfl Cfl titcr8at, JtOÀU YE Jldllov � ii nç 'ÒJJ.rov 'inncp il auvrop\Bt il çeuyEt veviKTlKEv 'OÀuJlma-

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VII. GIUDIZIO DI SOCRATE SULLA CONDANNA 127

Chiaramente, quale pena se non quella che merito? E quale allora? Quale pena merito di subire, o quale multa merito

di pagare, dal momento che ho imparato nella vita a non avere mai tranquillità, ma, non prendendomi cura di quelle cose delle quali si curano i più - ossia della casa e dell'amministrazione dei guadagni, dei coman-di militari e dei discorsi per accattivarmi il popolo, né di altri poteri, o di coalizioni e di fazioni che hanno luogo nella Città, in quanto ritenevo me stesso vera­mente troppo giusto per potermi salvare, se mi fossi c lasciato coinvolgere in queste faccende - non mi sono intromesso in quelle cose in cui non avrei potuto es­sere di giovamento né a me né a voi, e, invece, mi sono impegnato in privato a procurare il più grande bene­ficio a ciascuno - come vi ho detto -, cercando di per­suadere ognuno di voi che non deve prendersi cura delle proprie cose prima di se medesimo, per diven­tare il più buono e il più saggio possibile, e nemmeno degli affari della Città prima che della Città medesi-ma, e così delle altre cose nella stessa maniera? o

Allora, che cosa merito di ricevere, dal momento che sono un uomo di questo genere?

Un bene, cittadini ateniesi, se si deve giudicare quello che veramente merito. E deve anche essere un bene che convenga a me.

Che cosa conviene a un uomo che è povero, che è un vostro benefattore, e che chiede solo di avere tempo libero per potervi esortare?

Non c'è nulla che si addica di più, cittadini atenie­si, se non che un uomo come questo venga nutrito a pubbliche spese nel Pritaneo6B, assai più che non si addica a uno di voi che con un cavallo o un cocchio o una quadriga abbia vinto nei giochi delle Olimpiadi.

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128 APOLOGIA DI SOCRATE, 36 D - 37 B

(Jtv' 6 J.1ÈV yàp UJ.1ciç 1t0\Éi EÙB<XtJ.10Vaç OOKEtV Elvat, eyCÌ> BÈ E d vat, K<XÌ 6 J.1ÈV tpocpfìç oùBÈV BE\ tat, ÈyÒl BÈ BÉoJ.1at. d

oùv Be\ IlE Katà tò Bi Katav tfìç <il;iaç nJ.1aa8at, toutou 37 A 'tlJ.100J.1<Xl, Ev 7tpUt<XVEtql CJl tT\CJEcoç.

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VII. GIUDIZIO DI SOCRATE SULLA CONDANNA 129

Infatti, costui vi fa credere felici, e io invece vi fac­cio essere felici. E mentre lui non ha bisogno di rice- E vere alimenti, io ne ho bisogno.

Pertanto, se devo chiedere secondo il giusto ciò che merito, quello che chiedo è questo: di essere mante- J7 A nuto nel Pritaneo a pubbliche spese.

Socrate non propone alcuna pena alternativa, per­ché si sente innocente

Ma forse, dicendo questo, vi sembro all'incirca, co­me quando ho parlato della supplica e dell'implora­zione, che mi comporti in modo orgoglioso. Invece, cittadini ateniesi, non è così.

È piuttosto quest'altra cosa. Sono persuaso di non aver mai commesso delibe­

ratamente ingiustizia contro nessuno, ma non riesco a persuadere voi di ciò. In effetti, abbiamo discusso insie­me per poco. Sono convinto che, se fosse legge presso di voi come è presso altri popoli 69, che non si possa pronunciare un giudizio di morte in un giorno solo, ma in più giorni, ve ne sareste persuasi. Invece, ora non è 8 facile, in così poco tempo, dissipare grandi calunnie.

Ora, poiché sono persuaso di non avere mai com­messo ingiustizia contro alcuno, sono ben lungi dal voler commettere ingiustizia contro me stesso affer­mando a mio danno che sono meritevole di pena e quindi stabilendo per me una tale pena.

E per paura di che cosa? Per paura di dover subire quella che Meleto chie­

de di infliggermi, e che io affermo di non sapere né se sia un bene né se sia un male? E, in luogo di questo, dovrei scegliere e proporre qualcuna di quelle cose che so bene che sono mali?

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130 APOLOGIA DI SOCRATE, 3 7 C-E

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S tlj.lJlO(I)j.lCll ; tcrroç yàp av j.101 tOUtOU ttj.l�CJClltE. 1tOÀÀ� j.lEVtav j.lE 4jltÀO\jfUXtCl EXOl, ro èivopeç 'A91lVCll0t, d outroç àA.6ytcrt6ç Elj.lt cOOtE l.llÌ ouvcxcr9cxt A.oyi.çecr9cxt on Uj.lÉÌç l.lÈV ovteç TtoXi tcxi. J.lOU oùx oioi. tE ÈyÉvecrae èveyx:e1v tàç Èl.làç

o otcxtptj3àç x:cx\ toùç A.6youç, cXA.A.' 'ÒJ.ltV j3cxputepcxt yey6vcxcrtv x:cx\ èmq,aovrotepat: ilicrte çlltÉÌtE cxùtrov vuv\ àTtcxA.A.cxyiìvcxt· èW..ot & &pcx cxutàç OtCJOOOt P<;lOi.�; 1tOA.ÀOU YE &1, ro WOpEç 'A911V0001. KCXÀÒç OÙV av j.lOt Ò j3i.oç Elll È/;EA.96vn tllÀllCQlOE

' àv9pro7tq> aÀÀllV è!; MÀ'f1ç 1tOÀ.Eroç cXj.1Etj30j.lÉVQ> x:cx\ ÈI;EÀCXUVO­j.lÉVq> siìv. EÙ yàp oto' Ott 01t0t dv eA.aro, A.Éyovtoç Èj.lOU àx:pocicrovtcxt oi vÉot oocr1tep èvacioe· x:dv J.lÈV toutouç àn­eA.cxuvro, oùtoi. J.lE cxùtoì èl;eMXn m:i.aovteç toùç npecrj3utépouç·

E èàv oÈ J.llÌ à1teA.cxuvro, o\ toutrov TtCltÉpeç OÈ x:cx\ oi.x:e1ot ot' cxùtoùç toutouç.

"locoç oùv av nç dnm· ":ttyrov oÈ x:cx\ iJcruxi.cxv ayrov, CÒ :trox:pcxteç, oùx oioç t' EOlJ TÌJ.llV èl;eA.arov çiìv ; " tOUtÌ. o�

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VII. GIUDIZIO DI SOCRATE SULLA CONDANNA 13 1

Dovrei forse chiedere il carcere? E perché dovrei c vivere in carcere, sottomesso al continuo potere degli Undici?70

Una pena in denaro, e quindi rimanere recluso fi­no a che non sia riuscito a pagarla? Ma per questo va­le per me il discorso che ho fatto prima, in quanto non ho soldi per poter pagare.

E allora chiederò che mi venga inflitto l'esilio? For-se è appunto questa la pena che voi vorreste infligger­mi. Ma, cittadini ateniesi, dovrei avere un amore vera­mente grande della vita, per essere a tal punto in som­mo grado irragionevole, da non essere capace di fare questo ragionamento, ossia che mentre voi, che siete miei concittadini, non siete stati capaci di sopportare le mie conversazioni e i miei discorsi, e anzi vi sono diven- o tati tanto insopportabili e odiosi che ora cercate di li­berarvene, altri lo sopporteranno invece con facilità?

Ci vuoi altro, cittadini ateniesi ! Bella dawero sarebbe per me la vita; andarmene

da Atene a questa età, trasferirmi da una città all'altra e vivere sempre scacciato !

Infatti, so bene che da qualunque parte vada, i gio­vani verranno ad ascoltare i miei discorsi come fanno qui. E se li allontanassi, sarebbero proprio loro che mi vorrebbero cacciare, convincendo i più anziani.

E se non li allontanassi, sarebbero i loro genitori e parenti, proprio per causa loro, a farmi cacciare. E

Socrate non cesserà mai di fare ricerche, perché una vita senza ricerche non è degna di essere vissuta

Forse qualcuno potrebbe dirmi: «Ma standotene in silenzio e in tranquillità, Socrate, non saresti capace di vivere, dopo che te ne sia andato via di qui?».

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132 APOLOGIA DI SOCRATE, J7 E · J8 B

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Js A tOV i)cruxiav cXyEtV, OU 1telOE09É J.lOt <i>ç EÌpOOVEUOJ.lÉVQ>" Èeivt' aù ÀÉ.yro ott Kaì. tuyxcivet J.lÉytcrtov àya9òv òv àv9pm7t<p touto, èKcicrtl'l<; llJ.lÉpaç xep\ àpetf\ç toùç Àoyouç xote'icr9at Km t&v WJ..i»v 1tEpÌ. òlv UJ.lÉÌ<; Èjlou àKo\lete otakyoJ.lÉvou Koo

' ÈJ.lautòv Kaì. &Uouç è;etciçovtoç, 6 & àvE�Étacrtoç �ioç où �trotòç àv9p001tQl, tauta o' E'tl �ttOV 1telOE09É J.lOt llyovn. tà oè exa JlÈv oi.>troç, <i>ç èym �TlJ.lt, ro &vopeç, nei9etv oè où pcj.OtOV. KaÌ. Èy<Ò aJla OÙK Et9tOJlat ÈJlaUtÒV à�toUV KaKOU

B oùoev6ç. Et JlÈV yàp �v JlOt XPtlJlata, È'ttJ.ll'lO<iJlTlV &v XPTI· JlQt(I)V ocra EJlEÀÀOV ÈKtElOElV, oùoèv yàp &v E�Àci�TIV" vuv OÈ où yàp EO'tl.V, d JllÌ &pa ocrov &v Èy<Ò ouvaiJlllV EKtetcrat, tOOOUtOU �ou).ecr9É JlOt 'tl.Jliìcrat. icrroç o' &v ouvatJlTlV EK·

,.. t ,.. ,.. • l l '? ... 5 tEtOat UJ.lt V 1tOU Jl va v apyuptOU " tOOOUtOU OUV tlJlOOJlat.

DÀ.atrov OÈ OOE, ro avopeç 'A911Vatot, KaÌ. Kpi t(I)V KaÌ Kptt6j3ouì..oç Koo 'AxoUO&opoç Keì..El'xrucrt JlE tpt<ilcovta JlVON t1JltlOacr9at, aÙtOÌ. o' Èyyuéicr9at · TIJlOOJlat oÙv tOOOUtOU, ÈYrUTltaì. oè 'ÒJltV ecrovtat tou àpyupiou outOt à�t6xpecp.

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VII. GIUDIZIO DI SOCRATE SULLA CONDANNA 133

La cosa più difficile di tutte è persuadere alcuni di voi proprio su questo.

Se vi dicessi che questo significherebbe disubbidi­re al dio e che per questa ragione non sarebbe possi-bile che io vivessi in tranquillità, voi non mi credere- JB A ste, come se io facessi la mia «ironia».

Se, poi, vi dicessi che il bene più grande per l'uo­mo è fare ogni giorno ragionamenti sulla virtù e sugli altri argomenti intorno ai quali mi avete ascoltato di­scutere e sottoporre a esame me stesso e gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna per l'uomo di essere vissuta71 ; ebbene, se vi dicessi questo, mi cre­dereste ancora di meno.

Invece, le cose stanno proprio così come vi dico, uomini. Ma il persuadervi non è cosa facile.

Socrate proporrebbe per sé una multa di trenta mine, che pagherebbero i suoi amici

Nello stesso tempo, non mi abituo a giudicare me stesso meritevole di qualche pena. B

Se avessi avuto ricchezze, av1ei potuto proporre di pagare una multa che fossi in grado di pagare, in quan-to non ne avrei avuto alcun danno.

Ma io non ho ricchezze. A meno che non mi diate una multa che io sia in grado di pagare. Sarei forse in grado di pagare una mina d'argento. E dunque mi multo di una mina d'argento.

Ma ci sono qui Platone, cittadini ateniesi, Critone, Critobulo e Apollodoro, i quali mi esortano a multar­mi di trenta mine e sono loro stessi che ne danno ga­ranzia. Propongo, dunque, la multa di trenta mine. E di questa multa vi saranno garanti costoro in piena fi­ducia72.

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Parte terza

DISCORSO DI SOCRATE DOPO LA SECONDA VOTAZIONE

[38 C - 42 A]

Ma badate bene, cittadini, che non sia questa la cosa più difficile, ossia sfuggire alla morte, ma che molto più difficile sia sfuggire alla malvagità. In­fatti la malvagità corre molto più ve­loce della morte.

39 A-B

A un uomo buono non può capitare nessun male, né in vita né in morte: le cose che lo riguardano non vengono trascurate dagli dèi. ·

4 1 D

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c Où 1tOÀÀOU y' EVEIC<X xpovou, iO &vopEç 'A91lVOOOt, OVOJ.l<X e!;E'tE !C <Xl al nav U1tÒ 'tOOV �OUÀOJ.lÉVOOV 't'lÌ V 1t0Àt v A.otOOpEi v còç Uo!CpcX'tll a7tEIC'tOV<X'tE, avopa aolj)ov - I)>T\aouat yàp O� aolj)òv EÌvat, El JCaì JlTt EtJ.lt, o\ �ouA.OJ.LEvOt 'ÒJ.Liv òvEtolçEtv - ·

s El youv 7tEptEJ.lEtV<X'tE òA.lyov XPOVOV, a1tÒ 'tOU <XÙ'tOJ.lcX'tOU &v ujii v 'tOU'tO ÈyÉVE'tO' òpd'tE yàp OTÌ 'tTÌV ftÀliCt<XV O'tt 1t0ppoo T\011 Èa'tÌ 'tOU �iou eava'tOU OÈ Èyyuç. A.Éyro oè 'tOU'tO ou

D 7tpÒç 1tcXV't<Xç ÙJ.ldç, aA.A.à 7tpÒç 'tOÙç ÈJ.lOU IC<X't<Xo/lliPtO<X· J.Lévouç eciva'tov . A.éyro oè JCaì 'toOE 1tpòç 'toùç au'toùç 'tOU'touç. taroç JlE otE09E, ID cXvOpEç 'A911V<Xt0t, <Ì1t0pt� A.oyoov èaA.roJCévat 'totou'trov otç dv ÙJ.ldç E7tEtaa, d cQJ.lllV OE'iv

s cl1t<XV't<X 1tOlEtV IC<Xl A.éyEtV OOO'tE a1tolj)uyE'iV 't'fÌV Ol !CllV. 1tOÀÀOU 'YE OE'i. ciA.A.' a7topl� J.LÈV ÉcXÀOOIC<X, où JlÉV'tOl A.oyoov, aA.A.à 'tOÀJ.lllç IC<XÌ civataxuvnaç IC<XÌ 'tOU JlTÌ É9É�lV ÀÉYElV 7tpÒç ÙJ,ldç 'tot<XU't<X oi ' dv ÙJ.ltV JlÈV �OtO't<X �V aKOUElV -9pllVOUV'tOç 'tÉ JlOU IC<XÌ ooupOJ.lÉVOU IC<XÌ WJ.a 1tOlOUV'tOç ICQÌ

E ÀÉYOV'tOç 1tOA.A.<Ì IC<XÌ avci!;ta ÈJ.LOU, còç éyro IPllJ.lt, oi.a OTÌ ICQl Et9ta9E UJ.lE'iç 'tOOV aA.A.rov aiCOUEtV. ciA.A.' OU'tE 'tO'tE $ti911V

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Messaggio di Socrate a coloro che l'hanno condannato e che l'hanno assolto73

Sfuggire alla morte è più facile che sfuggire alla malvagità

Per non voler attendere non molto tempo, cittadi- c ni ateniesi, voi avrete la cattiva fama e la colpa da parte di coloro che vogliono rimproverare la Città di aver condannato a morte Socrate, uomo sapiente. In­fatti, diranno che io sono sapiente, anche se non lo sono, coloro che vi vogliono biasimare.

Se aveste aspettato poco tempo, la cosa si sarebbe verificata per conto suo. Vedete, infatti, che la mia età è già molto avanti nella vita, ed è vicina alla morte.

E questo non lo dico a tutti voi, ma a quelli che D hanno votato la mia morte.

Proprio a costoro dico anche un'altra cosa. Forse pensate, cittadini ateniesi, che mi sia trovato sprovve­duto di quegli argomenti con cui vi avrei persuasi, se avessi ritenuto che bisognasse fare e dire qualsiasi cosa, pur di scampare alla condanna a morte.

Ma non è proprio così. Mi sono trovato sprovveduto, non però di argo­

menti, bensì di audacia e di impudenza, e per non volervi dire cose che vi sarebbe stato gradito ascolta­re, mentre piangevo e mi lamentavo e facevo e dicevo E molte altre cose indegne di me, come vi ho detto, ma che siete soliti ascoltare da altri.

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138 APOLOGIA D I SOCRATE, 38 E · 3 9 C

&1. V EvEKCI 'tOU 1Ct VOUVOU 1tpdçat O'ÙOÈV avEÀ.E'l>8Epov, OUU: vUV JlOt JlE'tCIJlÉAet OUt<Oç à1tOÀ.O"(T\GCIJlÉVq>, àJ..J..à 1tOÀ.Ù JldÀ.À.OV

' a\pouJlat cO& àxoÀ.O"fllcrciJlevoç te8vavat ii èlcrlvroç çf!v. oute yàp ÈV OtiClJ out' ÈV 1tOÀ.ÉJlq> out' ÈJlÈ out' allov oÙoÉva OEt

39 A 'tOU'tO JlT\;(CIVdG9at, 01t0lç à1tocjleu!;etat 1tdV 1tOlOOV 8avatOV. KaÌ yàp ÈV ta1ç JlcX;(atç 1tOMcXKtç of!J..ov yl yvetat o n 'tO "(E à1to8aVEtV av ttç ÈKcjlU"(Ot KaÌ 01tÀ.a àcjle\ç ICCIÌ Ècjl' liCE'tetCIV tpa1t6Jlevoç t&v otooK6vtoov· Kaì ciÀÀ.a1. J.IT\X<XVCIÌ 1toll00 dmv

5 èv EICcXG'tOtç to1ç ICt vouvmç cOOtE Otacjlruyet v 8avatov' &Xv nç tOÀ.Jl� 1tdV 1tOtEtV KaÌ À.É"(EtV. àÀ.À.à JllÌ OÙ tOUt' iJ ;(CIAe1tOV, 00 avopeç, 8cXvatOV ÈKcjlU"(EtV, WJ..à 1tOÀ.Ù ;(aÀ.E1tOOU:pOV 1tOVT\·

a plav· 8dttov yàp eavatou 8e1. Kaì vGv Èy<Ìl JlÈV &te �paoùç rov ICClÌ 1tpEG�UtTtç Ù1tÒ 'tOU �paoutÉpou ÈcXÀ.OOV, o\. o' ÈJ.IOÌ. Katityopot &te &t v o\ KaÌ òçe'iç ovteç U1tÒ tou 8attovoç, tf!ç ICCIJCtaç. ICCIÌ vuv Èy<Ìl JlÈV cl1tEtJlt ucjl' UJlOOV 8avatou OtiCT\V·

5 ocjlÀ.OOV, OUtOt o' U1tÒ tf!ç àÀ.Tt8Elaç CÌlcjlÀ.TtiCOtEç Jl0;(8Ttplav Kaì. àotKlav. Kaì èyro te tci) ttJlr\J.lan ÈJ.1J.1Évoo Kaì. outot. tauta JlÉV 1tOU lG<Oç outroç KaÌ EOEt G;(ÉÌV, KaÌ OtJlat aùtà Jletplroç EXet v.

c Tò oc oi} JlEtà to'Gto Em8uJlro UJltV XPllO"JlcpOflcrat, éò Kata-

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VIII. L'ULTIMO MESSAGGIO DI SOCRATE 139

Ma né allora ho creduto di dover fare alcunché di meschino per difendermi dal pericolo, né ora mi pen­to di essermi difeso in questo modo; preferisco molto più morire per essermi difeso in questo modo, che non vivere per essermi difeso in quello.

Né in tribunale né in guerra, né io né nessun altro deve awalersi di questi stratagemmi, per sottrarsi alla 39 A morte in tutti i modi. Infatti, anche nelle battaglie spes-so risulta evidente che uno si salverebbe dal morire, se gettasse le armi e si volgesse a supplicare quelli che lo inseguono. E ci sono anche molti altri stratagemmi, in ciascuno dei vari pericoli, che rendono possibile sfug-gire alla morte, se uno osa fare o dire qualsiasi cosa.

Ma badate bene, cittadini, che non sia questa la co-sa più difficile, ossia sfuggire alla morte, ma che molto più difficile sia sfuggire alla malvagità. Infatti, la mal- B

vagità corre molto più veloce della morte. E ora che sono lento e vecchio, sono stato raggiun­

to da colei che è più lenta, mentre i miei accusatori, che sono abili e pronti, sono stati raggiunti da colei che è più veloce, dalla malvagità.

Ora io me ne vado, condannato da voi alla pena di morte; mentre costoro se ne vanno condannati dalla verità per iniquità e ingiustizia.

Io sto alla mia punizione e costoro alla loro. E forse le cose dovevano verificarsi proprio in que­

sto modo. Credo anzi che si siano verificate nella giu­sta misura.

Predizione di Socrate a coloro che lo hanno con· dannato

Ma, a voi che mi avete condannato, voglio fare que- c sta predizione su ciò che accadrà dopo.

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140 APOLOGIA DI SOCRATE, 39 C-E

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s f..LEtà. tòv Èf..LÒV aavatov 1tOÀ..'Ù X<lÀ.E1tOltÉpav V'lÌ di.a iì o'iav Èf..LÈ WtEK'tOV<ltE· VUV yà.p tOU'tO itpyaa8E oiOf..LEVot f..LÈV OOtaA­

M:i!;ECJ8at tou 5t56vat EÀ.Eyxov tou �i.ou, tò Bè Uf..ltV 1tOÀ.Ù èvavtiov à1toj3r\aetat, cix; èyro cl>llf..lt. 1tÀ.Ei.ouç eaovtat Uf..léiç

D oi ÈÀÉYXOVtEç, ouç vuv Èyro K<l'tElXOV, Uf..LEtç BÈ OÙK lja8ci­VECJ8E· Kaì X<XÀ.E1trotepot eaovtat oaq> verotepoi. Eiatv, Ka\ Uf..LEtç f..LéiÀ.À.ov àyavaKtr\CJEtE. Ei yà.p o'leaae à1tOKtEi. vovteç àv8pro1to'Uç È1ttCJXr\CJEtV '[QU ÒVEtBi.çew nvà. Uf..ltV on OÙK

s òp86lç çft'tE, ou KaAOlç Btavoéiaae· ou ycip roe' au'tll ti èmaA.­À<lYlÌ oute 1tavu Buvanì outE K<XÀ.ft, àU' ÈKEl Vll Ka\ K<XÀÀlCJTil Ka\ p�CJ'tTl, Il lÌ toùç illouç KoÀ.m)et v àÀ.À.' eautòv 1tapaaKEUci­çet v 01troç eatat ci>ç �ÉÀ. natoç. "taUta f..LÈV o'Òv Uf..LtV totç. K<l't<l\jl1lcj>tCJ<lf..lÉVotç f..l<lV'tE'UCJaf..LEVOç à1t<XÀ.À.àt't0f..l<lt.

E To1ç & à1tO'V11cl>tCJ<lf..LÉVotç tiaéroç &v BtaÀ.fX8EtllV uxèp 'tOU "fE"fOV6toç 'tO'U'tO'Ul 7tpayf..L<ltOç, ÈV Ql OÌ cXPXOVtEç àCJXOÀl<lV ayo001 K<ll 0U1t(J) EPXOf..l<lt Ot f:A86vta f..LE &1 tE8vavat. èùJ.a

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VIII. L"ULTIMO MESSAGGIO DI SOCRATE 141

lo mi trovo ormai in quel momento in cui gli uo­mini hanno soprattutto la capacità di fare predizioni, ossia quando sono sul punto di morire.

Vi dico, cittadini che mi avete condannato a mor­te, che subito dopo la mia morte cadrà su di voi una vendetta, molto più grave, per Zeus, di quella che avete inflitto a me, condannandomi a morte. Infatti, voi ora avete fatto questo, convinti di liberarvi dal rendere conto della vostra vita. Invece, vi dico che vi accadrà proprio il contrario. Molti saranno quelli che vi metteranno a prova, ossia tutti quelli che io tratte- o nevo; e voi ve ne rendevate ben conto. E saranno tan-to più aspri, quanto più sono giovani; e voi vi arrab­bierete ancora di più !

Infatti, se credete, col condannare a morte uomini, di impedire a qualcuno che vi faccia rimproveri per­ché non vivete in modo retto, voi non pensate bene. Questo modo di liberarsi non è certo possibile, né bello. Invece, è bellissimo e facilissimo non quello di stroncare la parola degli altri , ma quello di cercare di diventare buoni il più possibile.

Questa è la profezia che faccio a voi che mi avete condannato.

E con voi ho chiuso.

Messaggio di Socrate ai giudici che lo hanno assol­to: ciò che sta per accadere è probabilmente un bene

Invece, con quelli che hanno dato il voto per la E mia assoluzione, discorrerei volentieri intorno a que­sto fatto che ora mi è capitato, mentre i magistrati14 sono ancora impegnati, e non è giunto ancora il mo­mento che io vada là dove, una volta che sarò giunto,

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142 APOLOGIA DI SOCRATE, 39 E · 40 C

J.lOl, 00 avSpeç, napaJ.LEi. vatE tocroutov xpovov· oùSèv yàp ' JC(I)À.UEl StaJ.LuOoÀ.Oyficrat npòç cill�À.ouç eroç el;Ecrnv. UJ.llV

40 A yàp ci>ç cpiÀ.otç oùcrt v Ènt&'il;at ÈOÉÀ.Ol tò vuvi J.LOl GUJ.l�E�ll­JCÒç ti 1tOtE voéi. ÈJ.LOÌ yap, ro dvSpeç StJCacrtai - UJ.Léiç yàp StKacrtàç KaMilv òpOciìç àv 1caÀ.Oi 11v - OauJ.Lacrt6v n yéyovev. lÌ yàp EiroOu'ia J.LOt J.LavttJClÌ lÌ tou SatJ.Loviou èv J.Lèv tO>

' np6cr9EV XPOVql navt\ navu 1tUJCV1Ì ciel. �v JCaÌ navu E1tt GJ.ll1Cpo'iç ÈvavnOUJ.LÉVll, et n J.LÉÀÀOlJ.ll J.LlÌ Òp9roç npal;EtV. vuv\ Sè GUJ.L�É�llKÉ J.LOt &1tep ÒpcXtE JCa\ aùtoi, taut\ & ye Sfl OÌ119Et11 cXV nç JCa\ VOJ.Liçetat ECJXata JCaJCOOV elvat· ÈJ.LOÌ Sè

8 OUtE èl;t6vn eroOEV Ol1C09Ev tivavnoo911 tò tOU Oeou GllJ.LElOV, outE rtviJCa civÉ�atvov Èvtau9o1 èn\ tò StJCacr�ptov, outE Èv tQ> ì..6yCJ) oùOOJ.Lou J.LÉllivtt n èpe'iv. JCaitot ev dllitç A.Oyotç 1tOÀÀ.axou s� J.LE È1tÉCJXE À.Éyovta J.LEtal;u· vuv Sè oùSaJ.LOU

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VIII. L'ULTIMO MESSAGGIO DI SOCRATE 143

dovrò morire. Rimanete con me, cittadini, per questo tempo. Nulla ci impedisce che discorriamo ancora fra di noi, finché è possibile.

A voi, in quanto mi siete amici, voglio far notare 40 A quello che vuoi dire ciò che mi è capitato oggi.

Infatti, giudici, e chiamando voi giudici io vi chia­mo con il giusto nome, mi è accaduto un fatto mera­viglioso. La voce profetica che mi è abituale, quella del dèmone, per tutto il tempo precedente era sem­pre assai frequente, e si opponeva molto anche in co-se piccole, quando mi accingevo a fare cose in modo non giusto. Ora mi sono accadute cose, come vedete anche voi, che si possono ritenere, e che vengono con­siderate, mali supremi. Invece, il segno del dio non si B

è opposto a me, né mentre uscivo di casa né mentre salivo qui in tribunale, e neppure durante il discorso, in nessuna occasione mentre mi accingevo a dire qual-. cosa. Eppure, in altri discorsi mi ha fermato a metà, mentre parlavo. Ora, invece, in nessun punto, nel cor­so di tutto questo processo, si è opposto a me in nul­la, né in alcun atto né in alcuna parola75.

E, allora, quale devo pensare ne sia la causa? Ve la dirò. Forse questo che mi è capitato è un be­

ne. E non è possibile che pensino in modo giusto quanti di noi ritengono che il morire sia un male. c

Per me c'è stata una grande riprova di ciò: non è possibile che il segno consueto non si sia opposto a me, se non fossi stato sul punto di fare qualcosa che è un bene.

n significato della morte

Consideriamo anche da questo lato il fatto che c'è molta speranza che il morire sia un bene. In effetti,

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144 APOLOGIA DI SOCRATE, 40 C - 4 1 A

OlOV J.lT\SÈV flvat J.lT\OÈ 0009T\crtV J.lT\OEJ.ll<XV J.lT\OEVòç ExEtV tÒV te9vecilta, ii Katà tà ì..eyoJ.leva J.lEta�oì..� ttç tuyx.avet oÙcra K<XÌ J.lEto{ KT\crtç tij \jfUX,ij tOU 't01tOU 'tOU f:v9évae eiç cXÀ.À.OV t01tOV. K<Xt EltE alÌ J.lT\aEJ.ll<X <Xt091'\0tç EOttV aì..ì..'

D oiov U1tVOç È1tEt00v ttç Ka9E'6&ov J.llla' ovap J.lT\SÈV òp� 9au­J.lOOtOV Képooç àv e'i11 ò 9avatoç - È'y<Ì> yàp àv olJ.lat, E'i n va ÈKì..el;aJ.lEvov &ot t<XU'tl'\V tTÌV vuKta èv ft outro Katéoop9ev cOOtE J.lT\OÈ ovap i&'iv, K<Xt tàç c:XU.aç VUKtaç te K<Xt TtJ.lÉpaç

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41 A àcptKOJ.lEVoç eiç "AtOOU, a1taUaye\ç toutrov\ tffiv cpacrKOVt(J)V atlC<XOtffiV EtV<Xt, EUp�OEt to'Ùç <i>ç <ÌÀ.T\96ìç atlC<XOtcXç, Ol1tEp K<Xt A.É'yOVt<Xt ÈKEl atlCciçetV, M{vroç tE K<Xt 'PaaaJ.l<XV9uç KaÌ AiaKòç K<XÌ Tpt1ttOÀ.EJ.10ç K<XÌ WJ..ot OOOt tffiv TtJ.lt9Érov aiKatOl

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VIII. L'ULTIMO MESSAGGIO DI SOCRATE 145

una di queste due cose è il morire: o è come un non es­sere nulla, e chi è morto non ha più alcuna sensazione di nulla; oppure, stando ad alcune cose che si traman­dano, è un mutamento e una migrazione dell'anima da questo luogo che è quaggiù a un altro luogo76.

Ora, se la morte è il non aver più alcuna sensazio­ne, ma è C(,me un sonno che si ha quando nel dormire o non si vede più nulla neppure in sogno, allora la morte sarebbe un guadagno meraviglioso. Infatti, io ritengo che se uno, dopo aver scelto questa notte in cui aves-se dormito così bene da non vedere nemmeno un so­gno, e, dopo aver messo a confronto con questa le al­tre notti e gli altri giorni della sua vita, dovesse fare un esame e dirci quanti giorni e quante notti abbia vissuto in modo più felice e più piacevole di quella notte durante tutta la sua vita; ebbene, io credo che costui, anche se non fosse non solo un qualche priva­to cittadino, ma il Gran Re77, troverebbe lui pure che E questi giorni e queste notti sono pochi da contare rispetto agli altri giorni e alle altre notti. Se, dunque, la morte è qualcosa di tal genere, io dico che è un guadagno. Infatti, tutto quanto il tempo della morte non sembra essere altro che un'unica notte. Invece, se la morte è come un partire di qui per andare in un altro luogo, e sono vere le cose che si raccontano, os­sia che in quel luogo ci sono tutti i morti, quale bene, giudici, ci potrebbe essere più grande di questo?78

Infatti, se uno, giunto all' Ade79, libera tosi di quelli 41 A che qui da noi si dicono giudici, ne troverà di veri, quelli che si diceBO che là pronunciano sentenza: Mi­nasse, Radamante, Eaco, Trittolemo e quanti altri dei semidei sono stati giusti nella loro vitaBl ; ebbene, in tal caso, questo passare nell'aldilà sarebbe forse una cosa da poco?

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146 APOLOGIA DI SOCRATE, 41 A-D

ii a� 'Op�Ei auyyevÉa9at Kaì Mouaaiq> Kaì 'Hau)Sq> Kaì 'OJ.ll\PQ> txì xoaq> dv nç SÉ�an' dv UJ.lOOV; èyoo J.lèv yàp 1tOÀÀaKtç E9ÉÀOO t€9VaVal el tau t' fanv aÀTt9iì . È1t€Ì

B EpOty€ Kal a'Òtcp 9aUJ.lOOt1Ì av Elll i) 5tatpl�JÌ aut69t, 01t6te ÈVtUXOlJ.ll naJ..aiJT\&t KaÌ Aiavn t<\) TeÀaJ.lOOVoç KaÌ d nç aUoç tcOV 1taÀalcOV Stà Kpimv aStKOV tÉ9VTtKEV, avnxapa­�auovn tà ÈJ.laUtOU 1t(l9Tt 1tpÒç tà ÈKEtVOOV - ci>ç Èy<Ìl OtJ.lal,

' o'ÒK dv c:iTt&ç e\11 - Ka\ Stì tò J.lÉytatov, toùç ÈKEt È�uciçovta Kal èpeuv&vta cilcrnt:p toùç ÈVtaOOa Stayav, tiç aut&v a� È an v KaÌ nç o i e tal J.lÉV' fan v S' ou. E1tÌ xoaq> a· Civ nç, ro civSpeç StKaatai, &;atto �tciaat tòv bt\ Tpoiav ayay6vta

c tlÌV 1tOÀÀftV atpattàv ii 'OSuaaÉa ii :tiau�ov ii aÀÀouç J.lUpiouç Civ ttç eixot �ea\ dv5paç �ea\ yuva'i�eaç, oiç ÈKEi 5taÀÉyea9at KaÌ auve'ivat Ka\ È�Etaçetv aJ.lt1XaVOV dv EtTI e'llSatJ.loviaç; xcivtooç o'll ST\xou toutou ye eveKa oi EKEi

' rmoKteivoum· tci te yàp WJ..a eOOaliJOVÉatepoi rlmv o\. ÈKE1 t&v ÈV9ci&, Kal ilSTt tÒV À.Ol1tÒV xp6vov a9<Xvatoi rlmv, El7tEp ye tà ÀEYOJ.lEVa àJ..Tt9iì.

'AìJ.iJ. KaÌ UJ.léiç XPtl, ro avSpeç 5tKaatai, euéJ..mOOç etvoo xpòç tòv 9avatov, Kal EV n tOUtO Stavoe'ia9at c:iÀTt9Éç, on

D OUIC [anv av5p\ àya9cp KaKÒV oOOèv OUtE ç&vn OUtE tEÀfU-

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VIII. L'ULTIMO MESSAGGIO DI SOCRATE 147

E poi, quanto non sarebbe disposto a pagare cia­scuno di voi, per stare insieme con Orfeo e con Mu­seo, con Omero e con Esiodo?82 Per quello che mi riguarda, sono disposto a morire molte volte, se que­sto è vero. Infatti, per me, sarebbe straordinario tra- a scorrere il mio tempo, allorché mi incontrassi con Pa­lamede, con Aiace figlio di Telamonio e con qualche altro degli antichi che sono morti a causa di un ingiu­sto giudizio, mettendo a confronto i miei casi con i loro ! 83

E io credo che questo non sarebbe davvero spiace­vole.

Ma la cosa per me più bella sarebbe sottoporre a esame quelli che stanno di là, interrogandoli come fa­cevo con questi che stanno qui, per vedere chi è sa­piente e chi ritiene di essere tale, ma non lo è.

Quanto sarebbe disposto a pagare uno di voi, giu­dici, per esaminare chi ha portato a Troia il grande esercito84, oppure Odisseo o Sisifo85 e altre innume- c revoli persone che si possono menzionare, sia uomini che donne?

E il discutere e lo stare là insieme con loro e inter­rogarli, non sarebbe davvero il colmo della felicità?

Certamente, per questo, quelli di là non condan­nano nessuno a morte. Infatti, quelli di là, oltre a es­sere più felici di quelli di qua, sono altresì per tutto il tempo immortali, se sono vere le cose che si dicono.

Messaggio conclusivo di Socrate e commiato

Ebbene, anche voi, giudici, bisogna che abbiate buone speranze davanti alla morte, e dovete pensare che una cosa è vera in modo particolare, che a un uo- D mo buono non può capitare nessun male, né in vita

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148 APOLOGIA DI SOCRATE, 4 1 D - 42 A

tr\cravtt , ouoÈ <iJ.tEÀ.Ettat imò 8Eoov tà toutou 7tpc:iyJ.tata· OUOÈ tà EJ.lcX vuv à7tÒ tou aÙtOJ.lcltOU YÉYOVEV, àÀÀa J.lOl OllÀOV Ècrtt tOUtO, on iioll tESvc:ivoo KaÌ à1t11ÀÀc:iX8at 7tpa-

' YJ.t<itrov j3ÉÀ no v �v J.!Ol. otà touto Kaì ÈJ.tÈ oÙOaJ.lOU èmétpE'fiEV tÒ 011J.1ÉÌOV, KaÌ EyffiyE to1ç KUtU'IfllcjncraJ.tÉVOlç J.lOU KUÌ to1ç Kanwopmç ou 1tc:ivu XaÀE7tat vro. Kat tm ou tautu tfj otavotc;x KU'tE'I'Tl$\çovto J.lOU KaÌ KUtllYOPOUV, àU' OlOJ.lEVOl �Àc:i7ttE\V"

E touto aùto'iç al;,wv J.1ÉJ.lcj)Ecr8at . tocroVOE J.lÉVtOl autoov OÉOIJUl " to'Ùç ÙEtç IJOU, È7tEtOàv ti�r\croxn, niJropr\cracreE, m &vopeç, taùtèx tai>ta Àu7touvteç &m:p èyoo illlaç ÈÀ.u1touv, Eàv UIJtV OOKOOcrtV ii XPTliJ<Xt(J)V ii aÀÀOU tOU 7tpOtEpov È1tl-

' 1JEÀ.eicr8oo lì àpetilç, Kaì Èàv ooKroai n el vat IJTlOÈV ovtEç, ÒVEtotçue autotç OOCntEp Èyoo ùJ.(iv, on OÙK ÈmiJEÀOUVtOO oov OEt , KaÌ oiovtai tl EÌ Val OVtEç ouoevòç al;tol . KaÌ èàv

2 A tauta 7t0llltE, ol.Kata 7tE7tOV8ÒJç ÈyÒJ EOOIJOO ùcp' ÙJ.Ici'>V aùtoç tE Kal oi UEtç. aÀÀcX yàp tlOTl ilipa à7ttÉvat, ÈIJOÌ IJÈV à7to8avou1JÉVq>, ÙJ.ltV OÈ �trocroJ.!Évmç· Ò7totEpot oè ftJ.lOOV epxovtat È1tÌ UJ.lEl vov 7tpdy1Ja, aO'f1ÀOV 7tUVtl 7tÀTÌ v Ti

, t<i> eeq>.

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VIII. L'ULTIMO MESSAGGIO DI SOCRATE 149

né in morte: le cose che lo riguardano non vengono trascurate dagli dèiB6,

E anche le cose che ora mi riguardano non sono successe per caso; ma per me è evidente questo, che ormai era meglio morire e liberarmi degli affanni.

Per questo motivo il segno divino non mi ha mai deviato dalla via seguita.

Perciò non ho un grande rancore contro coloro che hanno votato per la mia condanna, né contro i miei accusatori, anche se mi hanno condannato e mi hanno accusato non certo con tale proposito, bensì nella convinzione di farmi del male. E in ciò meritano E biasimo.

Però vi prego proprio di questo. Quando i miei fi­gli saranno diventati adulti, puniteli, cittadini, procu­rando loro quegli stessi dolori che io ho procurato a voi, se vi sembreranno prendersi cura delle ricchezze o di qualche altra cosa prima che della virtù.

E se si daranno arie di valere qualche cosa, mentre non valgono nulla, rimproverateli così come io ho rim­proverato voi, perché non si danno cura di ciò di cui dovrebbero darsi cura, e perché credono di valere qualche cosa, mentre in realtà non valgono niente.

Se farete questo, avrò ricevuto da voi quello che è 42 A

giusto: io e i miei figli. Ma è ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e

. . . voi, mvece, a vivere.

Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, è oscu­ro a tutti, tranne che al dio. ·

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NOTE AL TESTO

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l Per comprendere bene quanto Socrate dice nel prologo alla sua difesa, bisogna tenere ben presente che, subito prima, gli accusatori avevano letto il discorso che illustrava i capi d'accusa con le relative motivazioni. Il discorso degli accusa­tori, ci riferisce Diogene Laerzio (Il 38), «fu pronunciato da Polieucto, come dice Favorino nella sua Varia Storia; il di­scorso fu redatto dal sofista Policrate, come dice Ermippo, o da Anito, come sostengono altri» (traduzione di Gigante} . Socrate spiega che userà dei criteri del tutto diversi da quelli dell'eloquenza giudiziaria dei retori, perché mirerà alla verità con i criteri che aveva sempre seguito nel suo parlare, perché il buon servizio di chi parla è quello di dire la verità. Si tenga inoltre presente che Platone ha portato alle estreme conse­guenze questo concetto e lo ha teorizzato nel Fedro.

2 Anito fu un politico di rilievo, un moderato del partito democratico. Aristotele lo presenta come un personaggio cor­rotto (Costituzione di Atene, 27). Nel 409 a.C. ebbe l'incarico di riprendere Pilo, che et·a stata conquistata dagli Spartani, ma falll. Accusato di aver abbandonato Pilo, evitò la condan­na, corrompendo il tribunale. Fu il promotore e il maggior responsabile del processo contro Socrate. Platone lo presenta anche fra i personaggi del Menone. Nel processo di Socrate egli esprimeva gli interessi dei politici e i loro risentimenti. Sulla sorte toccata ad Anito dopo la morte di Socrate, si veda quanto diciamo nella Presentazione.

3 Si allude a: Aristofane, Nuvole (cfr. anche 19 C); Amipsia, Conno (commedia rappresentata come la precedente nel 423 a.C. ) ; Eupoli, Adulatori (42 1 a.C. ) . Ricordiamo che, in effetti, nelle Nuvole di Aristofane Socrate viene presentato come fi­losofo naturalista e sofista (in un certo senso come il peggiore dei Sofisti) . Per i rapporti avuti da Socrate con i Naturalisti e con i Sofisti e per il suo netto distacco da essi, cfr. G. Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 287-381, in particolare pp. 288 s. (e la

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154 NOTE AL TESTO

parte finale della nota 1 ) , 296 ss. , 336 ss. , 355 ss. Sul rapporto di Socrate con i filosofi naturalisti si rimanda spesso a Pedo­ne, 96 A ss. Ma in questo testo Platone mette in gioco nume­rose componenti e traccia un itinerario ideale che porta dal piano fisico a quello metafisica (cfr. Reale, Per una nuova in­terpretazione di Plotone . . . , 20d ediz. ( 1997 ) , pp. 137- 158), che va ben oltre il dato storico, anche se introduce alcuni elemen­ti storici.

4 Per l'illustrazione dei punti-chiave del discorso di So­crate contro i suoi primi accusatori si veda Introduzione, § 6.

5 Socrate riassume le tesi di questi avversari, usando la formula giuridica dell'atto di accusa steso da Meleto, riferito e discusso più avanti, 24 B-C.

6 Cfr. Aristofane, Nuvole, 2 18 ss. e in particolare 225 ss. e 828 ss. Si ricordi, peraltro, che Socrate era stato discepolo di Archelao di Atene, che poneva l'aria infinita come principio delle cose (cfr. Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 194- 196) e su questo fatto si basavano i suoi avversari.

7 Sono questi (con Protagora alla testa, qui non menziona­to) i più eminenti Sofisti del V secolo a.C. Sul loro pensiero si veda Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 243 -270, e per la bibliografia vol. V, sotto le voci.

8 Callia fu uno dei più ricchi Ateniesi (e dissipatore delle sue ricchezze), fanatico ammiratore dei Sofisti. Nel Protagora, 3 1 1 A e 3 14 D ss. , viene presentato come colui che ospita in casa sua Protagora, Ippia e Prodico. Viene menzionato anche nel Crati/o, 391 B.

9 Eveno di Paro era poeta (imitatore di Teognide), retore e filosofo di modesta statura. Cfr. Pedone, 60 D; 61 C e Fedro, 267 A.

10 La mina d'argento era una moneta equivalente a cento dracme e seicento oboli. La cifra di cinque mine era piuttosto contenuta rispetto a quella che esigevano altri Sofisti. Il pri� mo a introdurre la ricompensa in denaro in cambio del pro­prio insegnamento fu Protagora (si veda il dialogo omonimo, 349 A; cfr. , peraltro, quanto si precisa nello stesso dialogo, 328 B-C).

1 1 «Non fate chiasso», nel senso di «non interrompete ru­moreggiando il mio discorso»; espressione che nel corso del-

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NOTE AL TESTO 155

l'Apologia Socrate ripeterà più di una volta; cfr. 17 D; 27 B e 30 c.

12 Cherefonte fu noto come amico di Socrate e viene pre­sentato anche da Aristofane nelle Nuvole, 239 e negli Uccelli, 1296 e 1564.

13 Sacerdotessa di Apollo Pitico a Delfi. 14 Cfr. Menone, 99 C; Ione, 533 E.

15 Si noti come Socrate riconosca che gli artigiani (nella cui cerchia, a quell'epoca, rientravano anche gli artisti, come per esempio gli scultori) avevano certe precise conoscenze; per questo motivo Socrate li tratta meglio dei poeti e dei poli­tici, anche se subito appresso rileva il tipico difetto che essi hanno in comune con gli altri.

16 Sulla sapienza umana di Socrate, cfr. Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 299 ss.

17 Su questi personaggi si veda quanto diciamo nella In­troduzione, e, sopra, alla nota l . Ricordiamo che, mentre Ani­to fu colui che promosse il processo e Meleto presentò l'atto di accusa, Licone si curò di «tutti i preparativi processuali» (Diogene Laerzio, Vite dei filoso/i, II 38).

18 Per l'illustrazione dei punti-chiave del discorso di So­crate contro i secondi accusatori, quelli che lo hanno portato in tribunale, si veda Introduzione, § 7 .

19 Cfr. Senofonte, Memorabili, I 1 , 1 , e Diogene Laerzio, Vile dei filosofi, II 40.

20 Inizia qui una serrata interrogazione che Socrate fa a Meleto, che prosegue fino all'inizio di 28 A. L'abbiamo divisa in paragrafi che ne scandiscono i nuclei tematici.

21 Indicheremo con questo segno (analogamente a quanto ha fatto anche qualche altro traduttore) i silenzi e le mancate risposte di Meleto.

22 Sul numero dei giudici si veda più avanti, nota 67.

23 Coloro che erano presenti al processo come semplici ascoltatori.

24 Sono i membri del «Consiglio», il più importante orga­no politico ateniese, una sorta di senato. Erano 50 per ognu­na delle dieci tribù, e quindi cinquecento.

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156 NOTE AL TESTO

25 Erano membri dell'Assemblea tutti quanti i cittadini di Atene aventi diritto di voto, e si radunavano per discutere le leggi approvate dal Consiglio.

26 Cfr. Euti/rone, 2 B. 27 I giudici.

28 Si ricordi che Anassagora era stato processato per em· pietà, a motivo di queste sue idee, secondo alcuni intorno al 450 a.C. , secondo altri, invece, e più probabilmente, intorno al 433 a.C. Sul suo pensiero si veda Reale, Storia . . . , vol. l, pp. 162-170; cfr. vol. V, s.v. Si ricordi, inoltre, che anche nel caso di Anassagora i moventi effettivi del processo furono di natu· ra politica, data la notevole influenza dottrinale che egli eser· citò su Feride. All'epoca del processo contro Anassagora �ra in atto un'azione oligarchica anti-periclea che mirava a colpi· re gli amici di Feride.

29 Cfr. nota 27.

30 Con il termine orchestra si indicava (come alcuni stu· diosi hanno ben rilevato) non solo lo spazio del teatro in cui agiva il coro, ma altresì quella parte dell 'agorti in cui erano collocate le statue dei due celebri eroi Armadio e Aristogito· ne. Questo luogo doveva ospitare una sorta di mercato dei libri, e in questo passo Socrate si riferisce proprio a esso.

3 1 Cfr. 17 D; 20 E (e nota 1 1 ) ; 30 C.

32 Riferimento ai giudici.

33 Per la comprensione dei capisaldi del messaggio filoso-fico di Socrate si veda Introduzione, pp. 19 ss. e 27 s.

34 Cfr. 23 A ss.

35 Riferimento ad Achille; cfr. Omero, Iliade, XVIII 94 ss.

36 Vengono fatte qui alcune citazioni, parziali e non lette-rali, da Omero, Iliade, XVIII 96, 98, 104.

37 Negli anni 433 -429, 424 e 422 a.C. Sul comportamento di Socrate in guerra, cfr. Simposio, 2 19 A ss.

38 Si noti il senso religioso che Socrate attribuiva alla sua missione. Non si intende bene questo, se non si pone adegua­ta attenzione alla dimensione teologica del pensiero socratico. Cfr. Reale, Storia . . . , vol . I, pp. 336-354.

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NOTE AL TESTO 157

39 Si ricordi che Meleto fu il presentatore dell'accusa con­tro Socrate, ma Anita fu il motore e la mente che la organiz­zò, come abbiamo già rilevato alla nota 17.

40 Questa pagina riassume il messaggio di Socrate nella sua essenza. Si veda, al riguardo, Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 300-3 14 , e Introduzione, § 8.

41 In questa quarta parte del suo discorso Socrate mostra quali sono state le conseguenze del suo messaggio e della sua missione. Insiste su tre punti: in primo luogo, illustra il signi­ficato di stimolo morale e sociale della sua missione, che era un compito affidatogli dal dio. Spiega quindi i motivi per cui si è astenuto dalla vita politica attiva: per chi combatte per la giustizia, infatti, non c'è spazio nella vita politica, inquinata da corruzione. Infine, spiega le ragioni per cui, del fatto qual­cuno che lo ha frequentato è diventato disonesto, non si può in alcun modo imputare la colpa a Socrate stesso.

42 Cfr. 17 D; 20 E (e nota 1 1 ) , 27 B. 43 Sono, questi, concetti che Platone svilupperà e appro­

fondirà nel Gorgia, passim.

44 Cfr. sopra, nota 39.

45 Si ricordi che i Sofisti avevano introdotto la prassi del farsi pagare per impartire insegnamenti; cfr. sopra, nota 10.

46 Cfr. Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 346-352. Cfr. Fedro, 242 C; Teagete, 128 D.

47 Cfr. sopra, nota 24.

48 Il Consiglio veniva presieduto dai cinquanta membri di una delle dieci tribù, a turno per un uguale periodo di tempo di 35/36 giorni, secondo un ordine fissato per sorte. Questi membri del Consiglio, durante questo periodo, si chiamavano pritani e pritania l'ufficio della presidenza.

49 Socrate fa riferimento a un processo avvenuto dopo la battaglia delle Arginuse del 406 a.C. , di cui ci ha trasmesso una relazione Senofonte nelle Elleniche (I 7 ) . I dieci generali non raccolsero i morti e i naufraghi dopo la battaglia. Per que­sto ci fu chi propose che venissero giudicati in massa e non singolarmente come voleva la legge. Solo Socrate si oppose, mentre gli altri 49 pritani non seppero opporsi alle pressioni della folla.

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158 NOTE AL TESTO

50 Nel 404 a.C.

5 1 La sala del Tolo era l'edificio dove normalmente risiede­vano i pritani e che i Trenta Tiranni avevano preso come loro sede.

52 I Trenta Tiranni, nel pur breve periodo del loro gover­no (circa otto mesi), condannarono a morte molti avversari e moltissimi li mandarono in esilio. In parallelo a ciò che Plato­ne qui d dice, cfr. Senofonte, Elleniche, II 3 ,39, e Memorabili, IV 4,3 .

.

53 Socrate allude, probabilmente, a Crizia e ad Alcibiade.

54 Cfr. 3 1 B-C.

55 Cfr. sopra, nota 34.

56 Critone era un agiato ateniese, dello stesso demo di So­crate, suo coetaneo e amico fedelissimo, cui Platone ha dedi­cato il dialogo omonimo. Diogene Laerzio (Il 12 1 ) ci riferisce che Critone scrisse diciassette dialoghi inclusi in un unico libro. Sulla veridicità di questa testimonianza (e in particolare sui precisi titoli che Diogene riporta) si hanno dubbi. Ebbe modeste doti filosofiche, e in Socrate amò più l'uomo che non il pensiero. Aiutò Socrate soprattutto nelle cose pratiche.

57 Eschine di Sfetto era un filosofo seguace di Socrate; su di lui si veda Diogene Laerzio, Vite dei/iloso/i, II 34 e II 60-64.

58 È questo il personaggio che Platone ricorda anche nel Pedone, 59 B (cfr. anche Senofonte, Memorabili, III 12) .

59 Di tutti questi personaggi qui menzionati ci è noto solo Teagete, citato in Repubblica, VI 496 B, e per il dialogo che prende il titolo dal suo nome.

60 Adimanto è il fratello maggiore di Platone che, insieme all'altro fratello Glaucone, è uno dei protagonisti della Re­pubblica.

61 Ricordiamo che Platone cita se stesso anche più avanti in 38 B e in Pedone, 59 B. Si veda quanto diciamo a questo proposito nell'Introduzione, pp. 7-9.

62 Su Apollodoro, affezionato discepolo di Platone, si ve­da Pedone, 59 A-D e 1 17 D. Platone lo introduce anche nel Simposio, 172 B-C.

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NOTE AL TESTO 159

63 Su queste conclusioni della difesa si veda quanto è det­to nell'Introduzione, § 9.

64 Cfr. Omero, Odisseo, XIX 163 .

65 I tre figli di Socrate si chiamavano Lamprocle, il primo; Sofronisco, il secondo (come il padre di Socrate), e il più gio­vane Menesseno. Quest'ultimo all'epoca del processo di So­crate non camminava ancof"c:l, come si desume da Fedone, 60 A.

66 Sul secondo discorso si veda quanto è detto nell 'Intro­duzione, § 10.

67 Essendo i giudici 500 di numero, i voti contrari a So­crate furono 280, quelli a favore 220. Ciascuno dei tre accusa­tori, pertanto, se si dividono per tre i voti che davano a loro ragione, avrebbe avuto meno di 100 voti e, dunque, Meleto, da solo, avrebbe avuto meno di un quinto dei 500 voti, se non ci fossero stati anche gli altri due.

68 Il Pritanéo era un pubblico edificio assai celebre che sorgeva ai piedi dell'Acropoli, dove venivano mantenuti a pubbliche spese i cittadini dai quali la Città aveva avuto parti­colari benefici, o che l'avevano onorata vincendo le gare ai giochi olimpici.

69 Per esempio, presso gli Spartani.

70 Gli Undici costituivano una magistratura che si occu­pava delle carceri, dei carcerati e dell'esecuzione delle pene capitali. Erano tratti a sorte, uno da ciascuna delle dieci tribù, e l'undicesimo era il coordinatore.

7 1 È questa un'espressione che può considerarsi come una cifra veramente emblematica del pensiero socratico.

72 In conseguenza di questa proposta ha luogo una secon­da votazione, nella quale, stando a Diogene Laerzio (\ft'te dei filosofi, II 42 ) , come abbiamo già ricordato nell'If!troduz.ione, ci furono 80 voti in più contro Socrate rispetto alla prima vo­tazione, e quindi 360 voti contro 140.

73 Sul terzo discorso e sul commiato di Socrate si veda quanto è detto nell'Introduzione, § 1 1 .

74 Ossia gli Undici; cfr. nota 70.

75 Cfr. Introduzione, § 2 .

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160 NOTE AL TESTO

76 È un'allusione alla dottrina degli Orfici, su cui si veda Reale, Storia . . . , vol. I, pp. 433 -455.

77 Il Gran Re era il re dei Persiani; tale espressione era diventata proverbiale per indicare colui che possedeva la ric­chezza e la potenza in grado supremo.

78 Ovviamente, Socrate propende decisamente per il se­condo como di questo dilemma, ma su basi di fiducia e di spe­ranza, ossia su basi di una fede religiosa.

79 Cfr. Gorgia, 523 E-524 A. 80 Cfr. sopra, nota 68. 81 Cfr. Gorgia, 523 E-524 A. 82 Ossia con i più grandi poeti: i primi due sono mitici e

connessi al movimento orfico (cfr. nota 68); si veda la citazio­ne anche in Protagora, 3 16 D e in Repubblica, II 363 C-D; 364 E.

83 Palamede fu condannato a morte perché furono trovate nella sua tenda cose compromettenti, che Odisseo aveva fur­tivamente introdotto per danneggiarlo. Aiace Telamonio si uc­cise perché, proditoriamente, gli furono tolte le armi di Achil­le (Omero, Odissea, XI 545 ss. ) .

84 Agamennone. 85 Odisseo e Sisifo (e così anche Agamennone) sono qui

menzionati, come gli studiosi hanno ben rilevato, quali esem­pi di persone che sembrano essere sapienti, ma che in realtà con le loro astuzie non lo sono.

86 Cfr. Repubblica, X 613 A.

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PAROLE CHIAVE

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Accusa, atto di accusa contro Socrate. Empietà (non cre­dere negli dèi in cui crede la Città e introdurre nuovi dèi) e corruzione dei giovani (insegnando a loro quelle cose); 24 B­C; cfr. Introduzione, pp. 9 ss.

Accusatori di Socrate. Furono Meleto (accusatore forma­le, poeta) , Anito (politico), Licone (retore e politico) ; cfr. Introduzione, §§ 3 e 7.

·

Ade. All'aldilà Socrate credeva per fede, ma pensava che la conoscenza dell'aldilà fosse propria del dio più che non dell'uomo. Ne parla in modo ipotetico nel passo 40 E-41 C.

Anima e cura dell'anima. L'idea cardine del pensiero so­cratico sta proprio nella scoperta che l'uomo è essenzialmen­te la sua anima Oa sua capacità di intendere e di volere), e che lo scopo della vita umana è quello di curare l'anima, per ren­derla sempre migliore, il più possibile; 29 B-30 C. Cfr. ; In­troduzione, § 8.

Artigiani, vedi Tecnici.

Ateo, ateismo. Ateo è colui che non ammette l 'esistenza di alcun dio, e non chi non crede in certi dèi, ma crede in al­tri, e comunque crede nel divino. È questo che Socrate obiet­ta a Meleto, che, in modo contraddittorio, lo accusa di atei­smo e insieme di introdurre nuovi dèi; 26 A-27 E.

Bene. Questo tema non viene trattato in modo esplicito, ma è il sottofondo di tutta l'Apologia . Per Socrate il bene coincide con il giusto, e, in particolare, per l'uomo consiste nell'attuare il giusto vivendo secondo l'anima, ossia secondo ragione. Il vivere bene per Socrate consiste in questo: «lo non ora per la prima volta, ma sempre intendo dare ascolto a nul­l'altro di ciò che è in me, se non alla ragione, a quella che a me, ragionando, risulta la migliore». È, questo, un passo em­blematico del Critone (46 B), riportato anche sull'erma che riproduciamo al n. l dell'lconograji'a socratica.

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164 PAROLE CfflAVE

Calunnia contro Socrate. Consiste nell'indebita identifica­zione del pensiero di Socrate con quello dei filosofi naturalisti e dei Sofisti, e nelle connesse conseguenze che venivano trat­te; 19 A ss. ; 24 A.

Daimonion. È il fenomeno della voce che Socrate diceva di sentire dentro di sé, e che si manifestava in lui fin da quan­do era bambino, soprattutto nel trattenerlo dal fare determi­nate cose. Socrate riteneva questa voce che udiva in sé una vo­ce divina. Cfr. 27 C ss.; 3 1 C-D; 4 1 A-B; 4 1 D; e in particolare Introduzione, § 2 .

Discorso; il senso che deve avere un discorso. Secondo Socrate, contrariamente a quanto ritenevano i retori del tem­po, il discorso non deve mirare alla bella forma, ma al suo contenuto veritativo ( 18 A), e proprio in questo senso egli di­ce di impostare il suo discorso di difesa; 17 A- 18 A.

Esempio; Socrate come esempio. Socrate presenta se me­desimo come esempio, nell'interpretazione del responso della Pizia (vedi voce) che lo indicava come il più sapiente. Socrate riteneva di essere chiamato in causa dall'oracolo come esem­pio emblematico del sapiente, per dire all'uomo che il vero sa­piente è colui che, come Socrate, sa di non sapere (vedi voci: Sapienza umana e Ignoranza). Si veda Introduzione, § 14.

Educazione, educatori. Ogni forma di educazione implica una precisa conoscenza di chi va educato e della cosa per cui va educato. Proprio per questo gli educatori sono pochi, e, in certo senso, si può dire che il vero educatore è uno solo, vale a dire colui che sa; 24 D-25 D; cfr. in particolare 25 B.

Ignoranza. È il tratto più caratteristico con cui Socrate si presenta. Si tratta di una ignoranza che non ha nulla a che ve­dere con qualsiasi forma di scetticismo. Si tratta invece di una coscienza critica dei limiti strutturali della conoscenza umana e delle ragioni di questi limiti: si legga 29 B. Cfr. la voce Sa­ptenza umana.

Ironia. È la caratteristica del metodo con cui Socrate con­duceva i suoi discorsi con coloro che sottoponeva alla prova:

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PAROLE CHIAVE 165

il vestire i panni dell'avversario, per confutarlo, e il fingere in ogni caso di non sapere; se ne fa cenno in 38 A, appunto co­me carattere peculiare di Socrate.

Maestro. Socrate nega categoricamente di essere stato un maestro, in connessione con la convinzione che la sua sapien­za era un sapere di non sapere, ignoranza (vedi voci).

Male. È l'agire contro giustizia e contro ragione. Si può anche dire che è l'agire in funzione di ciò che si ha (corpo, be­ni materiali, potere) e non in funzione di ciò che davvero l'uo­mo è, ossia la sua anima e la sua ragione; cfr. voce Bene.

Morte. Del significato della morte Socrate parla nel suo messaggio fmale ai giudici che lo hanno assolto. La morte può essere una di queste due cose: o un andare in un nulla assolu­to, come una eterna notte, in cui scompare ogni piacere ma nello stesso tempo anche ogni dolore, oppure un passare a un'altra vita nell'Ade, una vita nella dimensione della giusti­zia e della felicità; 40 B-41 D. Vedi voce Ade.

Oracolo di Delfi, vedi Responso dell'Oracolo di Delfi.

Pizia. Era la sacerdotessa dell'Oracolo di Delfi.

Poeti. Socrate ritiene che i poeti compongano i loro carmi per divina ispirazione e non per scienza; 22 A-C.

Politici. Socrate giudica i politici uomini che in larga mi­sura agiscono contro giustizia e verità, e in particolare pieni di apparente e falso sapere; 2 1 B-D.

Regola dell'agire morale. Socrate esprime questa regola come segue: quando si agisce non si devono mettere in primo piano le conseguenze che possono derivare dall'azione, ma bisogna chiedersi unicamente se l'azione miri o no a cose giu­ste e degne di un uomo buono; 28 B; 29 B.

Responso dell'Oracolo di Delfi. Il responso dato dalla Pi­zia a Cherefonte, diceva: «Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini» (21 A-B). L'interpretazione di tale responso della Pi­zia costituisce il cardine attorno a cui ruota la difesa di Socra-

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166 PAROLE CHIAVE

te contro i suoi primi accusatori; 2 1 B-23 B. Socrate è il più sapiente degli uomini, perché, a differenza dei presunti sa­pienti (politici, poeti e tecnici) , sa di non sapere; 23 A-B.

Ricerca. La ricerca della verità per curare l'anima è lo sco­po della vita. Una vita senza ricerca, per Socrate, non è degna di essere vissuta; 38 A.

Sapienza umana di Socrate. Il pensiero socratico si diffe­renzia sia da quello dei filosofi naturalisti che indagavano la natura ritenendo di raggiungere la conoscenza del principio di tutte le cose, sia da quello non meno sicuro di sé dei So­fisti. In primo luogo, Socrate voleva studiare l'uomo e la sua anima (vedi voce) e non i fenomeni naturali. In secondo luo­go, si rendeva conto della fragilità del sapere umano e dei suoi vari limiti (vedi voce Ignoranza) . Il sapere di non sapere so­cratico implica non un vuoto di contenuti, ma precise cono­scenze dell'uomo.

Tafano. Il tafano che punzecchia la cavalla addormentata è una metafora utilizzata da Socrate per illustrare efficace­mente la sua attività di stimolo e di esortazione nei confronti dell'addormentata Atene; 30 E-3 1 A.

Tecnici. Gli artigiani o tecnici posseggono effettive cono­scenze, però limitate alla sfera delle cose di cui si occupano. L'errore in cui essi cadono consiste nel credere che il loro par­ziale sapere possa estendersi ben al di là di quelle cose di cui sono competenti.

Virtù. È il realizzarsi dell'uomo secondo la sua vera natu­ra, che è la sua anima, la sua ragione. È un vivere attuando ciò che l'uomo è e non semplicemente ciò che ha: 29 B-30 C.

Vizio. È il vivere dell'uomo non secondo la sua vera natu­ra; non secondo ciò che è, ma secondo ciò che ha; è l'opposto della virtù; 29 B-30 C.

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a cura di Vincenzo Cicero

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ACHILLE: 28 Ct AmMANTO: 34 A1 AGAMENNONE: (4 1 Ba - Cl ) AIACE: 41 B2 AIANTODORO: 34 A2 ANASSAGORA: 26 06, 8 ANITO: 18 B3, 23 E4, 5, 25 B6,

28 A7, 29 C1, 6, 30 Ba, C9, 3 1 A5, 34 B1 , 36 A 9

ANTIFONTE: 3 3 E2 APoLLODORO: 34 Al., 38 B7 ARISTOFANE: ( 18 02) , 19 C2 ARISTONE: 34 Al

CALLIA: 20 A5, 6 CHEREFONTE: 20 Es, 2 1 A3 CRITOBULO: 33 El, 38 B7 CRITONE: 33 D9, 38 B6

DEMODOCO: 33 E7

EACO: 4 1 A4 EPIGENE: 3 3 E3 EscHINE: 3 3 E2 ESIODO: 4 1 A6 ETTORE: 28 C5 , 8 EVENO: 20 Ba, 9

GORGIA: 19 E3

IPPIA: 19 E3 IPPONICO: 20 A5

LAMPROCLE: (34 06) . LEONTE: 32 C6, D7 LICONE: 23 Es, 24 At, 36 A9 LISANIA: 33 El

MELETO: 19 Bl, C7, 23 E3, 4, 24 B4, C5 - 28 AI , 28 A3, 7, 30 Ca, 3 1 D2, 34 A4, 8, B5, 35 D2, 36 A7, 37 B6

MENESSENO: (34 D7) MINOSSE: 41 A3

NICOSTRATO: 33 E4

ODISSEO: 41 Cl OMERO: 34 04, 4 1 A7

PALAMEDE: 4 1 B2 P ARALO: 3 3 E7 PATROCLO: 28 C6 PIZIA: 2 1 A6 PRODICO: 19 E3

* Data la frequenza delle citazioni, si omette di registrare il nome di Socrate.

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184 INDICE DEI NOMI

RADAMANTE: 4 1 A3

SISIFO: 4 1 Cl SoFRONISCO (figlio di Sacra­

te): (34 D7)

TEAGETE: 3 3 E7

TELAMONIO: 4 1 B2

TEODOTO: 3 3 E5

TEOZOTIDE: 33 E5

TETIDE: 28 C2

TRITIOLEMO: 4 1 A4

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE di G. Reale 5 l . Una premessa ermeneutica: l'Apologia è da leg­

gere e intendere carne il documento più cospi­cuo, veridico e comunicativo presentatoci sulla fi­gura e sul pensiero di Socrate come filosofo, 9

2 . Il processo in tentato contro Socrate e i capi d' ac­cusa formali su cui si fondava, I2

3. Le effettive ragioni per cui Socrate venne trasci­nato in tribunale, i suoi accusatori e alcune carat­teristiche del processo, I6

4. I criteri e la struttura drammaturgica adottati da Platone nell'Apologia di Socrate, 20

5. Struttura del primo discorso, 22 6. I primi accusatori di Socrate, 23 7. I secondi accusatori di Socrate, 26 8. Il messaggio filosofico di Socrate e i suoi concetti

di base: l'uomo è la sua anima e il fine supremo della vita dell'uomo è la cura dell'anima, 28

9. Conclusione del primo discorso, 3 I IO. Il secondo discorso e il ribaltamento strutturale

dei piani: Socrate presenta il suo messaggio e la connessa sua attività come meritevole non già di una pena ma di un grande premio, 32

I l . Il terzo discorso e l'ulteriore ribaltamento di pia­ni: Socrate si eleva al di sopra del giudicato e as­sume il ruolo di giudice dei suoi giudici, 34

I2. La morte di Socrate, 36 13. Le reazioni degli Ateniesi dopo la morte di So­

crate, 38 I4 . Conclusioni, 39

BIOGRAFIA E CRONOLOGIA DI PLATONE 43

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186 INDICE GENERALE

APOLOGIA DI SOCRATE

Parte prima IL GRANDE DISCORSO DI DIFESA DI SOCRATE

I. Prologo 5 1 Premessa generale al discorso di Socrate, 5 1 I criteri che Socrate seguirà nella difesa, 53

Il. Difesa contro i primi accusaton' e la posizione filo-so/t'ca di Socrate 57 L'accusa di occuparsi delle cose che stanno sotto ter-

ra e nel cielo, 57 Le accuse di essere un sofista, 59 La sapienza umana di Socrate Il responso dell'oracolo di Delfi sulla sapienza di So­

crate, 63 Per capire l'oracolo, Socrate sottopone a esame an-

che i politici, 65 Socrate sottopone a esame anche i poeti, 69 Socrate sottopone a esame anche gli artigiani, 7 1 D significato del vaticinio: Socn1te è il più sapiente degli

uomini perché sa che la sapienza umana è nulla, 73 Effetti prodotti dall'esame condotto da Socrate, 75

III. Difesa contro il secondo gruppo di accusatori 77 L'atto di accusa di Meleto, 77 Meleto accusa Socrate di corrompere i giovani, senza

avere competenza in queste cose, 79 Inconsistenza dell'accusa che Socrate non crede negli

dèi, 85 Contraddizioni dell'accusa di Meleto, 89

TV. L'impegno e il messaggio di Socrate come fi'loso/o 93 ll posto assegnato dal dio a Socrate: vivere filosofan­

do, 93 Il punto-cardine del messaggio di Socrate, 95

V Il significato morale e sociale dell'attività e del mes-messaggio fi'loso/ico di Socrate 101 Socrate illustra il significato della sua missione come

dono divino, 101

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INDICE GENERALE

I motivi per cui Socrate si è astenuto dalla vita politi­ca, 105

I rapporti avuti da Socrate con coloro che lo hanno frequentato, 1 1 1

VI. Conclusione della difesa Socrate non chiede pietà, ma giustizia, 1 15

Parte seconda DISCORSO DI SOCRATE DOPO LA PRIMA VOTAZIONE

VII. Giudizio di Socrate sulla condanna e sue propo-

187

1 15

ste ai giudici 125 Socrate pensa di meritare non la pena, ma un premio

per ciò che ha fatto, 125 Socrate non propone alcuna pena alternativa, perché

si sente innocente, 129 Socrate non cesserà mai di fare ricerche, perché una vi­

ta senza ricerche non è degna di essere vissuta, 13 1 Socrate proporrebbe per sé una multa di trenta mine,

che pagherebbero i suoi amici, 133

Parte terza DISCORSO DI SOCRATE DOPO LA SECONDA VOTAZIONE

VIII. Messaggio di Socrate a coloro che l'hanno con-dannato e a coloro che l'hanno assolto 137 Sfuggire alla morte è più facile che sfuggire alla mal­

vagità, 137 Predizione di Socrate a chi lo ha condannato, 139 Messaggio di Socrate ai giudici che lo hanno assolto: ciò

che sta per accadere è probabilmente un bene, 14 1 Il significato della morte, 143 Messaggio conclusivo di Socrate e commiato, 147

NOTE AL TESTO 15 1

PAROLE CHIAVE 161

BIBLIOGRAFIA 1 67

INDICE DEI NOMI 183