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IL WAHHABISMO E IL SUO SVILUPPO di David Commins WWW.OASISCENTER.EU Diriyah, luogo dove venne sancita l'alleanza tra il clan di Ibn Sa‘ūd e Ibn ‘Abd al-Wahhāb

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IL WAHHABISMO E IL SUO SVILUPPO

di David Commins

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Diriyah, luogo dove venne sancita l'alleanza tra il clan di Ibn Sa‘ūd e Ibn ‘Abd al-Wahhāb

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«Non c’è dio all’infuori di Dio e Muhammad è

il Suo profeta». Per secoli, questa professione

di fede ha costituito il fondamento dell’unità

musulmana in presenza di una varietà di usan-

ze religiose popolari, come la richiesta di in-

tercessione di uomini santi, l’omaggio reso alle

tombe di antenati illustri e l’invocazione dei

santi sufi per ricevere benedizioni spirituali. I

teologi musulmani criticavano le usanze po-

polari in quanto deviazioni dalle preghiere

canoniche prescritte, ma sostenevano anche

che fin quando una persona professava la fede

ed eseguiva gli obblighi rituali – preghiera,

elemosina, digiuno e pellegrinaggio alla Mec-

ca – era considerata musulmana. Nel 1740, un

teologo arabo chiamato Muhammad Ibn ‘Abd

al-Wahhāb (1702-1792) ha clamorosamente

preso le distanze dall’opinione consolidata,

affermando che le usanze popolari rappresen-

tavano espressioni imperdonabili di idolatria e

scatenando un dibattito che da allora divide i

musulmani.

Le radici del dissenso di Ibn ‘Abd al-Wahhāb

risiedono nell’audace affermazione secondo la

quale i musulmani hanno dimenticato il vero

significato dell’espressione «non c’è dio all’in-

fuori di Dio»: non soltanto a Dio si deve com-

pleta adorazione, come credono tutti i musul-

mani, ma ogni parola o azione che implichi un

atto di culto rivolto a un’altra creatura fa di

una persona un idolatra. Altri teologi hanno

negato che la richiesta di intercessione e azio-

ni simili fossero forme d’adorazione, ma Ibn

‘Abd al-Wahhāb ha insistito nel dire che lo

erano. Si è pertanto sentito in dovere di esor-

tare alla purificazione della vita religiosa, do-

po averla dichiarata caduta nella stessa

“ignoranza spirituale” idolatra che il profeta

Muhammad aveva combattuto un migliaio di

anni prima.

In termini pratici, il credo di Ibn ‘Abd al-

Wahhāb implicava la scomunica di altri mu-

sulmani. Il termine arabo per scomunica, tak-

fīr, è diventato familiare in Occidente a causa

della sua associazione con la violenza estremi-

sta perpetrata in Iraq e in Siria dallo Stato Isla-

mico, i cui teologi attingono ampiamente dalla

dottrina wahhabita. I critici di Ibn ‘Abd al-

Wahhāb lo accusavano di scomunicare i mu-

sulmani in modo sconsiderato e ingiusto. Lui

respingeva le accuse, affermando di aver accu-

ratamente limitato la scomunica ai casi in cui

gli individui avevano ricevuto una spiegazione

chiara del significato del monoteismo e l’ave-

vano rifiutata.

Ibn ‘Abd al-Wahhāb ha intrapreso la missione

di stabilire un regno dell’adorazione perfetta,

con l’eliminazione delle usanze pagane, l’ob-

bedienza alla legge divina e l’esclusione degli

idolatri. All’inizio, si è dedicato a questa mis-

sione attraverso il proselitismo, in linea con la

Fondato su un’interpretazione intransigente del monoteismo, nel

corso dei secoli il wahhabismo ha ceduto ai compromessi con il po-

tere politico, senza però rinunciare ai suoi principi essenziali

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tradizionale via musulmana di invito (daʻ wa)

alla vera fede. Ma gli altri esperti religiosi lo

hanno perlopiù condannato e i suoi critici

hanno coniato il termine “wahhabismo” per

marginalizzare il suo messaggio come conce-

zione falsa di un rozzo predicatore sviato. Lui

ha ovviamente rifiutato l’etichetta di wahha-

bita, insistendo sul fatto che stava ridando vita

al vero monoteismo dell’Islam.

L’alleanza con i sauditi

I critici riuscirono a farlo espellere da due cit-

tà della penisola araba prima che lui trovasse

il sostegno del governante di un’oasi – Mu-

hammad Ibn Sa‘ūd –, dando vita all’alleanza

tra il wahhabismo e il clan saudita. Tale colla-

borazione ha fornito a Ibn ‘Abd al-Wahhāb il

supporto politico di cui aveva bisogno per

creare un regno purificato dall’idolatria e per

ampliarlo attraverso una guerra d’espansione.

Dopo la sua morte nel 1792, la leadership reli-

giosa è passata al figlio e poi agli altri discen-

denti, che hanno conservato la teologia wah-

habita e mantenuto forti legami con i gover-

nanti sauditi.

Dagli anni ’40 del Settecento ai primi anni del

Novecento, le vicende politiche saudite hanno

avuto alti e bassi. Nei periodi di forza politica,

i chierici wahhabiti hanno utilizzato il loro

monopolio dell’autorità religiosa per costruire

una cultura religiosa puritana, soffocando il

dissenso ed escludendo i musulmani non wah-

habiti. Appellandosi all’obbligo religioso di

ostilità verso gli infedeli e amicizia verso i cre-

denti, i chierici wahhabiti hanno persino cer-

cato di vietare i viaggi verso i Paesi limitrofi,

come l’Iraq, la Siria e l’Egitto, per paura che

l’interazione con musulmani non wahhabiti,

che essi consideravano infedeli, potesse susci-

tare simpatia verso di loro e verso le loro idee

religiose.

La dipendenza del wahhabismo dal potere

saudita ha significato che la purezza religiosa

aveva bisogno di un governante forte. Di con-

seguenza, i chierici wahhabiti hanno fatto

dell’obbedienza al sovrano un obbligo religio-

so, in linea con la tradizione sunnita secondo

cui i credenti devono obbedire al governante

che difende l’Islam fintantoché egli non ordi-

na loro di violare la legge islamica. Ma il wah-

habismo ha inteso in maniera estremamente

impegnativa l’idea di “difesa dell’Islam”, ri-

chiedendo al

governante di

proibire le de-

viazioni da una

definizione ri-

gida del “culto

corretto”. Esso

esige infatti

che il governante adempia rigorosamente il

dovere di “comandare il bene e proibire il ma-

le”, una formula che prevede una società con-

forme alla visione wahhabita di ciò giusto e

ciò che è sbagliato. A partire dal 1920, tale

conformità è stata controllata da una polizia

religiosa che aveva l’autorità di imporre la se-

gregazione di genere, la chiusura dei negozi e

degli uffici negli orari di preghiera e la morali-

tà pubblica in generale.

La dipendenza da un governante forte nella

preservazione della purezza religiosa ha l’ef-

I CHIERICI WAHHABITI HANNO FATTO

DELL’OBBEDIENZA AL SOVRANO UN OBBLI-

GO RELIGIOSO

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fetto paradossale di obbligare i chierici wah-

habiti a cedere quando questo governante de-

cide per ragioni di convenienza di rompere

con la loro idea di ciò che è giusto e ciò che è

sbagliato. In una situazione del genere, solita-

mente i chierici resistono prima di raggiunge-

re un compromesso. È stato questo lo schema

messo in atto quando negli anni ’30 i gover-

nanti accolsero per la prima volta degli occi-

dentali infedeli per sviluppare le risorse petro-

lifere e quan-

do negli anni

’60 introdusse-

ro la televisio-

ne e le scuole

per le ragazze.

I chierici han-

no fatto il pos-

sibile per limi-

tare l’impatto di questi cambiamenti. Quando

il sovrano ha abolito il divieto di vivere in

Arabia Saudita per gli infedeli, questi ultimi

sono stati confinati all’interno di enclave resi-

denziali, così da ridurre al minimo un’intera-

zione che avrebbe potuto corrompere il mo-

dello saudita. Quando il sovrano ha insistito

per permettere la televisione, i chierici hanno

ottenuto il potere di censura sulla program-

mazione. E quando il sovrano ha aperto le

scuole per ragazze, i chierici ne sono diventati

responsabili.

Il rapporto con lo sciismo

La questione di come trattare con la minoran-

za sciita dell’Arabia Saudita mette in conflitto

convenienza politica e purezza religiosa. E la

realizzazione di un compromesso duraturo tra

le due esigenze si è rivelata illusoria a causa

delle complessità insite nella storia, nella teo-

logia, nella geografia e nella politica.

La divisione tra sunniti e sciiti risale ai pri-

mordi della storia musulmana. Dopo la morte

del Profeta, i musulmani non sono riusciti a

mettersi d’accordo su come scegliere la pro-

pria guida. Secondo il credo sciita, il Profeta

ha chiarito che la leadership sarebbe passata al

suo consanguineo Ali e ai suoi discendenti

maschi, noti come “imam”. Nel credo sunnita,

invece, la leadership è decisa in modo consen-

suale. Nel corso del tempo, le differenze teolo-

giche hanno aumentato il divario tra sciiti e

sunniti. Gli sciiti sono arrivati a credere che

gli imam possedessero una comprensione uni-

ca del significato della rivelazione, trasfor-

mandoli in guide infallibili nel capire e segui-

re la volontà di Dio. Lo sciismo attribuisce agli

imam qualcosa di simile all’autorità apostolica.

Al contrario, i sunniti hanno conferito l’auto-

rità di discernere il significato della rivelazio-

ne alla saggezza collettiva degli esperti religio-

si, considerati gli “eredi del Profeta”. Inoltre,

gli sciiti credono che gli imam abbiano una

posizione speciale agli occhi di Dio, che per-

mette loro di intercedere presso di Lui per

conto dei credenti devoti. Pertanto, la vita re-

ligiosa sciita prevede preghiere per chiedere

l’intercessione degli imam e celebrazioni che

li onorano. Agli occhi dei wahhabiti, si tratta

di pura idolatria.

A parte l’ostilità dottrinale wahhabita verso lo

sciismo, sono la geografia e la politica a defini-

re la gestione della minoranza sciita da parte

del governo saudita. La maggior parte degli

SONO LA GEOGRAFIA E LA PO-LITICA A DEFINIRE LA GESTIONE DELLA MI-NORANZA SCIITA DA PARTE DEL GOVERNO SAUDITA

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sciiti vive nella provincia orientale affacciata

sul Golfo persico, esattamente dove si trovano

gli enormi giacimenti petroliferi del Paese.

Considerato che l’estrazione e l’esportazione

del petrolio è essenziale per la prosperità sau-

dita, le episodiche agitazioni sciite comporta-

no un enorme rischio per l’economia naziona-

le.

Inoltre, gli sciiti dell’Arabia Saudita fanno

parte di una zona sciita nella regione del Gol-

fo persico che include correligionari in Bah-

rain, Kuwait,

Iraq e Iran.

L’ascesa in tut-

ti questi Paesi,

tranne che in

Iran, di mo-

derni governi

nazionali gui-

dati da sovrani

sunniti ha rafforzato un comune sentimento

di ingiustizia tra gli sciiti che sono vittime di

discriminazione confessionale, e questi ultimi

hanno risposto dando origine a movimenti

transnazionali per la difesa dei loro interessi.

Davanti a questo complesso scenario, i gover-

nanti sauditi hanno generalmente cercato un

compromesso tra la dottrina wahhabita, che

sopprimerebbe lo sciismo, e la necessità di sta-

bilità, che sarebbe minacciata dall’applicazio-

ne di tale dottrina. Il compromesso permette

agli sciiti di pregare nelle loro moschee, ma

vieta le celebrazioni pubbliche delle loro festi-

vità. Al contempo, esso dà all’establishment

wahhabita carta bianca nei sermoni in mo-

schea e all’interno delle scuole per condanna-

re gli sciiti come infedeli che complottano se-

gretamente per indebolire l’Islam.

Questo clima religioso oppressivo si traduce in

una discriminazione pervasiva. Gli sciiti si

trovano in una posizione svantaggiata quando

cercano lavori statali in un’economia in cui il

settore pubblico è la principale fonte di impie-

go per i cittadini sauditi. Dal boom petrolifero

degli anni ’70, il governo ha investito ingenti

somme di denaro per elevare il tenore di vita

materiale in tutto il Paese, tranne che nei

quartieri, città e villaggi sciiti. Come se non

bastasse, dopo che la rivoluzione iraniana del

1979 ha portato al potere un governo ufficial-

mente sciita, gli sciiti sauditi sono stati sospet-

tati di lealtà verso una potenza straniera ostile.

Di conseguenza, le proteste sciite del 1979 e

del 2001 sono state liquidate come una ribel-

lione ispirata dal governo iraniano. La prima

serie di proteste ha spinto il governo saudita a

promettere di rispondere alle rivendicazioni

degli sciiti, ma l’agitazione più recente ha in-

contrato la repressione più pura.

Il proselitismo

Ciò che i critici occidentali e musulmani chia-

mano “esportazione del wahhabismo” è un

termine peggiorativo per “proselitismo”. Nel

Settecento, Ibn ‘Abd al-Wahhāb ha inviato

lettere a esperti religiosi in Arabia, Siria, Egit-

to, Tunisia e Marocco, esortandoli a sostenere

la sua missione, ma ha incontrato un rifiuto

quasi unanime. Il proselitismo wahhabita non

ha trovato un pubblico ricettivo fino agli anni

’20 del Novecento, quando il fondatore del

moderno Stato saudita, ‘Abd al-‘Azīz Ibn

IL PROSELITISMO WAHHABITA NON HA TROVATO UN PUBBLICO RICETTIVO FINO AGLI ANNI ’20 DEL NOVE-CENTO

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Sa‘ūd, ha sovvenzionato la diffusione di tratta-

ti wahhabiti da parte di una casa editrice egi-

ziana.

È solo negli anni ’60 che ha preso forma il

proselitismo nella sua forma attuale, princi-

palmente in ragione della convenienza politi-

ca. In reazione alla popolarità e al dinamismo

dei regimi nazionalisti arabi laici, l’Arabia

Saudita ha infatti messo insieme una coalizio-

ne internazionale di governi musulmani con

la pretesa di rappresentare la fedeltà all’Islam.

I chierici wahhabiti vi hanno visto l’opportu-

nità di difendere la loro dottrina, contribuen-

do a dar vita a organizzazioni panislamiche

come la Lega Musulmana Mondiale e l’Assem-

blea Mondiale

della Gioventù

Musulmana.

Queste orga-

nizzazioni han-

no trasformato

i proventi pe-

troliferi dell’A-

rabia Saudita in

influenza religiosa, fondando scuole, moschee,

enti benefici e cliniche mediche sotto la su-

pervisione dei chierici sauditi e dei loro alleati

religiosi in tutto il mondo musulmano e nella

diaspora musulmana in Occidente. L’effetto

della diffusione del wahhabismo è stato quello

di creare tensioni tra i musulmani, a causa di

una dottrina che genera un clima di intolle-

ranza dove aveva a lungo prevalso uno spirito

pluralista.

La campagna di proselitismo è stata amplifica-

ta dalla cooperazione con organizzazioni e at-

tivisti musulmani che non aderiscono alla dot-

trina wahhabita, ma condividono la sua ostili-

tà verso la diffusione dei costumi occidentali e

il suo invito alla solidarietà per difendere le

comunità musulmane a rischio in luoghi come

la Palestina e il Kashmir. La cooperazione mu-

sulmana transnazionale ha raggiunto il culmi-

ne quando l’Unione Sovietica ha invaso l’Af-

ghanistan nel 1979 allo scopo di stabilizzare

un vacillante regime marxista.

I governi dell’Arabia Saudita e del Pakistan

hanno collaborato con gruppi di attivisti per

organizzare, finanziare ed equipaggiare ribelli

afghani e volontari musulmani per resistere

alle forze sovietiche. Gli Stati Uniti vedevano

l’Afghanistan attraverso le lenti della Guerra

Fredda e dell’ostilità con l’Unione Sovietica,

dando il loro contributo alla causa. Il periodo

successivo alla guerra afghana, tuttavia, è stato

segnato dall’apertura di nuovi fronti del jihad

in Bosnia, Cecenia, Tajikistan e altri luoghi

più allarmanti per l’Occidente. Gli anni ’90

hanno visto la comparsa di un nuovo tipo di

militanza islamica che mescola il proselitismo

wahhabita con la resistenza armata alle mi-

nacce contro le comunità musulmane. Questa

nuova militanza diventerà nota come jihadi-

smo salafita.

Il Salafismo

I wahhabiti generalmente si definiscono come

“salafiti”, cioè musulmani dediti alla rinascita

delle credenze e delle pratiche originarie

dell’Islam. L’abbandono dell’etichetta

“wahhabita” e l’acquisizione di quella

“salafita” facilitano la risonanza del messaggio

UN NUOVO TIPO DI MILITANZA ISLAMICA MESCOLA IL PROSELITISMO WAH-HABITA CON LA RESI-STENZA ARMATA

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religioso saudita nel mondo musulmano: l’ag-

gettivo “wahhabita” richiama alla mente una

controversa dottrina apparsa nel Settecento, e

per questo sembra essere un’invenzione re-

cente, mentre “salafita” rimanda alla comunità

musulmana originaria (salaf significa infatti

“antenati”).

Analizzare i termini “salafita” e “wahhabita” è

complicato, ma alla fin fine si riduce a una

questione di teologia e diritto. Le due dottrine

condividono, infatti, la stessa definizione di

monoteismo, che mira a purificare il culto e

condanna lo sciismo, il sufismo e così via. I

salafiti, tuttavia, considerano i wahhabiti in

errore per quel che riguarda il diritto islamico.

Il disaccordo deriva dall’affiliazione del wah-

habismo all’hanbalismo, una delle quattro tra-

dizioni giuridiche storiche dell’Islam sunnita.

I salafiti rifiutano l’affiliazione a qualsiasi

scuola giuridica sulla base del fatto che esse

rappresentano sviluppi storici avvenuti molto

tempo dopo la prima generazione musulmana.

Il disaccordo sul diritto religioso non impedi-

sce la collaborazione per la diffusione della

teologia salafita/wahhabita. Ma gli stessi ran-

ghi salafiti sono divisi sulle condizioni per in-

vocare il jihad, con i chierici sauditi schierati

a favore di una visione restrittiva in linea con

la loro posizione secondo la quale solo un so-

vrano può dichiarare il jihad.

Il jihad

Il wahhabismo segue infatti la concezione

condivisa nel diritto islamico sunnita secondo

la quale esistono due tipi di jihad (c’è anche

una tradizione sufi che definisce il jihad mili-

tare come una forma minore e quello spiritua-

le come una forma maggiore, ma il wahhabi-

smo non riconosce il jihad spirituale). Nel ji-

had offensivo, il governante invita gli idolatri

ad abbracciare l’Islam e se questi rifiutano de-

ve lanciare una campagna militare per sotto-

metterli al governo islamico. Nel jihad difen-

sivo, il governante conduce una campagna

militare per proteggere i musulmani dagli at-

tacchi ostili. Che sia offensivo o difensivo, se-

condo il diritto islamico sunnita solo il gover-

nante può autorizzare una campagna militare.

Il sostegno dell’Arabia Saudita ai ribelli anti-

sovietici in Af-

ghanistan negli

anni ’80 fu giu-

stificato come

jihad difensivo

perché un ne-

mico non-

musulmano,

l’Unione Sovie-

tica, aveva invaso un Paese musulmano.

Il wahhabismo non ammette invece tre inno-

vazioni introdotte nel jihad dal jihadismo sa-

lafita. Innanzitutto, secondo quest’ultimo,

quando i musulmani si ritrovano sotto il do-

minio di un apostata devono muovere il jihad

per rovesciare il governo. Per esempio,

nell’Algeria degli anni ’90 il Gruppo Islamico

Armato (GIA) ha lanciato il jihad per rove-

sciare il governo perché questo non seguiva la

legge islamica. In secondo luogo, secondo i

salafiti jihadisti il jihad difensivo dovrebbe

essere esteso dalla lotta contro un invasore

straniero alla lotta contro la dominazione stra-

niera. Per esempio, al-Qaeda ha dichiarato il

SECONDO IL DIRITTO ISLAMICO

SUNNITA SOLO IL GO-VERNANTE PUÒ AU-

TORIZZARE UNA CAMPAGNA

MILITARE

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jihad contro gli Stati Uniti a causa del soste-

gno fornito da Washington a Israele e ai regi-

mi laici che opprimono i musulmani. Infine,

l’autorità per ordinare il jihad non è limitata

al governante quando ci sono le condizioni

che lo giustificano ma il governante non fa la

sua parte. In questo tale autorità può essere

assunta dai musulmani comuni.

Il movimento del risveglio

Negli anni ’50 e ’60, durante la Guerra Fredda

araba, l’Arabia Saudita strinse un’alleanza con

i Fratelli musulmani contro le forze laiche e di

sinistra guidate dal presidente egiziano Gamal

Abdel Nasser. Per consolidare il proprio pote-

re, Nasser mise al bando la Fratellanza, incar-

cerò centinaia dei suoi membri e ne condannò

altri all’esilio. L’Arabia Saudita diede rifugio

ad alcuni Fra-

telli musulma-

ni che scappa-

vano dalle per-

secuzioni in

Egitto e in altri

Paesi, come il

Sudan e la Si-

ria. I Sauditi

non permisero

loro di creare un ramo ufficiale della Fratel-

lanza, ma i Fratelli musulmani furono in gra-

do di diffondere uno spirito di attivismo poli-

tico in contrasto con la dottrina wahhabita di

obbedienza al governante. Negli anni ’60 e

’70, emersero giovani sauditi che univano l’e-

thos attivista della Fratellanza alla teologia

wahhabita per contrastare una piccola ma

molto attiva corrente liberale.

Negli anni ’80, la sintesi tra wahhabismo e

Fratellanza divenne un vero e proprio movi-

mento, chiamato il “Risveglio” (sahwa). Esso

faceva appello ai chierici sauditi più giovani

allarmati dagli avanzamenti della cultura occi-

dentale. Sfociò poi in un massiccio movimen-

to di protesta nel 1990-1991, quando il gover-

no invitò migliaia di truppe occidentali per

difendere il Paese dal possibile attacco dell’I-

raq dopo che quest’ultimo aveva invaso il vici-

no Kuwait. Il governo soffocò la protesta arre-

stando i chierici del Risveglio più in vista e

fornendo rapporti clientelari e risorse ai chie-

rici lealisti.

Il principe ereditario

Nel 2017, il Re Salman ha modificato la linea

di successione elevando il giovane figlio Mu-

hammad (n. 1985) al ruolo di principe eredita-

rio. Per rafforzare la sua posizione in vista

della successione al trono, Muhammad bin

Salman (noto come MBS, NdR) si è adoperato

per ottenere il sostegno popolare da parte dei

giovani sauditi. La sua pretesa di essere un

nuovo tipo di leader in sintonia con le pro-

spettive e i bisogni della gioventù saudita po-

trebbe riflettere semplicemente un’affinità

generazionale. Ma con quasi il 60% della po-

polazione sotto i 30 anni, il corteggiamento di

questo vasto elettorato sembra rispondere an-

che a una convenienza politica.

Che sia guidato dall’affinità o dalla convenien-

za, il principe ereditario Muhammad ha mo-

strato simpatia nei confronti dei giovani sau-

diti insoddisfatti delle restrizioni legate al

wahhabismo. Affermando che il Paese si è al-

I FRATELLI MUSULMANI DIFFUSERO UNO SPI-RITO DI ATTIVISMO POLITICO IN CONTRASTO CON LA DOTTRINA WAHHABITA

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lontanato dalla moderazione religiosa negli

anni ’80, ha proclamato che era tempo di al-

lentare le restrizioni sui cinema e di revocare

il divieto alle donne di guidare veicoli a moto-

re. Resta da vedere fino a che punto andrà o

potrà andare nella liberalizzazione del clima

sociale.

Nel 2019, il governo ha revocato i provvedi-

menti che costringevano le donne ad avere il

permesso di un tutore maschio per viaggiare

all’estero, ma non ha modificato le altre nor-

me che pongono le donne sotto l’autorità di

parenti maschi e rimangono in vigore le leggi

patriarcali che regolano il matrimonio, il di-

vorzio e la custodia.

Convenienza e dottrina wahhabita si sono so-

vrapposte nella promozione da parte del prin-

cipe ereditario di una crociata contro lo scii-

smo. Muhammad Bin Salman ha abbracciato

l’idea che l’Iran stia guidando un complotto

sciita per distruggere l’Islam sunnita con l’aiu-

to degli sciiti dello Yemen, della Siria e dell’I-

raq e, sì, di membri della stessa minoranza

sciita saudita. Questa narrazione ignora la di-

versità interna allo stesso sciismo, che affonda

le sue radici in divisioni risalenti ai primi tem-

pi dell’Islam. Gli sciiti zaiditi dello Yemen (il

movimento Houthi) e gli alawiti di Siria (che

si suppongono rappresentati dal regime di Ba-

shar al-Assad) non condividono né teologia,

né diritto, né leadership religiosa con gli sciiti

duodecimani dell’Iran. Nonostante ciò, la nar-

razione si è rivelata efficace nel generare so-

stegno tra i regimi sunniti della regione e in

patria, dove lo spettro di una cospirazione

sciita è usato per giustificare la repressione del

dissenso e della protesta. Nell’aprile del 2019,

più di trenta sciiti sono stati condannati a

morte, accusati tra le altre cose di spionaggio a

favore dell’Iran.

La resilienza del wahhabismo

In un certo senso, il wahhabismo esige che

l’adorazione sia riservata a Dio, contro l’allet-

tante illusione che le creature mortali abbiano

la capacità di intercedere presso Dio per offri-

re sollievo dalla sofferenza in questa vita e sal-

vezza nell’altra. Si potrebbe immaginare que-

sta illusione come un segno della generosa mi-

sericordia di Dio, il quale benedice il mondo

con uomini esemplari, dotati di poteri spiri-

tuali che aprono una via d’accesso al Creatore.

Ma la dottrina wahhabita insiste nell’afferma-

re che la professione di fede, «non c’è altro dio

all’infuori di Dio», mette fine all’illusione e

pone tra i miscredenti ogni persona che vi si

rifugia. Se la dipendenza dai governanti saudi-

ti ha posto dei limiti a ciò che i chierici wah-

habiti possono ordinare o proibire, nel corso

del tempo i chierici sono stati in grado di sal-

vaguardare e diffondere il cuore dottrinale del

wahhabismo.

David Commins

David Commins è professore di storia al Dickinson College, USA. Si occupa di storia moderna del Medio Oriente con un focus sul pensiero islamico e sui mo-vimenti politici. Il suo libro più recente è Islam in Saudi Arabia (2015). Ha pub-blicato inoltre: The Gulf States: A Mo-dern History (2014), The Wahhabi Mis-sion and Saudi Arabia (2009), Historical Dictionary of Syria (2013).