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NOTIZIARIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA a cura della Segreteria Generale NUMERO l l GENNAIO 1989 Comunione, comunità e disciplina ecclesiale Documento pastorale dell'Episcopato italiano Il Documento pastorale dellEpiscopato italiano "Comunione, cornuni- tà e disciplina ecclesiale" conclude il decennio degli anni '80, che ha avuto nella comunione e nella comunità i suoi punti di riferimento e motivi ispi- tatori. Frutto del lavoro comune dei Vescovi, articolatosi attraverso tre Con- sigli Permanenti e tre Assemblee Generali, di un'ampia consultazione di istanze ecclesiali e della generosa collaborazione di un gruppo di teologi, biblisti e canonisti, questo Documento ha ricevuto l'approvazione unani- me dell'Episcopato nell;2ssemblea di Collevalenza, il 26 ottobre 1988. Esso colloca la dimensione della disciplina ecclesiale allJintemodel te- ma della comunione, centrale nell'ecclesiologia del Concilio Vaticano 11, in vista della realizzazione di una comunità che viva in maniera sempre pih autentica le esigenze del Vangelo e lo testimoni con passione e credi- bilità. I Vescovi italiani lo affidano alle loro Chiese, perchè negli anni 1989 e 1990 sia oggetto di studio, motivo di impegno ecclesiale e pastorale, oc- casione di costante preghiera a Colui che solo edifica la sua Chiesa.

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NOTIZIARIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

a cura della Segreteria Generale

NUMERO l l GENNAIO 1989

Comunione, comunità e disciplina ecclesiale Documento pastorale dell'Episcopato italiano

Il Documento pastorale dellEpiscopato italiano "Comunione, cornuni- tà e disciplina ecclesiale" conclude il decennio degli anni '80, che ha avuto nella comunione e nella comunità i suoi punti di riferimento e motivi ispi- tatori.

Frutto del lavoro comune dei Vescovi, articolatosi attraverso tre Con- sigli Permanenti e tre Assemblee Generali, di un'ampia consultazione di istanze ecclesiali e della generosa collaborazione di u n gruppo di teologi, biblisti e canonisti, questo Documento ha ricevuto l'approvazione unani- me dell'Episcopato nell;2ssemblea di Collevalenza, il 26 ottobre 1988.

Esso colloca la dimensione della disciplina ecclesiale allJintemo del te- ma della comunione, centrale nell'ecclesiologia del Concilio Vaticano 11, i n vista della realizzazione di una comunità che viva in maniera sempre pih autentica le esigenze del Vangelo e lo testimoni con passione e credi- bilità.

I Vescovi italiani lo affidano alle loro Chiese, perchè negli anni 1989 e 1990 sia oggetto di studio, motivo di impegno ecclesiale e pastorale, oc- casione di costante preghiera a Colui che solo edifica la sua Chiesa.

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Comunione, comunità e disciplina ecclesiale

INTRODUZIONE

I. A conclusione del piano pastorale per gli anni '80

1. - Camminando sui sentieri del Concilio e rinnovando la propria fe- deltà a Cristo, la Chiesa ha la certezza di camminare, nella verità e nella carità, accanto agli uomini del nostro tempo, per condividerne la storia, le aspirazioni e gli interrogativi, le gioie e le sofferenze, e tutto illumina- re nella luce del Vangelo del Regno annunciato ad ogni creatura. Servire Cristo è infatti, per la Chiesa, servire l'uomo, "via fondamentale" della sua missione l .

Per accogliere più profondamente il dono sempre nuovo del Vangelo e testimoniarlo ai fratelli, negli anni '80 la Chiesa che vive in Italia ha ispirato la sua riflessione e la sua azione pastorale a un tema che va al cuore del suo mistero e della sua missione: "comunione e comunità".

Essa ha così avuto la possibilità di riscoprire e sperimentare la bel- lezza e l'impegno, la fatica e la gioia di lasciarsi plasmare dallo Spirito, con l'attiva e personale risposta di ciascuno, come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spiritn Santo') 2 .

2. - I1 cammino è stato scandito da alcuni documenti qualificanti. Nel primo, che ha tracciato il piano generale ', abbiamo approfondito il mi- stero della comunione nella sua sorgente inesauribile: la comunione d'a- more della Santissima Trinità che, attraverso la venuta del Figlio e il do- no dello Spirito, si fa vita degli uomini nella Chiesa e, attraverso di essa, fermenta e orienta la storia di tutta l'umanità verso il Regno.

In un secondo momento, ci siamo soffermati su due dimensioni, en- trambe fondamentali, di questo mistero. Da un lato, abbiamo volto lo sguardo all'Eucaristia, "fonte e culmine" della vita cristiana 4, presenza sempre rinnovata del Cristo risorto nella storia Dall'altro, ci siamo ri- volti alla comunità degli uomini a cui Cristo ci invia, riflettendo sulla vo- cazione missionaria della Chiesa 6 .

Cfr GIOVANNI PAOLO 11, Lett. Enc. Redemptor hominis, n. 14. CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 4. C.E.I., Comunione e Comunità: I. - Introduzione al piano pastorale; 11. - Comunione e co- munità nella Chiesa domestica, in Notiziario C.E.I.. n. 6, l ottobre 1981. CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 11. C.E.I., Doc. past. delllEp. it. Eucaristia comunione e comunità, in Notiziario C.E.I. n. 4, 22 maggio 1983. C.E.I., Doc. past. dell1Ep. it. Comunione e comunità missionaria (29.6.1986), in Notiziario C.E.I., n. 6, 2 luglio 1986.

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In questo itinerario, una tappa che non possiamo dimenticare, per l'in- cidenza che ha avuto sui nostri spiriti e sulla nostra azione, è stato il Con- vegno ecclesiale svoltosi a Loreto nel 1985, sul tema "Riconciliazione cri- stiana e comunità degli uomini": per tutti un autentico, vivificante "even- to di Chiesa" 7.

3. - Già il titolo generale del piano pastorale ci richiama al tema che ora intendiamo mettere a fuoco: comunione e comunità. Se la comunione è l'accogliere il dono dell'unità nell'amore e nella libertà, e cioè la vita stessa di Dio che si fa vita degli uomini redenti da Cristo e di Lui rivestiti nello Spirito, la comunità è "la forma concreta di aggregazione che nasce dalla comunione: in essa i credenti ricevono, vivono e trasmettono il dono della comunione"

L'unica Chiesa cattolica, nelle sue molteplici manifestazioni concrete - anzitutto le comunità diocesane - non è altro che il rendersi presente della comunione nella storia "sulla base di rapporti visibili e stabili che legano tra loro i credesti" Proprio per questo, la comunità ecclesiale "go- de di strutture e di strumenti altrettanto visibili, attraverso i quali si tra- smettono agli uomini il messaggio e la grazia di Gesu" lo, ed esige una di- sciplina che ne regola l'esercizio.

La parola "disciplina", derivando dal termine "discepolo", che nr!llam- bito cristiano caratterizza i seguaci di Gesù, ha un significato di partico- lare nobiltà. La disciplina ecclesiale consiste in concreto in quell'insieme di norme e di strutture che danno una configurazione visibile e ordinata alla comunità cristiana, regolando la vita individuale e sociale dei suoi membri perchè sia in misura sempre più piena, e in aderenza al cammino del popolo di Dio nella storia, espressione della comunione donata da Cri- sto alla sua Chiesa. Nel suo senso più ampio essa può comprendere an- che le norme morali, mentre in un significato più ristretto designa le sole norme giuridiche e pastorali.

4. - In questo documento, a seconda del contesto, =siamo il termine nell'uno o nell'altro di questi significati, e intendiamo soffermarci sul va- lore-profondo e su alcune caratteristiche concrete della disciplina eccle- siale, essenziali per un-a comunità che sia autentico sacramento di co- munione.

Nel primo capitolo tratteremo della libertà e dell'obbedienza, quali di- mensioni costitutive della comunione e presupposti di ogni forma di di- sciplina nella comunità ecclesiale.

Nel secondo e nel terzo ci occuperemo, rispettivamente, di alcuni aspet- ti della disciplina morale e canonica della Chiesa; nel quarto capitolo, in-

Cfr C.E.I., Nota past. delllEp. it. La Chiesa in Italia dopo Loreto, (9 giugno 1985), in Noti- ziario C.E.I., n. 9, 9 giugno 1985. C.E.I., Comunione e comunità, doc. cit., n. 15. C.E.I., Ivi.

'O C.E.I., Ivi.

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fine, tracceremo alcune linee di impegno e di verifica pastorale, che ci paio- no rivestire oggi una particolare importanza.

Come premessa offriamo un rapido esame della situazione socio- culturale ed ecclesiale del nostro Paese, in riferimento al tema che inten- diamo svolgere.

11. La cultura e la società contemporanea fra libertà, pluralismo e socializzazione

5. - L'epoca contemporanea, come ha sottolineato il Concilio Vaticano 11, è solcata da rivolgimenti profondi e accelerati che hanno investito l'e- sistenza dell'uomo nel suo aspetto personale e sociale, come maisinora era avvenuto nella storia dell'umanità I'.

Al fondo di questi rivolgimenti, se ben guardiamo, vi sono due esigen- ze fondamentali di cui s'è fatta portatrice, in modi diversi, la cultura mo- derna e che sono state enfatizzate dallo sviluppo scientifico e tecnologico di questi ultimi decenni.

Da un lato, l'uomo moderno si è voluto affermare come soggetto libe- ro ed emancipato da ogni tutela che gli fosse imposta "dall'esterno" della sua coscienza e della sua ragione, e come unico artefice della sua storia. Dall'altro nel singolo i~dividuo è cresciuta la consapevolezza della sua in- terdipendenza con gli altri uomini, non solo nel contesto del piccolo mon- do in cui egli era tradizionalmente abituato a vivere, ma anche nel rap- porto fra le classi, le nazioni, le culture 12.

Libertà e socializzazione sono diventate le due "parole d'ordine" del- l'epoca moderna, ed entrambi questi valori, che esprimono qualcosa di ge- nuinamente umano e dunque anche di "naturalmente cristiano", hanno da- to vita a vere e proprie "religioni laiche", per le quali ci si è impegnati e ci si è battuti nella prospettiva dell'edificazione di un mondo più a mi- sura d'uomo.

6. - Caratteristica di queste moderne culture della soggettività e della socialità è che, spesso programmaticamente, si sono volute emancipare dal- la "tutela" del cristianesimo, visto come una religione che aliena l'uomo dall'autentica e radicale libertà e dal raggiungimento di una giusta e libe- rante socialità. In tal modo, con una ricerca non di rado intensamente sof- ferta e a cui va il nostro rispetto, hanno progettato un umanesimo e una società al cui centro vuole essere unicamente l'autonomia e la piena rea- lizzazione dell'uomo.

Ma, sganciati da ogni riferimento al trascendente e a Cristo, il quale soltanto "svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima

Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 4.

I2 Cfr GIOVANNI PAOLO 11, Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis, nn. 17 ss.

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vocazione" 13, i valori della libertà e della socialità,, pur avendo permesso all'umanità di raggiungere positive e feconde conquiste, non hanno tarda- to a mostrare anche la loro ambiguità e le loro contraddizioni.

Da una parte, infatti, si è assolutizzata la libertà del soggetto, sgan- ciandola da ogni riferimento che non fosse la libertà stessa: aprendo così la strada a un indiscriminato individualismo e facendo ritenere ogni for- ma di norma morale o di regola sociale un'insopportabile imposizione. Inol- tre, il pluralismo culturale ed etico, che si è così affermato, spesso si è trasformato in un relativismo che giustifica ogni tipo di opzione, provo- cando una frantumazione e un deterioramento del tessuto sociale.

Dall'altra parte, la giusta esigenza di socializzazione, non regolata dal rispetto della dignità inalienabile di ogni persona umana quale immagine di Dio, ha dato vita a quelle forme di totalitarismo di diverso e persino opposto segno, da cui dolorosamente è stata - ed è - piagata la storia del nostro secolo. Anche la massificazione tipica della società dei consu- mi deve esser letta come una forma sottile, ma insidiosa, di spersonaliz- zazione deii'uomo, schiacciato sotto il peso delle anonime leggi del mer- cato e del profitto.

Sperimentato il naufragio di tali progetti, gli uomini e le donne del nostro tempo ricercano la propria realizzazione nel ripiegamento su di una libertà-guadagnata giorno per giorno nel privato dei propri sentimenti e dei propri individuali interessi. Mentre da più parti riaffiora, impellente, una nuova "domanda etica".

7. - Dietro i rivolgimenti dell'epoca moderna, il Concilio ha visto, alla luce della verità cristiana e al di là di contraddizioni e pericolosi unilate- ralismi, una "crisi di crescita" dell'autocoscienza dell'umanità 14. Anche ri- guardo al rapporto fra libertà e socialità appare valida un'analoga valu- tazione.

In fondo, nell'autocoscienza e nell'esperienza dell'uomo moderno emer- ge una delle aspirazioni fondamentali dell'uomo: quella di dar vita a un'au- tentica socialità, in cui il singolo possa realizzare la sua identità in un rap- porto di condivisione e di comune crescita con gli altri uomini.

Tale autocoscienza emerge oggi, anche se in forme diverse e persino contrastanti, nella società e nella cultura del nostro Paese. Di qui l'im- portanza della presenza e della testimonianza della Chiesa, chiamata ad essere una comunità in cui libertà e comunione, coscienza e verità, lungi dall'elidersi a vicenda, crescono e si autenticano reciprocamente.

111. La Chiesa in Italia: crescita di comunione, ricchezza di doni e iniziative ed emergere di tensioni

8. - Con il Concilio Vaticano 11, di fronte alla sfida del mondo moder- no e tornando alla perenne sorgente del suo mistero, la Chiesa ha preso

l3 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 22 .

l4 Cfr Ivi, n. 4.

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più profonda coscienza della sua identità e della sua missione nel nostro tempo.

Ciò ha provocato, in particolare, due rilevanti conseguenze:

- in primo luogo, i documenti conciliari hanno sottolineato, nella prospet- tiva della Chiesa "popolo di Dio", l'eguale dignità di tutti i battezzati, inseriti in Cristo per godere della sua grazia e della sua libertà median- te la fede, i sacramenti, il vincolo della comunione, e chiamati a edifica- re insieme, nella forza dello Spirito, l'unico Corpo di Cristo 15;

- in secondo luogo, il Concilio ha presentato il mistero della Chiesa come quello di una comunità visibile, articolata da molteplici carismi e mi- steri, tutti finalizzati alla crescita dell'unità ecclesiale. "Lo Spirito San- to - ha precisato la Lumen gentium - non solo per mezzo dei sacra- menti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma 'distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui' (1 Cor 12,l l), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo le paro- le: 'a ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perchè torni a co- mune vantaggio' (1 Cor 12,7)" 16.

9. - Non è il caso di tornare ancora una volta l7 su quanto questa rin- novata presa d i coscienza sia stata stimolante e arricchente per il cammi- no della nostra Chiesa.

L'impegno, l'assunzione di corresponsabilità e le forme di partecipa- zione, sia in modo organizzato e ufficiale sia in maniere più libere e spon- tanee, da parte di numerosi fedeli laici, sono cresciuti in modo consistente.

La stessa fioritura di nuove esperienze ecclesiali - finalizzate alla pre- ghiera, all'approfondimento catechetico della fede, aila crescita della co- munione, all'esercizio della carità e all'evangelizzazione -, come la vitali- tà dei nuovi Movimenti ecclesiali, sono per la nostra Chiesa un grande dono dello Spirito che attesta la rinnovata giovinezza della Sposa di Cristo.

10. - In questo quadro positivo non possiamo, tuttavia, non rilevare difficolta, squilibri e tensioni, tipici peraltro di un cammino di crescita.

- La riscoperta della Chiesa quale "mistero di comunione" è stata tal- volta erroneamente interpretata come la necessità di un ritorno a una Chie- sa idealizzata, puramente spirituale, vista in contrapposizione a una Chie- sa istituzionale che sarebbe frutto di situazioni storiche contingenti. Da qui la disaffezione ed anche il rifiuto di ogni forma di disciplina ecclesiale.

- L'accento posto sull'eguale dignità dei battezzati ha fatto talora er- roneamente pensare a una sorta di livellamento della comunità ecclesia-

l5 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, nn. 9-10. l6 Ivi, n. 12. l7 Cfr C.E.I., Comunione e comunità, doc. cit. nn. 7-8.

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le, in cui non si è più saputo o voluto riconoscere l'articolata e ordinata complementarietà di ministeri e carismi, che la strutturano come "un cor- po ben compaginato e connesso" (Ef 4,16). Proprio per questo non sempre si è stati attenti a valutare nel debito modo quel carisma dello Spirito, costitutivo dell'autentica Chiesa di Cristo, che è ministero di unità e di guida esercitato dal Papa e dai Vescovi.

- La giusta affermazione della "libertà dello spirito" e della "parre- sia" (franchezza), che oggi a ragione sono sottolineate come qualità fon- damentali del discepolo, non di rado è stata assolutizzata e vissuta più come rivendicazione che come espressione del dono della salvezza opera- ta nei cuori dallo Spirito. E non sempre si è saputo armonizzare la ricer- ca della libertà con l'esercizio di quella fondamentale dimensione della se- quela del Cristo che è l'obbedienza: virtù che, nel cristianesimo, prima di una motivazione sociologica, ha un profondo contenuto cristologico ed ec- clesiale.

- Anche dal punto di vista etico, l'accentuazione del principio della co- scienza come del "nucleo più segreto e sacrario dell'uomo" la, ha fatto spesso dimenticare che proprio "nell'ultimo della coscienza l'uomo sco- pre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire" 19,

una legge che il Magistero della Chiesa è chiamato a interpretare ed espli- citare alla luce del Vangelo.

- Infine, la pluralità di nuove forme di spiritualità e di itinerari di fe- de, se da un lato ha fatto sperimentare la novità e la ricchezza dello Spi- rito, dall'altro talvolta ha rischiato di mettere in ombra l'essenziale veri- tà che ogni dono nella Chiesa va esercitato nella carità e finalizzato all'u- nità. Per cui non di rado si è assistito a una contrapposizione tra i cari- smi e il ministero gerarchico, creando così un'atmosfera di reciproco di- sagio e anche di incomprensione.

11. - Una Chiesa, dunque, quella che vive in Italia, che si mostra di grande vitalità, ma anche attraversata da molteplici tensioni, di cui non abbiamo accennato che le piu appariscenti, ma che potremmo ricondurre a quelle tra libertà e obbedienza, coscienza e verità, spontaneità e disci- plina, pluriformità e unità.

E perciò legittimo e doveroso cercare di approfondire, alla luce del mistero di Cristo, la realtà della comunità ecclesiale come sacramento del- l'intima unione con Dio e dell'unità degli uomini tra loro 'O, nel quale que- ste tensioni trovano un'originale prospettiva di soluzione nella forza uni- ficante e liberatrice della Spirito.

Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 16.

l9 vi. 20 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lurnen gentium, n. 1.

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CAPITOLO PRIMO

LIBERTÀ, OBBEDIENZA E DISCIPLINA NELLA COMUNITÀ ECCLESIALE

12. - In questo primo capitolo vogliamo andare alle radici del signifi- cato cristiano della libertà e dell'obbedienza, quali dimensioni costitutive della comunione e presupposti della disciplina ecclesiale.

Dopo un accenno alllAntico Testamento, ci soffermiamo sidl'evento di Cristo Gesù, per illustrare poi queste fondamentali dimensioni dell'esisten- za ecclesiale così come emergono dalla testimonianza della Chiesa delle origini e dall'insegnamento del Concilio Vaticano 11, nella continuità del- la Tradizione ecclesiale.

I. Israele, un popolo che nasce dall'ascolto della Parola e dall'osservanza della Legge

13. - L'Antico Testamento ci descrive l'esperienza originaria dell'uo- mo che, interpellato dalla Parola di Dio, si scopre come il "tu" del Crea- tore, creato "a sua immagine e somiglianza" (Gen 1,26). Ciò che fa uomo l'uomo è, in radice, proprio la sua capacità di ascolto e di risposta a Dio.

Tale ascolto, che si fa obbedienza alla Parola in cui Dio esprime la sua volontà, non è mai qualcosa di servile o di alienante: è, anzi, corri- spondere al progetto che il Creatore ha sulla sua creatura, un progetto di dignità e di salvezza, di liberazione e di vita piena.

I1 cammino di Israele ci mostra inoltre che la chi-amata di Dio è all'o- rigine di un popolo, convocato dal Signore come "assemblea" dei chiamati.

14. - Abramo, accogliendo nella fede la Parola, diviene padre di una moltitudine, perchè dalla sua obbedienza al Signore inizia una storia nuova: il cammino dell'urnanità fedele all'imprevedibile progetto di salvezza di Dio che si esprime nell'alleanza.

E un progetto che si attua progressivamente nella storia e che è proiet- tato verso un avvenire più grande, attraverso l'intervento multiforme di Dio in mezzo al suo popolo: in Mosè e nella Legge donata ad Israele quale segno dell'alleanza; nel sacerdozio di Aronne e nella dinastia davidica; nei profeti che accendono sempre di nuovo la speranza e nella costante e fe- dele rinnovazione della promessa da parte di Dio.

In particolare, il dono dell'alleanza si esprime in quello della Legge. La volontà di Dio si precisa nel decalogo (Es 20, 1-21; Dt 5,l-22), e anche in un ampia serie di leggi e prescrizioni che coprono l'ambito della mora- le, dei rapporti sociali e della liturgia (cfr Es 20, 22-23, 33; Lev 17-26). Se per un verso sono leggi legate a una cultura e a un ambiente, per un al- tro verso sono il concretizzarsi della volontà di Dio. Per Israele l'obbe- dienza a Dio è anche obbedienza a queste leggi, che compaginano l'unità del popolo e lo guidano nella storia.

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11. Cristo, il Figlio libero e obbediente nella comunione col Padre

15. - In Gesù si attua la promessa e si compie la nuova alleanza: in lui, la Parola di Dio, accolta dalla fede e dall'obbedienza di Maria, viene ad abitare definitivamente in mezzo a noi (Gv 1,14). Egli è il "nuovo Ada- mo", la realizzazione piena del disegno del Padre sull'umanità 21.

Leggendo i Vangeli restiamo ammirati di fronte a due caratteristiche dell'esistenza di Gesu che, a prima vista, potrebbero sembrare contrad- dittorie, ma che invece ne esprimono I'assoluta originalità: egli è l'uomo della libertà e, contemporaneamente, è l'uomo dell'obbedienza!

Gesu è l'uomo libero: di quella libertà che mostra di avere nei con- fronti delle consuetudini sociali e culturali ed anche delle prescrizioni le- galistiche e rituali che vengono dagli uomini e non da Dio, e che perciò, spesso, mortificano l'uomo invece di liberarlo; di quella libertà dalle co- se, dagli uomini, da se stessi, che esplode nel canto delle Beatitudini; di quella libertà che si esprime nel suo amore di preferenza per gli ultimi e che, alla fine, lo spingerà a far dono della sua stessa vita.

Ma anche - anzi proprio per questo - Gesu è'l'uomo della perfetta obbedienza a Dio: "Io sono di-sceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato" (Gv 6,38); "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato, e portare a compimento la sua opera" (Gv 4,34) ... Tutta la sua esistenza è un unico atto d'obbedienza al Padre, disteso nel tempo.

Inoltre, il Vangelo ci mostra che Gesu, pur dichiarandosi oltre le molte prescrizioni che mortificano la vera volontà di Dio, è anche osservante delle leggi del suo popolo. Frequenta la sinagoga (Mc 1,21; Lc 4,16) e il tempio (Mc cc. 11-12), di reca a Gerusalemme per le feste (Gv 7,2 ss; 10,22), invia il lebbroso dai sacerdoti per la purificazione (Mc 1.44) e paga il tributo del tempio (Mt 17.24-27). Polemizza contro il ritualismo e il formalismo, ma non conclude con l'abolizione delle osservanze rituali e disciplinari, bensì afferma - a partire dal primato dell'amore - che "queste cose bi- sogna fare e quelle non tralasciare" (Mt 23.23).

16. - La libertà di Gesu ha dunque la sua radice nell'obbedienza al pro- getto del Padre, calato nella concretezza della storia. Tutto questo ci spinge a penetrare nel cuore del suo mistero, che è rivelazione del mistero a cui ogni uomo, per dono, è chiamato a partecipare.

I1 fatto che in lui libertà e obbedienza, tensione verso la propria rea- lizzazione e conformità al progetto di Dio coincidono, scaturisce dal mi- stero della sua identità. Egli è il Figlio unigenito del Padre che vive un rapporto di intimità e di assoluta trasparenza con Lui: "Ciò che fa il Pa- dre lo fa anche il Figlio. Infatti, il Padre ama il Figlio e gli manifesta tut- te le cose che fa" (Gv 5,19-20); "Io e il Padre siamo uno" (Gv 10,30).

21 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, COS~. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 22.

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I1 Padre, che ama il Figlio, gli mostra e dona ogni cosa; il Figlio, che è l'immagine perfetta del Padre, a Lui obbedisce nell'amore, in tutto ac- cogliendo e compiendo il suo volere. Dal Padre l'amore "discende" come dono inesauribile e gratuito; e dal Figlio l'amore "sale" come obbedienza libera e fiduciosa.

17. - L'obbedienza di Gesu, come via alla comunione con il Padre e alla realizzazione della sua esistenza nel dono ai fratelli, non si può per- ciò comprendere in tutta la sua profondità e verità senza riferirsi all'iwf- fabile "dialogo trinitario" d'amore fra Padre e Figlio, che trabocca nella gioiosa comunione dello Spirito Santo.

E proprio questo dialogo d'amore che egli esprime nella storia attra- verso la sua esistenza di uomo. Un'esistenza che, vissuta nel contesto di un'umanità che sperimenta la propria lontananza da Dio, non può non co- noscere la fatica e il dolore: "pur essendo Figlio - scrive la Lettera agli Ebrei - imparò l'obbedienza dalle cose che patì" (Ebr 5,8).

La preghiera nel Getsemani - "Padre mio, se possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu" (Mt 26,39) - ci dice a quale profondità sia giunto questo "umano imparare" e questa "fatica" dell'obbedienza di Gesu. I1 discernimento del progetto di Dio nel- la storia e la libera adesione ad esso, anche per Lui passano attraverso l'opacità delle situazioni umane e il peso della sofferenza.

18. - I1 progetto di Dio sull'uumo, manifestato in Cristo, ci rivela la nostra altissima vocazione di uomini chiamati ad essere figli nel Figlio, rispondendo nell'obbedienza dell'amore al Padre, che per amore ci ha crea- ti e ci salva destinandoci a "essere conformi all'immagine del Figlio suo" (Rm 8,29).

Per questo, l'Apostolo Paolo, quando vuol presentare ai cristiani il mo- dello vivo e reale del cammino di crescita dell'uomo nella comunione con Dio e con i fratelli, non può non riferirsi all'obbedienza di Gesu spinta sino al dono della vita:

"(Egli) spogliò se stesso, assumendo. la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fi l 2,743).

111. Per la sua perfetta obbedienza Gesu è costituito Signore

19. - Ma è lo stesso Paolo - in unità con tutta la Tradizione apostoli- ca - a dirci come, proprio in virtù di questa perfetta obbedienza, Gesu è stato costituito Signore e Cristo nella sua resurrezione, per condurre come capo e primogenito tutti gli uomini alla salvezza:

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"Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perchè nel nome di Gesu ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesu Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (F i l 2,9-11).

20. - In realtà, già nella sua vita terrena Gesù mostra di possedere un'autorità che gli viene direttamente dal Padre: quella d'insegnare una "dottrina nuova", di guarire i malati e scacciare i demoni (cfr Mc 1,27; Mt 4,23-24) ... : in sintesi, l'autorità di annunciare con la Parola e di inau- gurare con i suoi gesti di salvezza la venuta del Regno di Dio in mezzo agli uomini (cfr A4c 1,15).

Per questo, l'evangelista Matteo lo presenta come il legislatore della nuova e definitiva alleanza, venuto per dare compimento alla Legge e ai Profeti (cfr Mt 5,17).

Con l'autorità messianica, che possiede in pienezza, Gesù convoca an- che attorno a sé il nuovo Israele e, in particolare, sceglie e chiama i Dodi- ci, rendendoli partecipi della sua stessa missione (Mc 3, 13-15).

21. - Infine, in virtù della perfetta obbedienza resa al Padre nell'adem- pimento della sua missione, Gesu diviene, attraverso il mistero della sua Pasqua di morte e risurrezione, "causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5, 9; cfr Rm 5,9).

Investito dal Padre di "ogni potere in cielo e in terra", Cristo risorto, col dono dello Spirito, invia gli Apostoli e partecipa loro la sua autorità messianica: "andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel no- me del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osser- vare tutto ciò che io vi ho comandato" (Mt 28, 18-20).

IV. La comunità del Cristo dimora nella dottrina degli Apostoli

22. - In questa luce si comprendono le caratteristiche che il dono del- la comunione col Padre e con i fratelli, fattoci da Cristo nel suo Spirito, viene ad assumere nella Chiesa.

Innanzitutto, essere fedele all'amore di Cristo significa per la Chiesa osservare le sue parole (Gv 17,6-8)) che esprimono la verità della sua esi- stenza e, in Lui, la verità del progetto di Dio sull'uomo.

L'Apostolo Giovanni ritorna più volte su questo concetto. "Da questo sappiamo d'averlo conosciuto - egli scrive ad esempio -: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: Lo conosco, e non osserva i suoi comanda- menti, è bugiardo e la verità non è in lui" (l Gv 2,3-4). Identico invito ri- suona dalle labbra di Gesu stesso: "Come il Padre ha amato me, così an-

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ch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i mie coman- damenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango. nel suo amore" (Gv 15,9-10).

L'esistenza ecclesiale è dunque un vivere nell'amore e nella libertà di Cristo, un partecipare del rapporto filiale tra Lui il Padre e un crescere nella comunione con i fratelli. Ma la verità di questo amore, l'autenticità di questa comunione hanno una misura oggettiva: l'obbedienza ai coman- damenti del Signore. A quelli, in primo luogo, che egli medesimo ha dato; ma anche a quelli che la Chiesa, illuminata dallo Spirito che "guida alla verità tutta intera" (Gv 16,13), espliciterà nel corso dei tempi, aderendo alla Parola del Signore e mettendola a confronto con ie diverse situazioni storiche.

23. - La comunione donata dal Cristo e attuata dal suo Spirito ha in- fatti un'altra misura di verità, strettamente collegata alla precedente: l'a- desione a coloro che Cristo ha mandato perchè continuino, in unione con Lui, la missione affidatagli dal Padre.

I1 ministero degli Apostoli, infatti, si riassume nel continuare visibil- mente la presenza del Cristo, la sua stessa missione in mezzo ai credenti: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv 20,21; cfr M c 13.14-15; Mt 18, 18; Mt 28, 19-20; Lc 24, 45-48; At 1,8; At 2, 1-4). La missio- ne del collegio degli Apostoli, con a capo Pietro (cfr Gv 21, 15-17; M t 16, 17-19; Lc 22, 31-32), si pone sul prolungamento della missione del Cristo risorto, capo e principio di vita del corpo della Chiesa (cfr Col 1, 18-20; Ef 4, 15-16).

Perciò, la comunità cristiana è consapevole che, come gli Apostoli, ac- cogliendo Cristo, hanno accolto il Padre, allo stesso modo essa, accoglien- do gli Apostoli e "dimorando nel loro insegnamento" (cfr Ai 2,42), acco- glie Cristo e dimora nel suo insegnamento: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato" (Mt 10,40; cfr Lc 10,16).

V. Comunione e disciplina nella Chiesa delle origini

24. - Ma che cosa significa, concretamente, osservare i comandamenti del Signore? È forse possibile aderire alla Parola di Dio senza aderire al- le norme morali, ma anche disciplinari e pastorali che i Pastori della Chie- sa impartono per edificare nella storia la comunità del Cristo?

Per rispondere a questi interrogativi, osserviamo la Chiesa delle ori- gini, specchio nel quale la comunità cristiana d'ogni epoca deve rifletter- si, scegliendo l'esempio della Chiesa di Corinto.

25. - L'Apostolo Paolo riconosce con gioia che questa comunità è ric- ca di molti doni dello Spirito (Cfr 1 Cor 1,5-7).

Questo però non impedisce che sia attraversata da tensioni che la mi- nacciano profondamente. Cè una prima divisione in partiti e correnti, ri-

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ferendosi chi a un Apostolo chi a un altro (1,11-12). Cè chi ha compreso che si può mangiare la carne immolata agli idoli e chi, invece, è ancora prigioniero di vecchie superstizioni e ne resta scandalizzato (8,l ss). Ci so- no i ricchi e ci sono i poveri (1 1,21). E ci sono i molti doni dello Spirito i quali - anzichè convergere verso l'edificazione comune - finiscono col rivaleggiare tra loro e contrapporsi (cfr cc. 12 e 14).

Né mancano incertezze, per non dire vere e proprie deviazioni, in cam- po morale, liturgico e pastorale.

26. - E in questa situazione che l'Apostolo interviene con tutto il peso delllautorità che gli deriva dal mandato del Signore, per ricordare la pre- minenza assoluta del dono della comunione e il dovere di tradurla nei rap- porti concreti.

Egli precisa che la Chiesa è una comunione che si esprime in una co- munità articolata come un corpo vivente, la cui legge fondamentale è la complementarietà nell'amore fra le varie membra e la convergenza per la crescita comune ne! Cristo risorto. Di qui scaturiscono i criteri per discer- nere e ordinare i molti carismi: non solo il riconoscimento di Cristo Si- gnore (12,3), ma anche l'utilità comune (12,7).

Inoltre, spiega Paolo, la comunione delle varie membra non si realiz- za semplicemente in uno sforzo di reciproco arricchimento e sostegno, ma anche in un comune slancio missionario, in una crescita verso la "piena maturità di Cristo" (cfr Ef 4,ll-13).

Infine, l'Apostolo non esita a impartire norme concrete e precise, ad esempio per lo svolgimento corretto di un'assemblea della Parola (14,22-3 1.34). Sono norme autorevoli, che esigono' obbedienza: Paolo, infatti, vuole che "quanto scrive" sia riconosciuto come "comando del Signore" (14,37).

I due livelli del discorso - quello dottrinale e morale e quello disci- plinare - non sono semplicemente accostati, ma, pur distinti, si innesta- no profondamente l'uno nell'altro: la comunione articolata esige una di- sciplina, e la disciplina deve esprimere la comunione. La motivazione di fondo che l'Apostolo adduce è tanto semplice quanto forte e decisiva: "per- chè Dio non è un Dio di disordine, ma di pace" (14.33).

27. - Non sarebbe difficile estendere il discorso alle altre comunità cristiane primitive. I1 Nuovo Testamento mantiene fermo il principio che nella comunità ecclesiale è presente lo Spirito del Risorto, che la compa- gina nella comunione e la guida distribuendo i suoi doni; nello stesso tem- po, sottolinea che la comunione esige anche l'autorità degli Apostoli e l'ob- bedienza: altrimenti, i molti doni dello Spirito si disperdono, anzichè co- struire una comunità visibile e credibile.

L'esperienza delle prime comunità cristiane, poi, è ricca di indicazio- ni non solo per l'obbedienza dei cristiani, ma anche per l'esercizio dell'au- torità dei Pastori. Molti testi evangelici ricordano che essa deve esercitar- si come un servizio, e non erigersi a dominio. La presenza di simili avver- timenti in tutta la tradizione evangelica e in contesti molteplici (cfr Lc 22,

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25-27; M c 9, 35; M t 18,4; Lc 9, 46; M c 10, 44-45; Mt 23, 8-10; GV 13, 12-17), prova che già la comunità primitiva, appellandosi all'insegnamento del Si- gnore, ne sentiva tutta l'importanza.

Se, da una parte, l'autorità nella Chiesa ha il dovere di impartire del- le norme e quindi il diritto di esigere l'obbedienza, dall'altra va egualmente sottolineato che essa si giustifica unicamente come un servizio alla comu- nione, intesa sia come fedeltà a Cristo sia come edificazione comune. Eser- citare l'autorità è, in realtà, per i Pastori un modo concreto e impegnati- vo di vivere l'obbedienza a Cristo.

Senza dimenticare, infine, che l'autorità nella Chiesa deve essere evan- gelica non soltanto nel suo fine ma anche nelle modalità del suo eserci- zio, che vanno permeate e sostanziate di carità.

VI. L'insegnamento del Concilio Vaticano 11

28. - In continuità con la testimonianza apostolica e con l'ininterrotta Tradizione della Chiesa, il Vaticano I1 ha riaffermato che la comunione ecclesiale si esprime in una comunità visibile e ordinata da una sua pro- pria disciplina di vita e di governo.

"La società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cri- sto, la comunità visibile e quella spirituale - scrive la Lumen gentium - (...) non si devono coilsiderare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà. (...) Come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, in modo non dis- simile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr Ef 4,16)" 22.

29. - In questa prospettiva, all'interno dell'unico popolo di Dio, del qua- le si è resi partecipi in virtù del battesimo e nel quale' tutti godono della stessa dignità, si colloca la presenza e lo specifico ministero del Papa e dei Vescovi.

"I1 Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visi- bile fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I singoli Vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari, formate a immagine della Chiesa uni- versale" 23.

"Nella persona dei Vescovi, assistiti dai presbiteri, è presente in mez- zo ai credenti il Signore Gesu Cristo" 24; per questo i fedeli sono invitati ad "aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesu Cristo e come Gesu Cristo al Padre" 25.

22 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumerz gentium, n. 8. 23 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost., dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 23. 24 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 21. 25 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 27.

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30. - I Vescovi sono pertanto insigniti del triplice ministero della pre- dicazione, della santificazione e del governo della Chiesa loro affidata, e svolgono tale ministero a servizio e in edificazione della vita di comunio- ne del popolo santo di Dio, che - come afferma la Lumen gentium - è popolo profetico, sacerdotale e regale.

Innanzitutto, i Vescovi sono chiamati a "predicare al popolo loro affi- dato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita" 26, eserci- tano il servizio del Magistero dottrinale e morale.

In secondo luogo, in quanto possiedono la pienezza del sacramento del- l'Ordine, esercitano il supremo sacerdozio di Cristo e sono i primi dispen- satori della grazia dei sacramenti

Infine, "reggono le Chiese particolari a loro affidate (...) col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà", in virtu della quale "hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appar- tiene al culto e all'apostolato" 28. In altre parole, essi possiedono ed eser- citano un'autorità disciplinare e pastorale.

3 1. - La Lumen gentium mette anche in evidenza la partecipazione dei presbiteri alla missione del Vescovo e la loro unità nel presbiterio, a ser- vizio dell'edificazione della comunione ecclesiale.

"I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipen- dendo dai Vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell'onore sacerdotale e, in virtu del sacramento deillOrdine, (...) sono con- sacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divi- no, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento (...)".

"(Quali) saggi collaboratori dellJOrdine episcopale e suo aiuto e stru- mento, (...) costituiscono col loro Vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e gran- de, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e la eserci- tano con dedizione quotidiana" 29.

32. - Infine, il Concilio non manca di precisare quali debbano essere i rapporti fra i laici e la gerarchia, perchè siano espressione e strumento di vera comunione.

i laici "con cristiana obbedienza prontamente accettino ciò che i Pa- stori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono come maestri e capi nel- la Chiesa, seguendo in ciò l'esempio di Cristo, il quale con la sua obbe- dienza fino alla morte ha aperto a tutti gli uomini la via beata della liber- tà dei figli di Dio" 30.

26 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 25. 27 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 26. 28. CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 27. 29 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 28. 30 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogrn. su la Chiesa Lumen gentium, n. 37.

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I Pastori a loro volta "riconoscano e promuovano la dignità e la re- sponsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli incarichi per il servizio della Chie- sa e lascino loro libertà e campo di agire, anzi li incoraggiano perchè in- traprendano delle opere anche di propria iniziativa. Considerino attenta- mente in Cristo e con paterno affetto le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici (cfr 1 Tes 5,19; 1 Gv 4,l). Con rispetto poi i Pastori rico- nosceranno quella giusta libertà che a tutti compete nella città ter- restre'' 31.

VII. Indicazioni per il nostro cammino di Chiesa

33. - Rispecchiandosi nella Parola di Dio, letta alla luce del Magistero del Concilio Vaticano 11, la nostra Chiesa può individuare delle piste con- crete sulle quali camminare per rispondere all'appello dello Spirito e per dare soluzione evangelica alle tensioni che l'attraversano.

Raccogliamo, in sintesi, alcuni elementi che ci sembrano emergere, con particolare evidenza e aderenza alla nostra situazione ecclesiale, dall'esa- me sin qui condotto.

34. - Innanzitutto, ci preme sottolineare che l'obbedienza a Dio e alla piena manifestazione della verità dell'uomo, rivelata in Cristo è la via ir- rinunciabile attraverso la quale l'uomo può realizzare la sua identità nel progetto di Dio.

Nelle nostre comunità, e nei singoli credenti, è perciò urgente risve- gliare la consapevolezza che la fedeltà ai comandi del Signore, interpreta- ti dal Magistero della Chiesa e da esso applicati ai diversi ambiti dell'e- sperienza personale e sociale e alle diverse situazioni storiche, è la rispo- sta alla più profonda vocazione dell'uomo.

Su alcune implicazioni di queste affermazioni per la vita morale del cristiano ritorneremo nel secondo capitolo.

35. - In secondo luogo, è essenziale riscoprire nelle nostre comunità l'importanza e il significato di quella che Giovanni Paolo I ha defi~ito "la grande disciplina della Chiesa (...) quale collaudata ricchezza della sua sto- ria" '2 . Essa - come ha sottolineato Giovanni Paolo I1 - "non ha corne scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprat- tutto la carità dei fedeli nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e ai carismi, rende più agevole contem-

31 Ivi. 32 GIOVANI PAOLO I, Radiomessaggio del 27 agosto 1978 agli Em.rni Cardinali e a tutto il mon-

do i n occasione della elezione al Pontificato, AAS (LX,X), n. 10, 23 settembre 1978, pp. 691-699.

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poraneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società eccle- siale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono" 33.

Nel terzo capitolo offriremo alcune indicazioni sulle fonti e gli stru- menti della disciplina canonica nell'oggi della Chiesa.

36. - Siamo convinti, infine, che la vitalità manifestata oggi dalla Chiesa in Italia potrà trovare la sua espressione più feconda e una più vigorosa incidenza missionaria nella misura in cui saprà riconoscersi nell'unità at- torno a Cristo, presente nella sua Chiesa attraverso il ministero dei Pastori.

Tutto ciò implica che si instauri un clima di sincera fraternità, di re- ciproca accoglienza, di valorizzazione dei diversi carismi e cammini di fe- de, ma anche di fiducioso e grato riconoscimento del servizio di discerni- mento e di autorità, di indirizzo dottrinale,disciplinare e pastorale svolto nelle singole Chiese particolari dai Vescovi, in comunione collegiale e ge- rarchica con il Successore di Pietro. E implica, al tempo stesso, una cre- scita di tutti i cristiani nella partecipazione e nella corresponsabilità al- l'edificazione e all'espansione della comunione ecclesiale.

Nell'ultimo capitolo svilupperemo alcune linee di impegno e di verifi- ca pastorale in questa direzione.

CAPITOLO SECONDO

COSCIENZA MORALE, MAGISTERO E DISCIPLINA ECCLESIALE

37. - Non si può parlare del significato della disciplina nel mistero della comunione ecclesiale senza approfondire le implicazioni di questa realtà per la vita morale del cristiano.

Oggi infatti, il rapporto tra la coscienza morale e la disciplina solleva non poche difficoltà. Lo testimonia il fatto di appellarsi, spesso, proprio alla coscienza per disattendere le indicazioni della disciplina ecclesiale. Talvolta, anzi, l'appello alla coscienza si configura nei termini di una "obie- zione", sollevata non soltanto a proposito di una norma canonica ma an- che nei riguardi della stessa legge morale.

Come abbiamo rilevato nell'Introduzione, l'appello alla coscienza ri- sulta non di rado viziato dal soggettivismo: di qui il rifiuto di ogni altra norma che non sia il soggetto stesso. A sua volta, il soggettivismo è insie- me frutto e segno dell'assolutizzazione della libertà, interamente spoglia- ta di un'autentica responsabilità.

In una simile situazione occorre lanciare la sfida di una lettura più matura e critica di queste dimensioni della persona: la libertà, la coscien-

33 GIOVANNI PAOLO 11, Cost. Ap. Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983, AAS (LXXV), pars. I1

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za e la responsabilità morale; e mettere in luce il loro rapporto con la legge morale, con il servizio del Magistero nella comunità cristiana e con l'intera realtà della disciplina ecclesiale.

I. "La verità vi fara liberi"

38. - Nessuno più del cristiano può e deve amare la libertà, perchè nessuno meglio di lui ne può cogliere il significato profondo. Come inse- gna il Vaticano 11, la libertà "è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina" 34. L'Apostolo Paolo la propone come la mèta stessa della vocazio- ne del discepolo: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà" (Ga2 5,13).

Ma lo stesso Paolo precisa: "purchè questa libertà non divenga un pre- testo per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" (ibid.). Tali parole definiscono la libertà non nei termi- ni del "libero arbitrio", ossia d'una capacità di scelta - comunque Ia scelta possa essere fatta -, bensì nei termini d'una possibilità di scelta che esi- ge di attuarsi secondo la verità della vita cristiana.

La libertà, infatti, non si può comprendere né realizzare se non in ri- ferimento alla verità, che ci è manifestata in pienezza in Cristo: "se rima- nete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,31).

La verità che Cristo mostra ed è (cfr Gv 14,6) rende libero i1 cristiano perchè gli rivela il progetto di Dio sull'uomo e gli indica la strada per rea- lizzare pienamente la sua esistenza in conformità a questo progetto.

Libertà e ver-ità non sono, pertanto, realtà contrastanti o contraddit- torie, così come--non lo sono libertà e obbedienza. Anzi, possiamo affer- mare che nel cristiano, come in Gesu, la libertà si esprime come obbe- dienza amorosa alla verità. La libertà - insegna il Concilio - è rafforza- ta proprio dall'esercizio dell'obbedienza ".

39. - In questo senso, la libertà si può definire come "responsabilità" nei confronti della verità dell'uomo, così come è pensato, creato e rendento da Dio in Gesu Cristo: è libera risposta di amore a una libera chiamata di amore.

E la verità dell'uomo, in fondo, non è che la chiamata alla comunione col Padre in ~ r i s t o e, in Lui, con i fratelli: quell'unità nell'amore che è partecipazione alla vita trinitaria stessa del Creatore. Perciò, la libertà ma- nifesta il suo autentico volto solo nella misura in cui si attua come capa- cità di risposta a Dio, nel dono sincero e gratuito di sé a Lui e ai fratelli 36.

34 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 17

35 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 43; Decr. Perfectae caritatis, 14; Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 15.

36 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 24.

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E evidente, allora, che la libertà ha un'intrinseca dimensione sociale, in quanto la persona è chiamata a realizzarsi nella comunione. Deve quin- di continuamente confrontarsi non solo con la verità dell'uomo rilevata in Cristo, ma anche con le concrete esigenze della comunione ecclesiale e del suo cammino di crescita attraverso la storia, nella fedeltà a Cristo e nel costante ascolto del suo Spirito.

11. Nella coscienza l'uomo ascolta la voce di Dio

40. - Se, in termini generali, il rapporto fra libertà e obbedienza alla verità può non sollevare problemi, tale rapporto incontra delle difficoltà nei casi concreti, di fronte a norme e prescrizioni morali che vogliono esprimere e in qualche modo concretizzare questa verità, ma per le quali il giudizio della propria coscienza sembra poter sollevare delle obiezioni.

In realtà, è proprio nell'intimo della sua coscienza che il cristiano vi- ve e cresce nella sua libertà resposabile, maturando decisioni e scelte in rapporto alla verità dell'uomo rivelata in Cristo e, insieme, in rapporto alla storia di ciascuno, nella sua concreta e irripetibile situazione di vita e nel contesto della società e della cultura in cui si trova inserito.

Diventa allora necessario precisare il concetto di coscienza morale. Di essa possiamo riprendere ciò che dice la Gaudium et spes: "La co-

scienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria"

È infatti grazie alla coscienza che l'uomo "entra in se stesso", scen- dendo in quel "luogo interiore" che la Bibbia chiama "cuore". E per en- trare in sé l'uomo deve avere il coraggio di restare solo. Certamente, egli "per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicitare le -sue doti" 18: in questo senso ha bisogno degli altri e deve sostenere il confronto con le persone, gli eventi, le si- tuazioni, gli strumenti culturali e scientifici di comprensione dell'uomo.

Eppure, la coscienza si dà proprio quando l'uomo "si trova solo": per- chè questa solitudine crea la possibilità di un ascolto e si riempe della presenza di Dio, che parla al cuore di ciascuno. Per questo il Concilio de- finisce la coscienza un "sacrario", quasi un tempio spirituale nel quale s'incontrano e dialogano Dio e l'uomo.

41. - La coscienza fa dunque riferimento, nei suoi giudizi e nelle deci- sioni, a Dio che manifesta all'uomo la verità della sua vocazione di uomo.

In questo senso la Tradizione ha costantemente parlato della "legge" morale (in cui si esprime la voce di Dio) come termine di confronto e punto di riferimento oggettivo della coscienza che giudica e decide.

37 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 16.

38 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 12.

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"Nell'intimo della coscienza - scrive la Gauditlm e t spes - l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedi- re e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggi- re il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio den- tro il suo cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato"

Questa legge è impressa nel cuore di ogni uomo, è donata da Dio al suo popolo Israele, nell'Antico Testamento, è perfezionata e rivelata in pie- nezza da Cristo Gesù, ed è interiorizzata-nel cuore del credente dalla gra- zia dello Spirito 40.

42. - Coscienza e legge morale non vanno dunque viste come realtà antitetiche.

La coscienza è fatta per scoprire la legge moralee per aderire ad es- sa. La legge morale dice alla coscienza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che umanizza l'uomo secondo il progetto di Dio e ciò che lo aliena.

Inoltre, la legge compie una funzione pedagogica nei confronti della coscienza: la educa alla verità e al bene, la forma cristianamente e la for- tifica, la rende sempre più autenticamente libera e pronta a percepire e seguire la voce dello Spirito.

111. I1 Magistero della Chiesa illumina la coscienza morale

43. - È importante, poi, sottolineare che il Signore Gesù continua a parlare oggi al cristiano attraverso la Chiesa, alla quale ha donato il suo Spirito di verità. Per questo la coscienza morale deve essere attenta e pre- stare ascolto alla voce della Chiesa e in particolare a quella dei Pastori, ai quali il Signore risorto ha affidato il ministero di maestri e dottori dei suo popolo.

In questa prospettiva l'Apostolo Paolo collega il discernimento della verità, al quale la coscienza deve conformarsi, non solo alla voce interio- re dello Spirito che guida il credente a una comprensione sempre più pro- fonda delle esigenze del Vangelo (cfr R m 12,2; Ef 4,23-24), ma anche a un approfondimento che avviene all'interno della comunione ecclesiale, in par- ticolare mediante la "esortazione" (cfr R m 12,l) apostolica.

La coscienza morale del cristiano vive dunque, e si educa, attraverso l'ascolto della voce dello Spirito, che parla nel suo intimo, e nello stesso tempo attraverso l'ascolto della voce del medesimo Spirito, che parla nel- la Chiesa e si esprime nel Magistero degli Apostoli e dei loro successori.

In questo senso - come ha precisato Giovanni Paolo I1 - "poichè il Magistero della Chiesa è stato istituito da Cristo Signore per illuminare

39 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 16.

40 Cfr Ivi.

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la coscienza, richiamarsi a questa coscienza precisamente per contestare la verità di quanto è insegnato dal Magistero comporta il rifiuto della con- cezione cattolica sia di Magistero che di coscienza moraleJJ 41.

44. - Circa l'atteggiamento che il cristiano deve avere nei confronti del Magistero della Chiesa, la Lumen gentium afferma: " I Vescovi, quando in- segnano in comunione col Romano Pontefice, devono essere da tutti ascol- tati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fe- deli devono accettare il giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi con religioso rispetto".

"Ma questo religioso rispetto di volontà e di intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al Magistero autentico del Romano Pontefi- ce, anche quando non parla 'ex cathedra', così che il suo supremo Magi- stero sia con riverenza accettato, e con sincerità si aderisca alle sentenze da lui date, secondo la mente e la volontà da lui manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente ri- proporre la stessa dottrina, sia dal tenore dell'espressione verbale" 42.

45. - È certamente vero che gli insegnamenti del Magistero hanno un diverso valore dottrinale, e che la prerogativa della infallibilità compete in modo specifico al Sommo Pontefice quando "sancisce con atto definiti- vo una dottrina riguardante la fede e la morale", al collegio episcopale "quando esercita il supremo Magistero col Successore di PietroJ', e anche ai "singoli Vescovi, quando, anche dispersi nel mondo, ma conservanti il vincolo della comunione tra di loro e con il Successore di Pietro, nel loro insegnamento autentico circa materie di fede e di morale convengono su una sentenza da ritenersi definitiva" 43.

Ma la giusta distinzione fra insegnamento infallibile e non infallibile non deve costituire un alibi, che dispensi il credente dal "religioso rispet- to di volontà e di intelligenza" che sempre è tenuto ad avere nei riguardi del Magistero. Tale rispetto richiede di accogliere concretamente il quoti- diano servizio di verità che il Papa e i Vescovi svolgono in favore del po- polo di Dio.

46. - Nell'integrale ed autentica esperienza della vita ecclesiale, la co- scienza cristiana deve perciò tendere ad essere non solo "retta", e cioè fedele e coerente con ciò che sinceramente ascolta nel suo intimo; ma an- che "vera", e cioè capace di giudicare e di decidere secondo la verità mo- rale rivelata da Cristo ed interpretata dal Magistero, anche quando que- sta verità non è pienamente compresa dal credente in tutte le sue moti- vazioni.

41 GIOVANNI PAOLO 11, Discorso ai partecipanti al 11 Congresso internazionale di teologia mo- rale, i n l'Osservatore Romano, 13.1 1.1988.

42 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. Lumen gentium, n . 25. '

43 Ivi.

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Conformandosi in spirito di fede all'insegnamento morale della Chie- sa, il cristiano non potrà mancare di fare l'esperienza che solo la "porta stretta" ( M t 7, 13-14) del rinnegamento di sé ( M c 8, 34-35), che spesso può apparire dura e oscura, conduce in realtà a quella gioia e a quella libertà che sono veri frutti dello Spirito di Cristo (Gal 5, 22).

IV. La coscienza cristiana e la disciplina ecclesiale

47. - Bisogna infine ricordare che la coscienza morale cristiana è in- terpellata non solo dai pronunciamenti riguardanti la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, ma anche dalle direttive disciplinari e pastorali del Papa e dei Vescovi.

Cetamente non si devono confondere la legge morale e la norma giu- ridica, né i loro rispettivi contenuti. Ma la disciplina ecclesiale risponde a un'esigenza non puramente esteriore e funzionale; il suo significato non si esaurisce nell'assicurare una perfetta organizzazione e un'efficiente fun- zionalità della comunità cristiana. Si tratta, più in profondità, di una esi- genza interiore ed essenziale, che deriva dal fatto che la disciplina eccle- siale è 81 servizio della comunione.

48. - L'accoglienza cordiale e convinta dell'intera realtà della discipli- na ecclesiale da parte della coscienza morale si concretizza nell'accoglienza delle diverse norme disciplinari e pastorali. Non tutte rivestono lo stesso valore, né in se stesso né in rapporto al variare delle condizioni storiche: di conseguenza anche la loro obbligatorietà ha diversità di gradi.

Ma quando si tratta di leggi della Chiesa universale e particolare- (nor- me del Codice di diritto canonico, norme liturgiche e sacramentali, nor- me promulgate dal Vescovo per la propria Diocesi), esse obbligano in co- scienza, e la loro infrazione può diventare una colpa morale, anche grave, in rapporto alla maggiore o minore importaaza di ciò che è comandato.

49. - Non è lecito, d'altra parte, appellarsi al carattere storico di va- rie espressioni concrete della disciplina ecclesiale, per non accoglierle e non viverle secondo il loro significato. Non perchè si debba assolutizzare ciò che è relativo, ma perchè anche ciò che è relativo possiede un suo pre- ciso valore, in quanto è posto al servizio della comunione ecclesiale e del- la promozione del "bene comune".

E vero infatti che alcune norme possono essere cambiate, come già è accaduto e come potrà accadere anche in futuro, ma ciò non toglie che la loro osservanza, finchè sono in vigore, costituisca un criterio di auten- tico comportamento e spirito ecclesiale. '

Va inoltre sottolineato che l'obbedienza alla disciplina della Chiesa si mostra normalmente come una via maestra, percorrendo la quale il cri- stiano si educa a vivere con serietà, concretezza e umiltà in vista dell'uti- lità comune (cfr l Cor 12, 7). Anche attraverso questa forma di obbedien- za crescono insieme la libertà e la comunione autenticamente ecclesiali.

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CAPITOLO TERZO

FONTI E STRUMENTI DELLA DISCIPLINA ECCLESIALE

I. Vicenda storica e significato della disciplina ecclesiale

50. - Abbiamo già considerato il primo formarsi della disciplina ec- clesiale nell'esperienza di vita della Chiesa nascente (cfr il Cap. I). Dall'e- poca post-apostolica in poi, l'esigenza che la comunità ecclesiale ha di cre- scere, in modo da edificare se stessa nella comunione, ha provocato un progressivo sviluppo sia nell'organizzazione istituzionale che nella legisla- zione della Chiesa, ferma restando quella struttura essenziale che è di ori- gine divina, poichè proviene da Cristo Signore e fondatore della Chiesa.

Le fonti di questa progressiva articolazione sono i Concili, i Sinodi, i rescritti pontifici, le disposizioni episcopali; ma anche l'esperienza del- l'intero popolo di Dio,'che dà forma a comportamenti stabili e diventa leg- gittima consuetudine. Nasce a poco a poco anche quell'originale fenome- no di "ordinamento comunitario" che è la disciplina della vita consacrata nelle sue varie forme. La vicenda stessa del rapporto della Chiesa con la comunità politica concorre a farne crescere la dimensione istituzionale e il patrimonio disciplinare.

In questo cammino storico emerge l'esigenza di una riflessione siste- matica sul diritto della Chiesa, che va intanto ordinandosi nelle prime rac- colte organiche. La recente promulgazione del nuovo Codice di Diritto ca- nonico per la Chiesa latina è il segno emblematico di questo ininterrotto processo di autoconfigurazione disciplinare, proprio della vita e della cre- scita della Chiesa.

5 1. - Da un'attenta considerazione di questi sviluppi si può conclude- re che l'ordinamento istituzionale e disciplinare della Chiesa nasce dall'e- sigenza della fedeltà alla missione che Cristo le ha affidato e quindi, in definitiva, dall'urgenza della salvezza degli uomini, "che nella Chiesa de- ve essere la legge suprema" 44.

Dalla storia della Chiesa si rileva inoltre che ogni autentico rinnova- mento nella sua vita è partito indubbiamente dal "rinnovamento del cuo- re", ma si è tradotto anche in un rinnovamento della disciplina e in un aggiornamento delle sue forme. Tale rinnovamento è richiesto da un lato dalla perenne "riforma", cui è tenuta la comunità ecclesiale per mante- nersi fedele alla sua divina origine e missione, dall'altro dalla necessità di tener conto delle mutevoli circostanze sociali e culturali in cui essa opera.

Si comprende, perciò, come sia normale che le forme istituzionali e le disposizioni normative della Chiesa mutino e si rinnovino nel tempo,

44 C.I.C., can. 1752.

24

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pur rimanendo costantemente sotto il giudizio della Parola di Dio e in con- tinuità con la Tradizione ecclesiale.

11. 11 nuovo Codice di Diritto Canonico

52. - I1 tempo della Chiesa che stiamo vivendo è tempo di grande rin- novamento, che tocca anche la disciplina ecclesiale. Ciò spiega perchè la Chiesa latina abbia rinnovato la sua legislazione generale, con l'entrata in vigore del nuovo Codice di Diritto Canonico, avvenuta il 27 novembre 1983.

Esso si sostituisce al Codice del 1917 e intende tradurre in norme ge- nerali concrete, precise, organiche i grandi valori e le autorevoli direttive che il Concilio Vaticano I1 ha proposto alla riflessione e alla vita della Chiesa.

Merita perciò di essere ampiamente conosciuto, seriamente studiato, fedelmente applicato, sempre nella luce dell'insegnamento complessivo del Concilio Vaticano 11, che ne costituisce - come il Papa stesso ha ricorda- to - il fondamentale criterio di interpretazioned5. In questo modo si dà prova di prendere sul serio le disposizioni conciliari, senza interpretazio- ni arbitrarie e al di là di riduzioni o di enfatizzazioni di comodo.

53. - Ci pare doveroso proporre all'impegno di tutti alcune indicazioni:

- una conoscenza almeno sintetica del significato e delle linee essen- ziali del Codice di Diritto canonico dovrebbe far parte di una completa e matura catechesi per i giovani e per gli adulti, con qualche opportuno sviluppo per coloro che sono chiamati a vivere speciali responsabilità nella Chiesa (preparazione ai matrimonio e alla famiglia, responsabilità educa- tive, compiti di insegnamento, esercizio di ministeri);

- uno studio più approfondito è richiesto nelle scuole di formazione qualificata, dagli Istituti di scienze religiose sino ai Seminari teologici; così pure una particolare conoscenza degli aspetti specifici che li riguardano va assicurata a quanti operano in settori della pastorale di una certa com- plessità (consigli pastorali e per gli affari economici, collaborazione nelle curie diocesane e negli Istituti per il sostentamento del clero, consulte pa- s torali);

- deve essere favorito l'approfondimento teologico e scientifico del nuo- vo Codice nelle Facoltà teologiche; e le diocesi e le famiglie religiose non dovrebbero mancare di preparare sacerdoti, religiosi e religiose, laici, esperti nel diritto della Chiesa, anche per assicurare una recezione nelle Chiese particolari e negli Istituti di vita consacrata che sia nello stesso tempo illuminata e sicura.

45 Cfr GIOVANNI PAOLO 11, Cost. Ap. Sacrae disciplinae leges, doc. cit.

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III. La legislazione delle Chiese particolari

54. - Dopo il Concilio è cresciuta in Italia la consapevolezza del valo- re della Chiesa particolare, in stretto collegamento con il "senso della Chie- sa cattolica".

In conformità alle disposizioni generali della Chiesa universale, le no- stre Chiese particolari, attraverso i Sinodi, le Commissioni, i Consigli e altre forme di partecipazione, non hanno esitato a darsi, negli ambiti di loro competenza e sotto la guida dei Vescovi, nuove strutture e nuove nor- me. Con apertura alle molteplici urgenze presenti nel contesto nel quale vivono, esse stanno così riprendendo l'abitudine di darsi una propria di- sciplina. Si pensi agli adattamenti in campo liturgico, alla riorganizzazio- ne della catechesi, alla disciplina degli itinerari sacramentali, all'organiz- zazione sempre più partecipata delle strutture diocesane e parrocchiali, al rinnovamento dei servizi della carità, alle innovazioni che hanno fatto seguito al nuovo Concordato tra la Santa Sede e l'Italia in materia di in- segnamento della religione nella scuola, di sostentamento del clero e di amministrazione dei beni axlesiastici.

55. - Come è noto, l'esercizio della potestà legislativa nelle Chiese par- ticolari compete ai singoli Vescovi 46. Non ci nascondiamo la grave respon- sabilità che questo esercizio comporta, ma ci conforta sapere che nella Chiesa tutti i fedeli "in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dove- re, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa" 47.

Nella formulazione delle leggi sarà nostro dovere promuovere il dia- logo il più ampio possibile, così da leggere e interpretare insieme, sotto la guida dello Spirito, il disegno di Dio sulla vita delle nostre comunità. Siamo convinti che si debba arrivare alla promulgazione delle leggi e alle successive necessarie modificazioni attraverso un cammino di comunio- ne, assicurando sia la partecipazione attiva della comunità, sia il servizio di guida e di governo dei Pastori, a cui spetta deliberare.

56. - Uno degli strumenti più qualificati che la tradizione ci ha conse- gnato, allo scopo di progettare insieme, Pastori e fedeli, le vie che le no- stre Chiese devono percorrere per realizzare la missione a cui sono chia- mate, è il Sinodo diocesano.

Esso è una particolare assemblea di fedeli i quali, mentre celebrano il Signore che si fa presente nella Parola, nelllEucaristia e nella comunità stessa adunata nel suo nome, si lasciano illuminare dal suo Spirito per discernere le vie più adatte e i comportamenti più opportirni per servire il Signore e costruire il suo Regno tra gli uomini in un determinato contesto.

46 Cfr C.I.C., can. 391. 47 C.I.C., can. 212, par. 3.

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In ragione del suo ufficio, solo il Vescovo diocesano è il legislatore del Sinodo, colui che dà vigore alle sue dichiarazioni e decreti 48. I1 discer- nimento che si compie nel Sinodo può sfociare infatti nella statuizione di norme vincolanti anche giuridicamente, che vengono a costituire il patri- monio disciplinare della Chiesa particolare. Esso godrà di una certa sta- bilità, per essere ripreso e aggiornato di Sinodo in Sinodo.

IV. La normativa della Conferenza Episcopale Italiana

57. - Uno strumento di espressione e di promozione della comunione della Chiesa in Italia è la Conferenza Episcopale Italiana.

Essa ha il compito di promuovere l'azione concorde dell'Episcopato italiano, in speciale sintonia con il successore di Pietro, Vescovo di Roma e Primate d'Italia favorendo "l'affetto collegiale, la comunione fraterna e la formazione permanente dei Vescovi" e stimolando "l'azione concorde e la collaborazione tra le Chiese particolari, perchè possano meglio adem- piere la loro missione" Dopo oltre vent'anni dalla sua costituzione, es- sa si pone ormai come un importante punto d'incontro, di dialogo, di co- mune lavoro dei Vescovi e delle Chiese che essi rappresentano.

58. - Tra le funzioni pastorali che i Vescovi italiani attuano congiun- tamente nella Conferenza Episcopale, vi è anche quella legislativa, attri- buita alla competenza della Conferenza medesima dal Codice di Diritto ca- nonico e dalle disposizioni concordatarie. I1 suo esercizio ha prodotto un corpo di norme ormai notevolmente sviluppato, che regola in forma im- pegnativa alcuni ambiti delle relazioni comunitarie, con efficacia per tut- te le Chiese che sono nel territorio nazionale.

È di grande importanza tradurre in comportamenti concreti le linee di questa legislazione della C.E.I., promuovendo così la comunione eccle- siale, a un livello particolarmente significativo perchè nazionale. In una società come quella italiana che, senza negare la diversità delle culture e delle situazioni, ricerca un'unità più dinamica e indirizzi convergenti di soluzione per i grandi problemi, la Conferenza Episcopale si propone co- me figura concreta dell'unità della Chiesa, che concorre, a suo modo, a far crescere quella del popolo italiano, nel rispetto delle legittime diversi- tà e autonomie.

V. Le nuove disposizioni concordatarie

59. - Un ulteriore strumento che concorre a definire storicamente il volto della Chiesa in Italia è costituito dagli Accordi di revisione del Con- cordato Lateranense, sottoscritti il 18 febbraio e il 15 novembre 1984. Es-

48 Cfr C.I.C., can. 466. 49 C.E.I., Statuto, C.E.I., art. 3, par. 1.

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si hanno aperto una nuova stagione dei rapporti della Chiesa con la co- munità politica nel nostro Paese e hanno profondamente rinnovato il qua- dro normativo entro il quale quei rapporti si svolgono.

Siamo convinti che in Italia la presenza di un Concordato si motiva fondamentalmente per due ragioni, non estranee ai grandi valori procla- mati dal Concilio: la libertà della Chiesa e la corretta collaborazione tra la Chiesa e la comunità politica 50.

- Una Chiesa che, segnata da una storia secolare, presenta una fisio- nomia fortemente strutturata, ricca di articolazioni organizzative e di ini- ziative pastorali, non può trovare la possibilità di esprimersi compiuta- mente secondo il proprio volto e le proprie esigenze in un semplice ordi- namento di diritto comune, ma ha bisogno di una disciplina "speciale", anche se non "priviligiaria".

- Una Chiesa che vive l'inscindibile connessione tra evangelizzazione e promozione umana non può non ricercare forme e strumenti concreti di collaborazione con la comunità politicamente organizzata dentro la quale esiste, al fine di assicurare "la promozione dell'uomo e il bene del Pae- se", come programmaticamente dichiara l'art. 1 del nuovo Concordato.

60. - Le norme concordate, che hanno nello stesso tempo efficacia ci- vile e valore di legge canonica particolare per la Chiesa in Italia, chiedo- no di essere attuate in forma completa e concreta, anche mediante la sti- pulazione delle necessarie ulteriori intese, e di essere osservate con reci- proca lealtà e chiarezza.

Per la Chiesa in Italia il Concordato rappresenterà negli anni a veni- re una sfida e nello stesso tempo una grande occasione di crescita. Esso rende la nostra Chiesa piu libera e perciò più responsabile. Le apre gran- di possibilità di presenza, ma le toglie ogni automatica garanzia. La tocca anche in talune garanzie di tipo economico, che erano il portato di anti- che vicende e di diverse situazioni, e la "costringe" a ritrovare innanzi- tutto in se stessa l'assicurazione delle risorse necessarie all'esercizio mol- teplice della sua missione, confidando in quel "centuplo" evangelico che non è promessa retorica o impossibile utopia, ma esperienza e segno di una comunità che si apre alla logica del Regno di Dio.

CAPITOLO QUARTO

LINEE DI IMPEGNO E DI VERIFICA PASTORALE

61. - In quest'ultimo capitolo, dopo aver focalizzato sia sotto il profi- lo morale che canonico il significato e alcune caratteristiche della disci-

Cfr CONC. ECUM. VAT. 11; Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 13; Gau- d ium et spes, n. 76.

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plina ecclesiale all'interno della comunità cristiana, vogliamo rapidamen- te tracciare alcune linee di impegno e di verifica pastorale che ci paiono importanti per la Chiesa che vive in Italia.

Come già abbiamo notato nell'Introduzione, lo spirito di comunione è certamente cresciuto e si è rafforzato n d e nostre Chiese particolari, rin- novando profondamente il profilo delle nostre comunità. Ma non possia- mo non riconoscere che an senso di incompiutezza caratterizza l'esperienza di rinnovamento comunitario avviata a partire dal Concilio Vaticano 11.

Non solo forti tensioni attraversano spesso il tessuto ecclesiale, ma si nota pure, a dispetto di uno spirito di comunione che tutti sinceramen- te dicono di condividere, il persistere e talvolta l'aggravarsi di uno stile individualistico nel modo di concepire e di gestire la vita ecclesiale e l'im- pegno pastorale. Non ultima causa di questo stato di cose è la mancanza di una profonda e convita "asceticaJ'del vivere insieme in Cristo, sapendo posporre le proprie vedute, i propri interessi ed anche i propri "doni'' in vista dell'edificazione comune e della comune testimonianza.

I1 rispetto e l'accoglienza della disciplina ecclesiale, come espressio- ne e strumento di promozione della comunione nella Chiesa, può aiutare non poco in vista del recupero di uno stile autenticamente ecclesiale nel- l'esperienza della vita comunitaria.

62. - Spesso il rapporto clero-laici soffre ancora, da una parte per le tracce di una mentalità "clericale" dura a morire, dall'altra per il disim- pegno o, all'opposto, lo spirito di rivendicazione che finisce col miscono- scere l'autentico mistero della comunione ecclesiale.

Non sempre è dato trovare realizzato, nella vita del clero diocesano, l'ideale auspicato dal Concilio: "i sacerdoti riconoscano nel Vescovo il lo- ro padre e gli obbediscano con rispettoso amore. I1 Vescovo consideri i sacerdoti suoi cooperatori come figli e amici" 5 1 .

Le "mutue relazioni'' fra le Diocesi e gli Istituti religiosi, a dieci anni dal documento della Santa Sede ad esse dedicato, non sembrano dapper- tutto cresciute nella linea di una più cordiale reciproca accoglienza e di una più organica collaborazione.

Anche i rapporti tra le Diocesi e le parrocchie da un lato, i gruppi e i movimenti sorti in questi ultimi decenni dall'altro, conoscono momen- ti di fatica persistenti, e si risolvono talvolta in tensione contrappositiva anzichè in collaborazione ordinata e costruttiva.

63. - È sufficiente richiamare questi problemi così concreti e così at- tuali, che toccano i rapporti fra le varie componenti della comunità eccle- siale, per dire che l'orizzonte di crescita rimane ampio e impegnativo. Su taluni di questi temi non mancherà l'occasione di ritornare in futuro. Senza entrare per ora nel merito specifico di ciascuno di essi, vogliamo indica- re alcune linee di approfondimento e di impegno per i prossimi anni, se-

51 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogrn. su la Chiesa Lumen gentium, n. 28.

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condo la triplice prospettiva del popolo di Dio profetico, sacerdotale e regale.

I. Accogliere il significato ecclesiale del Magistero del Papa e dei Vescovi

64. - Abbiamo già visto come il Magistero dottrinale e morale dei Pa- stori costituisca una componente fondamentale dell'autentica Chiesa di Cri- sto, che quale "popolo santo di Dio partecipa dell'ufficio profetico di Cri- sto" 52. Questo ruolo di maestri e dottori, che il Papa e i Vescovi sono chia- mati ad esercitare nella comunità ecclesiale, non sminuisce la vocazione, la dignità e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, ma la potenzia e l'arricchisce in modo sempre più pieno e integrale secondo il disegno di Dio.

Infatti - come spiega la Lumen gentiurn - "per quel senso della fe- de, che è esercitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo di Dio sot- to la guida del sacro Magistero, al quale fedelmente conformandosi acco- glie non la parola degli uomini ma, qual'è in realtà, la parola di Dio (cfr 1 Ts 2, 13), aderisce indefettibilmente alla fede 'una volta per tutte tra- smessa ai santi' (Gd 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita" I'.

65. - Non è esagerato dire, però, che questa verità, che pure costitui- sce parte integrante della dottrina conciliare sulla Chiesa, si è non poco appannata nella coscienza ecclesiale dei cristiani.

Le cause - già esaminate nell'Introduzione - vanno ricercate nella cultura unilateralmente soggettivistica del nostro tempo. Ma non va di- menticato che talvolta esse vanno indivituate anche all'interno della vita della Chiesa, ad esempio in una comunione non sempre piena tra la ri- flessione dei teologi e la predicazione e la catechesi dei presbiteri da un lato, e i pronunciamenti magisteriali dall'altro.

Quando teologi e presbiteri mostrano di non aderire pienaniente, o ad- dirittura di essere in disaccordo con le indicazioni del Magistero, si pro- voca nella comunità ecclesiale un senso di disorientamento, di confusione e anche di scetticismo.

66. - È dunque esigenza prioritaria richiamare a un maturo ed equili- brato rapporto tra il ministero dottrinale dei Pastori e la ricerca e l'i'nse- gnamento dei teologi, pur riconoscendo cordialmente l'importanza di questi ultimi per una responsabile crescita della fede nelle nostre comunità.

Pastori e teologi sono chiamati, infatti, a svolgere un diverso e com- plementare servizio nella Chiesa: il Magistero dei Pastori si caratterizza per il "carisma sicuro di veritàWdi cui è insignito e in forza del quale pos-

I2 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentiurn, n. 12. 53 Ivi.

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siede "l'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa" 54; il servizio dei teologi è un prezioso aiuto all'approfondimen- to critico e sistematico della fede, che dev'essere compiuto nella fedeltà alla Parola di Dio e alla Tradizione della Chiesa, in comunione col Magi- stero dei Pastori, nell'ascolto attento della vita del popolo cristiano e nel discernimento dei "segni dei tempi".

È pertanto essenziale all'esercizio del servizio teologico, insieme ad una sana ed equilibrata libertà di ricerca 55, una profonda, convinta e so- lidale unità col Magistero del Papa e dei Vescovi: senza di questa esso è snaturato nella sua autentica vocazione ecclesiale.

67. - Merita, d'altra arte, un'attenta riflessione il fenomeno diffuso del silehzio e dell'indifferenza che accompagnano soprattutto gli insegnamen- ti morali del Magistero presso larghi strati del popolo cristiano.

Fenomeno, questo, che investe specialmente quegli ambiti della vita morale nei quali è più manifesto il distacco, se non addirittura il contra- sto, fra l'insegnamento del Vangelo riproposto nella dottrina della Chiesa e la visione culturale oggi dominante. Si pensi, in particolare, alla morale sessuale e coniugale e al comportamento morale nei confronti dei gravi problemi della vita umana, soprattutto alle sue origini e al suo declino.

I cristiani devono ritrovare la consapevolezza che l'intervento della Chiesa in questi campi costituisce non già un'imposizione esteriore e au- toritaria, ma un prezioso servizio alla dignità della persona e alla verità dell'amore umano, illuminato dalla rivelazione del progetto di Dio sull'uo- mo in Gesù Cristo.

In questa prospettiva la morale proposta dalla chiesa, proprio per l'al- tezza dell'ideale presentato, chiede al cristiano di unire l'impegno sincero e risoluto a camminare sulla strada della verità, con la fiducia e la pa- zienza di cui ogni cammino di fede, nel suo svolgersi quotidiano, ha bisogno.

68. - In particolare, quanti come i sacerdoti e i catechisti hanno una specifica responsabilità nel proporre l'insegnamento morale della Chiesa sulle questioni della sessualità e del matrimonio, devono guardarsi dal pre- sentare come pensiero della Chiesa quello che non lo è.

La linea pastorale da seguire è quella della Chiesa stessa, che inscin- dibilmente si presenta come maestra e madre: maestra nell'annunciare la verità e il bene dell'uomo; madre nell'aiutare tutti e ciascuno, con pazien- za e misericordia, a conoscere sempre meglio la verità e ad aderire sem- pre più profondamente al bene.

Meritano di essere riascoltate con attenzione le parole di Paolo VI nel- l'enciclica Humanae vitae: "Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre ac-

54 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, n. 10. 55 Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium e t

spes, n. 62.

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compagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone. Nelle loro difficoltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel cuore del sacerdote l'eco della voce e dell'amore del Redentore" 56.

69. - Un altro settore del quale ci preme mettere in risalto l'attualità è quello del Magistero sociale della Chiesa. Anche recentemente il Santo Padre Giovanni Paolo I1 ha richiamato l'urgenza di una sua approfondita conoscenza e puntuale traduzione nei diversi contesti sociali, culturali, eco- nomici e politici.

Di fronte alla "gravità del momento presente" 57, soprattutto nell'oriz- zonte del comune destino dell'umanità, ma anche in rapporto alle forme di nuova povertà ed emarginazione da cui è lacerata la nostra società, è necessario battere in breccia ogni tentazione di privilegiare antievangeli- camente il proprio particolare interesse - come singoli, come gruppi so- ciali, come nazioni -, e rinnovare la consapevolezza che è doveroso per tutti "includere tra i doveri principali dell'uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali" 18.

L'adempimento del dovere della giustizia, il rispetto delle leggi civili e l'impegno a mettere in opera, "con lo stile personale e familiare della vita, con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini, col contri- buto alle decisioai economiche e politiche ..., le misure ispirate alla soli- darietà e all'amore preferenziale per i poveri" 59, sono parte integrante del compito etico del credente e della sua fedeltà alla verità dell'uomo.

11. Mettere in atto le disposizioni della disciplina liturgica e sacramentale

70. - Un'altra linea di impegno per le nostre comunità ecclesiali è, sen- za dubbio, quella relativa alla disciplina liturgica e sacramentale.

Anche a questo proposito, il Concilio ha rinnovato profondamente nel popolo cristiano la coscienza della propria partecipazione all'unico sacer- dozio di Cristo, ribadendo nello stesso tempo che "il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico (...) differiscono essen- zialmente e non solo di grado" 60.

A vent'anni dalla promulgazione della Costituzione conciliare sulla li- turgia, la competente Commissione episcopale della C.E.I. ha pubblicato una Nota pastorale sul "Rinnovamento liturgico in Italia", per offrire un

56 PAOLO V I , Lett. Enc. Humanae vitae, n. 29. 57 Cfr GIOVANNI PAOLO 11, Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis, n. 47. '* Cfr CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et

spes, n.. 30. 59 GIOVANNI PAOLO 11, Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis, n. 47. 60 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lurnen gentium, n. 10.

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contributo e un indirizzo all'attuazione della riforma liturgica nelle no- stre Chiese particolari ?

Ne richiamiamo alcune fondamentali direttive, che restano di grande attualità per aiutare tutti, presbiteri, religiosi e laici, a cogliere il profon- do significato ecclesiale del rispetto e della valorizzazione delle norme li- turgiche e sacramentali.

7 1. - E importante, innanzitutto, ricordare che "intelligenza dei prin- cipi teologici, fedeltà alle norme,--adattamento creativo alle esigenze delle diverse comunità" sono "i criteri che assicurano e testimoniano una vera attenzione allo spirito della riforma liturgica" ", intesa a promuovere nel- l'oggi della comunità ecclesiale la celebrazione dell'evento della salvezza che ci viene da Cristo nella forza santificante dello Spirito.

I1 rispetto della disciplina liturgica può e deve aiutare a non confon- dere la sana creatività - come capacità di adattamento alle diverse si- tuazioni e sapiente utilizzazione delle possibilità di scelta offerte dai libri liturgici, per meglio promuovere il legame tra liturgia e vita - con la no- vità a tutti i costi, che fa smarrire il vero significato del mistero celebra- to, il. quale non è mai possesso individuale ma dono di grazia ricevuto dalla Chiesa.

72. - In tale prospettiva acquistano valore i nuovi libri liturgici "che offrono al popolo di Dio uno strumento idoneo, ancorchè perfettibile, per un rinnovamento profondo e autentico del culto della Chiesa e della vita liturgica delle comunità e dei singoli fedeli" 63 . Una sempre più approfon- dita e puntuale conoscenza ed utilizzazione di essi è dovere precipuo dei ministri e degli -operatori pastorali.

Non è inutile richiamare anche l'importanza, per una crescita dell'au- tentico ''sensus Ecclesiae", della celebrazione - preferibilmente in comu- ne - della liturgia delle ore. Per chi nella Chiesa ne ha assunto l'impe- gno con l'ordinazione diaconale e presbiterale o con la professione dei con- sigli evangelici, la fedeltà quotidiana a questa celebrazione, oltre che un chiaro dovere, è garanzia di santificazione personale e di fecondità del pro- prio servizio ecclesiale.

Se pervaso dal sentimento della costante e fedele unione a tutta la Chiesa che celebra e vive il mistero di Cristo, il ministro non potrà non farsi segno e strumento di una celebrazione liturgica e sacramentale che sia autentica "esperienza di fede che si comunica, di speranza che si con- ferma, di carità che si diffonde" ?

COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Nota pastorale su Il rinnovamento liturgico in Italia a vent'anni dalla Cost. conciliare Sacrosanctum Concilium (23 settembre 1983) in Notizia- rio C.E.I., 30 settembre 1983.

62 Ivi, n. 16. 63 Ivi, n. 2; cfr anche n. 15.

Ivi, n 7.

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73. - Infine, occorre ricordare, nel campo sacramentale, che la Chiesa è consapevole di non essere padrona e arbitra delle azioni salvifiche di Cristo: al contrario, in qualità di sua sposa, è tenuta ad attuarle come il Signore le ha volute.

Soprattutto i presbiteri, dispensatori dei divini misteri, sono chiama- ti a rivivere tale fedeltà e obbedienza della Chiesa, rispettando le condi- zioni di vaiidità e liceità nella celebrazione dei sacramenti, in particolare di quelli della riconciliazione e dell'Eucaristia, ma anche del battesimo e del matrimonio, e preparando con cura i fedeli a riceverli con le dovute disposizioni morali e spirituali 'j5.

Nell'amministrazione dei sacramenti la coscienza cristiana, in specie sacerdotale, non può appellarsi a presunti diritti dei fedeli contro le di- sposizioni della Chiesa. Si pensi, ad esempio, alla disciplina ecclesiale cir- ca la non ammissibilità dei divorziati risposati ai sacramenti della ricon- ciliazione e dell'Eucaristia 'j6. La fedeltà dei ministri alle norme sacramen- tali, unita alla carità, è motivo di crescita e maturazione del senso eccle- siale del popolo di Dio. . .

111. Rilanciare le forme di partecipazione ecclesiale secondo il loro autentico significato

74. - La terza linea d'impegno che proponiamo a tutti, Pastori e fede- !i, è quella di un approfondimento dell'autentico significato e di un rilan- cio delle molteplici forme di partecipazione ecclesiale. Esse rappresenta- no, a livello di vita e di disciplina ecclesiale, delle realtà di primaria im- portanza che manifestano, sostengono e promuovono il dinamismo di co- munione che compagina la comunità cristiana.

L'impegno della partecipazione è infatti proprio di ogni cristiano, per- chè nasce dai sacramenti dell'iniziazione e della maturità ecclesiale, e viene rinnovato ogni domenica nella celebrazione comunitaria dell'Eucaristia. Ma tale impegno, che è allo stesso tempo un diritto e un dovere del cri- stiano, non deve esser visto ed esercitato in competizione con il ministero di governo dei Vescovi e dei presbiteri loro collaboratori.

Le molteplici forme di partecipazione e di corresponsabilità ecclesia- le, da sempre presenti nella Tradizione della Chiesa, che il Concilio Vati- cano I1 ha rivitalizzato e rinnovato, devono rappresentare gli strumenti concreti mediante i quali la comunione da Cristo donata alla sua Chiesa si manifesta visibilmente e si edifica secondo la configurazione che le è propria e specifica: quella di una comunità di figli e fratelli di eguale di-

' j 5 Cfr GIOVANNI PAOLO 11, in particolare le indicazioni contenute nelllEsort. Ap. Post-Sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984).

'j6 Cfr COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA FAMIGLIA E COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DEL-

LA FEDE, LA CATECHESI E LA CULTURA, La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono i n situazioni matrimoniali irregolari o difficili, 26 aprile 1979, in Notiziario C.E.I., n. 5, 30 aprile 1979.

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gnità, all'interno della quale Cristo si rende presente attraverso il mini- stero di unità e di governo dei Vescovi uniti col Papa.

75. - In concreto, il diritto canonico conosce alcune forme di parteci- pazione aperte a tutti i cristiani, che--però spesso sono disattese o nella loro pratica o nell'impegno a viverne l'originario significato.

Si pensi alla funzione di padrino nei confronti dei battezzati e dei cre- simati, all'obbligo di dare le informazioni richieste in ordine all'ammis- sione dei candidati alla celebrazione dei sacramenti che hanno speciale rilievo "sociale" (pubblicazioni matrimoniali, informazioni relative ai can- didati al sacerdozio), al dovere di rendere testimonianza su richiesta del giudice nei processi ecclesiastici - soprattutto nelle cause matrimoniali -, al dovere di sovvenire alle necessità della Chiesa partecipandovi con le proprie risorse.

76. - Espressioni ulteriori di partecipazione ecclesiale, che derivano da una libera disponibilità del cristiano in risposta a una chiamata del- l'autorità ecclesiastica, sono poi i diversi ministeri e l'esercizio di taluni uffici ecclesiastici veri e propri non riservati ai ministri ordinati.

La recente disciplina della Chiesa ha fatto più largo spazio ai laici in ordine a queste forme di qualificata partecipazione, per esempio circa l'in- segnamento nelle facoltà teologiche, l'insegnamento della religione catto- lica nella scuola, le funzioni di giudice nei tribunali ecclesiastici, di can- celliere, di notaio, di direttore di taluni settori nelle curie diocesane, o anche di amministratore in enti ecclesiastici.

77. - L'esercizio della partecipazione avviene in modo particolare at- traverso le diverse forme dell'associazionismo dei fedeli, da quelle tradi- zionali delle Confraternite e delle Pie unioni, a quella felicemente collau- data dell'Azione Cattolica Italiana, a quelle più recenti che si usa riassu- mere nella formula "Associazioni, Gruppi, Movimenti".

In tutte queste realtà, i cristiani "tendono mediante l'azione comune all'incremento di una vita più perfetta, alla promozione del culto pubbli- co o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, ani- mazione dell'ordine temporale mediante lo spirito cristiano" 67.

La Chiesa ha sempre raccomandato l'adesione e l'impegno attivo in queste varie forme di aggregazione laicale; e noi rinnoviamo l'invito, im- pegnandoci per parte nostra a favorire il coordinamento pastorale del pre- zioso apporto da esse dato, attraverso opportune strutture di collegamen- to e partecipazione ecclesiale, come le "Consulte dell'apostolato dei lai- ci", a livello nazionale e a livello diocesano.

78. - Ma l'espressione "partecipazione ecclesiale" viene più comunemente usata in riferimento a quegli specifici organismi che si sono sviluppati do-

67 C.I.C., can. 298, par. 1.

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po il Concilio Vaticano I1 come strumenti e momenti di studio, di program- mazione, di coordinamento e di verifica dell'azione pastorale della dioce- si o della parrocchia, in comunione e sotto la guida rispettivamente del Vescovo diocesano o del parroco: pensiamo in particolare al Consiglio pre- sbiterali diocesano, al Consiglio pastorale diocesano, al Consiglio pasto- rale parrocchiale, al Consiglio parrocchiale per gli affari economici.

Quanto ai Consigli presbiterali e pastorali, sappiamo che, dopo una fase iniziale di fervido impegno per la loro costituzione e dopo le prime esperienze di lavoro d'insieme, sono talvolta subentrati momenti di fatica e di sfiducia, che hanno indotto taluni a frettolose conclusioni negative.

C'è chi, confondendo la partecipazione ecclesiale con le metodologie dei consessi democratici, lamenta la consultività del voto e il predominio degli indirizzi dell'autorità ecclesiastica. C'è chi, trattenuto da una conce- zione che confonde la comunione con l'unanimismo e il paternalismo, mal sopporta il confronto aperto, il rigore delle analisi, il desiderio di contri- buire a una decisione più matura e più efficace. C'è una comunità, o un presbiterio, che stentano a sentirsi "rappresentati" da questi organismi o, all'opposto, troppo comodamente lasciano ad essi ogni sforzo di rifles- sione e di programmazione pastorale.

Quanto ai Consigli parrocchiali per gli affari economici, dobbiamo an- zitutto lamentare che, nonostante il Codice di diritto canonico ne abbia reso obbligatoria la costituzione 68, è ancora troppo alto il numero delle parrocchie che ne sono prive, pur mettendo in conto l'oggettiva difficoltà di far maturare uno stile e un metodo appropriati per la conduzione di questo nuovo organismo.

79. - Abbiamo richiamato queste difficoltà per dovere di lealtà; ma no- nostante le difficoltà, del resto largamente prevedibili dopo secoli di di- versa conduzione dell'azione pastorale, intendiamo che gli organismi di partecipazione ecclesiale siano promossi e sostenuti con ogni impegno.

La loro riuscita dipende in gran parte dalla maturità spirituale dei partecipanti, cioè dal grado di autentica esperienza di fede e di comunio- ne che in essi è maturato e dalla misura della passione che li anima per l'edificazione della Chiesa e per l'annuncio a tutti del Vangelo.

Perchè l'attività di questi Consigli non assuma a poco a poco dimen- sione formale e burocratica ed essi crescano come strumento vivo a ser- vizio del dinamismo missionario delle comunità, occorre che maturi sem- pre meglio nei cristiani la coscienza che la comunità stessa non è in pri- mo luogo una struttura da amministrare, ma l'espressione e lo strumento di un'esperienza di comunione tra i credenti in Cristo; che si dà nesso in- scindibile tra esperienza di comunione e impegno per la missione evange- lizzatrice nel contesto umano in cui la comunità vive; che la pastorale non è soltanto questione di buona volontà ma richiede riflessione adeguata, scelte coerenti, indirizzi costanti, verifiche appropriate, con l'apporto re- sponsabile di tutti.

C.I.C., can 537.

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Infine, perchè il lavoro di questi organismi di partecipazione ecclesiale possa svolgersi in modo unitario e costruttivo, si presuppone la necessa- ria chiarezza circa il rapporto fra la gerarchia e gli altri fedeli all'interno dell'unica Chiesa, e una corretta concezione del valore consultivo dei voti espressi e degli indirizzi approvati. La comunione cristiana infatti è co- munione nello stesso tempo fraterna e gerarchica, le cui movenze sono profondamente diverse dagli schemi, pur leggittimi, propri delle istituzio- ni civili in forza della rappresentanza democratica.

CONCLUSIONE

80. - La Chiesa è "il sacramento dell'intima unione con Dio e dell'uni- tà di tutto il genere umano" ''; e proprio per questo è in terra "il gernie e l'inizio del Regno" 70. I1 Regno di Dio, infatti, è la piena e gratuita par- tecipazione degli uomini all'inesauribile vita di amore e di libertà, di gioia e di unità, del Padre, del Figlio e dello Spirito.

Camminando nella storia, tra le opacità e le insidie del peccato, la Chie- sa è chiamata a essere segno profetico e strumento efficace di questa di- vina comunione. La disciplina ecclesiale, che compagina il corpo della Chie- sa, e l'adesione ad essa hanno dunque ragione di mezzo e non di fine.

Occorre pertanto avere sempre dinanzi agli occhi la finalità che le strutture e le norme ecclesiali hanno, ad esse aderendo per far crescere in noi e fra noi la piena maturità di Cristo, "l'uomo nuovo" (cfr E f 4,l). Ciò che a uno sguardo puramente umano può talvolta sembrare mortifi- cazione dell'uomo, è in realtà il cammino della sequela che, guidando il discepolo nella via del rinnegamento di sé (cfr M c 8,34), lo farà partecipa- re anche alla risurrezione del Signore.

Questo vale per l'esercizio dell'autorità come per quello dell'obbedien- za; per la ricerca della propria identità come per l'edificazione della co- munità; per l'ascolto della voce della coscienza, e in essa dello Spirito, e per l'adesione ai comandamenti del Signore e alla disciplina della Chiesa.

8 1. - Se la Chiesa, nella concretezza della sua vita e della sua missio- ne, saprà mostrarsi come quello spazio di novità inaugurato nella storia dalla risurrezione del Signore, in cui si sperimenta la libertà di rapporti permeati dall'amore e dal servizio e improntati a uno stile di reciproca obbedienza come obbedienza al Signore risorto, allora essa potrà annun- ciare con la sua vita Cristo al mondo, e dare un indispensabile contributo alla soluzione delle contraddizioni che lacerano la coscienza delle perso- ne e il tessuto della nostra società.

E con umiltà dunque, ma anche con la consapevolezza dell'inestima- bile dono di cui è fatta oggetto, che la Chiesa sa di poter dare molto al mondo nel quale si trova immersa. Educando il cristiano all'autentica li-

" CONC. ECUM. VAT. IIJ1Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 1. 70 CONC. ECUM. VAT. 11, Cost. dogm. su la Chiesa Lumen gentium, n. 5.

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bertà e insieme a una socialità matura, la Chiesa che è in Italia è chiama- ta oggi a testimoniare di fronte agli uomini quei valori autenticamente umani, che soli permettono di costruire una società più giusta e liberante e di rispondere alle aspirazioni più profonde che agitano lo spirito del- l'uomo contemporaneo.

Le nostre comunità ecclesiali diocesane e parrocchiali, le comunità di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, devono diventare palestre di educazione di donne e uomini nuovi, che a loro volta siano testimoni di verità e di libertà e artefici di unità e di riconciliazione nei molteplici ambienti della vita umana e sociale: dalla famiglia alla scuola, dall'impe- gno socio-culturale a quello politico, dal servizio agli ultimi al dialogo con chi sinceramente aspira alla libertà e cerca la verità.

82. - In questo affascinante e impegnativo compito, la comunità eccle- siale non può non guardare a Maria, icona della Chiesa una e riconciliata nella verità, nella carità e nella libertà.

Attraverso "l'obbedienza della fede" (cfr Rm 16,26), Ella "ha conse- guito quello stato di libertà regale proprio dei discepoli di Cristo" ". Ai piedi della croce, "perfettamente unita a Cristo nella sua spogliazione" 72, è divenuta madre di ogni uomo.

In spirito di fede, di continua conversione e di umile ascolto della vo- ce dello Spirito, la nostra Chiesa, ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria, potrà sperimentare quell'unità e quella libertà regale che sono indivisibili doni del Cristo risorto.

Roma, 1 gennaio 1989 Solennità di Maria Santissima Madre di Dio

71 GIOVANNI PAOLO 11, Lett. E ~ C . Redemptoris Mater, 41. 72 Ivi, n. 18'.

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INDICE

INTRODUZIONE. . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3

I. A conclusione del piano pastorale per gli anni '80. . . >> 3

11. La cultura e la società contemporanea fra libertà, plurali- smo e socializzazione . . . . . . . . . . . . . . >> 5

111. La Chiesa in Italia: crescita di comunione, ricchezza di doni e iniziative ed emergere di tensioni . . . . . . . . >> 6

LIBERTA, OBBEDIENZA E DISCIPLINA NELLA COMUNITÀ ECCLESIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 9

I. Israele, un popolo che nasce dall'ascolto della Parola e dal- l'osservanza della Legge . . . . . . . . . . . . . >> 9

11. Cristo, il Figlio libero e obbediente nel-la comunione col P a d r e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >>. 10

111. Per la sua perfetta obbedienza Gesù è costituito Signore » 11

IV. La comunità del Cristo dimora nella dottrina degli Apostoli >> 12

V. Comunione e disciplina nella Chiesa delle origini . . . )> 13

VI. L'insegnamento del Concilio Vaticano 11. . . . . . . >> 15

VII. Indicazioni per il nostro cammino di Chiesa . . . . . >> 17

COSCIENZA MORALE, MAGISTERO E DISCIPLINA ECCLESIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 18.

' I. "La verità vi farà liberi". . . . . . . . . . . . . D 19

11. Nella coscienza l'uomo ascolta la voce di Dio . . . . >> 20

111. I1 Magistero della Chiesa illumina la coscienza morale . >> 21

IV. La coscienza criitiana e la disciplina ecclesiale . . . . )> 23

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FONTI E STRUMENTI DELLA DISCIPLINA ECCLESIALE. . Pag- 24

I. Vicenda storica e significato della disciplina ecclesiale . ) 24

11. I1 nuovo Codice di Diritto Canonico . . . . . . . . » 25

111. La legislazione delle Chiese particolari . . . . . . . n 26

IV. La normativa della Conferenza Episcopale Italiana . . 27

V. Le nuove disposizioni concordatarie . . . . . . . . D 27

LINEE DI IMPEGNO E DI VERIFICA PASTORALE . . . . >) 28

I. Accogliere il significato ecclesiale del Magistero del Papa e dei Vescovi . . . . . . . . . . . . . . . . » 30

11. Mettere in atto le disposizioni della disciplina liturgica e sacramentale . . . . . . . . . . . . . . . . . » 32

111. Rilanciare le forme di partecipazione ecclesiale secondo il loro autentico significato . . . . . . . . . . . . D 34

CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . D 37