Confronti novembre 2015 (parziale)

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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 11 NOVEMBRE 2015 L’Italia plurale

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11NOVEMBRE 2015

L’Italiaplurale

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Anno XLII, numero 11Confronti, mensile di fede, politica, vita quoti-diana, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Franca Di Lecce, Filippo Gentilo-ni, Adriano Gizzi, Giuliano Ligabue, Michele Li-pori, Rocco Luigi Mangiavillano, Anna MariaMarlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo,Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo,Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: G. Balzoni, M. Baral, L. Cirica, P. Civati,S. Ghaffar, T. Macquiban, Y. Pallavicini,F. Pittau, R. Risaliti, A. Voto.

Le immaginiL’Italia plurale • Andrea Sabbadini, copertinaUn muro e pochi ponti • Michele Lipori, 3

Gli editorialiNon chiamatela intifada • Paolo Naso, 4I tagli alla sanità tra povertà e sprechi • Luciano Cirica, 5A che servono le elezioni? • Pippo Civati, 7

I serviziImmigrazione Quando i dati smontano i luoghi comuni • Franco Pittau, 8

L’Italia delle religioni • Claudio Paravati, 12Geopolitica La Russia rompe l’«equilibrio» unipolare • Renato Risaliti, 15

Ortodossi tra Cremlino, Istanbul e Damasco • David Gabrielli, 16Medio Oriente La scommessa della pace • Claudio Paravati - Michele Lipori, 18

Un movimento di donne contro la paura • (int. a) Michal Baral, 20Chiesa cattolica Quando un Sinodo non fa primavera • Luigi Sandri, 22

Un Sinodo in ascolto, fra tradizione e novità • (int. a) Tim Macquiban, 26Altra via Voci di donne che resistono • Stefania Sarallo, 28

Il popolo consapevole vuole il cambiamento • (int. a) Selay Ghaffar, 30

Le notizieRifugiati Amnesty accusa i paesi ricchi di aver abbandonato i rifugiati, 32Yemen Le violazioni dei diritti umani in un paese lacerato dalla guerra, 32Emigrazione In costante aumento il numero degli italiani all’estero, 33Carceri Prosegue la campagna «Pagine contro la tortura», 33Brasile Gravi episodi di intolleranza nei confronti dei candomblé, 34Salute Rapporto dell’Oms: entro il 2050 raddoppieranno gli over 60, 34Ambiente Forum mondiale dello sviluppo economico locale a Torino, 35Cattolici Convegno a 50 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, 35Dialogo A Palermo un convegno promosso dall’Istituto Nicolò Rezzara, 36Informazione Agenda 2016 di NoiDonne per sostenere la storica rivista, 36

Le rubricheNote dal margine Ho fatto un sogno • Giovanni Franzoni, 37Osservatorio sulle fedi L’impegno dei baha’i per un mondo pacifico • Renato Fileno, 38Cibo e religioni Un’oasi ecumenica e interreligiosa • Yahya Pallavicini, 39Spigolature d’Europa È diventata nera, nera, nera • Adriano Gizzi, 40Opinione Rai: verso una Gasparri 2.0? • Giorgio Balzoni - Arianna Voto, 41Libro Quando il lavoratore diventa padrone di se stesso • Michele Lipori, 42Segnalazioni 43

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI11/NOVEMBRE 2015WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

Muri e violenza insidiano pesantemente l’incontro e la pace tra ebrei israeliani e arabi palestinesi (musulmani e cristiani).

Cresce lo scontro e di conseguenza aumentano le vittime da entrambe le parti. Le immagini di questo mese si riferiscono al servizio a pagina 18

sugli incontri che Confronti ha avuto con alcuni esponenti della società civile israeliana e palestinese.

Le foto che illustrano il numero sono di Michele Lipori.

UN MURO E POCHI PONTI

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GLI EDITORIALI

Alcuni media la chiamano «terzaintifada» o «intifada dei coltelli», ma si trattadi una semplificazionesbagliata e pericolosa.Non si riesce a capire sedietro gli attentati vi siauna regia o soltanto la disperata follia di individui e frangeestremiste. Comunque, non siamodi fronte allesollevazioni di massache caratterizzarono le intifade e non sicomprende quale sia il progetto dietro questi episodi. Né se ve ne sia uno.

Non chiamatelaintifadaPaolo Naso

David Grossman lo definì il «ventogiallo», quello che soffia «dalla portadell’inferno», un vento che viene dal-l’est, dal deserto, un vento tremenda-

mente caldo che «incendia tutta la nostraterra, e allora tutti scappano a rifugiarsi nel-le grotte e nelle caverne, ma anche lì dentroil vento raggiunge quelli che vuole raggiun-gere... e lì, negli anfratti delle rocce, li ucci-de tutti a uno a uno. E poi, quando questovento sarà passato, tutta la terra sarà coper-ta di cadaveri. E le rocce saranno infuocatee si fonderanno, e i monti si disfarranno inpolvere e la polvere ricoprirà la terra comeuna coltre gialla».

Il libro Il vento giallo fu pubblicato nel1988 ma raccoglieva idee ed impressioni diun anno prima, quando l’autore decise di vi-sitare i Territori occupati da Israele nel1967, di raccogliere le testimonianze dellagente di strada: i palestinesi di Hebron o diRamallah ignorati dagli israeliani e la cui vo-ce non arrivava sui grandi media internazio-nali. L’anno dopo scoppiò l’intifada, la pri-ma sollevazione popolare palestinese: una ri-volta molto complessa che ebbe fasi moltodiverse. La prima fu una protesta civile, ca-rica di suggestioni nonviolente, che guarda-va all’Occidente più che ai «fratelli arabi» esi ispirava più al pensiero liberale che al Co-rano. I leader non erano più i vecchi quadridell’Olp, invecchiati e divisi tra la resistenzaarmata e l’adattamento a uno status quo chegarantiva loro onore e privilegi diplomaticidi alto rango.

I nuovi leader erano piuttosto professoriuniversitari, scrittori, studenti, giovaniespressione della «società civile» palestineseche sino ad allora non avevano mai potutoconquistare il centro della scena. La «loro»intifada fu soprattutto economica e morale:boicottavano i prodotti israeliani, volevanoeducare la popolazione dei campi profughiall’autoproduzione, si ispiravano a MubarakAwad, il «Gandhi palestinese». Fu una sta-gione interessante che sorprese sia il mondoarabo che Israele: il primo perché vedeva ac-creditarsi una nuova leadership palestinese,

autonoma rispetto alle ingessate alleanzegeopolitiche che resistevano da almenovent’anni; il secondo perché faticava a com-battere ed arrestare gente che andava di ca-sa in casa a spiegare come impiantare un or-to o come riciclare un vecchio frigorifero inuna incubatrice per i pulcini. Chiamiamolal’intifada «della società civile». Ma durò po-co, come sempre accade ai processi che na-scono da élite intellettuali animate da ottimeintenzioni ma incapaci di sviluppare un di-scorso politico rivolto alle masse. Ed in bre-ve, in una delle sue celebri e rocamboleschegiravolte, il partito di Arafat riuscì a «mette-re il cappello» sull’intifada «della società ci-vile», imponendo al movimento che si eraespresso «dal basso» una struttura paramili-tare, inquadrandola in precise parole d’ordi-ne e legittimandosi a raccogliere i frutti diuna protesta di massa che migliaia di ragaz-zi avevano pagato con anni di carcere. I grup-pi che avevano acceso il fuoco della solleva-zione furono così emarginati e l’unico a in-cassare un risultato politico fu Yasser Arafat,insieme a Rabin firmatario dell’accordo diOslo formalmente sottoscritto a Washingtonil 13 settembre 1993: l’incompiuta più ama-ra della storia mediorientale.

Nato con i migliori auspici, frutto di un fa-ticoso negoziato tra due «falchi» che per ungiorno avevano scelto di rappresentarsi conuna colomba, l’accordo del 1993 ebbe vitabreve: il ritiro dai Territori avveniva a rilen-to, Territori «liberati» venivano arbitraria-mente «rioccupati», si moltiplicavano gli in-sediamenti dei coloni proprio nel West Bankrestituito ai palestinesi, frange palestinesiestremiste organizzavano i primi attentatisuicidi. La serenità rassicurante della strettadi mano tra Arafat e Rabin di fronte a unClinton raggiante ebbe vita breve.

E sette anni dopo il «vento giallo» ripresea soffiare. Forse di nuovo «dalla porta del-l’inferno», ma certamente arrivando a in-fuocare la spianata delle moschee di Geru-salemme. Il casus belli fu la famosa «passeg-giata» di Ariel Sharon del 28 settembre del2000, ma saremmo ingenui a pensare chetutto scoppiò all’improvviso e per caso. Lamorte di Rabin, ucciso da un fondamentali-sta ebreo il 4 novembre del 1995, dette almondo intero la misura di una «pace debo-le», fatta più di retorica diplomatica che disostanza politica; e l’ormai invecchiato Ara-fat, privo di sponde nel governo israeliano e

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GLI EDITORIALI

Si va verso nuovi taglilineari delle prestazionisanitarie, mentresarebbe opportunotagliare gli sprechisenza intaccare ilmodello universalisticoesteso a tutti e gratuito.L’invecchiamentoprogressivo dellapopolazione porta ad una crescita delladomanda di sanità.Anche la povertà generaed alimenta malattie e le persone in condizioni di svantaggio socialetendono ad ammalarsidi più e a guarire meno:occorrono quindirisposte di tipostrutturale e strategico.

pressato sia dalle componenti più radicalidel suo partito Fatah che dai militanti isla-misti di Hamas – paradossalmente sostenu-ti da settori dell’intelligence di Tel Aviv infunzione anti Olp, come hanno documenta-to i giornalisti israeliani Ze’ev Schiff e EhudYa’ari – finì per legittimare una «seconda in-tifada». E la chiameremo, appunto, l’Intifa-da «del declino». Fu una copia sbiadita del-la prima: più violenta – cinquemila morti,quasi quattromila dei quali di parte palesti-nese – e priva di sbocchi negoziali. La mor-te di Arafat a Parigi nel 2004, il successo diHamas alle elezioni legislative del 2005 e lamalattia di Sharon, uscito dalla scena pub-blica nel 2006, segnarono l’esaurimento diuna protesta senza vinti né vincitori.

Sino a questo autunno, quando abbiamoassistito a una improvvisa escalation di vio-lenza: una coppia di ebrei israeliani accoltel-lati nel nord della Cisgiordania il 1° ottobre eda lì, a seguire, ritorsioni ed altri attentati chein pochi giorni hanno fatto una decina dimorti e quasi mille feriti. Giornalisticamen-te è la «terza intifada», quella «dei coltelli»,ma ci pare una semplificazione sbagliata epericolosa. Ad oggi non sappiamo se dietrogli attentati ci sia una regia o soltanto la di-sperata follia di individui e frange estremiste;in ogni caso non siamo di fronte a quelle sol-levazioni di massa che caratterizzarono le in-tifade. Infine, non scorgiamo il profilo diquesti attentatori che non riusciamo a collo-care nelle caselle dell’estremismo politico odel radicalismo islamico. Terroristi, forse; e,se fossero, di che tipo? Con quale progetto?O meglio: ma hanno un progetto?

La società palestinese di oggi è più lacera-ta e disillusa che mai: la corruzione delle vec-chie leadership, i tradimenti dei fratelli ara-bi – molti dei quali ormai usciti dalla scenapolitica – il sostanziale fallimento politico delfondamentalismo islamico di Hamas hannoprodotto delusioni e frustrazioni che si in-trecciano con una qualità della vita semprepiù bassa, in un paese il cui territorio si ridu-ce ad alcune macchie di leopardo, enclavesmurate, scollegate e dipendenti da Israele. Èsu queste macerie che, di nuovo, soffia il«vento giallo».

I tagli alla sanità tra povertà e sprechiLuciano Cirica

I l Fondo sanitario per il 2016 sarà di 111miliardi: superiore al 2015, ma inferioredi 2,3 miliardi rispetto a quanto pattui-to circa tre mesi fa. Se queste cifre si

confermeranno, saranno quasi sette i mi-liardi di tagli per gli anni 2015-2016, con ef-fetti evidenti sui cittadini e con le difficoltàdi accesso al servizio pubblico.

Una recente ricerca di Altroconsumo haevidenziato che, con il perdurare della crisieconomica, il 46% delle famiglie rinuncia adalcune cure sanitarie primarie perché non èin grado di sostenerne i costi. Il 14% del red-dito familiare annuo è destinato alle spesemediche: ogni famiglia spende circa 2000euro l’anno per prestazioni essenziali e il13% si indebita per curarsi. Il 38% dei nostriconcittadini rinuncia alle cure odontoiatri-che, il 22% a quelle oftalmiche e il 15% allariabilitazione. È la fine del modello univer-salistico esteso a tutti ,uguale per tutti e so-lidale, cioè gratuito? Sembrerebbe di sì. Seè vero che la domanda di sanità in Italia cre-scerà sempre di più per l’invecchiamentodella popolazione e per l’esplosione dellemalattie croniche, occorrerà dare delle ri-sposte di tipo strutturale e strategico, pertentare di conciliare i costi con la salute. Inche modo? In primis con l’investimento inprevenzione, per permettere già dall’infan-zia di cambiare stili di vita e abitudini ali-mentari, e quindi di evitare l’espandersisempre più precoce delle malattie dell’ap-parato cardiovascolare (pressione alta, ma-lattie cardiache, diabete etc.) ma anche ditumori, soprattutto quelli femminili. Ma inquesto campo l’Italia è il fanalino di codadell’Europa e non si riesce a capire inveceche un euro investito oggi in prevenzione nefarà risparmiare almeno mille in futuro! Insecondo ordine bisogna attivare una seriapolitica di risparmi e non solo di tagli. Do-ve? Ce lo dice la Fondazione Gimbe (chepromuove e realizza attività di formazionee ricerca in ambito sanitario) nell’ultimaconferenza nazionale.

Nel nostro paese nel 2014 sono stati spre-cati circa 25 miliardi di euro che sono stati

Luciano Cirica è vicepresidente dell’Ospedale Evangelico di Napoli.

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GLI EDITORIALI

quindi sottratti ai servizi essenziali e all’in-novazione. Questo spreco rappresenta cir-ca il 23% del totale della spesa, che ammon-ta a 111,4 miliardi. Le voci di questo sprecosono rappresentate da: eccessivo numero diprestazioni inefficaci, inappropriate o trop-po costose rispetto ai benefici reali (7,6 mi-liardi); corruzione che si annida nel Sistemasanitario nazionale (5,13 miliardi); costi ec-cessivi delle tecnologie sanitarie (circa 4 mi-liardi); sottoutilizzo delle prestazioni conaumento delle complicanze (circa 3 miliar-di); ipertrofia del comparto amministrativo(circa 3 miliardi); inadeguato coordinamen-to dell’assistenza fra ospedale e territorio(2,56 miliardi).

Le varie spending review dovrebbero co-minciare a tagliare proprio da questi spre-chi, invece di tagliare solo in modo linearele prestazioni. Si pensa di salvare la sanitàsolo con il taglio dei posti letto, con il bloc-co del turnover del personale, con le ridu-zioni delle prestazioni ospedaliere/ambula-toriali e con l’ aumento dei ticket? A frontedi questi sprechi cresce invece la fascia del-

la popolazione sempre più esclusa dal Ser-vizio sanitario nazionale, perché non è piùin grado di pagare il ticket o perché ha dif-ficoltà ad accedere ai servizi sanitari. Crescenel nostro paese pertanto la «povertà sani-taria», da cui è colpita la fascia di popola-zione che non è più in grado neanche dicomprare le medicine e che rischia di am-malarsi con maggiore frequenza o di peg-giorare il proprio stato di malattia. La po-vertà infatti genera ed alimenta malattie e lepersone in condizioni di svantaggio socialetendono ad ammalarsi di più, a guarire me-no, a perdere l’autosufficienza ed anche amorire prima. I detenuti, i senzatetto, gliimmigrati e gli anziani, per esempio, sono iprimi ad essere colpiti da alcune malattieinfettive o respiratorie, a causa della mal-nutrizione e di un sistema immunitario de-presso. A fronte di questa assurda contrad-dizione, non è tempo che la politica comin-ci ad assumere azioni conseguenti? Prima diaumentare le tasse, sarebbe opportuno im-maginare una drastica azione di lotta aglisprechi.

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GLI EDITORIALI

Per il presidente dellaRepubblica portoghese,un governo dellesinistre spaventerebbe i mercati, poichéconsiderato«antieuropeista»,quindi Cavaco Silva ha preferito confermarel’incarico al premieruscente di centrodestra,Passos Coelho,nonostante non abbiapiù la maggioranza nel Parlamento uscitodalle elezioni del 4 ottobre scorso. Ma la dialetticaparlamentare è in crisi anche da noi.

A che servono le elezioni?Pippo Civati

La vicenda che riguarda il Portogallo èun fatto politico senza precedenti perl’Europa. Un governo di coalizione disinistra – che avrebbe i numeri suffi-

cienti per governare – trova un presidentedella Repubblica indisponibile alla sua for-mazione, nonostante appunto abbia i nume-ri in Parlamento (qualcuno ha parlato di«Napolitaño», ma come è noto l’argomentodei numeri, che peraltro allora contestai,quando Bersani chiese di poter andare alleCamere rappresentava un argomento reale:in Portogallo nemmeno quello).

Non sono bastate nemmeno le rassicurazio-ni di una parte della coalizione di sinistra (fa-vorevole all’uscita dall’euro e dalla Nato) cheavrebbe rinunciato ad alcune parti del suo pro-gramma proprio per poter formare un gover-no. Ci si è voltati dall’altra parte, per mantene-re un rapporto sereno con l’Europa e soprat-tutto con i mercati. Larghe intese a prescinde-re, dal voto dei cittadini e dalla proporzione deinumeri. Uno si domanda a che cosa serva in-dire libere elezioni, se il risultato libero non è.

Il presidente della Repubblica Cavaco Sil-va affida perciò il mandato al premieruscente di centrodestra, Passos Coelho,perché formi un governo di minoranza.

Se poi capita, come da noi, che nessuno ri-spetti il programma elettorale con cui è sta-to eletto, che le proposte contenute nel pro-gramma dell’opposizione entrino nel pro-gramma di maggioranza, in un turbinio tra-sformistico mai visto in queste proporzioni,si capisce che il rischio della democrazia edella rappresentanza è esaltato da quantosuccede nei parlamenti e nel rapporto con i«loro» governi. In Italia e non solo.

Il mandato elettorale e gli impegni presisbiadiscono, lo schema superiore si impone,all’insegna del «non ci sono alternative». Equando ci sono si bloccano prima ancorache si possano manifestare e tradurre inschemi politici. Di governo. Perché tuttodeve essere in continuità, correre lungo bi-nari precisi, a qualsiasi costo. Anche quel-lo di snaturare la dialettica parlamentare.Disegno a cui in Italia si concorre anche conil nuovo sistema elettorale (l’Italicum), incui si supera il confronto in uno schema cheprevede la formazione di un grande partitodi governo, a cui aderiscano tutti quanti,sotto l’unico vessillo di un’unica lista. Il pre-mio di maggioranza farà il resto.

Pippo Civati è parlamentare e fondatore del movimento «Possibile».

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IMMIGRAZIONE

Franco Pittau

Nel 2014 i migranti nel mondo – 232milioni nel 2013, secondo l’Onu – so-no giunti probabilmente a sfiorare i240 milioni, con un’incidenza supe-

riore al 3% sulla popolazione mondiale.In Italia la presenza straniera regolare resi-

dente ammonta a 5.014.437 (l’8,2% della po-polazione residente). Il 59,4% degli immigra-ti vive al Nord, il 25,4% al Centro e il 15,2%nel meridione. Analizziamo qui alcune dellequestioni chiave dell’immigrazione che sonostate approfondite nel Dossier Statistico Im-migrazione 2015.

LavoroSono 2.294.000 gli immigrati occupati inItalia. Il loro tasso di occupazione è più ele-vato di qualche punto percentuale rispettoagli italiani (58,5% contro 55,4%). La ripar-tizione per settori (agricoltura 5%, industria29,2% e servizi 65,7%) denota una maggioreconcentrazione in agricoltura e nell’indu-stria, per le quali l’Italia ha sentito un biso-gno di manodopera supplementare.

I lavori svolti sono a più alto rischio infor-tunistico e in effetti gli immigrati incidonoper il 14,4% sul totale degli eventi infortuni-stici, mentre rappresentano solo il 10,3% de-gli occupati. Maggiore per essi è anche il ri-schio di perdere il posto di lavoro, special-mente nell’industria. Tra gli immigrati, vi so-no 466mila senza lavoro su un totale di di-soccupati di circa 3 milioni: il loro tasso di di-soccupazione è quindi del 16,9%, mentrequello degli italiani è del 12,2%. Se poi si tie-ne conto anche dei 155mila immigrati aiquali nel 2014 non è stato rinnovato il per-messo di soggiorno, con il conseguente ob-bligo di ritornare ai loro paesi, si comprendequanto la situazione sia stata negativa. Si di-

rebbe che gli immigrati sono un ammortiz-zatore sociale a beneficio dei lavoratori au-toctoni, in quanto subiscono per primi l’an-damento negativo del mercato.

Anche per questo motivo essi hanno ac-centuato la propensione a operare come la-voratori autonomi e piccoli imprenditori. Nel2014 ben 524.674 aziende hanno fatto capoa persone nate all’estero. In questi anni dicrisi, per gli italiani le aziende cessate sonostate più numerose di quelle costituite ex no-vo, mentre per gli immigrati le aziende sonoaumentate annualmente di qualche decina dimigliaia di unità. È maggiore la loro resisten-za alla durezza di questa fase congiunturale,come anche risalta la loro capacità di indivi-duare nuovi spazi di inserimento, sorretta dauna notevole dedizione personale. Gli ambi-ti di intervento sono ancora, per lo più, mar-ginali nel contesto dell’economia nazionale,ma è aperta la via a un livello più elevato diprotagonismo imprenditoriale e ciò è tutt’al-tro che indifferente per il futuro dell’Italia, al-la cui produzione di ricchezza contribuisco-no nella misura di circa il 9%.

Se si tira un bilancio tra i costi che com-portano per le finanze pubbliche e gli introi-ti che assicurano in termini di tasse e di con-tributi previdenziali, il risultato è favorevoleper le casse dello Stato (3,1 miliardi nel2013). Anche dal punto di vista economico laxenofobia, per quanto diffusa, è un’armaspuntata.

CittadinanzaLa cittadinanza, tenuto conto dei recenti svi-luppi intervenuti alla Camera dei deputatinel corso del 2015, promette di diventare unarealizzazione importante di questa legislatu-ra perché, dopo anni di confronto andato avuoto, sembra raggiungibile la riforma dellanormativa sulla cittadinanza a beneficio deifigli nati in Italia o dei figli ricongiuntisi dapiccoli. Nessuna mediazione è perfetta, ma sitratta di un passo in avanti che avrà un im-patto anche a livello statistico che, su questoversante, nel 2014 ha mostrato un maggioredinamismo rispetto al passato.

Lavoro, cittadinanza, scuola e carcere: sono molti gli aspetti, spes-so controversi, analizzati dal Dossier Statistico Immigrazione 2015realizzato dal Centro studi e ricerche Idos in partenariato con Con-fronti, la collaborazione dell’Unar e il sostegno dei fondi 8 per mil-le della Tavola valdese - Unione delle chiese metodiste e valdesi.

Quando i dati smontano i luoghi comuni

Franco Pittau, del Centro Studi e Ricerche IDOS,è stato ideatore nel 1991 delDossier Statistico Immigrazione.

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IMMIGRAZIONE

Nel corso del 2014 le nuove acquisizioni dicittadinanza in Italia sono state 129.887, fa-cendo registrare un ulteriore aumento ri-spetto al 2013 (100.712). La maggioranza deicasi è basata su persone che hanno matura-to un’anzianità di residenza di almeno 10 an-ni. I casi di cittadinanza a seguito di matri-moni con cittadini italiani sono in diminu-zione (i matrimoni misti nel 2013 sono statimeno di 20mila). Sono, invece, in aumento icasi di cittadinanza riconosciuta ai minorinati in Italia, al compimento del 18° anno dietà. Nel 2014 i nuovi cittadini sono stati peril 49,1% donne, che invece sull’intera popo-lazione straniera residente incidono per il53%. Anche nell’Unione europea a 28 (il da-to è del 2013) si è verificato un incrementoannuale delle acquisizioni di cittadinanza pa-ri al 20%, raggiungendo complessivamentecirca un milione di casi, per l’89% riguardan-ti cittadini originari di paesi non Ue.

L’Italia e l’Ue stanno diventando semprepiù «globali». In Europa, su una popolazio-

ne di origine straniera di circa 50 milioni dipersone, ad avere conservato la cittadinanzastraniera sono 34 milioni, mentre gli altri 16milioni sono diventati cittadini di uno degliStati membri, ai quali portano in dote un ba-gaglio di lingue, culture, religioni e tradizionidiverse. In Italia quelli che hanno acquisito lacittadinanza nel corso di questi ultimi 40 an-ni possono essere stimati complessivamenteattorno ai 700mila ma, come accennato, iltrend sarà in crescita. Basandoci sui dati del2014, si può prevedere nel corso di un decen-nio almeno un altro milione e 300mila nuovicittadini, ma diverse centinaia di migliaia inpiù se diventerà legge la proposta approvataalla Camera dei deputati il 13 ottobre e chepassa ora all’esame del Senato.

Pertanto, è coerente e promettente volersostenere, per il bene dell’Italia, la simbiositra i cittadini autoctoni e quelli venuti da al-tri paesi e da altri continenti e la promozio-ne di modelli di vita interculturali e interre-ligiosi a salvaguardia della pace sociale. In

i servizi novembre 2015 confronti

Se si tira un bilancio trai costi che comportanoper le finanze pubblichee gli introiti che gli immigrati assicurano in termini di tasse e di contributiprevidenziali, il risultato è favorevoleper le casse dello Stato:3,1 miliardi nel 2013.

Acquisizione cittadinanza italiana 2005-2014

Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno e Istat

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IMMIGRAZIONE

prospettiva, quando i cittadini italiani di ori-gine immigrata saranno presenti in Parla-mento con la possibilità di essere, diretta-mente e con maggiore efficacia, i rappresen-tanti delle esigenze delle loro comunità, saràpiù agevole superare le restrizioni attuali, do-vute a chiusure culturali e calcoli di partito,e pervenire al periodo della maturità.

ScuolaNel mercato occupazionale gli immigrati su-perano, seppure di poco, un decimo del to-tale degli occupati. Lo stesso livello sta peressere raggiunto nelle scuole italiane, daquelle dell’infanzia alle secondarie superiori.

Bisogna tenere innanzitutto conto del fat-to che è elevato il numero dei minori immi-grati: 1.085.274. Di essi, 814.187 sono risul-tati iscritti a scuola nell’anno scolastico2014-2015, con un’incidenza del 9,3% sultotale degli iscritti. Il ritmo di aumento si èattenuato, così come sono diminuite le ve-nute dall’estero per ricongiungimento fa-miliare (57.896 visti rilasciati). Sono dimi-nuite anche le nascite di figli da entrambi igenitori stranieri (75.067), mentre nel pas-sato si era andati oltre quota 100mila. Ep-

pure queste nascite incidono per quasi unsesto sul numero totale delle nuove nasciteregistrate in Italia (503mila), in continua di-minuzione.

Comunque, nel 2014, così come è inter-venuto un aumento contenuto della popo-lazione straniera residente (93mila unità inpiù), sono aumentati di poco anche gli stu-denti stranieri iscritti a scuola (11.343 inpiù). All’interno di questa modesta varia-zione vi è, però, un aspetto di rilevante por-tata. L’aumento complessivo degli studentistranieri è stato appena dell’1,4%, mentrequello degli studenti stranieri nati in Italiaè stato invece dell’8,4%: questi ultimi sono450.362, pari al 55,3% di tutti gli studentistranieri. Sono una sorta di vivaio interno,ai quali molto opportunamente dedicherà ladovuta attenzione la nuova legge sulla cit-tadinanza. Il tempo ha smussato le spigolo-sità emerse ai tempi del “pacchetto sicurez-za” (2009), quando si insisteva su rigide per-centuali che gli alunni stranieri non avreb-bero dovuto superare: la polemica di unavolta ha perso di efficacia a fronte di questiragazzi che sono pienamente italiani manon ancora riconosciuti come tali.

i servizi novembre 2015 confronti

Sono diminuite anche le nascite di figli da entrambi i genitoristranieri (75.067),mentre nel passato si era andati oltre quota 100mila. Eppure queste nasciteincidono per quasi un sesto sul numerototale delle nuovenascite registrate in Italia (503mila), incontinua diminuzione.

Nati in italia e nati all’estero, in percentuale, sul totale di 814.187 alunni di origine straniera (a. s. 2014/2015)

Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati Miur

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IMMIGRAZIONE

Nell’anno accademico 2013/2014le università italiane hanno regi-strato 69.176 iscritti di cittadinan-za straniera su un totale di1.640.956 studenti (la loro inciden-za è stata del 4,2%). I paesi più rap-presentati sono Albania (10.782iscritti, pari al 15,6% degli universi-tari stranieri), Cina (7.028: 10,2%),Romania (6.615: 9,6%), Iran (2.815:4,1%), Camerun (2.685: 3,9%), Gre-cia (2.253: 3,3%) e Repubblica diMoldova (2.056: 3%). Invece, i lau-reati stranieri nel 2013 sono stati9.913 (incidenza del 3,3% rispettoai 30.231 laureati complessivi.

Carcere e criminalitàUn altro aspetto dell’immigrazione,meritevole di essere affrontato, èquello relativo al binomio carcere-criminalità. La lunga storia dell’e-migrazione italiana ci ha fatto ama-ramente conoscere come l’insedia-mento di chi va all’estero venga spesso para-gonato a un processo maggiormente sogget-to alla devianza. Anche in Italia, moltissimonel passato e in larga misura ancora oggi, èdiffusa la convinzione che gli immigrati sia-no più criminali degli italiani e che essi in-fluenzino negativamente la società.

Le statistiche smentiscono questo pregiu-dizio. Nell’Unione europea le denunce com-plessive sono state 34.266.433 nel 2004 e23.626.028 nel 2012, con una diminuzionedel 31,1% nell’intero periodo (in una fase incui ha influito molto negativamente la crisieconomica).

Sul caso italiano i dati sono più articola-ti. Nel periodo 2004-2013 le denunce con-tro italiani, a fronte di una popolazione inleggera diminuzione, sono passate da513.618 a 657.443 (+28%), mentre quellecontro stranieri, a fronte di una popolazio-ne più che raddoppiata, sono diminuite da255.304 a 239.701 (-6,2%). Questa evolu-zione, pur lasciando margini a ulterioriprogressi, nel suo complesso va commen-tata positivamente.

Gli immigrati, per il fatto di essere stranie-ri, non devono essere considerati necessaria-mente una popolazione destinata a essererinchiusa in carcere. Così avviene in largamisura e bisogna chiedersi perché. Anche tragli immigrati, come tra gli italiani, si trova

una quota di persone che delinquono e an-che una crescente criminalità organizzata.Ma la consistente presenza in carcere dipen-de principalmente dal fatto che gli immigra-ti finiscono dentro in buona misura per in-frazioni alla complessa normativa sul sog-giorno, come anche vengono fermati e trat-tenuti in carcere per accertamenti. Inoltre,rispetto agli italiani, essi dispongono di piùscarsi mezzi per la propria tutela giudiziariae possono fruire di meno delle misure alter-native alla detenzione a causa dei minorisupporti familiari di cui dispongono.

Al 30 giugno 2015 i detenuti stranieri incarcere sono stati 17.206, il 32,6% dei 52.754detenuti complessivi nelle 198 carceri d’Ita-lia. Il numero dei detenuti (sia italiani chestranieri) è in forte diminuzione rispetto adalcuni anni fa, quando veniva superata inmaniera abnorme la capienza regolamenta-re delle carceri e il trattamento riservato aicarcerati non assicurava quel minimo di di-gnità. Questo cambiamento ci è valso a evi-tare ulteriori condanne da parte della Cor-te europea dei diritti umani (tra l’altro, evi-tando anche i pagamenti risarcitori) e dan-do concretezza al concetto di «vivibilità del-la pena» (dal lavoro allo svago, alla cultura,alla socialità e alle esigenze religiose) e allasua funzione risocializzante, come prefigu-rato nella Costituzione.

i servizi novembre 2015 confronti

Anche tra gli immigrati,come tra gli italiani,si trova una quota dipersone che delinquonoe anche una crescentecriminalità organizzata.Ma la consistentepresenza in carceredipende principalmentedal fatto che gliimmigrati finisconodentro in buona misuraper infrazioni allacomplessa normativasul soggiorno, rispettoagli italiani,dispongono di più scarsimezzi per la propria tutelagiudiziaria e possonofruire meno dellemisure alternative alla detenzione.

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IMMIGRAZIONE

Che siano «ponti di Babele» invece che «tor-ri», di pluralità è comunque necessario par-lare oggi forse più che ieri, in un’Italia che fa-ticosamente prende coscienza di essere ter-ra di religioni, al plurale, e non solo di reli-gione, una, santa e universale. Capita che,quando se ne accorga, subito dopo si facciaprendere dal timore di perdere la propriapresunta «identità». O almeno c’è chi dicecosì: persino su importanti e diffuse testatenazionali c’è chi propone lo schema della re-ciprocità non solo per i diritti, tra cui quellodi costruire i luoghi di culto, ma persino peril dialogo tra le religioni. L’argomentazionesuona più o meno così: se non c’è dialogo «acasa loro», allora anche da noi in fondo nonè necessario che ci sia. Ci sfugge qui, lo am-mettiamo, la logica di fondo.

Sta di fatto che in Italia si può e si deve par-lare di un «nuovo pluralismo religioso», per-ché dal dopoguerra in poi le migrazioni –tutte, non solo quelle via mare, ma anchequelle via terra interne all’Europa, o quelledall’Asia, dal Sud America, dal Nord Ameri-ca etc. – hanno vissuto fasi molto diverse traloro; e hanno portato in Italia comunità dif-ferenti con, a volte, anche religioni non sto-ricamente presenti nel paese.

I «dati» sono strumento indispensabile perinterpretare e, se possibile, comprendere ta-le situazione. In particolare per quanto ri-guarda l’appartenenza religiosa, il recuperodegli stessi è operazione, lo si capirà, piut-tosto ardua: come classificare le persone se-condo il loro credo? Amici che da anni vivo-no e lavorano in Italia, non praticanti e tal-volta non credenti, sono registrati come«musulmani» solo perché il paese d’origineè in maggioranza musulmano. È chiaro chela materia è complicata: il fatto religioso èquestione personale, intima, e vive anche dicontraddizioni, di sfumature, che per ovvimotivi la catalogazione non riesce sempre a«contare».

È altresì possibile, con un po’ di cautela ela-borare un quadro complessivo soddisfacen-te, proponendo una «stima». Vediamo a talproposito più da vicino gli ultimi dati in ma-teria del Dossier Statistico Immigrazione

2015 che presenta le nuove stime dell’appar-tenenza religiosa in Italia, in riferimento allapopolazione straniera regolarmente residen-te alla fine del 2014.

Su un totale di 5.014.000 persone, i cristia-ni sono quasi 2,7 milioni, i musulmani 1,6milioni, gli appartenenti a religioni orientali(induisti, buddhisti, sikh e altri) più di 330mi-la, gli ebrei 7mila; 55mila appartenenti adaree in cui sono diffuse le religioni tradizio-nali, e 221mila gli atei e agnostici.

Partiamo dal confronto con l’anno prece-dente: rispetto al 2013 i cristiani registranoun +6% (dovuto a un incremento degli im-migrati ortodossi), i musulmani un -9%, lereligioni orientali +3%, mentre negli altrigruppi non si registrano consistenti varia-zioni. Questi pochi dati iniziali bastano a di-mostrare quanto sia peregrina l’ipotesi diun’«invasione culturale e religiosa» in Italia(e in Europa). Emerge con chiarezza comepiù della metà degli immigrati siano cristia-ni (53,8%), tra cui evangelici-protestanti e or-todossi (per lo più dall’est Europa). Questi ul-timi superano numericamente i cristiani cat-tolici (30,5% contro 18,3%), e il trend registrauna sostanziale stasi, se non, nel caso dell’i-slam, di una diminuzione in termini percen-tuali rispetto all’anno precedente. I flussi mi-gratori sono cosa complessa, e non facil-mente leggibile se non tenendo presente gliassetti politici nazionali e internazionali: chiparla di invasione e generalizza provenienzeterritoriali e religioni getta un pericoloso fu-mo negli occhi.

La «torre» di Babele si pluralizza in «pon-ti di Babele» solo, ed è questa la condizioneessenziale, se si parte dalla conoscenza del-la pluralità esistente oggi; persone che abi-tano le città e che frequentano scuole, uni-versità e che ricorrono alla sanità: una plu-ralità che ha fretta di essere riconosciuta (so-cialmente e talvolta ancora giuridicamente)per poter vivere pienamente la cittadinanzanel nostro paese; una pluralità, cosa da nondimenticare, costituita anche da generazio-ni nate e cresciute in Italia, e sinora parzial-mente marginalizzate.

Una marginalizzazione che per quel cheriguarda Chiese e religioni in Italia è anco-ra pesante per molte di esse. Vediamone unaltro esempio: i testimoni di Geova (450mi-la persone) fino ad oggi non hanno visto ra-tificata la loro Intesa con lo Stato, dovendo-si quindi ancora affidare giuridicamente al-

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Oggi in Italia possiamoparlare di un «nuovopluralismo religioso»,dovuto in buona parteall’arrivo di comunitàdifferenti, portatricianche di religioni primanon presenti nel paese. Tra i molti dati del Dossier Statistico Immigrazione 2015, vi sono anche le nuove stimedell’appartenenzareligiosa riguardo alla popolazionestraniera. Classificare le personesecondo il credo non è un’operazionesemplice e sarebbesbagliato farlo«meccanicamente»sulla base del paese d’origine.

L’Italia delle religioni

ClaudioParavati

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IMMIGRAZIONE

la Legge dei culti ammessi del 1929-30. An-zi, recentemente l’intesa con i Testimoni, asuo tempo già arrivata in Parlamento, è sta-ta rimessa – per l’ennesima volta – in di-scussione per approfondire alcuni aspetti inmateria sanitaria. Trattasi di un tira e mol-la che dura da vent’anni, segnale di quantola materia sia complicata, ma anche diquanto la politica sia talvolta distante daipassi in avanti che la società civile è invecein grado di fare.

Se dunque il ritardo politico risulta preoc-cupante, non è da sottovalutare il grande im-patto mediatico che la religione può avereper muovere i sentimenti e anche le pauredella popolazione. Se prendessimo d’esem-pio l’anno appena trascorso, ci accorgerem-mo come esso sia caratterizzato da una gran-de confusione mediatica, e da un’accesa po-lemica su questioni quali, per esempio, la co-struzione di nuovi luoghi di culto (il caso del-la legge lombarda n.2/2015, sull’edizione diculto, impugnata dallo stesso governo).

La situazione in Italia rimane dunque «eli-taria» per quel che riguarda le Chiese e le re-ligioni, in una gerarchizzazione dei diritti cherallenta la crescita armonica della cittadi-nanza nel suo complesso: oltre la Chiesa cat-tolica romana (forte dei Patti Lateranensi),sono undici le confessioniche dispongono di un’Inte-sa con lo Stato ai sensi del-l’articolo 8 della Costituzio-ne (valdesi e metodisti, av-ventisti, pentecostali delleAssemblee di Dio e dellaChiesa apostolica, ebrei, bat-tisti, luterani, ortodossi dellaSacra Arcidiocesi ovvero«greci», mormoni, induisti ebuddhisti); per tutte le altreChiese o religioni i rapporticon lo Stato si strutturanosecondo norme obsolete ri-salenti al periodo fascista, enon più aggiornate da allora.Sono circa 50 le confessioniche godono per lo meno diun «riconoscimento giuridi-co», mentre le altre operanocome semplici associazioni.L’islam è un caso emblema-tico di questa situazione: aoggi l’unico soggetto ricono-sciuto come «ente religioso»

rimane il Centro islamico culturale d’Italia,che gestisce la cosiddetta «grande moschea»di Roma, a fronte, come già ricordato, di 1,6milioni di persone.

Il risultato di tale ritardo politico è la cre-scita di un «sommerso spirituale» che rima-ne inespresso nelle sue potenzialità positi-ve. Un sommerso fatto di luoghi inappro-priati per condurre la preghiera e per le cele-brazioni; un sommerso fatto di confusione diruoli di leadership religiosa, e di servizi resiai cittadini; quei luoghi potrebbero essere po-tenzialmente risorse per la comunità e, comepiace dire alla sociologia, luoghi di resilienza.

I dati mostrano un’Italia plurale ma nonconfusa; la realtà delle Chiese e delle comu-nità religiose appare come in grado anche diintegrare dal basso, attraverso le loro stesseattività, che fungono da ponti con la comu-nità cittadina tutta. Emerge un insieme dibuone pratiche, che vanno dai tavoli interre-ligiosi alle iniziative nei quartieri; dalle festecelebrate insieme agli impegni ecumenici peruna legge quadro per la libertà religiosa in Ita-lia. Tutto questo movimento ha bisogno og-gi ancor di più di sostegno politico; affinchéla «pluralità» divenga presto un dato acquisi-to, e si apra una vera nuova stagione politicae culturale in Italia e in Europa.

i servizi novembre 2015 confronti

I flussi migratori sonocosa complessa, e nonfacilmente leggibile se non tenendopresente gli assettipolitici nazionali e internazionali: chi parla di «invasioneculturale e religiosa» in Italia (e in Europa) e generalizzaprovenienze territorialie religioni getta un pericoloso fumo negli occhi.

Stima dell’appartenenza religiosa degli immigrati (31 dicembre 2014)

Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati di varie fonti

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pubb

lici

Dossier Statistico Immigrazione 2015a cura del Centro studi e ricerche IDOS in partenariato con Confronti

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