Come Tralci n.7 2015

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Come Tralci - Linfa di Vita dei Camilliani d'Italia - Bollettino delle Province Italiane

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SOMMARIO

Editoriale5 Pasqua: un Arcobaleno sui nostri falliment P. Carlo Vanzo

Atti Ufficiali 8 ATTI DELLA CONSULTA GENERALE

ATTI DEI CONSIGLI PROVINCIALI 10 Provincia Italiana 13 Ricuperate due Lettere di San Camillo Provincia Romana 14 Atti del Consiglio Provinciale Provincia Siculo/Napoletana15 Verbale del Consiglio Provinciale P. Rosario Mauriello18 Segretariato Provinciale per il Ministero - Prot 08/2015 P. Vincenzo Capozza21 Relazione conclusiva dell’Assemblea Generale - 9/10 marzo 2015 P. Rosario Mauriello29 Verbale del Consiglio Proviciale Prot. 16/2015 P. Alfredo Tortorella, P. Rosario Mauriello

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Come TralciBollettino delle Province Italiane Ufficiale per gli Atti di Curia

Anno 3 - Numero 1 - Gennaio-Marzo 2015

Linfa di Vita dei Camilliani d’Italia

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Anno della Vita Consacrata31 Gli obiettivi per l’Anno della Vita Consacrata Francesco32 La Vita Consacrata P. Mario Bizzotto40 Professione Solenne di Moioli Marco la Redazione 40 “Devo tutto alla misericordia di Dio…” Marco Moioli41 La vita religiosa, dono ed impegno gioioso P. Vittorio Paleari46 In Cile - Professione di tre Confratelli P. Pietro Magliozzi m.i.47 La Camilliana, Suor Candida è la Religiosa più vecchia del mondo

Pastorale48 Il Battesimo di Gesù (Mc 1, 7-11) P. Domenico Ruatti 51 Quando il Cappellano… P. Domenico Pesce54 Quando la Cappellania… Una volontaria57 La sapienza del cuore Una volontaria59 Da Gerusalemme a Gerico: i sentieri del Carisma di Camillo P. Carlo Vanzo Aipas65 “Come discepole nelle periferie esistenziali” Suor Anna Tagliapietra Formazione67 Quando il silenzio... P. Giovanni Acquaro70 Il Centro Camilliano di Formazione e la Chiesa di Verona Dott. Malaika Ribolati

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Dal Mondo Camilliano72 Ministero della Consolazione e storia della carità, cuore della Chiesa P. Rosario Messina76 Napoli e le sue perle di carità P. Alfredo M. Tortorella77 Flash Info79 Giornata del Malato a Maumere, Flores, Indonesia P. Luigi Galvani80 Amore e gratitudine per P. Gino Cisternino Il Comitato Amici di Padre Gino Cisternin

F. C. L.82 Verbale del Consiglio di Presidenza - Provincia Italia settentrionale Marisa Sfondrini e Rosabianca Carpene85 I padiglioni dell’Ospedale Cardarelli diventano tappe della passione Gaetano Coppola86 Famiglia Camilliana Laica e Pastorale della Salute in Romania P. Angelo Brusco

Ricordiamo i nostri morti88 PADRE CAMILLO DE LELLIS

P. Walter Dall’Osto90 P. Camillo de Lellis: due volte Figlio di San Camillo. Omelia nell’ora dell’addio P. Vittorio Paleari93 Grazie P. Camillo, hai portato letizia ed umanità Franca Berardi

94 PADRE EMILIO STENICO

96 Da Venezia, saluto a P. Emilio Stenico, ha portato il Carisma di S. Camilo in due mondi P. Alessandro Viganò97 P. Emilio, il religioso delle beatitudini. Omelia a Fornace P. Bruno Nespoli104 P. Emilio, servo buono e fedele P. Angelo Brusco

Sommario

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Direttore: P. Carlo Vanzo

Collaboratori: P. Antonio Marzano, P. Alfredo Tortorella, Franca Berardi

Direzione e Redazione: Religosi Camilliani - San Giuliano Via C. C. Bresciani 2 - 37124 Verona Tel. 045 8372723/8372711 (centralino)E-mail: [email protected]

Progetto grafico e stampa: Editrice Velar - Gorle (BG)www.velar.it

In copertina:Bucchianico, ammantato di vigne, visto dall’arco della casa di Giovanni De Lellis. Qui Camillo è nato, ha vissuto l’infanzia e la sua svogliata giovinezza. All’amato paese natale tornava sempre con gioia e nostalgia. Ma la ‘sua vera vigna’ sarà l’ospedale. Qui Camillo diventerà il tralcio rigoglioso, innestato alla vera Vite, il Crocifisso, per produrre il vino che dà speranza e rallegra il cuore del malato. (Progetto grafico T-Studio s.n.c).

È possibile visionare on line il notiziario “Come Tralci” sul sito dei religiosi camilliani www.camilliani.it

107 Grazie, P. Emilio P. Giuseppe Villa Cerri111 Intervista ad un Confratello, compaesano di P. Emilio P. Renzo Roccabruna e P. Carlo Vanzo

113 PADRE FRANCISCO ÁLVAREZ RODRÍGUEZ

P. Jesus Maria Ruiz Irigoyen

Preghiamo i nostri morti117 In ricordo di Concetta Conte - F.C.L. al Cardarelli Gaetano Coppola118 Parenti e Religiosi defunti di altre Provincie

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Editoriale

Pasqua:un Arcobaleno sui nostri fallimenti

Ogni notte può essere un diluvio che ci travolge ma ogni Alba può portarci un Arcobaleno di speranze.

Ogni notte può avere il sapore della morte ma ogni alba può splendere della luce del Risorto. Siamo ancora a Pasqua.

Nel fruscio del vento, tra le ultime onde del mare, ecco la voce di Dio: “non manderò altri diluvi!”, e con un variopinto Arcobaleno abbraccia la terra con le sue violenze e il cielo con i suoi sogni.

È la firma del suo Amore e della sua alleanza con l’uomo.

Nella sua incredibile fiducia Dio rischia ancora e lascia all’uomo la libertà di

essere protagonista del suo futuro. La terra, la vita e la morte sono nelle

sue mani. Potrà coltivarla come giardino, come un vigneto rigo-

glioso o devastarla con diluvi e tempeste di odio e di morte!

Che splendore e che Mistero il Disegno di Dio!

Nei millenni della storia, terremoti e maremoti hanno sconvolto la geografia della terra; mille evoluzioni culturali e religiose hanno trasformato il volto delle società e la coscienza delle persone.

‘Essere aperti ai segni dei tempi’ per non lasciarsi sorprendere e per portare ovunque la speranza del Risorto, è certamente uno degli inviti più suggestivi ed impegnativi della Chiesa.

La realtà che viviamo con i suoi veleni, la cultura che respiriamo con le sue vio-lenze e la stessa Vita Religiosa con tante stanchezze, rischiano di provocare qualche disorientamento anche in noi.

L’Arcobaleno o iride è un fenomeno ottico e meteorologicoche produce uno spettro quasi continuo di luce nel cielo, quando la luce del Sole attraversa le gocce d’acqua. Quando la Luce di Dio attraversa le nostre lacrime il suo Arcobaleno risplende ed abbraccia la nostra vita!

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Quale potrà essere la chiave di lettura che ci apre al futuro di Dio? Guardare con nostalgia il passato e con tristezza il presente o avere il coraggio

di cambiamenti radicali? Proporsi progetti arditi, rischiando l’insuccesso o accon-tentarsi del presente che non basta a nessuno? Cercare forti emozioni su nuove frontiere o essere apatici e spegnersi nel fallimento?

La storia di ogni Popolo, di ogni cultura e quella degli Istituti Religiosi in parti-colare, ci suggeriscono la prima proposta. Sono solo i grandi ideali che sospingono l’uomo alle imprese più ardite!

Purtroppo anche l’entusiasmo e la gioia per un ideale al quale si è votata la propria vita possono spegnersi nella monotona quotidianità. Ma è proprio fatale?

Ci sono ideali e valori che non invecchiano ma sprigionano una continua creatività.

Spero non sia ‘mistificazione o illusione’ se – alla soglia dei quasi ottanta anni –, oso ancora accostarmi con fede e speranza all’Altare di quel Dio ‘che allieta la mia giovinezza!’.

Il cuore si stanca solo quando la fantasia e la speranza si spengono. Ma il ‘Dio della nostra giovinezza’ è fedele.

Ci offre luce e forza per rinnova-re quotidianamente l’entusiasmo e la creatività degli inizi!

La storia ci presenta individui che sono stati geniali da giovani e geniali da vecchi: Michelangelo a 20 anni scolpiva la ‘Pietà’ e a 80 disegnava la Cupola di San Pietro. Quante potenzialità se torniamo a credere in noi stessi e a quel Dio che ogni giorno compie meraviglie!

Mi ha sempre affascinato il racconto autobiografico di Hemyngway, ‘Il vecchio e il mare’.

Lottare fino alla morte nei silenzi degli apparenti fallimenti, nel freddo di notti tempestose, per giungere alla meta: catturare quel grande pesce che ci ha fatto navigare verso l’ignoto e che rappresenta tutti gli ideali di un vecchio lupo di mare. Il ritorno doveva essere tranquillo e quasi… trionfale; invece… del suo trofeo di vittoria, divorato dai pescecani, non resta che uno scheletro, stampato sulla barca di Ernest, l’avventuroso sognatore!

Talvolta sogno di essere in barca con lui ma poi… improvvisamente ritorno alla realtà.

Credo che tre immagini siano impresse, come cicatrice che sanguinano. nella mente e nel cuore di molti.

Ecco le due Torri Gemelle, simbolo dell’America industriale, materialista e fragile.

Guardare il passatocon gratitudine

Vivere il presentecon missione

Abbracciare il futurocon speranza

Papa Francesco

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Ecco le due Matite di Charlie, simbolo della libertà e presunzione francese.Ecco un bambino che impugna la pistola per uccidere gli ostaggi dell’Isis in

nome di Allah. È sconvolgente e penso: forse sono una riveduta e orrenda coppia della ‘Torre

di Babele’. Forse, con la sua tecnica di odio e di morte, l’uomo ha tentato, ancora una volta,

di scalare il cielo. Si è illuso! Ora conta i morti, le macerie, e medica le sue ferite.Quanta speranza bisognerà accendere per spegnere l’incendio di morte che sta

divampando?C’è un’unica fonte da cui attingere. È sempre e solo Lui, il Crocifisso Risorto!Quel venerdì pomeriggio, il Messia di Nazaret, dall’alto della Croce, ha cambia-

to il corso della storia; ha inaugurato il suo Regno di perdono e di amore: “Padre, perdonali! Non sanno quello che fanno!”.

Da allora, da duemila anni, il solo Arcobaleno che abbraccia terra e cielo, l’u-nica speranza per il domani del mondo è Gesù, Morto e Risorto per tutti!

È Pasqua! In tutta la Chiesa di Cristo, combattuta e denigrata dai suoi avversari, tormentata per i suoi stessi errori, risuoni l’Alleluia del Risorto e torni a splendere l’Arcobaleno del suo Amore per noi!

Il presente numero di Come Tralci ha visto la collaborazione di tanti Religiosi che ringraziamo sentitamente. Con esso, come ramoscello in fiore a primavera, giunga a tutti i Confratelli il nostro gioioso augurio di Buona Pasqua!

Il tema propostoci dalla Chiesa per quest’anno è “la Vita Consacrata”. Confi-diamo ancora nel generoso e prezioso contributo di tanti nostri Religiosi, maestri saggi ed esperti della Vita Consacrata nella ‘Pianticella di Camillo’, per proporre nuovi contributi di riflessione con il prossimo numero del nostro Bollettino. L’Arco-baleno, firma dell’Amore di Dio per noi, splenda sempre nel cielo della nostra vita.

P. Carlo Vanzo

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GLI OBIETTIVI PER L’ANNO DELLA VITA CONSACRATA

Il primo obiettivo è guardare il passato con gratitudine. Ogni nostro Istituto viene da una ricca storia carismatica. Alle sue origini è presente l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità della Chiesa. L’esperienza degli inizi è poi cresciuta e si è sviluppata, coinvolgendo altri membri in nuovi conte-sti geografici e culturali, dando vita a modi nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami.

In questo Anno sarà opportuno che ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il suo sviluppo storico, per ringraziare Dio che ha offerto alla Chiesa così tanti doni che la rendono bella e attrezzata per ogni opera buona (cfr Lumen gentium, 12).

Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare l’unità della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi mem-bri. Non si tratta di fare dell’archeologia o di coltivare inutili nostalgie, quanto piuttosto di ripercorrere il cammino delle generazioni passate per cogliere in esso la scintilla ispiratrice, le idealità, i progetti, i valori che le hanno mosse, a iniziare dai Fondatori, dalle Fondatrici e dalle prime comunità. È un modo anche per pren-dere coscienza di come è stato vissuto il carisma lungo la storia, quale creatività ha sprigionato, quali difficoltà ha dovuto affrontare e come sono state superate. Si potranno scoprire incoerenze, frutto delle debolezze umane, a volte forse anche l’oblio di alcuni aspetti essenziali del carisma. Tutto è istruttivo e insieme diventa appello alla conversione. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni.

Lo ringraziamo in modo particolare per questi ultimi 50 anni seguiti al Concilio Vaticano II, che ha rappresentato una “ventata” di Spirito Santo per tutta la Chiesa. Grazie ad esso la vita consacrata ha attuato un fecondo cammino di rinnovamento che, con le sue luci e le sue ombre, è stato un tempo di grazia, segnato dalla presenza dello Spirito.

Sia quest’Anno della Vita Consacrata un’occasione anche per confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cfr 1 Gv 4,8), la propria fragilità e per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore; un’oc-casione per gridare al mondo con forza e per testimoniare con gioia la santità e la vitalità presenti nella gran parte di coloro che sono stati chiamati a seguire Cristo nella vita consacrata.

Papa Francesco

Anno della Vita Consacrata

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LA VITA CONSACRATA

La prima osservazione che si fa parlando della vita consacrata si sofferma su un dato di evidente portata: la crisi. Non c’è istituzione oggi che non attraversi una situazione di grande disagio. Non poteva esserne risparmiata la vita consacrata. Le cause sono di diversa matrice. Anzitutto si fa riferimento alla società secolarizza-ta, dove si sono smarriti i valori cristiani. Al loro posto sono subentrati interessi prettamente terrestri: ricchezza, potere, comodità, fama. Le vocazioni oblative sono tagliate fuori dagli interessi egemoni proposti dalla cultura. I contraccolpi sulla sequela sono pesanti. La società a sua volta è segnata dal dissolvimento della famiglia. La inadeguata preparazione e la mancata maturità dei genitori presentano alla società giovani disorientati. Su queste premesse è un’impresa quasi impossibile trovare candidati per la vita religiosa. A questo problema se ne aggiungono altri, ad esempio la contrazione delle nascite e non da ultimo, quello che ci riguarda

personalmente, un cedimento a quel pericolo contro il quale ci mette in guardia l’apostolo Paolo: non conformatevi alla mentalità di questo secolo (Rom 12,2; 8,5 ; Ef 4,23). In un clima che accorda sempre più prestigio ai valori immediati, la fede è relegata ai margini. Anche i religiosi sono figli del loro tempo e, volenti o nolenti, ne subiscono l’influsso. La mentalità secolare ha avuto come effetto un indebolimento della fede che intacca perfino chi si vota alla vita consacrata, insinuando dubbi sulla propria identità. È chiaro come la fede abbia perso l’inno-cenza confidente d’una volta. Ora diventa una lotta tormentosa, una fede piena di interrogativi. Viene in soccorso quella petizione degli apostoli che più sentiamo vicina: Signore aumenta la nostra fede! È consolante sapere che anche gli apostoli si sentivano carenti d’una fede che faceva percepire la povertà del loro limite umano. La loro invocazione è per noi di incoraggiamento. Ci consente di trovar posto in uno stato di vita dove la fede dovrebbe essere esemplare. In fondo tutto riconduce

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ad essa: la vocazione, l’entusiasmo, la missione, l’accoglienza fraterna, l’osservanza dei voti, la carità evangelica. Il Signore ricorda: se aveste una fede grande quanto un granellino di senapa potreste trasportare montagne, ossia compiere imprese che sembrano impossibili. È la virtù di cui più abbiamo bisogno. Non viene sotto ordinazione. È dono, perciò non resta che chiederla. Per recuperarla non giovano i molti puntelli intellettuali, ragionamenti, dimostrazioni logiche stringenti e tanto meno decreti (Cfr. Chi oserà dire: io credo?, G. Ravasi, Ed. San Paolo, 2013). La tiepidezza dell’ambiente culturale è contagiosa. La si respira nell’aria. Si vive in una mentalità strisciante, dalla quale è difficile uscirne illesi. Inavvertitamente si passa dall’apertura ad un processo di assimilazione e uniformità alla mentalità del secolo.

Nel mondo ma non del mondo Come deve presentarsi la persona consacrata? Anzitutto piantandosi nel mondo

ma tenendo un distacco nei suoi confronti. Distacco non significa atteggiamento ostile, ma proposta e affermazione dei valori più autentici, quali sono espressi nelle beatitudini evangeliche. Differenziarsi dal mondo non è una condanna né una fuga, ma una testimonianza e prestazione di valori. La salvaguardia della diversità equiva-le alla salvaguardia della propria identità e nel contempo riveste un ruolo edificante per l’ambiente in cui il religioso opera. Il religioso è per il mondo solo se è diverso dal mondo. È una tentazione sottile voler essere come tutti, cancellare ogni segno distintivo della propria appartenenza, rendendosi complici compiacenti di tutte le debolezze del secolo presente e prestandosi a comodi patteggiamenti, non in chiara sintonia con la causa abbracciata. L’appiattimento che omologa tutto sarebbe un tradimento perpetrato sia contro la propria vocazione sia contro la propria missione.

Il religioso è chiamato ad esibire una condotta di vita più impegnata di quella comune. Deve far vedere come si arriva ad una sovranità dal denaro e ci si può sen-tire liberi mettendoci a disposizione d’una comunità, rinunciando al proprio volere individuale. Si guardano gli eventi dall’alto, oltre il limite del presente, fidandosi delle promesse di Dio. La felicità non si coglie finché si è imprigionati dall’angusta veduta d’un orizzonte terreno. Si consegna a noi solo nella prospettiva d’un mondo ultraterreno, confidando nella parola di Dio. Qui è l’interessante e il mordente del religioso: giocare la propria vita sulla fede.

Viene spontaneo il richiamo del discorso programmatico di Cristo, che mette in chiaro le linee di demarcazione tra il suo messaggio e la mentalità terrena. Avete sentito che vi fu detto, ma io vi dico. Vi è stato detto: occhio per occhio, io però... e ancora: amerai il prossimo tuo, io però… preoccupati del cibo e delle bevande, io però vi dico: non affannatevi di quello che mangerete… voi dite: Signore! Signore!, io però… voi cercate di dominare, io però…. Qualcosa di analogo dovrebbe essere in grado di affermare chi fa della sequela il fine della vita. Parafrasando dovrebbe poter dire: tutti sono attratti dalle lusinghe della ricchezza, io però… tutti rifiutano il perdono, io però…, perpetrano ritorsioni, io però... tutti cercano la gloria, io però cerco di rendermi utile nel servizio. A fare la differenza del cristiano – e in partico-lare del religioso – è il rapporto con il mondo futuro, dal quale trae il suo senso il

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presente. Proprio perché si pensa ad un altro mondo viene conseguente il distacco dal possesso, dalla famiglia di sangue, dall’autonomia personale. Quanto più si segue lo spirito delle beatitudini, tanto più si crea la diversità dal mondo.

Proprio partendo da tali premesse è possibile parlare d’una Chiesa in uscita. Uscita da dove? Se si esce è segno che si è dentro, ma se si è già fuori nel mondo, e si è come il mondo, non si esce. Analogamente si parla di apertura, un ideale molto seducente. Per aprirsi bisogna presupporre un riserbo, un essere ritirati. Se però l’appiattimento ha cancellato ogni diversità non si capisce cosa significa apertura, perché non c’è niente di particolare che ci contraddistingua. Noto è pure al riguar-do lo slogan con il quale si qualifica lo spirito francescano: contemplata aliis tradere, trasmettere agli altri quanto si è appreso nell’esperienza della contemplazione; ma se si è omologati agli altri non si trasmette niente. Alla radice dell’attività apostolica si postula la contemplazione, ossia una vita di preghiera, silenzio, ritiro e riflessione, dove lo spirito attinge vita e si rigenera. Alla concezione del convento ha sempre fatto parte un’area riservata, almeno là dove è possibile. Anche i nostri predeces-sori, come P. Bresciani, P. Artini, P. Carcereri, P. Andreoli e altri ci tenevano alla difesa di uno spazio privato. Così avevano concepito S. Giuliano. In particolare P. Pedroni ha voluto ci fosse la recinzione con quelle mura, che ora, visti i progetti, diventano inutili. S. Giuliano si va trasformando in un villaggio dove alla casa reli-giosa viene tolto un suo spazio. Come unico ambito privato resta la camera. Non si è protetti da alcun luogo appartato. L’ambito ristretto in cui si viene confinati, nel caso venga attualizzato il programma previsto, toglie anche quell’angolo di sosta e movimento, che sarebbe così caro alle persone anziane.1

Viene da pensare all’affermazione del Signore: “voi siete il sale della terra e la luce del mondo”(Mt 5,17s). Ci si accorge però che il sale può perdere mordente e divenire insipido e la luce farsi opaca e non essere più in grado di risplendere. L’i-deale non è la sete del prestigio, ma la bontà e l’aiuto, non la scaltrezza con i suoi giochi ambigui, ma la semplicità della colomba. L’io si addestra ad uno stile di vita, impostato sui valori della contemplazione e della preghiera. Essi sono in grado di aprire la via alla distensione e alla serenità.

L’uomo delle beatitudini rifiuta lo smarrimento nella frenesia delle molte occu-pazioni. Gli ripugna l’atteggiamento di una continua evasione, spostato al di fuori, al di fuori di sé, in terra di esilio, in un deserto senza una meta, sempre fuori, sempre irrequieti, precipitosi. Si pensa che sia il molto lavoro a realizzarci. Un proverbio russo ricorda che “il lavoro non fa ricchi ma gobbi”. La gobba non riguarda tanto la schiena quanto l’anima, frastornata nel rumore, incapace di serenità, calma e distensione. S. Bonaventura unisce al raccoglimento la gioia. La preghiera diventa

1. L’idea di costruire una struttura assistenziale al posto della stalle non può non prestarsi a delle riserve, che diventerebbero particolarmente problematiche nel caso venisse messo in atto il terzo dei progetti proposti. Esso infatti occuperebbe non solo l’area delle stalle, ma si estenderebbe fino al parcheggio della casa religiosa, privan-do i religiosi d’un loro angolo privato. Non sarebbe fuori luogo utilizzare parte della proprietà posta a nord, non attigua alla casa religiosa. Non si capisce poi l’urgenza frenetica di costruire prima ancora di ultimare i lavori in corso e prima ancora di disporre del denaro richiesto.

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autentica quando colma il cuore, lo rasserena conferendogli vigore. Osserva che la lettura della parola di Dio è fatta come si deve se accompagnata da un cuore fervente (untio), non in maniera arida e asciutta. La riflessione sia sostenuta da un animo devoto. A noi la preghiera è consegnata come un obbligo che, di per sé, però è ordinata ad un’esperienza lieta. Non solo. Il tempo della preghiera è un tempo festoso (Cf. Pieper, Otium e culto,52ss.); lo è perché non è un tempo dedicato alla produzione, ma libero dal lavoro e dalla molte apprensioni. Finalmente liberi è pos-sibile leggere una pagina edificante, fare una passeggiata, vedere una trasmissione, ascoltare una conferenza. Purtroppo noi interpretiamo tutto in termini di dovere, come se si trattasse d’una fatica. Nell’esercizio della contemplazione si impara ad essere più pazienti, più gioviali e più fraterni. L’Imitazione di Cristo nota: Cella con-tinuata dulcescit, la camera sentita come luogo di ritiro rende lieto il cuore, apre la relazione con Dio e culmina nell’adorazione. Le parole si fanno rare fino a lasciare posto al silenzio. Finalmente si va all’essenziale, all’esperienza di Dio, sfrondando le cose marginali.

Il religioso dovrebbe avere alle spalle l’esperienza d’una pratica del Vangelo. È fuori dal trambusto e disordine della vita. È in grado di aiutare e incoraggiare. Le prime esperienze di coloro che si votavano alla sequela mettevano in grande risalto il distacco dal mondo. Si gettavano le basi d’una tradizione che è continuata nella trappa e nella clausura, ed è arrivata fino a noi con l’istituzio-ne del convento e del monastero che ha tanto affascinato lo stes-so Dostoewskij. Ai suoi occhi, il monaco figura come una persona carismatica, segregata dall’abitato eppure sempre in contatto con il popolo umile e sofferente.

Il monastero diventa il luogo del conforto, un luogo sacro quasi come la chiesa. Qui si formano e vivono anime dal candore inno-cente, lontane dalla corruzione delle città, dal disordine di passioni smodate che trascinano in basso nel degrado umano, lontane dalla vita degli imbrogli e degli inganni, lontane dal cicaleccio e dalle sue correlate bugie. Sono loro che salvano il linguaggio vero, ci testimoniano il Vangelo, ciò che è l’essenziale della vita. Se non ci fossero, verrebbe meno alla società un valore inestimabile, l’ideale del gratuito, affermatosi oggi nel volontaria-to, di cui il religioso è il precursore, facendo del discorso della montagna il proprio programma di vita.

Davanti allo sguardo dello scrittore russo sfilano alla ricerca d’un mondo diver-so gli sbandati, gli afflitti da malattie, i colpiti da gravi sventure, la frangia sofferente della società. A tutti costoro sono aperte le porte del convento dove incontrano

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persone capaci di infondere forza contro le sciagure e fiducia nella vita. La parola del monaco che nasce dal silenzio, da un’esperienza sofferta, è perciò vera, esprime l’anima credente. Qui ci sono persone che conducono una vita ispirata alla massima semplicità, rivolta all’essenziale, ai valori supremi del credente cristiano. Da essa parte l’insegnamento di cui una società come la nostra, soffocata dalle preoccupa-zioni degli affari, ha particolarmente bisogno. Mostra che si vive in maniera più autenticamente umana senza la febbrile corsa verso un tenore di vita sempre più agiato e mai raggiunto in modo appagante.

I valori contemplativi: silenzio e solitudine La presenza degli istituti religiosi ha un riflesso altamente edificante sull’anima

del popolo. A questo riguardo è facile notare come la chiesa cattolica e ortodossa godano d’una maggiore sensibilità religiosa popolare rispetto alle confessioni ispi-rate alla Riforma di Lutero. Sono gli stessi protestanti a notarlo, non senza un po’ di sana invidia. Bonhoeffer, ad esempio, ha voluto trascorrere un periodo di tempo in un monastero. Già questo fatto segnala come ci sia una irradiazione della vita religiosa, proprio in forza della sua particolare testimonianza e della sua segregazione dallo stile di vita abituale.

È una grave tendenza della cultura attuale, incline ad abbandonare i valori contemplativi, pensare che aumentando l’attività si raggiungano migliori risultati apostolici. Senza il retroterra d’una vita interiore non si va molto lontano. Dove muore il silenzio là muore anche la parola, rimpiazzata dal pettegolezzo e dal vani-loquio. Forse questo è uno dei difetti di cui siamo vittime. Lo stesso fatto di aver lasciato cadere il concetto di convento come luogo, geloso della sua sfera privata, depone per un processo di estroversione che distrae e dissipa.

Cristo resta il modello al quale ispirare la propria pratica evangelica. Sappiamo che dopo le fatiche della sua attività si ritirava in luogo deserto a pregare, passando le ore della notte in comunione con il padre. È da questo rapporto con Dio che si attinge e si assimila il messaggio da trasmettere. Il testimone del Vangelo si imme-desima con l’annuncio. Non ne resta fuori, come lo scrittore che stende racconti e romanzi, senza lasciar trapelare niente di sé. Lui qua e quanto è scritto là. Si avreb-be un tradimento della propria missione nel caso si dovesse presentare la parola di Dio alla maniera con la quale l’attore recita in teatro la sua parte. Il modello francescano surriferito, comunicare le verità attinte dalla contemplazione, ha un valore paradigmatico. Le stesse figure del Vangelo hanno un’anima contemplativa. In particolare, della Vergine è scritto che custodiva quanto accadeva al bambino e ne faceva oggetto di meditazione in cuore suo. La parola è tale se passa per il cuore e una volta proclamata arriva al cuore.

Lo sguardo all’escatonA rendere ancora più chiaro il distacco dal mondo della vita consacrata, inter-

viene la sua tensione verso l’avvento del regno come si invoca nella preghiera del Padre nostro. In genere si è portati a pensare che l’avvento del regno e dell’apocalis-

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si sia un evento rimandato in un futuro vago, incerto e lontano, alla fine dei tempi. Se così fosse perderebbe di mordente, non avrebbe grande significato, si ridurrebbe ad un evento mitico. Pensandolo molto lontano, finisce per rimanere altrettanto lontano dalla propria esperienza. Solo se visto nella prossimità, se trasferibile nell’o-ra presente si presta ad essere atteso. È importante sottrarlo all’imprevedibilità e renderlo prossimo.

L’invocazione della chiesa primitiva: vieni Signore Gesù! non era rimandata all’indefinito, aveva il carattere dell’immediatezza. Poi si è spostato tutto alla fine del mondo, così le aspettative sono andate perdendo sempre più ogni vigore. L’in-vito di Cristo: seguimi! e l’invocazione: vieni Signore! sono inseparabili (Metz). Il regno nell’itinerario temporale è sempre in evoluzione, in via di compimento. Se lo si dovesse rimandare nell’indefinito, ci si troverebbe davanti ad “una falsa infinità” che non ha alcun rapporto con il presente. Allora il pensiero della parusia sarebbe un luogo vuoto. L’attesa ha senso se il suo obiettivo è vicino, non sarebbe biblica nel caso venisse fatta coincidere con l’ora della morte.

La venuta del Signore non va intesa in senso temporale o nel corso delle cose. È una realtà che si compie di continuo. A questo allude la parabola del giudizio universale quando sottolinea: ero infermo e mi avete curato, ero nudo e mi avete vesti-to! Già qui va delineandosi la venuta del Signore. La speranza cristiana, che vive d’un’aspettativa prossima, è salvaguardata dal conseguente pericolo d’un disimpe-gno terreno. Nel curare l’infermo e nel soccorrere il bisognoso si compie la venuta del Signore e si realizza la speranza cristiana. L’apocalittica deve essere in rapporto con dei dati concreti, corrispondenti alle aspettative del tempo, se non si vuole che sfumi in un nulla. Il religioso sa che qui e ora si decide la sua speranza e si decide in maniera radicale. Votandosi interamente alla causa abbracciata, intensifica la sua azione e concentra tutto l’essere nel momento che ha a sua disposizione. La sua speranza non si perde nell’indefinito, è protesa sì, in avanti, ed è soprattutto ingag-giata nella sua, sia pur parziale, realizzazione del momento presente. Metz interpreta l’apocalittica del religioso non come un’evoluzione temporale ma come uno shock, in quanto con il suo stile di vita egli fa vedere un carattere provocatorio, resiste alle lusinghe d’un mondo che si esaurisce nel contingente, non si appiattisce in un andazzo banale, mettendo in gioco tutto se stesso. Purtroppo dall’influsso dell’am-biente non si rimane illesi. Avvertendo il pericolo viene istintivo reagire, cercando di arrivare a delle scelte efficaci.

L’esempio dei santiDi fronte alla crisi ci sono molte ricette. Una di queste punta su delle misure

istituzionali: regole, progetti, prescrizioni, emendamenti di artificio. Si resta per-plessi una volta che si tenti di rispondere alla domanda: “Se tutto questo basta per correggere un costume”. È un’illusione pensarlo. Si dà infatti una sproporzione tra il male da curare e la ricetta prescritta. Si ha l’impressione che, suonando l’allarme presi dalla paura per la presenza d’un pericolo, si ricorra a puntelli nel tentativo di arginarne le conseguenze.

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Forse un rimedio molto più efficace di molte interventi prescrittivi è quello indi-cato dal Papa: il richiamo al fondatore. Francesco d’Assisi – e molti altri fondatori di istituti – erano restii a stendere delle regole per i loro discepoli. C’è già il Vangelo ed è più che sufficiente per chi è animato da fede ed entusiasmo. Non ha bisogno di molti altri rimedi per dare un’anima all’azione e provocare la coscienza. Con questo non si deve rifiutare un impianto di regolamenti. Tuttavia i grandi mistici non avrebbero mai accettato delle direttive o strutture istituzionali. Erano infatti accesi da un fuoco di furore che non si sarebbe piegato ad alcuna struttura. C’era già la vita a dettare legge. Da essa scaturivano creatività, capacità di improvvisare, spesso in forme imprevedibili e sorprendenti. Se fosse dipeso da loro, probabilmente non sarebbe sorto alcun istituto. Sono stati necessari individui di maggiore realismo e senso storico. Hanno provveduto a ordinare l’idea così genuina e sincera di certi fondatori. La sua sopravvivenza è dovuta tanto al valore della loro causa profetica quanto all’istituzione, senza la quale non si dà storia. Si è capito che il gruppo dei seguaci non sarebbe stato all’altezza dei fondatori, non avrebbe avuto il loro slancio vitale e si sarebbe presto dissolto senza l’aiuto d’un’istituzione. Un’onda che, per quanto per quanto irruente, senza argini finisce per disperdersi. Per salvare il cari-sma del fondatore è imprescindibile perciò l’istituzione. A personalità carismatiche e profetiche come sono i fondatori interessa soprattutto lo slancio di testimoni autentici. Una volta però che non se ne trovassero più finisce, anche il diritto all’esistenza. Voler continuare sarebbe un sopravvivere come maschere. Anche il numero dei seguaci interessava loro relativamente. Solo ai grandi uomini dal senso

Il mondo continua a girare nell’universo con le sue speranze e paure.A guidarlo verso Dio saranno le mani di chi prega e si fa dono di servizio ai fratelli.

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pratico e dal fiuto della tradizione interessa ricorrere a degli ordinamenti per salvare lo spirito del santo fondatore.

Riconosciuta la necessità della istituzione non si è premuniti contro il peri-colo farisaico, contro la saturazione istituzionale, il sovrappeso degli artifici che mortificano la persona e soffocano la vita. Questo è uno dei pericoli che stiamo attraversando. Si ha l’impressione di perdersi in un’inflazione precettistica. È il caso di pensare a quell’animale preistorico che per difendersi da possibili minacce ha continuato a rivestirsi di nuove pelli, arrivando ad uno strato di tale spessore da non riuscire più a muoversi, condannandosi alla morte. L’eccessivo peso ha segnato il suo destino. È la lezione per chi crede che sia l’aumento delle prescrizioni a far ripartire la vita. È necessario un aumento di temperatura, trovare qualcosa che riscalda, e questo è possibile dove si dà qualcosa che arde. Il richiamo ad una figura come S. Camillo potrebbe far ripartire la vita con i suoi generosi impulsi: fiducia, coraggio, gioia, generosità. L’età dei religiosi ha certamente un peso, ma quando una causa conquista un individuo è capace di sfidare anche la vecchiaia.

Ancora una volta può essere di esempio S. Camillo, che, nonostante fosse sfini-to dalle fatiche e dagli acciacchi dell’età, era ancora capace di provare entusiasmo. Le sue parole ce lo fanno risentire: “sto in croce con i piedi trafitti. Il Signore mi ha lasciato senza piaghe solamente le mani, perché se avessi avuto piegate anche queste non avrei potuto esercitarmi in beneficio dei poveri”(Spir. 108). Pochi giorni prima della morte, sorretto da due confratelli, ha voluto recarsi all’ospedale per dare l’ultimo saluto ai malati: “oh potessi morire qui tra voi! Me ne vado con il corpo ma vi lascio il mio cuore”. Non contento, poco dopo ha voluto ripetere la visita ai malati. Il suo stato fisico è allo stremo, ma il cuore è vivo e arde come sempre. Le sue parole rivolte ai malati commuovono: “non posso più far nulla per voi, le mani mi occorrono per reggermi, ma mi rimangono il cuore, gli occhi, la lingua. Lasciate che vi guardi, vi benedica, che vi chieda una lacrima, una benedizione”. Con i loro esempi, i santi sono capaci di riscaldare l’animo tiepido. È da loro che può partire lo stimolo necessario per rimettere in moto la vita. Solo dove c’è vita si attinge vita.

L’esempio dei santi resta un rimedio salutare nei tempi dello sconforto. Le loro parole sono capaci di trascinare. Sono come quelle del forestiero che si è messo a fianco ai due discepoli di Emmaus, desolati e delusi dagli eventi del venerdì santo. “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture?” Solo se in noi c’è qualcosa che brucia si è capace di accendere. Il santo è capace di scaldare il cuore freddo, indirizza alla vita, suscita sentimenti, fa vivere. Sono appunto le sue opere che edificano più che le sue regole. Di queste lui non ha bisogno, in lui c’è già lo slancio dell’anima, una vita che brucia e incendia. Le istituzioni sono fredde, non commuovono. Non c’è niente, più dell’e-sempio dei santi, che possa trasmettere linfa vitale. Abbiamo bisogno di persone che dicono cose vere come il forestiero a fianco dei due discepoli di Emmaus. Ad esse è bene far ricorso nei tempi dell’incertezza e dello scoraggiamento.

P. Mario Bizzotto

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PROFESSIONE SOLENNE DI MOIOLI MARCO

Nel giorno dell’anniversario della conversione di S. Camillo, avvenuta il 2 febbraio 1575, quando Camillo de Lellis, a 25 anni, decise di abbandonare per sempre la vita sbandata e dissoluta condotta fino a quel momento per dedi-carsi completamente ai più bisognosi, Marco Moioli ha scelto di consacrarsi definitivamente a Dio.

Il 2 febbraio 2015, nella Chiesa di S. Maria del Paradiso in via Gaetano Trezza a Verona, durante la Celebra-zione Eucaristica, presieduta dal Supe-riore Provinciale, P. Vittorio Paleari, arricchita dalle parole del Consultore Generale, P. Gianfranco Lunardon,

concelebrata da molti Confratelli e animata dalla presenza di Famigliari ed Amici, Marco Moioli ha professato i suoi Solenni Voti Religiosi.

Con l’aiuto di Dio, e con la preghie-ra e il sostegno di tanti fratelli si è impe-gnato per tutta la vita a seguire Cristo in povertà per un uso corretto dei beni, in castità per avere un rapporto autenti-co con tutti, in obbedienza per raggiun-gere la vera libertà dei figli di Dio, nel servizio agli infermi anche in pericolo di vitavita, il quarto voto caratteristico del nostro Ordine.

Nell’anno dedicato alla vita consa-crata si realizza per noi un primo obiet-tivo: guardiamo al passato con grati-

“DEVO TUTTO ALLA MISERICORDIA DI DIO…”

È un grande senso di riconoscenza che mi sgorga dal cuore quando penso, a un mese di distanza dalla mia profes-sione solenne, a quell’evento.

Ciò che ho provato è la percezione grande della presenza di Dio per la qua-le ho deciso di consacrare il resto della mia vita, sentimento costante in questi ultimi anni e che mi ha confermato nel-la scelta presa.

Inginocchiato davanti al Padre pro-vinciale, non erano più le preoccupa-zione e le fatiche ad occuparmi la mente ma la gioia di consacrarmi totalmente al Signore, nella famiglia religiosa che sull’esempio del suo Santo Padre e fon-datore Camillo de Lellis serve e incon-tra Dio nei sofferenti e negli ultimi.

Devo però tutto alla misericordia

di Dio che mi ha voluto tutto per sè nonostante i miei innumerevoli difetti, ma sò di poter stare tranquillo perché ho compreso che Dio sa compiere ope-re stupende anche tramite strumenti insufficienti.

Ringrazio la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto e la mia Parrocchia, i miei amici, i seminaristi e i molti reli-giosi e sacerdoti che con il loro esempio di preghiera e dedizione mi sono stati da sprono.

In particolare ringrazio p. Aldo Magni e p. Pierpaolo Valli, miei edu-catori di grande competenza e pazienza, che spero continueranno a starmi vici-no; p. Vittorio Paleari, superiore pro-vinciale, che nonostante i suoi numero-si impegni ha avuto sempre uno sguardo

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tudine, viviamo in questo giorno il ricordo di una tappa importante nella storia di San Camillo e di ogni Con-fratello e testimoniamo con la nostra vita l’auspicio di Papa Francesco: “sia sempre vero che dove ci sono i religiosi c’è gioia”. Ci sentiamo in comunione fraterna con tutti i Confratelli che in altre nostre Province hanno rinnova-to lo stesso impegno in vari paesi del mondo camilliano: Colombia, Equador, Cile, Tanzania, Brasile ecc.

Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici.

In questo clima di serenità e di spe-ranza, eco alcune riflessioni.

la Redazione

LA VITA RELIGIOSA, DONO ED IMPEGNO GIOIOSO

Omelia per la Professione Solenne di Marco Moioli

Il testo della Professione Religiosa esprime in modo logico, consequenziale e chiaro alcuni passaggi fondamenta-li che hanno favorito Marco ad impe-gnarsi per tutta la vita, promettendo di vivere esclusivamente per Dio e per i fratelli bisognosi.

Innanzitutto è questione di Fede: nella Fede viene riconosciuta l’inizia-tiva della Carità di Dio Padre che, con sguardo fiducioso propone un progetto, chiamando il candidato per nome. Ciò stabilisce il primato di Dio che, sicco-

Verona, Santa Maria del Paradiso, 2 febbraio 2015.

Il giovane Marco Moioli si accinge ad emettere la sua Solenne Professione Religiosa. Gli fanno corona Confratelli ed Amici.

attento e paterno nei miei confronti; p. Gianfranco Lunardon, senza il quale non avrei saputo trovare un metodo di studio appropriato per affrontare gli esa-mi e che si è rivelato un sincero amico.

Inoltre devo ringraziare tutti i for-mandi con cui ho condiviso varie espe-

rienze durante il cammino formativo; in particolare Nicola Docimo che per me è stato un vero dono della provvidenza e che ha rivestito, con grande competen-za, il ruolo di cerimoniere nella celebra-zione della professione solenne.

Chiedo ai miei confratelli camillia-ni di pregare per me e di avere tanta misericordia nei miei confronti, di affi-darmi alla Vergine Madre perché come dice San Camillo: “Non basta iniziare; bisogna perseverare”.

Marco Moioli

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me conosce noi meglio di noi, ci invita perché sa che possiamo corrispondergli. Dio ci indica un cammino e nello stesso tempo ci costituisce una dotazione su misura per le fatiche del percorso. Sem-pre nella fede si riconosce che anche la nostra possibilità di risposta positi-va alla sua vocazione è sempre opera sostenuta da Dio attraverso lo Spirito Santo, il quale nelle molteplici pre-senze attorno a noi (genitori, parroci, amici, collaboratori, gente che mette su volantini od internet messaggi che atti-rano la nostra attenzione e soprattutto i formatori, etc), ci invita all’impegno e alla scomodità del “ricercare”, facen-doci diventare di fatto e giustamente, cercatori del nostro cammino assegnato da Dio, in mezzo all’umanità, con l’u-manità e per l’umanità.

In tutto ciò, poco ha a che fare la razionalità, che certamente è ovvia nel-la parte di logica coerenza umana; c’è piuttosto e soprattutto un incontro che seduce e in cui ci si lascia sedurre; c’è un innamoramento per una persona il cui amore per noi ci ha conquistato.

In base a questo intenso scambio

di amore, nasce in noi il desiderio di non volerne più uscire dall’amore e di viverlo per tutta la vita, intensamen-te, imitando Dio Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, nell’accezione della sua più tenera e materna misericordia ver-so l’umanità più debole, inferma, che fa i difficili conti con la malattia, l’e-marginazione, e la fine delle forze verso la morte. Il carisma della compassione, della misericordia e della consolazione diventa bagaglio necessario, il “legge-ro carico evangelico” per l’espressio-ne concreta del nostro amore eterno. Amore non nostro, ma di Dio e da Dio affidato a noi con una portata di fuo-co, lo Spirito, la cui potenza va oltre la nostra comprensione.

Nella formula della professione, dopo l’atto di fede, c’è la scelta di uno stile di vita, cioè si proclama di credere che è il Vangelo il nostro modello d’i-spirazione e a cui aspiriamo. La vita di Gesù non è solo un libro aperto dell’a-more del Padre celeste, ma diviene anelito verso la perfezione della nostra risposta d’amore all’Amore eterno.

La nostra vita rimarrà ancora

Verona, S. Maria del Paradiso, 2 febbraio 2015.P. Vittorio Paleari e Concelebranti durante la Solenne Professione Religiosa di Marco Moioli.

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immersa nella debolezza del peccato ma aumenterà sempre più la tensione per poter avvicinarci al modello “Gesù”. Anche noi siamo chiamati a diventare “libro aperto, Vangelo” dell’amore del Padre, e di conseguenza siamo chiamati ad un amore che tende alla perfezione con il dono della nostra vita per la sal-vezza dei fratelli.

E per “dimostrare” la verità del-le cose invisibili (quelle credute nel-la fede) promettiamo uno stile di vita riscontrabile, visibile, nel seguire Cristo secondo la strada dei “consigli evangeli-ci” della castità, della povertà e dell’ob-bedienza vissuti totalmente in una ben specifica famiglia religiosa, nella frater-nità della vita comunitaria che si dedi-ca al servizio degli infermi anche con il pericolo della vita così come espresso in un quarto voto.

L’imitazione, ovvero il tentativo di imitazione di Cristo si fa specifico. Lo stile di vita che si dichiara pubblica-mente davanti a Dio Padre, allo Spirito e al Figlio, capo del corpo mistico che è la Chiesa, quindi davanti alla Chie-sa rappresentata dal popolo di Dio qui presente. Lo stile di vita che si assume – dicevo, è chiaro – ma non sempre è percepito chiaramente il fatto che il primo luogo in cui si attua lo stile che si dichiara è la comunità, ovvero la comunità che si trasforma in fraternità proprio per la realizzazione in essa dei consigli evangelici. Non capire questo sarebbe come se un ipotetico buon gio-vanotto che fa un bel lavoro di volonta-riato in giro per le strade del mondo, poi in casa non parlasse, non accettasse dia-logo, magari non rispettasse e soprattut-to non avesse la benché minima voglia di cercare di sanare questa contraddizio-

ne! Non è stridente questo contrasto?Forse non tutto dipenderà dal suo

impegno, ma ciò che dipende da lui deve farlo (ritorno a parlare dei Reli-giosi Camilliani)… persino mettendo in pericolo la propria vita...; c’è scritto nella formula, quindi non rinuncian-do ma “correndo” o “combattendo la sua battaglia” con le armi della carità estrema, quindi con solerzia e premura, secondo l’insegnamento di San Paolo apostolo.

La professione dei voti, detti consi-gli evangelici e la vita fraterna in comu-nità non solo sono due realtà diretta-mente connesse ma si può dire che i voti, se riescono ad esprimersi nella vita fraterna in comunità, diventano fon-te di energia per trasmettere fraternità anche nel ministero.

Partiamo a ritroso da questo ultimo punto: nel nostro ministero noi svolgia-mo un servizio umano e spirituale e ciò risulta di certo positivo rispetto all’e-mergenza dell’altro. Ma io, in quanto portatore di questa professione religio-sa, impegnato a lavorare nel nome del Signore, cioè chiamato ed incaricato per conto di un Altro, Nostro Signore Gesù Cristo, che per trasmetterci tutta l’attenzione amorevole del Padre, si è fatto nostro fratello, io ho il dovere di trasmettere in prima istanza, cioè prima d’ogni altra cosa, fraternità.

L’altro deve sentire che sono lì con lui non solo con le mie mani, ma anche con la mia mente e soprattutto con il mio cuore. È lui l’oggetto centrale del mio amore e quindi del mio interesse, del mio tempo, della mia competenza etc.

C’è un incontro tra persone e non un incontro qualsiasi, bensì un incontro fraterno.

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Cristo è stato così per noi e noi che ci dichiariamo seguaci di Cristo, non abbiamo altra prospettiva di testi-monianza. È in questo stile che passa la linfa della misericordia del Signore. Siamo chiamati ad essere competenti per accostarci a chi ha bisogno, non solo non procurandogli danno, bensì offren-dogli benessere, ma soprattutto facen-dogli capire che può assaporare anche lui la fonte del vero benessere. La linea di trasmissione dal Padre attraverso il Figlio ai discepoli, fino agli estremi con-fini del mondo, si chiama Fraternità. Se non c’è questo filo conduttore che da Dio scende e attraverso anche il nostro umile contributo arriva agli altri, non è necessario fare la professione dei consi-gli evangelici: basta fare un buon volon-tariato sociale, che è cosa ottima ma che non c’entra nulla con la vita consacrata.

Il compito di trasmettere Fraternità nel nome di Cristo non è trasmissione di qualcosa, bensì di Qualcuno; è questione di comunicare la vita: è questione di vita fraterna vissuta, ovvero è fraternità vis-suta in Dio Trinità e poi donata, vissuta in Cristo con i discepoli e poi donata, vissuta nella Chiesa e poi donata. Qui sta il punto: la nostra comunità, chie-sa particolare della chiesa universale, riceve Vita Fraterna da Dio e da Cristo (confronta il Sacramento dell’Eucarestia e della Parola di Dio) e la coltiva viven-dola, per continuarne la distribuzione nel nome di Dio. Chi non vive (chi non s’impegna a vivere) la Fraternità, inter-rompe questa cinghia di trasmissione. Ma questa interruzione bisogna capirla bene, in profondità. Nel percorso di tra-smissione riservato a noi, pur con tanto di vocazione e di professione pubblica, se determiniamo una interruzione, faccia-

mo diventare Dio come sterile, o meglio impossibilitato a comunicare, e gli altri vengono relegati nella zona della “vana attesa”. La mancanza di impegno per la fraternità nella comunità è un errore grave nella vita consacrata camilliana.

Guardiamo per un poco l’effetto insostituibile dei voti evangelici, del-la responsabilità personale a cui Dio ci chiama a sostegno della vita fraterna nella comunità, e faccio questa parte di riflessione sotto forma di domande, spero di provocazione.

A cosa serve essere casti se non si ama? Ovvero, se non amo posso dire d’esser casto oppure sono solo sterile?

A cosa serve essere poveri se non si condivide? Ovvero, se non condivido posso dire d’essere povero oppure sono solo egoista?

Verona, Santa Maria del Paradiso. Il Superiore P. Pierpaolo Valli con Marco Moioli e Nicola Decimo.

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A cosa serve essere obbedienti se non si è disponibili? Ovvero, se non sono disponibile posso dire d’esser obbediente oppure sono solo indiffe-rente individualista?

A cosa serve essere consacrati se non si è al servizio? Ovvero, se non sono al servizio posso dire di essere consacra-to oppure sono solo inutile alla causa di Cristo pur essendo riconosciuto come capace?

Dei voti evangelici si può dire che c’è una parte di “rinuncia” a qualco-sa, ma è una parte infima rispetto alla prorompente energia che chiedono di esprimere nella loro parte propositiva. Ciò che si lascia è per esaltare la bellez-za del dono! Non stiamo seguendo Cri-sto per rinunciare, ma per dare la vita! Ora, per ipotesi, non vivendo i voti per la fraternità nella comunità, come pos-so poi promettere di offrirmi addirittura fino al pericolo della vita?

Anche questa ultima frase va capita fino in fondo: il nostro desiderio di fra-ternità evangelica in comunità sarà così alto da impegnarci … fino a dare la vita se sarà necessario, e da ciò scaturisce nel ministero la voglia e la gioia di trasmet-tere fraternità … fino a dare la vita se è necessario. Si può fare anche l’afferma-zione inversa: saremo in grado di dare la vita nel servizio, se avremo coltivato l’abitudine a dare la vita nella fraternità. È una questione di vita e non di morte.

Vita da vita e vita per la vita. Fra-ternità da fraternità e fraternità per la fraternità. Cristo si dà a noi in cibo per farci diventare altri Cristo per l’uma-nità, soprattutto quella povera e “lon-tana”, nella comunità e nel ministero. È proprio nella crescente realizzazione concreta dei voti evangelici che parte-

cipo alla perenne trasformazione della comunità in fraternità. Trasformazione sempre in divenire e pienamente realiz-zata solo nell’eternità.

Per capire i consigli evangelici bisogna mettersi nella prospettiva della parabola dei “talenti”, sono doni che vanno fatti fruttificare per il bene di tutto il popolo di Dio, ma non posso relegarli ad una specie di “centrali-na energetica spirituale per l’efficacia ministeriale”. Essi sono per la vita fra-terna affinché possa essere apertamente, palesemente, senza ombra di dubbio e di indugio, testimonianza della fraternità, prossimità ed intimità di Dio per ciascu-no dei suoi figli nostri fratelli.

La nostra efficacia ministeriale, lungi dall’essere una ricerca affannosa di affermazione di sé o di compensa-zione affettiva nella soddisfazione o di realizzazione delle proprie aspirazioni, prevede da una parte la volontà di una “umile preparazione per sapersi abbas-sare” (kenosi), mettendosi allo stesso livello di chi andiamo incontrando, e dall’altra “vita intensamente fraterna” come canale attraverso cui si insinua lo Spirito Santo il quale una volta entrato, fa quello che vuole, indipendentemente da noi, sia dell’altro così come di noi.

Non possiamo implacabilmente rimanere sempre uguali a noi stessi; lo Spirito Santo non ce lo permette e attraverso la capacità umana di duttilità e adeguamento alla vita fraterna Egli ci impone umanamente e spiritualmente il cambiamento, sotto forma di conver-sione permanente, a garanzia del fat-to che la nostra vita proviene da lui e ritorna a lui.

P. Vittorio Paleari

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IN CILE - PROFESSIONE DI TRE CONFRATELLIa 10 anni dalla Fondazione (2005-2015)

Si è realizzata il giorno 11 gennaio 2015 la professione perpetua di Pablo Ceròn Urrutia, la prima professione di Basil Darker Gaete e la prima rinno-vazione dei voti di Cristian Orellana Càceres a San Bernardo, alla presenza del P. Generale Leo Pessini e del coordi-natore della provincia inter-americana P. Kike Gonzàlez, come rappresentante della Provincia Romana era presente il P. Giovanni Aquaro.

La fondazione della comunità avvenne l’11 febbraio del 2005, esatta-mente 10 anni fa, e oggi si vedono i pri-mi timidi frutti. Il Cile non è un paese di

abbondanti vocazioni (perfino i seminari diocesani, per scarsezza di numeri, saran-no ridotti quest’anno a 3 o 1 dalla Santa Sede), quindi avere 3 professi e 1 postu-lante non è poco, soprattutto sapendo che non si è mai potuto liberare un reli-gioso per la promozione vocazionale, ma i 3 (e a volte 2) religiosi in attività devono fare assistenza in ospedale (24 ore al giorno per i 365 giorni dell’an-no), gestire una parrocchia, insegnare all’Università nella capitale, occuparsi della Famiglia Camilliana Laica e, dal 2014, anche coordinare la Pastorale del-la Salute Nazionale.

Cile, 11 gennaio 2015. Foto ricordo al termine della Solenne Celebrazione Eucaristica: i 3 Confratelli, Pablo Ceròn Urrutia (professione perpetua), Basil Darker Gaete (prima professione)

e Cristian Orellana Càceres (rinnovazione dei voti) con il P. Generale, Leocir Pessini, il coordinatore della provincia inter-americana, P. Kike Gonzàlez, e P. Giovanni Aquaro, rappresentante della Provincia Romana.

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Questi tre giovani professi rap-presentano, quindi, una speranza per mostrare ad altri giovani che è possibile esprimere il carisma camilliano in modo significativo e ben inserito in categorie culturali cilene. Tutti coloro che hanno l’opportunità di vedere il nostro carisma all’opera (una visita in ospedale, a domi-cilio, una coordinazione di pastorale della salute, un ritiro di guarigione interiore, un progetto di umanizzazione della salute, ecc.) si rendono conto immediatamente dell’originalità del nostro carisma e ci fanno pubblicità positiva. Il problema è che ancora questa pubblicità non è arrivata al mondo giovanile, nel quale non siamo riusciti ad entrare. Inoltre questo mondo, a San Bernardo, dove

operiamo, è molto malato e tremenda-mente traumatizzato. Questa è la mia ultima scoperta dopo tre mesi di attività sperimentale in tre collegi superiori di San Bernardo. È inutile parlare di voca-zione o di carisma a chi lotta ancora con blocchi traumatici dovuti a un ambien-te familiare e ad un quartiere violen-to, privo di appoggi sociali. La famiglia distrutta coopera ancora di più a questa scarsezza di vocazioni disponibili.

La speranza risiede nel seminare e servire con gioia sapendo che la pian-ticella di San Camillo non si appoggia sulle nostre povere forze, ma sul Cro-cifisso: “questa è opera mia e non tua”.

P. Pietro Magliozzi m.i.

Anno della Vita Consacrata

La Camilliana, Suor CandidaÈ LA RELIGIOSA PIÙ VECCHIA DEL MONDO

Compie 108 anni Suor Candida, la Religiosa più anziana del mondo.

Il 20 febbraio 2015 ha festeggiato 108 anni di età. Veronese (nata a Quinzano) entrò nell’Istituto delle Ministre degli Infermi di San Camillo nel 1931. Ha prestato la sua opera di infermiera professionale in diverse città italiane. Dal 2000 vive a Lucca, nella Casa madre dell’Istituto,

dove, nonostante l’età, partecipa ancora attivamente alla vita della Comunità.

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IL BATTESIMO DI GESÙ (MC 1, 7-11)

Il battesimo di Gesù, per ammissione dello stesso Giovanni Battista, è tutta un’altra cosa rispetto al suo. La differen-za si può in un certo senso cogliere met-tendo a confronto l’acqua con il fuoco.

Forse c’è ancora qualche religioso che si rammarica di non vedere più in giro dei predicatori “stile Giovan-ni Battista”. Quello che è il materiale esplosivo della religione sembra esse-re diventato, a detta di queste persone nostalgiche, una pappa molle, un tene-rume senza sapore.

“Razza di vipere! Chi vi ha fat-to credere di poter sfuggire al castigo? Ormai è vicino”, tuonava Giovanni Battista. “Fate vedere con i frutti che avete cambiato vita”. Giovanni par-la chiaro, senza peli sulla lingua. E la gente andava da lui a farsi battezzare nel fiume Giordano da ogni parte della regione. Per tutti Giovanni ha la ricetta pronta: per chi apparteneva ai gruppi dei farisei e dei sadducei, per gli agenti delle tasse e anche per alcuni soldati. Tutti, secondo la convinzione di Gio-vanni possono, basta che lo vogliano, arrivare alla perfezione.

Noi siamo sicuri che con i quare-simalisti in attività, oppure sottopo-nendo gli individui a un certo numero di “monizioni” ben studiate si arrivi a cambiare il cuore delle persone? Andate a dire a un ‘tossico’ che, oltre a fare del male ai suoi familiari con le sue abitu-dini, mette in pericolo la propria salute fisica. Tutto è inutile finché non si arri-va a curare la malattia della persona alla sua radice.

A uno che prende ogni tanto una sbornia può essere utile anche un predi-cozzo, ma non ad un alcolista. Noi non siamo fondamentalmente della brava gente che qualche volta può anche prendere qualche sbandata. Gesù la pensa in maniera opposta: cfr. Mt 7,11 e Mc 10,17s.

Certamente Gesù, come persona interessata al massimo ed esclusivamen-te al rapporto delle persone con la divi-nità, non poteva non chiedersi come

Pastorale

Sulle rive del Giordano inizia una nuova era. Il battesimo di Giovanni è superato da quello di Gesù. Inizia la storia dei Figli di Dio!

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possano gli individui diventare buoni tanto da essere in grado di fare il bene. Nel Vangelo si legge che “quando Gesù ebbe notizia della morte di Giovanni il Battezzatore, partì in barca per recarsi in un luogo solitario, lontano da tutti” (Mt 14, 13). In una circostanza come questa si sarà certamente domandato, tra l’altro, cosa bisognava dire ‘di più’ alla gente rispetto a ciò ciò che già dice-va Giovanni.

Sullo sfondo della predicazione del suo precursore ci viene incontro una figura di Gesù ben diversa da quella da lui scolpita per es. in Matteo 3,12. Gesù vuole essere solo e sempre medico. Le persone sane non ne hanno bisogno, ne hanno bisogno i malati. “Io, dice Gesù, non sono venuto a chiamare quelli che si sentono giusti, ma quelli che si sentono peccatori (Mc 2,17). E molta gente andava da lui portando zoppi, storpi, ciechi, muti e molti altri malati. Li mettevano a terra, vicini ai suoi pie-di, ed egli li guariva” (Mt 15,30). Non è obbligatorio, per non vanificare l’ef-ficacia dell’opera dell’attività di Gesù medico, figurarsi cataste di stampelle e pile di grucce e barelle dappertutto dove Gesù sostava. A proposito di Gesù e di tutto quello che diceva e faceva, non si può dire altro che era una persona che viveva sperimentando, sit venia verbo, una “realtà centrale” da cui traeva linfa e vigore. Questa realtà nella fede si chia-ma Dio Padre. Per Gesù è una volon-tà che si spiega da sola, onnipotente e benevola. Sostenuti da questa persona, noi siamo specchi di una luce che mai e poi mai ci saremmo sognati di poter dif-fondere. Senza questa luce siamo alberi che vedono avvizzirsi tutte le foglie.

Gesù diffondeva tra la gente questo

suo Vangelo del Padre celeste raccon-tando anche abitualmente delle parabo-le. Senza parabole non parlava mai alla gente (Mc 4,34). Se riascoltiamo quelle note di Luca al capitolo quindicesimo del suo Vangelo si può arrivare forse a formarsi la convinzione che nessuno al mondo ha sofferto tanto come Gesù, talmente evidente doveva apparire ai suoi occhi la verità profonda di ogni cuore umano. Ma si può dire anche, forse senza forse, che nessuno prova-va tanta gioia e tanta felicità come lui nell’illustrare l’unica strada in grado di risuscitare i morti.

Gesù non distingue gli uomini come normalmente facciamo noi, seguendo quanto si impone come legge della vita, in gente riuscita e in gente fallita, giu-sti e peccatori davanti alla legge. Gesù separa le persone tra coloro che si ren-dono conto di quanto sia difficile per l’uomo vivere sereno e in pace con se stesso e con quanto, persone e cose, lo circondano, e chi di questa penosa e tra-gica condizione creaturale non ne vuol sentire neppure una parola. Gesù respi-

Noi siamo preziosi agli occhi di Dio!Con tutto quello che dice e fa, Gesù vuole rivelarci il Volto del Padre.

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ra e si muove al di sopra dell’etica, non tollera che il rapporto con Dio venga stabilito come un sistema prefabbricato di pesi e contrappesi. Gesù è convinto (vedi Matteo 18, 23-35) che la morale distrugge se stessa (vv. 28-30).

Al fondo di tutto quanto Gesù dice e fa, c’è questa unica convinzione: nes-suno al mondo che sperimenti la tragica fatica del vivere andrà da chi gli si mette davanti col dito alzato. Per Gesù il “pec-cato del mondo” (Gv 2,29), il peccato dal quale ha origine ogni altro, è una malat-tia mortale. Sta nel fatto che gli uomini, nella percezione della propria creaturali-tà, che dà angoscia, perdono di vista Dio, che è buono e, nel loro smarrimento (a cui da soli non possono far fronte) si sen-tono obbligati a deificare se stessi. Gesù il medico, non dei corpi e della anime (come si dice), ma delle persone, le vuole guarire, togliendole di mezzo con l’unica, per lui, medicina sanante: la fiducia nel Padre nostro. Non posso qui non richia-mare quanto scrive Dostoevskij. C’è nel suo romanzo Delitto e Castigo una scena di tale potenza poetica che può stare alla pari del comportamento di Gesù medi-co celeste. “Quando il giovane studente Raskolnikov (affettuosamente Rodja), dopo molto esitare confessa alla prosti-tuta Sonja di essere stato lui a uccidere con una scure l’amica di lei, Lisabeta, e la sorella di questa, la prestatrice su pegno, Aljona, la giovane donna si getta al col-lo dell’assassino e balbetta commossa: “Rodja, quanto devi aver sofferto!”.

Un essere umano non può diventare buono solo impegnandosi, anche dopo che gli si è spiegata la cosa, solo perché lo vuole. È solamente nella fiducia in una Bontà, che lo ha in mente in modo assoluto, che può risorgere, come Lazza-ro (cfr. sempre in Delitto e Castigo).

Ma perché mai Gesù, proprio all’i-nizio della sua missione di guaritore delle anime, di medico delle persone si mette a fare la fila davanti a Giovan-ni Battista per sottomettersi all’austero suo rito penitenziale, emblema di una lotta ascetica appassionata, che lui va predicando? La risposta non può essere che unica. Questa: Gesù accetta il rito di Giovanni Battista perché lo vuole cambiare in maniera “spettacolare” in corso d’opera ab imis fundamentis. Le parole dal cielo: “ sei mio figlio, l’ama-to, Io ti ho mandato”, sempre intese nei corsi di teologia dogmatica esclusiva-mente come “prova scritturistica” della filiazione divina, “stricto sensu” di Gesù, in realtà, ex toto evangelio, sono rivolte a ciascuno di noi. Questo è il supremo, unico desiderio di Gesù.

Noi portiamo i bambini ad essere battezzati in chiesa, un luogo sacro, per-ché siamo convinti che ogni neonato tocchi con il capo il Cielo. La biologia, la psicologia e la sociologia possono for-nirci tante utili informazioni riguardo al nostro ‘cognome’, ma il ‘nome’ viene solamente dall’alto, dal Cielo: Tu, sei mio figlio, l’amato!

E per noi che significato deve ave-re il battesimo di Gesù? Ormai gli anni che abbiamo sulla groppa sono tanti. Per molte persone sono certamente di più di quelli che hanno davanti. Per tutti il battesimo di Gesù è un invito sempre attuale a pensare “chi” siamo noi veramente. Di certo siamo molto più ricchi di quanto siamo stati abituati a stimarci, e molto più belli di quanto ci hanno sempre detto, ripetendo a pappa-gallo un’espressione del catechismo: il battesimo cancella il peccato originale.

P. Domenico Ruatti

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QUANDO IL CAPPELLANO …

Un giorno, alcuni anni fa, un mio confratello, alticcio, biondiccio e fumantino, sosteneva, a tutta forza che noi camilliani ci si deve distingue-re nell’esercizio del ministero verso i malati.

Volendo capirne di più, ma soprat-tutto stimolarlo ad esprimersi meglio, incalzavo: “in che senso distinguersi dai non camilliani?”. Ne seguiva un botta e risposta dai toni forti. E più le risposte erano vaghe più le domande spocchio-se. Il tipo, fumantino come detto, arran-cava ma non si arrendeva. Il gusto un po’ sadico (mea culpa) di mandarlo alle corde produceva scarichi emozionali senza controllo.

Alla domanda: in che senso noi camilliani ci si deve distinguere da non camilliani, puntuale il tipo rispondeva: nel senso che dobbiamo fare meglio degli altri. “Di rimando:” … e già, ma

in cosa consiste meglio degli altri? E l’alticcio: nel senso che si deve poter dire: ecco un vero camilliano.

Perfetto! Resta da definire cosa fa il vero camilliano.

E il biondiccio: “da come trattiamo gli ammalati.”

Ottimo! E come i camilliani trattano gli ammalati?

E l’appassionato confratello, anna-spando continuava con risposte via via sempre più sfumate, confuse. Tuttavia, di un confratello abitato da uno stile pastorale old style ne apprezzavo l’ar-dore, la fedeltà.

L’idea che noi camilliani, perché camilliani, abbiamo un quid in più nell’esercizio del ministero verso i mala-ti non mi ha mai convinto. Noi camil-liani non siamo i migliori e, me lo si lasci dire, nemmeno i più innamorati, talvolta. Non a caso nel secolo scorso il

I muri degli ospedali ascoltano più preghiere dei muri delle Chiese.

Pastorale

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sussurro più in voga era che un sacerdote (camilliano) ritenuto capace di lettere o di management fosse sprecato per l’ ospe-dale. Secondo questa saggezza pastorale, nell’ospedale dovevano essere destinati quelli con la media del sei meno. Idem per e nella casa di formazione; uno sen-za una laura, per dirla alla Totò, poteva fare solo il cappellano.

La storia (che è maestra) fa il suo corso. Alcuni (diversi) di quelli con una laura hanno poi optato per una Laura in carne ed ossa e buonanotte sonato-ri. Quelli con il sei meno in ospedale. Come mai? Semplice: i-sei-meno erano e sono rimasti innamorati del primo amo-re: Cristo, il sacerdozio, i malati, l’o-spedale. Altri si sono innamorati dopo, ma non del ministero sacerdotale. Altri ancora non si sono innamorati mai, né prima, né durante, né dopo. Dico … di Cristo, del ministero verso i malati. Nessuno se ne meravigli. È stato così per lungo tempo e ahimè un po’ perdura. Come spiegare certe fughe da Alcatraz

(ospedale) e certe resistenze a lasciare lettere e management? Ci saranno pure dei “cappellani scarsi” (da sei meno), ma ce ne sono anche di desaparecidos.

È questione di ‘innamoramento’. Di essere prete, intendo dire. Ogni sacer-dote dovrebbe essere innamorato della sua vocazione. Ma è così?

Ogni innamorato è frou-frou. Ogni camilliano è frou-frou? Ogni innamora-to è entusiasta, creativo, poeta, capace di emozioni eppur di silenzio, stupore.

Ogni camilliano affina queste sfu-mature? L’innamorato attinge al cuore, è tenace, non demorde e non si stanca mai.

È così per i cappellani-camilliani? Da dove originano allora certi tran-tran pastorali?

In tanti anni, spesi (per grazia di Dio) in questo splendido ministero, ho condiviso con confratelli camilliani e non camilliani, giorni, affetti, idea-li, sogni e fatiche apostoliche. Alcuni veri maestri per dedizione, entusiasmo e intelligenza pastorale. Ma nel cuore mi restano indelebilmente impressi ‘gli innamorati’. Quelli che prima e dopo la visita ai malati (l’antico giro) sostava-no, e qualcuno ancora sosta, a lungo davanti al Tabernacolo. Qui un dove-roso silenzio s’impone unito ad una pro-fonda gratitudine per l’esempio ricevu-to. Persone (camillani e non) che con il passare del tempo, lungi dall’essere relegati nell’oblìo, nutrono la memoria e riempiono di nostalgia non per quello che è stato (o flebilmente è ancora) ma per quello che avrebbe potuto stabil-mente essere e non è: ‘lo stile dei camil-liani’.

P. Giovanni Acquaro

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UNA VITA ACCANTO E PER I MALATI

Sono tanti gli anni della mia convi-venza con l’ambiente ospedaliero!

Nello scorso settembre ho anche celebrato il cinquantesimo di sacerdozio tra i figli del caro Fondatore, San Camil-lo De Lellis, del quale abbiamo celebrato il quarto centenario dell’ordine.

Di esperienze a contatto con il mondo della sofferenza ne ho avute tan-tissime e moltissimi ricordi di fede gran-de, vissuti fra ammalati, ormai svaniti nell’oblio del tempo, che passa inesora-bilmente ma che per altro, sono presen-ti nel cuore di Dio e di Maria Santissi-ma, Regina e salute degli infermi.

Se mi si chiedesse cosa ho dato in tutti questi anni di servizio pastorale ospedaliero, chiederei che la domanda mi venisse posta in senso inverso; cioè cosa ho ricevuto dai cari fratelli amma-lati.

Senza timore di errare ho ricevuto tanto di più, molto di più di quanto ho saputo dare: tanta forza nell’esple-tamento del servizio, più carica voca-zionale, fraternità, amore e gratitudine.

Ma in tanti anni ho scoperto il bisogno della preghiera, che suscita la nostalgia dell’Eterno e che sviluppa quei

meccanismi che talvolta si frappongono nel conseguimento della ‘Verità’.

Alcuni giorni fa, un giovane diciot-tenne, incontrato in reparto, affetto da una seria patologia, mi esprimeva il suo rammarico per non saper pregare, e che nel corso degli anni avesse imparato a farlo.

Il concetto di Dio che aveva svilup-pato negli anni di scuola, lo portava a credere in un Dio lontano dalla sua real-tà, tanto da non poterlo importunare con una richiesta personale. Seguì una lunga conversazione e talvolta accesa, circa il tema della fede e della sofferenza.

Qualche giorno dopo mi cerca e mi chiede di insegnargli la preghiera del Rosario della beata Vergine Maria.

Mi mostra un rosario, che si era pro-curato e mi chiede di pregare insieme.

Nel frattempo passano alcuni giorni, mentre il giovane è impegnato in terapie intense con forti effetti collaterali.

Ci rivediamo successivamente e mi chiede finalmente la confessione e la Santa Comunione.

Resto sì meravigliato ma non sorpre-so: Gesù agisce attraverso i meccanismi della preghiera per giungere all’anima.

P. Domenico Pesce con P. Alfredo Tortorella, Collaboratori Sanitari, Amici e Fedeli fanno corona alla Reliquia di San Camillo.

Pastorale

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Qualche sera fa, nel compiere il mio giro di visite tra i malati dei reparti, lo avvicino e mi sussurra all’orecchio un’e-sperienza vissuta il giorno precedente: aveva pregato per il compagno di stanza con la corona del Rosario, affinché la Madonna guarisse anche lui.

Era un padre di famiglia che si era sottoposto ad un esame delicato e con preoccupazione attendeva il risultato. La notizia delle dimissioni del pazien-te, per il quale aveva pregato, lo aveva sconvolto: “Padre, sono stato ascolta-to?”.

Di fronte al suo sconvolgimento mi resi conto che nonostante gli anni che ho vissuto accanto ai malati, ogni rap-porto è unico e irripetibile ed ogni vol-ta ci si trova di fronte ad un’esperienza nuova.

Con mia grande meraviglia mi resi conto che il giovane aveva sperimenta-to la forza della preghiera che spinge a compiere gesti cristiani verso ‘l’Altro’: anteporre l’esigenza altrui rispetto alla propria. Questo gesto viene definito, Carità eroica.

Nell’Amore donato ai fratelli, si ritrova l’Amore di Dio, che conforta, riscalda il cuore e spinge a cercarlo ancora, soprattutto nelle prove difficili e nell’esistenza terrena, dove si speri-menta la gioia della solidarietà, della condivisione e la necessità di cercarsi e ritrovarsi.

L’esperienza non mi ha ridotto lo stupore nell’approccio al malato ma anzi mi ha permesso di sviluppare la capacità dialogica, per cui sento di possedere i caratteri preferenziali per arrivare diret-tamente al cuore del sofferente.

P. Domenico Pesce

QUANDO LA CAPPELLANIA …

Tutta l’attività della Cappellania, espressione del servizio religioso presta-to dalla comunità cristiana nelle istitu-zioni sanitarie, ruota intorno al Consi-glio Pastorale, il quale svolge un ruolo trainante nella varietà dei carismi e di ministeri. Incontri periodici ne garanti-scono continuità e verifica. Ovviamen-te, motore principe sono i Cappellani. Lapalissiano che la macchina parte se il motore è acceso.

L’attenzione pastorale allora è feconda. Ancor più, si radica e si tra-smette, rinnovata di generazione in generazione. È in sintonia con i tempi e con il sentirsi Chiesa e della Chiesa. ora e oggi. L’attenzione pastorale si discerne oggi, e oggi si risponde. Metodi e formule dell’agire pastorale del passa-to sono importanti, hanno il loro peso, sono storia (memoria) che nutre, ma è oggi che si è chiamati a non indurire il cuore (profezia) se si ascolta la voce del Signore.

La Cappellania dell’Ospedale S. Giovanni di Roma (affidata ai Camillia-ni) ha risposto all’invito di Papa France-sco: 24 ore per il Signore nei giorni 13-14 marzo. L’intero Ospedale è divenuto luogo d’incontro con il Cristo vivente. La straordinarietà con cui l’amore si è propagato per ogni reparto ha visto i Cappellani, che per vocazione sono pre-senza sanante per ammalati, loro fami-liari e gli operatori sanitari, annunciare un Dio, il nostro Dio, “ricco di misericor-dia” (Ef 2,4). L’avvicinarsi al sacramento della riconciliazione, consapevoli delle proprie fragilità e della certezza della misericordia del Signore, che accoglie, abbraccia e risana ogni ferita, riconci-

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lia e dona vita nuova come un fiume in piena. Sempre! E Dio, come spesso afferma il Pontefice, mai si stanca di per-donare. In un luogo in cui la sofferenza è tangibile in tutta la sua ampiezza, in tutte le sue sfaccettature, si è manifesta-to quest’abbraccio paterno, vivificante, visibile nel sacrificio di Gesù, che dalla croce ha donato la sua vita per la nostra salvezza. Una croce di legno è stata posta al centro della chiesa in ricordo di quel dono d’amore, dando a tutti la possibi-lità di accostarsi a essa in preghiera, per poi seguire il legno della croce nella Via Crucis tenutasi nel tardo pomeriggio di un venerdì di Quaresima.

Straordinaria e commovente la par-tecipazione degli ammalati. Apprezzata e significativa la presenza del Diret-tore Generale, la Dott.ssa Ilde Coiro. Una Via Crucis all’insegna di incontri, dove ognuno ha offerto vicinanza, tutti hanno condiviso silenzio e preghiera. Presieduta da Mons. L. Leuzzi, Vesco-vo Ausiliare della Diocesi di Roma, la celebrazione è stata vissuta con grande compostezza. L’iniziativa, nel silenzio e nel raccoglimento, ha parlato con forza di un Amore che passa e tocca e tutto può risanare, nel corpo e nello spirito, l’ammalato, ma anche quanti sono loro vicini, di chi fa del proprio lavoro una missione e di chi per vocazione è lì per un moto del cuore. Ha raccontato a chi è nella malattia che, proprio in quel-la condizione, Dio mostra il suo volto misericordioso, e a chi era lì per donar-si che è nell’offrire la propria pochezza agli altri che si riceve più di quanto si possa dare. La Via della Croce insegna passo dopo passo il modo di procedere, un cammino in cui la nostra piccola o grande croce è il luogo dove Dio viene

a incontrarci e a ricordarci la Sua vici-nanza, il Suo amore, la Sua paternità. Quella croce di legno così portata nei reparti, tra chi la sofferenza la vive pri-ma di tutto nel corpo, in un luogo in cui ogni cosa sembra mancare, non è stata simbolo di sconfitta, né di dolore, ma segno tangibile di un’eterna vittoria, quella dell’Amore, un Amore immen-so, che ha un volto ben preciso, quel-lo di Cristo. Altro segno dell’oggi – in atto da due anni al S. Giovanni – è la

Roma, Ospedale San Giovanni. “24 ore per il Signore”. Così una volontaria della Cappellania racconta la Via Crucis.“In questo cammino della Croce, con la Croce, tra le Croci tutti siamo stati illuminati e come raggiunti da un raggio di speranza. Il Signore camminava tra le corsie per tutti, per chi lo accoglieva sulla porta, per chi restava impossibilitato a letto, per chi indifferente ne distoglieva lo sguardo. Ma Lui con la Croce, la sua Croce, tra le Croci, passava…”.

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Giornata dell’Evangelizzazione, vissuta domenica 15 marzo. Con il supporto della Comunità carismatica Gesù Ama, l’annuncio del Vangelo viene portato in ogni ambiente ospedaliero. Questi fratelli, giovani e meno giovani, con la freschezza che è loro propria, raggiun-gono i malati, i loro familiari e gli ope-ratori sanitari per annunciare la buo-na novella. È esperienza intensa. Una esperienza di Chiesa comunione. Con il sorriso sulle labbra e con la tenerezza di una madre i giovani missionari -coordi-nati dai Cappellani- raggiungono tanti nostri fratelli e sorelle nella cittadella del dolore e della speranza. Si è favoriti dalla ubicazione centrale della cappel-

la. Per cui mentre alcuni raggiungono, annunciano e invitano ammalati, ope-ratori sanitari e familiari, altri stanno in preghiera in Cappella con Gesù Eucare-stia esposto, perché il Signore tocchi il cuore di ognuno e tutti siano raggiun-ti da un raggio del suo amore. Siamo commossi testimoni dei tanti raggi di misericordia che, partiti dal cuore di Dio, hanno illuminato di luce nuova il cammino di tanti nostri fratelli e sorelle infermi.

È con questo stile missionario che desideriamo continuare ad annuncia-re la misericordia di Dio, OGGI, in ambiente sanitario.

Una volontaria

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LA SAPIENZA DEL CUOREGiornata del Malato all’Ospedale San Giovanni di Roma

La Giornata Mondiale del Mala-to, fissata significativamente per l’11 febbraio, giorno della memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, istituita da Giovanni Paolo II agli ini-zi degli anni ’90, è stata celebrata nel nostro ospedale il 25 febbraio per non sovrapporsi alle celebrazioni della Dio-cesi di Roma.

Perché una Giornata Mondiale del Malato…

Nel prepararsi a questo momento di fede, il consiglio pastorale dell’ospe-dale, accompagnato dai cappellani, si è posto un interrogativo fondamenta-le. Perché la Chiesa celebra una giornata mondiale del malato? Perché l’istituzione di questa giornata?

Come accennato sopra, questa gior-nata è stata istituita da Giovanni Paolo II negli anni ’90. Essa si propone le fina-lità indicate dallo stesso papa: la sen-sibilizzazione della necessità di assicu-rare la migliore assistenza agli infermi; l’aiuto ai malati a valorizzare sul piano umano e soprannaturale la sofferenza; il coinvolgimento delle diocesi, delle comunità cristiane e delle famiglie reli-giose nella pastorale della salute; la pro-mozione dell’impegno del volontariato; l’importanza della formazione spirituale ed etica degli operatori sanitari; l’impe-gno di far comprendere sempre meglio l’importanza dell’assistenza religiosa ai malati da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, e di quanti vivono ed ope-rano accanto a chi soffre (cfr.Giovan-ni Paolo II, Lettera al card. F. Angelini, 13/5/1992).

Il tema: Sapientia cordis – “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo” (Gb 29,15).

Ogni anno il papa sceglie una tema-tica per aiutare le comunità cristiane a riflettere e a celebrare la Giornata in modo sempre nuovo; per il 2015 ha pro-posto: Sapientia cordis – “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo” (Gb 29,15).

“Anche quando la malattia, la soli-tudine e l’inabilità hanno il soprav-vento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e raf-forzare la sapientia cordis. Si compren-de perciò come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio pos-sa affermare: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti han-no veduto» (42,5)” (Messaggio per la XXIII GMM).

Quest’affermazione di papa Fran-cesco costituisce il cuore del messaggio della Giornata mondiale del malato: contiene il riferimento ai doni dei valo-ri fondamentali del Vangelo che il cri-stiano può acquisire o rafforzare nell’e-sperienza della malattia o della soffe-renza in generale. Esse costituiscono il luogo speciale per ricevere e aumentare la grazia di Dio in noi, fonte per scopri-re e crescere nella “sapienza del cuore”, la tappa di crescita della maturità della fede adulta in Dio, la scoperta persona-le del volto di Dio nella propria carne. Naturalmente tutto ciò comporta la capacità di saper soffrire, saper offrire, saper pregare, saper allargare gli oriz-

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zonti della propria vita spirituale, sul modello di Gesù in croce.

Egli infatti da una parte ha fatto pro-pri i sentimenti umani di ogni credente e di ogni creatura (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?), dall’al-tra parte ha saputo fidarsi del suo Padre celeste e abbandonarsi al suo disegno salvifico (Signore, nelle tue mani affido il mio spirito).

La nostra Giornata Mondiale del Malato…

Anche la nostra Comunità Ospe-daliera ha voluto vivere, in sintonia con l’intera Chiesa, questo momento di preghiera, di riflessione e di fraternità dove hanno visto ammalati, cappella-ni, suore, volontari, personale sanitario, direttore generale dell’ospedale riuniti intorno all’altare di Dio per la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dal Rev.mo Padre Augusto Chendi, camil-liano e sottosegretario al Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.

La Celebrazione Eucaristica, anima-ta dalle Suore Ospedaliere presenti in Ospedale e dalle associazioni di volon-tariato, ha avuto il suo fulcro centrale nell’amministrazione del Sacramento dell’Unzione degli Infermi ai numerosi ammalati presenti in cappella.

Come ben sappiamo, vivere que-sta giornata mondiale del malato non significa amministrare solo un sacra-mento, che per di più, in ospedale si amministra ogni giorno ad ogni ora, ma far in modo che si viva in maniera cre-ativa nei quattro ambiti:1. quello dell’animazione… 2. quello della formazione…3. quello della celebrazione liturgica…4. quello della testimonianza della carità…

Una Giornata che duri tutto l’anno…A conclusione di questa mia breve

riflessione un augurio voglio porre pri-ma di tutto a me stesso, ai cappellani, al personale sanitario, al consiglio pasto-rale ospedaliero e al direttore genera-le, affinché questa Giornata del malato non si esaurisca nell’arco di ventiquat-tro ore.

Mi auguro che saremo sempre pronti a rispondere ai bisogni dei malati e delle loro famiglie a livello fisico, psicologico e spirituale; svegli e perspicaci nel fare delle proposte formative sui temi della vita e della salute, della malattia e della morte; pronti a moltiplicare i segni di carità verso gli ultimi e a promuovere l’educazione alla salute globale delle persone.

Una volontaria

Roma, Ospedale San Giovanni, 25 febbraio 2015. P. Augusto Chendi presiede la Concelebrazione per la Giornata Mondiale del Malato.

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DA GERUSALEMME A GERICO: I SENTIERI DEL CARISMA DI CAMILLO

Siamo nel cuore dell’Anno dedica-to alla Vita Consacrata.

La Lettera Apostolica di Papa Fran-cesco è un programma ardito e forse solo la preghiera e il silenzio sono l’atmosfe-ra e la cornice essenziale per celebrare e vivere questo dono, ma … qualche ‘parola in libertà’ potrebbe essere un’u-tile provocazione.

Il Santo Padre, parlando ai Superiori Maggiori, tra le tante cose, chiedeva di promuovere la Vita Religiosa con queste parole: “Promuovete la vita religiosa: ieri la sua identità era legata soprattutto alle opere, oggi costituisce una preziosa riser-va di futuro, a condizione che sappia porsi come segno visibile, sollecitazione per tutti a vivere secondo il Vangelo. Chiedete ai con-sacrati, ai religiosi e alle religiose di essere testimoni gioiosi: non si può narrare Gesù in maniera lagnosa; tanto più che, quando si perde l’allegria, si finisce per leggere la realtà, la storia e la stessa propria vita sotto una luce distorta”.

Il Papa ha dato dunque forma a pensieri per augurare anche al nostro Ordine un futuro in Dio, aldilà delle soluzioni arginanti.

Senza presunzione, mi permetto di stendere qualche riflessione, stretta-mente personale, sulla Vita Consacrata e sulle ‘cosiddette O. N.’.

Ho quasi la sensazione che l’oblio frettoloso del passato, l’ansia del pre-sente e l’incertezza del futuro non ci permettano di analizzare serenamen-te la realtà camilliana che viviamo, e ancor meno di proiettarla in un futuro di speranza.- Il passato, ancora così vivo, da

memorizzare con riconoscenza …- Il presente, sempre così dinamico

che esige coraggio ed umiltà …- Il futuro, ancora così nebuloso che

esige chiarezza e fiducia … Stiamo assistendo ad un ‘terremoto’

che non lascerà niente come prima nel-la società civile, e in parte anche nella Chiesa. Nel breve spazio di una notte sembrano cambiare riti, regole, tradi-zioni e valori che sembravano perenni. Dalla notte che stiamo vivendo, tutti aspettiamo una nuova alba.

Viviamo una “evoluzione epocale”: Vita Consacrata, Formazione, Ministe-ro, Carisma di Camillo, gestione delle Opere Socio Sanitarie, ecc …

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Scegliere non è qualunquismo, non è ‘dictat’, non è buonismo. È ‘un mix’ di valori umani e religiosi che si rispet-tano e si colorano, si evolvono e si fon-dono! Il ricordo può essere nostalgia. La memoria è l’anima della vita! “La perdita della memoria morale è lo sfal-damento dei valori”. (Boneufer).

Interessanti e talvolta anche ‘con-flittuali’ sono le riflessioni nei nostri incontri, nelle nostre tavole rotonde e nei nostri mass media. Li leggo sempre con curiosità, con interesse e talvolta con qualche reazione.

Mi inquietano i ‘Profeti di sventura’ che proclamano solo critiche e condan-ne sul passato. Un passato prossimo nel quale sono cresciuti anche loro e del quale hanno potuto cogliere e godere molti frutti, sia a livello spirituale che umano, culturale ed economico.

Se la libertà di valutazione è dono e responsabilità di ciascuno, è da questo piccolo angolo, di cui ciascuno ha dirit-to ed è geloso, che possiamo guardare il passato con orgoglio e riconoscenza.

Non è bello che un secolo di storia camilliana sia furtivamente ‘secretato’ in archivio, né tantomeno gettato nel ‘cestino dei rifiuti’, con affermazioni frettolose, emotive, superficiali, misti-ficanti, certamente parziali e riduttive!

Il nostro Istituto ha seguito ‘le mille strade’ della carità e si è sempre impe-gnato con dedizione, fatta talvolta di eroismo, con lo stesso autentico rife-rimento a Camillo e al suo Carisma, anche quando, guardando lontano e con il sostegno della Chiesa si è impe-gnato a far crescere e a gestire le «cosid-dette Opere Nostre».

È certamente evangelico ‘essere attenti ai segni dei tempi’.

Siamo tutti consapevoli che ogni esperienza umana e religiosa si evol-ve, cambia e scopre nuove modalità di incarnare e trasmettere il suo messaggio. Per noi, anche nei momenti di incer-tezza, c’è e c’è sempre stata una bussola infallibile. Ce la indica l’evangelista Luca al cap. 10 con il Samaritano.

Sappiamo bene che il ‘Vero, Unico e Buon Samaritano’, sceso sulle strade dei nostri fallimenti per salvarci, è Gesù. Noi inoltre abbiamo avuto il dono di un altro ‘piccolo, buon samaritano’ che con il suo ‘Messaggio di misericordia per chi soffre’ ci ha guidato e ci guida anche oggi su quella strada da Gerusalemme a Gerico, dove mezza umanità è a terra nella violenza, nel dolore e nel sangue: è il Nostro Santo Padre Camillo, pro-clamato dalla Chiesa ‘Fondatore di una nuova scuola di carità per chi soffre’.

Nelle nostre realtà socio-sanitarie, che ora vivono una ‘stagione nuova’ e che vogliamo guardare con stima, rispetto ed amore, molti Confratelli (padri e fratelli) hanno affinato l’arte professionale di curare il corpo nella visione globale del malato; molti reli-giosi (padri e fratelli) hanno fatto dono, con un’obbedienza talvolta più difficile ed impegnativa di quella di certi ‘pro-feti delle nuove carità’, della loro vita totale (mani, mente, cuore ed anima) sulle orme di Camillo per lodare Dio servendolo nei malati!

La splendida e sorprendente realtà della Provincia Lombardo/Veneta, per parlare di casa nostra, è fiorita nella storia del secolo trascorso, perché nel-le Opere Nostre si è sempre coltivato e vissuto il servizio al malato in forme diverse, coinvolgenti e sempre autenti-camente evangeliche.

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Camillo poteva spingerci a percor-rere altre strade; invece, allora, la storia è stata questa: - la fioritura delle nostre Missioni con

Confratelli preparati spiritualmente e professionalmente ...

- la meravigliosa evoluzione dei nostri Seminari, sia in Italia che in Missio-ne, come un ‘segno dei tempi’...

- la presenza con le Opere Nostre nel mondo socio-sanitario come coscienza critica e proposta cristia-na...

- l’essere accanto a chi soffre con competenza ed amore … Chi non sa da dove vengono le sue

radici, non avrà molte possibilità di guardare con speranza al futuro.

Ricordo come negli anni lontani e goliardici degli studi, ogni compagno di classe aveva un ‘mito’, un ‘modello’ da seguire negli eroi della cultura/mitolo-gia greca. Chi tifava per il buon Ettore, chi per il pelide Achille, chi per Aga-

mennone o per Ulisse, ecc. Mi sorpren-de un po’ anche oggi, ma io già allora tifavo per Enea, valoroso e coerente combattente contro gli invasori greci.

Lo rivedo ora, davanti a Troia in fiamme, con il volto dello sconfitto ma illuminato da una speranza nuova.

Si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise e si mette in cammino per fondare un’altra città. Approderà in terra italica e là fonderà la città eterna.

Sterili nostalgie giovanili? Può essere, ma so anche che il Signo-

re scruta il cuore, vede le nostre speran-ze, le nostre paure ed i nostri sogni. Lui è sempre al fianco di chi, anche dopo una apparente sconfitta, è aperto e si incam-mina verso nuovi orizzonti!

I tempi sono cambiati? Le nuove esigenze, specie nel mondo sanitario si sono evolute? Bene!

Sarà proprio dell’uomo saggio aggiornare i suoi programmi e i suoi pro-getti, con umiltà, coraggio e saggezza!

Pastorale

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Mi sembra ‘cosa buona e giusta’ esprimere ammirazione, stima ed amore per tutti i Confratelli che, nelle ‘cosid-dette O.N.’, hanno fatto il loro luogo di servizio al malato, il tempio della loro santità, la loro ‘strada da Gerusalemme a Gerico’, in compagnia di Camillo!

Cinquant’anni nel mondo della salute sono un dono e possono sembra-re tanti.

Talvolta mi sembra di essere in mare, al largo, sulla barca di Ernest Hemingway, con sogni e paure, con vit-torie e sconfitte… ; talvolta mi sembra di camminare sui tanti sentieri di Geri-co, con il ‘Buon Samaritano’.

È proprio Gesù! Solo Lui ci ha invi-tati a prendere il largo con la sua bar-ca… solo Lui è sceso sulle nostre strade, si è fermato, si è fatto carico dei nostri fallimenti, ha pagato per noi e ci ha portati alla ‘locanda della salvezza!’.

Quante volte ci siamo sorpresi a riflettere sul Samaritano di Luca, questo ‘Personaggio Misterioso’ che abbiamo incrociato sul nostro cammino!

È l’emblema del dono totale, della carità senza barriere e senza limiti.

È l’incontro della tenerezza di Dio con l’uomo.

È la presentazione di un Dio che non ha paura di compromettersi per l’uomo.

Non ha avuto paura di ‘sporcarsi le mani’ nel soccorrere quel malcapitato, agonizzante sulla strada …

Non ha avuto paura di portarlo in quella ‘Bettola’ e ordinare ‘prenditi cura di lui’ …

Non ha avuto paura di mettere mano al portafogli per pagare di perso-na…

Non ha avuto paura di dire, passerò a controllare se tutto è fatto bene …

Ma attenzione. Quell’anonimo ‘samaritano’ che allora ha usato i pochi mezzi che aveva a disposizione (cavallo - locanda - vino ed olio ecc.), se ripas-sasse oggi per la stessa strada da Geru-salemme a Gerico, avrebbe nuove e sor-prendenti risorse da usare. Si sarebbe trovato in un contesto sociale che ha le stesse violenze ed ingiustizie ma che ha fatto tanti progressi sia sul piano sani-tario, scientifico, sociale, ecclesiale ed economico.

Cosa avrebbe fatto? Siamo sicuri che

- si sarebbe sporcato le mani per chiamare un’attrezzatura adeguata: ambulanza, l’elisoccorso ecc. …

- si sarebbe sporcato le mani per por-tarlo in un Centri specializzato…

- si sarebbe sporcato le mani per con-trollare che fossero rispettati i suoi diritti …

Talvolta, specchiarsi troppo… può significare … illudersi!

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- si sarebbe sporcato le mani per anda-re dal Sindaco perché si interessasse della sicurezza di quella strada …

- si sarebbe sporcato le mani per andare alla Polizia per assicurarsi che fossero arrestati i briganti …

- si sarebbe sporcato le mani per andare dal Rappresentante Reli-gioso del luogo e sentire se fosse a conoscenza dei fatti dolorosi, quasi quotidiani, che accadevano e come pensava di affrontarli …Una cosa è certa: avrebbe fatto di

tutto con competenza ed amore (mente, mani e cuore) per curare e difendere i diritti di quel malcapitato!

Se siamo sicuri che quel disgraziato è il malato di sempre; se immaginiamo che il mondo in cui si è mosso ‘il sama-ritano’ è il nostro ‘mondo della salu-te’… quante moderne, attuali e preziose provocazioni!

Notiamo bene che quel personag-gio misterioso (in tutto prefigurazione di Gesù e del suo Servo Camillo)- ha giocato la parte dell’Operatore

Sanitario che si china e cura … - ha giocato la parte dell’Ammini-

stratore fedele che regola i conti e paga …

- ha giocato la parte del Direttore Sanitario che mette in atto le tera-pie più adeguate …

- ha giocato la parte del Responsabile della adeguatezza del servizio ed è tornato a controllare … Quante lezioni da uno sconosciuto

per ogni Operatore nella Sanità/Assi-stenza di oggi!

Ne vorrei sottolineare in rosso una in particolare: entra nel cuore del Van-gelo e Gesù ce lo indica come modello: ‘Và e anche tu fa lo stesso!’

È sempre il ‘modello’ propostoci da Gesù, sia quando si ferma, ascolta e medica, come quando dirige, ordina, paga, controlla, insegna come essere accanto con competenza ed amore a quel disgraziato.

Mi piace pensare ed immaginare così anche quel “piccolo e grande buon samaritano” che è stato per noi e vuol essere ancora oggi San Camillo. Il suo fuoco di carità totale (talvolta incom-prensibile anche ai Confratelli), le sue ‘cento braccia’ per soccorrere i mala-ti, lui le ha realizzate con le possibilità e modalità del suo tempo. Camillo ci assicura che sono preziosi ed autenti-camente cristiani tutti i modi di pren-dersi cura del malato, purché siano fatti con quella dedizione e quell’amore che “suole una madre verso l’unico figlio infermo!”.

Ecco il miracolo della carità: per Camillo l’Ospedale era ‘il giardino olezzante’, per Camillo l’Ospedale era il tempio dove cantare le lodi del Signore servendoLo nelle sue membra sofferen-ti!

In più di quattro secoli di storia, schiere di suoi Figli hanno seguito il suo Carisma sui sentieri della carità e, in cento modi diversi, hanno incontra-to, servito ed amato il Cristo malato.

È notte. Avvolto nell’ombra, mi trattengo a lungo per scrutare il cielo che brilla in queste nostre notti ancora fredde e talvolta insonni. Credo proprio che il ‘mondo camilliano’ sia ‹un Cie-lo stellato›. La Stella polare è sempre lui, il Nostro Santo Padre Camillo! Ma … scrutando ancora più attentamente nell’universo camilliano, ecco, Camil-lo è circondato da Figli e Figlie che in

Pastorale

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modi diversi, anche in campo economi-co, gestionale, formativo, ministeriale e attento anche ‘ai più poveri’, hanno vissuto il suo Carisma. Sono i Beati, P. Enrico, P. Luigi, Sr. Maria Domeni-ca, Sr. Giuseppina; sono tanti nostri ‘Religiosi Venerabili’, ed ancora una schiera numerosa di Confratelli, dei quali abbiamo nella mente il nome e nel cuore una nostalgia fraterna. Era-no disposti armoniosamente ‘in coro’, senza priorità di posti indicata da criteri umani ma scelta da Dio che conosce e scruta i cuori.

Se tendiamo l’orecchio in questo arcano ed abitato silenzio, sentiamo le loro voci che ci rassicurano: ‘il Carisma è dono gratuito di Dio; la meta è sempre la montagna della carità; la strada è il

servizio globale fatto con amore! Sono questi i sentieri che ci conducano alla Vetta’.

Improvvisamente un armonioso brusio e un rosso raggio di luce.

Sembrava un lieve soffio di vento e un coro lontano.

Era il sorriso e la benedizione di Camillo e dei suoi Figli per noi che ancora camminiamo nel tempo.

Continuino a guidarci anche oggi per i nuovi sentieri che si aprono all’o-rizzonte.

Le nostre strade, fiorite del Carisma di San Camillo, anche se talvolta incer-te e tortuose, ci porteranno nel Regno.

P. Carlo Vanzo

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AIPAS

“COME DISCEPOLE NELLE PERIFERIE ESISTENZIALI”

Il XVII Convegno naziona-le per assistenti religiose, promosso

dall’AIPAS, dal titolo “Come discepole del Signore nelle periferie esistenziali”, si è aperto a Verona, tra il 25 e il 27 feb-braio 2015 con la lettura di una lunga lettera, scritta e letta personalmente dal Presidente, Dott. Gianni Cervellera.

L’incipit: “Cara sorella…” ha subito creato un clima di famiglia, come tra fratelli e sorelle; ma la riflessione del nostro Presidente Gianni ci ha con-dotto, nell’anno della vita consacrata, a rivisitare l’Antico e il Nuovo testa-mento, la spiritualità di tanti santi e sante fondatrici, attingendo a piene mani l’acqua viva e il vino nuovo che rallegra il cuore, per tornare con rin-novata passione a prenderci cura delle persone sofferenti che avviciniamo o che ci avvicinano.

Gianni ci ha esortato: “…risveglia la tua passione, la tua gioia, riscopri ciò che di più vero c’è nel cuore, riempi la tua mente di buone idee. Io ho bisogno di vedere e di credere che la tua esistenza è essenziale per la mia. Dalla tua passione riscoperta, tutto può rinascere”.

Queste parole hanno risuonato nel nostro cuore come un balsamo, sono state una carezza sui nostri volti, non più giovani e a volte stanchi. Ci hanno rinvigorito per accogliere, con entu-siasmo, il contributo di una riflessione antropologica offerto da Sr. Fernan-da Barbiero, suora maestra di Santa Dorotea. Il titolo della sua conferenza: “Homo patiens. Come vivere il dolore”.

Con grande umiltà perché, come dice Giobbe, di fronte al dolore l’unico atteggiamento giusto è quello di “metter-ci la mano sulla bocca e tacere”, ma anche

Pastorale

L’incontro con Gesù nella preghiera sarà l’anima della vita consacrata e del servizio ai fratelli.

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con grande entusiasmo, ci ha afferrato per mano e ci ha fatto vedere come dalla sofferenza si può imparare a:- apprezzare la vita, cioè “riconoscere

che ha un prezzo ed è degna di essere vissuta in qualunque situazione. Que-sto richiede anche di difendere e lottare per la vita”;

- diventare sensibili alla sofferenza dell’altro. In altre parole si tratta di guardare “oltre” la propria sofferen-za;

- “solo l’amore consente di andare aldi-là del mistero del dolore e di coglierne la forza redentrice. Dio non vuole il male. Il dolore non viene dalla mano di Dio”.Sono solo alcuni aspetti dell’ampia

relazione tenuta da Sr. Fernanda. Le partecipanti hanno espresso la volon-tà di riprendere ancora il testo dell’in-tervento, sicure che troveranno nuove sollecitazioni per la loro vita interiore e per il servizio pastorale loro affidato.

Ultimo contributo di riflessione ci è venuto da don Tullio Proserpio, cap-pellano dell’Istituto Tumori di Milano. Il relatore ci ha illustrato le sue cono-scenze nel campo dell’assistenza spiri-

tuale attraverso la presentazione di alcu-ni lavori di ricerca, attraverso il metodo statistico, in contesti non italiani. Nella nostra realtà italiana, sembra che i biso-gni spirituali non siano troppo presi in considerazione dal nostro sistema sani-tario nazionale, né si parla di assistenza religiosa nella legge nazionale di rifor-ma sanitaria; per questo diventa impor-tante, per non dire urgente, far in modo che la figura del cappellano non venga marginalizzata rispetto alle altre figure professionali. Ciò è possibile, secondo don Tullio, nella misura in cui il cap-pellano e ogni assistente religioso, curi la sua formazione per essere in grado di porsi in modo adeguato accanto e di fronte ai suoi interlocutori: medici, pazienti, familiari.

Il Convegno è stato molto apprezza-to anche come occasione di fraternità e di scambio reciproco tra consorelle di diverse famiglie religiose e laici. Come si sa, lo scambio di esperienze è sem-pre una ricchezza e come ogni ricchezza interiore, fa bene al cuore.

Suor Anna Tagliapietra Segretaria Nazionale Aipas

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QUANDO IL SILENZIO...“siediti ai bordi del silenzio, Dio ti parlerà” (Vahira, poeta indiano)

Il tema del silenzio è un tema affasci-nante. È ciò di cui abbiamo bisogno per riflettere, pregare, lavorare, riposare, stu-diare. Ci sono però silenzi e silenzi. Ce ne sono di quelli che nutrono e di quelli che uccidono. Silenzi significativi e silenzi imbarazzanti. Silenzi che rimproverano e silenzi che approvano. Silenzi di perdono e silenzi carichi di indifferenza. Silenzi rispettati e silenzi infranti.

“Affascinato da Dio... l’uomo che vive nella fede sente urgere dentro di sé un’im-prescindibile esigenza di silenzio”. (Canopi)

“Il silenzio non è un vuoto, ma un linguaggio che si nutre volentieri della soli-tudine”.

“Il silenzio prepara la strada verso la felicità che scaturisce dalle cose che avven-gono nel cuore e nell’anima”.

Queste citazioni della Canopi e di T. Peeters, impregnate di “silenzio”, e firmate ”in silenzio”, dicono delle lettu-re che – a sessant’anni passati, quando

la vita è delicatamente colorata dai rag-gi del sole al tramonto – mi accompa-gnano verso un “oltre”.

Dire del silenzio, parlare del silen-zio, è già rompere il silenzio, profanarlo. “ Dimmi una parola, tu che sei saggio”, viene chiesto ad un monaco eremita. “Se parlo”, rispose questi, “rompo il silenzio, che è il mio linguaggio; e se mi chiedi di rompere il silenzio vuol dire che non puoi capire il mio messaggio”.

Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione è stato il Messaggio del Papa per la 46.ma Giornata mon-diale delle comunicazioni sociali. Sono “due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e inte-grarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le perso-ne”. (dal Messaggio).

È, quello di Papa Benedetto, un mes-saggio breve, di tre pagine. Pochi minuti per leggerlo, molti di più per approfon-dirlo. Anni di autodisciplina per entrar-vi in sintonia. Dico subito, senza girarci intorno, che a me sembra un documento con forti riferimenti camilliani. Alcuni esempi: “il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona”; “tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stes-sa… e noi di non rimanere legati alle nostre parole e alle nostre idee”. Uno dei segni più interessanti del Messaggio– dice Claudio Celli – è che si è trattato come di un campanello di allarme che è suonato: non per rompere il silenzio, bensì per richiamarlo in vita. “Il silenzio è parte integrante della comunicazio-

Formazione

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ne e senza di esso non esistono parole dense di contenuto” (dal Messaggio). L’incontro della relazione e della comu-nicazione come incontro con l’altro è un assunto antropologico ben noto. È anche noto come da alcuni decenni è in atto l’epoca di internet, del cellulare sempre acceso, della connessione per-manente. L’informazione è in tempo reale. Tutto bello? Non è che sotto sotto questo fumus fuorviante di tecnologia – drogadicta – tutto è più rumoroso, con-fuso e la nostra vita, quella di ciascuno di noi più agitata, accelerata, stressata con il rischio di divenire banale, superfi-ciale giungendo ad un isolamento perso-nale e collettivo? Tutto questo ci rende più comunicativi? Sì, certo noi religiosi stiamo insieme sotto lo stesso tetto, a volte prendiamo i pasti in comune forse pure sine laetitia. Talvolta siamo assidui anche all’orazione. Non è che il tipo di “silenzio” che regna nelle nostre comu-nità sa di solitudine, di isolamento più che di religioso raccoglimento? Ognun

per sé…io , il computer e te. Te (confra-tello) non (mi) rispondi... o non ci sei … resta il computer.

Questo aggeggio però risponde solo se lo interrogo. Resto solo ‘io’. A fare che? Quasi quasi … Alleluya! Certo tra tanti rumori c’è bisogno di silenzio. Ma certi tipi di silenzio portano alla solitu-dine più ampia. Non si tratta di applau-dire il silenzio tout-court, fine a se stes-so. Quanto di “disciplinarsi al silenzio” (Paolo VI), amarlo, custodirlo, difen-derlo perché possa ascoltarmi, ascoltare e aprirmi alla poesia, alla musica, alla meditazione, all’altro. Ma se l’ altro è il computer?

Silenzio e Parola devono equili-brarsi, scrive il Papa. Ogni cosa ha il suo tempo: “c’è un tempo per parlare e un tempo per tacere “ (Qoelet). C’è un silenzio che è partecipazione e un silenzio che è disinteresse. Un silenzio di accusa e un silenzio di perdono. Un silenzio di espiazione e un silenzio di rendimento di grazie.

Quando il silenzio è d’oro. Quando il silenzio è complicità.Quando il silenzio è prudenza. Quando il silenzio è carità.Quando il silenzio è ascolto. Quando il silenzio è indifferenza.Quando il silenzio è rimprovero. Quando il silenzio è fortezza.Quando il silenzio è inquieto. Quando il silenzio è imbarazzante.Quando il silenzio è richiesto. Quando il silenzio è rispetto.Quando il silenzio è memoria. Quando il silenzio è preghiera.Quando il silenzio è pieno. Quando il silenzio è vuoto.Quando il silenzio è omertà. Quando il silenzio è voce.Quando il silenzio è gesto. Quando il silenzio è necessario.Quando il silenzio è musica. Quando il silenzio è complicità.Quando il silenzio è paura. Quando il silenzio è silenzio.Quando il silenzio è separazione. Quando il silenzio è comunione.Quando il silenzio è accoglienza. Quando il silenzio nutre.Quando il silenzio …

La parola è una chiave, ma il silenzio è un grimaldello.Il silenzio è la parte migliore del discorso.

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Il silenzio è una delle grandi arti della comunicazioneIl silenzio è grande, tutto il resto è debolezza.

(Alfred de Vigny)

La parola è un’ala del silenzio. (Neruda)

Alta Silentia Dei. (B. Forte)

Il Grande Silenzio. (film)

Il silenzio delle vette.Il silenzio del deserto.Il silenzio dei monaci.Il silenzio di chi soffre… in silenzio.Nostalgia di silenzio.

“Una parola ha detto il Padre, che è suo Figlio, e questa dice sempre in eterno silenzio, e in silenzio deve essere ascoltata dall’anima”.(S. Giovanni delle Croce)

“Quando il silenzio parla”... è un’altra cosa. Tutto cambia. Questo tipo di silen-zio però si ascolta… stando in silenzio.

P. Giovanni Acquaro

Formazione

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IL CENTRO CAMILLIANO DI FORMAZIONE E LA CHIESA DI VERONA

Ancora dal suo inizio, il Centro Camilliano di Formazione ha posto tra i suoi obiettivi la collaborazione con le Chiese locali. Nel corso dei 30 anni di vita di questa istituzione, tale obietti-vo ha trovato una felice realizzazione soprattutto nell’ambito della diocesi di Verona. Per la Commissione della Pasto-rale della Salute, il Centro Camilliano è sempre stato e continua ad essere un punto di riferimento per i programmi formativi. L’ultima importante iniziati-va, elaborata insieme, è la costituzione della Associazione “Perché lasciarti anda-re” per l’elaborazione del lutto, che ha già organizzato due Convegni e dato vita a numerosi gruppi di Auto mutuo aiuto aperti alle persone che hanno per-so una persona cara.

Da qualche anno si sono rivolte al nostro Centro anche altre realtà dio-cesane: la Caritas, l’Unitalsi, il Centro Aiuto alla Vita, Istituti religiosi… Ciò che viene particolarmente richiesto è l’appropriazione di una competenza comunicativo-relazionale, inserita in una visione cristiana della persona in difficoltà.

Attualmente, nell’ambito di Caritas Diocesana, la formazione per i volontari del Centro di Ascolto (CdA) si svolge su tre livelli e ha l’obiettivo di favorire il passaggio da un intervento assisten-ziale ad una promozione della persona nella sua globalità. Il primo livello, rivolto a tutti i volontari dei Centri di Ascolto (a gruppi di circa 40 persone) ha come obiettivo l’iniziazione al dia-logo e alla relazione d’aiuto, con parti-colare attenzione alle competenze quali

l’ascolto attivo e l’empatia. Nel secon-do livello di approfondimento, offerto a chi lo desidera, vengono affronta-ti i temi riguardanti il passaggio dalla richiesta esplicita al bisogno “effettivo”, il lavoro di rete/equipe e la fase della progettazione/verifica dell’intervento realizzato. Per i CdA che lo richiedono si sta realizzando anche un terzo livel-lo formativo attivando, in loco, alcuni incontri di supervisione sui casi o sui vissuti emotivi dei volontari.

La collaborazione con Caritas si è estesa anche alla conduzione di alcuni incontri (focus group) per i rappresenta-ti delle associazioni che partecipano al tavolo di lavoro “Rete Talenti”, che in aprile c.a. attiveranno a Verona l’espe-rienza dell’“Emporio della Solidarietà”; in tale ottica si sta ipotizzando anche la realizzazione di un progetto forma-tivo per tutti i volontari che accompa-gneranno le famiglie coinvolte in tale esperienza, per fornire loro competen-

Verona San Giuliano. P. Angelo Brusco e gruppo studenti al termine di un corso presso il Centro Camilliano di Formazione.

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ze sull’accoglienza, ascolto, empatia, gestione dei conflitti.

Con Unitalsi la collaborazione è nata molti anni orsono: quest’anno ha avuto luogo l’ultimo appuntamento di un progetto formativo quinquennale che ha previsto incontri annuali per i volontari impegnati nel servizio al malato. Le tematiche dell’ultimo ciclo sono state: il lutto, la morte e il morire, il dotare di senso la sofferenza e l’ottica di speranza del servizio.

La partecipazione è sempre stata numerosa e vivace tanto da creare nuo-ve richieste formative.

In preparazione al pellegrinaggio a Lourdes, che Unitalsi organizza ogni anno con partenza il Lunedì dell’An-gelo, sono stati organizzati due incontri formativi con i responsabili dei vari ser-vizi per approfondire i temi della gratui-tà, della collaborazione, e i requisiti per una leadership efficace con l’obiettivo di rendere più fluido e partecipativo per tutti l’esperienza del pellegrinaggio.

Il Centro Diocesano Aiuto Vita è stato per molto tempo un ente con cui abbiamo collaborato per la formazione dei volontari; ultimamente è arrivata una nuova richiesta di progetto formati-vo per i volontari che si occupano della prima accoglienza. L’obiettivo è rivede-re le dinamiche della relazione di aiuto e dell’ascolto.

Tre Istituti religiosi femminili e uno maschile hanno richiesto la collabora-zione del Centro per la preparazione del personale addetto all’assistenza delle religiose e degli anziani. Questo impe-gno, che non è ancora terminato, ci ha richiesto di percorrere numerose Case religiose dell’Italia del Nord.

Consolidata è anche la collabora-

zione dell’Ospedale del Sacro Cuore di Negrar per la formazione del personale sanitario e dell’Associazione Perez dei volontari che svolgono servizio all’in-terno dell’ospedale. Questi ultimi sono seguiti nella formazione con incontri mensili su tematiche sia relazionali che spirituali.

Fuori del territorio veronese, altre due diocesi – quelle di Brescia e di Man-tova – hanno beneficiato in maniera significativa del contributo del Centro Camilliano.

Sono in cantiere anche progetti di collaborazione con lo Studio Teologi-co “San Zeno” di Verona e la Facoltà Teologica del Triveneto, con i quali ci sono contatti soprattutto attraverso la docenza del nostro Direttore.

Dalle verifiche attuate al termine di ogni percorso formativo è risultato finora un apprezzamento non solo per i contenuti proposti ma anche, e in par-ticolare, per la metodologia utilizzata. Il lavoro in piccoli gruppi, la riflessio-ne personale e il confronto in plenaria sono stati ritenuti strumenti fondamen-tali per trasmettere competenze “incar-nate” nel qui e ora del proprio quotidia-no personale e professionale.

Se il Centro Camilliano di Forma-zione ha esteso i suoi programmi per raggiungere un numero crescente di persone interessate alla propria crescita umana e spirituale con la progettazio-ne di programmi non specificamente pastorali, la sua attenzione alla comu-nità ecclesiale non è mai venuta meno, facendo parte integrante della sua mis-sion.

Dott. Malaika RibolatiVice Direttore del Centro

Formazione

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MINISTERO DELLA CONSOLAZIONE E STORIA DELLA CARITÀ, CUORE DELLA CHIESA

Un interessante Convegno si è tenuto il giorno 9 febbraio presso il Salone affollato della Biblos, pro-mosso dall’Ufficio Pastorale Dioce-sano per la Pastorale della Salute e in collaborazione con l’Associazione “Sinergie Culturali“ di Lamezia Terme e l’A.C.M.O.(Associazione Calabre-se Malati Oncologici), in preparazio-ne alla XXIII Giornata Mondiale del Malato. Presente Sua Eccellenza Mons. Luigi Cantafora, Vescovo della Dioce-si di Lamezia Terme, che ha auspicato nel suo pensiero inaugurale, una Chiesa sempre più sensibile e premurosa ver-so i tanti malati fisici, psichici e spiri-tuali presenti quasi in ogni famiglia, con prevalenza soprattutto di anziani, spesso lasciati soli o abbandonati, per motivi di lavoro o per carenza di mezzi indispensabili a una vita dignitosa di uomini e di figli di Dio. Presenti inoltre diversi Parroci, Mons. Natale Colafa-ti, il Dottor Ettore Greco, Presidente dei Medici Cattolici, la Presidente del Gruppo AVO di Lamezia, la Signora Maria Palmieri Lupia, Soci dell’UNI-TALSI e tanti altri.

Ha introdotto e moderato il Con-vegno il Segretario di “Sinergie Cultu-rali”, il Dottor Vincenzo Morello, affer-mando che prima ancora della Chiesa, tocca alle Autorità civili e politiche garantire una assistenza sociale e sani-taria degna di ogni uomo, soprattutto quando questi è anziano, spesso solo e in condizioni economiche al limite dell’indigenza. Un prezioso contributo l’ha offerto su questo fronte il Dotto-re Bonaventura Lazzaro, Responsabile

Dipartimento Oncologia e Ematologia presso l’Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, commentando e descrivendo il silenzioso e valido contributo offerto dall’Associazione di Volontariato A.C.M. O. nei riguardi dei malati oncologici: si tratta di semplici cittadini che spinti dalla compassione e dal desiderio di aiutare chi soffre, in maniera spesso tragica e drammatica, sanno trasformarsi in cittadini generosi ed esemplari nel donare in maniera del tutto gratuita tempo, energie e dedi-zione a favore dei malati angosciati e depressi per una malattia che spesso non perdona, compiendo nel silenzio più estremo piccoli miracoli di genero-sità e di bontà, quasi a compensare o rimediare in parte ai crescenti egoismo, solitudine e violenza che sembrano invadere la nostra attuale società.

Dal Mondo Camilliano

Convegno a Lamezia - 9 febbraio 2015.Tavolo della Presidenza con autorità e relatori: il Vescovo di Lamezia, Mons. Luigi Cantafora, P. Rosario Messina ecc. e il Dr. Vincenzo Morello, segretario di ‘Sinergie Culturali’, che introduce il Convegno.

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Ma entrando nel vivo di un Con-vegno Ecclesiale, ha preso la parola il Camilliano Padre Rosario Messina, Direttore dell’Ufficio della Pastorale dei malati, per sottolineare, qualora ce ne fosse stato bisogno, il posto centrale della carità nel Vangelo e nella Chiesa, a partire dall’esempio di Gesù, che ha impiegato i suoi tre anni di vita pubbli-ca, oltre a dedicare tempo alla preghiera e al colloquio con il Padre, a predicare il Vangelo e curare ogni sorta di malattia e infermità. Lo stesso compito e missio-ne Gesù affidò alla Sua Chiesa: “quando entrerete in una città e vi accoglieran-no, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: è vicino a voi il regno di Dio”(Lc 10,11-9). Richiesto da un dottore della legge “cosa doveva fare per avere la vita eterna”, Gesù risponde con l’esempio del Buon Samaritano (Lc 10,25-37), il quale anche se ateo e scomunicato, si commosse di fronte ad un uomo sangui-nante e moribondo, prestandogli tali e tanti aiuti che, oggi forse, neppure un parente farebbe, come pagare di tasca propria e vegliarlo di notte. Invece il Sacerdote e il Levita, che vivevano nel Tempio e conoscevano la Bibbia, pas-sati prima di lui, non solo non l’hanno aiutato, ma sono passati oltre cambian-do marciapiede.

Con questa “terribile” parabola, che dovrebbe forse farci arrossire tutti di vergogna, Gesù con stile semplice e lineare ma tremendamente graffian-te, ci vuole dire che: il sacerdote e il levita della parabola rappresentano il fallimento della comunità cristiana e quindi di tutta la Chiesa, quando non riesce a capire che la preghiera, la Parola di Dio, il culto e l’Eucari-

stia, devono sfociare nella carità, nel servizio. Altrimenti, saremo al mas-simo una comunità di praticanti e di osservanti, ma senza compassione e senza cuore, mentre Gesù ci dice: “Va e anche tu fa lo stesso,” esattamente come fece il samaritano. Proprio per-ché oggi noi siamo chiamati a vivere l’esempio di questo ateo, ho pensato di invitare il Camilliano Padre Arnaldo Pangrazzi perché ci parlasse, da esperto, del Ministero della Consolazione, un ministero antico ed evangelico, tanto che anche Gesù ne ebbe bisogno pro-prio nel momento terribile dell’agonia nell’orto degli ulivi e, come ci attesta il Vangelo, dopo essere stato confortato dall’angelo, ebbe la forza e il coraggio di dire : “Padre, sia fatta la tua volon-tà”. Il Relatore ha così esordito: “Una società umana è quella in cui accanto a ogni uomo che soffre, c’è un uomo che ama. La presenza del dolore invoca la risposta dell’amore”. La consolazione pertanto torna ad essere una modalità antica, ma molto attuale, per alleviare le sofferenze di nuove emergenze che si aggiungono a quelle più conosciute e tradizionali, come gli anziani spesso soli e abbandonati, i malati di cancro, i dializzati, i malati mentali, i disabili.

Oggi ci troviamo di fronte a una società colpita da terribili e spesso improvvise tragedie: pensiamo alle coppie di genitori, spesso giovani, che perdono il figlio per droga, per suicidio, per incidente stradale; i traumi psicolo-gici dei figli, ancora bambini, straziati dalle liti o dalle separazioni dei genitori. Per queste e tantissime altre situazioni drammatiche e tristi, è doveroso che i cristiani si sveglino, intervengano con gesti concreti di vicinanza e di amore.

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Di fronte a questo sconfinato cal-vario di sofferenze fisiche e spirituali, è urgente trovare consolatori che, con discrezione e in punta di piedi, riescano ad alleviare atroci sofferenze e a porsi domande come queste: io che sono un uomo o una donna e per di più credente, riconoscibile solo dall’amore, volendo imitare il samaritano o l’angelo del Get-semani, come posso aiutare, cosa devo fare di fronte a simili tragedie familiari? Come posso comunicare con gesti signi-ficativi la mia vicinanza e condivisione? Come posso diventare in quei momenti tragici una presenza sanante e salutare? Ma anche, come posso imparare e rice-vere da questi eventi dolorosi, tristi e drammatici, preziose lezioni per la mia vita? Per queste e tante altre situazioni ed emergenze, il ministero della conso-lazione può diventare un piccolo segna-le capace di generare aiuto e sostegno a quanti faticano e soffrono per conti-nuare a vivere e lottare, sostenuti dalla speranza.

Alla proposta di Padre Arnaldo di istituire il ministero della Consolazione anche nella Diocesi di Lamezia, è seguita la presentazione di un libro, scritto da Padre Rosario Messina per le Edizioni Camilliane, reperibile presso la Libreria Biblos, dal titolo: “Storia della Carità Cuore della Chiesa”, e commentato bre-vemente da parte della coppia di coniu-gi Luca Torcasio e Alessandra, quasi a dimostrare nella concretezza, che quan-to era stato fin qui detto non costituiva novità, ma felice collegamento con una storia della Chiesa esperta di umanità e soprattutto di eroica carità, nei suoi due millenni di vita. Il libro infatti, unico nel suo genere, ripercorre la Storia della Chiesa con l’unico intento di racconta-re come la comunità cristiana, nelle sue varie componenti, ha vissuto il coman-damento ricevuto da Gesù di predicare il Vangelo e curare i malati. Leggendo infatti questo libro, si viene a scoprire una storia meravigliosa che tutti i cri-stiani dovrebbero conoscere, perché è la vera storia della nostra Madre Chiesa, la storia della carità, mentre noi tutti, com-presi sacerdoti vescovi e papi, abbiamo studiato , come si esprimeva il Cardina-le Karl Rahner, “le storie della Chiesa” come Concili, Scismi, Papi e antipapi, eresie. “Ma la vera storia della Chiesa, se mai si potrà scrivere – continua il Car-dinale – è la storia della carità, la storia dei Santi”. Il libro quindi è un piccolo tentativo di raccontare il vero volto della Chiesa, alla quale vengono così perdona-ti “eventuali peccati commessi”, alla luce di una carità eroica ed edificante.

È bello allora sapere che quanto sta facendo Papa Francesco , di realiz-zare sotto il colonnato del Bernini dei servizi di prima necessità per poveri

Il Carisma di San Camillo ti porta nel cuore della Chiesa. I sentieri di Gesù nel Vangelo portano tutti a chi soffre. P. Rosario Messina e volontari attorno al letto di una malata. Assomiglia tanto… ad ‘un calvario!’.

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barboni e stranieri , l’hanno già fatto mille volte prima di lui e più di lui i suoi predecessori che, vedi caso, come lui si consideravano anzitutto “Vesco-vi di Roma”. Potremmo pensare a San Gregorio Magno, il quale ripeteva: “Finchè a Roma un povero muore di freddo e di fame, il Papa non è degno di celebrare Messa”. Gli esempi sono innumerevoli. Pensiamo alla creazio-ne dei Diaconi che, dalle Didascalie degli Apostoli, vengono definiti: “L’oc-chio, l’orecchio, il braccio, il cuore del Vescovo per i malati poveri e stranie-ri”. Penso, ad esempio, alle abitazioni per i poveri costruite da Papa Simmaco presso le Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, o l’ospizio per i poveri , ricavato da Papa Pelagio II negli ambienti del-la propria abitazione, o Papa Adriano I che restaurò l’acquedotto Sabbatino per portare l’ acqua a Piazza San Pietro, “ove si potessero lavare i nostri fratelli poveri di Cristo”. E simili esempi sono interminabili. Pensiamo alle grandi Confraternite medievali che costrui-vano Ospedali belli come le Basiliche e accanto ad esse, per sottolineare che

come si accoglie nella fastosità e bellez-za Gesù Eucaristia nelle Basiliche, così bisogna costruire ospedali belli e acco-glienti come le Basiliche, perché Cristo è nascosto nei malati come nell’Eucari-stia. Pensiamo ancora a Papa Innocenzo III che all’inizio del suo pontificato fece costruire l’Ospedale di Santo Spirito accanto al Vaticano, per questo chia-mato l’Ospedale del Papa, di rara bellez-za ed arte, che si può ammirare ancora oggi. Anzi Papa Sisto V, avendo fatto realizzare nel suo palazzo la meraviglio-sa Cappella Sistina, altrettanto volle che si abbellisse la Sala Sistina capace di contenere trecento letti presso l’O-spedale di Santo Spirito, splendore e bellezza che si possono ammirare anco-ra oggi. Mi fermo qui per brevità; mi è stato sufficiente stuzzicare la curiosità e il buon appetito di cose buone da parte del lettore. L’argomento merita di esse-re conosciuto e approfondito: sarà una buona occasione per amare ancor di più la nostra Madre Chiesa, alla luce della storia, ricca di tanta umanità e carità.

P. Rosario Messina

L’attenta assemblea al Convegno di Lamezia sul tema: “Ministero della Consolazione e storia della Carità, Cuore della Chiesa”.

Dal Mondo Camilliano

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NAPOLI E LE SUE PERLE DI CARITÀUn libro di P. Antonio Puca sugli antichi Ospedali partenopei

Con una “lieta” presentazione dell’Arcivescovo di Napoli, S. E. il Cardinale Crescenzio Sepe, è stato pub-blicato un nuovo lavoro di p. Antonio Puca, camilliano, docente all’ Istituto di Teologia Pastorale Sanitaria Camil-lianum di Roma, per anni collaboratore dell’Ufficio diocesano di Pastorale del-la Salute dell’archidiocesi partenopea e cappellano presso gli ospedali “Policli-nico” e “Monaldi”.

Il nuovo libro di p. Puca, che s’in-titola Le tre perle della carità di Napoli, riporta uno studio approfondito e al tempo stesso agevole, su tre ospedali cittadini – la Real Santa Casa dell’An-nunziata, l’Ospedale S. Maria del popo-lo degli Incurabili e l’Ospedale dell’Ar-ciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti – che hanno gloriato la stessa storia della carità par-tenopea, che, come dimostrato dall’au-tore e ricordato dal Card. Sepe nella sua presentazione, ha origini antichissime, così come mostrato anche da indagi-ni archeologiche. Anche papa Bene-detto XVI in Deus caritas est al n. 23 - illustrando come sia in oriente che in occidente, sia accanto ai monasteri che nelle diocesi, andavano costituendosi le diaconie, quali realtà istituite per l’assi-stenza ai bisognosi e ai malati - cita la Diaconia di Napoli come già nota alla Chiesa antica, tanto che papa S. Gre-gorio Magno († 604) ne parla nelle sue Epistole come realtà ben consolidata e attiva.

In Le tre perle della carità di Napo-li, non potevano mancare due capitoli importanti che sono forse il cuore del

libro. Il primo (il cap. V) sui santi e beati a servizio dei malati che, in parti-colare presso l’Ospe-dale degli Incurabi-li, hanno lasciato a Napoli una vera ere-dità di carità: Gaeta-no Thiene, Camillo de Lellis, Giovanna A. Thouret, Cateri-na Volpicelli, Barto-lo Longo, Ludovico da Casoria (recente-mente canonizzato e festeggiato solenne-mente in diocesi), Giuseppe Moscati. Il secondo importante capitolo (il cap. VI), spicca per l’illu-strazione sulla presenza dei Religiosi Camilliani a Napoli durante le epide-mie coleriche e di peste, quando diversi tra questi consacrati persero la vita per il contagio per l’eroica assistenza agli infermi.

Il volume di p. Antonio Puca, dun-que, rimanda il lettore e in particolare il lettore legato alla città di Napoli, non solo a “un tuffo” in un glorioso passato, ma anche alla riflessione sull’oggi e, in particolare, sulla vocazione di ciascun attezzato a quella vita di carità che è pienezza e garanzia di autentica sequela di Cristo, misteriosamente presente nei sofferenti e, al tempo stesso, in quanti di oro si prendono cura.

P. Alfredo M. Tortorella

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LICENZA IN TEOLOGIA SPIRITUALE DI P. DANIO MOZZI

Danio Mozzi, religioso camillia-no della Provincia italiana, presso la Facoltà Teologica del Triveneto, ha discusso la tesi di Licenza in Teo-logia Spirituale dal titolo “Radici francescane nell’esperienza spiri-tuale di San Camillo de Lellis”.

Tra i suoi relatori anche P. Angelo Brusco, qui in foto ricor-do con i Confratelli. Felicitazioni ed Auguri a P. Danio perché porti sempre e si glori sia dell’Abito di San Camillo come del Saio di San Francesco.

RACCOLTA FONDI PER HAITIDal 15 al 21 febbraio 2015 a Madian Orizzonti, la Onlus dei religiosi camilliani di Torino, è stato assegnato un numero solidale (45592) per la raccolta fondi finaliz-

zata alla costruzione del Villaggio “Vilaj Lajwa”(Villaggio della Gioia) a Port au Prince, Haiti.

L’idea di costruzione del villag-gio è nata dalla constatazione che a

quasi 5 anni dal terremoto nell’isola di Haiti tantissime famiglie vivono ancora nelle tendopoli e altrettante famiglie vivono all’aperto, lungo i margini delle strade.

Lo stimolo di questo progetto nasce dal desiderio di ridare spe-ranza alle vittime del terremoto, e permettere a 10 famiglie di affron-tare la vita con un solido riparo. Il progetto si è proposto di creare un nucleo comunitario formato dalle 10 famiglie: all’interno del villaggio ogni famiglia beneficerà di una casa e di un lotto di terreno per coltivare frutta e verdura e potersi sostenere.

Con questo progetto, non solo si vuole migliorare la condizione economica ma offrire alle 10 fami-glie la possibilità di vivere insieme, rispettando i principi base di convi-venza fraterna e solidale. Un pun-to importante per le famiglie che abiteranno il villaggio è l’impegno di vivere con il proprio lavoro. Il progetto prevede anche momenti di formazione teorica che si alternano a momenti di formazione pratica e di monitoraggio periodico sull’an-damento del progetto.

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CENA SOLIDALE PER I POVERI

Lunedì 16 marzo, presso il risto-rante Vetreria di Torino, si è tenuta una cena solidale a favore dei pove-ri della città. Sono state invitate a cena un centinaio di persone che appartengono o frequentano le comunità e le associazioni che aiu-tano chi è in difficoltà.

Per una volta, i poveri hanno potuto gustare i piatti preparati dagli chef Stefano Fanti (Ristoran-te del Circolo dei Lettori) e Steven Lazzarin (Le Ramine) ed essere serviti dai loro vicini di tavolo che hanno, inoltre, offerto loro la cena.

Una cena diversa in cui, oltre all’impegno pecuniario è emerso l’impegno sociale, il servizio al fra-tello più sfortunato: per una sera poveri e ricchi si sono ritrovati fian-co a fianco, commensali di questa cena così particolare che ha porta-to un sorriso e un piacevole ricordo sui visi, segnati dalla vita, di questi nostri fratelli.

ASTA DI BENEFICENZA PER IL SAN CAMILLO DI VENEZIA/LIDO

Tremilaseicentoottanta euro andranno a concorrere all’acquisto

di una seconda barca a vela che amplierà il progetto «Vela per tut-ti» dell’istituto San Camillo degli Alberoni al Lido, in collaborazione con la Lega Navale Italiana, sezione di Venezia. Questo il risultato dell’a-sta benefica che ha messo in palio le magliette delle «Pantere» alias l’Imoco Volley Conegliano, team ai primi posti nella classifica della Lega Pallavolo Serie A femminile. Il contributo è stato consegnato al direttore generale del San Camillo il Dottor Francesco Pietrobon e allo staff dell’ospedale, in un contesto mozzafiato: il palasport Palaverde gremito di gente con tremila per-sone in tribuna nel pre partita del match poi trionfale e vittorioso per le venete. L’asta benefica, promossa

dalla A.P.S. Cuoredarena, è stata possibile grazie al generoso contri-buto di Nord-Est Insurance Broker di Treviso e della Banca della Mar-ca Credito Cooperativo. Testimo-nial d’eccezione Giovanni Galifi, coneglianese e promotore instanca-bile del progetto «Vela per tutti», come paziente del San Camillo. Le magliette in palio erano autografate dalle campionesse della pallavolo.

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GIORNATA DEL MALATO A MAUMERE, FLORES, INDONESIA

Per la prima volta nella storia del-la diocesi di Maumere, isola di Flores, Indonesia, la giornata mondiale del malato è stata celebrata, lo scorso 11 Febbraio 2015, nella cattedrale con una solenne liturgia Eucaristica presieduta dal vescovo, Mons. Kerubim Pareira, SVD.

La cerimonia, ben preparata dai seminaristi della comunità Camillia-na, ha visto la presenza di centinaia di malati e fedeli e di una decina di concelebranti che, assieme al Vescovo, hanno poi amministrato il sacramento dell’unzione degli infermi a centinaia di malati.

La presenza Camilliana, in Indo-nesia ormai da cinque anni, è sempre più apprezzata dalla Chiesa locale che vede nella spiritualità e nel carisma di San Camillo una ispirazione nuova nell’esercizio del ministero caritativo del Vangelo.

Una bella iniziativa in preparazione di questa giornata è stata la “Medical mission”, con distribuzione gratuita di medicinali giunti dall’Italia, proprio alcuni giorni prima, per mezzo di alcuni volontari.

A molti malati e anziani, più di tre-cento, non è parso vero avere attenzio-ne medica con tanto “cuore nelle mani” da parte di una quindicina di medici e infermiere, con la collaborazione dei nostri giovani seminaristi.

Nel vedere quell’afflusso di malati, sembrava proprio di assistere ad una “sagra della carità” di cui si sentiva tan-to orgoglioso San Camillo ogni volta che poteva avvicinare e curare i più

bisognosi e abbandonati nella società.La cerimonia, sebbene un po’ lun-

ga, durata circa tre ore, è stata solen-nemente animata dai canti dei nostri seminaristi e partecipata con fede e gioia da fedeli e soprattutto dai malati, che hanno saputo pure sorridere con un battimani al Vescovo quando ha detto loro che tutti avrebbero potuto ricevere l’unzione da lui.

Veramente i Camilliani si stanno facendo onore e ci auguriamo che pos-sano continuare così, e magari anche meglio, negli anni futuri per espande-re sempre più il carisma camilliano in tutte le 17 mila isole dell’arcipelago dell’Indonesia, nazione in grande mag-gioranza mussulmana, ma considerata ancora un paese “fertile e promettente” di vocazioni religiose e missionarie.

P. Luigi Galvani

Il coro dei Seminaristi Camilliani anima la liturgia per la Giornata del Malato a Maumere, Flore, Indonesia.

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AMORE E GRATITUDINE PER P. GINO CISTERNINO

Ricordare e pregare per le persone con le quali si è fatto un tratto di strada della nostra vita è, oltre che un gesto di riconoscente e vera amicizia, un doveroso gesto di amore e gratitudine per quanto da essi compiuto nei nostri confronti.

Per tale motivo, il 28 Febbraio 2015 nella Parrocchia San Camillo di Messina, con una solenne concelebra-zione eucaristica presieduta da Mons. Angelo Oteri, Vicario Episcopale per la Vita consacrata, è stato ricordato Padre Gino Cisternino, Missionario e Apo-stolo del Signore, nel 5° anniversario della sua nascita al cielo.

I numerosi presenti hanno espres-so profonda gratitudine al Signore per aver donato alla Chiesa questo suo fedele servitore e per il tempo che egli ha condiviso con la Parrocchia, che il 7 febbraio ha festeggiato il 50° anniversa-rio della sua erezione canonica e della quale fu il primo Parroco.

All’inizio della celebrazione il “Comitato Amici di Padre Gino Cister-nino” ha condiviso con l’assemblea la volontà di chiedere alle autorità com-

petenti la traslazione della salma del Padre dal Sepolcro dei Padri Crociferi del Gran Camposanto di Messina alla chiesa San Camillo. Inoltre, è stato espresso il desiderio di mantenere viva la sua memoria, di diffondere la cono-scenza della sua vita, del suo ministero sacerdotale e del suo impegno missio-nario come fondatore in Benin – Togo (Africa) della missione camilliana. Infine, tutti coloro che hanno avuto la gioia di conoscerlo sono stati invitati a raccogliere notizie e testimonianze sulla sua vita, in particolare sulle sue virtù, sul suo amore verso Dio e il prossimo. Si è, infine, stabilito di officiare una Celebrazione Eucaristica in suo ricordo e suffragio il 28 di ogni mese.

I partecipanti, in un’atmosfera solen-ne e commossa, hanno applaudito a lun-go nel momento in cui è stata annuncia-ta la raccolta delle firme per riportare la salma del Padre nella chiesa parrocchia-le dove, per quasi quaranta anni, egli ha svolto il suo ministero sacerdotale.

Mons. Angelo Oteri, all’inizio della sua omelia, ha ringraziato il Signore per l’opportunità concessagli di trovarsi in mezzo a tanti fratelli della Parrocchia San Camillo nel ricordo del 5° anniver-sario del transito di Padre Gino Cister-nino.

Nell’omelia, l’officiante ha com-mentato il Vangelo della Trasfigurazio-ne della seconda settimana di Quare-sima, che ben s’inserisce nel contesto

Messina, Parrocchia San Camillo. Mons. Angelo Oteri, Vicario Episcopale per la Vita Consacrata, presiede la Celebrazione Eucaristica nel 5° anniversario della morte di P. Gino Cisternino.

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delle celebrazioni in ricordo di Padre Gino, soffermandosi sulla foto del Padre posta accanto all’altare; da essa si irra-diano quella serenità, quella pace, quel-la fede e quell’intima comunione con il Signore di cui tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo sono stati testimoni.

Infine, ha ringraziato il Signore per averci dato Padre Gino già trasfigurato su questa terra per la sua bontà: missio-nario generoso nel Benin, formatore di giovani seminaristi, figlio di San Camil-lo ed espressione del carisma di servizio di donazione totale della vita verso i fratelli e gli infermi, dono prezioso del

Signore alla famiglia Camilliana, alla Chiesa messinese ed all’umanità intera.

Dopo la Celebrazione Eucaristi-ca le testimonianze di Laura Marino, Giovanni Sturniolo, Padre Vincenzo Di Blasi e P. Bruno Serge Hounkonnou hanno commosso tutti i presenti.

Nonostante gli anni trascorsi il ricordo di Padre Gino rimane vivo nel cuore e nella mente di tanti, segno di un sentimento profondo e frutto di un legame che va oltre il tempo nella comunione dei Santi.

Il Comitato Amici di Padre Gino Cisternino

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50 ANNI DELLA PARROCCHIA SAN CAMILLO

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VERBALE DEL CONSIGLIO DI PRESIDENZAProvincia Italia settentrionale

L’11 marzo 2015 si è incontrato, per la prima volta dalle elezioni dell’otto-bre 2014, il consiglio di presidenza della FCL della provincia Nord-Italia. All’in-contro la presidente ha invitato i mem-bri del precedente consiglio: Luciano Barasits e Marco Lechiancole. All’in-contro ha partecipato Luciano Lucetta, presidente della FCL di Piossasco (TO), insieme a Piera Tua e ad Alberto, sem-pre della FCL di Piossasco.

Siamo stati generosamente ospi-tati dai religiosi della casa di cura San Camillo, a Milano, che ringraziamo di cuore.

Dopo il primo momento di preghie-ra, con la recita dell’ora Terza, abbiamo guardato il nutrito ordine del giorno che la presidente, Marisa Sfondrini, aveva precedentemente inviato a ciascuno.

-dario per gli incontri del consiglio della FCL, tenendo conto della nostra realtà, delle distanze, ecc. Il prossimo incontro è stato fissato il prossimo 20 maggio, a Verona, ci incontreremo alle ore 10.00 a San Giuliano; la scelta di questa data ci è sembrata opportuna, perché nel pomeriggio dello stesso giorno è pre-visto da tempo l’incontro della FCL di Verona e Marzana, con la presenza di Marisa per conoscere e offrire una rifles-sione al gruppo.

sia iniziale che permanente dei membri della FCL. È una parte molto importan-te nella vita dei diversi gruppi di FCL, e ciascun gruppo è impegnato in diversi modi per questo. Lo scambio su questo

tema è ricco e prolungato; ci chiediamo se sarebbe possibile o opportuno sceglie-re di avere un “tema formativo comune” per i gruppi di FCL della provincia.

per l’anno 2015-2016, unico per la FCL provinciale: “Fede e carità. Come esse-re dono nella gratuità, nella relazione d’aiuto e nella reciprocità di accogliere e donare”. Si potrebbe prendere spunto dalla Parola di Dio, cercando di appro-fondire alcuni brani biblici, come: La guarigione dello storpio alla porta “bella” del tempio; l’incontro di Gesù con l’adulte-ra; e altri. Si potrebbero prendere diver-si spunti dall’enciclica di papa France-sco “Evangelii gaudium”.

“Manuale di formazione” che è stato tradotto in altre lingue oltre l’italiano. Questo “manuale” è conosciuto ed è stato utilizzato proprio come offerta per quanti si avvicinano al carisma e alla spiritualità camilliana, secondo lo stile laicale proprio della FCL.

È in preparazione un secondo “Manuale di formazione”; Rosabianca informa che la precedente commissione centrale aveva progettato un secondo “Manuale di formazione”, e aveva chie-sto a diverse persone di scrivere degli articoli, dopo aver preparato un indice tematico; il materiale è stato preparato in vista dell’assemblea generale della FCL del 2014; prima dell’assemblea il lavoro non è stato concluso, ed è sta-to consegnato alla nuova commissione centrale, che dovrà rivedere e stampare il tutto.

Famiglia Camilliana Laica - f.c.l.

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ciascun membro della FCL riceve dallo scambio, dalla condivisione tra persone delle diverse province, e caldeggia la proposta di incontri allargati.

Sempre sul tema formazione, Lucet-ta comunica in particolare l’esperienza del gruppo di Piossasco, nel quale la formazione è solida, le persone sanno di aver ricevuto e di ricevere molto, per vivere ed essere presenza quotidiana di servizio accanto ai malati. Lucetta sot-tolinea come la presenza del sacerdote sia fondamentale nel gruppo; da parte di altri presenti viene accolta l’impor-tanza del sacerdote assistente, insieme all’aspetto della collaborazione e della condivisione, secondo l’identità voca-zionale di ciascuno.

-dente c’erano alcuni altri temi, come: la proposta di fissare la prima assemblea generale della FCL dell’Italia setten-trionale, alla fine del 2015; la proposta era di un giorno di assemblea, unendo magari alcuni altri giorni di pellegrinag-gio a Roma. Su questi due punti è stato ritenuto prematuro progettare date e luogo.

-mo autunno, all’inizio dell’anno socia-le: si ipotizza un incontro in ottobre, dal venerdì pomeriggio al pranzo della domenica. Proprio per non appesantire il viaggio di chi arriva da lontano, pen-siamo di cercare una sede più centra-le rispetto a Mottinello, raggiungibile anche in treno. Si propone la casa San Fidenzio, casa di spiritualità della dio-cesi di Verona.

-mo: “educare alla vita – educare alla salute” . A chi chiedere di essere relato-re? Pensiamo a un religioso camilliano, che aiuti i laici della FCL nell’itinerario formativo. Concordiamo di interpellare fratel Josè Carlos Bermejo.

viene segnalata l’iniziativa di un incon-tro formativo di alcuni giorni, che si terrà nella prima settimana di agosto, a Forno di Coazze (TO).

conoscenza dell’associazione, e ci chie-diamo come possa, ciascuno di noi, far

Milano San Camillo, 11 marzo 2015. Consiglio di Presidenza della F.C.L. del Nord-Italia.

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conoscere nel nostro ambiente la spi-ritualità che anima la FCL, cercando di rendere altre persone partecipi del dono di questa vocazione. Sottoliniamo come sia importante la testimonianza di vita di ciascuno, insieme all’annuncio, e ancora di più è importante l’approccio da parte dei religiosi camilliani, soprat-tutto di quanti operano in strutture sanitarie, accanto a personale laico. Si sottolinea l’importanza di coltivare la relazione con le persone che sono dipendenti, o volontari, nelle strutture camilliane, perché siano formate nella spiritualità di San Camillo.

-senta la sua proposta: un gruppo di laici della FCL, quasi una sorta di “task for-ce” con possibilità e disponibilità a par-tecipare a incontri per presentare e far conoscere la FCL, ovvero la spiritualità, l’identità, la vocazione laicale seguendo il carisma e la spiritualità camilliana, insieme ai religiosi camilliani, dove operano i religiosi, proprio per dilata-re la conoscenza di questa “Famiglia”, ancora poco conosciuta.

volantino (sulla scia di altri già predi-sposti e diffusi), unico per la provincia, da lasciare nelle parrocchie, ospedali, associazioni laiche di volontariato, ecc., sempre per far conoscere la FCL.

-mo un breve scambio sui gruppi presen-ti nella provincia. Cerchiamo di dare qualche dato:

- gruppo di Torino – Piossasco: i membri sono circa 70; - gruppo di Milano: partecipanti 15 e affiliati 5; - gruppo che fa capo a Castellanza-Como;

- gruppo di Verona con Marzana con 12 affiliati e 22 partecipanti;- gruppo di Venezia-Mestre 7 sono affiliati e circa 15 i partecipanti agli incontri.

simpatizzanti, o che vivono accanto ai malati, attraverso la collaborazione con i religiosi camilliani, e sono: il gruppo di Bolzano, fondato e animato da Maria Pircher fino alla sua morte; un gruppo a Predappio (gruppo di persone che fanno un importante servizio quotidiano nella comunità di disabili) e un gruppo di per-sone a Trento, animate da fratel Lino. Nei tre gruppi, negli anni, ci sono stati degli incontri con membri della FCL di Verona per presentare la FCL, la sua spi-ritualità, l’adesione al carisma camillia-no. Per alcune di queste persone, che da tempo operano e lavorano con i religiosi camilliani, l’opportunità di far parte del-la FCL è vista come un “di più” di cui non avvertono il beneficio.

ribadisce anche prima del termine dell’incontro di consiglio, che oltre alle 4 persone del consiglio di presidenza attuale, ogni incontro veda la presenza sia di membri del consiglio preceden-te sia dei presidenti di gruppi. Come arricchimento reciproco, attraverso l’apporto di esperienza, la formulazione di proposte di lavoro, di cammino, ecc.

L’incontro termina intorno alle 15,00, e insieme ci avviamo alla stazio-ne per ritornare alle nostre città.

La presidente Marisa Sfondrini

la segretaria Rosabianca Carpene

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I PADIGLIONI DELL’OSPEDALE CARDARELLI DIVENTANO TAPPE DELLA PASSIONE

Un giorno mi dissi: “La Via Crucis svolta in Chiesa trova il suo luogo natu-rale; svolta nelle strade e nelle piazze è motivo di attrazione per i turisti e vian-danti. Allora perchè non farla nei Viali dell’Ospedale laddove esiste la vera sof-ferenza fisica e spirituale dell’ammalto?”.

Fu proposta al Capo cappellano, il Reverendo Padre Leonardo Zeccolella, che accettò l’idea del sottoscritto.

Sono ben tredici anni che si ripete l’Evento e sempre con interesse, devo-zione e forte partecipazione intensa ed emotiva. Ogni volta si contano al segui-to circa duecento persone, spesso con personaggi noti ma in incognito, il gior-nale di Roma riportava che, alla prima edizione, partecipò la Signora Carloni, moglie dell’allora Sindaco Antonio Bassolino.

La Via Crucis è animata dai figuranti in costumi antichi: personale dell’Ospe-dale composto da Medici, Infermieri, Dirigenti, ed altri professionisti insieme a persone non dipendenti ospedalieri. È così che la liturgia si arricchisce di una rappresentazione teatrale, diretta e commentata con testo poetico da Gae-tano Coppola.

Ogni anno è presentato un nuo-

vo testo. Un anno è stato proposto il commento in dialetto napoletano dove ad ogni stazione veniva presentata una piaga della Città di Napoli. In un altro le sofferenze del bambino vittima della pedofilia.

La rappresentazione è il frutto dell’i-niziativa congiunta della Cappellania Ospedaliera e del Gruppo Artistico, ed è stata sempre presieduta da don Leonar-do Zeccolella. È articolata in quattordici tappe nei pressi di altrettanti padiglioni ospedalieri, rappresentanti i momenti più gravi del calvario di Cristo.

Don Leonardo ha sempre evidenzia-to il parallelismo Passione- sofferenza e quello Resurrezione-guarigione che, in questo luogo più che altrove, acqui-sta un enorme significato. Con questa rappresentazione e ripresentazione del significato liturgico, possiamo indurre anche l’analogia tra i viali ospedalieri e il mistero pasquale.

Per tutti i tredici anni Salvatore Contino ha vestito i panni di Gesù Cristo, Francesco Esposito quelli di San Giovanni ed Anita Buono quelli della Maddalena.

Gaetano Coppola della FCL

Famiglia Camilliana Laica

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FAMIGLIA CAMILLIANA LAICA E PASTORALE DELLA SALUTE IN ROMANIA

Le informazioni della Camillian Taskforce, che arrivano puntuali attra-verso la posta elettronica, mi stimolano a fare un nuovo intervento sull’impor-tanza di far conoscere il carisma camil-liano anche in Paesi dove non è possi-bile promuovere una fondazione stabile (cfr Come Tralci, 5-2014, pp. 291-292). Le iniziative della CTF, infatti, si rivol-gono ovunque si creano situazioni dram-matiche, dovute allo scoppio di malat-tie infettive o di disastri naturali. Trovo bello avere nell’Ordine un’antenna che capta i bisogni emergenti, unendo il proprio contributo a quello di tanti altri organismi filantropici e caritativi.

Questo nuovo intervento riguarda la presenza camilliana in Romania, e precisamente in Transilvania. Nell’ot-tobre scorso ho risposto all’invito di visitare la Famiglia Camilliana Laica presente in quel Paese, e di conoscere la situazione della pastorale della salute nella chiesa locale.

La visita è stata un’occasione per rendermi conto del meraviglioso lavoro compiuto dai confratelli della Provincia austriaca per estendere lo spirito del-la pianticella dell’Ordine in alcuni Paesi dell’Est europeo, soprattutto attraverso l’attività di Padre Anton Gots, morto lo scorso anno.

Animato da autentico spirito mis-sionario, egli ha formato gruppi di laici alla spiritualità camilliana, affidandone l’accompagnamento a sacerdoti locali. La sua attività missionaria si è estesa in Ungheria, Transilvania (Romania), Croazia, Serbia, Ucraina, Slovacchia, ma è soprattutto in Ungheria dove il

suo progetto ha attecchito con inten-sità, ancora prima che i Camilliani vi fondassero una comunità. Me ne sono reso conto qualche anno fa, durante il mio mandato di superiore generale, partecipando ad un’assemblea di tutti i gruppi della Famiglia Camilliana Lai-ca ungherese. Ricordo la gioia provata quando il presidente dell’Associazione mi mostrò una carta geografica del Pae-se, punteggiata da numerose piccole croci rosse, segni della presenza di grup-pi della Famiglia camilliana.

Attualmente la presenza di una piccola ma attiva comunità camilliana a Nyiregyhàza, nell’est dell’Ungheria ,garantisce un’animazione più costante dell’Associazione in terra ungherese.

Per quanto riguarda gli altri Paesi dell’Est citati sopra, dove non ci sono Camilliani, la Famiglia Camilliana Laica continua con alterne vicende in Ucraina e Slovacchia, mentre mostra vivacità e organizzazione in Transilva-nia (Romania), regione che ha dato i natali a tre religiosi camilliani del-la Provincia austriaca: i Padri György Alfréd e Kovács Levente Gyula e il Fr. Keresztes Attila.

Dei tre gruppi presenti in Trasilva-nia il più attivo è quello residente nella bella cittadina di Miercurea Ciuc. Ne è animatrice la Dott.ssa Maria Hainalka Bakò, che ha conseguito il dottorato al Camillianum. Mettendo a frutto la sua competenza teologica e spirituale, cura la formazione del gruppo, anche attraverso la pubblicazione di alcuni volumi e gli interventi settimanali su Radio Maria. Collabora con lei, come

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assistente spirituale, un giovane pre-te, cappellano dell’ospedale cittadino. L’Associazione camilliana è accompa-gnata anche dal vescovo ausiliare del-la diocesi di Transilvania, residente in quella città, che ha scritto la prefazione al Manuale di formazione, tradotto dalla Dott.ssa Maria.

Incontrando quel piccolo gruppo, con il quale mi sono intrattenuto fra-ternamente partecipando ad una bella celebrazione eucaristica nel santuario della Madre Vergine di Csiksomlyò, poco lontano dalla città, mi sono ulte-riormente convinto dell’importanza di estendere il carisma camilliano, accen-dendo la fiamma di carità del nostro Santo Fondatore nel cuore di laiche e laici, disposti a farsi mediatori dell’a-more misericordioso del Signore verso i malati nel corpo e nello spirito.

Faceva parte del programma del mio viaggio in Romania anche una visione della pastorale della salute nella dioce-si di Transilvania. A questo scopo ho incontrato il vescovo ausiliare, che mi ha spiegato che il servizio religioso negli ospedali è assicurato dalle parrocchie, le quali si incaricano anche di assicurare lo stipendio agli operatori pastorali non

ordinati. La dott.ssa Bakò, infatti, è stata assunta come operatrice pastorale nell’o-spedale locale, in collaborazione con un sacerdote della parrocchia e un’altra laica. Ho avuto modo di visitare l’ospe-dale e d’incontrare l’équipe di pastorale e di condividere con loro esperienze e progetti. In quell’occasione mi è stato chiesto da da alcuni operatori di scrivere la dedica al mio volume “Attraversare il guado insieme. Accompagnamento psico-pastorale del malato”, tradotto alcuni anni fa in ungherese (lingua principale in Transilvania) dalla dott.ssa Bakò.

Il mio intervento in Romania, come quello in Congo di cui ho parlato in un numero precedente di Come Tralci, fa parte delle attività del Centro Camillia-no di Formazione. Si tratta di creare dei gemellaggi, che favoriscono la collabo-razione – sia in termini economici che culturali – con l’obiettivo di promuo-vere il Regno di Dio nel mondo della salute nella linea indicata dal Santo Padre Camillo.

P. Angelo Brusco

Alcuni membri della FCL della Transilvania con la Dott.ssa Maria Bakò, a sinistra di P. Angelo Brusco.

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06.03.2009

PADRE CAMILLO DE LELLIS(1934 - 2015)

Padre Camillo De Lellis è nato a Francavilla Mare (Ch) il 31 agosto 1934 da Giovanni e da Aurelia Casu.

Padre Camillo era orgoglioso di discendere dal casato De Lellis e di aver inserito il suo nome nell’albero genealogico del nostro Padre Fondatore.

L’8 ottobre del 1952 ha emesso la professione temporanea. L’8 dicembre 1955 la professione solenne. Il 26 marzo 1961 viene ordinato sacerdote.

Padre Camillo è sempre stato disponibile ad assumere qualunque incarico gli fosse chiesto dall’obbedienza. Ha vissuto la sua vita religiosa come formatore, cap-pellano, direttore delle nostre opere.

Nel 1973 viene nominato cappellano della casa di cura Villa Lellia di Torino.Nel 1987 viene inviato nella nostra chiesa di Casale Monferrato in aiuto a

padre Guido Gianbruno.Nel 1989 ritorna a villa Lellia come responsabile dei servizi della casa di cura.Nel 1995 è eletto superiore della comunità di Genova e direttore della Resi-

denza San Camillo di Genova.Nel 2001 si trasferisce a forte dei Marmi come cappellano della casa di cura.Nel 2004 entra far parte della comunità di Villa Lellia in qualità di cappellano.Nel 2007 viene nominato superiore della comunità di Torino villa Lellia.Nel 2013 viene nominato economo della comunità di Villa Lellia ed aiuto

cappellano.Padre Camillo è stata una persona amante ed amabile, sempre sorridente, atten-

to anche nei minimi particolari verso gli altri. Premuroso nel segnalare le criticità affinchè gli ammalati venissero trattati secondo il carisma del nostro santo Fonda-tore.

Ricordiamo i Nostri MoRTi

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Dedicava molto tempo a preparare, con il suo computer, attestati di beneme-renza per i benefattori, nonché gli auguri di Natale e di Pasqua da appendere in ogni stanza del presidio.

Preparava con cura i poster da appendere fuori dalla cappella per ricordare i tempi liturgici forti o le feste particolari del nostro Ordine.

Aveva sempre qualche sorpresina per confratelli ed amici in occasione di com-pleanni od onomastici.

Nelle sue vene scorreva sangue sardo ed abruzzese e questo lo rendeva tenace nelle sue idee, ma la sua grande carità lo rendeva subito remissivo.

Il 24 gennaio padre Camillo viene ricoverato al presidio ospedaliero Cottolen-go per alcuni malesseri.

Il giorno seguente padre Camillo si aggrava e viene trasferito alla medicina di urgenza dell’ospedale san Giovanni Bosco ed entra in uno stato comatoso.

Il 29 gennaio alle 22.30 padre Camillo ritorna alla Casa del Padre.Padre ammettilo a godere la luce del tuo volto e la pienezza di vita nella resur-

rezione. Amen.

Il 31 gennaio, presso la cappella di Villa Lellia, si sono svolti i funerali di padre Camillo De Lellis, con la concelebrazione, presieduta dal Padre Provinciale con nove sacerdoti camilliani, un sacerdote diocesano, il personale del presidio e molti amici abbiamo dato l’estremo saluto al nostro caro padre Camillo.

Padre Camillo è stato tumulato nella tomba dei religiosi camilliani (Borbonese) nel cimitero monumentale di Torino.

P. Walter Dall’Osto

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P. CAMILLO DE LELLIS: DUE VOLTE FIGLIO DI SAN CAMILLO Omelia nell’ora dell’addio

Stiamo concelebrando tutti insieme una Santa Messa molto particolare: ci siamo noi sacerdoti, e poi ci siete voi, carissimi fedeli che con la vostra pre-senza non solo onorate questa cerimo-nia ma la sostenete attraverso la vostra stessa vita che testimonia la fatica e la preghiera, sacrifici graditi a Dio perché offerti nella Fede, nella Speranza e nel-la Carità … e poi c’è il nostro amato P. Camillo De Lellis che concelebra sia col corpo ancora tra noi, sia con lo spi-rito già ritornato a Dio, e in Dio chie-de di coinvolgere tutta la comunità del cielo spiritualmente presente. Ciò che appartiene alla terra di P. Camillo è qui tra noi, e ciò che appartiene a Dio è tor-nato a Dio; ma proprio attraverso Dio è anche qui tra noi, come lo sarà per sempre in avvenire.

Con la resurrezione di Gesù Cristo, la morte ha finito di essere una barriera invalicabile, un muro contro cui sem-plicemente si schianta il percorso della vita. Il demonio che pensava d’avere nella morte la sua arma implacabile per annientare la vita, nella Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Cri-sto, è stato definitivamente mortificato:

è come se ad una bestia feroce fosse sta-ta tolta la dentiera usata per sbranare; è come se Gesù Cristo avesse tolto il fondo dal sacco buio della morte mie-titrice. Lei continua affannosamente a metterci dentro, ma chi vi entra ormai ha la possibilità di una via d’uscita. Nella Resurrezione la morte quindi è diventata un passaggio: la Pasqua. Sia-mo liberati dalla schiavitù del male, dalla paura e dall’angoscia, liberati dalla solitudine, dal buio e dal freddo perché al di là del passaggio ci aspetta Dio vita, luce, libertà, serenità, benessere eterno, gioia senza fine. S. Francesco, che aveva capito tutto, chiamava la morte “sorel-la” perché accompagnatrice verso la perfezione positiva d’ogni cosa in Dio. E tutto ciò grazie solo alla misericordia di Dio Padre per noi.

Il fondo del sacco nero non c’è più, perché l’ha tirato via Gesù per compas-sione sua, non per merito nostro. Rin-graziamo Gesù per avere ridato senso e significato eterno alla nostra vita, per averci spalancato le finestre della speranza ma soprattutto perché ci dà continuamente il sostegno per capi-re e trasformare questa vita terrena in vita già risorta, in vita sul cammino della perfezione evangelica, in vita per-donata, libera e intrisa d’amore.Ogni brandello della nostra vita vissuta con amore, è vita già risorta che non deve attendere altre assicurazioni. È una vita

P. Camillo De Lellis con P. Umberto Rizzo soffiano sulle ‘candeline’ per festeggiare il compleanno di uno dei tanti anni donati gioiosamente e generosamente alla Chiesa, all’Istituto e ai Malati.

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che sta in questo mondo come pre-sa solo in prestito, senza quindi alcun senso di possesso. Passando attraverso la morte, con la rinuncia al male, alle cose futili, all’orgoglio, ecc., è una vita altamente specializzata ad attendere che il vero Signore della vita ci liberi definitivamente per essere solo Amore nell’Amore, Dio in Dio, Figli col Figlio Unigenito Gesù Cristo, Figli dello stes-so Padre, Fratelli.

Il Signore, di ogni nostro sussulto d’amore puro e gratuito, non ne perde neppure una goccia: un sorriso, un atto di pazienza, una sopportazione, una gen-tilezza, una cortesia, un bicchiere d’ac-qua, leggere il Vangelo, un’offerta cari-tatevole povera e semplice, una mitezza dolce e rasserenante, una carezza mate-riale o spirituale, un “aver fatto finta di niente”, un perdono, un letto per dor-mire, per non stare al freddo, per curare.

È il Signore che si prende cura di noi e, attraverso di noi, Lui si prende cura di se stesso perché la sua incar-nazione è continua nei bisognosi e nei buoni samaritani e si ritrova più vol-te ad essere affamato, nudo, forestie-ro, ammalato etc. e attende la nostra carità. Ma anche la sua resurrezione è continua quando si sfama, si veste, si accoglie, si cura e ci si riconcilia. È tutta resurrezione presente ed attiva che non va solo attesa quindi (a quella eterna al di là della morte ci pensa Dio) ma soprattutto vissuta (quella al di qua del-la morte Dio la affida a noi).

Questa è la parte visibile, anche se debole e fragile e a volte frammentaria, spezzettata dalla nostra incostanza… visibile dell’altra eterna, potente ed invisibile per ora, in cui crediamo tanto quanto ora la viviamo.

È tutta opera dello Spirito Santo: noi imprestiamo il corpo presente nel mon-do per la salvezza del mondo, imprestia-mo, o meglio mettiamo a disposizione la mente e il cuore, perché la nostra vita diventi gloria di Dio secondo l’azione dello Spirito. Noi annullati da adesso, già da ora, in Dio (Cfr. 2 Cor 3,18) noi viviamo ora l’eternità che ci aspetta. Noi entriamo in confidenza con l’e-ternità, vivendo l’eternità. Entriamo in confidenza anche con la morte, sep-pellendo definitivamente ogni sorta di male che c’è dentro di noi e viviamo vigilanti attendendo solo il “passaggio”, la Pasqua del Signore.

Chiedo di essere sereni in questo: per gli uomini di buona volontà (che significa coloro che tendono alla con-versione permanente) le promesse di Dio si avverano sempre. Questa è la nostra fede e la nostra Pasqua, che gra-zie a Dio, dobbiamo affrontare tutti. Dio ha aperto le porte con la chiave che è la Croce di Cristo: lasciamo andare coloro per i quali è giunto il momento di passa-re e prepariamoci attivamente al nostro turno. Siamo sentinelle per noi e per gli

P. Camillo De Lellis, sempre sorridente ed impegnato al tavolo di lavoro in un incontro della sua Provincia.

Padre Camillo De Lellis

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altri, soprattutto per gli altri, e di con-seguenza Dio attuerà la sua misericordia anche per noi.

Ed è così che il nostro Padre Camil-lo De Lellis, nei piccoli e nei grandi incarichi lungo la sua vita di consacra-zione a Dio e di ministero camilliano e sacerdotale, non ha fatto altro che vive-re nella carità la certezza della sua fede e la speranza della sua attesa.

P. Camillo è stato formatore, cap-pellano e anche direttore della Case di Cura. Ha vissuto e operato qui a Torino, a Casale Monferrato, a Genova e a For-te dei Marmi. Non sottolineo neppure i suoi incarichi; più che altro interessa l’uomo, come è stato tra noi, come è stato nostro compagno di viaggio, come ci è stato fratello.

Sì, perché “fratello” lo è stato real-mente come persona che sapeva ama-re e farsi capire nell’amore, così come persona amabile, capace di accogliere l’amore altrui.

Amare e lasciarsi amare non è sem-plice perché implica un grande senso di libertà, di fiducia e di accoglienza, senza pregiudizi e con grandi attenzioni silen-ziose. Sorridente e premuroso, ha colti-vato la capacità di osservazione verso i bisogni altrui. In lui prevaleva il senso del Carisma dell’ordine religioso di San Camillo affinché gli ammalati potessero

essere curati al meglio possibile. In que-sti ultimi anni in cui la malattia lo ha mortificato nella sua libertà e nei movi-menti, ha incentivato l’attenzione e la delicatezza verso gli altri con lavoretti al computer, con sorprese ad amici e confratelli, con auguri originali fatti da lui e stampati per chiunque, spesso in modo personalizzato e anche con foto. L’attenzione alla persona è sempre stata la sua caratteristica umana principale.

Nato il 31 Agosto del 1934 a Fran-cavilla Mare, in provincia di Chieti, da Giovanni e Aurelia Casu, scorreva den-tro di lui sangue abruzzese e sardo che lo rendevano “tenace assai” nelle sue idee. Però sull’esempio di San Camillo di cui si considerava “figlio” due volte (una perché era discendente dallo stes-so nobile casato, l’altra per vocazione alla consacrazione nello stesso carisma) diventava facilmente remissivo, vinto dalla Carità.

Caro Padre Camillo, che la Carità in cui hai tanto creduto e operato diventi il tuo vestito della festa per entrare nel banchetto nuziale del regno dei cieli. Mantello sotto cui ricopri anche una lunghissima schiera di persone che hai assistito, a cui ha fatto del bene. Forse qualcuno non è stato saggio abbastanza nel seguirti verso il bene; abbi ancora un’ultima bontà, non lasciarlo indietro, raccoglilo sotto il tuo amore e portalo con te.

Signore fa che le fatiche, i sacrifici, le sofferenze di Padre Camillo diventino energia di spinta verso l’eternità, non solo per lui ma anche per tutti noi che gli abbiamo voluto tanto bene e che non lo dimenticheremo tanto facilmente.

P. Vittorio Paleari

P. Camillo in una seduta di lavoro nel Capitolo Provinciale della Provincia Piemontese del gennaio 2007.

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GRAZIE P. CAMILLO, HAI PORTATO LETIZIA ED UMANITÀ

Quello che più colpisce, leggendo l’omelia del P. Provinciale e il profilo stilato da p. Walter Dall’Osto, è l’u-nivoca descrizione del carattere di p. Camillo. Infatti, nell’omelia, p. Vittorio Paleari scrive: “L’attenzione alla perso-na è sempre stata la sua caratteristica umana principale”, e p. Walter ci dice che “Padre Camillo è stato una persona amante e amabile, sempre sorridente, attento anche nei minimi particolari verso gli altri. Premuroso nel segna-lare le criticità affinché gli ammalati venissero trattati secondo il carisma del nostro santo Fondatore”.

L’attenzione alla persona, a chi era sofferente, ma anche nei confronti dei dipendenti, dei loro famigliari, di tut-te le persone che con la sua affabilità approcciava.

E di questa sua estrema attenzione

nei confronti del suo prossimo, sono stata testimone in prima persona quan-do, alcuni anni fa, ha organizzato per mia suocera una magnifica festa per rin-graziarla del suo annoso lavoro a favore delle missioni Camilliane.

Lui stesso ha programmato tutto nei minimi particolari: la Celebrazio-ne eucaristica, il rinfresco, la targa che ancora oggi troneggia al posto d’onore in salotto. E la gioia profonda e com-mossa che abbiamo letto quel giorno negli occhi della beneficata non era dissimile da quella che brillava negli occhi di p. Camillo, che con lei gioiva e si commuoveva.

Grazie, dunque, p. Camillo, perché hai saputo portare letizia e grande uma-nità nella vita delle persone. Grazie!

Franca Berardi

P. Camillo De Lellis con confratelli al terminedi un raduno provinciale.

Padre Camillo De Lellis

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06.03.2009

PADRE EMILIO STENICO(1922 - 2015)

P. Emilio nasce il 24 ottobre1922 a Fornace (Trento) da Severino ed Anna Pisetta. Nel clima sereno della famiglia, dove respira ed assorbe genuini valori umani

e cristiani, maturano i germi della vocazione camilliana che trovano sviluppo nel Seminario di Villa Visconta (Besana Brianza), dove entra il 12 di Ottobre del 1935.

Accede al noviziato nel 1940 a Verona, San Giuliano, dove, l’anno seguente, emette la professione temporanea e, nel 1944, quella perpetua.

Nel 1948, il 1° Novembre, viene ordinato sacerdote a Mottinello di Rossano Veneto. Dopo l’ordinazione, rimane a Mottinello per il IV anno di Teologia, rico-prendo la carica di vice-maestro dei chierici e, dal 1949 al 1953, quella di direttore degli aspiranti.

Il 23 Settembre del 1953 è nominato superiore e direttore degli aspiranti fratelli a Castellanza (VA) e tre anni dopo, passa a Villa Visconta come superiore della comunità e direttore del seminario. Da Besana, nel 1959, è trasferito a San Giulia-no, dove fino al 1964 svolge il compito di Maestro dei novizi.

Il 2 Luglio del 1964 parte per la Colombia come missionario e Superiore della Nuova Fondazione. In Colombia riveste il ruolo di superiore della comunità di Bogotà (1964), di Delegato della Fondazione colombiana (1969-1971; 1973-1978). Nel 1972 è cappellano nell’ospedale di Barquisimeto (Venezuela), da poco accolto dalla comunità colombiana per il servizio pastorale.

Il 2 Settembre del 1978 viene trasferito a Lima (Perù) nel convento della Bue-namuerte.

Dal 1982 fino al 1983 è in Canada per partecipare ai corsi di Educazione Pasto-rale Clinica. Nell’Agosto del 1983 viene nominato cappellano dell’ospedale “Dos de Mayo” e responsabile della Pastorale della Salute. Nel Febbraio del 1987 viene nominato Maestro dei novizi della Delegazione Colombo-Peruviana, compito che

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svolge fino al 2006, prima a Lima (Casa de la Buenamuerte e Jr. Junin, 1988) e, poi, nel 1993, a Chaclacayo.

Nel 2006, a seguito di un ictus cerebrale, rientra definitivamente in Italia. Incardinato ufficialmente nella Provincia Lombardo-Veneta, dal 2008 risiede nella comunità di Venezia-Alberoni. Muore il 7 Marzo 2015.

Una vita movimentata quella di P. Emilio. Non solo i cambiamenti geografici, ma anche quelli riguardanti il ministero sono stati numerosi. Nel suo lungo percorso esistenziale, che lo ha portato in diversi Paesi, è stato educatore dei candidati alla vita consacrata e al sacerdozio, ha esercitato il carisma camilliano in vari ospedali, ha formato numerosi gruppi di operatori pastorali, avvalendosi della preparazione ricevuta in Canada, dove si è sottoposto – ad un’età già avanzata – ad un intenso tirocinio teorico-pratico.

In tutte queste svariate attività, egli ha messo a frutto la ricchezza della sua umanità, purificata e arricchita da una spiritualità genuina che trovava nel carisma camilliano una fonte inesauribile. Personalità forte, con tratti di santa ostinazione – che il suo sorriso non riusciva sempre a nascondere – si è mantenuto coerente ad uno stile di vita sobrio, non privo di severità, che gli ha consentito di far emergere i sani valori che lo guidavano e di renderli credibili attraverso una valida testimo-nianza. Chi gli è vissuto accanto, anche per poco tempo, ha potuto conoscere anche gli aspetti più lievi della sua personalità: la mitezza, l’amore per la natura, la viva partecipazione a momenti giocosi, la sua creatività. La sofferenza che lo aveva già visitato durante il periodo degli studi – da chierico gli fu amministrata l’unzione degli infermi – gli è andata nuovamente incontro negli ultimi anni della sua esisten-za, togliendogli l’uso della parola, ma non quello della comunicazione non verbale, sempre espressiva. Un cammino di purificazione che lo ha preparato all’incontro definitivo con il Cristo, da lui servito con amore. Riposi in pace!

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DA VENEZIA, SALUTO A P. EMILIO STENICO, CHE HA PORTATO IL CARISMA DI S. CAMILO IN DUE MONDI

Siamo qui riuniti, in questa chiesa, per dare un ultimo saluto al nostro caro confratello padre Emilio che dopo una lunga malattia ed una lunga agonia, ci ha lasciato per incontrarsi e riposare nella braccia di Dio Padre. Vicini a noi e ai parenti ci sono tutti i nostri confra-telli della Provincia Italiana, dell’Ordi-ne, della Vice Provincia del Perù, insie-me a tutti i componenti della Famiglia camilliana che hanno conosciuto p. Emilio. Siamo posti di fronte alla realtà

della morte, una realtà che suscita in noi dolore, tristezza, inquietudine per la scomparsa di una persona cara. Si spezza quel legame umano creatosi con il tra-scorrere della vita, degli anni.

La parola di Dio, ascoltata in que-sta liturgia, ci aiuta a temperare questi sentimenti di dolore e di tristezza con

sentimenti di fede e di speranza; la paro-la di Dio fa scaturire dentro di noi la certezza che padre Emilio non è morto, ma continua ad essere vivo nel cuore di coloro che hanno condiviso momenti di gioia e di dolore, di chi ha ricevuto conforto e aiuto da lui come religioso, missionario e sacerdote.

La parola del Signore che abbia-mo ascoltato, ci dona conforto, perché non ci ripieghiamo nell’angoscia ma ci lasciamo illuminare dalla fede, solleva-re il cuore alla speranza, confermare il nostro animo nella certezza che, anche in questo momento di dolore, si compie il disegno di amore di Dio.

La scomparsa, la “partenza”, di una persona cara è “umanamente” una rovi-na, una sciagura, ma la Parola di Dio ci rassicura dicendoci che la persona che ci ha lasciati di fatto non è morta ma “vive nella pace”.

Certamente, conserviamo caramen-te un ricordo di Padre Emilio, una paro-la, un messaggio, o un qualcosa che ci richiama la sua persona, ma nello stesso tempo, attraverso la fede, sappiamo di poterlo sentire ancora vicino, perché il suo cuore, nell’amore del Signore, si dilata ancor di più; e mentre noi, con la nostra preghiera, i nostri suffragi, pregheremo perché si affretti la sua pie-na purificazione, siamo certi che Padre Emilio continuerà ad avere per ciascu-no di noi un affettuoso sguardo paterno e fraterno.

È terminato il suo cammino terre-no iniziato tanti anni fa, il 24 Ottobre del 1922 in una famiglia nella quale ha respirato fin da bambino la fede cristia-

San Camillo di Venezia/Lido.P. Emilio Stenico con la sua Comunità Religiosa.

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na, grazie ai suoi genitori mamma Anna e papà Severino.

Quanta strada hai fatto caro padre Emilio, quanto Amore hai seminato, quanta speranza hai donato. Non hai fatto altro che mettere in pratica le parole del Vangelo.

Un uomo di fede, desideroso di stare con il Signore pur nella malattia, con questa sua impossibilità di parlare dopo che l’ictus lo ha colpito.

Caro padre Emilio, grazie per aver testimoniato il Vangelo con la tua vita, tra i malati, con i tanti operatori, i laici che hai seguito, con i tanti giovani che hai accompagnato.

Non è un addio il nostro, ma un arrivederci nel Regno dei Cieli.

Ringraziamo il Signore per avercelo donato e seguiamo l’esempio delle sue virtù.

Grazie, P. Emilio, perché in te il Signore ha rivelato la grandezza del suo amore, che tu hai donato a tutti e in modo particolare ai malati, ai più pove-ri, vivendo quotidianamente le parole del Vangelo che abbiamo ascoltato.

Che la Vergine Maria della quale tu eri molto devoto ti copra con il suo manto, che San Camillo ti prenda per mano e ti conduca all’incontro eterno con Dio e con tutti i tuoi cari.

Un grazie sincero e riconoscente, anche da parte del nipote Sergio e dei parenti tutti, ai fratelli, a chi si è dedi-cato alla sua assistenza quotidiana, ai medici, al personale del reparto a tutti gli operatori che durante questi anni lo hanno assistito con competenza ed amore.

P. Alessandro Viganò

P. EMILIO, IL RELIGIOSO DELLE BEATITUDINI Omelia a Fornace

Carissimi confratelli, sacerdoti, famigliari di P. Emilio e parrocchiani di Fornace.

Questa concelebrazione eucaristica ci vede riuniti in comunione per dare l’ultimo saluto al carissimo P. Emilio Stenico, religioso camilliano, sacerdote e missionario. Non potevamo, in questo particolare momento, non avere come punto di riferimento e come traccia di riflessione il messaggio delle Beatitudini che abbiamo ascoltato nel Vangelo.

Questa pagina del discorso della montagna ci permette un facile accosta-mento tra l’esperienza di Cristo, vissuta nella sua totalità e proiettata nelle Bea-titudini, con l’esperienza e il cammino graduale di identificazione, vissuto da uno dei suoi “figli” che ha scoperto in questa scelta l’occasione migliore per giungere alla felicità che immette nel Regno di Dio.

Le Beatitudini sono il codice del-la nostra vita cristiana, la sintesi del messaggio rivoluzionario che Cristo ha portato nel mondo, un messaggio di felicità.

Il discepolo, che vuol seguire Cri-sto, comprende che la via della felicità viene dall’alto, è un dono di Dio e l’uo-mo deve aprirsi a questo dono. E questo dono è molto differente da ciò che l’uo-mo pensa e avrebbe desiderato.

E la Beatitudine è veramente la caratteristica di tutto l’insegnamento di Gesù che incoraggia i discepoli al dono di se stessi.

In questa luce, credo, è da vedersi la vocazione di P. Emilio che si impe-

Padre Emilio Stenico

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gna fin da giovane a seguire Cristo, individuando nel carisma di servizio di S. Camillo De Lellis il cammino più adatto di realizzazione dei suoi desideri e delle sue convinzioni.

I primi anni di sacerdozio di P. Emi-lio sono trascorsi quasi totalmente nel campo formativo nei Seminari di Mot-tinello, Castellanza, Villa Visconta.

La vicinanza dei ragazzi e dei gio-vani gli dà notevole entusiasmo e lo carica di motivazioni formative, che disimpegna sfruttando le proprie qua-lità spirituali non esenti da un tenero misticismo, le sue doti intellettuali, la sua capacità di servizio e soprattutto le sue qualità umane che sprigionano semplicità, dialogo, immediatezza nel-le relazioni interpersonali e un atteg-giamento di fiducia verso i giovani che puntualmente veniva ricambiata.

Come maestro dei novizi P. Emilio assume con maggior serietà il suo ruolo formativo iniziando i giovani alla vita consacrata, aiutandoli nell’approfon-dimento dell’esperienza di Dio con la

preghiera e la meditazione, favorendo la vita di comunità ed esercitando il ser-vizio diretto verso i malati e gli anziani. Tutto questo mettendosi in prima linea in qualsiasi tipo di servizio e di testimo-nianza.

Nel suo impegno formativo, come nel resto, P. Emilio mostra la sua aderen-za spirituale e fattiva alla prima beatitu-dine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Uomo sobrio, di poche esigenze, pratica una povertà ammirevole e significativa, ripone le sue aspettative in qualcosa di superio-re, in Dio, lasciando da parte desideri troppo umani e prendendo sempre più coscienza dei suoi limiti.

Chi è povero non conta sulle pro-prie forze perché ha ben poco di cui gloriarsi o a cui appoggiarsi, ma è certo del Signore, della sua bontà, potenza e misericordia. Ma i “poveri” sono anche gli umili, conoscono la loro fragilità e sono disponibili alla buona novella di Gesù.

Anche se impegnato nell’attività formativa, P. Emilio ha trovato sempre modo e tempo per applicarsi al servizio dei malati. La sua sensibilità verso gli ammalati ed i sofferenti e la propensio-ne al servizio lo avvicinavano sempre al mondo del dolore, favorendo un appro-fondimento continuo della realtà, della malattia e una ricerca “carismatica” di modalità di assistenza da sperimentare e da proporre ai giovani. In questo cam-po, un religioso camilliano sviluppa una comprensione sempre più approfondita del mondo del malato e dell’assisten-za, conoscendo e interiorizzando sem-pre più la vita e l’opera del Fondatore San Camillo. In questo contesto si può comprendere la Beatitudine dell’affli-

San Camillo, Alberoni/Venezia, 2008. P. Emilio con P. Pisetta Faustino al termine della Concelebrazione Eucaristica per il loro 60° di Sacerdozio, presieduta dal Vescovo di Chioggia, Mons. Adriano Tessarolo.

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zione: “Beati gli afflitti perché saranno consolati”.

Nel disegno di Dio esiste un nesso inscindibile tra dolore e amore, tra sof-ferenza e glorificazione, tra umiliazione ed esaltazione. Il dolore umano, quan-do diventa manifestazione di amore ed obbedienza, subisce un processo trasfigu-rante profondo ed impegnativo. Diven-ta purificazione e redenzione e crea una unione intima con Dio in Cristo.

L’anno 1964 è un anno speciale nel-la vita di P. Emilio, è come l’inizio di una seconda vita: diventa missionario e cofondatore di una nuova attività mis-sionaria camilliana in America Latina.

Sono gli anni del Concilio Ecume-nico Vaticano II, e l’allora arcivescovo di Bogotà, il cardinale Luis Concha Cordoba, in un intervallo di una seduta conciliare chiede esplicitamente al P. Generale dei Camilliani, P. Carlo Man-sfeld, una presenza di religiosi camilliani nella capitale della Colombia, Bogotà, per assumere l’assistenza spirituale nei più grossi ospedali cittadini. L’accordo fu quasi immediato e questa missione venne affidata dal Superiore Generale questa missione alla Provincia Lombar-do-Veneta. L’allora Provinciale, arguto e ben ispirato dallo Spirito, scelse tre dei suoi religiosi e precisamente P. Emilio Stenico, P. Silvestro Caresia e P. Ren-zo Roccabruna, qui presente con noi in questa concelebrazione. Tre religiosi camilliani dello stesso paese di Fornace, figli di questa terra Trentina, benedetta dal Signore che ha dato vari dei suoi figli alla Famiglia Camilliana, ad altre comu-nità religiose e alla Famiglia Diocesana.

Questo piccolo gruppo, al quale in seguito si aggiungerà un altro confra-tello, partì per la Colombia il 03 Luglio

del 1964. Furono accolti con affetto e con grande festa dalla autorità ecclesia-stiche, da quelle sanitarie e dalla gente semplice, malati ed anziani che affolla-vano gli ospedali di Bogotà.

Si inserirono in breve tempo in questa realtà sanitaria, impegnandosi a tempo pieno e con continuità nei servi-zi richiesti e venendo a conoscenza del-le realtà sociali, politiche e religiose, dei contrasti esistenti nella vita del popolo e delle ingiustizie cui era sottomessa la popolazione della città e della nazione colombiana.

Tuttavia la religiosità e l’affetto del-la gente colombiana sono sempre stati vivi e di sostegno nell’attività pastorale di questi primi missionari, che in breve tempo vedevano crescere il loro impegno ministeriale e sempre più richiesti, pen-sarono anche a progressive espansioni.

L’esperienza missionaria in qualsiasi paese o nazione porta ad una inevitabi-le identificazione tra il missionario e la gente più povera ed abbandonata: se ne

Il cardinale Luis Concha Cordoba, Arcivescovo di Bogotà, accoglie i primi Camilliani nella sua Diocesi ed affida a loro il Ministro della Pastorale Sanitaria: P. Emilio Stenico, P. Pietro Merlo, P. Silvestro Caresia e P. Renzo Roccabruna.

Padre Emilio Stenico

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condividono le situazioni, i problemi, le realtà conflittuali, si sente l’esigen-za di contribuire in qualche modo alla soluzione dei problemi (che condizio-nano la vita quotidiana dei più poveri ed indifesi) e ridare più dignità e giu-stizia a chi è vittima di sfruttamento ed emarginazione.

P. Emilio era più che convinto che “la fame di giustizia” promossa dalla Parola di Dio significasse rettitudine morale e conformità alla volontà di Dio. Vuol dire essere amico di Dio e cercare il suo Regno. La “fame di giu-stizia” ha dato a Cristo senso ed unità piena al suo originale stile di vita, alla sua predicazione, alle sue scelte, alla sua coerenza e alla sua azione. Ed era con-vinzione piena di P. Emilio che anche il discepolo è chiamato a conformarsi alla persona di Cristo. Sarà beato quando come Lui avrà “fame e sete di giustizia”:

non avrebbe nessun significato schierar-si, aderire, abbracciare, testimoniare ed optare seriamente per Cristo senza colti-vare il suo medesimo desiderio ardente, l’anelito, la voglia incontenibile, la bra-ma e l’impegno concreto per la giustizia che lo hanno contraddistinto.

Questa “fame e sete di giustizia” in P. Emilio va di pari passo con la sua innata mitezza e mansuetudine, che mostra con la gente e che risulta esse-re elemento essenziale del suo stile. Lo favorisce nel dialogo, nella comprensio-ne, dei bisogni e nella compartecipazio-ne creando attorno a sé stima e fiducia.

Nel 1978 P. Emilio, dopo una lun-ga esperienza missionaria in Colombia come cappellano e come responsabile della stessa Delegazione per sei anni, viene invitato dai Superiori a trasferirsi in Perù a Lima come cappellano ed ani-matore della Pastorale.

Bogotà, Casa S. José - P. Emilio Stenico con il Delegato Provinciale, P. Bruno Nespoli e i Confratelli nel Capitolo della Delegazione Colombo/Peruana.

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Fu un trasferimento difficile per P. Emilio. Ormai la Colombia e Bogotà erano diventati il suo Trentino: le mon-tagne, il verde intenso della savana e la grande e fruttuosa empatia con la gente e i malati lo avevano affascinato.

Ma l’obbedienza e il desiderio di conoscere un altro Paese dell’Ameri-ca Latina, ricco di storia e tradizione, lo hanno spinto ad accogliere quest’al-tra esperienza apostolica missionaria, recando alla comunità camilliana un aiuto ed una collaborazione sostanziale

da tempo desiderate. Diventerà cap-pellano dell’ospedale “Dos De Mayo”, l’ospedale dei “poveri più poveri”, e inizierà un’attività di servizio pastora-le meravigliosa, completata anche da numerose attività di intervento cari-tativo e di accoglienza a tutti i livelli. Andrà anche per alcuni mesi in Cana-da per specializzarsi in Pastorale della Salute, e poi diventerà accompagnatore e orientatore di molti giovani semina-risti nel servizio ai malati. Darà inizio anche ad una attività di sensibilizzazio-

ne e formazione dei laici, per favorire il loro inserimento graduale nel servizio volontario negli ospedali e specializzar-li nella cura dei malati. Sarà questo il terzo periodo della vita di P. Emilio, che definirei come l’identificazione piena nel carisma della misericordia.

La normale convivenza con gli altri esige capacità d’amore, di benevolen-za, di donazione, di comprensione e di sacrificio. Per P. Emilio, come per ogni camilliano, è eloquente in questo sen-so la grandiosa descrizione del giudizio

finale in cui il concetto di misericor-dia viene allargato a tutte le situazioni di bisogno materiale e spirituale in cui venga a trovarsi il nostro prossimo.

Si può dire che il cristiano è costan-temente posto nella situazione di dover fare opere di misericordia, nelle quali già ora incontra Cristo che gli ricambia amore e benevolenza.

Dopo una decina d’anni di pastorale ospedaliera e di accompagnamento dei laici nella pastorale sanitaria, P. Emi-lio viene proposto (riproposto) come

Bogotà, Sybaté - La giovane Comunità Camilliana in Colombia fa corona al Superiore Delegato, P. Emilio Stenico.

Noviziato di Chosica - Lima. Il P. Emilio Stenico, con un gruppo di Novizi della Delegazione Colombo/peruana.

Padre Emilio Stenico

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Maestro dei novizi della delegazione Colombo-Peruviana.

Un ritorno nella Formazione dei giovani seminaristi peruviani e colom-biani nel periodo più significativo del-la loro formazione religiosa. P. Emilio ritornava ad assumere questa respon-sabilità formativa, avvalendosi della sua già lunga esperienza di religioso, di formatore e di cappellano …; con un bagaglio notevole di situazioni vissute, di motivazioni interiorizzate, di spiri-tualità profonda, di ambiti diversi di servizio.

Realizzerà questo servizio per quin-dici anni mostrandosi veramente Padre e Maestro dei giovani, dando una testi-monianza continua di vita spirituale e

religiosa, incarnando il carisma nel ser-vizio con gli stessi novizi, negli ospedali e nelle case di riposo, favorendo la cre-scita in loro dell’ideale di servizio cor-porale e spirituale voluto da S. Camillo, condividendo costantemente con loro la vita comune, mirando ad instaurare una vera comunione comunitaria.

E sempre con il sorriso sulle labbra, mostrava ottimismo e giovialità nei rapporti interpersonali e nei momenti ricreativi.

Avvalendosi spesso di battute sim-patiche e spesso ironiche, sempre nel rispetto di ognuno, faceva giungere ai giovani messaggi, stimoli e correzioni facilmente comprensibili ed applicabili.

Era facile intravvedere nella sua

Bogotà - Gruppo della promettente Famiglia Camilliana Laica della Colombia e del Perù che P. Emilio ha seguito

con amore e competenza.

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vita e nel suo stile quella “purezza di cuore” di cui ci parlano le Beatitudini.

Quella purezza interiore che rag-giunge in profondità le intenzioni delle nostre azioni e le fa essere conformi alla volontà di Dio: la purezza di cuore è la santità autentica. Il cuore puro, inno-cente, non solo è libero dalla colpa, ma anche dal fascino ritornante dell’orgo-glio e dell’egoismo.

E questo può esserci dato come dono solamente da Dio. Infatti il salmi-sta recita così: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Sl 51,12).

Il cuore puro è la coscienza inno-cente, limpida, trasparente, che riflette la luce del volto di Dio, permeabile e docile al suo messaggio e ai suoi coman-damenti.

Dopo aver accompagnato per quasi diciannove anni i giovani novizi come maestro e, nell’ultimo periodo, come vice-maestro, nel 2006 P. Emilio vie-ne colpito da un ictus cerebrale che interrompe tutte le attività ministeria-li, formative e comunitarie che ancora svolgeva con tanto impegno e dedizio-ne; compromette la sua vita nelle sue facoltà encefaliche e nella funzionalità generalizzata e lo obbliga ad un lento e continuo pellegrinaggio nei luoghi di cura, fino al suo rientro in Italia. Saran-no nove lunghi anni di malattia vissu-ta da P. Emilio nella consapevolezza di mettere poco alla volta il sigillo del compimento ad una vita di cristiano, di religioso e di sacerdote.

Si è unito intimamente e con cri-stiana rassegnazione alla passione di Cristo, ha preso con serenità e fiducia quella Croce che ha voluto portare fino alla fine, guardando se stesso e gli altri

con il sorriso ed il coraggio della fede.Come Ministro degli Infermi ha

potuto sperimentare in se stesso l’espe-rienza del dolore e della sofferenza e come devoto e avveduto “Buon Sama-ritano”, abituato a prendersi cura delle sofferenze del prossimo, si è lasciato ser-vire e curare da tante persone, medici, infermieri, volontari e da vari confratel-li che fino all’ultimo lo hanno accom-pagnato all’incontro con Dio.

Gradita a P. Emilio in questo lungo periodo di malattia sono state senz’al-tro la vicinanza e le visite frequenti dei famigliari, in particolare quelle dei nipoti che hanno mantenuto fino all’ul-timo un legame che P. Emilio ha sempre apprezzato.

“Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cie-li”.

La vera ricompensa che P. Emilio ed ognuno di noi si presta a ricevere è la “cittadinanza nei cieli e di là (cioè da Dio) aspettiamo, come Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose”.

Vorremmo solo che la memoria di quanto stiamo vivendo rimanesse in noi per confortarci nel nostro cammino, per mantenerci consapevoli che viviamo in un corpo fragile che un giorno, prima o poi, si spezzerà, per proiettare la nostra speranza oltre i limiti ristretti del mon-do e aprirla a Dio, a quel futuro, quan-do, asciugata ogni lacrima, Dio sarà tutto in tutti.

P. Bruno Nespoli

Padre Emilio Stenico

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P. EMILIO STENICO, SERVO BUONO E FEDELE

Quando mi giunge la notizia della morte di un confratello sono portato, quasi meccanicamente, a verificare il posto che egli ha occupato nella mia vita. Mentre ripercorro le vicende che mi hanno fatto incontrare o a scontrare con lui, pongo attenzione ai sentimenti che tali vicende hanno suscitato e con-tinuano a suscitare in me. Attraverso questo processo interiore prende forma definitiva quel ritratto del confratello che, poi, rimarrà fissato nei miei ricordi.

Relazione significativaFedele a questo metodo, nei giorni

che hanno fatto seguito al dies natalis di P. Emilio Stenico, ho fatto lavorare la mia memoria per identificare e col-legare i vari momenti in cui le nostre vite si sono incontrate. Nel compiere quest’operazione, ho notato che la mia relazione con Padre Emilio è diventa-ta significativa solo a partire dal 1982, anno in cui egli ha chiesto di trascorre-re un periodo di tempo in Canada, iscri-vendosi ad un programma formativo gestito dalla comunità camilliana. Pri-ma di quell’anno, non mi erano sfuggite le notizie riguardanti i suoi impegni di formatore e soprattutto quello di inizia-tore della Fondazione colombiana. Esse, però, sfociavano solo in una conoscenza piuttosto superficiale, soprattutto per-ché egli era molto restio a comunicare il proprio vissuto, anche in circostanze in cui ciò sarebbe stato di aiuto per com-prendere situazioni complesse createsi nel contesto della Colombia.

La permanenza a Québec, avvenuta in due momenti tra il 1982 e il 1983, è stata l’occasione per avviare e conso-

lidare un rapporto che ha avuto come esito una stima reciproca e un’amicizia sincera, rafforzate, poi, nei vari incontri avuti in Perù, durante le visite pastorali e i miei soggiorni formativi a Lima. Del ritratto abbastanza completo che sono riuscito a farmi della sua persona, inten-do evidenziare solo alcuni tratti.

Personalità solida Non ci è voluto molto per scoprire la

forza della sua personalità, che poggiava su una solida base di convinzioni uma-ne e spirituali, interiorizzate durante il suo percorso esistenziale. Tale forza era certamente il risultato di una conquista

non priva di fatica, come frutto di un arduo impegno era la sua vitalità fisica affermatasi attraverso il superamento di una malattia che lo aveva portato, prima dell’ordinazione sacerdotale, alle soglie della morte.

Mi richiamava l’attenzione il modo con cui egli proteggeva le sue convin-zioni, difendendosi dalle contestazioni che gli venivano rivolte nell’ambito

Canada - In una foto ‘del secolo scorso’, P. Emilio con i Padri Brusco e Tamanini brindano ai Corsi Canadesi di Educazione Pastorale Clinica.

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del gruppo formativo come pure nella comunità, perfino mentre si giocava a carte. In quelle occasioni, più che a ribattere, affermando le sue ragioni, era portato a reagire con un sorriso che gli consentiva, per il momento, di rimane-re sulle sue posizioni, senza però impedi-re l’onesto ripensamento e l’eventuale cambiamento.

Questa ostinazione, che lo ha aiu-tato a mantenere uno stile di vita coe-rente con i principi fatti propri e con i modi concreti di viverli, forse è stata responsabile di una certa insicurezza ed esitazione nel prendere decisioni che, in alcune occasioni, hanno causato sof-ferenza a lui e ai confratelli.

Durante il periodo canadese sono emersi, più che in altri momenti, anche gli aspetti liberi e gioiosi della perso-nalità di P. Emilio, frutto di una sana accoglienza delle proprie reazioni emo-tive e dei richiami che gli venivano dal suo bambino interiore. Risultato felice per uno, come lui, portato a controllarsi a causa dell’educazione ricevuta e dei ruoli rivestiti. Questo lasciarsi andare era visibile non solo durante i corsi che lo stimolavano a entrare in contatto con i sentimenti e ad esprimerli appro-priatamente, ma anche nei momenti di convivenza giocosa e negli spazi con-sacrati al riposo. Ricordo le sue mani-festazioni gioiose nei soggiorni al lago Saint Joseph e la settimana di vacanze trascorsa nell’incantevole regione del-la Gaspesia, in compagnia di P. Lino Tamanini. Il contatto con la natura lo affascinava e l’esperienza del campeg-gio sollecitava la sua creatività. Questo lato più leggero del comportamento ha aggiunto ricchezza al suo modo di porsi nei suoi rapporti con la gente, infon-

dendo colore ai lati miti della sua per-sona e alla sua naturale amabilità.

Osservanza ad unguem della povertàLa ricchezza dell’umanità di P. Emi-

lio era purificata e arricchita da una spi-ritualità genuina che trovava nel cari-sma camilliano una fonte sicura. Non essendo in grado di spiegare nei dettagli questa affermazione, di cui sono però fermamente convinto, mi limito ad accennare ad un aspetto della sua vita nello Spirito: l’osservanza della povertà.

Pensando a questo tratto della spi-ritualità di P. Emilio mi vengono alla mente le parole con le quali P. Bre-sciani descriveva la Casa di Sant’An-tonio a Verona: “fondata in casta ed umil povertate”. Del modo di vivere la povertà da parte di P. Emilio ho preso conoscenza in Perù, visitando più vol-te il noviziato. Ma già a Québec era accaduto qualcosa che aveva attirato la mia attenzione. Quando mi sono recato all’aeroporto per accoglierlo, P. Emilio mi è venuto incontro con un largo sor-riso, portando con sé una valigetta poco più grande di una borsa portadocumen-ti. Al mio invito di andare a ritirare i bagagli mi rispose che non ne aveva. Con fatica si è rassegnato ad accetta-re i vestiti compratigli dall’economo per adeguarsi allo stile dei luoghi che avrebbe frequentato. Sono sicuro che se, nel suo bel completo, P. Emilio appa-riva elegante e apparentemente soddi-sfatto, interiormente viveva un certo disagio. Infatti, in occasione della sua seconda venuta in Canada, solo pochi mesi dopo, non aveva nulla del corredo comprato precedentemente, preferendo i suoi abiti abituali, non eleganti e dai colori discordanti.

Padre Emilio Stenico

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Lo stile con cui P. Emilio osservava il voto di povertà era caratterizzato da una accentuata sobrietà e dal coinvolgimento in tutti quei lavori che, nella quasi tota-lità delle Case religiose, viene affidato al personale di servizio. Questo atteggia-mento, che per lui era diventato come un secondo abito, cercava di instillarlo anche nei novizi che, spesso, faticavano ad adattarsi allo stile spartano instau-rato nella casa di formazione. Reazioni comprensibili, le loro, quando si pensi che nel seminario minore vivevano in un contesto gestito diversamente e che, dopo il noviziato, quel modo di vivere la povertà non sarebbe continuato. Resta comunque accertato che malgrado questi voci differenti – condivise anche da reli-giosi più avanti in età – la lezione sulla povertà di P. Emilio non lasciava indif-ferenti, soprattutto perché non era fine a se stessa ma orientata all’acquisizione di quell’atteggiamento interiore che porta a sentire il Signore come l’Assoluto e i poveri come fratelli con cui condividere il proprio essere ed avere.

Non sono mancati giovani professi che m’hanno confessato la loro ammi-razione per l’esempio del loro Maestro in questo come in tutti gli altri settori

della vita religiosa. Mi viene da pensare che egli, come S. Ignazio di Loiola, con-siderasse la povertà come una madre che genera vita, facendo fiorire, nel cuore di chi la pratica evangelicamente, fiducia e senso di abbandono al Signore, desiderio di solidarietà con quanti soffrono per la mancanza di beni materiali e spirituali, senso di fraternità…; una madre che pro-tegge dal gonfiamento dell’io, causato dai beni che si posseggono; una madre che orienta lo sguardo verso la città futura, rendendo consapevoli della necessità di arricchirsi di beni che non marciscono.

Servizio agli ammalati con amore e competenza

Accanto all’attività di formato-re, P. Emilio ha esercitato, in maniera rilevante, anche il ministero proprio dell’Ordine: in Colombia, in Venezuela e a Lima. Rendendosi conto dell’impor-tanza di formare gli operatori pastora-li e i volontari, ha chiesto di venire in Canada per prepararsi a questo compi-to. Le motivazioni che l’hanno spinto a formarsi nell’ambito della pastorale, sono ravvisabili nelle parole di Martin Buber: “Sì, ritornare a se stessi, abbrac-ciare il proprio cammino personalissimo, perseguirlo con risolutezza, unificare il proprio essere: tutto questo perché? Ed ecco la risposta: ‘Non per me! Ma per gli altri, per il mondo’”. A 61 anni non ha esitato a sottomettersi ad un percorso formativo esigente come quello dell’E-ducazione Pastorale Clinica, che richie-de un importante lavoro su se stessi e l’apprendimento di modalità d’insegna-mento che fanno appello a conoscenze

Perù - P. Emilio con P. Brusco, P. Villa, P. Kike e alcuni studenti.

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multidisciplinari. Egli si è mostrato aper-to all’apprendimento, capace di auto-esplorazione e di messa in discussione di alcuni suoi modi di pensare e di agire, superando sia i modi di porsi tipici di chi è stato per troppo tempo autodidatta sia l’emergere di quegli indizi di ostinatezza, di cui ho parlato più sopra.

I frutti raccolti durante il percorso formativo hanno cominciato a mostrar-si in maniera significativa durante l’ul-timo dei quattro stage, quando per tre mesi è stato supervisore di un gruppo, per trovare, poi, piena espressione al suo ritorno in Perù. Avendolo accom-pagnato per buona parte dei corsi si è stabilita tra noi quella confidenza che ci ha consentito, sempre nel rispetto della metodologia didattica, di condivide-re le nostre esperienze. Come cambia il panorama della vita di una persona quando, in un clima di rispetto, cadono la barriere che impediscono una comu-nicazione autentica... È proprio in quei momenti che P. Emilio mi ha lasciato entrare un po’ nel suo mondo, mostran-domene le luci e le ombre, le gioie e le sofferenze. È nata così quell’amicizia rimasta intatta malgrado la distanza.

L’ultimo incontroQuando ho incontrato per l’ultima

volta P. Emilio, egli non era più in gra-do di comunicare con la parola. Il suo modo di esprimersi con gesti pieni di calore, però, è stato più eloquente di un lungo discorso. Il suo sorriso aperto, che mi ha portato indietro nel tempo, rimane nella mia memoria, facendomi pensare alla pace e alla gioia di cui oggi gode in paradiso, lui servo buono e fedele.

P. Angelo Brusco

GRAZIE, P. EMILIO

Credo che molti sappiano che signi-fica e come si usa la parola “Password” che tradotta in italiano puó essere indicata come “chiave” per aprire un discorso e poi svolgerlo sul tema da lei indicato, come si usa in un certo pro-gramma televisivo di successo. Bene, stavo appunto pensando in questi giorni che “password” potevo usare per parlare di P. Emilio Stenico passato alla casa del Signore placidamente nei giorni scorsi e della sua opera qui in Perú e per i camil-liani nel Perú, e improvvisamente mi è passata per la mente la parola “Grazie” che penso possa riassumere tutto quello che vorremmo dirgli con affetto since-ro e meritatamente. Grazie, P. Emilio, perché la tua presenza qui in America Latina come Delegato Provinciale del-la Delegazione di Colombia della Pro-vincia Lombardo Veneta nel marzo del 1975 è stata lo strumento del Signore per portare a termine un progetto vitale per la vita dei Camilliani in questa terra degli Incas.

Lima - P. Emilio Stenico e P. Giuseppe Villacon la Famiglia Camilliana Laica del Perù.

Padre Emilio Stenico

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Leggendo le cronache del tempo si può vedere come la situazione del Convento della Buenamuerte stesse passando un momento molto delicato a causa della mancanza di personale religioso e di altri problemi sorti nel frattempo, per cui si stava cercando, da parte del Superiore Generale P. Enrico Damming e del Consultore Generale P. Giulio Munaro insieme al Delegato Generale per il Perù P. Giuseppe Ser-rarens e al Superiore Provinciale della Provincia LV P. Forsenio Vezzani, una soluzione dei problemi conveniente per tutti. Già nel gennaio dell’anno precedente, P. Alberto Davanzo aveva anticipato in Vita Nostra che “dopo varie riunioni sopra il tema dell’aiuto alla Provincia Peruana, i Camilliani di Colombia erano arrivati alla conclusio-ne di ritirarsi da Barquesimeto (Vene-zuela), dove appunto si trovava P. Emi-lio, per sviluppare quella fondazione

e da Bucaramanga (Colombia) per dare un aiuto alla comunità di Lima inviando provvisoriamente due Padri”.

Ma si trattava di qualcosa di puramente palliativo. Si continuò dunque a cerca-re una soluzione definitiva, e questa fu trovata durante riunione dei Superiori sopra citati a cui si aggiunse il nuovo Delegato Provinciale di Colombia P. Emilio Stenico. Era il 23 marzo 1975. Anche per la disponibilità manifestata da P. Emilio in nome della Delegazio-ne di Colombia, si arrivò alla seguen-te conclusione: “Sembra che l’unica soluzione possibile e valida sia un aiu-to della Provincia Lombardo Veneta o direttamente o attraverso la Delegazio-ne di Colombia, secondo lo spirito di comunione del Concilio Vaticano II. Se questa soluzione non fosse possibile,

molto probabilmente si dovrà arrivare alla soppressione della casa di Lima”. La situazione era quindi drammatica. Possiano dire che ora il pallone stava nel campo della Delegazione di Colom-bia. Non so dire cosa avrà fatto e quan-to avra riflettuto, pregando, P. Emilio. Quelli che lo conoscono lo possono intuire. Consultò i suoi religiosi e il 4 aprile annunciò che il Consiglio della Delegazione, dopo aver esaminato la proposta, “no tenía nada en contra de que la Comunidad del Perú forme parte de la Provincia Lombardo Veneta incor-porándose a la Delegación de Colom-bia”. Fu la porta che aprì alla soluzione finale, approvata poi generosamente dalla Provincia Lombardo-Veneta e dalla Consulta Generale che permise la realizzazione di detta “incorporazione” a partire dal 1 settembre 1975 e dei cui frutti stiamo ancora godendo.

Grazie, P. Emilio, non solo per aver aperto la porta, ma anche perché poi, tu stesso, sei entrato per alimenta-re con la tua presenza e la tua azione efficace il rifiorire e la crescita di que-sta “pianticella”, oggi sviluppata sino a trasformarsi in “pianta” frondosa con molti virgulti. Si legge nella cro-naca: “Il 2 settembre 1978 arrrrivò a Lima, in sostituzione del P. Padovan, P. Emilio Stenico che in quei giorni era tornato dal Canada con il titolo di Supervisore in CPE. La sua presen-za nel Perù fu una benedizione di Dio perché nei molti anni che poi passò nel Perù, prestò un prezioso servizio pasto-rale negli ospedali ‘Arzobispo Loayza’ e ‘Dos de mayo’, spese molte energie nella formazione dei Volontari/e della Pastorale della salute in tutto il paese, diede una notevole collaborazione nel-

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la pastorale vocazionale e formazione dei Novizi, portò la sua preziosa espe-rienza nel Consiglio della Delegazio-ne in cui fu ininterrottamente eletto”. Questo distacco dalla Colombia, dove egli stesso con due giovani confratelli del suo paese aveva aperto le porte ai camiliani con la fondazione in Bogo-tà, seguita poi da quella di Medellin e che per vari anni guidò come responsa-bile provinciale, certamente gli causò grande sofferenza, ma egli con saggezza e spirito religioso accettò questa obbe-dienza che seppe poi far fruttificare in opere preziose.

Grazie, P. Emilio, per tutte queste opere preziose che realizzasti qui in Perù per 28 anni. In particolare qui vorrei ricordare la tua collaborazione nella formazione dei nostri giovani candi-dati. Ricordo i primi anni quando mi accompagnavi nella promozione voca-zionale nel nord e centro del Perù, par-

lando con entusiasmo di S. Camillo e sostenendomi poi negli sforzi formativi e nell’organizzazione dei programmi di formazione. Ricordo quando nel 1987, con sacrificio, accettasti l’incarico di Maestro dei Novizi che per parecchi anni hai svolto con competenza e amo-re nelle diverse case di noviziato.

Ricordo la tua gioia quando si potè inaugurare l’attuale casa di noviziato dopo tanti tentativi e ti impegnasti, trascinando anche i novizi, a rendere sempre più bello il terreno circostante “rompendo pietre e pregando il Signo-re” come, sorridendo, si diceva allo-ra. Anche tutti quei giovani che hai accompagnato oggi ti ringraziano.

Grazie, P. Emilio, per la tua genero-sa e infaticabile e competente dedizio-ne, tanto nell’apostolato attivo con gli ammalati come nella formazione degli operatori della pastorale della salute, iniziando per loro nel 1984 quei corsi di formazione che in seguito si sarebbero sviluppati con te e con altri confratelli, arrivando a istituzionalizzarli nel Cen-tro Camilliano di Pastorale, inaugurato dal grande amico Mons. José Dammert nel luglio del 1988 con tua grande gio-ia, e poi nell’attuale CEFOSA. Ma il tuo “gioiello” è “Siloé” ricavato dalla struttura antica di Sant’Alberto di Cha-crasana vicino al noviziato. Tu stesso gli desti il nome che ancora fa bella mostra di sé e provoca la curiosità dei gruppi che vengono per esercizi spirituale, incontri comunitari: “Siloé, enviado a sanar”. L’avevi iniziata questa attività di incontri spirituali negli anni ‘90, adat-tando alcuni locali antichi soprattutto per ammalati, ‘minusvalidi’, volontari della salute, ma a poco a poco si este-se a quanti cercavano un’oasi di pace

P. Emilio Stenico con il Superiore Generale, P. Monks, il Delegato, Giuseppe Villa, P. Camillo Scapin, altri Confratelli e Responsabiloi della Famiglia Laica Camilliana del Perù.

Padre Emilio Stenico

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spirituale. Sempre leggendo la cronaca traviamo: “una cosa molto importante fu decisa dal Consiglio di Delegazione su iniziativa del P. Emilio Stenico il 9 aprile dell’anno 2.000, cioè, portare a compimento i lavori di ristrutturazio-ne dell’antico ‘casco’ del terreno di San Alberto di Chacrasana vicino alla casa di noviziato e renderlo agibile per essere ‘Casa di spiritualità’ o di ‘Esercizi spiri-tuali’”.

All’inizio del Capitolo di Delega-zione, in novembre, P. Emilio con tutti noi ebbe la gioia di benedirlo e inau-gurarlo.

Grazie, P. Emilio, a nome della Familia Camilliana Laica della quale sei stato Assistente Spirituale Nazio-nale per parecchi anni animandola e sostenendola con meravigliose com-ferenze, saggi consigli e presenza pre-ziosa. Lascio la parola alla Presidente Nazionale attuale Susy Heinicke che parecchie volte ti visitò a Venezia e sempre mantenne per te un profondo senso di rispetto e di gratitudine, fin dai primi anni di appartenenza alla Familia Camilliana Laica. In occasione della morte di P. Emilio scrisse ai Camillia-ni del Perú insieme alle condoglianze queste belle espressioni di stima: “Caris-simi Religiosi Camilliani, Padre Emilio riposa già nella misericordia del Signore dopo una vita dedicata al servizio degli ammalati e di tante persone che vivono il carisma camilliano.

La sua morte ci lascia una profon-da pena, ma allo stesso tempo ci da occasione di elevare un sincero ringra-ziamento a Dio per il regalo della sua persona e per aver potuto condividere molti anni con lui godendo della sua saggezza, della sua bontà, del suo sorriso,

della sua competenza, della sua presenza affabile, infine di tutta la sua persona. Per noi della Familia Camilliana Laica è una gran perdita, ma rimane sempre nel nostro cuore e nella nostra mente. Le mie condoglianze a tutto l’Ordine Camilliano, e specialmente alla Vice-provincia del Perù perché egli passò molti anni qui dove si sentiva a suo agio e felice”.

Grazie, P. Emilio, per l’esempio meraviglioso di una vita consacrata e sacerdotale camilliana i cui copiosi frut-ti solo Dio può conoscere, e che certa-mente ti hanno meritato il suo amoro-so invito promesso a tutti i suoi servi fedeli e generosi: “Vieni benedetto....”. Anche nella malattia che ti privò del-la parola, che sempre hai usato per fare tanto bene, sei stato una persona che ci parlava con il suo umile silenzio di quanto sia bello essere fedeli al Signore anche nella sofferenza.

Quando ci hai lasciato il 22 di ago-sto per traferirti all’Istituto San Camil-lo di Venezia-Alberoni per una terapia di riabilitazione specifica che ti poteva aiutare a ricuperare la parola, i tuoi gesti silenziosi di saluto ci dicevano che un pezzo di storia dei camiliani nel Perú se ne andava, lasciando però a tutti noi tuoi confratelli, e specialmente ai gio-vani, tracce meravigliose e più sonore delle parole che indicano un cammino sicuro per vivere e praticare il carisma della carità come voleva San Camillo.

Prega perché le possiamo sempre seguire in questo continente della spe-ranza che hai molto amato. Intanto ti diciamo ancora una volta con affetto: Grazie, P. Emilio!

P. Giuseppe Villa Cerri

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INTERVISTA SU P. EMILIO AD UN COMPAESANO E COMPAGNO DI AVVENTURA IN TERRA COLOMBIANA

Caro P. Renzo Roccabruna, incon-trandoti oggi, ti rivedo come nei bei tempi lontani degli studi. Ti ricordo sempre gioioso, estroverso, sufficiente-mente impegnato nella scuola e nella vita comunitaria, ma brillantissimo sia sui campi di pallone come sui palco-scenici della nostra gloriosa compagnia teatrale. Nel 1964, improvvisamente, un fulmine a ciel sereno: P. Renzo e P. Silvestro partono per la missione in Colombia.

1. Domanda - Dove è nata e cosa ti ha guidato in una scelta così coraggiosa ed ardita?

Risposta - Può sembrare strano, ma la mia scelta per un’esperienza così avventurosa e inaspettata è nata sola dall’obbedienza al Superiore Provincia-le, P. Forsenio Vezzani che, su richie-sta del Cardinale di Bogotà, Cordoba Concia, aveva in programma l’apertura di una Comunità Camilliana nell’Ospe-dale San Giovanni di Dio in Colombia. Con altri due miei compagni di avven-tura ci siamo travati al Santuario del-la Madonna di Piné per mettere noi e la nostra Fondazione nelle mani della Madonna.

2. D. Come è stato il tuo impatto con la realtà colombiana?

R. Ci siamo sentiti come paracadu-tati in una terra sconosciuta

Una scoperta e un impegno. Accol-ti con tanto entusiasmo dalla Autorità civili, religiose e dalla Comunità ospe-daliera, ci siamo messi all’opera per imparare bene la lingua e per conoscere

meglio l’ambiente, la cultura sociale e religiosa della nazione latino-americana.

3. D. Eccoci a P. Emilio Stenico, uno dei ‘pionieri’ della missione colom-biana. Ricordo che era stato anche il mio primo Direttore nel seminario minore di Mottinello, ma ora oserei chiamarlo ‘tuo compagno di avventura’. Il bel paese trentino di Fornace non è certo un paese di navigatori ma di scalatori e scavato-ri di porfido. Da Fornace, siete partiti, in Tre Camilliani (P. Emilio Stenico, P. Silvestro Caresia e P. Renzo Roccabru-na), per approdare alla terra del grande navigatore italiano, Cristoforo Colombo da cui il Paese prende il nome. La vostra missione in Colombia, più che un’attra-versata dell’oceano, non è stata una sca-lata ad un paese, ad una cultura ricca di tanti valori ma povera del messaggio di amore di San Camillo per i malati?

R. Con la nostra fiammante Cro-ce Rossa, sconosciuta come tale in Colombia, inizialmente, proprio come San Camillo, ci siamo immersi negli Ospedali. L’accoglienza dei malati nei nostri confronti è stata gioiosa e frut-tuosa. Solo successivamente ci siamo inseriti anche nelle Opere Sociali, nella Formazione del Personale Ospedaliero e del Volontariato. Significativa è stata la nascita e la crescita della Famiglia Camilliana Laica, ancor oggi aperta a belle prospettive in Colombia.

4. D. Emilio, il più anziano, era anche la ‘guida del promettente e giovane gruppo’. Come è stata per te ‘la sua guida comunitaria e pastorale colombiana’?

Padre Emilio Stenico

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R. P. Emilio è stato un ‘faro e una bussola’ per noi. Aperto al dialogo… disposto ad aiutarci in ogni situazione e… sempre in preghiera, anche per noi!

5. D. Io ricordo P. Emilio come reli-gioso raccolto, sereno e fedele alla vita religiosa; forse un po’ ‘mistico’ e legato ad una formazione religiosa rigida, secondo i ‘sacri canoni’ di allora. Anche la Comu-nità Camilliana Colombiana ha avuto i suoi tempi di fioritura entusiasmante, di incertezze e di ‘contestazione sessantotti-na’ sia in campo formativo che in cam-po pastorale e comunitario. Il Sacerdote colombiano Camillo Torres, tanto osan-nato dai giovani ‘sessantottini’, voleva essere una provocazione e un’opportunità di rinnovamento. Come li viveva P. Emi-lio e come reagiva?

R. Pur restando sempre legatissimo e fedele ai suoi valori umani e religio-si, P. Emilio ha cercato di dialogare, di aggiornarsi sulle nuove proposte for-mative sui nuovi problemi comunitari, formativi, sociali e religiosi. A questo scopo ha frequentato dei ‘corsi specifi-ci’ in Canada per poter trasmettere ‘al meglio’ i suoi incrollabili valori umani e cristiani. Per le provocazioni di Camillo Torres, che portavano venti di rinnova-mento e di contestazione sia in Comu-nità che nella società e nella Chiesa, P. Emilio ne soffriva e… pregava molto.

Dialogava con tutti per trasmettere

fiducia nel Signore e un po’ di serenità anche davanti a situazioni così sconvol-genti.

6. D. Come era P. Emilio nel suo incontro con i malati, con gli Operatori Sanitari ecc.? Come trasmetteva la sua fede, la sua spiritualità e il carisma di San Camillo?

R. Fedelissimo ai suoi impegni, si presentava con la sua serenità disar-mante, con la tenerezza di San Camillo ed era ascoltato ed apprezzato da tutti. Si può dire che chi lo incontrava senti-va spuntare nel suo cuore ‘la nostalgia di Gesù e del suo Messaggio di Miseri-cordia’.

7. D. Secondo te, quale è il messag-gio più vero e genuino che P. Emilio ci lascia con la sua lunga e laboriosa vita, provata anche dal dolore e dalla malattia negli ultimi anni?

R. Tornato in Italia per la grave malattia che lo ha colpito, ho avuto modo di incontrarlo varie volte nella nostra Comunità del Lido. Rispondeva sempre a tutti gli Operatori che lo cura-vano con il suo silenzio costretto, con il sorriso raggiante e con qualche breve stretta di mano. Mi è sembrato il “Gua-ritore ferito”. Ha vissuto e testimoniato la pazienza, la sopportazione, la fede e l’abbandono in Dio che trasforma ogni nostra lacrima in luce ed ogni nostro dolore in attesa di vita.

È stato missionario in due mondi, in Italia e in America Latina. Quan-ti ‘grazie!’ dobbiamo dirgli... Quale bel ‘messaggio’ dobbiamo cogliere dalla sua intensa, laboriosa e sofferta vita religiosa camilliana!

P. Renzo Roccabruna P. Carlo Vanzo

San Camillo-Alberoni/VE. P. Emilio con i suoi amati nipoti.

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06.03.2009

PADRE FRANCISCO ÁLVAREZ RODRÍGUEZ(1944 - 2015)

Cinque talenti:Hai lavorato duro,ti hanno dato cinque talentie tu ne hai guadagnati altri cinque.

(J. Mª Pemán)

Padre Francisco Alvarez, religioso camilliano, è morto nel centro assistenziale camilliano di Tres Cantos (Madrid) intorno a mezzogiorno, il giorno 9 gennaio 2015, all’età di settant’anni. È morto come se avesse previsto la sua fine, circonda-to dai suoi confratelli di comunità, dalla famiglia e dagli amici: tutti pregavano e cantavano accompagnando l’addio in serenità.

Durante gli ultimi due anni della sua vita, a causa di un tumore al cervello che lo ha condotto alla morte, osservando dall’esterno, sembrava che il pensiero, i gesti e le parole di padre Francisco si stessero ritirando lentamente dalle cose di questo mondo, quasi per adattare la sua vita a una nuova dimensione dell’esistenza.

I segni di questa nuova dimensione si stavano evidenziando nel volto sereno e luminoso che andava tranquillizzandosi mentre avanzava verso il tramonto di que-sto mondo. In quei momenti, p. Francisco, aiutato dall’atmosfera della sua stanza, si immergeva in una preghiera più intima e personale che non lo ha mai lasciato, il rosario. Ricordo di aver sentito dire che aveva preso l’abitudine di finire la giornata con il rosario e le litanie in latino, naturalmente. Quelle invocazioni ripetute a memoria, narravano i principali capitoli della sua biografia di religioso camilliano: Salute degli infermi ... Regina dei patriarchi ... Regina dei profeti ... Regina degli apostoli ...!

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1. PatriarcaPadre Francisco Alvarez aveva l’a-

spetto del Patriarca. La sua morte a settant’anni ci ha impedito di vederlo nella pienezza di quell’immagine, ma la sua personalità esprimeva molti tratti paterni, caratteristiche patriarcali, di capo del clan, di fondatore della tribù come quegli antenati biblici, custo-di fedeli del patto del Signore e guide sicure nelle difficoltà delle loro fami-glie e dei loro villaggi. Padre Francisco, come loro, ha voluto fondare e fondò nuove comunità. Si sentiva a casa sua nelle assemblee delle famiglie religio-se che cercavano il suo consiglio. Ha accompagnato ritiri ed esercizi spirituali di molti istituti, soprattutto femminili. Ha sostenuto molte superiore religio-se nelle loro decisioni di governo, con consigli sicuri. La sua guida spirituale e sapiente è stata richiesta da diverse congregazioni in vista dell’invecchia-mento dei loro membri, materia in cui p. Francisco aveva molta esperienza e competenza.

Ma il patriarca ha anche tentazioni, tra cui quelle proprie della sua missione.

Talvolta le guide patriarcali conservano e mantengo rapporti assorbenti, diret-tivi o eccessivamente protettivi con il proprio popolo o con i membri della tribù di appartenenza. Altre volte sono stati considerati, o loro stessi si sono considerati, proprietari della eredità che gestiscono o che amministrano per conto del Signore, unico proprietario del terreno. Anche p. Francisco ha spe-rimentato tali tentazioni ed ha rischia-to di inciampare in alcune di esse. Ma, come il patriarca san Giuseppe, avver-tito in sogno nelle sue notti insonni, ha saputo anche reagire in tempo.

2. ProfetaCredo che senza dubbio, possiamo

considerare p. Francisco Alvarez un profeta del nostro tempo, comprenden-do questo servizio per gli individui e per le comunità come la mediazione di colui che parla nel nome del Signore, annunciando la sua parola e denun-ciando gli abusi che se ne possono fare. Francisco ha assunto fin da giovane il ruolo della guida della Provincia con la parola pronunciata o scritta, con le sue prediche e le lettere pastorali. Negli aeroporti, stazioni e viaggi in genera-le, era raro non vederlo con la penna in mano che preparava una lettera alla comunità verso cui si stava dirigendo, o perché lo avevano coinvolto per una conferenza, per una rivista o un libro.

Francisco aveva il dono del discer-nimento, usato senza mai dimentica-re che la Parola del Signore ci viene

P. Francisco Alvarez con il Superiore Generale, P. Renato Salvatore, il Provinciale, P. Vittorio Paleari, P. Leocir Pessini ed altri Confratelli in un incontro storico a Mottinello (VI).

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incontro anche attraverso i segni dei tempi. In lui si è realizzato alla perfezio-ne il consiglio di san Paolo: annuncia in ogni occasione, sia opportuna che inopportuna. In questo senso Francisco ha efficacemente contribuito a definire ed estendere la spiritualità camilliana, a promuovere nelle comunità dell’Isti-tuto lo studio della nuova Costituzione. Ha racchiuso il suo insegnamento in un prezioso libro che potrebbe alimentare la nostra preghiera comunitaria.

3. ApostoloApostolo, nella Chiesa, è la perso-

na inviata ad esercitare una missione. Questo è forse l’elemento più evidente nella persona di p. Francisco Alvarez. Lui, anzitutto, si è sempre sentito come una persona chiamata dal Signore e inviata a servirlo nell’Ordine Camillia-no. «Questo è il dono che più ho gra-dito da Dio, l’essermi sentito chiamato alla vita religiosa ed inviato al servizio dei malati», ha detto con modestia in alcune occasioni. Ma quando condi-videva questa confidenza, Francisco si emozionava interiormente fino a mostrare le lacrime agli occhi. Come Gesù di Nazareth, il Maestro, non dice-va mai «io» ma si definiva «quello che il Padre ha mandato» (Gv 6,29), così il nostro padre Francisco Alvarez senti-va un’identità profonda tra lui e la sua missione. In realtà, non ha mai rifiutato alcun servizio che la Chiesa o l’Ordine gli potevano richiedere. Si sentiva pro-fondamente definito dalla sua missione camilliana.

4. Promotore di SaluteNella vita di p. Francisco stava

diventando sempre più chiaro che la sua

missione era quella di promuovere la salute, una salute che sarebbe culmina-ta nella Salvezza. Non è esagerato dire, in questa occasione, che in Francisco, il suo «io» era legato strettamente alla promozione della salute. Lo ha dimo-strato a Roma, quando nei suoi anni giovanili si è impegnato come primo segretario dell’Istituto Internazionale di Pastorale della Salute (Camillianum), con la sua collaborazione continuativa nella rivista Humanizar, o nel triennio in cui ha coordinato il Dipartimento Nazionale della Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Spagnola o la delegazione diocesana dello stesso settore pastorale nella diocesi di Sant Feliu de Llobregat (Barcellona).

Padre Francisco ha dimostrato i suoi

P. Francesco Alvarez. Nella sua intensa e gioiosa vita camilliana ha spezzato generosamente il Pane della Parola di Dio, ha annunciato gioiosamente il Messaggio della speranza di Camillo per chi soffre e ha sempre celebrato con grande fede l’Eucarestia, ‘farmaco di vita’.Era particolarmente lieto quando poteva aiutare i malati anche nella refezione e nella somministrazione dei farmaci.

Padre Francisco Álvarez Rodríguez

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talenti personali anche nella riflessione teologica sulla Pastorale della Salute. In questo ambito, terra di evangelizzazio-ne come lo chiamava lui, ha trovato il suo tesoro personale che generosamen-te divideva con i suoi lettori, con gli ascoltatori delle sue lezioni, con i pro-fessionisti della salute, sempre orienta-to verso l’umanizzazione delle persone, dei programmi e dei servizi sanitari. Il suo lavoro fecondo in questo settore è culminato nella pubblicazione della tesi di dottorato, intitolata – logicamente –Teologia della salute.

5. Infermo, ma sanoMa la lezione più saggia ed intrigan-

te della sua carriera di insegnante, p. Francisco l’ha impartita nella sua malat-tia. A motivo del cancro annidatosi nel suo cervello, un glioblastoma multifor-me, p. Francisco ha perso la memoria ed è stato molto limitato nella sua mobilità e nella comunicazione verbale. Per due anni, a poco a poco, è diventato total-mente dipendente dai suoi assistenti. Ma come la povera vedova del Vange-lo, proprio nella sua povertà, ci ha dato l’offerta migliore e più grande.

La sua sedia a rotelle era diventata la nuova cattedra del neo-dottore. E da

quella sedia p. Francisco si è rivelato come testimone autentico di tutto ciò che aveva precedentemente insegnato. Da quella sedia, ha offerto le lezioni più profonde e più saggie: il vero amore, la vita tenera e reale come il pane appena sfornato.

Francisco, in silenzio, dalla sua sedia a rotelle ha offerto i sorrisi più ampi e gli abbracci più stretti e calorosi. Ha accarezzato i bambini, i giovani e i vec-chi con la gioia evangelica, mostrando che il Regno dei cieli è per coloro che diventano come bambini.

Prima della sua malattia non ave-va mai espresso emozioni così sincere e spontanee né versato lacrime tanto limpide. Con il suo silenzio, amichevole ed eloquente, ci ha insegnato la cosa più importante nella vita, e se a volte alzava la voce, il grido proveniva da un bisogno pressante che non ammetteva ritardi, non da un capriccio o da un interesse egoistico.

Con la sua povertà ci ha evange-lizzati; con la sua malattia ci ha reso tutti più sani e con la sua vulnerabilità tutti più forti. Ora riposa nella pace del Signore.

P. Jesus Maria Ruiz Irigoyen

P. Francesco Alvarez in foto di gruppo con Operatori Sanitari dei quali è sempre stato ‘anima e cuore’.

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In ricordo di Concetta Conte - F.C.L. al Cardarelli

Per me, onorare una persona morta è fare tutto quanto voleva che noi faces-simo per il nostro bene.

Concetta Conte durante tutta la sua vita terrena ha dimostrato con i fatti di aver sempre cercato la sequela di Cristo e la sua morte, giunta troppo presto, ha interrotto il film della sua vita.

Concetta è stata un’ottima infer-miera che ha speso i suoi anni presso il capezzale dell’ammalato sofferente, con dedizione ed amorevolezza proprio come fa “la mamma col suo unico figlio ammalato” come espresso da San Fran-cesco d’Assisi prima e da San Camillo dopo.

Chiunque ha avuto bisogno di lei ha sempre trovato la porta aperta dell’ac-coglienza, favorendo così una fraternità unica ed esclusiva che ancora oggi ci tiene uniti. Ricordiamo sempre il suo dolce sorriso di amica fidata e sincera, donato di buon mattino ad ogni pazien-te quanto al suo arrivo in corsia, pri-ma di indossare la divisa, portava il suo saluto ad ogni ammalato.

Dobbiamo dire “grazie di cuore” a Concetta per il suo fattivo impegno sostenendo la Cappellania dell’Ospe-dale Antonio Cardarelli della città di Napoli, mettendosi al completo ser-vizio. È stata lei a fondare in quest’o-spedale la Famiglia Camilliana Laica diffondendo tra tutti il carisma di San Camillo. È stata lei che ci ha chiamati a

far parte alla FCL del Cardarelli ed ora, che lei fisicamente non c’è più, il nostro impegno è quello di rafforzare questo vincolo che ci tiene uniti, e per render-le onore dobbiamo raccogliere tutte le forze per esaudire il suo desiderio.

È vero che tutti noi che l’abbiamo avuta sempre presente, maggiormente nei dispiaceri, ci sentiamo come peco-relle smarrite in una casa senza la mam-ma.

La sua volontà di far crescere la Famiglia, sarà il nostro impegno quoti-diano. Siamo sicuri che lei continuerà a guidarci poggiando il suo capo sul petto di San Camillo, su quella Croce rossa d’amore diventata il suo faro che ha illuminato la strada della sua vita.

Gaetano Coppola

Concetta Conte.Il suo sorriso riflette la sua bontà,

generosità ed anima camilliana.

Preghiamo per i Nostri MoRTi

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PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI

I PARENTI DEFUNTI

Sig. Letizia Rattin sorella di P. Lorenzo Rattin

Sig. Fabrizio De Miranda papà di P. Felice De Miranda

Sig. Giorgio Scapin fratello dei Padri Bruno e Liberale Scapin

Sig. Bernardo Aldegheri fratello di Fratel Angelino Aldegheri

Sig. Giovanni Villa papà di Fratel Tiziano Villa

Sig.ra Rita Peverelli mamma di P. Pasquale Anziliero

Sig. Giovanni Pastro fratello del compianto P. Angelo Pastro

RELIGIOSI DEFUNTI DI ALTRE PROVINCE

P. Bernard Grasser Provincia Francese

FLC DEFUNTE

Sig.ra Concetta ConteFCL e membro Istituto Secolare Missionarie Cristo Speranza

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