Confronti di febbraio (parziale)

7
6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 2 FEBBRAIO 2015 Il vicino Marocco

description

 

Transcript of Confronti di febbraio (parziale)

6,00

EURO-TA

RIFFA

R.O.C.:POSTE

ITALIANESPA-SPED

.IN

ABB.POST.

D.L.35

3/20

03(CONV.IN

L.27

/02/04

N.46)

ART.1COMMA1,

DCB

2FEBBRAIO 2015

Il vicinoMarocco

2

Anno XLII, numero 2Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Gian Mario Gillio,Svamini Hamsananda Giri, Giorgio Gomel, Lau-ra Grassi, Bruna Iacopino, Domenico Jervolino,Maria Cristina Laurenzi, Giacoma Limentani,Franca Long, Maria Immacolata Macioti, AnnaMaffei, Fiammetta Mariani, Dafne Marzoli, Do-menico Maselli, Cristina Mattiello, Lidia Mena-pace, Adnane Mokrani, Paolo Naso, Luca MariaNegro, Silvana Nitti, Enzo Nucci, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sabba-dini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Patrizia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, Cri-stina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia GuarnaProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e graficaDaniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero:L. Aromatario, P. Branca, G. Brancia, F.Eckert Coen, A. Jabbar, C. Monge, A. Ro-mele, S. Ronco, M. Rossi Doria, S. Sala-cone, D. Santonico, B. Segre.

Le immaginiIl vicino Marocco • Michele Lipori, copertinaAlle porte di Fes • Michele Lipori, 3

Gli editorialiEuropa a lumi spenti • Claudio Paravati, 4

Le voci dell’islam in Italia 6

I serviziIslam Libertà d’espressione o licenza di offendere? • Paolo Naso, 8

Le identità sono sempre complesse • (int. a) Adel Jabbar, 10Il dialogo: una sfida da vincere • Paolo Branca, 12Una voce da Parigi • Alberto Romele, 13

Scuola Non spegnere la fiammella fumante • Giuliano Ligabue, 14Una buona scuola per la Repubblica • Simonetta Salacone, 15Fomentare il dubbio e la curiosità metodica • (int. a) M. Rossi Doria, 16Viaggio allucinante nel mondo della scuola • Livia Aromatario, 19Quale spazio per la laicità? • Silvana Ronco, 20

Marocco Berberi ed arabi tra passato e presente • M. Lipori e L. Sandri, 22Un’oasi ecumenica in Marocco • Michele Lipori, 26Rispetto o contaminazione? • Dea Santonico, 27

Ebraismo La libertà di religione e i suoi nemici • Bruno Segre, 29Chiesa cattolica Il papa tra le folle e i problemi irrisolti • Luigi Sandri, 31

Francesco e Bartolomeo: leader isolati? • Claudio Monge, 32Cinema Miracolo a Tor Sapienza? • Giorgio Brancia, 33

Le notizieRifugiati Quasi 40 milioni tra rifugiati e sfollati nel mondo, 35Diritti umani Amnesty si mobilita per il blogger saudita, 35Carceri Dibattito sulla condizione carceraria femminile, 35Ambiente La Ue lascia liberi gli stati di proibire gli Ogm, 36Economia La campagna per l’abolizione del pareggio di bilancio in Costituzione, 36Germania Cresce il movimento antislamico Pegida, 37Medio Oriente La visita di pace di vescovi europei e nordamericani, 37

Le rubricheDiario africano Fermare il terrorismo di Boko Haram • Enzo Nucci, 39In genere Se le donne lavorano per le donne • Stefania Sarallo, 40Note dal margine Riso amaro • Giovanni Franzoni, 41Osservatorio sulle fedi Trasfusioni di sangue: i perché di un rifiuto • Antonio Delrio, 42Cibo e religioni I cibi nella tradizione ebraica • Franca Eckert Coen, 43Spigolature d’Europa Il cielo d’Irlanda •Adriano Gizzi, 44Segnalazioni 45

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista,anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI2/FEBBRAIO 2015

WWW.CONFRONTI.NET

3

LE IMMAGINI

Viaggio itinerante in Marocco. È la prima volta che Confronti porta i suo lettori e simpatizzantiin un paese del Maghreb, ponte tra l’Europa e una parte del mondo arabo musulmano.

Una testimonianza diretta che racconta frammenti di storia,passata e presente, di un paese in via di trasformazione sociale tra mille difficoltà.

Le foto che illustrano questo numero sono di Michele Lipori e si riferiscono al servizio a pag. 22.

ALLE PORTE DI FES

4

GLI EDITORIALI

L’islamofobiasta crescendoin tutta l’Europa.Ne è un esempio –purtroppo non l’unico –il movimento Pegida,nato in Germaniae ora esteso ad altripaesi del Continente.L’Europa dei lumispegne le luci.Ma, dopo ciò che èsuccesso in Francia,l’Europa deve accenderele luci per vedercichiaro e ragionare.Per farloè indispensabileprovare a usciredal panico, che bloccae non permettedi ragionare, portandoad azioni inconsultee azzardate.

Europaa lumi spentiClaudio Paravati

«L icht aus - Luci spente» a Dresda, perspegnere i riflettori sulle migliaia dipersone che marciano contro la pre-sunta islamizzazione dell’Occidente.

Per l’occasione il movimento Pegida (Patrio-ti europei contro l’islamizzazione dell’Occi-dente) ha rispolverato il termine Abendland,per definire l’Occidente, al posto diWesten.Scelta terminologica tutt’altro che seconda-ria, dato che rimanda a quell’Europa pre-bel-lica, figlia del grande rinascimento teutoni-co, dei Goethe, Schiller, Kant sino a Spengler,autore del «Tramonto dell’Occidente»(Abendland per l’appunto). «Westen» è il no-me invece del patto atlantico, della stagionedi un blocco di mondo contro un altro, du-rante la Guerra Fredda. Abendland è la terradel tramonto (dove tramonta il sole), delchiaroscuro, del passaggio alla vecchiaia invista, si sperava, di una rinascita. Hölderlin,il poeta, ricorda: «dove il pericolo cresce,cresce anche ciò che salva». Un mondo se-polto, richiamato da Pegida in parole chiave,slogan, motti, che di quel mondo ne fannocaricatura.«Licht aus» è stata la risposta della Germa-

nia a tutto ciò: spegnere le luci delle chiese,delle strade e dei centri storici, per prenderedistanza dalla marcia di chi vuole difendersidall’«invasione», facendolo a colpi di «la Ger-mania ai tedeschi» e issando croci cristianedipinte di rosso, nero e giallo. L’Europa deilumi spegne le luci.Nel frattempo la luce è stata spenta nella

terra nativa di quei lumi, nella patria di Rous-seau e Voltaire. In pieno giorno, alla luce delsole, si è svolto l’omicidio che – raggiungen-do l’obiettivo – ha scosso nel profondo le co-scienze del vecchio continente. Mai nella sta-gione del terrorismo un attacco in terra eu-ropea è stato tanto doloroso, per le modalitàcon le quali è stato perpetrato. È la stessapaura di quando hanno fatto effrazione a ca-sa nostra, dove siamo abituati a trovar la pa-ce degli affetti familiari. È la paura di nonavere più un luogo sicuro. «Dove il pericolocresce, cresce anche ciò che salva».Dopo il trauma, fiumi di parole. Difficile

prendere la parola. Analisi contrapposte dan-no colpa agli uni o agli altri. Si creano schie-ramenti e fazioni, non c’è ancora spazio perragionare con calma. Come poterlo fare, d’al-tra parte, di fronte a tale orrore? C’è da com-prenderlo, eccome. Purtroppo se la paura in-nesca l’attenzione, istinto di sopravvivenza,il panico è diverso: blocca, non permette diragionare, porta ad azioni inconsulte. E nelpanico si fanno scelte azzardate, si sragiona.L’Europa dei lumi deve accendere le luci, pervederci chiaro e ragionare.Si è cominciato a farlo. C’è chi ha immedia-

tamente posto la questione sulla libertà diespressione, difesa senza se e senza ma. Pec-cato che l’argomentazione sia stata immedia-tamente strumentalizzata da chi «senza se esenza ma» vuole trattare – spesso in sensorestrittivo, conservatore e talvolta razzistico– tutta un’altra serie di temi, in particolarequelli che hanno a che fare con i diritti dellepersone. C’è chi ha difeso la libertà di espres-sione, ma con riserva: la libertà ha dei limiti.Argomentazione non esente da rischi, qualisarebbero e chi porrebbe tali limiti? C’è inol-tre chi ha sommessamente provato a ragio-nare sul fatto che se la libertà «non ha limi-ti», al contempo non ha limiti neanche la ti-pologia di coscienza che le persone hanno. Equindi laddove ci sono dei conflitti accesi, enel mondo ce ne sono tanti, si ha sì la libertà,ma si hanno anche, purtroppo, coscienze fra-gili e ideologizzabili altrettanto «libere di im-pazzire». Creando danni e azioni barbare espaventose.C’è chi parla di «guerra», forse mondiale;

chi dice che se la sono cercata. Chi vuolechiudere le frontiere, e chi argomenta che l’i-slam è semplicemente incompatibile, teolo-gicamente e storicamente, con ogni forma disocietà aperta e democratica. C’è infine chidice che è semplicemente colpa dell’Occi-dente e della sua azione coloniale, politica,economica, imperialista; e chi dice che è col-pa dell’islam (si noti: un miliardo e mezzo dipersone nel mondo, quindi?).E ancora c’è chi pretende che ora scenda-

no tutti in piazza (i musulmani). Ma «i mu-sulmani» non sono un partito. Sono una co-munità eterogenea. Sono «anche» personeche vivono nel timore di risultare «in ecces-so» nella società che li accoglie. Sono «an-che» persone che credono che in fondo ilProfeta non si debba prendere in giro in quelmodo, e che anche se loro stessi violenti non

5

GLI EDITORIALI

sono, non sentono di dover dire «Je suisCharlie». Sono infine persone che poche oredopo l’attentato erano sotto l’ambasciatafrancese a Roma, con una candela accesa insegno di solidarietà. Sono esattamente comei cristiani, gli italiani, come ogni comunitàumana. Ci piacerebbe che fossero tutti «inun modo solo», ma trattasi di un’astrazioneirragionevole, che non tiene conto della plu-ralità dell’umano.Per fortuna c’è l’organizzazione sociale, e la

politica. Non importa quanti italiani credo-no che sia meglio pagare senza fattura: la no-stra legge prevede che si debbano pagare letasse, per il bene di tutti. Non importa quan-te opinioni ci siano, e che ognuno abbia in-troiettato nella propria coscienza una con-vinzione. L’importante è che ci sia la politicae che normi i diritti e i doveri, che governicon l’esercizio di una forza, l’unica legittima,e che le altre forme di violenza siano illegit-time. Urge politica.Tutto questo è l’apporto dell’Europa, terra

al tramonto e sempre sul punto di rinascere.È il momento di riaccendere di nuovo le luci,e fare un salto di qualità della politica. Quel-l’azione, quell’arte del vivere che permette divivere. Per farlo deve uscire dal panico. Devenon essere più né terra deltramonto né «Westen»(contrapposto all’Osten –l’Oriente). Deve uscire dalpanico e maturare la propriaidentità. L’identità cresce an-che sulla contrapposizione:ma contro chi? Contro unareligione? Contro un coloredella pelle? Contro un’altraciviltà? Non è il momento diuna terra di alleanze inveceche una terra di guerre per-petue?Bisogna riconoscere bene

come si crea la propria iden-tità. La risposta è proprio lìdavanti agli occhi. Bisognaergersi contro chi sta crean-do una nuova ideologia cheha dichiarato guerra a chiun-que non sia «sé». Ha dichia-rato guerra amusulmani, cri-stiani, ebrei, ezidi... Colpiscein Europa con la tecnica delterrore, della cellula adde-strata e che conosce il terri-

torio (sono cittadini francesi), mentre in Me-dio Oriente e in Africa colpisce sterminandocittà e villaggi. L’Europa deve guardare in fac-cia questa ideologia per riconoscerla, com-prenderla, decifrarla e combatterla.Come fare per mancare clamorosamente

l’obiettivo? Semplice: sbagliare la diagnosi.Ovvero compattarsi (in maniera populistica)contro il nemico sbagliato: per esempio con-tro i musulmani «tout court». Oppure ab-bandonandosi alla paura, ritraendosi, chiu-dendo le frontiere. O, ancora, mettendo a re-pentaglio secoli di storia abbassando la sogliadella convivenza, creando società cupe, im-paurite, nelle quali ci si sente improvvisa-mente in pericolo.La pace è una possibilità, raggiunta col sa-

crificio di generazioni e anche attraverso ec-cidi ingiustificabili. L’Europa non può ora di-menticare tutto ciò e ripercorrere stradesbagliate. Deve alzare la testa e consolidarela propria politica, consapevole che la pace,se non la potrà vivere, ebbene la cercheràper tutto il tempo necessario, senza stravol-gere la propria identità rischiano di diventa-re – questa volta sì – terra del tramonto; laterra dei lumi ma, ancora una volta come fuallora, spenti.

6

ISLAM

Paolo Naso

«U ccidere nel nome di Dio è un’aber-razione, ma le religioni non vannoinsultate», ha dichiarato il papaparlando con i giornalisti nello Sri

Lanka. «Si può danneggiare una persona an-che con le parole – gli ha fatto eco il rabbinoRiccardo Di Segni, capo spirituale degli ebreiromani – e non si deve mancare di rispettoagli altri. La persona ha diritto alla sua di-gnità e io non sono Charlie».Neanch’io, e mi riconosco nelle parole del

papa e del rabbino capo. Forse per ragioni di-verse dalle loro e attraverso un altro filo diragionamento ma, se si vuole essere diretti esintetici, ciò che hanno detto nella sostanzaesprime anche il mio pensiero.Il tema non è il giudizio politico e morale

sugli attentati francesi, che deve essere dipronta, adamantina e integrale condanna,senza giustificazionismi sociologici o geopo-litici: lo squallore delle banlieues affollate digiovani figli e nipoti di arabi disillusi dal so-gno assimilazionista della République non at-tenua in alcuna misura la portata terroristi-ca e disumana degli attentati. E neanche «leresponsabilità politiche dell’Occidente» neiconfronti del mondo arabo e del MedioOriente, «l’eredità della violenza coloniale» eneanche «la concezione imperiale del potereglobalizzato», come recita il mantra di certacultura no global.Atti di terrore come quelli che abbiamo vi-

sto non esprimono altro che il disprezzo peri fondamentali principi dell’umanità, dellacoesistenza e della giustizia perseguita impu-gnando i codici piuttosto che i kalashnikov.E persino dell’islam, ma questo dovrannodirlo – e in questa occasione lo hanno fattocon apprezzabile chiarezza – i leader dell’i-slam italiano, europeo e mondiale.

Quello dei Kouachi e dei Coulibaly è undelirio reazionario incompatibile con la mo-dernità, con quel tratto liberale proprio del-l’Occidente liberale cresciuto leggendo edamando Kant e Locke, Jefferson e Beccaria,Stuart Mill e Bonhoeffer. L’avversione e loscontro con la dittatura armata di un’idea, diun potere e di una teologia non potranno cheessere totali.Ma non è questo il nostro tema; diciamo

che questa era la doverosa premessa per evi-tare di essere fraintesi e magari di giustifica-re quello che invece deve essere combattuto.La questione è se il richiamo ai principi e

al diritto liberali implichi che non vi siano li-miti al dileggio, allo sberleffo, all’invettiva.Per certi settori del mondo laico che hannofatto di Charlie Hebdo la bandiera del prin-cipio di separazione tra religione e politica edella libertà del pensiero, sì. Senza dubbi nétentennamenti. E quindi le vignette che raf-figurano il profeta dell’islam nudo, con il cu-lo all’aria e la scritta «è nata una stella» – ci-fra stilistica tipica di Charlie Hebdo – sareb-bero una apprezzabile quanto insindacabileespressione di libertà.A questo schema di ragionamento se ne

oppone un altro, probabilmente caro a papaFrancesco e al rabbino Di Segni, che distin-gue tra satira e blasfemia e, tracciando una li-nea netta tra l’una e l’altra, assolve la prima econdanna la seconda. «Scherza con i fanti elascia stare i santi», ammonisce la saggezzapopolare. L’adagio ha un suo fondamentogiuridico, al punto che ancora oggi in varipaesi la blasfemia, generalmente associata al-la bestemmia, è considerata un reato in qual-che caso penale.La tendenza prevalente, però, tende a un

obiettivo diverso: più che a sanzionare la be-stemmia, vari Parlamenti e lo stesso Consi-glio d’Europa intendono contrastare leespressioni d’odio rivolte a una o più comu-nità di fede. E così, ad esempio, negli Usa enel Regno Unito la bestemmia non è un rea-to, evidentemente giudicando l’espressioneblasfema un atto di libertà individuale forsedeprecabile ma non sanzionabile.

Fermo restando che la condanna degli attacchi terroristici in Fran-cia va pronunciata senza alcuna esitazione o giustificazione, oc-corre porsi alcune domande sulla satira: il principio fondamenta-le della libertà di espressione implica l’abolizione automatica diogni limite al dileggio e allo sberleffo?

Libertà d’espressioneo licenza di offendere?

7

Islam.Libertà d’espressioneo licenza di offendere?

Eppure gli stessi paesi hanno norme strin-genti e prevedono sanzioni pesanti per chiinciti all’odio contro un individuo o un grup-po. Per dirla con Silvio Ferrari, secondo que-sta linea giuridica «l’oggetto della protezionenon è la religione per sé ma il turbamentodella pace sociale determinato dall’espressio-ne offensiva. In tal modo la religione – pro-segue il giurista – non è più destinataria diuna protezione speciale ma è tutelata al paridi altre caratteristiche che identificano unapersona o una comunità». E così i grandigiornali statunitensi hanno deciso di nonpubblicare le vignette che invece tanto suc-cesso hanno avuto in Europa: lo hanno fattoda una parte per rispetto delle norme sui cri-mini d’odio (hate crimes) che puniscono chioffende – non solo chi aggredisce! – una per-sona o un gruppo utilizzando argomenti diordine fisico, religioso o razziale; ma, dall’al-tra, in omaggio al cosiddetto politically cor-rect. Sì, proprio quel codice linguistico che ciha educati e non dire più negri, handicappa-ti, checche, maomettani, vu cumprà, rabbi-ni... neanche per scherzo e sotto l’abito ele-gante della «satira pungente».Il linguaggio politically correct, nato negli

anni ‘90 nei college Usa per contenere tensio-ni razziali e di genere, che in più di qualchecaso erano degenerate in veri scontri, in Eu-ropa viene bollato come una ipocrisia risibi-le quanto ingenua. E c’è chi rimpiange il lin-guaggio maschio e rude del primo Bossi o delvecchio Le Pen, ai quale viene concessa la pa-tente della genuinità e dell’onestà intellettua-le di chi «dice quello che pensa».Idealmente l’11 gennaio avrei marciato a

Parigi e persino cantato la Marsigliese, manon sono Charlie. Perché credo che esista unpreciso confine alla libertà di espressione,che non è tanto nell’offesa a Dio, che si sup-pone abbia altro a cui pensare che alle uma-ne blasfemie. Il confine da non superare èquello dell’etica della sostenibilità della con-vivenza: quando con una vignetta si offendeuna comunità o un individuo, si irride allasua fede, a quello che mangia, a come si ve-ste e al suo accento si mette una bomba nel-le cantine del condominio in cui abitiamo.E ci si deve fermare, arrivando a punire –non a idolatrare – chi decide di andare co-munque avanti. Libertà di espressione non èlibertà di offesa. Quando anni fa il senatoreCalderoli passeggiava con un «maiale da pas-seggio» in un’area che si pensava di destina-

re alla costruzione di una moschea non hacelebrato la libertà di Voltaire, ma ha com-piuto un gesto violento e razzista. Come so-no gesti violenti anche le vignette antisemi-te, i cori razzisti e gli stereotipi sui gay.E non sono Charlie anche per una ragione

politica legata al fatto che per vincere la ter-ribile guerra che il jihadismo ha dichiaratoall’islam «moderato», oltre che all’Occiden-te secolarizzato, abbiamo bisogno del pienoe convinto sostegno dei milioni di musulma-ni che esecrano ogni violenza ma che sento-no come una ferita la ridicolizzazione del lo-ro Profeta e del loro libro sacro. Stringerlinella morsa del fondamentalismo jihadista dauna parte e della satira islamofobica dall’al-tra non appare una grande strategia di attra-zione ai principi e ai valori dell’Occidente li-berale. Ma è quello che facciamo identifican-doci con una comunicazione offensiva e raz-zista, non troppo diversa da quella antisemi-ta che in altri tempi accompagnò tragiche av-venture europee.Vent’anni fa Barbara Spinelli scriveva che

«tutto è permesso, visto che la politica è mor-ta. Tutto è pronunciabile, dicibile [...]. È l’ur-lo dei rabbiosi integralisti di Giudea e Sama-ria, che hanno decretato la divina punizionedi Rabin, a Tel Aviv. È l’urlo degli epuratori et-nici in Serbia... che fin dai primi anni Ottan-ta hanno cominciato a chiamare gli albanesie i croati con nuovi nomi, spregiativi...».Il bene comune dell’Europa multiculturale

vale molto di più della licenza di offendere.

i servizi febbraio 2015 confronti

Il confine da nonsuperare è quellodell’etica dellasostenibilità dellaconvivenza: quando conuna vignetta si offendeuna comunità o unindividuo, si irride allasua fede, a quello chemangia, a come si vestee al suo accento si metteuna bomba nellecantine del condominioin cui abitiamo. E ci sideve fermare, arrivandoa punire – non aidolatrare – chi decidedi andare comunqueavanti. Libertà diespressione non èlibertà di offesa.