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Sede della redazione: FIRENZE Numero 2 - GENNAIO 2007 CONCENTRICA 1 - Editoriale 2 - L’intervista: Bruno Francesco 3 - Costruzione programma sportivo 4 - Tecnica: Controllo punto di mira 5 - Munizioni AC 6 - L’attività sportiva 7 - Psicologia e sport: concentrazione 8 - Peak Performance- 1° parte 9 - Coaching 10 - Educazione e sport: le fobie 11 - Bench Rest : le attrezzature 12- T. con l’arco: Kiudo 13 - La rubrica di Lodovico Sparta 14 - Comunicato stampa: IFTA 15 - News 15 - Fotoalbum 16 - RUBRICHE PIU DI 3800 COPIE INVIATE PIU’ DI 4000 COPIE INVIATE Un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di questo numero e a tutti i lettori che ci stanno seguen- do con entusiamo. Hanno collaborato a questo numero: > Roberto Martinelli > Gino Beonio Brocchieri > Salvo Russo > Roberto Ferraris > Claudio Leoni > Daniele Puccioni > Giovanni Notarnicola > Mario Favaron > Vittorio Rosember Colorni CONTENUTI CONTENUTI Redazione Redazione ANNO 2007 L ’inizio di u n nuo vo an no sp ortiv o Pensiamo al nostro futuro IN ESCLUSIVA ! INTERNVISTA A BRUNO F.

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CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

Sede della redazione: FIRENZE Numero 2 - GENNAIO 2007

CONCENTRICA

1 - Editoriale2 - L’intervista: Bruno Francesco3 - Costruzione programma sportivo4 - Tecnica: Controllo punto di mira5 - Munizioni AC6 - L’attività sportiva7 - Psicologia e sport: concentrazione8 - Peak Performance- 1° parte9 - Coaching10 - Educazione e sport: le fobie11 - Bench Rest : le attrezzature12- T. con l’arco: Kiudo13 - La rubrica di Lodovico Sparta14 - Comunicato stampa: IFTA15 - News15 - Fotoalbum16 - RUBRICHE

PIU DI 3800COPIE INVIATEPIU’ DI 4000

COPIE INVIATE

Un particolare ringraziamento atutti coloro che hanno contribuitoalla riuscita di questo numero e atutti i lettori che ci stanno seguen-do con entusiamo.

Hanno collaborato a questo numero:

> Roberto Martinelli> Gino Beonio Brocchieri> Salvo Russo> Roberto Ferraris> Claudio Leoni> Daniele Puccioni> Giovanni Notarnicola> Mario Favaron> Vittorio Rosember Colorni

CONTENUTICONTENUTI

RedazioneRedazione

ANNO 2007L’inizio di un nuovo anno sportivoPensiamo al nostro futuro

IN ESCLUSIVA !INTERNVISTA

A BRUNO F.

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Ricominciamo (con Concentrica) datre... il 2007

Ad alcuni mesi di distanza dalla scorsa uscita diConcentrica, siamo giunti al terzo numero.Devo dire che questa volta le difficoltà non sonostate poche, sia per le festività di fine anno chehanno allungato i tempi, sia per guasti tecnici al PCdella Redazione (il mio) e non solo questo, ma nono-stante tutto siamo riusciti a mantenere fede agliimpegni, grazie anche alla fattiva collaborazione dicoloro che hanno inviato gli articoli.In questo numero abbiamo anche nuovi collaborato-ri che hanno partecipato con interessanti articolisulla psicologia dello sport e sulla dinamica dellefobie che ci riconducono a certi meccanismi di garae al relativo rendimento. Inoltre è stata aggiunta unanuova rubrica dove Federico Sparta ci intratterrà coni suoi pensieri, divertenti e soprattutto interessanti.Abbiamo anche il piacere di pubblicare una intervi-sta fatta a Bruno, uno dei nostri migliori atleti, chevorrei ringraziare della cortesia e soprattutto per lapazienza dimostrata nel rispondere a tutte le doman-de. Troverete interessanti alcune notizie sui suoiallenamenti, sul suo pensiero inerente al tiro e i suoiconsigli rivolti ai giovani e a chi intende “fare sulserio”. Non pensate che questi consigli rivelino chis-sà quali segreti, sono pensieri che riconfermano ciòche sapete già: nel tiro non esistono scorciatoie, mai punti vengono dall’impegno e dal duro lavoro.Ma un nuovo anno è iniziato e con esso quello ago-nistico, ed è per questo che abbiamo pensato di inse-rire articoli che possano dare idee sugli allenamenti,

un contributo per migliorare la personale forma tec-nica. Parallelamente con il programma di gare,andremo ad implementare questi articoli, con altriche riguardano più dettagliatamente la programma-zione dell’allenamento, e che entrano nel dettaglioportando esempi di esercizi di preparazione tecnicae agonistica, seguendo l’intento di fornire quelloscambio d’informazioni che è uno degli obiettivi percui è nata Concentrica.Per questo motivo sarebbe interessante riceveretestimonianze, informazioni ed articoli su comeorganizzate i vostri allenamenti. Quelli più interes-santi saranno pubblicati e alle vostre domande saràdata risposta nello spazio riservato alla posta dei let-tori.Continueremo a dire, fino alla nausea, che lo scam-bio d’informazioni nel nostro sport è d’importanzavitale, vi invitiamo quindi ad una collaborazione,anche minima, fatta di suggerimenti e domande, allequali cercheremo di rispondere.Mentre sto scrivendo questa pagina, si sta disputan-do a Monaco la prima coppa del Mondo della stagio-ne, e una folta rappresentativa azzurra si sta prepa-rando a dare il meglio, concretizzando in termini dipunteggio il sudore e la fatica del lavoro fatto finoad ora.Pensate a loro, a quello che hanno fatto e a quelloche faranno, a tutta la strada che hanno percorso, chetestimonia come l’impegno paga e lo fa commisura-to al lavoro fatto.Questo per dire che qualunque sia il tempo che avetea disposizione da impiegare nel tiro, impiegatelobene e soprattutto credete fermamente che i vostriallenamenti contribuiranno a migliorare la vostraprestazione; quei tiratori, che molti di voi conosco-no e che in questo momento sono a Monaco, sonola dimostrazione dell’affermazione che credere in sestessi porterà lontano.Non è sempre necessario entrare in nazionale peressere dei “grandi” tiratori. Esserlo significa dare ilmassimo commisurato al tempo e al lavoro che pos-siamo dedicare a questo sport. Se vedete la cosa inquesta prospettiva i miglioramenti non tarderanno avenire e le delusioni saranno meno di quanto viaspettiate. Se le vostre aspettative saranno deluse,forse dovrete reimpostare il lavoro fatto fino ad ora,oppure dovrete rimandare più in là quello che vole-te raggiungere, ma resta comunque un bellissimoviaggio che vi porterà lontano.Godiamoci questo viaggio.

D.P

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L ’ E D I T O R I A L EL ’ E D I T O R I A L E

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Intervista ad un campione: BRUNO FRANCESCO

D. Puoi dirci come hai iniziato questo sport?

R : Ho cominciato a fare sport insieme a mio padre,prima facendo tennis poi passando al tiro a segno, ancheperché a quel tempo mio padre era presidente della sezio-ne dei Foggia. Avevo 11 anni quando andai al poligono aprovare, prima con la carabina, ma era un po’ troppopesante per me; la pistola. invece mi piacque di più,anche perché mio padre era un tiratore di pistola ed iprimi insegnamenti li ho ricevuti da lui. Poi sono arriva-te le prime soddisfazioni con i giochi della gioventù esuccessivamente nella categoria juniores.

D. Dopo quanto tempo sono arrivati i primi risultatidi rilievo?R. Ho cominciato con i giochi della Gioventù, ma nono-stante l’impegno non sono riuscito a qualificarmi per lafinale nazionale, ed allora mi sono reso conto che perottenere buoni risultati dovevo farlo seriamente. Pensosia stata questa la scintilla che mi ha fatto prendere sulserio questo sport.La prima vittoria è arrivata nella cat. Juniores nel ’95dove vinsi il titolo italiano; successivamente fui convo-cato dalla nazionale e questo mi ha dato la giusta moti-vazione che ha contribuito a farmi diventare quello chesono adesso.

D. Quali sono state le tue reazioni quando non sei riu-scito a qualificarti ai Giochi della Gioventù?R: Non mi aspettavo di qualificarmi, facevo tiro solo perdivertimento senza cercare di raggiungere particolaririsultati, però quando ho visto che per pochi punti in piùpotevo essere tra i primi ho cominciato a pensare di farlo

più seriamente. Con le prime vittorie ho visto che tra imiei amici arrivavano anche i primi complimenti e que-sto mi ha dato la spinta per impegnarmi e miglioraresempre di più.

D. La tua esperienza fatta nel tennis ti è servita da unpunto di vista agonistico nel tiro a segno?R: Sono esperienze diverse. Nel momento negativo dellagara nel tennis si riesce con la grinta a superare le diffi-coltà, mentre nel tiro lo stesso atteggiamento porta inve-ce a peggiorare le cose. Il modo con cui affrontavo le gare (ero piuttosto impul-sivo) mi aveva aiutato molto nel tennis, mentre nel tiroquesto era un impedimento. Quindi per ottenere dei risul-tati ho dovuto cambiare un po’ il mio modo di fare epormi nei confronti della gara in modo diverso.Mi sono reso conto che dovevo tenere sotto controllo leemozioni ed avere un atteggiamento controllato ed è que-sto che rende questo sport molto difficile. Ma occorreanche una buona preparazione fisica, che considero fon-damentale contrariamente a quanto si può pensare.

D. Puoi raccontarci qualcosa su come si allena untiratore di alto livello come il tuo?R. Per quanto riguarda la preparazione fisica vado inpalestra di almeno tre volte la settimana con circa tre ore di allenamento fatto la matti-na. Nel pomeriggio verso le 14.30 vado in poligono adallenarmi; andarci dopo la palestra mi aiuta a sentirmitonico e soprattutto a ricreare determinate condizioni didisagio fisico, causato dallo stress, che spesso ritrovo ingara.La durata e il tipo di lavoro che faccio in un allenamen-to al poligono varia in base alla specialità che faccio, sepistola libera o metri dieci, ma generalmente sono dueore e mezzo circa. Gli allenamenti dipendono molto dal-l’importanza della gara che dovrò affrontare. Se è unagara importante nella settimana precedente andrò 3 – 4volte in poligono imponendomi di fare gruppi di 10 colpiad alto livello, quindi sempre una preparazione agonisti-ca molto impegnativa. Mentre nel periodo che precede lasettimana precedente do più importanza al carico di lavo-ro aumentando il numero dei colpi, senza dimenticare laqualità. Quindi è un lavoro che serve per aumentare laresistenza mantenendo la qualità nei colpi. Per ogni specialità mi alleno per due giorni consecutivi,e questo mi permette di fissare meglio le cose che hovisto il giorno prima. Il numero di colpi chiaramentevaria, ma siamo sempre da 60 a 100.

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L ’ I N T E R V I S T A : B R U N O F R A N C E S C OL ’ I N T E R V I S T A : B R U N O F R A N C E S C O

In questa sezione verranno pubblicate interviste con atleti, presidenti, tecnici e personaggi del mondo del tiro. Molte doman-de potranno essere le stesse, per potervi dare un’idea di come siano diverse le scelte, i comportamenti ed i risultati di fron-te agli stessi eventi.

a cura di Daniele Puccioni

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D. Per la preparazione di un nuovo anno agonistico,segui un programma preciso oppure i tuoi allenamen-ti li costruisci strada facendo?R. All’inizio dell’anno so quali sono le gare internaziona-li, ma com’è attualmente strutturata la selezione per lapartecipazione dei mondiali, non posso dire di esseresicuro di parteciparvi. So che ci sono buona possibilità,ma la mia partecipazione è sempre subordinata al risulta-to fatto in una selezione. Questo mi condiziona un po’perché se per qualche motivo (per ragioni di salute odaltro che esulano dalla mia preparazione) non produrrò ilrisultato necessario, sarò fuori dalla partecipazione. Finoad oggi credo di aver dimostrato il mio valore sia comepersona che come sportivo, e credo che questo metodosia penalizzante, in considerazione anche del numero diatleti che abbiamo in questo momento in Italia.Nonostante questo sono riuscito a vincere le qualificazio-ni sia di aria compressa sia di libera e a fare un buonrisultato ai Mondiali. Questo mi ha permesso di ottenerela carta olimpica e quindi il mio obiettivo l’ho centrato.Durante l’anno non ci pensavo alle selezioni, ma più siavvicinava la data e più che lo sentivo come ostacolo alrisultato che dovevo produrre. Allora ho cercato didimenticarmele, perché altrimenti avrei sprecato troppeenergie solo per fare la selezione e ne avrei risentito suc-cessivamente nei Mondiali.

D. Secondo te che scopo hanno queste selezioni.Tenendo conto del carattere di noi italiani e anche delnumero limitato degli atleti disponibili, pensi chepossa essere utile questo sistema per formare unasquadra competitiva?R. Io credo che le selezioni servano, questo presupponen-do che abbiamo per esempio tre o quattro tiratori allostesso livello. Purtroppo in Italia non ne abbiamo, neabbiamo uno o due, quindi sarebbe opportuno lasciarlitranquilli; sicuramente le selezioni sono utili per il terzoposto in squadra, poichè i tiratori, per questo posto,potrebbero essere di più e allo stesso livello.

D. Vorrei capire bene, ma se per assurdo il miglioredella squadra faceva un risultato pessimo, verrebbeescluso dai mondiali?R. Si. C’è l’esempio di Fait, il quale ha partecipato alleselezioni per i Campionati Europei di aria compressa, maha sbagliato la gara e non si è qualificato.

D. Qual è la cosa più bella che ti ha dato il tiro asegno, quella che ricordi con maggior piacere.R. Innanzitutto mi ha dato un lavoro. Perché facendoparte delle fiamme gialle ho la possibilità di fare quelloche mi piace di più e al tempo stesso ricevere uno stipen-dio. Inoltre mi ha formato caratterialmente, e mi ha sen-z’altro migliorato. Ed è per questo motivo che lo consi-glio, specialmente ai giovani.

D. Ci sono stati momenti negativi nel tuo percorso diatleta? E come sei riuscito a superarli?R. Certo, ci sono stati. Questo a causa del mio modo diessere, perché mi esalto molto facilmente e allo stessomodo mi abbatto se le cose non vanno per il verso giusto.Quindi se in allenamento non riesco ad ottenere il risul-tato che voglio, mi preoccupo. C’è stato un momento unpo’ particolare. Da circa due anni sparo con la Benelli amt. 10, perché dopo le olimpiadi c’è stata la possibilità diuna collaborazione con loro, e mi piaceva entrare nel pro-getto di quest’arma, di farla un po’ mia. Ma non tinascondo che nei primi mesi che ho cambiato arma, hoavuto difficoltà perché pretendevo di fare gli stessi risul-tati. Ma invece è un’arma che va capita per poter dare ilmeglio. Quindi sono dovuto ripartire da zero.Non ho sparato bene per i primi tre mesi della stagione,però successivamente ho fatto un 588 nei giochi delMediterraneo, e poi ho vinto i Campionati Italiani di spe-cialità.

D. Quanto valore in termini di prestazione, puoi attri-buire all’arma e quanto invece dipende dalla capacitàdi adattamento dell’atleta di abituarsi a qualsiasiarma di ottima qualità.R. Senz’altro l’attrezzo ha una grande importanza. Lamaggior parte di quelle in commercio sono molto similiin termini di rendimento e prestazioni, anche se differen-ziano per alcune caratteristiche ed accorgimenti tecnici.Ritengo che sia fondamentale avere un certo feeling conl’arma, e anche l’aspetto estetico se si vuole può avere lasua importanza; deve piacere insomma. Sulla Benelli, peresempio, adopero un compensatore non di serie, ma stu-diato apposta per me che serve a spostare il baricentro unpo’ più indietro. Questo a me piace e lo trovo soddisfa-

cente secondo le mie aspettative e mi fido della rispostadell’arma. Mentre nell’aria compressa soffro un po’ afare i punti, nella pistola libera invece mi diverto di piùperche è all’aria aperta, e mi stimola di più per la diffi-coltà; per esempio quando riesco a fare un 50 o un 48 midiverto molto e mi da molta più soddisfazione. Nei 10 metri sia ha “l’obbligo” di fare sempre 10 e que-sto mi crea più stress. I margini di errore invece nellalibera sono maggiori.

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D. Che consiglio daresti a chi desidera iniziare a faretiro e soprattutto a chi è intenzionato a farlo seria-mente? R. Occorre trovare il tempo di andare in poligono ed alle-narsi almeno 2 o 3 volte la settimana per circa 2 ore. Poinel fine settimana è importante anche dedicarsi ad unapreparazione fisica di base. Questo aiuta molto.Durante l’allenamento in poligono è necessario allenarsiseriamente, estraniandosi da tutto e da tutti e lasciandosiil piacere di fare due chiacchiere con gli amici soltantoalla fine. Occorre anche darsi degli obiettivi ed una pro-grammazione del lavoro da seguire. Non si può inventar-si un allenamento su momento, occorre saperlo prima,altrimenti diventa inutile.Occorre anche ricreare in allenamento delle situazioni distress per abituarsi a fare in gara gli stessi punti.

D. Secondo te esiste nel nostro sport la figura del fuoriclasse come negli altri sport, dove il successo è ampia-mente merito delle sue doti innate? Oppure essere unCampione nel tiro è dovuto più ad un duro lavoro dipreparazione?R. Sicuramente se abbiano delle doti innate diventa piùfacile arrivare a dei buoni livelli, però non essendo unosport essenzialmente fisico, questa dote è meno rilevanteche negli altri sport. Questa caratteristica rende il nostrosport veramente per tutti. Ed è per questo che mi rivolgoa quelle persone che hanno cominciato e che non otten-gono subito dei risultati, non devono abbattersi e nondevono abbandonare, perché se uno si allena con costan-za i risultati non tarderanno ad arrivare. Stare dentro ilnove non è difficile, quindi ci si può togliere la soddisfa-zione di qualificarsi per i campionati italiani per esempio,e quindi avere la possibilità di misurarsi con i miglioriatleti italiani, e questo non è poco.

D. Puoi raccontarci le sensazioni legate alla tua vitto-ria più bella? R. La vittoria più importante è stata sicuramente quelladella Coppa del Mondo a Monaco nel 2003. E’ stato perme un sogno perché sono riuscito a vincere in quella cheè un po’ considerata l’università del tiro, ho vinto nellaPistola Libera che è la specialità che più mi piace, ed hoottenuto anche la carta olimpica della mia prima olimpia-de. Inoltre ricordo di aver messo dietro Wang che tuttiricordiamo per la vittoria di Dido alle olimpiadi. E’ statoun sogno, proprio come l’avevo immaginato. Ricordoanche che ero il più giovane ed inesperto degli 8 dellafinale; nei momenti precedenti parlai con il CT che inquel momento era Gino Beonio; mi chiese se avessi vintola carta olimpica, in quale specialità mi sarebbe piaciutovincerla, e io gli dissi nella pistola libera. E così è stato.

D. Nei giorni precedenti ad un incontro importante,cambi qualcosa nelle tue abitudini?

R. Cerco di mantenere le stesse abitudini e di essereabbastanza regolare, di non pensare alla gara, e di staretranquillo perché se so di essermi preparato bene ho lecarte in regola per fare un buon risultato. Se invece so dinon essermi preparato al massimo, non posso pretenderedi fare gli stessi punti di sempre; è importante esserecosciente in qualunque momento delle reali possibilità.

D. Ci puoi dare qualche informazione sulla tua ali-mentazione?R. Anche nell’alimentazione mantengo le stesse abitudi-ni. Se però so di avere una gara la mattina presto, cercodi fare una colazione a base di fette biscottare e marmel-lata, senza appesantirmi troppo ma che mi dia un buonapporto energetico. Andando all’estero a volte mi trovoun po’ in difficoltà se a pranzo non trovo la pasta perchéè uno dei piatti che non riesco a rinunciare, ma questoproblema il più delle volte non sussiste dato che quasitutte le gare sono la mattina presto ed ormai tutti glialberghi hanno tutti una colazione internazionale che rie-sce a soddisfarmi. Comunque cerco di far attenzione a mangiare le cose piùsemplici possibile in modo da evitare il pericolo di poterstar male.

D. Fai qualcosa comepreparazione mentale?R. No, ma da quest’han-no abbiamo uno psicolo-go che collabora con lanazionale ed con il qualefatto dei colloqui. Devoessere sincero, non credomolto nella preparazionementale, perché trovoche far questo tolgatempo alla mia prepara-zione tecnica. Però ades-so sto seguendo un con-siglio dello psicologo che sto usando in gara, dato chefaccio un po’ di fatica sulla prima serie. Questo mi è ser-vito a migliorarmi da un punto di vista tecnico.

D. Hai un “rituale” o un’abitudine che adotti duran-te le gare?R. Mi piace l’ordine e ho l’abitudine di posizionare tuttigli accessori di tiro con un ordine quasi maniacale. Tuttodeve essere al suo posto.

D. Puoi darmi una tua definizione di “vittoria”?Quanto è per te importante vincere? Se dovessi dareuna valutazione da uno a dieci?R. Senz’altro 10. Perché è la realizzazione per tutto illavoro che faccio. Vado in gara per vincere. Alla fine siricordano le vittorie, non si ricordano i punteggi.

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Costruzione del programma di preparazione agonistica

Una visione d’insieme

Con la conclusione dei Campionati Italiani del 2006,ha fine ufficialmente l’anno agonistico in corso,anche se continuano ad esserci impegni agonisticisecondari.Dopo una pausa di riposo e riflessione più o menolunga, si ricomincia a pensare al nuovo anno, connuovi progetti, speranze, promesse d’impegno a faremeglio, ecc.Ma poi gli intenti, pur buoni che siano, si scontre-ranno con la quotidianità, con il poco tempo liberodi chi non fa del tiro una professione, con i proble-mi personali e tante altre cose. Quindi è probabileche alcune delle promesse fatte a noi stessi nonpotranno essere mantenute, per mancanza di tempo,idee ed altro. Per questo motivo si renderà necessa-rio utilizzare tutte le nostre energie per ottimizzareal massimo il tempo che dedichiamo al tiro, per otte-nere il miglior risultato possibile.Dobbiamo quindi fare un lavoro a tavolino, utiliz-zando tutti i dati a nostra disposizione per stabilireche tipo di lavoro dobbiamo fare e quando lo dob-biamo fare.Ma prima di cominciare è importante raccoglierealcune informazioni basilari che ci serviranno suc-cessivamente per costruire il programma.Innanzitutto avremo bisogno di stabilire quali sonostati i problemi tecnici e agonistici riscontrati nellastagione agonistica passata. Se avremo già raccoltodurante lo scorso anno degli appunti su questo, sare-mo facilitati nello stabilire su cosa cominciare alavorare, altrimenti dovremo affidarci alla memoriao a test di valutazione specifici. Successivamenteanalizzeremo le date di gara del nuovo programmaagonistico. Questo ci permetterà di stabilire dellescadenze da rispettare per il raggiungimento dellaforma voluta. Un’altra cosa importante è stabilirequanto tempo vogliamo o possiamo dedicare a que-

sto sport, perché è in base al tempo a disposizioneche potremo decidere come impostare i nostri alle-namenti; se avremo poco tempo non potremo per-metterci di entrare troppo nei dettagli, ma saremocostretti a trovare delle scorciatoie per arrivare aduna preparazione che dia almeno garanzia di unminimo di rendimento, concentrandosi quindi suglielementi essenziali della preparazione. Una sceltache può portare ad un rendimento insoddisfacente,ma consapevoli del fatto che non si poteva fare altri-menti.Lo scopo è anche quello di avere la convinzione diaver lavorato bene per il tempo a disposizione, diaver fatto il possibile. Questo ci darà forza e tran-quillità nell’affrontare le competizioni.

Adesso andremo ad elencare uno schema di massi-ma, di tutti quei punti che compongono un buon pro-gramma di preparazione agonistica. La successionedi questi argomenti darà già una prima indicazionedell’ordine con cui procedere nella programmazio-ne.

Successivamente analizzeremo ogni argomento inmaniera approfondita, per costruire passo passo lanostra preparazione.

Gli argomenti da considerare sono:1. Informazioni sulla passata stagione agonistica,

stabilendo i punti deboli ed i punti di forza della per-sonale preparazione tecnica e agonistica.

2. lo stato di preparazione all’inizio della prepara-zione, tenendo presente che questo servirà a capiresu quali elementi dovremo cominciare a lavorare.Quindi occorrerà conoscere e valutare:

• preparazione fisica;• preparazione tecnica (postura, equilibrio, diame-

tro delle rosate, errori tecnici ricorrenti, ecc.);• controllo dell’attrezzatura (se ci sono modifiche

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P R E P A R A Z I O N EP R E P A R A Z I O N EA G O N I S T I C AA G O N I S T I C A

di Daniele Puccioni

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da apportare all’arma riscontrate nello scorso annosportivo, questo è il momento di farlo);

• controllo medico se necessita (stato fisico, vistae rinnovo certificato medico agonistico);3. scelta degli obiettivi (forse l’elemento più impor-

tante del programma)4. analisi per programma sportivo, per conoscere le

date delle gare importanti e la scelta di quelle di pre-parazione.

(a questo punto abbiamo una base di partenza, sap-piamo dove vogliamo arrivare e, con le date dellegare, abbiamo anche un termine entro il quale com-pletare la preparazione prevista)

Poi passeremo a formare il programma vero e pro-prio:

5. Costruzione del programma annuale di massima:la struttura generale del nostro programma sul qualevanno riportate le date delle gare, gli intervalli deinostri allenamenti e l’inserimento dei nostri obietti-vi da raggiungere entro una data di previsione dimassima

6. Il programma annuale andrà poi suddiviso in

periodi mensili o settimanali (in funzione delladisponibilità personale) per stabilire, in un precisointervallo di tempo, il lavoro da fare e cosa raggiun-gere in termini di miglioramento, tenendo sempresotto controllo il piano annuale7. A questo punto non resta che analizzare il singo-

lo allenamento, allocato all’interno dell’intervallotemporale prescelto, nel quale verranno riportate lespecifiche tecniche e agonistiche del lavoro previsto

Affinché tutto questo lavoro funzioni e dia i risultatisperati, ogni allenamento dovrà anche rispondere acaratteristiche ben precise:

• Deve essere il più dettagliato possibile(determinazione del numero dei colpi, suddivisi tratecnici ed agonistici con la descrizione di quello chesi andrà a fare e per quale scopo)

• Deve avere la massima flessibilità (conl’insorgenza di problemi tecnici non previsti sidovrà modificare di conseguenza quanto program-mato per assoggettare il nostro lavoro a questenuove necessità)

• Si dovrà trasformare il lavoro fatto in dati(da utilizzare per verifica o modifica del lavoro suc-cessivo)

Per ottenere una buona preparazione dovremo consi-derare attentamente come ripartire all’interno del-l’allenamento i principali elementi che contribuisco-no al raggiungimento della forma sportiva: prepara-zione fisica, allenamento tecnico, allenamento ago-nistico, preparazione mentale. La suddivisione deicarichi di lavoro tra questi elementi varia in funzio-ne del momento preso in considerazione. Nel perio-do che precede l’inizio della stagione agonistica e gliallenamenti preparatori, l’attività fisica avrà tutta lanostra attenzione, successivamente la quantità dellavoro tecnico diminuirà con l’avvicinarsi di gareimportanti per lasciare maggior spazio a quello ago-nistico e mentale.Non può essere indicato un rapporto ben preciso chelega questi elementi perché questo è del tutto indivi-duale, in quanto dipende dall’attitudine, dalla prepa-razione, da tanti altri aspetti, ma comunque in lineadi massima le indicazioni saranno quelle indicate.A questo punto si avrà almeno un’idea di massima sucome poter organizzare il lavoro durante l’anno, perottimizzare al massimo le nostre risorse.Forse alla prima impressione, può sembrare un lavo-ro impegnativo e pesante, ma meno di quanto sem-bra, anzi in un certo modo ci faciliterà il compito,sapendo sempre in qualunque momento cosa si devefare. Ma soprattutto verrete ricompensati con qual-che brutto risultato in meno, e non proverete piùquella frustrazione dovuta a una mancanza dimiglioramenti a causa di allenamenti senza unoscopo poiché con una minima programmazione, tro-verete in ogni seduta di allenamento un lavoro checorrisponda alle vostre reali esigenze e necessità.Penso ne valga la pena…

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CONTROLLO DEL PUNTO DI MIRA

Il controllo del punto di mira è uno di quegli elementi fonda-mentali che contribuisce in maniera preponderante (assieme aduna buona azione dello scatto) a mantenere rosate strette eomogenee, oltre a dare un senso di maggiore sicurezza duran-te lo scatto.Nonostante la sua indiscussa importanza va comunque tenutonella giusta considerazione, perché se sottovalutato può faraumentare il diametro delle rosate, pur mantenendole di formacircolare, con una conseguente diminuzione, anche notevole,del punteggio.Allo stesso modo, se questo elemento viene sopravvalutatotanto da concentrarvi buona parte della nostra attenzione, adiscapito degli altri elementi, può generare errori nello scatto,insicurezza con relativo aumento del livello di stress, e sicura-mente una fatica maggiore a causa delle numerose rinunce perpunterie fuori della zona considerata “sicura”. Questo perchémolte volte si pretende di mantenere un controllo quasi osses-sivo di una zona di mira molto ristretta.Prima di passare a indicare alcuni esempi da utilizzare negliallenamenti tecnici, per allenare ad un maggior controllo diquesto elemento, è opportuno dare un chiarimento sulla realeimportanza del punto di mira. Una prima domanda potrebbe essere: quanto è importante cheil riferimento del punto di mira sul bersaglio sia preciso? Unaparziale risposta potrebbe essere cambiando il termine di“punto” in “zona”. Apparentemente mantenere questa zona piùristretta possibile ci fa pensare ad una maggior precisione equindi a rosate più strette. Tecnicamente questo è giusto, madobbiamo pensare a quello che succede nella realtà, quandoabbiamo un oggetto di 1 kg. circa da tener fermo, a quello chesuccede in gara quando dobbiamo rendere al massimo e nonultimo alla personale preparazione sia tecnica, fisica e menta-le che condiziona la prestazione. Se questi tre elementi dellapreparazione (fisica, tecnica e mentale) sono allenati perfetta-mente, una zona di mira ristretta porterà sicuramente ad unamaggior concentrazione di colpi nel centro. Ma la situazionenella maggior parte dei tiratori è diversa; abbiamo a che farecon le oscillazioni del braccio, ad una tecnica più o menoimperfetta, allo stress di gara che condiziona sia i nostrimuscoli sia i nostri riflessi.In questa situazione pretendere di far partire il colpo quandosiamo ESATTAMENTE nel punto di mira prescelto e solo inquel punto, può portare a risultati anche disastrosi.In queste condizioni dobbiamo capire quali elementi del gestotecnico riusciamo a tenere sotto controllo e su quali elementiinvece il controllo può essere affidato alla preparazione e agliautomatismi acquisiti. Pertanto dobbiamo dare delle priorità.Gli elementi sui quali dobbiamo necessariamente avere il mas-simo controllo saranno sicuramente lo scatto e gli organi dimira, poiché qualsiasi azione non corretta di questi, porterà ad

un risultato non ottimale.Una postura mal impostata contribuirà certo negativamente sulrisultato, ma questo potrà benissimo essere verificata in caso dinecessità.Quindi passiamo a valutare che margine di errore abbiamo sulcontrollo del punto di mira. Se il nostro braccio non ha rag-giunto una stabilità sufficiente, sarà inutile e dannoso ossessio-narci a scattare solo quando gli organi di mira sono dentroun’area molto ristretta.Sarà molto più produttivo mantenere gli organi di mira allinea-ti dentro una zona più ampia ed eseguire un buon scatto; que-sto priverà innanzitutto dell’ansia di “tirare fuori”, paradossal-mente il braccio oscillerà di meno, e avremo una diminuzionedi rinunce, che permetteranno di terminare gli ultimi colpi digara con meno fatica.Ma quanto può essere ampia questa “zona”?Potete fare delle prove per rendervi conto, ma per rimaneredentro al nove la zona di mira potrebbe essere appunto… gran-de quanto il diametro del nove.

Questo sarebbe vero se: 1. si scattasse nel miglior modo possibile2. si mantenessero gli organi di mira allineati3. le oscillazioni del braccio dentro questa zona fossero

costanti e soprattutto non ci fossero movimenti volontaridurante l’azione di scatto.

Con questi presupposti possiamo garantirci di stare dentro alnove avendo come riferimento una zona grande all’incirca dalbordo del nero fino a metà dell’anello del 3! Senza pensare chepoi non abbiamo considerato il diametro del pallino cheaumenterebbe la zona “sicura” di altri 9 mm. circa.

Ma se è così semplice perché non succede sempre?Perché ci sono altri elementi che interferiscono, ben più impor-tanti e difficili da controllare o anche una somma di variecause che non ci fanno prevedere cosa causerà un errore nel

CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

T E C N I C AT E C N I C A

di Daniele Puccioni

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risultato.Lo scopo di questi esercizi sarà di mantenere il controllo den-tro una zona abbastanza ampia, lasciando che il braccio abbiale sue naturali oscillazioni che cercheremo di non controllare,poiché facendo questo non faremo altro che aumentare ilmovimento del braccio, in quanto tale controllo tenderà asovracorreggere oltrepassando il limite considerato sicuro; laconseguenza di questo sarà un aumento delle oscillazioni delbraccio. Lasceremo quindi che il braccio sia “libero” dentro aquella zona, affidandoci alle naturali oscillazioni di un braccioallenato, cercando di impegnare solo i muscoli necessari asostenerlo e cercando di rilassare quelli non partecipi, preoc-cupandoci “solo” dello scatto e degli organi di mira.Un altro elemento “disturbatore” che entra in gioco durante lamira è la sagoma nera del bersaglio da colpire, che scatena innoi timori più o meno profondi: la paura di andare troppo lon-tano o troppo vicino al bordo del nero; l’occhio che attirato dalbersaglio si focalizza su di esso anziché sul mirino; la presun-ta difficoltà di colpire il “dieci” o anche la “necessità” di col-pirlo a tutti i costi. Ma queste sono solo una piccola parte dellecose che ci inventiamo per renderci la vita difficile.

In questa serie di esercizi portati come esempio (ma ne potre-te inventare quanti ne volete) si cercherà di creare rosate stret-te, in qualunque zona del bersaglio, e servirà a farvi compren-dere che usando la vostra capacità tecnica non avete bisogno dinessun punto di riferimento per fare delle buone rosate strette.

***Esempio n.1:

In questo esercizio avremo come obiettivo di creare rosate piùstrette possibile in qualunque zona del bersaglio decidiate.

SCOPOL’obiettivo prefisso è più di uno:

• prendere più confidenza possibile con lo spazio sotto-stante alla sagoma nera.

• Capire quanto realmente vale, in termini di spazio equindi punti, lo spostamento ottico degli organi di mira di unvalore X dalla zona usuale di riferimento

• Imparare a svicolarvi dall’ossessione creata dal nero,evitando di considerare ogni deviazione millimetrica dal puntodi mira come “peccato mortale”

• E, più importante di tutto, imparare a mantenere lavostra attenzione sugli organi di mira

ISTRUZIONISi procede molto semplicemente. Sul solito bersaglio sceglierete una zona di mira qualsiasi, perpraticità nella parte del bersaglio sotto la sagoma nera.Nella figura abbiamo portato come esempio il punto A o B.In questo modo sarete costretti a riconsiderare l’immagine,ormai consolidata dentro di voi, degli organi di mira-bersaglio,e sarete costretti a focalizzare la vostra attenzione solo sugli

organi di mira. Ma che differenza c’è a questo punto, tra que-sto sistema e quello delle punterie su bersaglio bianco?Appunto di aggiungere il nero come riferimento e di stabilireuna distanza da esso, controllare che la distanza sia sempre lastessa con la finalità di effettuare rosate strette. Quindi di abi-tuarci a mantenere il “controllo” della zona prescelta, diversada quella abituale.

Apparentemente può sembrare semplice, ma nella praticanoterete che innanzitutto la posizione della rosata sarà moltodiversa da quella prevista, e cioè molto più vicina al nero diquanto vi aspettate. Questo vi aiuterà a capire quanto marginedi errore avete a disposizione. In seguito potrete notare manmano che i colpi aumentano, un allungamento della rosata indirezione del bersaglio. Sicuramente se avviene è a causa di uncattivo controllo degli organi di mira, ma denota anche un altrofattore, che in qualche modo siete “risucchiati” verso il nero,appunto verso il centro del bersaglio per ristabilire la stessaimmagine a cui siamo abituati.

COLPI PER SERIE:15 colpi sarebbe il minimo per avere una rosata che dia infor-mazioni sufficienti, ma questo numero può benissimo variare.Sarebbe sconsigliabile portare a 10 colpi per non avere la ten-tazione di fare “paragoni” con serie di gara e rosate da 10colpi. Qui siamo in una fase dove il punteggio non ci interes-sa assolutamente.

TEMPO:Tutto il tempo che ci è necessario, poiché ogni colpo deveessere accurato e tirato solo quando siamo sicuri del risultatotecnico.

Nei prossimi numeri di CONCENTRICA saranno inseriti altriesercizi sia per migliorare questo elemento tecnico che peraltri.

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Nel prossimo numero: rilettura de ‘L’arte della guerra’ di Sun Tzu

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La scelta del “pallino”Linee guida per l' ottenimento del miglior

connubio attrezzo-tiratore-munizionenella disciplina di Pistola a 10 metri.

By R. Martinelli 2006

Tutti noi abbiamo sentito parlare della scelta dellagiusta munizione come elemento determinante per l'ottenimento di prestazioni superiori nel tiro; cio' e'sicuramente vero, ma, a mio avviso, vanno postidegli importanti “paletti” sul “quando” e soprattuttosul “come” effettuare questa ricerca, quando questaviene effettuata nell' ambito del tiro con pistola a 10metri.

1 – Il “Quando”

Ogni tiratore dovrebbe essere innanzitutto il primo epiu' severo critico di se stesso, coniugando questa

severita' con lagiusta dose difiducia in se stes-so; egli dovrebbeessere percio' ingrado di valutarecon spassionatasincerita' il pro-prio livello tecni-co e psico-fisico,ed intraprenderel' attivita' di sele-zione del migliorpallino solo unavolta raggiuntauna media di gara

in cui il “pallino” giusto possa realmente fare la dif-ferenza. Troppo spesso infatti, si vedono sui campidi gara tiratori che non riescono a “tenere” il neroma che utilizzano pallini selezionatissimi e costosis-simi senza poterne trarre beneficio alcuno.Ricordiamoci con umilta' che il lavoro piu' grandeva sempre fatto su di noi stessi.Chi scrive ricorda che effettuo' questa ricerca al rag-giungimento della media di gara del 9.3; ognuno e'ovviamente libero di fissare la soglia dove vuole,

purche' cio' avvenga a medie ragionevoli, in cui ilcambiamento possa portare benefici effettivi al tira-tore, e non solo al negoziante.....

2 – Il “Come”

Bisogna considerare che, nella pistola a 10 metri, icriteri di selezione non possono coincidere comple-tamente con quelli utilizzati nella selezione dellemunizioni per le discipline a fuoco, a causa di alcu-ni fattori che andiamo ad analizzare.Nelle discipline a fuoco, per esempio, si ricerca inassoluto la migliore precisione e ripetitivita', a voltea scapito della velocita' di bocca, che comunquerimane piu' o meno costante tra i vari tipi di muni-zioni da gara ( ad esempio, piu' o meno tutte lemunizioni per PS si attestano sui 300-310 m/s, quin-di e' logico che, con velocita' paragonabili, la sceltavenga effettuata unicamente su criteri di misurazio-ne della rosata, a sua volta indice di costanza velo-citaria, ponderale e di forma ).La discriminante che impone, nel tiro di pistola a 10metri criteri di ricerca diversi, che portano, comevedremo, a privilegiare la velocita' del pallino ha unnome e un cognome : Tempo di Canna ( che d' orain poi chiameremo TC ).Il lavoro meccanico compiuto sulla base del pallinolungo il suo tragitto all' interno della canna e' mate-maticamente dato dall' integrale della curva di pres-sione nel tempo, che equivale all' area sottesa a talecurva. Va da se' che un pallino piu' pesante subira'un' accelerazione minore rispetto ad un pallino piu'leggero, iniziera' a muoversi piu' tardi a causa dellasua maggiore inerzia, e a parita' di lavoro meccani-co P*V ( pressione*volume ) compiuto su di essopercorrera' la canna in tempi piu' lunghi acquisendoinfine una velocita' di bocca inferiore.Il mercato propone, per le discipline di tiro accade-mico a 10 metri, pallini di peso variabile da circa 7grani ( 0,453 grammi ) a 9,3 grani ( 0,602 grammi ).Le graniture piu' “gettonate” risultano essere i 7,5grani ( 0,486 grammi ) per la P10 e gli 8,2 grani (0,531 grammi ) per la C10.Dai rilevamenti cronografici effettuati su un nume-ro abbastanza vasto di pallini diversi, e' emersa unadifferenza di velocita' che puo' tranquillamente rag-giungere il 33%, con velocita' che vanno dai 120m/s ottenuti con pallini da 9,3 grani ai 160 m/s otte-nuti con pallini da 6,9 grani.Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe, lerosate in morsa ottenute in concomitanza con le

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M u n i z i o n i A CM u n i z i o n i A C

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prove cronografiche su serie di 5 pallini, hannomostrato come, a parita' di attrezzo ( Hammerli480), le deviazioni standard ( scarto quadraticomedio ), anche grazie alla regolarita' della propulsio-ne ad aria, siano state in tutti i casi bassissime, e ledifferenze di rosata tra i pallini piu' precisi ( e pesan-ti ) e quelli meno precisi sia stato di due-tre decimidi millimetro ( la rosata dei primi essendo un unicobuco perfettamente circolare, la seconda essendo unbuco leggermente ellittico ).Tirando le somme, per guadagnare 2-3 decimi dimillimetro siamo costretti ad aumentare di un terzoil TC (a parita' dei tempi di attuazione della mecca-nica, che sono praticamente costanti e indipendentidal pallino). Se cio' ovviamente non ha importanzaalcuna durante le prove, dato il permanere dell'attrezzo in morsa, (e puo' costituire un vantaggio inallenamento, consentendo una migliore visualizza-

zione dell' errore), ne assume, e molta, durante l' uti-lizzo in gara da parte dell' agonista, che si ritrovaamplificati sul bersaglio gli eventuali errori ( colpidi dito, tremori ecc.) a causa del prolungato perma-nere del pallino all' interno della canna durante l'azione di tiro, errori che di solito portano alla perdi-ta di millimetri o, nella peggiore delle ipotesi, centi-metri.Bisogna infatti considerare che, sempre riferendoci

per paragone alla PS, fatti salvi i tempi meccanici, ilTC nella P10 e' mediamente di 8-10 volte superiore,e se da un lato l' aumento di questo fattore di ampli-ficazione dell' errore e' comodo nelle fasi di avvici-namento al tiro accademico, rendendo la P10 ladisciplina ideale per l' apprendimento e/o il perfezio-namento del gesto sportivo, dall' altro puo' essereestremamente deleterio per il punteggio in condizio-ni di gara, trasformando maga-ri un “9” a margine in un “7” oun “8” in un “6”.La scelta di un pallino leggeroe veloce, che minimizzi il TCe' quindi a mio avviso consi-gliabile per il 99 % dei tiratorial di sopra del 9 di media, chedevono quindi ancora svolgere una consistente moledi lavoro su se stessi e sul gesto, mentre il restante1% ( che “veleggia”, beato lui, su medie superiori al9,5 ), data la padronanza del gesto acquisita, puo'orientarsi su pallini piu' pesanti con i quali “spreme-re” il proprio massimo. In entrambi i casi, comeovvio, all' interno della stessa tipologia di pallino,selezionata con i criteri sopra descritti, andra' effet-tuata una ulteriore scelta in base al diametro piu'“gradito” dalla canna e dalla rigatura del nostrobeneamato attrezzo, ossia quello con cui, a parita' dipeso e tipo, si otterra' la rosata piu' ristretta con l'attrezzo in morsa; molti fabbricanti, a questo scopo,rendono infatti disponibile lo stesso tipo di pallinocon diametri che vanno dai 4,48 ai 4,52 mm.

© R. Martinelli 2006

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Tratto dal gruppo di discussione collegato a CONCENTRICAhttp://groups.msn.com/bollettinodeitiratori

TIRATORI DI NAPOLI ALLA GARA DI BELGRADODall' 8 al 10 dicembre alcuni nostri tiratori hanno partecipato alla gara internazionale di tiro svoltasi a Belgrado chevedeva presenti ben 13 nazioni europee: Bosnia/Erzegovina-Bulgaria-Croazia-Macedonia-Grecia-Ungheria-Italia-Moldova-Montenegro-Russia-Serbia-Turchia-Ucraina. Capitanati da Giuseppe Giordano (si deve a lui il coinvolgimentodella nostra Società!) napoletano di nascita, tiratore di pistola della Nazionale che gareggerà per Napoli nella "TeamCup, i nostri rappresentanti, accolti affettuosamente, si sono ben difesi piazzandosi a metà classifica, dovendosi inchina-re davanti ai mostri sacri del tiro presenti. Giuseppe Giordano si è distinto piazzandosi al terzo posto. I tiratori parteci-panti:

CARABINALoredana Buschini, Massimo Genio, Alessia Russo, Fabio Russo, PISTOLAGiuseppe Giordano, Luigi Moffa, Diego Vierti

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di Gino Beonio Brocchieri

Non voglio sottovalutare gli aspetti non sportivi nell’at-tività della Sezione; mi rendo conto che l’attività istitu-zionale è fondamentale, sia perché ci qualifica EntePubblico, sia per gli importanti ritorni economici. Ma ame interessa lo sport e ritengo che l’attività sportiva eludica, se ben fatta, possa portare introiti e non costi e inogni caso costituisca l’immagine migliore della nostraFederazione..

Quando si parla di attività sportiva, di formule di cam-pionati o di gare in genere la prima domanda da farsi è:per chi?E’ proprio qui che, nelle scelte federali, vedo gli erroripiù grandi. C’è un’attività da programmare per i tiratori

di punta, una più generale per gli agonisti delle sezioni,una per i frequentatori non necessariamente agonisti.Sono tutte ugualmente importanti. Ma non vanno confu-se, come è stato fatto fino adesso, volendo raggiungerecon un solo regolamento di gara una cosa interessanteper tutti.

Attività al top. Serve per tenere al caldo la forza agoni-stica dei nostri tiratori di punta. Deve essere motivante(gare ad alto livello), deve far confrontare con i miglioriatleti internazionali. Se possibile gare ripetute. Ci sonogare siffatte in tutta Europa, ma se ci viene in mente dicopiarne una non dobbiamo fare quel tentativo abortitoquest’anno di simil- bundesliga La dove nasce ci sono numeri cento volte superiori ainostri ed ha una sua logica perché i numeri alti vogliono

dire tanta qualità e gare-spettacolo. E la possibilità conspettacolo e sponsor di invitare i migliori stranieri. Noi,con i numeri che abbiamo, possiamo allestire due squa-drette decenti, ma questo non significa fare spettacolo erichiamare pubblico (e media). E per assicurare spettaco-lo e pubblico non basta la circolare dell’Unione!

Attività per le Sezioni. Deve tener conto di quelli che inSezione sono stimolati ad un’attività di gruppo. Nessunlimite di età e sesso perché lo scopo è far gareggiare (gio-care) tutti assieme per un risultato che premi il gruppo.Cementa i rapporti e, se divertente, coinvolge tutti.Squadre miste, ad handicap, o come si vuole, l’importan-te è stare insieme e premiare i risultati migliori (indivi-duali ma soprattutto di squadra) Per l’attività individualeci sono i Campionati.

Attività ludica. Non deve rispecchiare regolamenti inter-nazionali. Gare brevi, pochi colpi, anche con armi non dagara (vedi Ferri Vecchi). Bersagli anche non convenzio-nali, piattelli, palloncini. Nella massima sicurezza, macon un piglio divertente.Con impianti girasagome stimolare la destrezza oltre allaprecisione. Pepper -popperCi sono le pistole a 5 colpi ad aria da valorizzare, il ber-saglio mobile con la pistola……ecc eccDeve raccogliere il grande pubblico degli appassionati.Da loro poi possono nascere gli agonisti.Non necessita di vincoli o “dictat” federali, ognuno inSezione può e deve inventare.E’ un’ attività poco seguita finora ma forse è la direzionepiù importante.

Con quel po’ di supponenza che in tanti ci ritroviamo,non dobbiamo chiuderci in recinti, ma aprirci ai consiglidi esperti di attività divertenti.

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T e c n i c a e T e c n i c a e

comportamentocomportamento

L’ATTIVITA’ SPORTIVA

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Quando concentrarsi diventa difficile. Un casoriuscito. Un possibile protocollo di intervento

Un giorno si presentò in studio un atleta di 30 anni. Era un pro-fessionista, gareggiava da 13 anni ad alto livello. Da lì a breveavrebbe avuto un periodo di gare molto importante. Mi disse:“Dottore, anche se gioco da molto tempo ho sempre lo stessoproblema; quando si avvicina la gara comincio ad avvertireuna strana tensione interna. Penso sempre di più alla gara edanche il mio corpo reagisce stranamente. Mi sento via via sem-pre più rigido, contratto e non riposo bene la notte. La seraprima della gara, sono nervosissimo.Quando entro in campo,nonostante io sappia quello che devo fare e come devo farlo,non riesco a concentrarmi perchè il pensiero “cade” su questesensazioni interne riguadanti il mio corpo. Talvolta penso chepotrei deludere gli altri e non riuscire ad esprimermi comedovrei.....”

La attenzione può essere spontanea (cioè involontaria, che"segue" gli stimoli così come si susseguono attorno all'indivi-duo) e conativa (cioè volontaria, focalizzata su un determinatostimolo). E' appunto questo secondo tipo di attenzione che èmolto importante nello sport e che è anche chiamata concen-trazione. Lo stile attentivo di Neideffer (1993), di seguito raffiguratospiega bene i diversi tipi di concentrazione.

Il Focus attentivo(Concentrazione) puòessere: ESTERNOAMPIO (Aware) tipicodei giochi di squadrae/o delle categorie"open skill"; ESTER-NO RISTRETTO(Focused) tipico dellediscipline o delle azionimotorie "closed skill";INTERNO AMPIO (Strategic) si riscontranelle pianificazioni digara o in determinatetipologie di pausa all'in-terno della stessa;INTERNO RISTRET-TO (Systematic) tipicadell'allenamento ideo-motorio.

L’atleta in questione riferiva un utilizzo “improprio” della suaattenzione in prossimità della gara con una prevalenza diFOCUS INTERNO RISTRETTO (sensazioni riguardanti ilproprio corpo o le proprie preoccupazioni) peraltro con conte-nuti non centrati sul COMPITO e, pertanto, distraenti rispettoalla prestazione. Tale comportamento era influenzato da uno

stato di attivazione psicofisica eccessiva ed anticipata rispettoall’evento gara (.......mi sento via via sempre più rigido, con-tratto e non riposo bene la notte. La sera prima della gara, sononervosissimo......) che alcuni autori definisco ANSIA DAPRESTAZIONE.L’intervento, in pieno accordo con il suo allenatore, è statodunque mirato al raggiungimento di due obiettivi:1. Gestione dello stato di attivazione psicofisica pregara2. Utilizzo corretto della concentrazione

Per imparare a gestire correttamente lo stato di attivazione psi-cofisica, è stato innanzitutto necessario valutare il grado di atti-vazione dell’atleta durante una settimana “tipo”. Grazie all’uti-lizzo di un cardiofrequenzimetro che ha permesso di visualiz-zare su monitor costantemente l’andamento della frequenzacardiaca prima, durante e dopo ogni allenamento, è stato pos-sibile conoscere la frequenza cardiaca standard associata aidiversi momenti della settimana dell’atleta. E’ stato successi-vamente insegnato all’atleta, con tecniche di rilassamento (tipotraining autogeno) a modulare a suo piacimento la propria fre-quenza cardiaca registrando ogni rilevazione seduda per sedu-ta. Sovrapponendo i grafici registrati, dopo solo 4 sedute,l’atleta ha dimostrato di aver appreso ai principi fondamentalidi conoscenza propriocettiva (derivanti dalle sensazioni delproprio corpo) che sono alla base della corretta gestione dellaattivazione psicofisica pregara. L’atleta ho poi raffinato taletecnica mediante l’utilizzo di un biofeedback (elettrodermico)con allenamenti quotidiani.Contestualmente si è lavorato sulla concentrazione dell’atleta.Allenare la concentrazione significa controllare i processimotori di pensiero, dirigere e mantenere l'attenzione su di uncompito per una corretta esecuzione incrementando le capaci-tà di: 1. selezionare gli stimoli su cui focalizzare l'attenzione,escludendo quelli irrilevanti 2. dirigere l'attenzione al momen-to opportuno verso le informazioni pertinenti 3. mantenere l'at-tenzione sugli stimoli rilevanti. L'affinamento e la gestionevolontaria della capacità di concentrazione vengono sviluppa-te attraverso il training propriocettivo e le procedure di rilassa-mento, andando così a costituire un insieme di abilità sinergi-che ed interconnesse e rappresentando le condizioni necessarieper la buona riuscita delle successive fasi di visualizzazione eripetizione ideomotoria. In questo modo, è stato possibile pre-parare un programma di preparazione mentale individualiz-zato caratterizzato da tecniche di allenamento ideomotorio(imagery). Con il supporto sia dell’atleta (sensazioni internelegate al gesto atletico) sia dell’allenatore (caratteristiche ester-ne del gesto atletico) sono state scelte delle immagini mentalicollegate a percezioni visive, tattili, uditive ed olfattive riguar-danti il gesto atletico perfetto che escludevano naturalemente(quindi senza un rinforno negativo “non devi pensare questo oguardare quest’altro...”) ogni fattore distraente rispetto al com-pito. Tale allenamento è stato applicato correttamente per trecicli di due settimane ciascuno al termine dei quali c’eranodella gare importanti.Tutte e tre le prestazioni dell’atleta sono state al di sopra dellamedia stagionale, le ultime due definite da tecnici e compagnidi squadra “eccellenti”. All’ultimo colloquio in studio, primadelle vacanze estive, mi disse:” Finalmente, dopo tanti anni digare, ho la sensazione di conoscere meglio il mio corpo, tuttele sensazioni che costantemente mi rimanda, affronto le gare,ma anche la vita in maniera più consapevole e serena....”.

CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

P s i c o l o g i aP s i c o l o g i ad e l l o s p o r td e l l o s p o r t

di Salvo Russo, psichiatra, psicoterapeuta, psicologia dello sport

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PEAK PERFORMANCE NEL TIRO A SEGNO

1° PARTE

QUASI UN MIRACOLO

Almeno una volta è capitato ad ognuno di noi di viverequella particolare esperienza, quello stato di grazia in cuiviene superato con estrema facilità il nostro record pre-cedente. Tutto avviene alla perfezione, con la netta sen-sazione di essere spettatori che assistono alla gara di unaltro e tutto avviene in maniera fluida e senza sforzo.Esiste una perfetta comunione tra mente e corpo, comese per la prima volta, si riuscisse ad esprimere il nostropieno potenziale, non più frenato dall'insicurezza, dallafatica, dai problemi tecnici od altro. Il braccio vola leggero verso il bersaglio, la mente èsgombra e chiara come è chiaro quello che dobbiamofare, ciò che dobbiamo guardare, e nell'unica frazione di

secondo in cui il colpo dovrebbe partire, parte davverosenza sforzo, senza volontà da parte nostra, e il colpovola preciso nel centro del bersaglio. Ma non c'è sorpre-sa da parte nostra, perché tutto ciò ci sembra normale. In quel momento sembra quasi di aver compreso i miste-ri del tiro, di aver capito "la ricetta per fare i dieci", quel-lo che abbiamo sempre cercato. E poi finita la gara ci sembra come risvegliarsi da unsogno, ma con la consapevolezza di aver toccato sponta-neamente la nostra vera potenzialità. E' un'esperienza che oltrepassa gli ordinari limiti di ren-dimento, le nostre più rosee aspettative, che vanno oltre

che le nostre attuali capacità tecniche. La gara successiva è un'altra storia, ciò che per unmomento abbiamo soltanto sfiorato, sembra scomparsoanzi sembra quasi un sogno; rabbia e frustrazione peraver commesso ancora una volta gli errori più banali,rendono la nostra prestazione ancora peggiore.

COSA E' SUCCESSO

Questa è sicuramente la domanda che ci facciamo allaquale difficilmente troviamo una risposta razionale, e cilimitiamo il più delle volte a suddividere le esperienze in

"giornate si" e"giornate no". Quello che ècerto che conle dovute tec-niche possia-mo riprodurrev o l o n t a r i a -mente situa-zioni ideali più

o meno simili a questa. Analizziamo come è successo: ci siamo trovati in com-pleta sintonia con noi stessi, dentro un "fluire" spontaneodi eventi, con un coinvolgimento totale delle nostre capa-cità mentali e fisiche, in cui gli automatismi acquisti ave-vano la possibilità di agire, non per un colpo, ma per tuttala durata della gara. Tutto ciò che normalmente rappresenta un ostacolo(noia, insicurezza, fatica, difficoltà a concentrarsi, coor-dinazione) è superato. Per molti atleti riprodurre questo stato ideale avviene piùsporadicamente, altri invece riescono a ricreare quellecondizioni mentali adatte a ricreare simili esperienze,anche se questo viene fatto inconsapevolmente, senza unmetodo razionale o tecniche specifiche. Pertanto il com-pito dell'allenatore sarà di fornire all'atleta tutti queglistrumenti e quelle tecniche affinché la peak performancesia un fenomeno volontario.

CARATTERISTICHE DELLA PEAK PERFORMANCE

Cercheremo ora di analizzare i punti fondamentali percercare di delineare una tecnica da seguire per consegui-re uno stato psicofisico superiore ed avvicinare il nostrolivello qualitativo al potenziale effettivo. In questo modo andremo a identificare tutti quegli ele-menti essenziali, quegli stimoli e quelle sensazioni vissu-te durante la nostra prestazione ideale. Tra tutte queste si individuano alcune fondamentali,come descritta anche da Garfield e Bennet (1984), che ciconducono alla costruzione di una strategia costruttiva: • Rilassamento mentale - un senso di calma interiore, di

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Preparazione agonisticaPreparazione agonistica

di Daniele Puccioni

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assenza di pensieri spontanei che permetteranno al dialo-go interno e agli automatismi acquisiti di agire con mag-gior efficienza;

• Rilassamento fisico - il nostro corpo risponde al mas-simo, con maggior scioltezza e con assenza di tensionimuscolari, dovuta anche al fatto che la nostra mente èrilassata al punto giusto;

• Fiducia e ottimismo - in quel momento siamo privi diogni dubbio, siamo sicuri di quello che facciamo e il cen-tro del bersaglio è un evento inevitabile, con la chiaraconsapevolezza delle nostre capacità. Abbiamo quasi lasensazione che non possiamo sbagliare neanche sevogliamo;

• Consapevolezza di sé - attingiamo senza sforzo allaparte più profonda di noi stessi, oltrepassiamo tutte quel-le barriere che ci impediscono e ci limitano non solonello sport, ma nella vita di tutti i giorni;

• Isolarsi dall'ambiente - non esiste niente altro al difuori noi e il bersaglio, ciò che ci circonda appare sfuo-cato, senza particolare rilevanza; rumori, persone,ambiente, tutto appare lontano e niente ci tocca minima-mente o è capace di disturbare la nostra concentrazione;

• Controllo sul presente - pensare colpo per colpo. E'stato ripetuto tante volte, ma in questo momento avvienespontaneamente, e tutti i dieci che abbiamo fatto non cidanno nessuna emozione: è un fatto inevitabile, una con-seguenza di quello che facciamo; e i colpi futuri li vivia-mo con gioia, per prolungare nel tempo questo stato per-cettivo straordinario;

• Massimo livello di energia psicofisico - non esiste fati-ca in questi momenti né mentale, né fisica e la nostraenergia nell'affrontare la gara sembra inesauribile: unaperfetta armonia con noi stessi.

• Controllo spontaneo degli automatismi - ogni gesto,ogni piccolo movimento, come abbiamo già detto, avvie-ne in maniera fluida e spontanea, senza nessuna fatica.Quello che in altri momenti dovevamo ricordare e con-centrare la nostra attenzione per una migliore esecuzio-ne, diventa facile, quasi banale. E questo perché siamo indiretto contatto con il nostro istinto che ci guida e fa siche ogni movimento automatico proceda senza influenzeinterne ed esterne.

• Giusta concentrazione - nessun rumore esterno chepenetra dentro di noi riesce a disturbarci, a distoglierci daquello che stiamo facendo. Mentre altre volte anche ilpiù piccolo movimento poteva in qualche modo attirarela nostra attenzione o infastidirci, adesso ci attraversa edesce senza fastidio, senza lasciare traccia.

ALTRI ASPETTI DELLA PEAK PERFORMANCE

Un altro aspetto che distingue la prestazione durante lapeak performance, dalle altre è l'alto livello di percezio-ne e di attenzione. Questa condizione è talmente elevata che spesso si mani-

festa un'altera-zione percetti-va del tempo edello spazio.Da esperienzeriportate daatleti chehanno vissutostati simili,viene testimo-

niata una dilatazione del tempo, in cui tutti i movimentie soprattutto l'istante in cui il colpo viene sganciato appa-iono molto più lunghi del normale, permettendo così dieseguire il "gesto" in maniera perfetta. L'altro aspetto è il livello di concentrazione, molto piùselettivo, in quanto è diretto esclusivamente verso queglistimoli essenziali per la prestazione, e tutti quelli chepotrebbero in qualche modo disturbare vengono mini-mizzati o addirittura annullati. Questa maggior consapevolezza (focus attentivo) si puòindividuare attraverso alcune caratteristiche:

• Direzione del focus - prevalentemente ristretto(lasciando fuori tutti gli stimoli disturbanti), esterno nelmomento dell'esecuzione del gesto. Interno nel momen-to della valutazione;

• Immersi nel presente - ogni azione è basata sulmomento esatto in cui si compie, senza subire influenzesu ciò che si è fatto o su ciò che si dovrà fare;

• Distacco totale - quello che facciamo viene eseguitacon il distacco necessario per compierle senza essereinfluenzati dalle emozioni, con un completo assorbimen-to, che produce anche una dilatazione temporale. Ilmomento del rilascio del colpo viene vissuto col la sen-sazione di un tempo superiore a quella frazione di secon-do come è nella realtà;

• Completa armonia - ogni azione è vissuta senza sfor-zo, in maniera automatica, sentiamo il nostro corporispondere perfettamente a quanto richiesto, con una per-fetta integrazione con la mente, in maniera lucida e glo-bale;

• Assenza di critica - il gesto avviene automaticamentein assenza di giudizi critici negativi che potrebbe condi-zionare il risultato finale, esiste solo l'azione, lo facciamoe basta.

(CONTINUA)

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di Roberto Ferraris

Perchè dedicarsi al tiro a segno? Perchè spendere tempofacendo buchi sulla carta e, per l'allenatore, guardandochi li fa? E tecnici, psicologi, allenamenti, balistica eregolamenti, organizzazioni internazionali, politica epoltrone: tutto ciò per bucare carta?Direte - ma come, che è st'attacco di depressione?Stiamo parlando di sport, pure olimpico, e lo sport hagrandi radici, è competizione sana senza guerra, è salutee squadra; il tiro non ha doping ne rischi. E com'è chedi poltrone parli adesso, non sarà perchè t'hanno tolto latua? -Calma, amo il tiro con o senza poltrone. Ma c'è di più.Il tiro serve anche fuori dai poligoni. Ciò che il tiratoreacquisisce non è solo l'abilità a fare buchi più o menovicini al centro del bersaglio. Impara a conoscere i mec-canismi interni che possono aiutarlo od ostacolarlo nelraggiungimento degli obbiettivi che contano. Ha la pos-sibilità di provare e sperimentare atteggiamenti diversi,controllandone l'efficacia senza compromettere il futuro. Quando ci si trova ad un esame importante, o ad un col-

loquio di lavoro, o in qualunque situazione difficile cherichiede soluzioni veloci ed adeguate, potrebbe nonesserci tempo e modo per far esperimenti, potrebberonon esserci altre occasioni analoghe e il nostro futuropotrebbe essere influenzato da quanto riusciamo a vale-re in quel momento. Una gara di tiro crea una situazione simile, ma rimaneuna gara. Ce ne saranno altre, altre soluzioni potrannoesse sperimentate, dopo un'occasione ne avremo un'al-tra, avremo tempo di conoscere cosa siamo in grado difare e in che modo. Basta non arrendersi e continuare acercare il miglioramento.E’ incredibile quanto sia utile nella vita di tutti i giornidisporre della capacità di gestirsi meglio degli altri sottopressione. Per questo motivo il tiro dovrebbe essereinsegnato nelle scuole di qualunque livello, compresi imaster universitari più prestigiosi.Penso che soprattutto gli allenatori facciano bene atener presente questo aspetto. Se i loro allievi, oltre allatecnica di tiro e alle altre cose specifiche del nostrosport, avranno imparato ad essere più efficaci nellesituazioni di stress, vorrà dire che l'allenatore avrà fattoun lavoro di enorme utilità, indipendentemente dai risul-tati sportivi conseguiti.Ritengo che questa da sola sia una motivazione ampia-mente sufficiente per dedicarsi con impegno alla piùpesante, incompresa e peggio retribuita delle professio-ni: l'allenatore di tiro.

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INTELLIGENZA DELLA SPECIE E FOBIE ANCESTRALI

coordinamento Orientamenti Naturali Attività Motorie,orto-freniche, Reintegranti, Emancipanti

1° PARTE

***L’intelligenza della Specie è composta da CONOSCENZE,MONITI, INVITI, DIVIETI, a noi giunti dalle esperienze diincontro - scontro morfo - ambientale e relazionale dei nostriavi.Essa, quale recuperabile patrimonio storico della progenie,

è contemporaneamente: contenente e contenuto, immagine etendenza, identità ed appartenenza, motivazione e conoscen-za. (Sostanzialmente: “ l’ io storico” del divenire umano).E’ impensabile l’ aver ricevuto dai nostri antenati solo unaristrettissima eredità, limitata al colore degli occhi, a quellodei capelli o della pelle; una eredità, senza psichismi, unmessaggio riduttivamente meccanico, strettamente azzeratoriguardo alle dinamiche emotive.Esaminiamo, quindi, con cura gli aspetti fobici ereditati

dalle esperienze dei nostri progenitori; appare chiaro come ilricordo di emozioni forti e negative, quindi anche positive,sia arrivato fino a noi insieme a tutto il resto del patrimonio.Per Darwin certo, non potevano esserci dubbi, l’isoletta cir-condata da scogli creava, con il movimento del mare, uncontinuo “aerosol” che disturbava i gabbiani, peraltro quasiassenti.Niente gabbiani, niente concimazione, germogli bassi, tarta-rughe con l’estensione del collo dovuta alle tipiche propor-zioni della famiglia e della specie di appartenenza.Altra isoletta poco distante, stavolta con coste sabbiose;

niente “aerosol ”, molti gabbiani, molta concimazione e per-tanto germogli molto più alti; ed eccoci all’eredità!Attraverso una serie di vite vissute in quell’ambiente , le tar-tarughe hanno trasmesso, alle generazioni seguenti, gli sti-moli, non solo organici, della fame male appagata, maanche l’imperativo categorico di rimediare alla difficoltàfacendosi allungare il collo per quasi il doppio rispetto alleconsorelle dell’isola accanto.L’uso della mano destra da parte della maggioranza deiviventi ha la sua ragion d’essere se si analizza il fatto che,

l’uomo, lasciata la foresta per la savana divenne onnivoro esi pose in stazione eretta per poter vedere il circostante supe-rando l’alta vegetazione. La doppia alimentazione richiesefrettolosamente un aumento considerevole del volume delfegato e dello stomaco, tipico degli onnivori e il cuore fucostretto a trovare posto un po’ più a sinistra.L’ipotesi dello scudo (Salimbeni) ci dice che, l’uomo, daegocentrico divenne etnocentrico passando dal branco algruppo e, nei contrasti per il territorio contro avversari dellasua stessa specie o predatori concorrenziali , capì quanto eradelicato il lato sinistro del proprio toraceCon ferite a destra si poteva talvolta anche sopravvivere ,con ferite a sinistra, invece, la morte era, spesso, immediata.L’invenzione dello scudo, portò l’uomo ad utilizzare l’arto

superiore sinistro allo scopo di sostenere la protezione delcuore dalle lance nemiche.Chiaramente egli dovette impugnare la lancia con l’arto

superiore destro, anche se per la disposizione corticale chelo caratterizzava (mancinismo), avrebbe preferito l’uso dell’arto sinistro.Non esistono iconografie di guerrieri con lo scudo tenuto a

destra.Quando oramai lo scudo non fu più determinante per la dife-sa, causa l’avvento delle armi da fuoco, il mancinismo, cheancora oggi continua ad espandersi cominciò a risorgere neisoggetti predisposti anche se, nei secoli, era stato imposto,come corretto, il solo uso della mano destra per tutti gli attida compiere con un solo arto ( destrezza = bravura ; sinistro= incidente, ecc. ).

LE FOBIE ANCESTRALI

Le fobie sono il deterrente principale alla relazione, allacomunicazione al giusto, dovuto e irrinunciabile approcciocon il mondo oggettuale; divulgandole, però, le chiameròanche PAURE, pur conscio dell’inesattezza; lunga sarebbeuna esauriente analisi sulle differenze fra paure e fobie, uni-tamente alle definizioni dello stato di panico ed a quelle di

nevrosi ansio-sa.

Le fobie pre-gresse attivate,inconsciamenteai loro massimivalori, blocca-no l’evoluzionedella motricitàe del linguag-gio, aumentan-do ansia e rigi-dità somatica;tramite, poi, l’elevato impie-go dello statovigile, provo-

cano un severo dispendio energetico con improprietà senso-riali.Queste fobie insite nella intelligenza della specie a livelli

CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

E d u c a z i o n eE d u c a z i o n en e l l o s p o r tn e l l o s p o r t

di Giovanni Notarnicola, Università degli Studi di Firenze,Facoltà di Medicina e Chirurgia. Docente di RiabilitazionePsicomotoria. C.L. Logopedia, C.L. Scienze Motorie,Specializzazione in Scienze e Tecniche delle AttivitàMotorie e Sportive, Preventive ed Adattative.

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culturali devono essere recuperate e sublimate con l’offertaludico-motoria antifobica del gruppo e dell’ambiente (vedila motricità ludica dei cuccioli dei mammiferi superiori, inambiente naturale).Chi cresce in situazioni diverse da quelle naturali, il puercondominialis (il bimbo che vive nel condominio), nonpotendo recuperare e sublimare, con il gruppo e sul territo-rio, questa importantissima eredità va incontro a severidisturbi caratteriali affettivo - sentimentali, relazionali, pro-mozionali e, invece di recuperare l’intelligenza della spe-cie, acquisisce, purtroppo, una “specie di intelligenza” tipi-ca di un contatto ridottissimo con gli spazi biologici.Sassi dai cavalcavia, uccisione della monaca, della compa-gna di classe, dei genitori; giovinetti che sparano sui com-pagni di scuola, branchi inclini alla violenza ecc.Questi eventi sorprendono gli investigatori stessi, per le

qualità del delinquere; essi non riescono a capire come pos-sano prendere forma in alcune coscienze infantili e neo- ado-lescenziali queste orrende efferatezze. Lo spazio tecnologi-co inasprisce i danni provocati dalle fobie? Si!Vorrei ricordare a chi non si è mai soffermato su questiaspetti, che il mondo, vive un grado più o meno intenso dipaure e di ansie, capace di svegliare nei singoli, materialifobici latenti per farli esplodere contro gli altri o contro sestessi. Si aggredisce per paura? Si!Le fobie ancestrali sono state da me sintetizzate in due gran-di famiglie: quelle ambientali e quelle relazionali ; se nonsi risolvono positivamente (sublimandole) quelle ambientalinon si possono risolvere ( perché automaticamente connes-se) quelle relazionali.Troppi, coloro che tentano di risolverle con il mero adde-stramento, senza capire che non si tratta di risolvere un pic-colo problema dell’avere, ma di svolgere un grande temadell’ essere.Domate le paure ambientali, ogni ulteriore offerta didattica

ricevuta si trasforma in cultura, altrimenti, per coloro chesoffrono di fobie limitanti, diventa solo addestramento.Pertanto, il metodo messo a punto per contrastare i materia-li fobici ancestrali prende il nome di «Ambientalismo atti-vo»; il bimbo viene attratto dalla libertà di movimento:ambiente assai stimolante (possibilmente naturale o ad imi-tazione del naturale), modelli coinvolgenti ( che giocano acorrere l’ambiente nella sua attraente complessità) e motiva-zioni irrinunciabili, ove sorge come imperativo ludico ilmisurarsi con le difficoltà tramite il “coraggio – paura”(beau - geste).Il bimbo, amministrando le proprie e le altrui emozioni rice-ve dagli eventi un positivo ritorno d’immagine delle propriecrescenti capacità; il tutto con l’ input positivo dovuto al pas-saggio da un ambiente familiare inter-olfattivo ad unambiente sociale pluri-olfattivo.Le attività capaci di creare un ambiente estremamente posi-tivo, parallelo ed equivalente all’Ambientalismo attivo pos-sono essere, se sapientemente adattate: la pratica ludica delJudo, del Rugby, della palla a nuoto, della motricità acroba-tica e di tutte quelle attività sportive che prevedono combat-timento e contatto fisico. Non dobbiamo dimenticare la pra-tica intensa del volontariato o dello Scoutismo, preziosa

fonte di emozioni. Quanto detto deve essere visto nel rispetto dell’anonimatodell’ azione e della gradualità dell’impegno (ogni propostamotoria deve poter prevedere almeno cinque gradi crescentidi difficoltà per essere superata, in modo che non possacostituire una proposta rifiutabile a priori). Nell’approccio non si prevedono inviti esterni di tipo diret-tivo o affettivo ricattatorio ma valgono le tipicità dell’apprendimento Inconsapevole, tipico della famiglia patriar-cale.A tal proposito, l’apprendimento a mio modo di vedere, puòessere diviso in quattro offerte didattiche: apprendimentoDOVUTO (per ottenere la patente devo apprendere i segna-li stradali); VOLUTO ( per fare la serenata alla ragazzadevo imparare a suonare la chitarra ); OCCASIONALE (siguasta il pullman durante una gita e nell’attesa, mi si presen-ta l’occasione di visitare un paesino medioevale che resteràper sempre nei miei ricordi); infine l’apprendimentoINCONSAPEVOLE (vendo giornali alla stazione e senzavolerlo, senza doverlo e non certo occasionalmente, appren-do perfettamente l’orario dei treni perché, pur occupato inaltre cose, non posso escludere l’ambiente che mi circondacon tutto ciò che accade). L’ ambientalismo attivo non siimpara, “si respira” ed è produttivo al massimo proprio per-ché l’acquisizione è inconsapevole.

FOBIE ANCESTRALI AMBIENTALI

1) Paura del vuoto. 2) Paura del buio. 3) Paura dell’affida-mento del proprio corpo. 4) Paura dell’arrampicarsi e delderampicare. 5) Paura del sentirsi costretti e avvinti. 6)Paura della predazione. 7) Paura delle acque profonde. 8)Paura del fuoco.9) Paura dell’eruzione e del terremoto.10)Paura del tuono, del fulmine e della tempesta.

Tutti questi materiali fobici possono essere vinti nell’offertaludico-motoria attivabile in una palestra corredata dagli ele-menti dell’ambientalismo attivo o anche in spazi all’apertoattrezzati. L’aiuto e la collaborazione dei genitori è indispen-sabile. Vorrei ricordare quanto diceva Gandhi coniugandosentimenti, educazione e territorio: ”per educare un bambi-no ci vuole un villaggio”.

FOBIE ANCESTRALI RELAZIONALI

1) Paura del non conosciuto. 2) Paura del dolore e dellamalattia. 3) Paura di essere criticati nell’agire. 4) Pauradella sconfitta. 5) Paura del successo. 6) Paura della soli-tudine. 7) Paura della moltitudine. 8) Paura di non com-prendere. 9) Paura di non essere compresi. 10) Paura diassumere impegni di responsabilità

La vittoria sulle paure ambientali, nel suo iter, attacca e ridu-ce l’instaurarsi delle paure relazionali, favorendo una com-posta ma efficace socializzazione.L’ambientalismo attivo, nello scenario della famiglia patriar-cale agro-pastorale, montana e marinara, trovava il proprio

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spazio: sull’aia, nei fienili, nei campi, sugli alberi, la legna-ia ecc..Il tutto, veniva vissuto insieme a fratelli, cugini e figli dellefamiglie vicine, formanti il gruppo attivo che sublimava lefobie ambientali tramite: ambiente, modello e motivazione,ovverosia per: Natura, Avventura e Perfetta Figura (la sava-na, la caccia, il capo-branco; il territorio, la conquista,l’eroe; la montagna, l’escursione, la guida): trittico che puòconsiderarsi il motore dello sviluppo umano basato sull’in-telligenza della specie, intatto anche oggi nella propria trini-tà.

ATTENZIONE! La vita attuale di molti bimbi è in perico-lo, già oggi immersi nel periodo barbarico dell’IO e delMIO, nella santificazione dell’egoismo (ognuno per se, Diocompreso) e del sedentarismo organico e mentale ( malgra-do onanistiche discoteche e palestre); queste dinamichestanno accendendo nelle fobiche menti dei più deboli, fune-ste schizofrenie latenti. Se non porremo rimedio in tempibrevi, piangeremo vittime e vittime di efferati omicidi con-sumati con motivazioni incredibilmente futili, fuori da ogniconosciuto schema mentale umano ed etologico. Guarderemo il futuro delinquere della adolescenza atterritida tanta immotivata, inattesa, inspiegabile spinta distruttiva:intelligenza della specie? No! Una specie di intelligenza !Certi programmi della Televisione, insieme alle latitanzeparentali o alle superficiali presenze e le carenze di amore esacrificio nei rapporti di coppia, forniscono alle giovanigenerazioni, false informazioni sulla vita reale dell’ eurooc-cidente, facendola percepire come facile, indolore e intrisadi comoda amoralità “ove (citando Erikson) ogni ritardoappare un tradimento, ogni attesa un’esperienza di impoten-za, ogni speranza un pericolo, ogni progetto una catastrofe”.Le responsabilità incombono? Le soluzioni? Talvolta solodue: omicidio o suicidio.Ancora giovanissimi i fanciulli di oggi devono crescere

velocemente, per poter essere accolti nel mercato dell’effi-mero, ove si impara a conoscere il prezzo di tutto ed il valo-re di niente.Bisogna lavorare a livelli ludico-motori; quando è tempo. Lavittoria sulle fobie ambientali porta all’approccio culturalecon quelle relazionali (se un bimbo balbetta o si mostra timi-do e impacciato, oppure troppo aggressivo, prima ancora dimandarlo a fare sport o psicoterapia, verifichiamo se hapaura del buio, del vuoto o di arrampicarsi, avremo dellesorprese!).Abbiamo, per troppo tempo, curato gli effetti scambiandoliper cause. Proviamo a fare il contrario, ricercando accurata-mente le vere cause che promuovono comportamenti indesi-derati.

LE FOBIE AMBIENTALI

Penso che una analisi minuziosa possa servire quale monitoalle scarsissime precauzioni dell’agire, tipiche di alcuni sog-getti filopati (amanti del rischio); ma soprattutto come inci-tamento ai moltissimi così detti “ocnofili ” (amanti delle

nicchie) i quali non riescono ad abbandonare le propriesicurezze per sfidare le difficoltà, della comune vita di rela-zione in pienezza di intenti e sicurezze derivate dagli allena-menti specifici antipanico .Bisogna avvertire, le attuali e le prossime generazioni didocenti, sui danni dei mancati, sottovalutati o addiritturaignorati recuperi ludico motori infantili, i quali, lasciandoampiamente incombuste le fobie ambientali, attivano dolo-rosi disturbi relazionali capaci, nei casi peggiori , di indiriz-zare questi soggetti verso la depressione o il risveglio didinamiche autistiche.In assenza di questi recuperi, vuoi per l’incompetenza degli

educatori ma anche per la carenza di ambienti naturali, o adimitazione del naturale con in più la assoluta mancanza digruppi spontanei per giochi istintuali e liberatori, si verran-no a creare per alcuni soggetti aggregazioni non spontaneededite allo scarico su bersagli propri o sostitutivi di compor-tamenti anomici e delinquenziali. La paura ha in effetti, dasempre, dominato la storia dell’umanità.Chi dichiara guerre, compie carneficine e stragi è dominato

dalla paura. Il peso di questa, finché è sopportabile dall’individuo quale energia negativa latente, produce all’ester-no, solo comiche adunate oceaniche, tronfie sfilate militari epietosissimi cortei auto celebrativi con discorsi, definiti dal-l’oratore stesso ( bontà sua ) : “ immortali ”(?) . Quando però si raggiungono soglie fobiche insostenibili,esse si trasformano in violenza organizzata; Per scaricare l’insopportabile peso delle proprie paure dall’interno delleloro ridottissime coscienze verso il mondo oggettuale, col-pendo bersa-gli ritenutisignificativi.Sono queste

le basi deiter rori smi,delle dittatu-re, degliintegralismi.Far crescere

una progeniesenza pauravuol direpace, demo-crazia e pro-sperità; giàsiamo al cor-rente deicosti in danari e vite umane provocati giornalmente dallaviolenza, non più solo tradizionale, anzi fin troppo spessocapace di uscire dai percorsi classici del crimine.Ma non è tutto, chi non riesce a scaricare la violenza sugli

altri lo fa su se stesso (alcool, droga, suicidio, ecc.) attivan-do interventi dello stato incredibilmente costosi, che sottrag-gono fondi alle agenzie formative , che si interessano di pro-muovere l’igiene mentale nell’infanzia. In specie nell’adolescenza, chi ha paura, si scatena sulle cosecon danneggiamenti immotivati (sfregi alle auto, incendiodei cassonetti, infrazione dei vetri delle cabine telefoniche).

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Ripeto, vincendo le paure ambientali si vincono quelle rela-zionali; la presenza di queste ultime aumenta le incompren-sioni per latitanza di dialogo e incapacità di mediazione. L’adolescente, finisce per dialogare solo con incapaci comelui o ad assistere, passivamente a monologhi televideo dicanzonette, violenze, minacce e parolacce.Per le conquiste amorose, ci si protegge dall’impaccio della

comunicazione verbale scambiando messaggi sul telefoninoe talvolta solo quelli, mentre per le richieste di sesso qualcu-no sostituisce i fiori con il coltello o l’appoggio del branco.

1. PAURA DEL VUOTO.L’ incipienza del baratro, soprattutto per il bimbo in teneraetà, deambulante in quadrupedia, è alla base della immedia-ta risposta di ritiro e salvaguardia con posizione retrattaseduta sulle caviglie e diminuzione di pressione sugli artisuperiori anche se, nell’esperimento il baratro è protetto daun vetro infrangibile. Si nota l’allungamento del collo e ilprotrarsi del corpo per l’esplorazione visiva del pericoloindividuato.Egli sta vedendo il baratro (protetto dal vetro) per la prima

volta: mai è caduto in un baratro ne ha visto altri cadervi. Dadove viene quella paura?Fin da piccolo, egli, coltiva il desiderio di guardare giù dafinestre, ponti e terrazze, attratto dalla sensazione di ammi-nistrare coraggio e paura, anche se, nel compiere l’atto,aumenta le prese di salva-guardia (talvolta fa caderenel precipizio uno sputo oun sasso per viverne ancorpiù l’emozione); altrevolte, i maschietti orinanonel baratro. Inviando ( parspro toto) una parte per iltutto, in avanscoperta delpericolo, qualcosa di perti-nenza del proprio corpo

2. PAURA DEL BUIOAnche in questo caso l’

attrazione - repulsione, è lacaratteristica sempre pre-sente nelle fobie ancestraliambientali; il bimbo cerca di vincere le fantasie negative cheil buio porta con se, sondando il proprio coraggio nel percor-rere spazi sempre meno illuminati anche se già conosciutialla luce. Raramente egli percorre, al buio, spazi totalmentesconosciuti e quando lo fa, cerca di essere sempre in compa-gnia di persone fidate.Quando calava la notte, nella preistoria, col buio iniziava lapaura di essere attaccati da predatori o nemici durante ilsonno. Palafitte e caverne protette ci fanno capire come que-sta paura sia rimasta tragicamente impressa nell’inconsciocollettivo dell’umanità. Quante famiglie riuscirebbero aprendere sonno sapendo che la porta di casa è rimasta aper-ta..

3. PAURA DELL’ARRAMPICARSI E DERAMPICAREIl bimbo, appena deambulante, si sente già attratto da questa

pratica; la inizia con le sedie della cucina, la scala a pioli, imoduli sovrapposti formati da casse ed altre suppellettili.L’arrampicarsi non crea mai troppi timori; il massimo impe-gno è però quello di derampicare. La difficoltà è data dal fatto che quando egli si arrampica ilresto del corpo viene dopo la funzione visiva, vale a dire: artisuperiori ben piazzati sugli individuati, migliori sostegni. Quando invece, egli decide di scendere, gli appoggi devonoessere cercati lontano dalla vista, cioè con gli arti inferioriche sondano le strutture sottostanti, quasi esclusivamente alivello tattile.

La difficoltà spinge spesso il bimbo a chiedere aiuto.Ricordo che anche i gatti spesso chiedono aiuto per la diffi-coltà di scendere dagli alberi ove, però, sono riusciti a sali-re.Lo sanno i pompieri, allertati dalle anziane signore chetemono per la sorte dell’animale.

4. PAURA DEL SENTIRSI COSTRETTI E AVVINTIIl bimbo attiva da subito l’attitudine ad esplorare, tipico van-taggio biologico dei mammiferi sui rettili, insieme all’ etero-dontia (varie dentizioni) ed alla omeotermia (costante caloreinterno).Egli, per esorcizzare la paura dell’ignoto, percorre i pertugi

più difficoltosi: sotto letti e mobili; incastrandosi talvolta, ècostretto a chiedere aiuto, anche se, col tempo, aumentano le

capacità di valutazionedelle ipotesi di lavoro e ladestrezza nel muoversi,quindi, le richieste di aiutovanno man mano scompa-rendo. Per sublimare i resi-dui di questa fobia, in etàadulta, può nascere unapassione per la speleologia,al contrario della residuafobia precedente che sce-glierà invece l’alpinismo.

5. PAURA DI AFFIDAREIL PROPRIO CORPODifferenze contrattili siverificano nel bambino

(dagli otto mesi in poi è evidente al tatto) quando la madrelo affida alle cure momentanee di una terza persona. Stessacosa dicasi per un bimbo già deambulante che viene solleva-to in braccio da un adulto; la contrazione risulta tanto mag-giore quanto poco è conosciuto l’adulto che esegue l’opera-zione. Spesso, se costui è totalmente sconosciuto, alla con-trazione si può abbinare il pianto e le tecniche di rifiuto, ameno che, l'estraneo (so di dire una cosa inconsueta) tran-quillizzi il bimbo tramite il proprio odore . Tutti noi da piccolissimi (insieme agli animali) , tramite

l’odorato capiamo a chi fare le feste e a chi ringhiare. Ilbimbo seleziona l’ odore della bontà e, quanto meno, dellanon bontà d’animo? Si! Purtroppo non oltre i tre anni emezzo quattro, poi il fenomeno si attenua fino quasi scom-parire nella miriade di input sensoriali che lo bombardano

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(negli animali, queste capacità tramontano solo in tardissimaetà.Vedo con favore il connubio del cane col bambino pertutta l’infanzia). Essere sollevato da terra attiva sempre rea-zioni di risposta tipicamente difensive .Non è infrequente, anche in tarda età, provare le stesse sen-

sazioni di irrigidimento e rifiuto viaggiando sul sedile accan-to ad un guidatore che si è appropriato del vostro corpo lan-ciandolo a velocità eccessiva rispetto alle vostre usuali pre-cauzioni di guida.I residui non del tutto superati, riguardo a questa particolarefobia, indirizzano il giovane verso sport come la corsa velo-ce e le lotte orientali.L’affidamento del proprio corpo, può avvenire anche con

altre modalità, ad esempio rispetto ad una semplice altale-na, alla quale diamo fiducia poiché coloro che l’hannocostruita o coloro che ci rassicurano sulla sua robustezza,godono della nostra personale fiducia.

6. PAURA DELLA PREDAZIONETutte le fobie ancestrali ci giungono dalla notte dei tempi,con la capacità di essere esorcizzate sia dai cuccioli animaliche da quelli umani di tutto il mondo, tramite i giochi del-l’acchiappino e del nascondino nonché della lotta che dagioco istintuale liberatorio, quale esperienza universale delgruppo infantile, si è poi trasformata in sport Olimpico indi-viduale.Questa paura costituisce la base della Agorafobia (paura

ossessiva ed abnorme dei grandi spazi aperti), come dire: io,solo, in mezzo alla savana; tutti i predatori mi vedono ed ionon posso vederli.

7. PAURA DELLE ACQUE PROFONDESi tratta di specchi d’acqua di notevole perimetro come mari,laghi e fiumi, non certo l’acqua che esce dal rubinetto oquella della vasca da bagno, la quale attrae irresistibilmentei bimbi che si divertono a manipolarla ma non ne hannopaura.L’approccio migliore per vincere questa fobia è devoluto allerive a lento degrado di profondità. Interessante è lo spiare gliapprocci graduali del bimbo che iniziano con la balneazionedei piedi, se si tratta della spiaggia del mare, aspettandol’onda, poi seduti con l’acqua che al massimo copre il baci-no, accovacciati con l’acqua fino alle spalle e subito rittiall’arrivo dell’onda. Il tutto poi si conclude con l’inoltrarsipian piano, con la protezione di qualche persona di fiducia.Logico che, già dalla tarda adolescenza in poi, i residui diquesta fobia possano indirizzare i soggetti verso le attivitàsportive di immersione. A proposito dell’acqua non scordia-moci mai che l’utenza estrema in più o in meno di questarisorsa si divide in: morti di sete e morti affogati.

8. PAURA DEL FUOCOE’ assolutamente rilevante per questa fobia, il comportamen-to espresso dal bimbo, denso di attrazione repulsione. Ilfuoco, malgrado il terzo millennio, conserva intatta la pro-

pria magia di folletto biologico capace di confortare nellegiornate fredde, ma anche di ustionare gli incauti. La vera fobia però scatta per il timore di un fuoco incontrol-lato, occasionalmente prodottosi per degenerazione di unfuoco controllato. Il bimbo, si ustiona più facilmente con lestufe che col fuoco del camino poiché nel suo patrimonioancestrale il fuoco è quello del camino e non quello dellestrutture adottate in tempi molto più recenti. Questa fobia ha poi, in tutti i tempi, concorso ad esaltare lefigure di coloro che sono preposti allo spegnimento delfuoco non desiderato: i pompieri. Sgargianti divise imper-versano nei sogni dei bimbi, molti dei quali in futuro nel cer-care lavoro, si appresteranno a ridiscutere le inerenti paureinfantili, bussando alla porta della caserma dei Vigili delFuoco.In molte regioni d’Italia, si mantengono intatte tradizioniculturali che, in particolari ricorrenze attivano enormi fuo-chi, socializzanti, che raccolgono attorno ad essi tutta lapopolazione nella piazza del paese, accatastando, per labisogna, legni di ogni genere.

9. PAURA DELLA ERUZIONE E DEL TERREMOTONell’antichità si riteneva che i vulcani fossero le abitazionidi adirate divinità e di demoni misteriosi. Anche al presentei vulcani ispirano timore e rispetto, figuriamoci nella prei-storia, ove certo, l’unica difesa possibile era quella di viverelontani dalle temibili bocche, per l’impossibilità di servirsidi mezzi tecnologici rapidi nell’allontanamento dal pericolo.Il terremoto è anch’esso legato alle attività vulcaniche anchese poi lo si incontra lontano dalle fasi eruttive dei vulcani.La paura per l’eruzione di lava e lapilli ha trovato la suasublimazione nei fuochi d’artificio corredati da rumoriassordanti, esplosioni luminescenti con ricadute di fuoco.Anche in questo caso si cerca di esorcizzare la paura con ilcoraggio osservando contemporaneamente le reazioni emo-tive suscitate dagli eventi.

10. PAURA DEL TUONO, DEL FULMINE E DELLATEMPESTAPer far capire quanto è radicata in noi questa fobia bastaricordare che gli animali stessi cercano ripari e nascondigliin presenza di un fortunale. Più di un cane domestico hovisto sparire sotto un letto o sotto un mobile durante un tem-porale di forte intensità, senza aver mai passato prima unaesperienza del genere. Da dove viene quella paura? Alcunidi noi hanno paura assoluta di questi eventi e si chiudononella loro stanza, al buio, finché il tutto non si è esaurito. Classica, per i bimbi piccoli, la fuga dal proprio lettino percercare la protezione del lettone, in mezzo a mamma e papà,causa un temporale notturno. Queste ultime fobie ancestraliambientali si sono storicamente rinforzate poiché i nostriantenati hanno interpretato, spesso, fulmini e tuoni, venti etempeste, come l’ira degli Dei contro le nefandezze umane.

(CONTINUA)

CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

Si cercano collaboratori per articoli sulle seguenti specialità di tiro:Tiro con l’arco, Avancarica, Tiro Pratico, Tiro a volo

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Le attrezzature

Cos’è il Bench Rest , letteralmente è formato dalle parolebanco e appoggio è comprensibile che si spara con l’ausilio ditali mezzi ovvero un solido banco sul quale appoggiare i sup-porti per il nostro fucile.Il banco deve avere una forma tale da permettere il tiro sia aidestrimani che ai mancini.

I supporti sono: Il rest

il cuscino posteriore e il nostro fucile vi sarà appoggiato così

Si spara da seduti

Alle distanze di 100 – 200 – 300metri (in Europa ) in yarde nei paesianglosassoni . Il bersaglio è suddiviso in due parti, quella superiore per i 5 colpi digara e quella inferiore per i tiri diprova.

ai nostri occhi traguardando attraverso l’ottica lo vedremo cosìai 100 m.

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Bench RestBench Rest

di Mario Favaron

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Guardando attentamente la foto allegata , si vedrà in alto adestra del numero 1 (evidenziato dalle frecce in rosso) un sup-porto che serve a far scorrere un foglio dietro al bersaglio, taledispositivo si chiama Backer e serve per contare se realmentesi sono sparati 5 colpi nel bersaglio di gara. In effetti , mentresul nostro bersaglio potremo fare anche un unico foro con i 5colpi , sul backer si disporranno in modo rettilineo e faranno datestimone alla nostra rosata.

In questo caso si vede una bellissima rosta di 5 colpi ai 200 m.ma senza l’ausilio del becker si potrebbero contare solo 3colpi.In questo sport , non è assolutamente necessario colpire il cen-tro del bersaglio , anzi si tende a mirare in un punto e colpirneun’altro in modo tale da avere sempre pulito il punto di miradove si appoggia il reticolo (esempio nella foto successiva)

E’ importante non fuoriuscire dal rettangolo nero che delimitala serie di cerchi , in tal caso si viene penalizzati.

Per misurare le rosate si utilizza un calibro apposito E si usa come da didascalie scritte sulle immagini successive.

I poligoni dove si svolge questa attività , sono limitati in Italia,e forse questo ha contribuito a limitare gli appassionati , attual-mente si svolgono gare a Codogno (MI) e a Dobbiaco (BZ)mentre sono numerose le gare all’estero e principalmente inFrancia , Austria,Germania , Spagna, Finlandia, Svezia,Norvegia.

Sul campo di gara siprepareranno le linee ditiro mettendo dei segna-latori di vento chiamatiWIND-FLAG

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e WIND- PROBE

ai nostri occhi ilcampo appariràcosì

Questi segnalatori ci permettono di leggere le condizioni divento e poter sparare quando ci sono favorevoli , si cerca dipiazzare i colpi di gara quando i segnalatori sono nella mede-sima condizione di quando abbiamo tirato il primo colpo digara , si fa in modo che tutti i colpi subiscano la stessa devia-zione data dal vento in modo che possano entrare l’uno nel forodel precedente .Altro aspetto delicato di questo sport è la ricarica sul campodelle munizioni , ciò si fa perché si utilizzano sempre dei bos-soli di provata precisione e perché si possono mutare nel perio-do delle giornata (a seconda dell’umidità e temperatura ) lecariche da impiegare . Un banco da ricarica in gara utilizzaattrezzature tutte trasportabili ma di elevata qualità.

Questa esposizione , traccia a grandi linee la filosofia delBench Rest senza entrare nei dettagli , ma cercando di rendere comprensi-bile ai più cosa si affronta intraprendendo questo sport .Come si può notare , gli argomenti specifici non mancano ,anzi si potrebbe parlare per anni di ognuno di loro , il meritocomunque di questo sport al di là delle prestazioni sportive èquello di aver travasato sulle armi di serie , tutte quelle tecno-logie da F.1 in esso ricercate e impiegate , si va dai calci infibra alle canne in inox , dalle ottiche a forti ingrandimenti aipacchetti di scatto(ora presenti anche nei fucili da caccia ) allaricarica di precisione ,la pulizia delle canne,l’interpretazionedel vento e molte altre cose ancora.Con questo , vorrei incoraggiare i tiratori ad avvicinarsi a que-sto sport , se non proprio con i mezzi tecnologici specifici ,almeno ad attuare anche con armi di serie quello che è il fon-damento del Bench , ovvero la massima precisione possibile .

CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

Questa pubblicazione è collegata ad un Gruppo di Discussione in Internet, peressere utilizzato in qualunque momento si desideri avere un collegamento direttocon la Redazione. Questo spazio è dedicando alle vostre domande, richieste edinformazioni. Iscriversi è semplice, basta seguire la breve guida illustrata chedescrive dettagliatamente tutte le fasi.Gli argomenti più interessanti e “scottanti” saranno pubblicati nella posta dei let-tori su

CONCENTRICASaranno rimossi senza preavviso interventi offensivi e non consoni agli argomen-

ti trattati.http://groups.msn.com/bollettinodeitiratori

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di Vittorio Rosemberg Colorni

Il fantasma della cattedrale

Ecco una cosa di cui non abbiamo bisogno, ma che allafine ... non se ne può fare a meno.Sembra una eresia pensare di non aver bisogno diYagoro, ma in effetti non è una cosa che ci serve, è comeil conto della spesa: lo ritroviamo automaticamente infondo alla lista delle cose che abbiamo comprato anchese sono solo queste di cui abbiamo realmente bisogno.Spesso durante uno stagedi tiro con l’arco ci viene detto

che, per migliorare il nostro tiro, dobbiamo studiare beneYagoro, allora quando riprendiamo la nostra pratica citroviamo di fronte a qualche dubbio: cos’è Yagoro? dadove dobbiamo cominciare? in cosa consiste questaricerca? come dobbiamo procedere?Vediamo intanto di mettere sul tavolo, per analizzarne le

peculiarità, quello che sappiamo su Yagoro.

Cos’è Yagoro?Il momento ottimale per lo sgancio

E’ come una impalcatura costruita pezzo dopo pezzo,costituita da strutture messe in un certo ordine, incastra-te tra loro in modo che si sostengano armoniosamente avicenda e che ci consentano di salire sempre più in altofino a raggiungere l’altezza necessaria e da lì agire diconseguenza. Solo con un assemblaggio corretto e coor-dinato è possibile “salire” con la struttura verso l’alto.

Un altro modo per immaginare Yagoro è quello pensaredi dover costruire una piramide dove ogni mattone deveessere messo al posto stabilito, nell’ordine preciso, almomento giusto. I mattoni sono tanti e ognuno ha il suoposto senza saltarne qualcuno altrimenti cede. Se rispet-

tiamo il progetto e tutti i mattoni sono stati posizionaticome stabilito, quando poseremo l’ultimo, non avremopiù bisogno di nessuna ulteriore istruzione o indicazione;il posto giusto è l’ultimo rimasto, è unico ed inequivoca-bile, senza tema di errore: quello è Yagoro.

I mattoni sono le sensazioni che provengono dai musco-li durante il movimento che precede l’attimo dello sgan-cio, in particolare quelle che riguardano le energie chelavorano in crescendo durante l’apertura dell’arco. E’ difficile coordinare tutte le informazioni che proven-gono dal corpo e non dobbiamo trascurarne nessuna, maquesto non è sufficiente; bisogna che ognuna di questeenergie sia sotto controllo e interagisca con le altre rag-giungendo il loro massimo nello stesso istante in cuianche le altre raggiungono il loro apice come ad unappuntamento spaziale nel nostro cervello, dove da ognidirezione convergono le punte massime di energia svi-luppata dal nostro corpo. Queste energie saranno l’essen-za del tiro.

Tiro con l’arco: KiudoTiro con l’arco: Kiudo

YAGORO - Lo sgancio

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Se ne deduce che Yagoro è un insieme di forze indispen-sabili che, se raggiunte veramente e completamente,daranno tutta la potenza ed efficacia al tiro. Un costante motivo di fallimento è spesso dovuto al fattoche non siamo riusciti a riconoscere o coordinare il livel-lo raggiunto di qualcuna di queste energie che probabil-mente non è stata sviluppata esaurientemente, o che cisiamo fermati o che abbiamo dimenticato addirittura diattivarla.

Solo con l’equilibrio completo di tutte le energie alloro massimo

si può raggiungere Yagoro.

Qualche volta qual-cuna può essere rag-giunta, ma bisognache anche le altresiano al meglio equesto centuplica ledifficoltà.Non è nelle nostrementi la possibilitàdi riconoscereYagoro quando èmaturo, prima dellosgancio, perchè ilvero profondoYagoro può esserepercepito solo da una mente con “Mu”, senza intenzionené aspettative, quando cioè la tecnica è senza dubbi. Anoi praticanti appassionati resta solo di constatare inZanshin (cioè la posizione finale dell’arciere alla fine deltiro, con le braccia distese) se si è raggiunto o menoYagoro prima di hanare (l’azione complessiva dello sgan-cio). Questo riconoscimento è una cosa facile: se Yagoro verosi è veramente raggiunto si percepirà:

- potenza- velocità- efficacia- soddisfazione- equilibrio- sicurezza

l’universo stesso si spalancherà e non ci saranno dubbinel riconoscerlo, ma ...

La strada per studiare Yagoro passa per l’analisi continuadelle sensazioni, l’ascolto di ogni spinta, trazione, appog-gio. Lo studio delle forze deve essere completo: durantela crescita tutto deve essere equilibrato, costantementeuguale per crearne un modello da mandare a memoria eda aggiornare al meglio in ogni nuovo passaggio, sempli-ficarlo unificandolo per gestirlo al meglio.

L’ascolto della crescita sotto controllo di ogni energiadeve continuare lentamente dando spazio alla mente diconfermare ogni movimento per farlo proprio e successi-vamente solo osservarlo mentre si sviluppa autonoma-mente con l’esercizio continuo e costante sempre regi-strando la sua progressione fino al raggiungimento delmassimo ottenibile in perfetto equilibrio.

Nella pratica bisogna lavorare molto sull’equilibrio dellebraccia, farle diventare un unico movimento, studiareTsurumichi (il percorso dell’arco, della corda e dellebraccia durante l’apertura dell’arco che si svolge in unospazio tridimensionale e non solo verticale, ma su di unpiano inclinato di circa 45 gradi), aiutarsi con il percorso

della mira a farprogredire l’aper-tura senza interru-zioni o yurumi( l ’ i n vo l o n t a r i oritorno dell’arcoche tende a chiu-dersi, a ritornarecedendo, lenta-mente); controlla-re le spinte inizialie finali delTenouchi (la presadella mano sinistrasull’arco che dà

energia vitale al tiro al momento dello sgancio) conTsunomi no hataraki, equilibrio sinistra destra, carica-mento torsioni in armonia e al momento giusto. Bisognariuscire a riunire tutto in un’unica cosa per scatenarla conun solo comando univoco. Quando si è raggiunto Tsumeai (l’appoggio dell’arco sulpetto e della freccia sulla guancia) c’è una fase di pausacontrollata dove possiamo raccogliere le forze.Dobbiamo avvicinarci lentamente al nostro massimo per-cepibile ai limiti della nostra volontà, verificandolo conconsapevolezza per affrontare la spinta finale di Nobiaicon tutte le energie rimanenti ed esplodere in Hanare. Il lampo della sicurezza (Kakushin no hirameki) è il ful-mine sulla vetta, scocca solo quando le energie raggiun-gono il massimo. Scatta come la scintilla che scoccanello stesso istante in cui la lama colpisce la roccia; a noiil compito di cercare l’accoppiamento completo delleforze scatenate e ... ritrovarci in Zanshin come una roc-cia, con Yagoro sbocciato dentro.Yagoro per lungo tempo bisognerà immaginarselo comeun fantasma nella cattedrale che appare improvvisamen-te quando meno te lo aspetti. Lo riconoscerai immediatamente. Però, per evocarlo inogni freccia, devi .... sacrificargli l’anima.Solo così il tiro sarà un tiro vero e si conoscerà Yagoro.

CONCENTRICA NUMERO 1 - OTTOBRE 2006

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CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

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La rubrica di Lodovico SpartaLa rubrica di Lodovico SpartaHo conosciuto Lodovico Sparta molti anni fa.Prima di conoscerlo non ne avevo mai sentito parlare, non che fosse sconosciuto nell’ambiente, ma semplicementeperché non se ne parlava. Era una sorta di ostracismo riservato a personaggi come lui; antipatico e scostante sonoaggettivi che descrivevano perfettamente il suo carattere, ma soprattutto aveva un difetto peggio di tutti: diceva quel-lo che pensava. Ma non è sicuramente questo il vero motivo per cui non se ne parlava, il mondo è pieno di antipatici di successo.Penso che il vero motivo sia la sua ironia, che scolpiva come un bisturi perfetto certe verità e vizi di noi tutti. Le sue opinioni su argomenti tecni-ci e sportivi erano taglienti ed impietose, non lasciava spazio a compromessi ed inutili buonismi, e diventava implacabile di fronte alle autorità. Maaveva un grande pregio per chi lo sapeva ascoltare, sollevava dubbi ed incertezze. Non che se ne sentisse il bisogno di avere ulteriori dubbi, maqueste riflessioni servivano ad aprire nuovi orizzonti e trovare strade fino ad allora sconosciute. Una volta gli chiesi un consiglio su cosa potevofare per migliorare, mi guardò per un attimo e gli si accese lo sguardo sul punto di dire qualcosa, poi sembrò cambiare idea e con un sorriso afior di labbra mi disse, “continuare a pensarci è già un’ottima cosa ed è tutto quello che ti serve.”Lo ringraziai senza sapere di cosa e me ne andai deluso per avermi liquidato in così poco tempo.Ad oggi ripenso spesso a quello che mi aveva detto e so che aveva ragione, ma mi rimane sempre la curiosità di ciò che aveva cominciato a dirmie che poi non mi ha detto. Senza sapere come, mi sono ritrovato a possedere alcuni suoi scritti, molti sono andati persi, e vorrei riproporvi quelli rimasti, affinché dubbi eincertezze continuino ad esserci. d.p.

UNA BUONA SCUSA

di Lodovico Sparta

Per affrontare serenamente una gara di tiro a segnouna buona scusa è indispensabile. Si, possono faregli errori più grossi, i risultati più bassi, si possonoimpunemente esplorare le ultime posizioni delleclassifiche evitando onta e disonore grazie all'usointelligente della giustificazione appropriata. Il vin-citore morale della gara non è certo il primo in clas-

sifica che spes-so è in perfettasalute e senzaalcuna tragediafamiliare: il pre-mio andrebbeconferito a chi,sfidando incon-venienti possi-bilmente cata-strofici, riescaugualmente apresentarsi inpedana e addi-rittura a termi-nare la gara inun eroico slan-

cio di stoica determinazione. Se poi il punteggioottenuto è poco meno che scarsissimo non si potràcerto fargliene una colpa, verrà anzi applaudito

come i trenta secondi netti sui dieci metri piani aigiochi dei paraplegici.Alla giustificazione è ufficialmente riconosciuto unruolo importante e all'improvvisazione di qualchetempo fa si sta ora sostituendo uno studio scientifi-co sempre più sistematico e profondo. Una voltabastava dire al termine di una gara: « Mi sentivo tal-mente debole che mi toccavano i piedi per terra e misembrava di sparare pallottole di piombo ». Oggianche in seconda classe si presentano in pedana contrombo-flebiti paralizzanti venute il giorno prima alfunerale del padre e cominciano. a sparare con il fra-tello in coma, la casa che brucia e l'amante dellamoglie al controllo bersagli.Le scuse si possono classificare in scuse a priori escuse estemporanee. Le scuse a priori, le cosiddette« mani avanti », vengono. usate prima di iniziare lagara. Eccone alcune.

Scusa dell'inceppo. Nell'allenamento di pistola automatica che precedela gara sì curerà di avere alle spalle un pubbliconumeroso. L’otturatore sarà cosparso di una pasta didentifricio, sabbia, lucido da scarpe, e colla di pesce.Gli astanti, dopo aver assistito a tutti i vostri incep-pamenti, ammireranno il vostro coraggio quando, ilgiorno seguente, vi vedranno presentarvi in gara.Potete quindi farvela sotto dall'emozione e spararecome un pellegrino che il perdono è assicurato.Attenzione ai guastafeste che facendo finta di voler-vi aiutare vi danno una pulita alla pistola che rico-mincia a funzionare regolarmente, così non solo virovinano la scusa ma pretendono anche di essere rin-graziati unendo al danno la beffa.

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Scusa della periartrite. Superate ormai le finte ingessature alle gambe esitidi pretese cadute in moto, ora è di moda la periartri-te. Questa scusa, tra le più usate anche dai tiratori dipistola della nazionale, consiste nel comportarsi neigiorni che precedono la gara come se ogni movi-mento della spalla destra destasse vivo dolore, Ognitanto si finge di sottrarsi all'attenzione generale,assicurandosi però con la coda dell'occhio di essereosservati, e si effettuano dei movimenti di punteriacome se si stesse provando se il braccio riesca anco-ra ad arrivare all'altezza della spalla. E subito unasmorfia improvvisa come chi, colpito da una fittaatroce, trattenga a stento urla disumane. A chi vichiede che cosa sia rispondete divagando; buttandolà come una parola senza significato colta al volo daindecifrabili consulti di satanici ortopedici la magi-ca parola « periartrite... ». « Ora però, che sonoimbottito di cortisone, va un po' meglio ».Attenzione a non distrarvi: basta stringere con trop-po vigore la mano della simpatica biondina che gliamici vi presentano a bella posta per tradirvi defini-tivamente. Può capitare di mettere troppo impegnonella parte ed il dolore, continuamente supposto,cominci a sembrar quasi reale, anzi ecco che la spal-la fa male davvero e alla mattina pare tutta anchilo-sata, intanto già si è perso nel ricordo il fatto chel'inizio fu solo una finzione, finché davanti ad untruce ortopedico compirete disinvolti movimentimascherando in un sorriso contratto il dolore lanci-nante che v'imperla la fronte. « Vede dottore, non ènulla, è già passato... » ma l'uomo in camice haormai in mano la siringa per l'infiltrazione cortisoni-ca e implacabile vi conficca l'ago nella spalla bor-bottando con un collega oscure frasi senza senso esolo vi sarà dato d'intendere, colta al volo prima disvenire, la magica parola « periartrite ».La serie completa delle scuse a priori esula dai com-piti di questo breve estratto, inoltre questo tipo digiustificazione è attualmente superato soppiantatodalle scuse estemporanee che nascono durante lagara e ben si adeguano all'andamento, di questa. Puòsuccedere non più di un paio di volte all'annoche la gara vada bene, nel qual caso la scusa a prio-ri sarebbe stata sprecata, mentre quella estempora-nea potrà essere differita all'ultimo momento.

Scusa del colpo apoplettico. Quando la gara è irrimediabilmente compromessa sifinge come un leggero capogiro e ci si siede sullasedia di fianco alla pedana di tiro con la testa tra le

mani. Senza darlo a vedere si comprimono le giugu-lari ai lati del collo. Con questa manovra otterreteuna rapida ed efficace congestione del volto. Appenavi sentite ben avvampati cominciate a scalciare e amuovervi in modo contratto e scoordinato, i miglio-ri cadono dalla sedia, respirano irregolarmente e sipisciano addosso. Ottima fu la rappresentazione diun nostro amico che riuscì anche ad impallidire e adilatare le pupille, forse solo aveva esagerato con lacompressione delle giugulari infatti l'autopsia con-fermò l'emorragia cerebrale.

Scusa dell'inceppo (bis).La sera prima della gara si mettono a bagno in

acqua tiepida una mezza dozzina di cartucce lascian-dovele per tutta la notte. Alla mattina si asciuganodiligentemente e si ripongono nella cassetta dellapistola. Quando vi accorgete di non essere più ingrado di portare avanti la gara in modo onorevolemettete nel caricatore una cartuccia alluvionata otte-nendo un inceppamento, sicuro e spettacolare: anchegli spettatori più distratti sentiranno il rumore attuti-to e vedranno la fumata. La colpa non vi verrà attri-buita neppure indirettamente, come potrebbe succe-dere per un inceppamento dovuto al malfunziona-mento dell'arma, ma tutti vi batteranno la mano sullaspalla in segno di solidarietà e commiserazionemaledicendo i fabbricanti di munizioni la cui perfi-da speculazione già tante vittorie ha impedito.

Scusa dello sparo accidentale.Anche qui occorre un po' di preparazione. Si estraela pallottola da una cartuccia, si mette un cartoncinosulla polvere, si riempie il bossolo fino,all'orlo divernice rosso scarlatto quindi si sigilla con, nastroadesivo. La cartuccia così preparata va ovviamentetenuta a portata di mano durante la gara. Al momen-to dell'uso la introducete in canna come una cartuc-cia qualsiasi, fate finta di lasciami cadere la pistoladi mano e nelle concitate manovre che seguono visparate lo schizzo di vernice in mezzo al petto, pos-sibilmente su di una camicia bianca. Con voce raucae gesto melodramrnatico fermate poi i soccorritorispaventati.. « Devo prima finire la gara... ».Continuate a sparare lottando con le ultime forzealla Gary Cooper tra il commosso silenzio dellafolla, il pianto ammirato di deliziose verginelle,mentre i commissari di tiro in piedi sull'attenti into-nano l'inno di Mameli.

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COMUNICATO STAMPA

Con l'ultima manifestazione, svoltasi nel mese di novem-bre presso L'Altana di Gattico (No), si è concluso il primoCampionato Italiano di Field Target.

La Federazione Italiana delle Associazioni di Field Target(IFTA) archivia così la sua prima stagione ufficiale, chegiunge dopo un 2005 vissuto all'insegna di eventi infor-mali che hanno svolto la loro funzione divulgativa, peruna disciplina che ha visto la luce, per quanto riguardal'Italia, solo da un paio d'anni.

Il 2006 ha visto IFTA impegnata nell'organizzazione di unCampionato Italiano itinerante che si è rivelato piùagguerrito ed emozionante del previsto. Le cinque tappe,attraverso le quali si è sviluppato, hanno visto toccareluoghi consacrati all'attività propria del tiro ma ancheambientazioni insolite per una disciplina che prevedel'utilizzo di armi ad aria compressa.

Il Campionato è iniziato a Roma, presso il campo di Tiroa Volo Valle Aniene di Lunghezza, all'interno di uno deiterreni di rispetto della struttura stessa, è poi proseguitonelle campagne carsiche dei dintorni di Trieste, pressol'Azienda agrituristica Zagrajski-Milic di Sagrado diSgonico, per poi inerpicarsi in quel di Oltre il Colle (Bg),sede legale della stessa IFTA, presso la Concadell'Alben a circa 1300 metri di quota con un panoramada togliere il fiato, scendendo quindi verso Vicenza, aLonigo, presso il parco meraviglioso della Villa SanFermo e terminando il proprio corso, appunto, in quel diGattico, in provincia di Novara, nei boschi di una splen-dida e immensa tenuta di caccia.

In considerazione della suddivisione della disciplina inquattro categorie d'arma (springer depot, pcp depot,springer full, pcp full), sono stati designati i primi quattroCampioni Italiani di Field Target, i cui nomi, prestazioni,armi e accessori adottati in gara sono i seguenti (NdR -seguire il link):

Albo dei Campioni d'Italia (http://www.ifta.it/modules.php?name=Pagina-27)

I quattro titolati saranno premiati ciascuno con una cal-ciatura artigianale a scelta, offerta dal Maestro Ginb(Antonio Gentilini, www.ginb.it ), mentre la carabina AirArms messa in palio e offerta da Domino srl (www.domi-noguns.com ) sarà assegnata al vincitore della categoria"pcp full", che potrà richiederla direttamente allo sponsordi Settimo Milanese.

Gli sponsor ufficiali del Campionato Italiano 2006 di FieldTarget sono stati: Symplidigital (www.symplidigital.it), AirArms, Haendler & Natermann, Ginb e Domino.

Nel ringraziare tutti coloro che hanno partecipato allevarie fasi del Campionato Italiano 2006, IFTA rinnoval'appuntamento a tutti gli appassionati di Field Target peril prossimo Campionato Italiano 2007 già in fase di piani-ficazione, nonché per le innumerevoli manifestazioni acarattere divulgativo che continueranno a essere orga-nizzate sia a breve, sia contestualmente ai futuri eventidi Campionato, sia in occasione di eventi più informali odidattici.

Consiglio Federale IFTA

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N E W SN E W S

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Coppa del MondoMONACO

24.01 - 28.01

In questo link troverete tutte leinformazioni

www.schuetzenbund.de/events/?event_id=69250&eventpage_id=3226

Dal 25 gennaio a Monaco (Germania) inizia la 1ªtappa della Coppa del Mondo 2007. Questa garasarà valida anche per ottenere la tanto sospiratacarta olimpica. Sarà presente una rappresentativaazzurra seniores e juniores, nella carabina e nellapistola a 10 metri .Il programma della manifestazione prevede l’ini-cio delle gare il 25 gennaio con la C10 uomini ejuniores uomini e donne, successivamente la P10donne e juniores uomini e donne. Il 26 seguirà laC10 donne, e juniores uomini e donne, e la P10uomini e juniores uomini e donne. La competizio-ne si concluderà il 27 Gennaio con la C10 e P10uomini e donne. Questa la composizione della rappresentativaazzurra:

CONCENTRICA NUMERO 2 - GENNAIO 2007

Uomini (Seniores)Carabina: Diego Cacciapuoti (Esercito), Marco DeNicolo (FF.GG.), Paolo Montaguti (FF.GG), EnricoPappalardo (Gr. Sp. Marisport). Pistola: Francesco Bruno (FF.GG.), Vigilio Fait(Rovereto), Giuseppe Giordano (Esercito), MauroBadaracchi (Tivoli).

Uomini (Juniores)Carabina: Niccolo` Campriani (Esercito), AlessioBorrello (Milano), Tommaso Leopardi (Roma),Mattia Berardinetti (Monza). Pistola: Andrea Amore (Centuripe), MauroBevilacqua (Castellamare di Stabia), MatteoBertani (Verona), Claudio Gugole (Soave).

Donne (Seniores)Carabina: Sabrina Sena (Candela) , Elsa Caputo(FF.OO.), Antonella Notarangelo (Gr.Sp.Marisport), Valentina Tunisini (Forestale). Pistola: Manuela Franzoni (Novara), MichelaSuppo (Forestale), Giustina Chiaberto (Susa),Caterina Padovan (Treviso).

Donne (Juniores)Carabina: Marianna Frasson (Padova), GiorgiaRicciardi (Legnano), Elania Nardelli (Candela),Petra Zublasing (Appiano San Michele). Pistola: Giulia Berti (Padova), Azzurra Cattino(Roma) e Francesca Limardi (Roma).

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FOTOALBUMFOTOALBUM : cronache di (stra)ordinari successi: cronache di (stra)ordinari successi

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SPORT:FLOW E PRESTAZIONE ECCELLENTEAutore: MUZIO MARISA

Pagine: 188Dimensioni: 15,5 X 23Anno di pubbl.: 200416.00 €

Dai modelli teorici all'applicazione sul campo

In linea con gli attuali indirizzi della PositivePsychology e con i risultati delle più recenti ricer-che transculturali, che individuano il ruolo trainan-te dell'esperienza ottimale nel processo di sviluppoindividuale, anche nella Psicologia dello Sport siregistra una sensibile crescita di interesse per ilflow , o "stato di esperienza ottimale".

All'interno dei peak moments , il flow rappresentala modalità privilegiata per comprendere l'eccel-lenza della prestazione: concentrarsi su di esso e sulle condizioni che nesono alla base, consente di delineare un modello diottimizzazione della performance, ispirato alla tec-nologia del rendimento psicofisico, che vede nellapreparazione mentale dell'atleta e nella formazionepsicologica del tecnico i suoi due punti cardine.

In questa prospettiva si inserisce il presente volu-me basato sul progetto di ricerca condotto, a parti-re dal 1998, dal Centro Studi e Formazione inPsicologia dello Sport. Il testo contestualizza laFlow State Scale di Susan Jackson nella realtà ita-liana e presenta una precisa definizione del proto-collo di ricerca avvalendosi del supporto dell'appli-cazione del modello a un vasto campione di spor-tivi italiani.

La trasposizione di tale modello in ambito azienda-le, inoltre, sottolinea la possibile apertura ad altriscenari, rivalutando così l'interazione emotivo-cognitivo-motivazionale nella percezione del-l'esperienza lavorativa.

La recensioneLa recensione

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La Posta dei LettoriLa Posta dei Lettori

«È la ripetizione delleaffermazioni che ti porta acrederci. E quella creden-za si trasforma poi in unaconvinzione profonda, e lecose cominciano ad acca-dere.»Muhammad Ali

Gian Genta (resp. settore giovanile TSN Savona)

DebolezzaOrgoglio nel successo rimorso nelle sconfittesono sintomo di tanta debolezza.DecidereIl momento peggiore sempre quello che pre-cede il momento di decidere.EgoismoMemento vivere che ognuno assegna all'altro,pretendendo per sé il primo degli ultimi posti.

Gli AforimiGli Aforimi

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