Collana di studi sociali 2 - Aracne editrice · in corso di ultimazione ... 307 Capitolo XX...

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Collana di studi sociali

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Collana di studi sociali

DirettoreTullio RUniversità della Calabria

Comitato scientifico

Aurelio AUniversità di Palermo

Vincenzo AUniversità di Catania

Guido BUniversità IUAV di Venezia

Marco CUniversità di Bologna

Gilda CUniversità della Calabria

Matteo CUniversità degli Studi di Milano–Bicocca

Enrico EUniversità del Piemonte Orientale

Santino FUniversità della Calabria

Rossana GSapienza Università di Roma

Jasmina GUniversity of Pula

Raquel HUniversità di Alicante

Olga IUniversity of Thessaloniki

Federico Amedeo LAgenzia per la Coesione Territoriale

Alejandro MUniversità di Alicante

Izidora MInstitut for Tourism of Zagreb

Marxiano MUniversità degli Studi di Milano–Bicocca

Vincenzo NSapienza Università di Roma

Maria de Nazaré O R

Universidade Nova de Lisboa

José António OUniversidade Lusófona de Humanidades e Tecnologias

Maria PUniversity of Thessaloniki

Zoran RUniversity of Applied Sciences

Elisabetta RUniversità degli Studi di Milano–Bicocca

Asterio SUniversità di Bologna

Silvia SUniversità della Calabria

Camillo TUniversità di Sassari

Moreno ZUniversità di Trieste

Comitato editoriale

Sergio BPolitecnico di Bari

Rita CUniversità di Cagliari

Ubaldo CUniversità Telematica “Giustino Fortunato”

Paola D SUniversità di Perugia

Monica GUniversità degli Studi di Milano–Bicocca

Gabriele MUniversità di Bologna

Antonella PUniversità della Calabria

Giovanni TUniversità della Calabria

Collana di studi sociali

La collana è dedicata alla pubblicazione di studi e ricerche sulla mobilitàturistica convenzionale e sulla mobilità turistica residenziale, con particolareinteresse verso le analisi dedicate all’area del Mediterraneo. La collana, purprivilegiando la prospettiva sociologica, è aperta a tutte le scienze sociali.L’obiettivo principale è quello di favorire la pubblicazione di opere scientifi-che in grado di fornire un apporto rilevante al dibattito scientifico nazionalee/o internazionale sui temi collegati al fenomeno turistico. Nonostanteciò, la collana rappresenta anche un mezzo per la valorizzazione di lavoriscientifici di giovani studiosi e studiose, per la conoscenza di lavori di ricercain corso di ultimazione (work in progress) e per la creazione di una rete distudiosi che lavorano in centri e istituti di ricerca, italiani ed esteri.

I volumi sono sottoposti a referaggio.

Tullio RomitaGiovanni TocciAntonella Perri

Turismo e qualità della vita

Buone e cattive pratiche

Copyright © MMXVIAracne editrice int.le S.r.l.

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via Quarto Negroni, Ariccia (RM)

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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre

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Indice

9 Introduzione 13 Capitolo I Lentezza, città, turismo 27 Capitolo II Vino e archeologia e reinvenzioni tra turismo e cultura 51 Capitolo III Melting-Pot eno-gastronomico a Roma 69 Capitolo IV Nuovi sentieri enogastronomici in Calabria 77 Capitolo V Il turismo enogastronomico e il cibo come scelta consapevole 85 Capitolo VI Turismo del gusto, cultura enogastronomica e sviluppo locale 99 Capitolo VII Turismo enogastronomico e suoi orizzonti contemporanei di significato sociale 115 Capitolo VIII Sviluppo locale e territorio 129 Capitolo IX Il frutto dell’albero più bello 141 Capitolo X Sicilia. Paesaggi culturali lenti 165 Capitolo XI Il turismo rurale come opportunità di crescita sostenibile dei piccoli comuni 175 Capitolo XII La valorizzazione del territorio in ottica esperienziale 201 Capitolo XIII I consumi alimentari nei luoghi della mobilità

Indice 8

223 Capitolo XIV Uno scrigno di tesori: l’enogastronomia 231 Capitolo XV Il Vino che verrà nelle Terre di Cosenza 249 Capitolo XVI Turismo religioso-culturale e sviluppo locale 265 Capitolo XVII Il turismo sociale nel panorama turistico calabrese 275 Capitolo XVIII Demografia e turismo nella terza età 293 Capitolo XIX Le responsabilità degli attori turistici e le ricadute sulla comunità locale 307 Capitolo XX Tourism: Demography and Communication 323 Capitolo XXI L’imperativo neoliberale del turismo 349 Capitolo XXII Identità e globalizzazione nella società globale 363 Capitolo XXIII Campeggi di “lotta” e comunità locale 377 Capitolo XXIV Recupero e valorizzazione dei centri storici 387 Capitolo XXV Pratiche di turismo sostenibile per le aree interne 397 Capitolo XXVI Musei da … gustare 405 Capitolo XXVII Contrastare lo spopolamento dei centri storici minori 417 Capitolo XXVIII La progettazione turistica in Calabria 425 Appendice

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Introduzione

La progettazione turistica in Calabria

L’Associazione Mediterranea di Sociologia del Turismo, nei suoi oltre venti anni di attività, si è adoperata nel creare momenti di comunicazione e di sti-molo dedicate all’approfondimento dei quesiti generati dallo sviluppo del tu-rismo, in un’ottica multidisciplinare e con particolare riferimento alle aree del Mediterraneo. Partendo, soprattutto, dai problemi avvertiti in Italia e da quelli riscontrati in tutta l’area mediterranea, ed in gran parte sostanzialmen-te riconducibili ai mutamenti intervenuti nella struttura della produzione e della vita quotidiana durante la modernità.

Una delle occasioni di approfondimento e di confronto internazionali promosse dall’Associazione Mediterranea di Sociologia del Turismo è stato l’VIII convegno internazionale dell’Associazione dal titolo “Turismo e qua-lità della vita. Cibo, Territorio, Identità, Buone e Cattive Pratiche”, realizzato nel 2014 in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali e con il Centro Ricerche e Studi sul Turismo dell’Università della Calabria.

Il convegno, ha visto la partecipazione di relatori provenienti da tutta Ita-lia e da diversi Paesi europei e del Mediterraneo, ed i contributi presentati hanno dato luogo ad un insieme molto interessante di articoli scientifici che si è deciso di pubblicare in più volumi a carattere monografico. Il presente volume è la seconda ed ultima “costruzione” monografica elaborata sulla ba-se dei temi affrontati durante il convegno internazionale ed ha quale argo-mento “le buone e le cattive pratiche nel turismo”.

La locuzione “buona pratica” è ormai da tempo entrata nel linguaggio comune di chi esercita funzioni amministrative e gestionali, sia in ambito pubblico che in ambito privato, ed è alla ricerca di valide ed economiche so-luzioni che aiutino ad innalzare la qualità dei risultati e/o a risolvere specifici problemi. In questo senso, ciò che sta alla base del ragionamento, è che non sempre per giungere a risultati compiutamente positivi è necessario ricercare azioni originali, ma ripercorrere strade già da altri percorse in ambiti e conte-sti simili a quelli in cui si opera, semmai prevedendo parziali adattamenti, comunque riutilizzando strumenti e metodologie già adoperati e che sembra-no adatti alla risoluzione delle problematiche che si intendono affrontare.

Introduzione 10

In effetti, però, su cosa effettivamente sia una buona pratica, su come essa possa essere pienamente definita non vi è unanimità di pensiero:

Molteplici e differenti sono le accezioni di buona pratica che è possibile ritrovare in letteratura o ricavare da esperienze di “osservatori” nazionali e internazionali. L’eterogeneità dipende essenzialmente dall’uso che viene fatto della buona pratica e dal contesto cui questa si riferisce. Si può pertanto affermare che non esiste una defi-nizione univoca ed esaustiva di buona pratica ma varie definizioni che meglio si adat-tano alle singole circostanze. (Tozzi, Caracci e Labella 2011, p. 39)1 Se da un lato «una costante delle definizioni di buona pratica è il riferi-

mento, diretto o indiretto, alla metodologia del miglioramento continuo della qualità e, ove possibile, alle evidenze scientifiche» (Ibidem), dall’altro

Analizzare le buone pratiche secondo l’approccio problematicista vuol dire prenderle in esame, come già precedentemente si diceva, con sguardo aperto e critico, evitando sia di accontentarsi riconoscendo riduttivamente ogni pratica in sé buona semplice-mente perché animata da buona intenzione, sia di adottare punti di vista rigidi e dog-matici nella convinzione che vi sia un solo modo di ‘ben fare’ o che vi sia una sola so-luzione. (Borghi 2007, p. 4)2 Comunque sia, appare evidente che una buona pratica è tale se è ricono-

sciuta valida ed utile a diversi livelli e da più persone e/o soggetti, inoltre se è facilmente trasferibile in altri ambiti e contesti. Come pure evidente è il fatto che in conseguenza delle continue trasformazioni cui la società è sotto-posta un comportamento o una azione che oggi viene considerata una buona pratica in un successivo momento storico potrebbe non esserlo più, oppure che una buona pratica potrebbe in un secondo tempo essere sostituita con un’altra maggiormente appropriata ai bisogni.

In ambito turistico, il concetto di buona pratica viene prevalentemente utilizzato per indicare comportamenti ed azioni che generano o aiutano lo sviluppo sostenibile del turismo. Per tale ragione, tenendo presente che i principi di sostenibilità fanno riferimento agli aspetti ambientali, economici e socio-culturali dello sviluppo turistico, una buona pratica nel turismo è completamente tale se prevede un rapporto ed una presenza equilibrata nel tempo fra tutti gli aspetti.

Vale la pena ricordare che, rifacendosi ai principi dello sviluppo sosteni-bile, lo sviluppo turistico è sostenibile se soddisfa le esigenze attuali dei turi-sti e delle regioni di accoglienza, tutelando e migliorando nel contempo le prospettive per il futuro. Esso deve integrare la gestione di tutte le risorse in modo tale che le esigenze economiche, sociali ed estetiche possano essere

1 TOZZI Q., CARACCI G., LABELLA B., Buone pratiche per la sicurezza in sanità, Il Pensiero

Scientifico Editore, Roma 2011. 2 BORGHI B.Q., Le buone pratiche in educazione, «Bambini pensati», Anno II, n. 8, 2007.

Introduzione

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soddisfatte, mantenendo allo stesso tempo l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica e i sistemi viventi. I prodotti turi-stici sono quelli che agiscono in armonia con l’ambiente, la comunità e le culture locali (WTO). Quindi, una buona pratica di turismo sostenibile deve essere ecologicamente sostenibile nel lungo periodo, economicamente con-veniente, eticamente e socialmente equo nei riguardi delle comunità locali (Carta di Lanzarote).

La raccolta di buone e cattive prassi contenute nel presente volume, rap-presenta una opportunità per il lettore che voglia riflettere, o semplicemente farsi una idea, non solo sulle pratiche di turismo sostenibile attuate sui terri-tori, ma anche e principalmente sui presupposti culturali e sui contenuti su cui si fondano tali buone prassi. Come sarà possibile dedurre, la grande maggioranza delle buone pratiche illustrate si fondano sulla valorizzazione delle tradizioni e delle produzioni eno-gastronomiche locali, e ciò rappresen-ta una risposta ai processi di globalizzazione che hanno nel tempo appiattito i comportamenti di vita attraverso la standardizzazione culturale. Cibo e pro-duzioni tipiche sono al momento uno fra i percorsi preferiti per riaffermare il valore identitario locale, oltre che un forte fattore di attrazione turistica dei territori specialmente per le comunità più piccole ed a rischio di estinzione. Tuttavia, le buone pratiche nel turismo incluse nel presente volume non po-tevano non riguardare altri temi rilevanti quali la valorizzazione delle risorse culturali e naturali e delle nuove e frammentate forme di turismo, e non po-tevano non occuparsi degli esempi di recupero, trasformazione e rigenera-zione, delle aree urbane e di quelle rurali. In ogni caso, tutte le buone prati-che di turismo sostenibile, le azioni ed i comportamenti su cui si basano, ol-tre che rispettare i principi della sostenibilità, prevedono la valorizzazione del territorio attraverso percorsi esperienziali.

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Capitolo I

Lentezza, città, turismo

SOMMARIO: 1.1. La filosofia della lentezza nella società contemporanea, 13 – 1.2. Il mo-vimento Slow Food, 14 – 1.3. La rete delle città lente, 16 – 1.4. Il Turismo in chiave slow, 20 – 1.5. I luoghi della lentezza, 22.

1.1. La filosofia della lentezza nella società contemporanea

I processi di globalizzazione economica e culturale che hanno investito la società contemporanea si sono tradotti in una inedita accelerazione del modo di vivere, dei ritmi, e di ogni altra forma della vita sociale. I cambiamenti nell’uso e nell’esperienza del tempo hanno rivelato un aspetto conflittuale in cui all’accelerazione crescente del presente corrisponde la quasi scomparsa del futuro (Crespi 2005).

Lo sviluppo dei sistemi di trasporto e delle Information Communication Technologies (ICTs) ha determinato una compressione dello spazio e del tempo (Harvey 1993) che ha prodotto un «mondo altamente interconnesso, caratterizzato da continui spostamenti di persone, beni, servizi e informazioni» (Rur 2012, p. 21).

D’altra parte, la globalizzazione ha consacrato la velocità come sua principale caratteristica, specificità che fa stretto riferimento al ritmo dello sviluppo e alla crescita della ricchezza.

Questa rapidità ha segnato, quindi, un crescente divario tra un mondo lento ed uno sempre più frenetico ed un conseguente impatto negativo soprattutto sulle città e sugli stili di vita. Infatti, come effetto dell’accelerazione del mondo, i ritmi della vita, sia sul piano lavorativo sia delle relazioni interpersonali, diventano più frenetici e meccanici con ovvie ripercussioni negative sul benessere psicofisico degli individui e sulla qualità della vita in generale.

Così, la crescente trasformazione dei territori e la tendenza all’omogeneizzazione da un lato e l’omologazione dei modelli di consumo e degli stili di vita dall’altro hanno prodotto una società sempre più “Mcdonaldizzata” (Ritzer 1997) e una proliferazione di luoghi alienanti e del tutto anonimi, cioè veri e propri “non-luoghi” (Augé 1996; Webber 1964).

Di Giovanni Tocci, Università della Calabria.

Turismo e qualità della vita 14

Nella società postmoderna il concetto di velocità assume un’importanza fondamentale poiché considerato sinonimo di efficienza, capacità e competenza. Al contempo però, anche la lentezza si afferma sempre più non solo «come qualità rara e preziosa, ma anche come una sorta di manifesto che si oppone al sistema valoriale dominante e riafferma l’importanza di altre dimensioni della vita accanto a quella del lavoro e della produttività» (Rur 2012, p. 21). Per cui, la lentezza non assume qui un significato di “ritardo”, ma ha una connotazione positiva poiché indica un uso meno frenetico del tempo, la riscoperta delle tradizioni, della storia e della cultura dei luoghi e il consumo di prodotti locali di qualità.

Da questa prospettiva, lo slow living si propone come un percorso alternativo in grado di affinare la capacità della società contemporanea di porre un freno alla mentalità consumistica e agli effetti “perversi” della globalizzazione.

1.2. Il movimento Slow Food La filosofia della lentezza si è affermata da tempo, principalmente in Italia, come espressione di diversi movimenti i quali hanno preso avvio a partire proprio da un nuovo orientamento che, soprattutto in ambito naturalistico, si fa appieno portavoce del principio di sostenibilità. Una tendenza che è andata via via consolidandosi in vari ambiti che spaziano dal cibo, ai modelli di consumo, alle città, alle modalità di viaggio, al turismo in generale.

Il percorso che ha fatto da apripista a svariate altre iniziative in tale direzione è stato certamente quello avviato da Slow Food. Un movimento che si costituisce come associazione, con il nome di “Arcigola”, nel 1986 a Bra in provincia di Cuneo e diventa poi internazionale nel 1989 come “Movimento per la tutela e il diritto al piacere”.

Figura 1. Il Logo Slow Food.

Fonte: www.slowfood.it.

I. Lentezza, città, turismo

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Slow Food nasce in contrapposizione ai percorsi di globalizzazione e al fenomeno della “macdonaldizzazione” (Ritzer 1997) e quindi pensato come risposta alternativa ai ritmi frenetici e all’omologazione dei comportamenti e delle abitudini, non solo alimentari, della vita contemporanea. Più in particolare, il movimento ha come obiettivo lo studio, la difesa e la divulgazione delle tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni parte del pianeta, oltre che l’impegno per «la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura intensiva, le manipolazioni genetiche»3.

Slow Food rappresenta oggi una realtà molto attiva costantemente impegnata nella realizzazione di diverse iniziative su queste tematiche. In particolare, quelle che meglio esprimono le finalità del movimento riguardano anche progetti come “L’Educazione alimentare, sensoriale e del gusto”, l’istituzione di una “Università di Scienze Gastronomiche”, ed importanti eventi come “Terra Madre” e il “Salone del Gusto”.

L’Università degli studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo è un’università non statale legalmente riconosciuta, nata nel 2004 e promossa da Slow Food con la collaborazione delle Regioni Piemonte ed Emilia Romagna.

I percorsi formativi proposti dall’Università si basano sullo studio di una rinnovata cultura dell’alimentazione che interpreta il cibo come fenomeno complesso e multidisciplinare. In particolare, così come esplicitato nello Statuto di Ateno, lo scopo di questa Università è «di operare nella formazione e diffusione della cultura alimentare e dell’educazione sensoriale e gastronomica, di costruire percorsi formativi d’eccellenza, finalizzati a tradurre l’elaborazione culturale in capacità operative qualificate ed a diffondere una cultura gastronomica di livello»4.

Il progetto sull’Educazione alimentare, sensoriale e del gusto opera nella stessa direzione e mira alla diffusione di una concezione del cibo inclusiva di tutti i suoi valori culturali, sociali e delle proprietà organolettiche. Più in dettaglio, il progetto si articola in due percorsi educativi: il primo, denominato “Orti in Condotta” e rivolto a scolari e famiglie sulla cultura alimentare, mira a trasmettere il valore di semi e frutti e l’importanza della tutela delle risorse naturali. “Master of Food” rappresenta, invece, il secondo percorso che si basa «sull’apprendimento di tecniche produttive del cibo e sulla degustazione come esperienza formativa»5.

3 Il pezzo citato è tratto integralmente dal sito web ufficiale del movimento Slow Food Italia:

www.slowfood.it. 4 Statuto Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Art. 3 (Finalità), approvato

con Decreto Ministeriale 15 aprile 2005 - G.U. n. 106 del 09/05/2005 - Supplemento Ordinario n. 84. 5 Integralmente tratto dal sito web ufficiale del movimento Slow Food Italia: www.slowfood.it.

Turismo e qualità della vita 16

Terra Madre è un altro grande progetto concepito da Slow Food che nasce con l’obiettivo di proteggere le culture locali dalla crescente omogeneizzazione imposta dalle logiche di produzione e distribuzione moderne. Con questa finalità è stata stimolata la nascita di una rete mondiale che potesse disporre di strumenti di condivisione delle informazioni per la diffusione di un sistema alternativo di produzione. Oggi Terra Madre costituisce una importante iniziativa che vede coinvolte oltre duemila comunità del cibo in tutto il mondo che operano al fine di conservare un rapporto armonico tra la produzione del cibo e l’ambiente e per affermare la dignità culturale e scientifica dei saperi locali e tradizionali. L’iniziativa, che si realizza attraverso diversi incontri con le varie comunità del cibo in tutti i continenti, culmina nell’importante evento del “Salone del Gusto” e “Terra Madre”, una grande manifestazione che dal 2004 si svolge ogni anno nella città di Torino ed è diventata il più importante appuntamento mondiale dedicato al cibo6.

1.3. La rete delle città lente Un altro grande contributo all’affermazione della filosofia del vivere lento è quello fornito dal movimento Cittaslow, una rete di piccoli comuni che, trasferendo al governo cittadino le conoscenze sviluppate nel mondo dal movimento Slow Food, operano all’interno dei propri contesti urbani per il miglioramento della qualità della vita degli abitanti e dei visitatori.

Infatti, Slow Food, che nasce inizialmente anche per marcare processi sociali di tipo locale, ha trovato nelle città medio-piccole il luogo privilegiato in cui sperimentare stili di vita di qualità e pratiche alternative di consumo (Catalano e Tocci 2012). Secondo la International Charter della rete Cittaslow, le slow cities sono accomunate dall’obiettivo specifico di «promuovere e diffondere la cultura del buon vivere attraverso la ricerca, la sperimentazione e l’applicazione di soluzioni per l’organizzazione della città» (Cittaslow International Charter 2009).

Così il marchio slow è andato oltre il mero significato di “buon cibo e buona vita”, diventando una modalità ricorrente per designare le città di tipo sostenibile. E oggi le slow cities rappresentano una realtà importante all’interno del dibattito sui modelli di sostenibilità urbana, tanto da essere ormai riconosciute come un marchio cittadino specifico, non più soltanto orientato alle pratiche del buon vivere (Grzelak-Kostulska, Holowiecka e Kwiatkowski 2011; Knox 2005; Miele 2008; Pink 2008).

6 Le informazioni sono state tratte dal sito web ufficiale della rete Terra Madre, consultabile

all’indirizzo: www.terramadre.info.

I. Lentezza, città, turismo

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La rete delle slow cities include un numero crescente di città sia europee che di altri continenti. Come stabilito nello Statuto dell’Associazione7, possono aderire alla rete, in qualità di Soci Ordinari, tutte le città, non capoluoghi di provincia, con una popolazione, di norma, non superiore ai 50.000 abitanti e che rispettino le caratteristiche previste dal regolamento di adesione. Le città membro, ogni cinque anni, sono sottoposte alla verifica del mantenimento delle condizioni primarie di ammissibilità, al fine di stabilire la permanenza nella rete.

Figura 2. Il Logo Cittaslow International.

Fonte: www.cittaslow.org. Le richieste di adesione alla rete sono in continua crescita e attualmente

le città certificate che costituiscono il network internazionale sono più di 2008.

La rete include città di piccole e medie dimensioni il cui impegno è rivolto al miglioramento delle qualità della vita dei residenti. In concreto i punti cardini su cui si basa la filosofia di una città slow: «sono il rispetto per l’identità locale, la memoria, il patrimonio di comunità; il rispetto

7 Lo Statuto stabilisce agli artt. 8 e 9 le modalità di adesione e la categoria dei soci. Art. 8: «Possono

aderire all’Associazione internazionale come Soci Ordinari tutte le città che, di norma, abbiano più di 50 mila abitanti, salvo diverse motivate decisioni degli organi dell’Associazione. Sono ammessi come soci le città o i Comuni la cui domanda sarà accettata dal Comitato di Coordinamento Internazionale su proposta del Coordinamento nazionale, ove esista […]» (Statuto Cittaslow Internazionale 2014, p. 7). Art. 9: […] «Ogni Socio si impegna ad attuare nel proprio territorio e comunità le linee di indirizzo dell’Associazione Cittaslow. Inoltre ha il dovere di evitare comportamenti che possono risultare contrastanti con le finalità, l’ideologia ed i valori dell’Associazione Cittaslow o che possano danneggiarne gravemente l’immagine. Nel caso in cui un Socio contravvenga a ciò, il Comitato di coordinamento può deliberarne l’esclusione immediata» (Ibidem, p. 8).

8 L’elenco delle città aderenti a Cittaslow è disponibile sul portale della rete all’indirizzo web: www.cittaslow.org. Al novembre 2015 il network registra in totale 213 città certificate diffuse in 30 paesi in tutto il mondo. La rete italiana è quella più numerosa con 84 città, seguita dalla rete polacca costituita da 28 membri e da quella tedesca che ne conta invece 13. Le crescenti richieste di adesione alla rete, accanto alle verifiche periodiche dei criteri di accesso, nel continuo aggiornamento, determinano frequenti variazioni del numero complessivo delle città certificate.

Turismo e qualità della vita 18

dell’ambiente naturale, del paesaggio e della biodiversità; l’inserimento di tecnologie per la sostenibilità, il risparmio, il riuso, in città e in campagna; la responsabilità come elemento imprescindibile di sviluppo locale» (Rur 2012, p. 9). Per entrare a far parte del network le città devono infatti conformarsi a diversi criteri riguardanti le politiche ambientali e infrastrutturali, la pianificazione urbana, la promozione e la valorizzazione dei prodotti locali, la convivialità e l’ospitalità (Mayer e Knox 2010). Questi parametri, che non rappresentano semplicemente delle indicazioni generali, corrispondono ad una serie di criteri più specifici9 articolati in sei macroaree (v. Tab. 1):

Tabella 1. Requisiti di certificazione Cittaslow.

MACROAREE REQUISITI

POLITICHE ENERGETICHE E AMBIENTALI

Tutela della qualità dell’aria e dell’acqua Raccolta differenziata dei rsu Risparmio energetico edifici e impianti pubblici

POLITICHE INFRASTRUTTURALI

Piste ciclabili efficienti che colleghino edifici pubblici Pianificazione organica della mobilità alternativa alle auto private Abbattimento delle barriere architettoniche

POLITICHE PER LA QUALITÀ URBANA

Riqualificazione e riuso di aree marginali Uso dell’ITC nello sviluppo di servizi al cittadino ed al turista Promozione di un’urbanistica sostenibile (passive house, bioarchitettura, ecc.)

POLITICHE AGRICOLE, TURISTICHE E ARTIGIANALI

Tutela dei prodotti e dei manufatti artigianali identitari Valorizzazione delle tecniche di lavoro e dei mestieri tradizionali Uso di prodotti del territorio nella ristorazione pubblica (mense sc.) Valorizzazione e tutela delle manifestazioni culturali locali

POLITICHE PER OSPITALITÀ, CONSAPEVOLEZZA, FORMAZIONE

Buona accoglienza (formazione addetti, segnaletica, infrastr.) Predisposizione di itinerari “slow” (stampati, web, ecc.) Adozione di tecniche partecipative per l’attivazione di processi bottom-up nel-le decisioni amministrative più importanti

COESIONE SOCIALE Integrazione dei disabili Integrazione multiculturale Partecipazione politica

Fonte: Adattato da Statuto Cittaslow Internazionale (2014, pp. 25-27). Appare evidente dai requisiti di certificazione come la rete miri alla

promozione di uno schema alternativo di città sostenibile in ogni sua dimensione, cioè non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico, sociale e politico. La città slow si propone, quindi, come un modello basato su un’economia locale ed artigiana che promuove le identità e la differenziazione locale (sostenibilità economica), la salvaguardia dell’ambiente e la qualità del territorio (sostenibilità ambientale e

9 I requisiti di certificazione sono oltre 70. Qui ne sono stati opportunamente riportati solo alcuni tra i più significativi (v. Tab. 1). Per una consultazione completa dei requisiti si veda lo Statuto Cittaslow Internazionale (2014, pp. 25-27).

I. Lentezza, città, turismo

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territoriale) la pluralità degli interessi, la valorizzazione della storia e delle culture locali (sostenibilità sociale), nonché la partecipazione politica e l’attivazione di processi dal basso nelle decisioni amministrative più impor-tanti (sostenibilità politica)10.

Misure ambientali come il controllo della qualità dell’aria, la gestione dei rifiuti, il controllo dell’inquinamento atmosferico, l’impiego di fonti di energia alternative sono finalizzate (al miglioramento e alla protezione di tutto l’ambiente urbano). Alcuni dei criteri riguardano anche la crescita economica attraverso la produzione e il consumo di prodotti locali. (Mayer e Knox 2006, pp. 327-328) Il superamento di almeno il 50% dei requisiti richiesti consente alle città,

che ne abbiano fatto domanda, di acquisire la certificazione di slow city ed accedere così al network internazionale Cittaslow.

Per tali ragioni le azioni intraprese dalle città slow mirano oltre che alla tutela delle risorse naturali, al rispetto della cultura dei luoghi, alla conservazione delle tecniche tradizionali di produzione e, soprattutto in chiave turistica, anche al contenimento del sovraccarico antropico derivante da forme di turismo di massa. Anche il turismo viene qui più propriamente inteso come percorso di ospitalità, con facilities policies dal “passo lento”, piuttosto che come industria ai limiti della capacità di carico11. Il principio dell’ospitalità si traduce nella promozione di attività lente e di qualità basate sulla valorizzazione delle risorse locali e sul rifiuto di un turismo esclusivamente di tipo quantitativo.

Oltre alla cura per l’ambiente che caratterizza tutte le città slow, il turismo gode di una vita comunitaria e di iniziative volte a incentivare ogni forma di cultura: dalla lettura, all’arte al cibo. Una particolarità riguarda i prodotti del territorio che molto spesso rappresentano l’elemento distintivo delle località slow depositarie di antiche tradizioni e prodotti tipici di qualità come olio, pesce, vegetali, vino, formaggi12.

Quest’ottica trova giustificazione nel fatto che il turismo trae dei benefici dalle strategie di tipo lento delle città slow (Timothy e Boyd 2003); l’esperienza del viaggio diventa maggiormente concretizzabile in un contesto urbano dove vige una più accentuata sicurezza e coesione sociale,

10 Per un approfondimento sui concetti di sostenibilità ambientale, territoriale, politica e sociale cfr.

Magnaghi (2000). 11 Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo «la capacità di carico [carrying capacity] di una

destinazione turistica è rappresentata dal numero massimo di persone che visita, nello stesso periodo, una determinata destinazione senza compromettere le sue caratteristiche ambientali, fisiche, economiche e socio-culturali e senza ridurre la soddisfazione dei turisti» (WTO 1999). Per un approfondimento del concetto di carrying capacity cfr. Garrigós Simón et al. (2005); McCool e Lime (2001).

12 Le informazioni sono tratte dal sito web ufficiale della rete Cittaslow, consultabile all’indirizzo: www.cittaslow.org.

Turismo e qualità della vita 20

oltre che una sufficiente presenza di relazioni e contesti sociali maggiormente ecocompatibili (Catalano e Tocci 2012).

Tuttavia il modello delle città slow, pur puntando in primis alla promozione e alla valorizzazione delle peculiarità e degli stili di vita di città rimaste fino ad oggi ai margini dei circuiti globali, mira ad obiettivi ancora più ambiziosi attraverso la “trasferibilità”, anche alle grandi città, dei principi della filosofia slow propri delle periferie e dei centri più piccoli (Rur 2012).

Come sostengono Knox e Mayer (2006, p. 232) «il concetto di città slow può diventare un modello di regime urbano che può essere trasferito a città più vaste di quelle in cui è stato applicato». La trasferibilità, che è un termine sempre più ricorrente nella letteratura sulla sostenibilità urbana, in tal caso tende a indicare che anche le città di oltre 50.000 abitanti possono aprirsi ad un diverso regime di politiche urbane attraverso la realizzazione di percorsi lenti.

D’altra parte, nello scenario internazionale, sono sempre più numerosi i casi13 che aiutano a spiegare l’attuale decorso delle città lente e, in particolare, la trasferibilità di molte pratiche ecocompatibili del modello slow anche a città di medie e grandi dimensioni (Catalano e Tocci 2012).

1.4. Il Turismo in chiave slow Seppure il termine slow si sia ormai imposto con forza come concetto autonomo, appare evidente come la lentezza rappresenti sostanzialmente anche il punto di incontro in cui convergono tutti i principi delle scienze ambientaliste e del turismo sostenibile e responsabile. Infatti il concetto di lentezza è andato via via affermandosi negli ultimi tempi come risultato di una crescente attenzione anche verso la responsabilità e la sostenibilità proprio delle attività turistiche. D’altra parte le ragioni che spingono verso le pratiche del vivere lento, anche e soprattutto in chiave turistica, sono diverse. Tematiche che spaziano dai cibi biologici ai prodotti locali di qualità, dal risparmio energetico alla raccolta differenziata e la ricerca di esperienze più dirette e coinvolgenti hanno interessato e interessano in maniera crescente anche il turismo.

Negli ultimi decenni la domanda turistica sembra aver invertito direzione a favore di un turismo maggiormente orientato al sé, come espressione del

13 Il riferimento qui è a città medie e grandi come Göteborg e Barcellona ad esempio. Su Göteborg si vedano i progetti realizzati dalla città sul tema della sicurezza e autosufficienza del cibo, sul risparmio energetico, sui trasporti e sulla sostenibilità delle reti idriche e dei semi (Göteborg 2050 Project 2002). Su Barcellona si veda, invece, il progetto “Many slow cities into a smart city” realizzato nell’ambito del Master di Architettura del Paesaggio presso l’Istituto Avanzato di Architettura della Catalogna (IAAC 2012).