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S tu d i e ricerche
Colonialismo e razzismoImmagini dell’Africa nella pubblicistica postunitaria
di Paola Zagatti
Agire militarmente sulle coste africane del Mar Rosso per influire sull’equilibrio del Mediterraneo1, tentare di mettersi al passo delle grandi potenze coloniali europee approfittando del consenso dell’opinione pubblica, creare nuovi mercati per dare sbocco al futuro auspicato sviluppo dell’industria italiana, adombrare una soluzione per il problema dell’emigrazione, ma soprattutto sfruttare una favorevole congiuntura politica internazionale2: questi i principali motivi che spinsero il governo italiano a ordinare l’occupazione di Massaua nel 1885, dando inizio a una effettiva politica espansionista in Africa3.
Un aspetto almeno di questo coacervo di fattori è stato finora scarsamente approfon
dito, quello del consenso con cui l’opinione pubblica accolse l’invio dei soldati italiani in Africa4. Indizi significativi per risalire alle origini di tale consenso si possono ricavare dall’indagine sulla pubblicistica di argomento africano edita a partire dalla metà del secolo scorso5.
Conoscere l’Africa o conquistarla?
Le prime avvisaglie di un nascente interesse per l’Africa, si erano avute, dal punto di vista editoriale, fin dagli anni 1850-1860, con pubblicazioni sporadiche spesso di carattere specialistico, come il Catalogo descrittivo6
1 Questa la giustificazione dell’invio di truppe italiane a Massaua portata al parlamento dal ministro Mancini, nel discorso del 27 gennaio 1885: trovare nel Mar Rosso le chiavi del Mediterraneo (cfr. Roberto Battaglia, La prima guerra (¡’Africa, Torino, Einaudi, 1958, p. 180).2 Sul ruolo fondamentale giocato dall’incoraggiamento inglese all’occupazione italiana di Massaua si veda Ernesto Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d ’Italia, voi. IV, Dall’Unità a oggi, Torino, Einaudi, 1976, tomo III, p. 1748.3 II possesso della baia di Assab, acquistata nel 1869 dall’armatore Rubattino e da questi ceduta al governo dieci anni dopo, si era rivelato sterile sia dal punto di vista commerciale che da quello di una possibile estensione del territorio sotto controllo italiano.4 Antonino Di San Giuliano, La crisi dell’Africa italiana, “La Nuova Antologia”, voi. 144, fase. XXIV, dicembre 1895, p. 610, scrive che “con maggiore o minore rispetto dei diritti del Parlamento, ma certo col consenso e col plauso dell’opinione pubblica, nel 1885 fu occupata Massaua.”5 La ricerca bibliografica che ha permesso di raccogliere i dati necessari a questo studio è stata condotta su: Bibliografia d ’Italia (o italiana), che esce dal 1867 al 1883 a cura degli editori Bocca (Firenze-Torino), Loescher (Firenze- Torino), Muenster (Venezia); Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa alla Biblioteca nazionale di Firenze, 1886... (1957); Camera di commercio, industria e agricoltura della Somalia, sez. Fiere e Mostre; Bibliografia Somala, Mogadiscio, s.d.; Giuseppe Fumagalli, Bibliografia etiopica, Milano, Hoepli, 1893; Attilio Pagliaini, Catalogo generale della librerìa italiana dall’anno 1847 a tutto il 1899, Torino, Utet, 1901.6 Orazio Antinori, Catalogo descrittivo di una collezione di uccelli fatta nell’interno dell’Africa centrale nord, Milano, G. Daelli e comp. editori del Politecnico, 1864.
“Italia contemporanea”, marzo 1988, n. 170
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che il marchese Orazio Antinori7 aveva pubblicato nel 1864, a illustrazione della collezione ornitologica da lui raccolta in quelle zone dell’Africa centrale in cui si era recato, esule, dopo il 1848. Antinori avrà una parte non piccola nella preparazione e attuazione delle spedizioni italiane in Africa che ebbero luogo nel corso degli anni settanta e oltre, ma quando pubblica il Catalogo egli è un isolato, uno dei primi a sollecitare l’interessamento degli italiani per l’ancora semisconosciuto continente.
Un discorso analogo può essere riferito alla figura di Giuseppe Sapeto il quale, prima di trasformarsi in uno dei più accesi fautori della colonizzazione del Corno d’Africa8, percorre nei primi anni cinquanta l’entroter- ra di Massaua, dove svolge sia la propria attività di missionario, sia quelle di naturalista, etnografo e archeologo, pubblicando poi i risultati della sua esperienza9.
Un tipo di attenzione diversa al continente africano, rispetto a quella manifestata da Antinori e da Sapeto, è espressa in un opuscolo, edito nel 1864, che raccoglie sei lezioni di carattere storico sulle colonie, “una piccola frazione — come spiega l’autore stesso, l’economista Gerolamo Boccardo — del Corso di Economia internazionale, che davanti ad un imponente uditorio ho fatto, durante l’inverno 1863-64 e la primavera ora cessata, nel grande anfiteatro delle Scuole Tecniche serali
in Genova”10. Assumendo la potenza britannica come sufficiente dimostrazione della fondamentale utilità economica e sociale rappresentata per uno stato dal possesso di basi o territori coloniali, Boccardo ritiene ormai giunto il tempo “che l’Italia domandi a se stessa il perché, sola ed unica fra le grandi nazioni d’Europa, ella non possegga un sol palmo di terreno al di là de’ suoi lidi; [...] che si domandi se, con meglio di 4,500 chilometri di costa, con una delle più numerose ed abili ed intrepide popolazioni marittime, con un genio eminentemente attivo, versatile, pieghevole ed intraprendente, [...] è giusto, è dignitoso, è utile per lei il tenersi in disparte di quel vasto movimento coloniale, in cui tanti altri
■popoli, [...] vanno da secoli acquistando tesori di gloria e di ricchezza”11.
Dopo aver illustrato la storia delle colonizzazioni dall’epoca dei fenici ai suoi giorni, l’autore conclude nel modo seguente: “Vi sarà ancora chi dubiti aver l’Italia, non dirò solo il diritto, ma la convenienza ed i mezzi e il dovere di imitare in questo l’esempio delle altre potenze marittime? Che dico? l’esempio che diede ella stessa in altri tempi? [...] Fra pochi anni il Mar Rosso vedrà le sue acque comunicanti con quelle del Medi- terraneo, mercé del Bosforo da Paiusto a Suez: ebbene, sulle spiagge dell’Abissinia o dell’Yemen non vi ha scoglio alcuno, [...] che diventi un giorno l’Aden d’Italia”12?
7 Notizie sulla vita e sulla attività di esploratore di Antinori si trovano nel Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1971, voi. Ili, pp. 464-467. Di Antinori parlano diffusamente R. Battaglia, La prima guerra, cit., in particolare alle pp. 119-121, e Maria Carazzi, La Società Geografica Italiana e l ’esplorazione coloniale dell’Africa (1867-1900), Firenze, La Nuova Italia, 1972.8 Un profilo di Giuseppe Sapeto è fornito da Francesco Surdich, L ’esplorazione italiana dell’Africa, Milano, Il Saggiatore, 1982, pp. 41-42. Sull’operato di Sapeto per l’acquisto di Assab si veda R. Battaglia, La prima guerra, cit., pp. 77-88. Fra le pubblicazioni africaniste di Sapeto si ricorda Assab e isuoi critici, Genova, Pellas, 1879.9 Giuseppe Sapeto, Viaggio e missione cattolica fra i Mensa, i Bogos e gli Habab, Roma, coi tipi della S. Congregazione di Propaganda Fide, 1857.10 Gerolamo Boccardo, Le colonie e l ’Italia. Sei lezioni del prof. Gerolamo Boccardo, “La scienza popolare. Pubblicazione diretta da Michele Lessona”, Torino, tip. scolastica di Seb. Franco e figli, 1864. La biografia di Boccardo si trova in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1969, voi. XI, pp. 48-52.11 G. Boccardo, Le colonie, cit., p. 2.12 G. Boccardo, Le colonie, cit., p. 82.
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Profonda è dunque la differenza che separa l’atteggiamento di Boccardo verso i territori che non appartengono agli europei, in particolare verso quelli africani, da quello di Sapeto e di Antinori. Considerando la colonizzazione occidentale del resto del mondo uno stadio necessario al progresso della civiltà, l’autore presenta la conquista di colonie alla stregua di un fenomeno naturale, attraverso il quale, a prezzo di un inevitabile quanto fecondo spargimento di sangue, a una “razza degradata ed inculta, forse una razza cannibale” , succede un popolo che le apporta “il soffio avvivatore della civiltà”. La prospettiva della conoscenza è compieta- mente cancellata in Boccardo a favore di quella della conquista dei popoli “inferiori” in nome della “civiltà”, dando inizio in questo modo a un filone che, come si vedrà, dopo aver percorso in sordina gli anni settanta e i primi anni ottanta del secolo scorso, prenderà vigore quando si tratterà di fornire argomenti a favore delle conquiste italiane nel Corno d’Africa.
Un simile punto di vista e le motivazioni che lo accompagnano implicano di necessità la svalutazione, per non dire il disprezzo,
dell’uomo africano: ad essi fornisce abbondanti argomenti l’opuscolo, pubblicato nello stesso 1864, nel quale Filippo Manetta13 raccoglie annotazioni e considerazioni di esploratori e antropologi su La razza negra nel suo stato selvaggio in Africa e nella sua duplice condizione di emancipata e di schiava in America14 15. La rilevanza dello scritto risiede non tanto nell’eccentrica posizione assunta a proposito della guerra di Secessione dal suo autore che, in una Italia ancor fresca della lettura de La capanna dello zio Tom'5, afferma essere la condizione di schiavo in America la migliore possibile per l’africano di pelle nera, quanto nel costituire uno dei primi esempi, in Italia, di utilizzazione di teorie antropologiche ‘scientifiche’ in ambito non specialistico e in funzione scoperta- mente ideologica, come già indicano le prime righe della Prefazione: “Il presente lavoro ha uno scopo solo — quello di mettere sott’occhio a’ miei concittadini le opinioni dei più valenti antropologi del Vecchio e del Nuovo mondo, non che dei più distinti viaggiatori defunti e viventi intorno al carattere morale, intellettuale e fisico della RAZZA NEGRA, affinché possano giudicare con
13 II nome di Filippo Manetta compare in un elenco di sovversivi italiani operanti a New York nel 1851 (A. Colombo, A proposito di una lettere inedita di Giuseppe Mazzini, “Rassegna storica del Risorgimento”, 1932, fase. 1, p. 9); Gaetano Arfé (La guerra di Secessione americana nei dispacci del rappresentante italiano a Washington, in “Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea”, 1961-1962, voli. XII-XIV, pp. X83- 212), definisce Manetta un antropologo “che raccoglie opinioni dei suoi colleghi razzisti e filoschiavisti europei ed americani, a testimonianza del carattere superficiale e retrivo della scienza antropologica italiana nel secondo Ottocento, che sboccherà nell’interpretazione razzistica della ‘questione meridionale’”, citando al proposito lo scritto di Manetta di cui alla nota seguente. Esaminando però le altre opere di Manetta, nessuna delle quali è di carattere antropologico, ma riguardano argomenti che vanno dalla coltivazione del cotone alla grammatica inglese (cfr. A. Pagliaini, Catalogo generale, cit., p. 575), propenderei per la definizione di viaggiatore e poligrafo piuttosto che di antropologo tout court.14 Filippo Manetta, La razza negra nel suo stato selvaggio in Africa e nella sua duplice condizione di emancipata e di schiava in America. Raccolta delle opinioni dei più distinti antropologi d ’Europa e d ’America, non che di celebri viaggiatori, messa insieme e corroborata da osservazioni proprie del prof. Filippo Manetta, Torino, tip. del Commercio, 1864.15 La prima edizione italiana in volume del romanzo di Elizabeth Beecher Stowe uscì a Milano nel 1852. Ad essa fecero immediato seguito svariate ristampe e una produzione ‘laterale’ di cui è testimonianza un’opera come “La capanna di Tom, azione storico-allegorica in tre quarti e sette scene del coreografo Giuseppe Rota da rappresentarsi nel gran teatro comunale di Bologna l’autunno del 1858: posto in ¡scena e diretto dal Coreografo Ferdinando Pratesi”, Bologna, Tip. delle Belle Arti, [1858].
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piena cognizione di causa quale sia il posto che essa dovrebbe occupare in natura” .
Un significativo esempio delle opinioni citate da Manetta è dato da un brano tratto da Kraft und S toff di Ludwig Büchner: “Una serie costante delle più svariate transizioni ed analogie legano il mondo animale, dal tipo più basso al più alto. Ogni uomo, che nel suo orgoglio spirituale si crede elevato al disopra della creazione animale, è lungi dal fare eccezione alla regola. La razza etiopica lo congiunge al mondo animale per mezzo delle più sorprendenti analogie. Le lunghe braccia, la forma del piede, la esile polpa, le lunghe e piccole mani, la generale magrezza, il naso poco sviluppato, la sporgente mascella, la bassa e recedevole fronte, la piccola testa, l’angusta pelvi, il disgustevole odore, la sucidezza, le smorfie nel parlare, la stridula voce, sono altrettante impronte che mostrano nel modo più manifesto il deciso avvici
namento del Negro alla Scimmia. E che egli poi le rassomigli nelle capacità mentali, è sufficientemente riconosciuto e stabilito dai migliori osservatori”16.
Negli anni in cui scriveva Manetta le discipline antropologiche si erano ormai staccate dall’ambito filosofico per entrare in quello della scienza o, per usare una frase di Lombroso, “ai sogni dei teologhi [sic], alle fantasticherie dei metafisici” avevano sostituito “pochi aridi fatti... ma fatti”17. E “fatti” erano considerati quelli della frenologia, disciplina nata sul finire del XVIII secolo, che sembrò permettere una classificazione esatta delle “razze umane” , alla quale fece seguito nel corso dell’Ottocento e sempre in ambito antropologico la definizione di una gerarchia intellettuale, morale ed estetica fra esse. Tale gerarchizzazione trovò fra i propri sostenitori, ben addentro la seconda metà del secolo, divulgatori di fama come Paolo Mantegazza18.
16 F. Manetta, La razza negra, cit., p. 38. Ludwig Biichner (Darmstad 1824-1899) scienziato e pensatore tedesco, fu un convinto sostenitore della concezione materialistica della realtà, che espose nella sua opera di maggiore importanza e successo, Kraft und Stoffa 1855).17 Cesare Lombroso, L ’uomo Bianco e l ’uomo di colore. Letture su l ’origine e la varietà delle razze umane, Padova, Sacchetto, 1871.
La nascita dell’antropologia come scienza esatta e il suo sviluppo sono efficacemente delineati da Giulio Barsanti, L ’uomo tra “storia naturale”e medicina 1700-1850, e da Claudio Pogliano, Il cranio e il corpo, rispettivamente nel I e II capitolo del catalogo della mostra “Misura d’uomo. Strumenti, teorie e pratiche dell’antropometria e della psicologia sperimentale tra ’800 e ’900” , tenutasi all’Istituto di Storia della Scienza di Firenze dal 15 maggio al 12 luglio 1986. In questi due capitoli si trovano informazioni sull’opera di alcuni degli antropologi più famosi citati da Manetta, come Blumenbach e Bratiolet. Gli ultimi due capitoli illustrano le utilizzazioni in campo psichiatrico e criminológico degli studi antropometrici, mentre non vi si fa menzione delle conseguenze che le teorie razziali basate su tali studi ebbero nei rapporti con le popolazioni extraeuropee.18 Paolo Mantegazza, Fisionomia e mimica, Milano, Dumolard, 1881, tavv. II, IV, V sgg. (sull’opera di Mantegazza come divulgatore si veda Giovanni Landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia (1860-1900), Firenze, Olschki, 1977). Sull’effetto catastrofico, in termini di costi umani, della giustificazione ‘scientifica’ dei pregiudizi razziali, che ‘dimostrava’ l’irrimediabile inferiorità biologica, e quindi intellettuale e morale, del non — bianco, o non — ariano, si vedano Stephen J. Gould, Intelligenza e pregiudizio. Le pretese scientifiche de! razzismo, Roma, Editori Riuniti, 1985, e M.F. Ashley Montagu, La razza. Analisi di un mito, Torino, Einaudi, 1966. Una analisi del progressivo avvicinamento della teoria razziale, dal Rinascimento alla prima metà dell’Ottocento, a posizioni scienti- ste che escludevano, per motivi genetici, la recuperabilità del ‘selvaggio’ alla ‘civiltà’, si trova in Giuliano Gliozzi, Le teorie della razza nell'età moderna, Torino, Loescher, 1986. George L. Mosse traccia una sintetica storia del razzismo nella voce Razzismo dell’“Enciclopedia del Novecento”, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1980, voi. V, pp. 1052-1063.
Il lavoro di Montagu, benché risalente, nella sua prima stesura, agli anni del secondo conflitto mondiale, contiene una critica, a mio parere ancora attuale, al concetto e al termine di “razza”, in particolare ai capitoli I e IL Gli attuali sistemi di catalogazione delTumanità, poi, a seconda dei metri antropologici classici, di quelli della biologia genetica e dell’antropologia culturale sono concisamente esposti e discussi in Guido Modiano, Razza, “Enciclopedia del No-
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Il “selvaggio nostro fratello”
Le pubblicazioni di cui si è parlato finora si riferiscono al periodo precedente il 1870. Il decennio che segue questa data vede un allargamento dell’interesse per l’Africa da parte di nuovi e più larghi settori dell’editoria. Anche l’Italia appare partecipe di quella che Raymond Betts definisce “l’atmosfera culturale” dettata dallo “spirito espansionistico dell’epoca” tanto che “l’imperialismo non fu una curiosa aberrazione di quell’epoca: fu tutt’uno con essa, forse la forma più esasperata nella quale si riversò lo spirito del tempo”19. Anche in Italia nascono le prime società geografiche, le cui spedizioni d’esordio sono dirette verso l’Africa orientale20. Alcuni economisti si preoccupano di scuote
re il governo e l’opinione pubblica affinché l’Italia entri nel novero delle nazioni coloniali. Fra questi spicca Leone Carpi con l’opera Delle colonie e dell’emigrazione degli italiani all’estero21, nella quale la soluzione del problema dell’emigrazione e dell’ordine pubblico è vista nell’imitazione dell’esempio tedesco, cioè “nell’estendere l’eccedente della propria vitalità e della propria vigorosa azione nelle contrade più lontane del globo per trarne maggior vigoria e maggior ricchezza, avvegnaché i popoli che tennero largo posto nella storia, e vi lasciarono maggiori tracce, ebbero, per naturai legge, una forte espansione di vita, e quindi un vasto sistema coloniale”22.
Nel periodo che va dal 1870 al 1884 le prese di posizione filocolonialiste espresse in
vecento”, cit., voi. V, pp. 1032-1051. Affermando essere “dovere etico dell’uomo quello di accettare, e soprattutto attuare, il principio dell’uguaglianza umana svincolandolo completamente dai risultati della scienza, che anzi, se investita di una tale responsabilità morale — che non le compete — e guidata da una forte carica emotiva, diventerebbe fatalmente una pseudoscienza”, Modiano giunge a una conclusione sostanzialmente concorde con quelle di Montagu e di Gould.19 Raymond F. Betts, L'alba illusoria. L ’imperialismo europeo nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 15.20 Fra la seconda metà degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta vi si erano dirette le prime spedizioni italiane di esplorazione alla cui organizzazione fosse stata data risonanza nazionale. Nel 1876 aveva preso il via quella organizzata dalla Società geografica italiana, nel 1878 la Società d’esplorazione commerciale in Africa di Milano inviava una delegazione nelle stesse zone. Mentre la prima muove da un ambizioso progetto di studio, che dovrebbe riportare in patria un panorama completo degli aspetti naturalistici, umani ed economici del Corno d’Africa, la seconda si prefigge scopi puramente commerciali. Di entrambe si possiedono i resoconti vergati in prima persona dai partecipanti: per la Società geografica italiana, quello di Antonio Cecchi, Da Zeila alle frontiere del Coffa, Roma, Loe- scher, 1885-1887; per la Società d’esplorazione commerciale in Africa, quello di Pellegrino Matteucci, In Abissinia, Milano, Treves, 1880. È opportuno segnalare che entrambe le relazioni disegnano un quadro sostanzialmente sfavorevole all’impianto sia di un commercio di vasta portata con le popolazioni dell’entroterra, sia di una colonia di popolamento. Ulteriori informazioni sulle vicende che precedettero e accompagnarono, anche in modo tragico, la spedizione di Cecchi si vedano in M. Carazzi, La Società Geografica Italiana, cit., e R. Battaglia, La prima guerra, cit.; la preparazione e lo svolgimento della missione in Africa di Matteucci sono raccontati in Anna Milanini Kemény, La Società d'Esplorazione Commerciale in Africa e la politica coloniale (1879-1914), Firenze, La Nuova Italia, 1973.21 Leone Carpi, Delle colonie e dell’emigrazione degli italiani all’estero, Milano, tip. Lombarda, 1874, voli. 4. Una biografia di Carpi si trova nel Dizionario biografico degli italiani, cit., 1977, voi. XX, pp. 599-604; altre notizie sulla sua attività politica sono riferite da Alberto Malatesta, Ministri, deputati, senatori. Enciclopedia biografica e bibliografica “Italiana”, Milano. E.b.b.i., 1940-1941, serie XLIII, voi. I, p. 215.22 Per un’analisi dell’“imperialismo sociale” di Bismarck si veda il saggio di Hans-Ulrich Wehler, Crescita industriale e nascita dell’imperialismo tedesco, in Roger Owen e Bob Sutcliffe (a cura di), Studi sulla teoria dell’imperialismo. Dall’analisi marxista alle questioni dell’imperialismo contemporaneo, Torino, Einaudi, 1977, pp. 85-109. Per quanto riguarda l’Italia, l’intervento di Carpi si rivela alquanto anticipatore, poiché nel nostro paese condizioni di sviluppo industriale somiglianti a quelle tedesche degli anni settanta-ottanta si avranno solo nel periodo 1896- 1913, che non a caso coincide con gli anni della maturazione anche in Italia di una vera e propria “coscienza imperialistica” (cfr. VIntroduzione alla parte prima del volume a cura di Luigi Coglia e Fabio Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all’impero, Roma-Bari, Laterza, 1981; in particolare sull’industrializzazione vedi pp. 38 sgg.).
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modo così diretto come in Carpi e in Boc- cardo sono piuttosto rare23, mentre una forma più discreta di sensibilizzazione dell’opinione pubblica al tema dell’Africa e della sua colonizzazione era rappresentato dalla diffusione dei racconti di viaggio pubblicati dagli esploratori del tempo. Questo tipo di letteratura circolava già fra i lettori europei24, e non a caso è attraverso gli eleganti volumi illustrati pubblicati da uno dei più aggiornati editori italiani, Emilio Treves25, che l’Italia comincia a conoscere il mondo delle avventure africane e i suoi protagonisti, del che lo stesso Treves si fa vanto nella prefazione editoriale a un volume di David Livingstone: “Se il nome del gran viaggiatore africano è popolare anche in Italia, se le sue scoperte sono eziandio fra noi conosciute, ciò è dovuto, — sia permesso il vantarcene come d’un bene fatto alla cultura del no
stro paese — ciò è dovuto alle incessanti pubblicazioni che da parecchi anni andiamo facendo per divulgare le cognizioni geografiche e i viaggi moderni”26.
Negli anni in cui la navigazione a vapore soppiantava quella a vela, le reti ferroviarie si infittivano e i più remoti territori venivano raggiunti e svelati dall’uomo bianco, Emilio Treves sfrutta prontamente le molte curiosità che il progresso delle conoscenze geografiche suscita nel pubblico: nel 1863 dà inizio alla pubblicazione della rivista “Il Giro del mondo”, ristampa in italiano del parigino “Le Tour du monde”27, seguita nel 1871 dal “Giornale popolare di viaggi”28, mentre dal 1869 escono i volumi della collana “Biblioteca di Viaggi”29.
Gli autori che ricorrono con maggiore frequenza in questa collana sono i più attivi e noti esploratori del tempo, il già citato Da-
23 Sulla “Nuova Antologia” l’unico intervento di rilievo in senso colonialista precedente alla proclamazione della Colonia Eritrea è quello di Attilio Brunialti, La questione dei possedimenti coloniali. La Gran Bretagna. La Francia e le altre potenze. Le nuove potenze coloniali e gli interessi italiani, voi. 70, fase. XVI, pp. 651-666 e voi. 71, fase. XVII, pp. 71-95 e fase. XVIII, pp. 305-326, 1883, nel quale si prospetta per l’Italia in Africa più una possibilità di colonizzazione commerciale che territoriale. Dal 1890 gli scritti sull’argomento si fanno più numerosi: Sidney Sonnino, L ’Africa italiana. Appunti di viaggio, voi. 109, fase. Ili, febbraio 1890, pp. 425-465; Leopoldo Franchet- ti, L ’Italia e la sua colonia africana, voi. 117, fase. XI, giugno 1891, pp. 477-509 (pubblicato anche in opuscolo a Città Castello, Lapi, 1891); Id., L ’avvenire della nostra colonia, voi. 140, fase. V ili, aprile 1895, pp. 609-624; A. Di San Giuliano, La crisi dell’Africa italiana, cit. Questa serie di articoli si occupa in prevalenza dell’utilizzazione del territorio eritreo, che secondo tutti questi autori deve divenire principalmente una colonia di popolamento verso la quale dirottare l’emigrazione italiana, sulla linea di pensiero iniziata da Carpi. Sul relativo disinteresse della vita politica italiana per il problema coloniale nel corso dell’Ottocento cfr. Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suol d ’amore 1860-1922, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 4-5.24 R. Betts, L ’alba illusoria, cit., pp. 40-41.25 Sulla pronta ricezione delle innovazioni tecnologiche in campo tipografico da parte della casa editrice milanese si veda Michele Giordano, La stampa illustrata in Italia dalle origini alla Grande Guerra 1834-1915, Torino, Guanda, 1983,pp. 120-125. Il volume di Massimo Grillandi, Emilio Treves, Torino, Utet, 1977, documenta la frequenza dei viaggi di Treves, che avevano spesso come meta Parigi, città nella quale aveva soggiornato a lungo svolgendo attività giornalistica, e l’assidua partecipazione dell’editore a congressi nazionali e internazionali riguardanti i problemi editoriali e letterari. All’impegno di Treves nella diffusione della memorialistica di coloro che aprivano la strada alla colonizzazione dell’Africa non è dedicata in quest’opera quell’attenzione che forse avrebbe meritato, data l’importanza dell’editore, dato il ruolo che i resoconti ebbero nella formazione di un’opinione pubblica colonialista, e soprattutto considerato il momento (alla vigilia del grande slancio imperialistico di fine secolo) in cui i mezzi della casa editrice furono mobilitati per divulgare quel tipo particolare di letteratura.26 David Livingstone, L ’Africa australe. Primo viaggio (1840-1856), “Biblioteca di Viaggi”, Milano, Treves, 1874 [1872] p. VII.27 M. Giordano, La stampa illustrata, cit., p. 97.28 M. Grillandi, Emilio Treves, cit., pp. 292-293.29 M. Grillandi, Emilio Treves, cit., p. 276.
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vid Livingstone e Henry M. Stanley, quest’ultimo immancabilmente indicato da ogni propugnatore delle spedizioni in Africa come prototipo dell’esploratore, l’uomo che non solo era in grado di gettarsi nell’avventura e uscirne vittorioso, ma anche di narrarla, divenendo ad un tempo l’eroe e il propagandista del colonialismo30.
Poiché questi autori diedero un contributo non trascurabile alla costruzione dell’immagine dell’Africa in Italia, può essere significativo un confronto fra il modo di descrivere i paesi africani proprio a ciascuno dei due, considerandoli come i rappresentanti di due diversi modi in cui concepire il mestiere dell’esploratore. La differenza maggiore che emerge riguarda il ritmo del racconto: tanto concitato è quello di Stanley, quanto quello di Livingstone è pacato e quasi monotono. Né si tratta di una discrepanza semplicemente stilistica: essa traduce il loro differente approccio con l’ignoto. Livingstone è un missionario, e come tale si preoccupa di conoscere i luoghi che attraversa, soprattutto di conoscerne gli abitanti. Stanley si propone di aprire nuove vie alla penetrazione occidentale, a qualsiasi costo. Qualunque ostacolo rallenti la sua marcia, umano o naturale che sia, viene inesorabilmente abbattuto in nome del ‘progresso’. Da qui l’indubbia accattivante vivacità della narrazione, che non può competere però con
quella di Livingstone per quanto riguarda l’accuratezza dell’osservazione dell’ambiente naturale e delle popolazioni.
È possibile trovare negli scritti di quest’ultimo giudizi singolarmente equanimi — rispetto a quelli dei bianchi suoi contemporanei — sull’intelligenza e la moralità dell’africano paragonate a quelle dell’europeo: “Dopo tanti anni passati in Africa, ci è veramente impossibile di non ridere di tutte le assurdità che si sono scritte contro l’intelligenza dei negri. Quando per tradurre le risposte che si attribuiscono ai negri, s’impiegano dei giri di frasi d’una semplicità infantile; quando si aggiungono degli i o degli o a ciascheduna delle loro parole, si fa il lepido, e non si dice la verità. I negri parlano bellissime lingue e non dialetti. Ci sono pochissimi europei che conoscono a fondo le lingue africane, a meno che non le abbiano imparate nella loro gioventù. Quando s’interrogano gli africani in modo da farsi comprendere, vi rispondono, siatene certi, con non meno buon senso, ed anzi con maggior giudizio, di quel che non facciano i nostri compatrioti che non ebbero educazione”31.
In particolare Livingstone divide con Sapete e con i cattolici impegnati nelle missioni32 la convinzione della sostanziale recupe- rabilità del “negro” alla “civiltà”, sia attraverso la conversione religiosa, sia attraverso
30 R. Betts, L ’alba illusoria, cit., p. 37, e pp. 40-41.31 David e Charles Livingstone, Lo Zambese ed i suoi affluenti. Secondo viaggio (1858-1864), “Biblioteca di Viaggi” , Milano, Treves, 18732, pp. 37-38.32 Si consideri, ad esempio, di Daniele Comboni, Piano per la rigenerazione dell’Africa proposto da D. Daniele Comboni, missionario apostolico dell’Africa Centrale, Torino, Falletti, 1864. 11 mito del “buon selvaggio” faceva inoltre parte da secoli della tradizione culturale gesuita nei confronti dei popoli extraeuropei, tradizione che aveva “teso ad accreditare un’immagine positiva dei popoli selvaggi, della loro naturalità e spontaneità”. (Cfr. Alessandra Di Ricco, Padre Bresciani: populismo e reazione, “Studi storici”, 1981, n. 4, p. 853). Un caso a parte, fra gli esploratori occidentali dell’Africa, è rappresentato dal laico Carlo Piaggia. Il risultato più notevole della sua attività esplorativa fu il soggiorno di circa un anno presso i Niam Niam, popolazione centrafricana su cui aleggiavano le più incredibili leggende. Viaggiatore per puro desiderio di conoscere luoghi e genti, Piaggia non assume mai il ruolo del missionario, e tantomeno del moralista, fornendo nei suoi scritti, che furono però pubblicati solo in minima parte durante l’Ottocento, descrizioni assolutamente anticonformiste delle popolazioni africane. Riscoperto dall’inizio degli anni quaranta di questo secolo, le edizioni più recenti delle sue memorie sono: Carlo Piaggia, Nella terra dei Niam-Niam (¡863-1865), a cura di E. Bassani, Lucca, Pacini Fazzi, 1978; Id., Niam Niam. I miei viaggi nel-
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il contatto che per mezzo di scambi commerciali, fervidamente auspicati da Living- stone, esso potrà avere con il progredito Occidente.
Le posizioni dei due missionari furono tipiche della prima metà del secolo. Come afferma Betts a proposito delle teorie che accompagnarono il processo di colonizzazione europea nel XVIII e XIX secolo, a una fase iniziale illuministica, “in cui l’umanitarismo si fondeva con l’utilitarismo”, in cui il “selvaggio” era ancora un uomo ignorante, che l’europeo aveva il preciso dovere di istruire alla civiltà, ne fece seguito una ben diversa: “L’imperativo per il continente [europeo] rimase sempre civilisation oblige, ma ormai la funzione imperiale primaria, tanto nella teoria che nella prassi, fu di stabilire un controllo o di dominare i popoli posti sotto l’autorità europea per poterli guidare”33.
Poiché il discorso di Betts prende in esame il movimento imperialista europeo nel suo complesso, sarà senz’altro necessario ridimensionare la portata delle sue afferma
zioni quando si voglia riferirlo a una piccola potenza che, come l’Italia, comincia solo allora a coltivare ambizioni coloniali. È un fatto comunque che, per quanto riguarda la pubblicistica, la linea di Sapeto e Livingstone fu senza dubbio minoritaria rispetto a quella di Stanley, che vediamo senz’altro vincente, data la notorietà dell’autore, attestata anche dal numero di ristampe dei suoi scritti34.
Il contributo degli antropologi
A dare sostegno alla visione ‘stanleyana’ del modo avventuroso e razzista in cui gli africani si sarebbero dovuti affrontare, venne la produzione antropologica contemporanea.
In quegli anni, fra gli antropologi di stampo positivista, il fatto che esistesse una scala evolutiva all’interno della “specie uomo”, e che le “razze” ne formassero i gradini, ultimo della serie quello della “razza negra” , era ormai dato come acquisito35. La prima
l ’Africa centrale dal 1851 al 1866, a cura di Giovanni A. Pellegrinetti, Milano, Mondadori, 1982. Per ulteriori notizie biografiche si rimanda a quest’ultima opera e a R. Francesco Surdich, L ’esplorazione italiana, cit., pp. 39-40. Affascinante è poi il ritratto del viaggiatore che si trova in R. Battaglia, La prima guerra, cit., pp. 15-28.33 R. Betts, L ’alba illusoria, cit., p. 220.34 Fra il 1873 e il 1890 Treves pubblicò otto opere di Stanley; due fra queste, Come io trovai Livingstone, del 1873, e Attraverso il continente nero. Le sorgenti del Nilo. Intorno ai grandi laghi e lungo il Congo, del 1878, vennero ristampate la seconda nel 1879, la prima nel 1875 e, all’interno della raccolta Alla ricerca delle sorgenti del Nilo: viaggi celebri, nel 1877 e 1886. Su licenza della Treves, inoltre, l’editore milanese Guigoni pubblicava le edizioni per ragazzi dei viaggi dell’esploratore, che erano anche oggetto di conferenze pubbliche, come quelle edite nel 1876, ancora presso Treves, nella collana “Scienze del popolo” col titolo Le scoperte di Enrico M. Stanley e del luogotenente Cameron nell’Africa. Letture tenute da Manfredo Camperio nelle conferenze mensili della Società Geografica Italiana nel gennaio e febbraio 1876. Camperio fu uno dei molti risorgimentali che dopo l’Unità si votarono alla causa colonialista. Fondò nel 1877 “L’esploratore, giornale di viaggi e geografia commerciale”. Ulteriori notizie in A. Milanini Kemény, La Società d ’Esplorazione, cit., p. 6.35 Giuliano Pancaldi, Charles Darwin: “storia” ed “economia” della natura, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 184. Pancaldi precisa come, fra le varie teorie dell’evoluzione che circolavano in quegli anni, quella di Darwin si distinguesse “per il suo carattere strettamente naturalistico, che ne rende più problematica l’accettazione. Può accadere così che [’‘evoluzione’, negli anni ’70, sia accolta ormai da tutti, mentre alla teoria darwiniana della selezione naturale si preferisce spesso una generica concezione ‘genealogica’, oppure ci si orienta verso posizioni la- marckiane, sia per la più chiara sanzione del progresso, sia per il cauto orientamento deistico da esse garantito.” (Si veda anche p. 173). Chiarificatore, a proposito dell’utilizzazione delle teorie e della terminologia darwiniana in contesti diversi rispetto alle intenzioni del loro ideatore, lo studio di Giovanni Landucci, Darwinismo e nazionalismo, in Aa.Vv., La cultura italiana tra ’800 e ’900 e le origini del nazionalismo, Firenze, Olschki, 1981, pp. 103-187.
Colonialismo e razzismo 29
traduzione italiana de L ’origine delle specie di Charles Darwin risale al 186436 ad opera di due naturalisti, Giovanni Canestrini, che dirigerà, insieme a Morselli, Ardigò e Sergi la “Rivista di filosofia scientifica”, organo del positivismo italiano37, e Michele Lesso- na, sostenitore di Darwin e “primo naturalista italiano impegnato con successo nella divulgazione scientifica”; quest’ultima, sotto forma di pubblicistica e di cicli di conferenze di tenore ‘popolare’, ebbe inizio in Italia proprio all’apparire del lavoro darwiniano38.
Fra gli scienziati che si dedicano alla divulgazione deH’evoluzionismo si trova, fra il 1866 e il 1867, Cesare Lombroso, con una serie di “Conferenze per signore” tenute nei locali dell’università di Padova39. In queste letture Lombroso compara le caratteristiche fisiche e intellettuali dei primati e di quelle che egli definisce le “due grandi razze” umane: “La Bianca e la Colorata” e nota come fra la prima e la seconda vi sia una indubbia differenza qualitativa, sia dal punto di vista fisico, sia intellettuale e morale. I bianchi sono quelli che hanno raggiunto la maggiore perfezione in tutti i campi, trovandosi a uno stadio evolutivo più avanzato rispetto agli uomini di colore. Ma nonostante le notevolissime differenze che separano l’europeo dall’africano e dal cinese, all’occhio dello scienziato non possono sfuggire i tratti comuni presenti nei tre gruppi. Ciò è facilmen
te spiegabile poiché qualsiasi popolo, “anche il più grande, prima di toccare la vetta della civiltà, più o men lentamente percorre i varj stadj in cui s’arrestarono, un dopo l’altro, i popoli inferiori; e in quegli stadj ne divise gli errori, i pregiudizj, il linguaggio, le forme: nello stesso modo il gigantesco pachiderma, [...] arieggiava, in una data epoca della sua vita fetale, il più umile dei rettili e dei molluschi”40.
A prova di ciò Lombroso porta il fatto che ogni qual volta si abbiano casi di “degenerazione” fra i bianchi, si notano in essi le caratteristiche delle “razze gialle e americane, le più crudeli fra le razze umane”. La diseguaglianza attuale fra gli uomini, resistenza di “razze” inferiori e superiori è dunque data da una differente ‘velocità evolutiva’, talché è possibile osservare nei diversi luoghi della terra le testimonianze viventi degli stadi attraversati dai “popoli superiori” nel tempo, come l’embrione ricapitola nelle sue fasi di sviluppo gli stadi dell’evoluzione della vita sulla terra.
Questa di Lombroso può essere considerata una delle “molte varietà di evoluzionismo, oltre quella darwiniana, [che] circolavano negli ambienti scientifici europei sia prima che dopo il 1859”41. Scienziati come Giovanni Canestrini e Bartolomeo Malfatti ne condividono, fondamentalmente, le posizioni, divulgandole tramite la collana dei “Manuali Hoepli”42 (improntati a un positi-
36 Giuliano Pancaldi, Darwin in Italia, Bologna, Il Mulino, 1983, p. 155.37 Filippo Barbano, Sociologia e positivismo in Italia: 1850-1910. Un capitolo di sociologia storica, in Emilio R. Papa (a cura di), Il positivismo e la cultura italiana, Milano, Angeli, 1985, p. 190, nota 34.38 G. Pancaldi, Darwin in Italia, cit., p. 152, e Id., Charles Darwin: “storia” ed “economia” della natura, cit., p. 190.39 C. Lombroso, L ’uomo Bianco, cit.40 C. Lombroso, L ’uomo Bianco, cit., p. 52.41 G. Pancaldi, Darwin in Italia, cit., p. 271.42 Giovanni Canestrini, Antropologia, “Manuali”, Milano, Hoepli, 1878 [riedito ivi nel 1882, 1887 e 1898]; Bartolomeo Malfatti, Etnografia, “Manuali” , Milano, Hoepli, 1878, [1883]. Come è osservato nello studio (cui si rimanda per una trattazione completa sulla collana Hoepli) di Claudio Giovannini, Pedagogia popolare nei manuali Hoepli, “Studi storici”, 1980, n. 1, p. 99, i manuali su argomenti come questi “interessavano prevalentemente un pubblico formato di studenti delle scuole tecniche e delle università e di tecnici laureati.”
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vismo di segno marcatamente conservato- re43, che contribuisce al processo di diffusione, durante gli anni settanta e oltre, delle teorie antropologiche evoluzioniste, utilizzate ben presto in “generiche riflessioni [...] che molti si concedevano senza grande impegno”44.
A considerazioni genericamente evoluzionistiche si affida, ad esempio, Leone Carpi quando, nel brano precedentemente citato, fa riferimento alla “naturai legge” che governerebbe i destini coloniali dei popoli. Gerolamo Boccardo aveva portato, nel suo scritto del 1864, argomentazioni analoghe per l’analogo scopo, ribadendole ora nella recensione che dedica al lavoro di Carpi45, nella quale manifesta il suo dissenso nei confronti di quest’ultimo solo a proposito del ruolo che il governo dovrebbe assumere in una eventuale impresa coloniale, ruolo che dovrebbe essere di propulsore secondo Carpi, di appoggio a spontanee iniziative private, in accordo con le proprie convinzioni li- beriste, secondo Boccardo.
Difficile valutare appieno quale fosse il peso che scienziati come Lombroso ebbero nella produzione di quel ‘pulviscolo evoluzionistico’ che andò infiltrandosi nella cultura italiana della seconda metà del secolo, accentuando sempre più la propria connotazione razzista. È certo però che, a prescinde
re dalle posizioni personali (scevre, nel caso di Lombroso, da qualsiasi invito esplicito al razzismo o al colonialismo46), le teorie razziali sulle quali lavoravano questi intellettuali entrarono a far parte dell’orizzonte culturale di un numero maggiore di italiani, grazie alla spiccata tendenza alla divulgazione propria del positivismo, e vennero utilizzate in senso razzista dai fautori dell’espansione territoriale italiana in Africa, come per esempio, sul finire del secolo, Edoardo Scar- foglio47.
L’Africa in cambio di 10 centesimi
Il 1885 segna non solo il passaggio dell’Italia dalla politica delle “mani nette” a quella deH’inserimento nella gara per la spartizione dell’Africa, ma anche la nascita di un’editoria ‘popolare’ di argomento africano.
La genericità dell’aggettivo ‘popolare’ suggerisce l’opportunità di precisare con quale significato il termine venga qui adottato: si intende per ‘popolare’ un tipo di pubblicazione che non solo si distacchi dalla produzione ‘alta’ per il minor prezzo e le qualità grafiche inferiori, ma anche per il fatto di essere il ricettore e il volgarizzatore di idee e immagini già elaborate in altra sede. Non per questo si parlerà ancora di in-
43 C. Giovannini, Pedagogia popolare, cit., p. 119.44 G. Pancaldi, Charles Darwin: “storia” ed “economia” della natura, cit., p. 184.45 G. Boccardo, L ’emigrazione e le colonie, “La Nuova Antologia”, voi. 27, fase. XI, novembre 1874, pp. 621-650.46 Cfr. Luigi Bulferetti, Cesare Lombroso, Torino, Utet, 1975, pp. 177-178; Emilio Papa, Criminologia e scienze sociali nel dibattito europeo sulla “scuola italiana” di antropologia criminale (1876-1900), in II positivismo e la cultura italiana, cit., p. 23.47 L’utilizzazione del razzismo come necessaria teoria a sostegno dell’imperialismo è lucidamente delineata in Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni di Comunità, 1967, p. 221 e pp. 256-257. La figura di Scarfoglio come africanista è tratteggiata, eloquentemente dalla raccolta di articoli, pubblicati sul “Corriere di Napoli” e sul “Mattino”: Edoardo Scarfoglio, Abissinia (1888-1896). Studi di “Tartarin” durante la prima campagna d ’Africa, Roma, Edizioni Roma, 1936, voli. 2. Un carattere spiccatamente razzista distingue la teoria imperialista scarfogliana, la prima che, secondo R. Battaglia (La prima guerra, cit., p. 311), “si distacchi dal ceppo abituale, congiungendo il mito ottocentesco del ‘progresso’ alla questione della ‘razza’ e dell’emigrazione”; ma gli elementi che la compongono, come questa ricerca ha cercato di dimostrare, erano già presenti nella cultura italiana.
Colonialismo e razzismo 31
dottrinamento o di campagna africanista architettata dall’alto, quanto piuttosto di sfruttamento, da parte di certi editori, dell’interesse che, da quando i coscritti italiani cominciarono a sbarcare in Africa, si era sviluppato in tutto il paese. In ciò può essere ravvisata la sostanziale differenza tra un’editoria come quella di Treves, che agisce in anticipo sui tempi e svolge un ruolo di pungolo nei confronti dell’opinione pubblica, e quella di Perino o di Salani, gli editori dei quali ci si accinge a trattare, che si accontentano di assecondare i gusti del pubblico e le azioni del governo. Nella produzione di Perino o Salani è possibile intravedere uno dei rari esempi in Italia di letteratura di consumo che non dipende necessariamente da modelli stranieri, ma può trovare la propria ispirazione in ambito tutto nazionale. Priva di pretese artistiche che ne compromettessero la comprensibilità agli strati meno colti della popolazione, sottoprodotto della più stuzzicante attualità, questa letteratura non era forse così “astrattfa] dalle correnti profonde della vita popolare nazionale” come lo è sempre stato, secondo il Gramsci di Letteratura e vita nazionale, il “mondo culturale” italiano48.
Se per la classe politica i possedimenti in Africa costituiscono più un problema da risolvere che una risorsa da gestire49, per gli editori ‘popolari’ la presenza di truppe italiane sulle coste del Mar Rosso rappresenta l’occasione per lanciarsi in una serie di iniziative che solletichino l’interesse del pubblico, estraendo dalla produzione ‘maggiore’ sull’Africa e sudafricano le parti in cui l’esotismo delle descrizioni sia più accentuato, senza mancare di attingere alla
produzione antropologica ed etnografica contemporanea, di cui si volgarizzano i contenuti.
Fin dal 1884 l’editore Perino di Roma50 aveva lanciato una “Biblioteca di Viaggi”, riproponendo in veste economica i resoconti che uscivano ormai da oltre un decennio dalle tipografie dei grandi editori. Questa la dichiarazione di intenti che si trova sulla re- trocopertina dei primi volumetti della collana: “Iniziare una nuova pubblicazione periodica che, per mezzo di una lettura amena e instruttiva, al grande divertimento della avventura imprevista potesse unire le necessarie cognizioni delle scoperte antiche e moderne che si sono fatte sulla superficie della terra, è la mossa che c’indusse a metterci in questa nova via e lo scopo che ci siamo prefissi per questa nova pubblicazione periodica” .
Ma l’operazione più originale di Perino fu la pubblicazione di una serie di dispense settimanali dal titolo Gli italiani in Africa51, che conteneva una miscellanea di notizie giornalistiche, brani da resoconti di viaggio, leggende africane e altro ancora cuciti insieme da una penna notevolmente spregiudicata dal punto di vista della forma, ma senza dubbio efficace quanto a presa sul lettore. “Non è una nuda relazione di viaggi per la società geografica la nostra. Non è un resoconto destinato ai lettori di libri in cui a ogni pagina ti trovi davanti una quantità spaventosa di gradi di longitudine e di latitudine. Noi ci siamo serviti di tutto: dei libri di scienza e dei resoconti orali [...] Quello che possiamo garantire ai lettori è che ci siamo guardati da qualsiasi alterazione, e nella forma abbiamo cercato soltanto di render la
48 Antonio Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Roma, Editori Riuniti, 1986, nota 79. Perino e Salani vengono citati, insieme al Nerbini, come editori di romanzi popolari (ivi, p. 156).49 Cfr. gli articoli della “Nuova Antologia” posteriori al 1890 citati alla nota 21.50 Sulla figura dell’editore Edoardo Perino si veda M. Giordano, La stampa illustrata, cit., pp. 154-155.51 Maffio Savelli, Gli italiani in Africa, Roma, Perino, 1885-1886, prima edizione a dispense; nel 1886 l’opera uscì in tre volumi, pp. 224, 256, 291, lire 8,30.
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lettura, per quanto era in noi, più attraente ed interessante...”52.
Così le pagine di Savelli, è questo il nome dell’autore delle dispense, si riempiono di fanciulle seminude, selvaggi urlanti e foreste tenebrose, mentre cercano negli usi e nei costumi abissini le tracce della più scatenata sensualità. I funerali, usualmente seguiti da un corteo di donne pagate per piangere il morto, erano stati così descritti da Sapeto: “niente fa più piangere il cuore dei balli fatti nei funerali dei trapassati. [...] Donne di mala vita sono il corteggio della bara. Raccolte in buon numero in uno sprazzo di luogo, cominciano le loro nenie ed urli misurati, che paiono Niobi; poi riddano con atteggiamenti e posture così poco dicevoli da fare schifo; [...]. Finalmente arriva la capitana, l’arcifanfana di codeste sgualdrine [...]. Essa pure la caporiona fa le sue scede, e i suoi attucci, e si muove e dimena, e stramazza per lo acuto dolore del morto, che si sarebbe da menare il bastone per finir la commedia”53.
Opposta è la rappresentazione di Savelli, che trova proprio negli “atteggiamenti e posture” di quelle che per lui sono diventate “belle prefiche discinte” lo spunto per rendere più stuzzicante il suo collage, che si avvale di descrizioni come la seguente: “Le donne Soddo-Galla sono anche all’occhio europeo belle di una vera e caratteristica bellezza. Le mogli dei capi [s/c] indossano un manto bianco e talvolta anche una camicia: le altre si contentano di gonnellini [...] che arrivano appena al ginocchio. I gonnellini sono stretti alla cintura e molto attillati, tan
to attillati che spesso dal lato sinistro si aprono e lasciano vedere, secondo il paragone felicemente trovato da Gustavo Bianchi54, ciò che si vede nel secondo atto della figlia di Madama Angot, nella scena in casa di madamigella Lange... Le schiave sono quasi interamente e spesso nude addirittura”55.
Ancora, se una stessa popolazione è descritta come cannibale da alcuni viaggiatori, mentre altri ne negano l’antropofagia, la descrizione che viene presentata come più attendibile, e riportata con dovizia di particolari, è certamente la prima.
Al tema dell’antropofagia è dedicato anche uno degli opuscoli che un altro protagonista dell’editoria di consumo, il fiorentino Adriano Salani56, pubblicava a ritmi serrati: “Se i popoli civilizzati di Europa hanno in orrore l’uso di cibarsi di carne umana, invece il cannibalismo è tenuto in onore in molte parti delle Indie e più specialmente presso taluni popoli dell’Africa centrale. Procureremo di dare ai lettori i maggiori e migliori ragguagli sopra questa sanguinosa e terribile costumanza, tessendone una breve istoria, interessante per gli orribili episodi di cui va accompagnata”57.
Nel brano che segue, ricavato dal medesimo opuscolo, i tratti dell’antropofago sono resi mediante la descrizione stereotipa del “negro”, dietro la quale si intravede la matrice lessicale medico-antropologica. “Costoro [i Cafri], che all’aspetto sono oltremodo brutti e deformi, avendo una larga fronte con ciglia molto pronunciate, gli zigomi delle gote aguzzi, e le mascelle ampie,
52 M. Savelli, Gli italiani, cit., p. 7.53 G. Sapeto, Viaggio e missione, cit., p. 177.54 Gustavo Bianchi, esploratore, autore de Alla terra dei Galla, Milano, Treves, 1884, del quale Savelli sta parafrasando i contenuti.55 M. Savelli, Gli italiani, cit., p. 68.36 L’attività editoriale di Adriano Salani è esposta in Emilio Faccioli, Un editore popolare di orientamento moderato: Adriano Salani, in Ilaria Porciani (a cura di), Editori a Firenze nel secondo Ottocento. A tti del convegno (13-15 novembre 1981), Gabinetto Scientifico Letterario di G.P. Viesseux, Firenze, Olschki, 1983, pp. 367-380.57 I mangiatori di carne umana nell’Africa, Firenze, Salani, 1888, in 16, pp. 16, lire 0,10, p. 1.
Colonialismo e razzismo 33
con labbra sporgentissime, che lasciano travedere una doppia fila di denti bianchissimi, aguzzi, costoro diciamo, non solo si saziano generalmente delle carni crude di animali e de’ loro stessi congiunti morti, ma giungono persino alla efferatezza di sbranare e lacerare quelli che gli capitano sotto mano [...]”58.
Non stupisce, date queste premesse, trovare sia Savelli che Salani allineati sulle posizioni governative in fatto di imprese coloniali. Il primo ostentava infatti disinteresse per la politica: “La quistione politica non entra nel nostro compito. Quando avremo narrato popolarmente, in maniera facile e attraente, al possibile, [...] la vita degli italiani nell’Africa in questi ultimi anni, [...] noi non avremo altro da aggiungere. Altri discuterà sui modi e sulle applicazioni. Noi staremo in massima con quella grande maggioranza, che riconosce la necessità e l’utilità di una grande espansione coloniale, per le nostre industrie nascenti, per il nostro giovine commercio [,..]”59.
Il secondo pubblica una relazione entusiasta del saluto ai soldati che partono per Massaua. “Il giorno della partenza fu fissato il 17 Gennaio, e fino dalle otto del mattino una folla immensa videsi accalca-
' ta alla Darsena: moltissime Associazioni sfilarono con le loro bandiere, mentre in altre parti si schieravano gli Alunni dell’Istituto Caracciolo, quelli delle scuole tecniche, gli operai e membri della Società Affricana. Alle ore 8 e mezzo [...] giunsero i Bersaglieri. Quando si videro compa-
. rire fu un grido unanime, universale, indescrivibile, una commozione da non potersi narrare.
Uomini, donne di ogni età, fanciulli, signori e popolani alzavano i loro cappelli,
sventolando i fazzoletti e gridando: Viva il Re, Viva l’Esercito, Viva l’Italia, Viva i Bersaglieri! Buon Viaggio, Tornate presto!”60
Entusiasmo, e qualche dissenso
A questo punto è possibile trarre alcune conclusioni sull’iniziale problema del consenso con cui l’opinione pubblica italiana aveva accolto le prime spedizioni coloniali del proprio esercito. Il filone pubblicistico esaminato in questa ricerca non è certo sufficiente a fornire le ragioni dell’adesione di una parte — non ci è dato sapere quanto vasta — della popolazione alle iniziative africane del governo. Altre suggestioni concorsero probabilmente a darle forma, ad esempio il ricordo dell’ultima vittoriosa azione dell’esercito italiano, la presa di Roma attraverso la breccia di Porta Pia, che sembra far da sfondo agli evviva lanciati ai bersaglieri in partenza per Massaua, e altre motivazioni, come il desiderio dei quadri superiori dell’esercito di uscire dall’atmosfera stagnante, così efficacemente evocata dal Tarchetti di Fosca, che si era nuovamente impadronita dell’ambiente militare dopo la breve fiammata del 1870. Tuttavia la nascita e la diffusione di una pubblicistica che, attraverso i resoconti di viaggio e la discussione sull’opportunità di fornire anche all’Italia un dominio oltremarino, trasmetteva al paese una certa immagine dell’Africa, connesse alla contemporanea produzione antropologica, che con le sue affermazioni razzistiche forniva facilmente un supporto alla convinzione che fosse non solo utile ma anche giusto sottomettere le popolazioni africane, non possono non avere contribuito a creare un ‘brodo di coltura’ favorevole allo svilup-
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Imangiatori, cit., p. 13.M. Savelli, Gli italiani, cit., p. 219.Italia in Affrica, narrazione illustrata, Firenze, Salani, 1885, in 16, pp. 16, lire 0,10.
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po degli entusiasmi per azioni come l’occupazione di Massaua.
Poche sono le voci dissenzienti che si alzano dal mare di opuscoli che invadono il settore ‘africano’ dell’editoria nell’ultimo quindicennio del secolo61. La politica coloniale, divenuta l’argomento del giorno, attira i commenti e i pareri non più solo degli economisti di professione: dalle stamperie di tutta l’Italia esce un flusso di fascicoli (in prosa, ma anche in versi) che aggiunge la propria alla voce dei commentatori più autorevoli62.
Inizialmente, posizioni anticolonialiste si rinvengono nei soli ambienti cattolici e dell’Estrema63, e non senza eccezioni, come dimostra la polemica, sorta nel 1888, fra il democratico Arcangelo Ghisleri64 e il depu
tato dell’Estrema Giovanni Bovio65. Questi si pone in difesa del diritto/dovere della “razza migliore” di incivilire, con ogni mezzo, le “razze inferiori” , poiché, sono parole di Bovio, non esiste un “diritto alla barbarie”66. Le argomentazioni razziste addotte a sostegno di questa tesi, ribattute ad una ad una da Ghisleri, sono un esempio della diffusione di forme di darwinismo deteriore anche nelle file della sinistra67.
La polemica fra Ghisleri e Bovio ebbe luogo all’indomani del fatto di Dogali, suscitatore dei primi moti anticoloniali veri e propri68 e di una serie interminabile di commemorazioni a stampa, edite nelle grandi città come nei centri più sperduti della penisola69.
Oltre alla commozione dei primi momenti,
61 Fra il 1885 e il 1899, su 842 pubblicazioni, 148 trattano di politica coloniale, e sono superate nel numero solo da quelle che definirò ‘pubblicazioni d’occasione’, che sono 239 e comprendono le commemorazioni pubblicate in occa- zione di Dogali (150), e di Adua (56). Cfr. nota 69.62 Così, accanto a Napoleone Colajanni, Politica coloniale, Palermo, Carlo Clausen edit., 1891 e Andrea Costa, Il ritiro delle truppe dall’Africa, Siena, tip. Marchetti, 1887, si trovano opuscoli come quelli, ad esempio, di Luigi Bianco, L ’Italia coloniale, dedicata agli antiafricanisti: versi, S. Vito al Tagliamento, tip. Polo e C., 1896 e di Maria Di Retina, Fra mirti e allori; schizzi, note e fantasie sulla guerra africana: versi, Pitigliano, tip. edit. della Lente di Osvaldo Poggi, 1897.63 Romain Rainero, L ’anticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869-1896), Milano, Edizioni di Comunità,1971, p. 110.64 Arcangelo Ghisleri si oppose anche all’iniziativa italiana contro la Libia, ma fu tra gli interventisti alla vigilia della prima guerra mondiale, atteggiamento che corrispose a quello tenuto dagli irrendentisti (della questione si occupa Giovanni Busino, Il nazionalismo italiano e il nazionalismo europeo, in La cultura italiana tra ’800 e ’900 e le origini del nazionalismo, cit., p. 67). Ulteriori notizie biografiche su Ghisleri si trovano nell’introduzione di Romain Rainero a Arcangelo Ghisleri, Le razze e il diritto nella questione coloniale, a cura di Romain Rainero, Milano, Marzorati,1972, pp. 15-18.65 La biografia di Giovanni Bovio si trova nel Dizionario biografico degli italiani, cit., 1971, voi. XIII, pp. 552-556.66 Riportato in Ghisleri, Le razze, cit.67 Pancaldi, Charles Darwin: “storia" ed “economia” della natura, cit., p. 183: “Anche se non si può certo affermare che vi fosse una connessione necessaria fra il materialismo variamente imbevuto di elementi darwiniani e un’opzione politica progressista, [...] non si può negare che in Italia il darwinismo finì per essere coltivato più dalla sinistra che dalla destra dello schieramento politico. Il che non toglie che vi costituisse spesso un elemento di confusione anziché di chiarezza, così il più darwinista dei pedagogisti italiani, Saverio De Dominicis, poteva insieme farsi promotore dell’istruzione obbligatoria, popolare e scientifica, e continuare a parlare, in nome della selezione naturale, di razze inferiori, di naturale diseguaglianza fra gli uomini e via dicendo.”68 Sulle prime avvisaglie di un movimento anticolonialista in Italia si veda R. Rainero, L ’anticolonialismo italiano, cit.69 Nel 1887, in occasione del massacro di Dogali, furono pubblicati in totale 150 scritti. Fra essi è possibile distinguere quelli che narrano e/o commentano il fatto (26), i componimento poetici che traggono spunto dal fatto (52), e le commemorazioni in prosa ai caduti (72), pronunciate durante le cerimonie funebri svoltesi in ogni parte d’Italia.
La sconfitta di Adua, benché molto più pesante dal punto di vista delle perdite rispetto a Dogali, non provocò un numero altrettanto elevato di pubblicazioni. Se ne contano infatti, complessivamente, a tutto il 1896, solo 56.
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il disastro lasciò dietro di sé uno stato d’animo, riscontrabile anche nella pubblicistica più corrente, in bilico fra l’orgoglio nazionale e “razziale” e la consapevolezza che la presenza militare italiana sul territorio africano andava contro i principi risorgimentali70:
No, non è patriottismo, no, per Dio!!!Al massacro mandar nuovi soldati,Né tener là... quei che si son mandatiPerché dei vostri error paghino il fio !Ma non capite... o branco di cretini...Che i patriotti... sono gli Abissini?...71
Sul finire del secolo la crisi del positivismo cominciava inoltre a scardinare quelli che parevano dati ormai acquisiti alla scienza in fatto di teorie razziali dell’evoluzione. Critiche ponderate all’atteggiamento razzista scaturito da esse provennero da vari ambienti della cultura72, non esclusi quelli antropologici: scrive nel 1889 il medico antropologo Ferruccio Biazzi: “Noi dobbiamo rimproverarci d’aver considerata la razza bianca troppo fisicamente superiore alle altre; questo errore è la causa principale di molte divergenze che separano gli studiosi
delle scienze etnologiche ed antropologiche, ed è certamente anche la causa per cui la politica delle nazioni dette civili non ha un indirizzo più umanitario a fatti di fronte alle popolazioni che noi appelliamo barbare. Ho parlato di superiorità fisica, ma alcuno ob- bietterà che è principalmente della superiorità intellettuale che devesi argomentare del primato di una razza. Giustissimo, anzi è appunto con tal concetto che il numero delle nazioni alle quali i figli della vecchia Europa posson dare il titolo di selvagge, barbare, retrograde, vien di molto diminuito, giacché è noto che nella razza etiopica, mongolica, ecc., si trovano quanto da noi ingegni i quali non aspettano che una scintilla della nostra civiltà, un raggio della nostra luce, un consiglio, un esempio ed un aiuto benefico per radiar luce quanto i nostri luminari delle scienze”73.
Ciononostante l’eredità dello scientismo razzista non andrà perduta. Un precursore del nazionalismo come Alfredo Oriani, che preclamandosi antipositivista in realtà “si collocava al centro della crisi del positivismo, ne rifletteva i temi e le inquietudini”74, aveva accolto le conclusioni dell’antropolo-
0 Oltre all’opera di cui alla nota seguente, possono essere elencati a questo proposito la commedia di A. Castelletto (Pullé), La figlia di Ras Aiuta o Le notti abissine, Dramma in 6 quadri, tolto da! romanzo di Luigi Gualtieri, che
ì comprende il periodo dalla morte di G. Bianchi all’eccidio di Dogati, “Biblioteca abdomadaria teatrale” , Milano, Carlo Barbini editore, 1888, e il romanzo di Mohamed Ben Alid e d e tto Arrighi, Il Fascino di Dogali,“Biblioteca africana”, Milano, Natale Battezzati edit., 1889. (Mohamed Ben Alid è il protagonista del libro, un personaggio in-
I ventato che Arrighi indica come coautore). Gli avvenimenti africani avevano destato interesse non solo negli italiani ;che ne erano coinvolti, ma anche nelle controparti africane, che fino ad allora erano rimaste a lato, descritte solo Enei resoconti degli esploratori. Nasce quindi un opuscolame di nuovo genere, quello dei ‘ritratti di regnanti africa- • ni’. Ne sono esempio Gli amori della figlia di Ras-Allula in Affrica, Firenze, Salani, 1888, pp. 15, lire 0,10; Storia e I costumi di Menelik, nuovo re degli Abissini, Firenze, Salani, 1890, lire 0,10; Pietro Antonelli, Taitù, imperatrice
d ’Etiopia, Roma, Stab. tipografico Italiano, 1892, pp. 18.71 Questa veemente critica all’operato del governo fa parte della serie di composizioni contenute in Ulisse Barbieri, Ribellione. Versi, Fugo, tip. Economica Morelli e Morandi, 1887.72 Landucci, Darwinismo e nazionalismo, in La cultura italiana tra ’800 e ’900 e le origini del nazionalismo, cit., p. 141 ep . 176.73 Ferruccio Biazzi, Sull’unità della specie umana: considerazioni di antropologia fisica e morale, Torino, Bocca, 1889, p. 114.74 Luisa Mangoni, Alfredo Oriani e la cultura politica del suo tempo, “Studi storici”, 1984, n. 1, pp. 169-180.
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già razzista75 e se ne era servito nella costruzione delle proprie teorizzazioni, quale l’interpretazione della storia come lotta fra la “civiltà” (l’Occidente) e 1’ “inciviltà” (il resto del mondo)76, come le accoglierà in seguito Enrico Corradini77. Il 1896, infatti, l’anno di Adua, vede non solo l’esaurirsi dell’ondata di pubblicazioni che era andata via via ingrossandosi durante la seconda metà del secolo, a misura del sempre maggiore coinvolgimento dell’Italia nelle vicende africane, ma anche l’inizio di una nuova era per la politica espansionista, poiché proprio nella reazione alla sconfitta di Adua prenderà vita il movimento nazionalista, il quale raccoglierà tutti i motivi del colonialismo ottocentesco italiano, da quelli scaturiti dal problema dell’emigrazione, connesso a quello meridionale, ai temi del razzismo e dello spencerismo, per dare vita a quella “coscienza imperialista”78 che gli ultimi decenni del XIX secolo, privi della necessaria spinta dall’industria e ancora troppo cronologicamente vicini al Risorgimento per non scorgere l’intrinseca ingiustizia dell’imperialismo, non erano giunti a creare.
Non escluderei, comunque, che proprio l’esistenza di una pubblicistica che in quei decenni sensibilizzò l’opinione pubblica a proposito dei temi delPinferiorità biologica di certe “razze” rispetto ad altre, e del diritto di queste ultime a “mettere a frutto” gli “opimi ma incolti” territori abitati dalle prime, abbia contribuito alla rapidissima mobilitazione dell’opinione pubblica a favore dell’impresa libica di cui parla Del Boca nel suo ultimo libro79.
Conclusione
Volendo riassumere la parabola che la pubblicistica sull’Africa percorse nella seconda metà dell’Ottocento, si può notare come paradossalmente, ma non casualmente, quanto più le lande Africane si erano avvicinate all’Italia, fino a divenire parte del suo territorio e meta dei primi disincantati turisti80, tanto più l’immagine delle genti che le popolavano era diventata estranea, quando non ostile, a buona parte degli italiani; estraneità e ostilità le cui basi teoriche erano state gettate molto prima che Dogali e Adua giungessero a sancirle definitivamente.
Da continente al quale ci si era accostati, anche dal punto di vista editoriale, in cerca del nuovo in natura, l’Africa si era venuta trasformando in una terra di cui anche nella componente umana venivano studiati i caratteri della diversità. Dalle diversità all’inferiorità il passo è breve, soprattutto quando si siano volute scorgere possibilità di espansione e sfruttamento nei paesi abitati dagli “inferiori” . Si assiste così, dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, a un calo delle pubblicazioni che narrano di esplorazione in favore di opere in cui l’esotismo e il razzismo prendono il sopravvento, mentre la pubblicistica d’opinione, anche la più autorevole, lasciate ormai da parte le discussioni sulla legittimità e sull’utilità del colonialismo, si occupa del problema pratico dello sfruttamento di una colonia che esiste e alla quale non si vuole rinunciare, bandendo come inutile pastoia qualsiasi considerazione di carattere morale: “Abbiamo invaso l’A-
75 Claudio Cesa, Tardo positivismo, antipositivismo, nazionalismo, in La cultura italiana fra ‘800 e ’900 e le origini del nazionalismo, cit., p. 86.76 Alfredo Oriani, Fino a Dogali, Bologna, Cappelli, 1923 [1889], in particolare pp. 323-325 e 336.77 C. Cesa, Tardo positivismo, antipositivismo, nazionalismo, in La cultura italiana tra ’800 e ’900 e le origini del nazionalismo, cit., pp. 92-93.78 Vedi nota 20.79 Del Boca, Gli italiani in Libia, cit., pp. 51-64.80 Cfr. Vittorio Perozzi, Una villeggiatura eritrea, Ancona, tip. A.G. Morelli, 1892.
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bissinia non provocati, per violenza, contro ogni giustizia; ci scusiamo dicendo che gl’inglesi, i Russi, i Francesi, i Tedeschi, gli Spa- gnuoli fecero altrove altrettanto. E sia. Non possiamo abbandonarla per molte ragioni, e non senza molta vergogna. Lo credo anch’io, e sta bene. Risparmiamoci dunque la vergogna, ma non scrupoleggiamo, per timore de
gli effetti, sopra violenze e ingiustizie minori, le quali ora andiamo commettendo. Non pregiudichiamo nulla per finzione o per rispetto umano; le ingiustizie e le violenze saranno necessarie un giorno o l’altro; tanto più necessarie quanto migliore il successo dell’impresa a cui ci accingemmo”81.
Paola Zagatti
81 Ferdinando Martini, Nell’Africa italiana, impressioni e ricordi, Milano, Treves, 1925 [1891], pp. 121-122.