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PAGINA 1 edit Sorprese. Delusioni. E speranze CELESTE GROSSI «Noi vogliamo contare sulla scuola come una parte fondamentale nella costruzio- ne di una nuova convivenza e vorrei qui ricordare il lavoro prezioso delle insegnanti e degli insegnanti che costituiscono un patrimonio per il futuro del nostro paese. Un patrimonio con cui lavorare e sconfiggere la peggiore delle selezioni di classe, quella che può colpire in giovane età ragazze e ragazzi, spingendoli all’esclusione. Vorrei ricordare da questa tribuna la lezione, in cui vorrei tutti ci riconoscessimo, di una grande coscienza civile e di un riformatore del nostro paese che di questo tanto ci ha insegnato: don Lorenzo Milani». Il discorso di Fausto Bertinotti, subito dopo l’elezione a Presidente della Camera, aveva creato attese e speranze che il clima di solitudine e tristezza che negli ultimi anni si respirava nella scuola potesse rapidamente cambiare. Poi Romano Prodi ha presentato la lista dei ministri. Confesso subito che non avevo mai sentito nominare l’angiologo Giuseppe Fioroni prima che Romano Prodi lo nominasse Ministro dell’istruzione (ministero a cui potrebbe presto essere nuovamente aggiunto l’aggettivo “pubblica”). Eppure mi occupo di scuola. E anche di politica. La sua nomina è stata una sorpresa non solo per noi, ma – crediamo – anche per l’interessato che – nell’assumere l’impegno di dirigere un dicastero che «entra nelle famiglie di tutti gli italiani» (ci siamo liberate, liberati, da Letizia Moratti, ma non dal familismo…) – ha commentato «è con immenso piacere e grande modestia [il ministro non si è mai occupato fino a questo momento di scuola] che mi avvicino ad uno dei ministeri vitali di questo paese». Con Fioroni il ministero dell’istruzione torna a un cattolico doc, direi a un democristiano. Il neo ministro è vicino a Ruini, a Marini, ad Andreotti, non per età (ha solo 47 anni), ma per fede politica. In un’intervista, rilasciata a Laura Cesaretti del Giornale un mese prima di diventare mini- stro, ha dichiarato la sua «visione integrata del sistema scolastico, che garantisca pluralità e pari opportunità e doveri a scuola pubblica e privata». Molto meno sorprendente la nomina a viceministro all’istruzione di Mariangela Bastico. Una scelta che premia il suo impegno nella costruzione del programma di governo. Noi della redazione di école la ricordiamo per la caparbietà con cui, a Milano nel novembre del 2005, in occasione dell’incontro “La scuola in testa” (organizzato da ReteScuole con la collabora- zione della nostra rivista) aveva difeso la sua discussa Legge regionale n. 12/2003 in materia di istruzione e formazione professionale. E ci auguriamo che con la stessa caparbie- tà sappia difendere la laicità della scuola, già molto provata dall’era morattiana. All’Università è un’altra storia. Il ministero abbinato alla ricerca è andato al diessino del correntone Fabio Mussi. Solo pochi giorni prima che il governo si insediasse Andrea Ranieri, responsabile del Dipar- timento “Sapere, formazione, cultura” dei Democratici di sinistra, si era dichiarato contrario alla separazione del Ministero dell’istruzione da quello dell’Università e della ricerca «per almeno due buoni motivi: in primo luogo l’autonomia delle Istituzioni scolastiche e delle stesse Università richiede un Ministero con compiti di indirizzo e non di gestione; in secon- do luogo ritengo che per la filiera del sapere debba essere prevista una gestione del tutto unitaria» (Tecnica della scuola, 13 maggio 2006). E non vorremmo proprio dover condividere le sue preoccupazioni, ma dobbiamo constatare che, dopo l’iniziale dichiarazione – «L’università e la ricerca sono settori da cui dipende una parte piuttosto grande del destino del Paese» –, Mussi ha continuato a parlare esclusi- vamente della ricerca preoccupandosi della scarsità delle risorse a essa destinate – «Su questo punto il programma dell’Unione è chiaro e netto: l’obiettivo nell’arco della legislatura è arrivare al 2% del Pil» –, come se non esistesse anche il gravissi- mo problema dell’esiguità di fondi destinati all’Università. Concludiamo con un augurio sincero di buon lavoro (e ce n’è davvero tanto da fare) ai responsabili dei ministeri dell’Istruzione e dell’Università ai loro sottosegretari Gaetano Pascarella, Letizia De Torre, Luciano Modica, Nando dalla Chiesa. E con la speranza che sappiano rimettere i saperi al centro dell’attenzione di cittadine e cittadini, che si adoperino nel ridare passione e riconoscimento sociale alle inse- gnanti e agli insegnanti (e, per esempio, ci piacerebbe che anche quelli medi fossero chiamati a compartecipare al sistema della ricerca), che riescano a invertire la ten- denza in atto nelle società ricche della marginalizzazione della formazione, che comprendano il valore simbolico dei luoghi in cui il sapere si costruisce e avviino subito una “grande opera”, un piano di ristrutturazione e risanamento degli edifici scolastici e universitari. E soprattutto che la smettano con le riforme calate dell’alto e stringano alleanze con l’intera società italiana per avviare un processo di trasfor- mazione della scuola e dell’università dal basso che coinvolga e favorisca la parteci- pazione di chi la scuola la abita dal di dentro, compresi gli studenti e le studenti. Giuseppe Fioroni.

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Sorprese. Delusioni. E speranzeCELESTE GROSSI

«Noi vogliamo contare sulla scuola come una parte fondamentale nella costruzio-ne di una nuova convivenza e vorrei qui ricordare il lavoro prezioso delle insegnanti e degliinsegnanti che costituiscono un patrimonio per il futuro del nostro paese. Un patrimoniocon cui lavorare e sconfiggere la peggiore delle selezioni di classe, quella che può colpire ingiovane età ragazze e ragazzi, spingendoli all’esclusione. Vorrei ricordare da questa tribunala lezione, in cui vorrei tutti ci riconoscessimo, di una grande coscienza civile e di unriformatore del nostro paese che di questo tanto ci ha insegnato: don Lorenzo Milani». Ildiscorso di Fausto Bertinotti, subito dopo l’elezione a Presidente della Camera, aveva creatoattese e speranze che il clima di solitudine e tristezza che negli ultimi anni si respiravanella scuola potesse rapidamente cambiare. Poi Romano Prodi ha presentato la lista deiministri.Confesso subito che non avevo mai sentito nominare l’angiologo Giuseppe Fioroni primache Romano Prodi lo nominasse Ministro dell’istruzione (ministero a cui potrebbe prestoessere nuovamente aggiunto l’aggettivo “pubblica”). Eppure mi occupo di scuola. E anchedi politica. La sua nomina è stata una sorpresa non solo per noi, ma – crediamo – anche perl’interessato che – nell’assumere l’impegno di dirigere un dicastero che «entra nelle famigliedi tutti gli italiani» (ci siamo liberate, liberati, da Letizia Moratti, ma non dal familismo…)– ha commentato «è con immenso piacere e grande modestia [il ministro non si è maioccupato fino a questo momento di scuola] che mi avvicino ad uno dei ministeri vitali diquesto paese».Con Fioroni il ministero dell’istruzione torna a un cattolico doc, direi a un democristiano. Ilneo ministro è vicino a Ruini, a Marini, ad Andreotti, non per età (ha solo 47 anni), ma perfede politica.In un’intervista, rilasciata a Laura Cesaretti del Giornale un mese prima di diventare mini-stro, ha dichiarato la sua «visione integrata del sistema scolastico, che garantisca pluralitàe pari opportunità e doveri a scuola pubblica e privata».Molto meno sorprendente la nomina a viceministro all’istruzione di Mariangela Bastico. Unascelta che premia il suo impegno nella costruzione del programma di governo. Noi dellaredazione di école la ricordiamo per la caparbietà con cui, a Milano nel novembre del 2005,in occasione dell’incontro “La scuola in testa” (organizzato da ReteScuole con la collabora-zione della nostra rivista) aveva difeso la sua discussa Legge regionale n. 12/2003 inmateria di istruzione e formazione professionale. E ci auguriamo che con la stessa caparbie-tà sappia difendere la laicità della scuola, già molto provata dall’era morattiana.All’Università è un’altra storia. Il ministero abbinato alla ricerca è andato al diessino delcorrentone Fabio Mussi.Solo pochi giorni prima che il governo si insediasse Andrea Ranieri, responsabile del Dipar-timento “Sapere, formazione, cultura” dei Democratici di sinistra, si era dichiarato contrarioalla separazione del Ministero dell’istruzione da quello dell’Università e della ricerca «peralmeno due buoni motivi: in primo luogo l’autonomia delle Istituzioni scolastiche e dellestesse Università richiede un Ministero con compiti di indirizzo e non di gestione; in secon-do luogo ritengo che per la filiera del sapere debba essere prevista una gestione del tutto

unitaria» (Tecnica della scuola, 13 maggio 2006). E non vorremmo proprio dovercondividere le sue preoccupazioni, ma dobbiamo constatare che, dopo l’inizialedichiarazione – «L’università e la ricerca sono settori da cui dipende una partepiuttosto grande del destino del Paese» –, Mussi ha continuato a parlare esclusi-vamente della ricerca preoccupandosi della scarsità delle risorse a essa destinate– «Su questo punto il programma dell’Unione è chiaro e netto: l’obiettivo nell’arcodella legislatura è arrivare al 2% del Pil» –, come se non esistesse anche il gravissi-mo problema dell’esiguità di fondi destinati all’Università.Concludiamo con un augurio sincero di buon lavoro (e ce n’è davvero tanto da fare)ai responsabili dei ministeri dell’Istruzione e dell’Università ai loro sottosegretariGaetano Pascarella, Letizia De Torre, Luciano Modica, Nando dalla Chiesa. E con lasperanza che sappiano rimettere i saperi al centro dell’attenzione di cittadine ecittadini, che si adoperino nel ridare passione e riconoscimento sociale alle inse-gnanti e agli insegnanti (e, per esempio, ci piacerebbe che anche quelli medi fosserochiamati a compartecipare al sistema della ricerca), che riescano a invertire la ten-denza in atto nelle società ricche della marginalizzazione della formazione, checomprendano il valore simbolico dei luoghi in cui il sapere si costruisce e avviinosubito una “grande opera”, un piano di ristrutturazione e risanamento degli edificiscolastici e universitari. E soprattutto che la smettano con le riforme calate dell’altoe stringano alleanze con l’intera società italiana per avviare un processo di trasfor-mazione della scuola e dell’università dal basso che coinvolga e favorisca la parteci-

pazione di chi la scuola la abita dal di dentro, compresi gli studenti e le studenti.

Giuseppe Fioroni.

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Il Forum sociale europeo di Atene haindetto per novembre una settimana dimobilitazione per la difesa della naturapubblica della scuola e degli altri serviziche avrà al centro la giornata europeadegli studenti (17 novembre 2006) e un’al-tra giornata di lotta degli insegnanti, que-st’ultima da definire paese per paese.Che questa lotta di difesa sia urgente èdimostrato anche da vicende-sintomo no-strane che potrebbero sembrare quasi umo-ristiche come la soppressione delle diarieper le gite non all’estero e il tentativo delministero uscente di far sparire senza pre-avviso i cedolini cartacei degli stipendi.

Gli esami “privati”

Ciò accade mentre apprendiamo che per laprossima tornata di esami di Stato le scuoleparitarie, finanziate e favorite con ognimezzo legale e amministrativo possibile,fanno registrare un consistente incremen-to di candidati. Rispetto ai numeri raccoltinello stesso periodo (aprile) del 2005, lescuole private italiane contano più alunniinterni, ma anche più esterni: coloro chesi presentano agli esami senza avere se-guito neppure un giorno di lezione. Dàl’esempio la Lombardia che stanzia qua-ranta milioni di euro alle private lombardeda sommare al contributo statale destina-to agli alunni delle paritarie e al buono-scuola regionale. A conti fatti, una coppialombarda con reddito medio potrebbe ri-cevere fino a 1.396 euro di rimborso perogni figlio iscritto alle private. E già esplo-dono le polemiche: «Le nostre classi cado-no a pezzi – dicono i dirigenti delle statali– e mancano i fondi per pagare i supplen-ti. Quei soldi servivano a noi».

L’essenza della relazione educativa

Un’altra vicenda-sintomo: quella dell’Invalsi(Istituto nazionale di valutazione del si-stema d’istruzione) territorio dell’ennesi-ma protesta dei ricercatori, sempre più pre-cari e con l’acqua alla gola. Nato come Cede(Centro europeo di educazione) l’Invalsi èil centro di ricerca del ministero dell’istru-zione che si occupa di indagare nel campodell’educazione, valutando e comparandoa livello internazionale i metodi educativi,le competenze ecc. in collaborazione conistituti internazionali come l’Ocse e la Iea.Il problema è che dei 110 dipendenti ben71 sono Co.co.co. e 51 di questi hanno ilcontratto in scadenza a fine giugno e van-no incontro alla mannaia dei tagli. L’Isti-

tuto nazionale di valutazione ha annun-ciato il licenziamento a partire dal 1 diluglio di 51 precari su un totale di 71. Imotivi addotti dalla dirigenza, direttaespressione del ministro Moratti, sono le-gati al taglio del 40% delle collaborazioniprevisto dalla legge finanziaria.Ma in questo momento sarebbe sbagliatovedere solo lo scontro quantitativo sui ta-gli: è in gioco soprattutto l’”anima” dellascuola pubblica, questa indubbiamente habisogno di soldi ma anche di uno spiritodi innovazione che rimobiliti le persone.Anche su questi decisivi aspetti di qualitàdell’apprendimento e di qualità delle rela-zioni relazione alcune vicende in parte pur-troppo tragiche – come quella dello stu-dente ucciso da una delle solite bravatenotturne da gita scolastica – ci parlanodella necessità di rompere la solitudinedegli insegnanti di fronte al rischio educa-tivo, se non si vuole che questi poveri cri-sti si trincerino (come fanno d’abitudine iloro dirigenti) dietro un muro di paraliz-zanti precauzioni burocratiche che inges-sano tutto e mettono fine per anche allealle più piccole forme di quotidiana inizia-tiva. «Controlli, assicurazioni, moduli nonpossono evitare tragedie come quella diTorino. Quello che manca è una condivi-sione profonda tra adulti e ragazzi, unarelazione educativa capace di accordarsisu alcuni temi essenziali». Domenico Chie-sa, insegnante e presidente nazionale delCidi (Centro di Iniziativa Democratica In-segnanti, la principale associazione pro-fessionale italiana attiva in questo cam-po) spiega perché un numero sempre cre-scente di insegnanti ormai rifiuta di allon-tanarsi da scuola con gli studenti. «Se vaavanti così potrebbe succedere davvero chele gite spariscano. Sono sempre di più idocenti, in ogni tipo di scuola, che rifiu-tano questo incarico e che giustamentenessuno può obbligare a fare. Quello chemanca, purtroppo, è l’essenza della rela-zione educativa. L’unico modo di proteg-gere gli studenti e se stessi è parlare conloro e mettersi d´accordo su ciò che è leci-to fare, su ciò che è pericoloso e ciò chepuò essere tollerato».

Che cosa succede se tra prof e studentiquesto dialogo non è possibile? «Che mancaqualsiasi strumento di controllo. L’inse-gnante è responsabile di ciò che accade,anche in classe. Ma non è un carabiniere eci sono situazioni, come i pernottamentiin albergo, nelle quali controllare è impos-sibile.

Baby teppisti e videofonini

Senza criminalizzare nessuno, altri esem-pi.Assago, sala giochi: «Perché non andiamoa fare un po’ di casino a scuola?». Detto,fatto. In scooter bastano pochi minuti perraggiungere le medie “Sandro Pertini”, fre-quentate fino a qualche anno fa dai ragaz-zi del gruppo, otto adolescenti di buonafamiglia tra i quindici e i diciassette anni.I baby teppisti entrano nella scuola rom-pendo una finestra al primo piano: poisvuotano gli estintori nelle aule, imbrat-tano i muri, rovesciano armadi e scaffali,lanciano i computer nel laghetto artificia-le del giardino. Uno di loro, un ragazzoche frequenta un istituto superiore dellazona, scrive sulla lavagna frasi offensivedirette alla sua ex professoressa di lettere.La bravata viene anche immortalata suivideofonini.

Il foglio arriva sul banco: Cicerone, il piùtemuto. Sono gli ultimi compiti in classe,meglio non rischiare. La mano cerca il te-lefonino nascosto nell’astuccio, le dita scor-rono sui tasti e compongono la prima fra-se. Collegato: il sito traduce l’intero testoe il nove è assicurato. Versioni via sms, lasufficienza ora si ottiene così. Basta colle-garsi e pagare: tre, dieci, dodici euro, siarriva anche a sedici euro per salvare l’an-no scolastico. Succede in molti licei diMilano, dal “Parini” al “Severi”, dal “Vitto-rio Veneto” al “Berchet” (anche se i presi-di smentiscono): uno studente compra laversione collegandosi a un sito (ce ne sonoa decine) o chiamando un privato (contat-tato sulla rete) e, nel giro di pochi minuti,parte il tam tam.

La solitudine degli insegnantiPAOLO CHIAPPE

Non è più possibile arginare con le vecchie forme di controlloburocratico o finanche poliziesco la disgregazione che svuotadal di dentro il senso stesso dello studio, questa disgregazionepuò essere affrontata solo con una nuova pratica dellademocrazia, della partecipazione responsabile e della scuolaattiva: altro che circolari dei dirigenti buone solo a prevenirericorsi, processi e grane

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IL NODO DEL BIENNIOPer un sapere critico e creativo

Firenze, sala dell’Arci, piazza dei Ciompi 119 settembre 2006, ore 10 - 18

La scuola è oggi, ma non da ieri, in una profonda crisi di senso. Non solo perle ferite che le ha inflitto la riforma morattiana nell’era berlusconiana che final-mente volge al tramonto, ma anche per i processi di trasformazione socio-econo-mica e culturale (la privatizzazione neoliberista; la trasformazione tecnologicache crea nuovi e più potenti mezzi di trasmissione; la scissione del tradizionalenesso tra formazione scolastica e lavoro; l’esplosione dei saperi oltre i confini delcanone) che l’hanno progressivamente marginalizzata e impoverita nella sua fun-zione sociale e culturale. Questa crisi e questo passaggio d’epoca, anche politico,è al tempo stesso un’occasione storica per imprimere una direzione diversa alcambiamento in corso. Per far questo c’è bisogno al tempo stesso di una profondatrasformazione culturale dell’insegnare e della scuola; e d’altra parte di una rifor-ma profonda che parta dal basso, capace di rimettere in gioco i soggetti dell’edu-cazione, di re-istituire la scuola come uno spazio in cui la formazione e l’auto-formazione si intersecano, in cui la socializzazione non sia soltanto custodia eobbligo, ma anche assunzione di decisioni attraverso processi di decisione e de-liberazione collettiva. È possibile costruire una scuola come luogo comune diformazione dell’identità, di senso e di ricerca culturale, di convivenza e di incon-tro? A partire dal rifiuto della canalizzazione precoce, di una formazione adde-strativa e omogeneizzata, è possibile ripensare la scuola come un contesto diapprendimento ricco di risorse e di idee che pone al centro del lavoro il fare, lacreatività, i saperi critici, non dunque luogo di frammentazione tayloristica deltempo, ma piuttosto luogo di incontro e di sintesi, di costruzione collettiva dellacomplessità?Il seminario di école, Il nodo del biennio. Per un sapere critico e creativo è unasede che la rivista offre alla discussione collettiva. Vogliamo incontrare associa-zioni, coordinamenti, reti, insegnanti, studenti, soggetti istituzionali e sindacaliper discutere di questi temi e provare a ripensare insieme una formazione comu-ne.Il seminario si terrà a Firenze sabato 9 settembre (presso la sede dell’Arci inpiazza dei Ciompi) e sarà organizzato in collaborazione con la FICEMEA. È previ-sto, a livello nazionale, l’esonero per gli insegnanti in servizio. Arrivederci aFirenze.

Info: tel. 031.268425, [email protected], www.ecolenet.it.

Del biennioprossimoventuroPINO PATRONCINI

Pare che ci siamo. Ormai

l’idea che si debba portare

l’obbligo scolastico a 16 anni

sembra essere parte del

programma del futuro governo

di centro-sinistra. Uno

sguardo alla vecchia Europa

può essere utile ora che,

definita formalmente la scelta

dell’obbligo a 16 anni, si

presenta la scelta sostanziale:

che tipo di obbligo? In quale

tipo di scuola?

A livello europeo il carattere an-cora prettamente scolastico di quellafascia di scolarizzazione che da noicoincide col biennio è fuori discussio-ne. Da questo punto di vista una strut-tura unitaria del biennio è inevitabilese si vuole che corrisponda alla carat-teristiche di inclusione, di orientamentoe di non pregiudizio per scelte futuredell’alunno, caratteristiche che la scuolaeuropea tuttora ha nella maggior partedei casi. A meno che quando si parla diEuropa si voglia intendere non l’Europache, malgrado tutto, esiste ancora re-almente, bensì quella che i vari Berlu-sconi, Aznar, De Villepin vorrebberorealizzare

Portare l’obbligo scolastico a 16 annisembra essere parte del programma delfuturo governo di centro-sinistra. Lacosa naturalmente non soddisfa tutti.Per alcuni l’obbligo scolastico a 14 annibastava e avanzava. Lo si è visto colprecedente governo, il cui primo attoera stato la ritirata dal “piccolo avan-zamento” di Berlinguer, che l’avevaportato a 15 anni. Lo si è visto conl’impapocchiamento del “diritto-dove-

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re”, che obbligo non era ma che misti-ficava la cosa. Tuttavia di persone chela pensino così a sinistra, per fortuna,ce ne è poche. Piuttosto saranno inve-ce delusi quanti si aspettavano un in-nalzamento a 18 anni, ma anche inquesto caso il fronte dei “diciottisti” sidivide: una parte infatti pensa che l’in-nalzamento a 16 sia solo la prima tap-pa di un successivo innalzamento ulte-riore.Ma c’è anche chi, invece, l’innalzamen-to a 18 proprio non lo prevede e parlaper il periodo 16-18 anni di obbligosolamente formativo, laddove formati-vo sta a significare la formazione pro-fessionale o l’avviamento al lavoro.Merita attenzione questa faccenda del-l’obbligo formativo. Naturalmente sipuò sempre pensare che è meglio diniente, ma c’è da chiedersi se il sensodi un percorso di studi obbligatoriodebba essere questo. C’è all’origine delconcetto di obbligo scolastico una va-lenza civile e collettiva che va ben ol-tre la valenza utilitaristica individuale,contenuta nell’apprendimento di unaprofessione. Non a caso il rivoluziona-rio repubblicano francese HyppoliteCarnot nel 1848 diceva «Poiché la Re-pubblica si distingue dalla monarchiaperché è il popolo che comanda, è in-teresse della Repubblica che il popolosia istruito» e persino nell’Italia post-unitaria, che pure repubblicana non era,si parlava di «coscrizione scolastica»,quasi si trattasse di un dovere patriot-tico. Viene dunque spontaneo doman-darsi che c’entri con tutto ciò l’obbligoformativo.

Spinte alla disgregazione

Ma, tornando all’obbligo a 16 anni,anche questa scelta, che pure può pa-rere riduttiva, non va sottovalutata.Essa è infatti meno scontata di quantosi pensi, anche se si tratta di un obiet-tivo che ci si pone da tempo (almenodalla metà degli anni Settanta) e di unamisura in vigore nella maggior parte deipaesi economicamente avanzati. Tantoper stare nella vecchia Europa è beneche si sappia che l’Italia è l’unico pae-se in cui l’obbligo è a 14 anni: in Por-togallo, Irlanda, Grecia, Lussemburgoe Austria è a 15 anni mentre in tuttigli altri paesi, Est europeo compreso, èalmeno a 16 anni e in Germania Dani-marca Olanda e Belgio è già a 18.Ma è anche bene che si sappia che intutti questi paesi l’innalzamento del-l’obbligo è avvenuto negli anni Sessantao Settanta, in un momento, cioè, in

cui era predominante nella società unacultura integrazionista. Era, cioè, iltempo in cui i governi, a prescindereche fossero di destra e di sinistra, pen-savano che il compito dello stato fossequello di favorire l’integrazione socialee che la scuola fosse l’istituzione pub-blica che meglio poteva assolvere aquesto mandato.E non erano solo i governi: c’era unapredisposizione nell’opinione pubblica.Tutti pensavano che lo Stato e la so-cietà dovessero fare qualcosa in tal sen-so.Oggi questo non è più scontato: nénell’opinione pubblica né nell’operatodegli Stati. Vi sono anzi diverse spintealla disgregazione, la quale, secondoqualcuno, crea più opportunità econo-miche e quindi più opportunità di cre-scita della ricchezza e, alla fin fine, dellasocietà.Queste spinte si registrano nel tentati-vo di tornare a percorsi più fortementedifferenziati ad ogni pie’ sospinto, ascelte precoci, a forme di segregazionescolastica. In Italia questa cosa la si èletta nella separazione a 14 anni traun percorso liceale statale e un percor-so di formazione professionale previ-sto dalla legge Moratti. Ma anche inSpagna, ai tempi di Aznar, qualcosa dianalogo è stato tentato con l’introdu-zione nella scuola media di percorsidifferenziati (di avviamento al liceo,alla formazione professionale, al lavo-ro), obbligatori in base all’andamentoscolastico, oggi fortunatamente sop-pressi dalla nuova legge di ordinamen-to del governo Zapatero. E in Francia,volendo imputare alla scuola il fallimen-to sociale espressosi nella rivolta dellebanlieues, l’accesso all’apprendistato ealla formazione di apprendista è statoproprio recentemente abbassato a 14anni, quando i ragazzi sono ancora nellascuola “media”, che lì è di quattro anni.

Il biennio comune

Ecco dunque che, definita formalmen-te la scelta dell’obbligo a 16 anni, ilproblema si ripresenta sotto altra for-ma: che tipo di obbligo? In quale tipodi scuola?Nel caso italiano non mancano coloroche insistono sul fatto che comunquedai 14 ai 16 anni non ci starebbe maleun’integrazione con la formazione pro-fessionale.A volte si ha l’impressione che, chi so-stiene questa tesi, non sappia bene checosa sia la formazione professionale inItalia: c’è chi la confonde con l’istru-

zione professionale, ma in questo casonon ci sarebbe problema essendo que-sta uno degli ordini in cui da decennisi divide la secondaria superiore; c’è chila confonde con l’alternanza scuola-la-voro o l’apprendistato, e allora il pro-blema c’è ed è quello di un ragazzo chefino ai 15 anni non potrebbe neppureentrare nel mondo del lavoro.Ma, se chi sostiene questa tesi sa benedi cosa parla e magari la sostiene di-cendo che in tutti i paesi europei dopola scuola media si può andare in for-mazione professionale, è bene averechiaro una caratteristica strutturaledella nostra scuola: la scuola media ita-liana è nei sistemi europei l’unico ciclomedio che duri tre anni, dagli 11 ai 14anni di età dell’alunno. In quasi tuttigli altri paesi la scuola media, sottonomi diversi (college, educaciòn secun-daria obbligatoria, comprehensive scho-ol, secondary school, gymnasios) o ad-dirittura, come nei paesi scandinavi,sotto la forma di ciclo superiore dellaprimaria o della scuola di base, duraquattro o cinque anni e/o copre un’etàche va o dai 10 ai 15 anni (Germania),o dai 12 ai 16 (Spagna, Belgio, Scozia)o dagli 11 ai 16 (Inghilterra e Galles) odagli 11 ai 15 (Francia, Svizzera) o dai13 ai 16 (Danimarca, Finlandia, Sve-zia, Norvegia) o dai 12 ai 15 (Grecia,Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Porto-gallo).In un caso o nell’altro o coincide conla conclusione dell’obbligo scolastico a15 o a 16 anni o si avvicina comunquedi molto al sedicesimo anno di etàNon si pone dunque in questi paesi (o,per lo meno, finora non si è posta) laquestione se l’obbligo scolastico deb-ba essere assolto nella scuola o possaessere assolto fuori di essa, ad esem-pio nella formazione professionaleı.Fanno eccezione alcune situazioni par-ticolari: in Francia, Belgio, e nella re-cente legge spagnola, ad esempio, èprevisto che si possa entrare in corsi diformazione professionale o di avviamen-to al lavoro anche senza aver termina-to le scuola media, ma solo dopo aver-ne superato l’età limite di 15 o 16 annisenza successo. Per converso in paesicome la Germania o la Svizzera dove lascuola media termina a 15 anni, il pri-mo anno di apprendistato o di forma-zione professionale, che dir si voglia, èancora un anno totalmente di scuola.Negli altri paesi europei dunque il ci-clo intermedio copre grosso modoun’età che nel caso italiano è copertanon solo dalla scuola media ma anchedal biennio iniziale della secondariasuperiore e praticamente quasi ovun-

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que risponde a quello che i francesihanno ben chiaramente definito comeun biennio di osservazione all’inizio ebiennio di orientamento negli ultimianni.Fa eccezione la Germania dove “l’orien-tamento” è immediato e forzoso, de-terminato in uscita dalle elementari a10 anni in base ai risultati e canalizza-to fin dalla prima “media” o in un Gym-nasium (pre-liceale), o in un’Hauptschu-le (pre-professionale) o in una Realschu-le (pre-tecnico) oppure in una Gesamt-schule (comprensiva). Altrove (Austria,Olanda, Belgio fiammingo), dove purepersistono più scuole medie, struttura,discipline e programmi, soprattutto deiprimi anni, hanno però finito con l’av-vicinarsi molto.In alcuni paesi come Francia, Belgio eSvizzera ( ma in tal senso sembra ulti-mamente orientarsi anche la Spagna)la scuola media si divide in un ciclouguale per tutti nei primi anni e in unciclo parzialmente differenziato nellafase terminale: in Francia l’ultimo bi-ennio è diviso in tecnologico e genera-le, in Belgio in generale, tecnico e ar-tistico, in Svizzera in generale, tecnicoe professionale. L’accesso a queste dueo tre pre-canalizzazioni è però libero ela loro scelta non è vincolante per ilpercorso successivo.

La scelta “generalista”

A questo punto però la struttura deisistemi deve fare i conti con la sceltadegli alunni e delle loro famiglie e so-prattutto con la sua evoluzione stori-ca. Così se in Francia nel 1975 l’utenzasi divideva al 50% tra i due bienni ter-minali della scuola media, oggi 9 alun-ni su 10 finiscono nel canale generale.E se in Germania negli anni cinquantail 75% dei ragazzi frequentava l’Haupt-schule, pre-professionale, oggi più dimetà dell’utenza si distribuisce nellaRealschule o nella Gesamtschule mentrel’Hauptschule si è praticamente ridottaad un ghetto dequalificato per i figli degliimmigrati, che abbassa la qualità com-plessiva del sistema scolastico (vedi ipessimi risultati nell’inchiesta Ocse-Pisa)e che, per la sua valenza segregante, è“sotto l’asso di briscola” delle sanzionidell’Unesco .Ed è significativo che anche in Spagna idue terzi dei ragazzi che continuano glistudi dopo la secondaria obbligatoriascelgano il liceo (bachillerato) e solo unterzo la formazione professionale, congrave pregiudizio per il mercato del la-voro iberico, carente di quadri tecnici.

Si verifica perciò in tutta Europa unfenomeno che ben conosciamo anchein Italia: la maggior parte degli alunnitende a orientarsi verso studi generali-sti. Lo consentono situazioni miglioridal punto di vista economico, ma lodetermina anche il bisogno di rinviarescelte professionali sia per le più alte ecomplesse competenze oggi richieste,sia per le incertezze del mercato dellavoro. Si tratta di un fenomeno in attoda tempo che va governato e non “so-vraeccitato” o lasciato allo stato bra-do, come è successo con la riforma

preMoratti, che ne ha determinato un’im-pennata, che rischia di rivelarsi fataleper gli studi tecnico-professionali ita-liani.

NOTA1. Tanto più che in questi paesi anche la for-mazione professionale dei giovani è prevalen-temente concepita come apprendistato scola-rizzato, vale a dire lavoro a tempo parziale piùscuola a tempo parziale, in cui si entra di fat-to dopo il sedicesimo anno di età. Una solu-zione molto più “repubblicana” di quella cheprevederebbe una delega a entità diverse daquelle scolastiche.

E se fosse meglio l’antico “Classico”?MONICA ANDREUCCI

I dati delle pre-iscrizioni alle scuole superiori per il prossimo anno scolasticodicono che c’è la tendenza al sensibile incremento per i Licei cui corrisponde unaflessione per l’istruzione Professionale. Stabili con qualche incertezza – secondo learee geografiche – i Tecnici. Già la scorsa stagione si era così configurata, con lestatistiche di dicembre che davano un +2% su Scientifico e (sorpresa!) Classico, ascapito degli altri percorsi, globalmente penalizzati (-4% ). Il dato col segno più èreso ancor più significativo dall’andamento precedente, che vedeva dal ’99 una cre-scita totale del 3%. Per analizzare questo fenomeno, citiamo qualche spunto da uncorsivo di Beppe Severgnini del 9 dicembre 2006, pubblicato sul Corsera. C’è di cheriflettere…«Spiegazioni? – scrive – Ne propongo due. Davanti alla varietà dell’offerta (le scuoledopo-medie sono diventate una kermesse di laboratori, sperimentazioni d’ogni tipo,ore aggiuntive, contributi esterni di esperti – N.d.r.), c’è un po’ di confusione nellefamiglie, che si rifugiano nei corsi conosciuti. […] Risultato: grande consapevolezzae notevole incertezza, e le due cose vanno insieme, solo l’ignoranza è rassicurante».«Mi sembra poi che molti genitori considerino le Superiori come un momento dipassaggio. Una laurea svalutata – sottolinea realisticamente lo scrittore – richiedespesso studi ulteriori: il Liceo, un tempo penultimo ciclo, è diventato una super-scuola media per adolescenti di lungo corso».Giovani che crescono e cercano una loro strada, famiglie sfiduciate e prospettivesocio-economiche tutte da costruire stanno chiedendo insomma alla Scuola un aiuto,un supporto intellettuale valido. Tanto più che ci si rivolge sempre più al Liceo piùtradizionale come scoglio cui aggrapparsi nell’incertezza: qualcuno ricorderà lelunghe file alla segreteria di un Ginnasio napoletano costretto poi a ricorrere dei testdi accesso per selezionare le iscrizioni. Pochi anni fa questo non sarebbe accaduto.«Il Classico non è un “capriccio anacronistico” – commenta ancora Severgnini – mauna palestra efficace, e sottolineo l’attributo. Non per fare del romanticismo o del-l’ideologia sugli studi classici, ma i ragazzi che escono da queste scuole, se hannoavuto docenti adeguati, mostrano spesso una mente elastica. Anche grazie al greco –“so di rischiare, con questa affermazione”– questa scuola è un corso di meccanica delpensiero. Qualunque macchina ti sottopone poi la vita – un mestiere difficile, unanuova lingua, un coniuge impegnativo…– saprai metterci le mani (il successo del-l’intervento è cosa diversa)».E ancora: «Non è necessario che una ragazzina di 14 anni si innamori perdutamentedi Virgilio e Parmenide: se lo facesse, la porterei diritta dallo psicologo. L’importanteè che li trovi abbastanza interessanti (curiosi, strani, matti) da non soffrire troppomentre li studia. Poi, chiuderà i suoi libri e andrà a vivere la sua vita».Severgnini così conclude: «Con questo, non pretendo di comunicare certezze, non nepossiedo neanch’io. Ma ho letto Natalia Ginzburg nelle Piccole Virtù e mi ha consola-to: “La scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, una battaglia daaffrontare da solo, senza di noi. Dev’essere chiaro che quello è il suo campo dibattaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale eirrisorio”. Mi sembra saggio. Consigliamoli, quei ragazzi, com’è giusto; e poi salutia-moli con la mano, perché il viaggio che vanno a cominciare è cosa loro».

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questione del latino come lingua perragionare.Il Pasquali grande latinista già nel 1930smontava così il mito del latino capa-ce di rafforzare le abilità logiche: «lalogicità è una leggenda inventata daimaestri di scuola. Di quel mito noi nonabbiamo bisogno. Il nucleo storico diesso si riduce a ben poco. Dell’ultimoperiodo repubblicano è divenuta per noiclassica, canonica, specie la letteratu-ra prosastica più alta, l’eloquenza e lafilosofia, soprattutto di Cicerone.Quella “logica” che si rivelerebbe nel-l’applicare senza eccezione i canonidella consecutio temporum e nel distin-guere sottilmente tra indicativo e con-giuntivo nelle proposizioni subordina-te, non c’è mai stata in latino prima odopo Cicerone; c’è solo in certo Cicero-ne e , si può aggiungere, non è cosìlogica come nei manuali. In molte pro-posizioni di Cicerone, anche quello delle

Due cultureFILIPPO TRASATTI

Serve a qualcosa il latino? L’italiano è una lingua

inadatta alla divulgazione? Il pensiero umanistico è

responsabile della scarsa circolazione della cultura

scientifica in Italia?

La rivista bimestrale, la lettera bimestrale,il sito (www.ecolenet.it), il cd rom annuale.L’abbonamento (5 numeri + 5 lettere di école+ cd) costa 35 euro. Conto corrente postalen. 25362252 intestato a Associazione Idee

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Queste e molte altre le domandeche pongono Carlo Bernardini e TullioDe Mauro in Contare e raccontare (La-terza, 2003). Il libro ha la forma di unepistolario minimo. Un matematico eun linguista si scrivono l’uno l’altro unalettera per discutere intorno alla que-stione delle due culture. La tesi di fon-do di Bernardini, che lamenta l’incul-tura scientifica degli italiani, è che inquesto abbia una certa responsabilitàproprio la nostra cultura umanistica. Ecita facilmente Croce con la sua volga-rità verso la scienza. De Mauro giusta-mente gli risponde che l’umanesimo,quello dei filologi e degli studiosi èanche rigore, almeno a partire dallaDonazione di Costantino di Lorenzo Val-la. Che poi questo in molti casi non siverifichi ha a che fare con la sciatteria,piuttosto che con l’umanesimo.A proposito della varia umanità, DeMauro cita un passo di Pasquali che ri-sponde in modo secco e definitivo alla

orazioni più togate e limate, usa indi-cativo e congiuntivo, presente e im-perfetto senza distinzione intellettiva,caso mai per riguardo a eufonia e rit-mo più che per obbedienza alla logica.Anche Cicerone per nostra fortuna eraun uomo vivo che scriveva una linguaviva. Ma i maestri di scuola italiani se-guitino a dare un voto buono o cattivoai ragazzi di liceo, unicamente secon-do che questi rispettino o no la conse-cutio temporum o adoperino il congiun-tivo nelle secondarie ubbidendo a cer-te regole ferree quanto fantastiche.Questi professori sono tutti malati diconiunctivitis professoria» (cit. p. 86-87)Bernardini propone giustamente l’ideadella matematica come linguaggio, unavisione costruttivistica della scienza,l’importanza per la scienza di storicidella scienza seri e competenti, ma diquesti secondo lui non c’è traccia.

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L’articolo 117 della Costituzionepromulgata il 27 dicembre 1947 asse-gnava alle Regioni in materia di istru-zione esclusivamente compiti di caratte-re assistenziale (per l’espletamento deldiritto allo studio) e di addestramentoal lavoro (tramite corsi di formazione pro-fessionale), compiti che non riguarda-vano l’unitarietà del sistema scolastico dipertinenza statale.Le modifiche del Titolo V della parte se-conda della Costituzione (Legge costi-tuzionale 18 ottobre 2001) hanno con-ferito alle Regioni competenze estraneeal citato articolo 117. Mentre lo Statomantiene legislazione esclusiva nelle“norme generali sull’istruzione”, le Re-gioni entrano in concorrenza con lo Sta-to (legislazione concorrente) nel-l’«istruzione, salva l’autonomia delle isti-tuzioni scolastiche e con esclusione del-l’istruzione e della formazione professio-nale» (queste ultime di esclusiva com-petenza regionale).Tra le modifiche del Titolo V è stata fon-damentale, per quanto riguarda l’istru-zione, quella relativa all’articolo 114 «La

Repubblica è costituita dai Comuni, dal-le Province, dalle Città metropolitane,dalle Regioni e dallo Stato». Lo Statonon coincide più con la Repubblica, madiviene uno dei suoi elementi costituti-vi. Da questa nuova formulazione traelegittimazione il nuovo assetto dell’istru-zione, “diviso” tra Stato e Regioni.)

A proposito di autonomia

L’autonomia scolastica è prevista nellaLegge 59/ 97 (Riforma della PubblicaAmministrazione). Benché all’articolo 21l’autonomia delle istituzioni scolastichesia stata inserita dal legislatore nel pro-cesso di realizzazione dell’autonomiadell’intero sistema formativo, in realtàessa si è manifestata come un provvedi-mento atto a consentire ai singoli istitu-ti la facoltà di realizzare al proprio in-terno interventi autonomi di carattereorganizzativo e didattico, con conse-guenze non positive sull’unitarietà delsistema scolastico nazionale. Tale auto-nomia risulta costituzionalizzata – come

si è visto – con le modifiche del Titolo V.L’autonomia delle singole istituzioni sco-lastiche ha reso più facile l’inserimentonel sistema scolastico nazionale dellescuole private che in base alla legge 62/2000 chiedono e ottengono la parità conconnessi finanziamenti statali (e regio-nali, dopo le modifiche del Titolo V).

La legge Moratti (Legge 53/2003) di ri-forma del sistema scolastico, sulla basedelle modifiche del Tit. V, prevede il pas-saggio alle Regioni degli Istituti Profes-sionali di Stato, amputando una partecospicua del sistema formativo naziona-le dalla sua sede costituzionale: lo Sta-to.

Uno scenario allarmante

Lo spazio concesso alle Regioni con la“legislazione concorrente” ha creato uncontenzioso già approdato alla CorteCostituzionale. Le leggi regionali, nonpiù limitate a interventi sul diritto allostudio, ma rivolte sia al “buono scuola”per favorire la frequenza alle scuole pri-vate, sia all’istituzione di “bienni inte-grati” sperimentali, tendenti a occuparespazi di pertinenza del sistema scolasti-co nazionale creano una contraddizionepalese con l’articolo 33 della Costituzio-ne .I docenti degli Istituti Professionali diStato – dopo mesi di ansie – sono perora moderatamente tranquilli, sia per ilrinvio al 2007 dell’entrata in vigore del-la riforma nella scuola superiore, sia per-ché non verrebbero comunque “regiona-lizzati” fino al 2010. In molti pensanocosa sperimentare per conferire un look“da liceo” al proprio istituto professio-nale. L’incognita della gestione regiona-le spaventa tutti.La valorizzazione del ruolo del dirigentescolastico, prevista con apposito decre-to, segno di un’autonomia scolastica inchiave verticistica, prelude in prospetti-va all’assunzione diretta dei docenti daparte delle istituzioni scolastiche. (Nonsono timori infondati: c’è un decreto initinere che adombra situazioni del ge-nere…)

La Riforma della parte seconda della Co-stituzione approvata dall’attuale maggio-ranza peggiorerebbe ulteriormente lacondizione dell’istruzione nel nostro pa-ese.Infatti, le ulteriori modifiche dell’arti-colo 117 attribuiscono alle Regioni po-testà legislativa esclusiva in «organiz-zazione scolastica, gestione degli isti-tuti scolastici e di formazione, salva l’au-tonomia scolastica; la definizione della

Salviamo la Costituzioneper salvare la scuola pubblicaANTONIA BARALDI SANI *

Il no al referendum costituzionale, insieme alla richiesta diabrogazione delle leggi Moratti, è solo il primo indispensabilepasso per poter attuare pienamente l’articolo 33 della Costitu-zione: «La Repubblica […] istituisce scuole statali per tutti gliordini e gradi». Questo articolo, garanzia del carattere disinte-ressato, laico, pluralista e universale dell’istruzione connessoalla forma dello Stato-Repubblica, è ancora in vigore, ma lasua attuazione, già contraddetta dall’immissione nel sistemascolastico nazionale delle scuole “paritarie” aventi finalitàproprie, (tanto che non si può più parlare di “sistema scolasti-co statale” ma di “sistema scolastico nazionale”), subirebbe uncolpo definitivo se passasse questa malaugurata riforma,poiché non si potrebbe più parlare nemmeno di “sistemascolastico nazionale”, ma di “regionalizzazione” del sistemascolastico, con un rispetto dei valori fondamentali della nostraconvivenza democratica a dir poco a macchia di leopardo. Unpromemoria su Costituzione e istruzione. Prima del voto refe-rendario

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parte dei programmi scolastici e forma-tivi di interesse specifico della Regio-ne».Ciò significa che:– ogni Regione potrebbe emanare pro-prie leggi in materia di dimensionamen-to delle istituzioni scolastiche, di mo-delli organizzativi, di organizzazione egestione del personale. Alle circolari mi-nisteriali si sostituirebbero Regione perRegione le circolari degli assessori e dellaburocrazia locale… (un esempio lo tro-viamo nella Provincia di Bolzano dovel’amministrazione e gestione del perso-nale è stata ceduta dallo Stato alla Pro-vincia nel 1996. Le buste paga sono quasiil doppio di quelle stabilite nei CCNN,ma sono più pesanti le mansioni aggiun-tive, sia in termini di orario che di pre-stazioni in tutti gli ordini e gradi di scuo-la…);– ogni Regione potrebbe emanare unapropria normativa per il reclutamento, itrasferimenti ecc. (È evidente che au-menterebbero le richieste di trasferimen-to verso le regioni più ricche o più di-sponibili a investire risorse nell’istruzio-ne. Si creerebbero disparità inaccettabi-li nella categoria, con inaccettabili rica-dute su alunni e alunne, oltre al caospiù assoluto per alcuni anni). Ben peg-gio della “legislazione concorrente”!– l’istruzione perderebbe il suo caratterenazionale ed istituzionale per diventareessenzialmente un “servizio pubblico”organizzato e gestito sulla base di valu-tazioni ed esigenze localistiche. (I do-centi, gratificati da compensi più eleva-ti elargiti da qualche regione, sarebberoin grado di opporsi a una deriva che por-terebbe sempre più a una scuola “mer-cantilistica”, frutto di una collaborazio-ne con aziende del territorio, più atten-ta agli “affari” locali che alla formazionedelle giovani generazioni?)Questa riforma costituzionalizzerebbe insostanza l’idea di scuola sottesa nelleleggi Moratti!

Altro punto preoccupante è il ruolo del-l’autonomia scolastica in simile conte-sto. Andrebbe a sommarsi nei contenutididattici alle istanze regionali potenzian-do aspetti legati esclusivamente allespecificità del territorio? O – meno ve-rosimilmente – tenderebbe a riportare lascuola a quella funzione formativa “uni-versale” che suggerì a Calamandrei ladefinizione della scuola come “organocostituzionale”?

* Comitato “difendiamo la Costituzione” - Roma

L’esito delle elezioni politiche non è stato certamente esaltante; dopo cinqueanni di malgoverno, di leggi ad personam, di riforme devastanti come quella dellascuola era da aspettarsi un rifiuto di massa delle politiche delle destre: Berlusconi èstato cacciato dal Governo, ma non si può dire che il berlusconismo sia stato sconfit-to. L’Unione peraltro dispone di una maggioranza risicata con un programma che, perquanto riguarda la scuola, certamente non è chiaro e puntuale.

Fermiamo la Moratti

In vista dell’inizio del prossimo anno scolastico cosa si farà? I comitati “Fermiamo laMoratti”, nati in molte parti del Paese, hanno ribadito che le leggi Moratti debbanoessere tutte e subito abrogate, evitando quindi da subito ogni forma di attuazione. I primi decreti della Moratti sono stati finora largamente contestati e quindi in granparte non applicati; per dare certezza e serenità nelle scuole ora devono essere subitoabrogati; nel contempo deve essere subito tolta di mezzo la riforma della scuolasecondaria; è vero che l’articolo 27 del Decreto Legislativo n. 226/05 (il decretoattuativo della riforma per la scuola secondaria) ha previsto uno slittamento dell’en-trata in vigore di tale riforma al 2007/2008; ma è pure vero che la Moratti, in paleseviolazione del medesimo articolo 27 che precludeva in modo esplicito al Ministeroqualsiasi iniziativa di sperimentazione, con il Decreto Ministeriale 31.01.2006 n. 775ha disatteso tale preclusione; difatti il Ministro con l’evidente scopo di ctreare ilfatto compiuto, avvalendosi della competenza malauguratamente attribuita al Mini-stro dall’art. 11 del Regolamento sull’autonomia scolastica (D.P.R. n. 275/99) haemanato il Decreto Ministeriale 31.01.2006 n. 775 con cui ha promosso «un proget-to, in ambito nazionale, concerne l’introduzione di innovazioni riguardanti gli ordi-namenti liceali e l’articolazione dei relativi percorsi di studio, come previsto dalDecreto Legislativo n. 226/05»; tali innovazioni dovrebbero attuarsi nell’anno scola-stico 2006/2007, limitatamente alle prime classi, nel contesto della programmazionedella rete scolastica.Alcune Regioni (quelle di centro-sinistra) hanno contestato sia con ricorso sia al Tarche alla Corte Costituzionale il decreto che oltretutto invade competenze propriedelle Regioni, altre Regioni (ovviamente quelle delle destre) si sono già attivate perdarne attuazione; in tale modo ancora una volta si mette in discussione il caratterenazionale dell’istruzione scolastica e la stessa autonomia della scuola che in aspettiimportanti e delicati come la riforma della scuola secondaria, è strumentalizzata dalogiche che non hanno molto a che vedere con le necessità della scuola.È auspicabile che la nuova maggioranza parlamentare superi le ambiguità del pro-gramma e, tolte di mezzo subito le leggi Moratti, avvii un processo condiviso diriforme; il mondo della scuola ha già elaborato con una proposta di legge di iniziativapopolare che può essere un terreno concreto di confronto e di impegno unitario.

LE LEGGIQuale scuola il 1 settembre?CORRADO MAUCERI

Prende l’avvio la nuova legislatura e il mondo della scuola cheaveva contestato la politica della Moratti si domanda: Asettembre prossimo si manterranno le anticipazioni per lascuola dell’infanzia e primaria con tutte le conseguenze che nederivano? Si manterrà l’orario “spezzatino”? Si reintrodurràformalmente il tempo pieno e tempo prolungato ? Si elimineràla figura del tutor con le conseguenti logiche digerarchizzazione del lavoro scolastico? Si ripristinerà edeleverà l’obbligo scolastico? Il programma dell’Unione prevedel’abrogazione di tutte le parti delle leggi Moratti in contrastocon le scelte del programma; ma quali sono le parti delle leggiMoratti compatibili con la politica scolastica che l’Unioneintende realizzare?

RilettureSul sito di école si può leggere l’introduzionedi Sana e robusta costituzione. Percorsieducativi nella Costituzione Italiana, il librodi Raffaele Mantegazza, pubblicato nel 2005dalle Edizioni La meridiana, Collana“Partenze… per educare alla pace”, (Molfetta- Bari, pp. 92, euro 14,00).

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IL PRIDE NAZIONALE A TORINOCESARE PIANCIOLA

Le differenze e la pluralità umana come un bene

prezioso per tutti

Il 17 giugno 2006 si svolgerà a Torino il Pride nazionale del movi-mento gay, lesbico, bisessuale e transgender. Sarà, nelle intenzionidegli organizzatori, un appuntamento di particolare rilievo per chie-dere conto al nuovo governo «delle legittime aspettative non di unaminoranza, ma della maggioranza della popolazione che vuole unaItalia più europea, più libera, più responsabile, più accogliente». Ilpunto è infatti questo: riaffermare come questione di tutti e non solodi una minoranza, come questione basilare di laicità e di democrazia,il diritto degli individui a pensare, ad esprimersi, a manifestare libe-ramente il proprio progetto di vita, senza dover sottostare a modelliimposti da autorità tradizionali (in primis dalla Chiesa cattolica) e damaggioranze che confondono troppo spesso il loro attaccamento acri-tico all’eredità dell’ordine patriarcale con l’osservanza di una pretesalegge naturale.A Torino nei primi anni Settanta è nato il movimento gay italiano, ea Torino da alcuni anni opera presso il Comune un pubblico Servizioper il superamento delle discriminazioni basate sull’orientamento ses-suale e l’identità di genere. «Un risultato questo – ha ricordato GigiMalaroda sul numero di marzo di Laicità – che è importante non soloe non tanto per fornire strumenti di tutela, quanto per riaffermareconcretamente […] il principio, laicissimo, che la libertà personale– e quindi ovviamente anche quella di esprimersi in un campo fonda-mentale e caratterizzante della personalità come la sessualità – nonè questione privata e che interessi solo il soggetto che la richiede,ma è una forma di arricchimento dell’intera comunità».Perciò il Comitato Torino Pride 2006, cui aderiscono sia associazionigay, lesbiche, bisessuali e transgender sia associazioni di vario profi-lo laico, ha fin da gennaio dato vita a una serie nutrita di manifesta-zioni, incontri e convegni che configurano un insieme di proposteculturali altamente qualificate rivolte all’intera cittadinanza (da vi-sitare il sito www. torinopride2006.it). All’interno di questo pro-gramma trovano spazio anche occasioni di dibattito ormai consoli-date come il Festival Internazionale di film con tematiche omoses-suali, giunto a fine aprile alla ventunesima edizione. Abbiamo potu-to rivedere film storici, come una retrospettiva di Ken Russell, enovità in anteprima, come il delicato e struggente Le temps qui restedi François Ozon (con una incantevole anziana Jeanne Moreau).Nei convegni che finora si sono svolti abbiamo sentito autorevolivoci, tra cui quella di Chiara Saraceno, argomentare lucidamente afavore dei PACS, comunque si chiamino e purché non vengano truf-faldinamente declassati a impegni privati tra contraenti, che già orarientrano tra le possibilità giuridicamente riconosciute. La «famigliacome società naturale fondata sul matrimonio» dell’articolo 29 dellaCostituzione, anche a non considerare l’ossimoro di un istituto stori-co che fonda una società «naturale», non può essere motivo perescludere il pubblico riconoscimento di «formazioni sociali ove sisvolge la sua [del singolo] personalità» (articolo 2) diverse dallafamiglia tradizionale ed altrettanto legittime e degne di tutela giu-ridica. Nel convegno del 6 marzo su “Laicità e sessualità: tra libertàindividuali e leggi dello stato” organizzato dal TorinoPride insiemealla Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, il bioeticistaMaurizio Mori ha sostenuto che la secolarizzazione è un processo cherende irrilevante, dal punto di vista pubblico, il modello religioso ela sua pretesa di controllare i comportamenti sessuali e Gianni Vatti-mo ha polemizzato in modo brillante e provocatorio contro le chiu-sure del cattolicesimo ratzingeriano.Per quanto riguarda gli aspetti pedagogici, a ottobre è previsto unconvegno su “Educare alla diversità” che metterà a confronto espe-rienze e ipotesi sulle tematiche dell’omosessualità e degli orienta-menti sessuali nella scuola e nel settore educativo.Insomma è un programma molto articolato, pensato per diffondereuna cultura che non solo combatta pregiudizi e discriminazioni maporti a sentire le differenze e la pluralità umana come un bene pre-zioso per tutti.

Un Paese al bivio: i nodi dellapolitica scolastica«La crisi di motivazione e di prospettive del sistema pubblicodell’educazione e dell’istruzione rappresentano un rischio per tutto ilPaese, una priorità da affrontare per il nuovo Governo.I segnali in questi anni si sono moltiplicati. Il nozionismo deiprogrammi morattiani e la diffusione di culture antiscientifiche econservatrici hanno reso più debole la capacità di interpretazionerazionale della realtà nelle nuove generazioni. Il crescere delledisuguaglianze e della precarietà ha profondamente inciso sullafiducia nel futuro e sul valore sociale della conoscenza nelle nuovegenerazioni. Il familismo riemergente e la prosecuzione di politichedissennate nel territorio hanno tolto spazio all’autonomia e alprotagonismo dei ragazzi. L’Italietta dei furbi, della speculazione edell’illegalità ha ulteriormente impoverito la qualità culturale e latenuta sociale dei territori.Il quadro complessivo presenta un evidente e pericoloso deteriora-mento. Ciononostante siamo convinti che nel Paese ci siano lerisorse per invertire la tendenza. In questa prospettiva la scuolapubblica rappresenta una risorsa fondamentale. Ma la scuola non puòessere lasciata sola, perché, come ha dimostrato anche l’indaginePISA, solo la qualità culturale dei territori è in grado di promuovereun buon livello di istruzione per tutti. C’è bisogno di un nuovoprogetto culturale e sociale che dia il senso della prospettiva erilanci la fiducia nel futuro.Qui le sfide con cui nei prossimi anni si dovranno confrontare glieducatori, le scuole, il mondo della ricerca, le organizzazioniassociative, sindacali e politiche, le Amministrazioni locali, ilGoverno».Si è svolto a Roma il 1° giugno l’incontro pubblico con i responsabiliscuola dei Partiti che appoggiano il nuovo Governo promosso daLegambiente Scuola e Formazione, in occasione della sua Assembleanazionale, per confrontarsi sulle principali sfide e sulle azioni piùurgenti, per ricominciare a costruire una scuola pubblica di qualità .All’incontro hanno partecipato associazioni professionali e studente-sche, rappresentanti del mondo della scuola e della società civile.

La nonviolenza è la tenerezzadella storia“Pellegrinaggio alle sorgenti. L’arca della nonviolenza” è il campoestivo proposto dal MIR - Movimento Internazionale della Riconcilia-zione nazionale (www.nonviolenti.org). L’incontro residenziale sitiene alla Casa Madre dell’Arca, La Borie Noble (Roqueredonde -Hérault - Francia) dal 21 al 27 agosto.Inoltre, il Mir-Mn (Movimento Internazionale della Riconciliazione –Movimento Nonviolenti) di Piemonte e Valle d’Aosta propongono unaserie di campi estivi della durata di una settimana per conoscersi,lavorare, crescere e divertirsi: “Una scelta di vita alternativa”, 9 - 16luglio, Casteldelfino (CN), Baita Paiei; “A velocità d’uomo”, 16 - 23luglio, Venaus – Susa (TO); “Aiuto!... Ho una mamma marziana!”, perragazze/i dagli 11 ai 14 anni e per genitori/ accompagnatori, 16 -23 luglio, Vigna di Pesio - (CN), Ca’ Rissulina; “Cercandoci nell’al-tro...”, Arizzano (VB), 16 - 23 luglio; “Energia del sole e dell’anima”,campo di autocostruzione di pannelli solari termici, 23 - 30 luglio,Bolzano Novarese-Lago d’Orta; “Decidere insieme costruendo la pace:la danza del consenso”, Berzano (Tortona - AL), 30 luglio - 6 agosto;“Resistere oggi: le comunità di pace”, 30 luglio - 6 agosto, BaitaPaiei, Casteldelfino (CN); “Stili di vita a confronto” un campo perragazze e ragazzi dai 13 ai 19 anni e per le loro famiglie, Casaparrocchiale, Cavandone (VB), dal 30 luglio al 6 agosto; “Territorioambiente nonviolenza”, S. Mauro La Bruca, nel Parco del Cilento, dal5 al 12 agosto; “Le parole e i gesti dell’accoglienza”, SermigFraternità della speranza – Torino, dal 6 al 13 agosto; “Turismoecologicamente compatibile”, in collaborazione con la Fiab -Federazione Italiana Amici della Bicicletta di Modena, S. Mauro LaBruca, nel Parco del Cilento, dal 12 al 19 agosto; “La danza fa benealla vita”, Villaggio dell’amicizia, Costigliole Saluzzo (frazioneCeretto) – Cuneo, 13 - 20 agosto.Per chi partecipa ai campi è possibile abbonarsi ad Azione Nonviolen-ta e/o a Qualevita con lo sconto del 50%.

Iscrizioni: Gruppo di servizio regionale campi estivi. MovimentoInternazionale della Riconciliazione - Movimento Nonviolento, c/oCentro Studi Sereno Regis - via Garibaldi 13, 10122 Torino; tel. 011-532824, fax 011.5158000, e-mail [email protected], sitowww.cssr-pas.org.

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“Per una buona scuola”50.000 cittadine e cittadini sottoscrivono laproposta di Legge di d’iniziativa popolarepromossa da Retescuole

Perché la scuola abbia un futuro è urgente aprire una nuova stagio-ne di riforme condivise. Sono state già raccolte cinquantamila fir-me sulla proposta di Legge d’iniziativa popolare “Per una buonascuola”, promossa da Retescuole. Sul sito di école (www.ecolenet.it)si può leggere l’articolo di Bruno Moretto pubblicato su il manifestodel 25 aprile 2006.

L’Autoriforma della scuolae dell’Università

Carissime/i,abbiamo ripreso a vederci a Roma col desiderio di riprendere ildibattito all’interno della rete dell’Autoriforma gentile con quantiin questi anni hanno voluto incrociare il loro percorso di ricercacol nostro. Sulla base di alcuni spunti suggeriti per il primoincontro (25 e 26 febbraio 2006), e rielaborando liberamentequanto ci siamo detti, in preparazione del convegno d’autunno,Quando è troppo è troppo. Ricreare spazi di vita pubblica a scuolae all’università (7-8 ottobre 2006, Facoltà di architettura Roma3, via Madonna dei Monti, metro fermata Cavour), vi proponia-mo questo quadro di riferimento:- Sentiamo l’esigenza, che ci sembra abbastanza diffusa, che siproceda ad un processo di delegiferazione. Quindi proponiamodi raccogliere episodi che indichino quali leggi o regolamentihanno reso più invivibile la scuola, ribadendo la scelta dellanarrazione degli effetti di legge. Nel primo incontro molto inte-ressanti sono state le riflessioni su come la riforma abbia cam-biato il rapporto col tempo e con lo spazio, universitari e scola-stici, e i riferimenti alla spersonalizzazione perseguita nelle scuolee alle trappole della legge sulla trasparenza. Un altro punto èdare corpo di pratiche a una cultura che accompagni un proces-so di delegiferazione e reinvesta sui soggetti in carne ed ossa.Abbiamo cominciato a nominare le emozioni che in questi annici hanno attraversato: riusciamo a raccontarci la rabbia e lo sco-ramento senza farli diventare più forti, ma anzi riconoscendovila traccia di ciò che ci manca? Non ci interessa distinguere ibuoni dai cattivi, ma trovare una leva comune. Oltre che rabbia,c’è anche un desiderio di giustizia che è messo all’opera nelnostro lavoro e che chiede nuove parole, nuovi strumenti, unorizzonte di senso altro rispetto a quello circolante? Non è statoproprio quel bisogno che ha favorito risposte positive alle tra-sformazioni proposte? Oggi, a posteriori, ci sono constatazionida fare? Per inciso il recente risultato elettorale ci sembra vadaparadossalmente incontro alle nostre esigenze, perché essendomolto difficile fare nuove leggi, più facilmente il nuovo governopotrebbe indirizzare le sue energie nel rendere, attraverso lenorme esecutive, inoperanti e impotenti quelle assurde e pale-semente ingiuste fatte nella scorsa legislatura. Secondo noi in-fatti bisogna lavorare sul meno, sul togliere lacci e lacciuoli,restituendo spazi di libertà e nutrendo con relazioni creative lasoggettività dei giovani e la nostra. Lo dicevamo già nel conve-gno “Pubblica, libera e leggera”. Occorre riprendere quel discor-so alla luce della nuova esperienza che abbiamo e delle nuovepossibilità che si apriranno, anche se accompagnate da nuovecontraddizioni.- Conoscendo il legame che scuola e università hanno con lasocietà in cui sono inserite, legame che vive nei rapporti fra isoggetti, nei saperi, nelle regole di convivenza accettate e con-divise, perché rispecchiano ciò che viene accettato e condivisofuori, vogliamo interrogarci sui mutamenti della nostra società:una società che non può più pensarsi in un’ottica di sviluppolineare, ininterrotto e autocentrato. Nel primo incontro questoaspetto è stato meno trattato ma lo abbiamo sviluppato meglionell’appuntamento del 6 e 7 maggio. Abbiamo cominciato a in-terrogarci sull’effetto che produce la maggiore circolazione didanaro soprattutto nelle superiori e sui sentimenti che genera:dal desiderio di tornare alla gratuità del dono come componentefondamentale del nostro lavoro, alla necessità di nominare checosa vogliamo di diverso dalla scuola quando investiamo la no-stra passione. È possibile anche a questo livello lavorare sulmeno, sulla discontinuità, su altre forme di abbondanza, su unmercato in cui la misura dello scambio sia anche il danaro, manon solo il danaro? (Abbiamo avuto in questo discorso la colla-borazione delle amiche dello Studio di ricerca e creazione socia-le Gugliema, ma anche molte amiche delle Città vicine).Quindi vogliamo riflettere insieme su quali relazioni, quali con-cetti permettano di pensarsi diversamente, di delineare un altroorizzonte sociale e di pensare al sapere (e alla lingua) come adun bene comune.

Antonietta Lelario e Gian Piero Bernard, del Movimento per l’Au-toriforma gentile della scuola e dell’università.

preEmergenza tempo pienoCosa chiede il “popolo del Tempo Pieno” al nuovogoverno

Il Tempo Pieno ha subito in questi anni un attacco gravissimo: la“riforma” Moratti lo ha abrogato come norma sostituendo la coerenzadi un modello pedagogico di successo con una sommatoria di ore. Solola mobilitazione del mondo della scuola ha permesso di mantenerlo neifatti, salvandolo dalla soppressione e difendendolo anno dopo annocontro l’avanzata della scuola “spezzatino” e dei doposcuola deterioriprevisti dalla “riforma”.Il blocco degli organici e delle classi però ha prodotto ugualmentegravissimi danni a fronte di una continua crescita delle richieste diTempo Pieno: proliferano le classi “deformate”, senza momenti di com-presenza, faticose, che somigliano molto ai doposcuola degli anni Ses-santa (con bambini che escono alle 12,30 ed altri che restano per l’in-tera giornata).

Il Coordinamento Nazionale in Difesa del Tempo Pieno e Prolungatoritiene doveroso che il nuovo governo, contestualmente all’abrogazionedella “riforma” Moratti (legge n.53/’03) e del D.lvo n. 59/’04 (le cuidisposizioni impediscono di fatto la piena attuazione del Tempo Pienocosì come sancito dalla L.820/’71):- intervenga ridando al Tempo Pieno valenza normativa come modellospecifico di scuola, secondo la sua formulazione specifica che discendedalla L. 820 / 71 “due insegnanti su una classe, 40 ore settimanali, 4ore di compresenza” e applicando la stessa prassi al Tempo Prolungatodella scuola media;- riapra la strada alla crescita del tempo Pieno ristabilendo gli organiciadeguati al modello scolastico, perché possa esistere e svilupparsi se-condo la richiesta dei genitori e degli insegnanti.Esiste però un’emergenza! Anche quest’anno le iscrizioni al tempo Pie-no sono state tantissime, molte di più delle classi “congelate” previstedal ministero Moratti.(Solo a Roma le richieste lasciano insoddisfatte 92 classi, 2.300 fami-glie. Eppure basterebbe un intervento di urgenza di 46 insegnanti pertamponare il disagio).

Chiediamo quindi immediatamente un segnale chiaro di cambiamento,concreto e immediato: la formazione di tutte le classi a Tempo Pienorichieste dai genitori per l’anno scolastico 2006/07, per rispondere alleesigenze dei cittadini e consentire alla scuole di difendere e rafforzareil modello scolastico a Tempo Pieno.

Coordinamento nazionale in difesa del tempo pieno e prolungatoc/o Cesp, Centro studi per la Scuola Pubblica, via San Carlo 42,Bologna, tel./ fax 051.241336 - 329.0290106 (Gianluca Gabrielli),[email protected], www.cespbo.it.

LETT

ERE

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TEMAA SCUOLA CON I CORPI

E tu, a cosa giochi?STEFANO VITALE

Pratiche educative per liberare le differenze e costruire l’uguaglianza tra

i bambini e le bambine

Visto da lontano si tratta di un progetto europeo (Commissione Europea, DG 5) promossodalla Federazione Internazionale dei Cemea con la collaborazione dei Cemea Auvergne, di Marsi-glia, Torino e del Belgio ed il supporto di économie plurielle ed égalitère, organismi di ricerca e disperimentazione del ruolo delle pari opportunità nelle diverse situazioni sociali, economiche,educativeı.Il progetto “E tu, a cosa giochi?”1 aveva l’obiettivo di integrare la decostruzione degli stereotipie dei ruoli sociali sessuati con le prospettive dell’educazione attiva per rimettere in discussione iprogrammi di formazione per il personale educativo dell’infanzia. È questo senza dubbio un mo-mento centrale ed essenziale nella costruzione dell’identità sociale e sessuata dei bambini e dellebambine (proprio tra 0 e 6 anni). Ma in realtà si va molto oltre. L’ipotesi di lavoro è che glistereotipi sessuali siano fattori di ineguaglianza sociale e di discriminazione tra bambini e bam-bine, tra uomini e donne. Il processo di stereotipizzazione è un processo di “categorizzazione”che attribuisce tratti di comportamento, atteggiamenti, espressioni, ruoli ai ragazzi ed alle ragaz-ze. D’altra parte è sulla base di questa differenza sessista che la società intera si costruisce edetermina attese, orientamenti, giudizi. Ogni società ha i suoi burka ed i bambini e le bambinescoprono in fretta che i giochi, i giocattoli, le attività corrispondono ad uno come all’altro sesso.Il progetto di ricerca-azione mirava dunque a scovare questi stereotipi ed ad elaborare deglistrumenti per decostruirli e capire il loro funzionamento sin dentro alle pratiche formative ededucative per arrivare alle relazioni sociali ed alla “base materiale” che li sostiene. E magaricambiarla. Si tratta allora di concepire ed elaborare una cultura dell’eguaglianza tra uomini edonne che sappia andare al di là della divisione tra i sessi. Già perché non si tratta di “rovesciare”banalmente i ruoli né, tanto meno di cadere nell’indifferenziazione dell’interscambiabilità. Cosìcome si tratta di includere in questa riflessione il tema della libertà di scelta della propria identitàin una prospettiva di laicità condivisa. “Disfare i generi” e ritrovare solo persone, libere di esserese stesse nel rispetto della civile convivenza sociale. Una società democratica si misura anchedalla sua capacità di dare a tutti i suoi membri eguali diritti di cittadinanza quale che sia la loroscelta di vita personale. Si parla oggi dei diritti delle unioni di fatto, dei diritti dei gay e dellelesbiche, si parla di famiglie monoparentali, miste, allargate… è evidente che la società si evolve.C’è chi vede in questo processo una disgregazione di valori secolari; c’è chi come noi s’interroga sucome accompagnare l’elaborazione di una cultura laica delle relazioni umane fondata sul rispettoprofondo della libertà di coscienza, credenza, critica ed autocritica di tutti. Noi tuttavia ci occu-piamo in primo luogo di educazione, ed allora le nostre domande sono: come costruire una peda-gogia che valorizzi l’eguaglianza e la diversità al tempo stesso? Come imparare a non giudicarel’altro a partire dai nostri stereotipi più o meno consapevoli? Il nostro modo di pensare è influen-zato da modelli socioculturali e da criteri che si riferiscono ai valori dominanti: come resistere edorganizzare una cultura della differenza non sessista e senza discriminazioni?

NOTA1. Partner del progetto:Ficemea, Jean Marie Michel, [email protected];Cemea Francia, Nathalie Guegnard, [email protected];Cemea Piemonte, Stefano Vitale, [email protected];Cemea Belgio, Rudi Gits, [email protected];Cemea Auvergne, Valerie Cibert, [email protected];Cemea Paca, Marie-Lou Cesaro, [email protected];Egalitere, Josy Gaillochet, Janluc Bastos, [email protected];Economie Plurielle, Christel Ledun, [email protected].

A CURA DI STEFANO VITALE

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L’educazione deibambini e dellebambinePHILIPPE LEBAILLY *

Non si sa molto dello

sviluppo specifico dei

bambini e delle bambine,

anche se le pratiche

educative, professionali o

familiari che siano, finiscono

per essere molto stereotipate.

Eppure diversi studi hanno

dimostrato che i bambini

sono in grado di differenziarsi

e d’identificare, sin dai primi

mesi di vita, i due sessi; che

prendono coscienza molto

presto del loro sesso e che a

partire dai 18 mesi

manifestano la loro adesione

alle norme culturali istituite

Già a 24 mesi è stato rilevato unsistema di referenze interno relativo allecategorie sociali di genere (schema di ge-nere) che orienta in modo differenziato ecoerente i comportamenti delle bambinee dei bambini1. I bambini sono capaci dicategorizzare molto in fretta degli oggettisecondo la dicotomia maschile-femmini-le e preferiscono gli oggetti culturalmenteattribuiti al loro sesso. Una precocità dital genere conferma che le categorie disesso fanno parte delle categorie socialipiù rapidamente percepite e costruite daibambini. Tale costruzione dell’identitàsessuata si sviluppa in un ambiente ge-rarchicizzato che produce ineguaglianzetra bambini e bambine.Vi sono coloro che tentano di spiegare ledifferenze di atteggiamenti tra i sessi egiustificare le ineguaglianze tra uomini edonne in base a fattori biologici. Gli stu-di più recenti, grazie ad una nuova tecni-ca di “lettura celebrale” non hanno per-messo di evidenziare alcuna differenzasignificativa tra i sessi che riguardi le

funzioni cognitive ed hanno mostrato cheil linguaggio (attività considerata “fem-minile”) o le operazioni matematiche (at-tività pretesa “maschile”) mobilitano del-le regioni dei due emisferi del cervellosenza distinzioni. Viene così confutata lateoria dei “due cervelli” che pretendevadi spiegare le differenze tra i sessi 2.

La nozione di genere

Sulle ali delle rivendicazioni del movimen-to femminista negli anni Sessanta è sta-ta denunciata l’ineguaglianza tra gli uo-mini e le donne per ciò che concerne iruoli sociali, politici e professionali. Èemersa così la nozione di genere(maschile.femminile) per sottolineare ilcarattere discriminate ed arbitrario dellenorme riguardanti gli uomini e le donne.Altri studi più recenti si sono occupati diaspetti educativi ed hanno mostrato comei rapporti sociali di sesso in quanto rap-porti sociali d’ineguaglianza, influenzinofortemente l’educazione dei bambini edelle bambine3. Ciò passerebbe attraver-so dei comportamenti e dei meccanismiquotidiani molto raffinati, spesso nonpercepiti dagli adulti stessi.Si educano in modo molto diverso ma-schi e femmine. Gli stereotipi sociocul-turali maschile-femminile attribuiti allecategorie di sesso uomo-donna finisconoper etichettare i bambini e le bambineeducandoli di conseguenza. L’esame del-le interazioni tra genitori e figli riveladiversi comportamenti in funzione delsesso del bambino. Ciò è evidente nel casodei giocattoli. Quelli che sono propostiai maschietti sono più numerosi e diver-si; offrono maggiori possibilità d’azionemotoria, favoriscono la manipolazione el’invenzione e sono aperti a ruoli socialiesterni alla famiglia. I giocattoli dellebambine invitano all’imitazione delle at-tività domestiche ed offrono minori pos-sibilità di variazione ed innovazione4. Icomportamenti esplorativi, l’impegno fi-sico e la ricerca dell’autonomia sono raf-forzati dai genitori per i ragazzi, mentele ragazze vengono spinte ad attività diprossimità famigliare ed a dei giochi diimitazione che provocano molte intera-zioni verbale coi genitori stessi, cosa chenon accade coi maschi dove il linguaggioè di tipo più strumentale. Sembra che igenitori sviluppino degli apprendimentilinguistici differenziati per i bambini e lebambine.

Pratiche educative differenziate

D’altra parte sin dalla nascita, sul pianodella comunicazione, i genitori assumo-no dei comportamenti diversi. Gli stimoliemotivi dei genitori sono più variegati

ed intensi con le bambine; coi bambini, igenitori hanno la tendenza ad essere piùdirettivi, a mostrare l’uso di materiali di-versi, a controllarli fisicamente. Più tardii genitori tollerano meglio le reazioni dicollera dei bambini mentre si aspettanoun maggior controllo emotivo da partedelle bambine. I padri sono particolar-mente attivi nella costruzione del senti-mento di appartenere ad un dato sesso enel mantenimento delle differenze e del-le ineguaglianze dei ruoli sessuati5.I comportamenti appropriati secondo ilsesso del bambino sono dunque stimola-ti e rafforzati positivamente o negativa-mente dai genitori e dagli altri agentidella socializzazione. Così accade anchea scuola che partecipa a questa costru-zione dell’ineguaglianza. Gli allievi rice-vono attraverso i manuali, i programmi ele concrete interazioni con gli insegnan-ti una quantità incredibile d’informazio-ni sui comportamenti adeguati al lorosesso. La mixitè, così come è vissuta ascuola, lungi dall’essere neutra, valorizzail genere maschile. Le differenze quanti-tative e qualitative di relazioni tra inse-gnanti ed allievi si spiega grazie alla na-tura delle loro aspettative e rappresenta-zioni. Le stesse pratiche d’insegnamentosono differenziate, quanto ad atteggia-menti, in funzione della connotazionefemminile o maschile delle materie.Queste differenziazioni ci devono invita-re a guardare con prudenza a certe real-tà. Per esempio, il fatto che le ragazzesiano più numerose nel proseguire gli stu-di dopo la maturità potrebbe lasciar pen-sare ad una loro migliore riuscita. Mal’analisi dei filoni di studio in cui le ra-gazze si ritrovano contraddice presto que-sta analisi frettolosa. Esse sono per lopiù concentrate in un numero ristretto dicorsi di studio, poco presenti negli studiprofessionalizzanti e ancor meno nei corsidi studio più prestigiosi. L’orientamentodelle ragazze non dipende dalla riuscitascolastica. La necessità d’affermazioneidentitaria e di conformità d’apparteneread una o l’altra categoria di sesso impo-ne queste scelte d’orientamento. La con-notazione maschile della maggior partedegli studi scientifici induce un processodi auto-selezione da parte delle ragazze.Per fare un altro esempio, in Francia, nel2000 il 28% di ragazze ed il 72% di ra-gazzi potevano beneficiare del dispositi-vo dei Contrats Educatifs Locaux. È dun-que urgente elaborare delle pratiched’educazione che aprano uno spazio dilibertà d’orientamento più grande di quel-lo che oggi s’impone in base a norme ses-suali non dette.Come costruire, infatti, un’immagine po-sitiva di sé quando il proprio gruppo d’ap-partenenza è sempre implicitamente com-parato ad un gruppo di riferimento con-notato in modo positivo? È necessario

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

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La teorizzazione del gender (genere)rompe con la visione biologica delle dif-ferenze di comportamento tra i sessi. Alcontrario del concetto di sesso che fa ri-ferimento alla differenziazione biologicatra gli esseri umani in individui maschi ofemmine, il concetto di genere investetutto ciò che è socialmente determinatonelle differenze tra uomini e donne. Al-trimenti detto, situando le differenze sulpiano dei condizionamenti sociali, miraa denaturalizzare i comportamenti chevengono presentati come tipici degli uo-mini o delle donne. Il concetto di generepermette anche di analizzare tali com-portamenti in quanto norme delle fem-minilità e della mascolinità prodotte so-cialmente quale riflesso di un’organizza-zione sociale della differenza dei sessi.Si apre così un campo di riflessione sulsenso sociale da attribuire alle differen-ze fornendo uno strumento di analisi so-ciologica delle situazioni concrete e com-plesse in cui uomini e donne sono impe-gnati. La sociologia del genere permettecosì di descrivere l’organizzazione socia-le dei rapporti tra uomo e donna in quan-to costruzione sociale. Oggi si tende amettere più in evidenza il carattere mul-tidimensionale del genere. In questa pro-spettiva il genere è concepito come unprocesso sociale di differenziazione e digerarchicizzazione che conferisce alle dif-ferenze biologiche di sesso una capacitàdi strutturazione sociale. È possibile cosìdescrivere questo processo secondo di-versi livelli: quello della divisione sessualedel lavoro, del livello simbolico d cate-gorie ideali, del livello della “mascolinitàe della femminilità”… l’analisi di questidiversi livelli della realtà sociale ci per-mette di evidenziare l’idea che il genereopera una bicategorizzazione relativamen-te arbitraria in un continuum, delle ca-ratteristiche degli esseri umani.

Resistenze ideologiche

Certamente il concetto di genere si scon-tra con resistenze ideologiche molto for-ti, specie con le concezioni naturalisti-che che continuano a spiegare le diffe-

renze tra uomini e donne secondo criteribiologici. Per tutta l’Antichità fu domi-nante il modello aristotelico del “sessounico” attraverso il quale il genere si de-finisce nel sesso. Su una scala di classifi-cazione, gli uomini e le donne sono postisecondo un grado di perfezione. Gli uo-mini occupavano la cima di questa scalae sul piano anatomico nessuna differen-za veniva sottolineata e si constatavasemplicemente che per gli uomini il ses-so si trova all’esterno, mentre per le don-ne all’interno. Sarà col XVIII secolo cheemerge un altro modello: quello dei duesessi, appunto. In questa prospettiva è ilsesso che definisce il genere. E si pongo-no le differenze biologiche dei sessi. Uo-mini e donne sono considerati “incom-mensurabilmente” diversi tanto fisiologi-camente che anatomicamente. Questomodello si associa al processo di “natu-ralizzazione” delle donne fondato su undeterminismo biologico che spiega cosìle ineguaglianze sociali delle donne. Essesono “naturalmente” inferiori perché de-boli fisicamente, perché partoriscono,perché allattano… e vi è così una diffe-renziazione anche di attività sociali chegiustifica un trattamento diversificato eduna gerarchia tra i sessi.

Neuroscienze e discriminazioni

L’influenza di questo modello e della suaideologia è evidente negli studi compa-rativi dei cervelli degli uomini e delledonne. Nel XIX secolo ci sono degli “scien-ziati” che si sono battuti per dimostrareche la dimensione del cervello era l’ele-mento determinante per spiegare l’infe-riorità delle donne. Ovviamente tale ideaè completamente falsa: ma per lungo tem-po si è pensato che il peso del cervellofosse indice di maggiore o minore intelli-genza. Studi recenti hanno dimostrato chenon vi è alcun rapporto tra peso del cer-vello ed intelligenza. Noi abbiamo tuttidei cervelli diversi, così diversi che non èpossibile distinguere un cervello di unuomo da quello di una donna, come hadimostrato Catherine Vidal, neurobiolo-ga. Il cervello, se restiamo su questo ter-reno, per svilupparsi ha bisogno d’esserestimolato dall’ambiente. Dopo la nascita,gli stimoli del mondo esterno variano infunzione delle culture, dei luoghi in cuisi vive, dei modi di vita: così il cervellosi “costruisce” diversamente per ciascu-no di noi. Ma il fatto incredibile è che ilruolo dei fattori socioculturali per spie-gare la diversità dei comportamenti edegli atteggiamenti per i due sessi nonsembrano sconfiggere i dogmi ed i pre-giudizi legati all’impatto delle teorie na-turalistiche moderne.I sostenitori di queste teorie, e ve ne sonomolti negli Stati Uniti, si appoggiano su

agire sul piano dell’educazione dei geni-tori, ma anche degli insegnanti e di tuttigli attori educativi sugli effetti degli ste-reotipi maschile-femminile affinché mixi-tè ed eguaglianza possano strettamenteconnettersi.

* Insegnante, Cemea Francia.

NOTE1. Gaid Le Maner-Idrissi, Astrid Leveque e JoëlleMassa, “Manifestation précoces de l’identitésexuée” in L’orientation scolaire et profession-nelle, 31, N. 4, 2002.2. Catherine Vidal, “Le cerveau, le sexe etl’idéologie dans le neurosciences” in L’orienta-tion scolaire et professionnelle, 31, N. 4, 2002.3. Nicole Mosconi, “De l’inégalité des sexesdans l’éducation familiale et scolaire”, in Vil-le, école, intégration, CNDP N. 138, 2004.4. Lemel, Roudet, Filles et garçon jusqu’à l’ado-lescence, socialisation différentielles, L’Harmat-tan, 1999.5. Chantal Zaouche-Gaudron e VéroniqueRouyer, “L’identité sexuée du jeune enfant:actualisation des models théoriques et analy-se de la contribution paternelle” in L’orienta-tion scolaire et professionnelle, 31, N. 4, 2002.

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Il pregiudiziodella naturaJOSY GAILLOCHET *

Le discriminazioni tra uomo e

donna hanno una lunga storia

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Decostruzionecome praticaculturale e politicaJEAN-LUC BASTOS *

Decostruire un fatto, una

situazione, un’opinione, un

atteggiamento, un rapporto,

una teoria, un sistema, una

credenza, un rapporto sociale,

una rappresentazione

mentale, uno stereotipo…

Decostruire significa

“smontare e rimontare” una

costruzione, per vedere il

meccanismo, per capire la

meccanica, comprendere il

funzionamento,

l’organizzazione… È

analizzare ciò che permette

all’edificio di restare in piedi,

rimettere in discussione gli

elementi che lo compongono,

esaminare ciò che li tiene

assieme ed il sistema che essi

formano

Decostruire è prendere coscienza diciò che sta sotto ad una situazione, adun rapporto sociale in cui sono in giocoevidentemente il potere, la gerarchia, ladifferenza sessuata, la sessualità. In ori-gine, la decostruzione è un metodo filo-sofico cresciuto attorno all’opera di Jac-ques Derrida, spesso qualificato come“post-strutturalista”. Il termine decostru-zione è la traduzione che Derrida propo-ne per il termine tedesco di destruktion,che Heidegger impiega in Essere e Tem-po. Derrida pensa che questa traduzionesia più pertinente di quella classica di“distruzione”, nella misura in cui nelladecostruzione della metafisica non sitratta di ridurla al nulla, ma di mostrarecome si sia costruita. In Heidegger, in

Sein und Zeit la destruktion è centratasul concetto di tempo e deve rivelareattraverso quali tappe successive l’espe-rienza del tempo sia stata nascita dallametafisica facendo dimenticare il sensooriginario dell’essere come essere tem-porale. Derrida pensava che il significa-to di un testo (saggio, romanzo, artico-lo…) sia il risultato dell’analisi delle dif-ferenze tra le parole impiegate piutto-sto che della referenza alle cose che rap-presentano. Si tratta di una differenzaattiva che lavora nel profondo del sensodi ciascuna parola. I differenti signifi-cati di un testo possono così essere sco-perti decomponendo (decostruendo) lastruttura del linguaggio nel quale esso èredatto.

Un campo concreto d’applicazione:l’omosessualità

Nel nostro caso, di chi si vuole occuparedegli stereotipi sessuati connessi alle dif-ferenze di genere, occorre sapere che inuna prospettiva di “decostruzione” nonsia sufficiente affermare che i rapportitra i sessi sono “sociali”, ma occorre chevadano appunto decostruiti per compren-dere come funzionano, come agiscono,come operano concretamente. In questomodo si può effettivamente contestareil carattere immutabile di certi stereoti-pi e sviluppare così una trasformazionereale. Ciò che appare naturale non solodiventa sociale, ma anche storico e can-giante, rivoluzionabile. Simone de Be-auvoir spiegava che «se il rapporto trauomo e donna si costruisce, allora le dueentità che si affrontano in questo rap-porto sono costruite e così costruisconola loro ineguaglianza».La questione della necessità di una de-costruzione delle costruzioni sociali disesso è stata recentemente riattivata nelquadro del dibattito su temi quali: le nuo-ve forme di genitorialità ed il riconosci-mento sociale dell’omosessualità. In talecontesto si è sviluppata l’idea di una in-terscambiabilità delle posizioni sessua-te. Un po’ come se l’eguaglianza dei ses-si procedesse grazie alla loro indifferen-ziazione progressiva: la dominazione diun sesso sull’altro viene meno grazie allaperdita di specificità.Il movimento omosessuale sembra arri-vare allo stesso punto di quello femmi-nista anche se sul tema della sessualitàper il primo si tratta si affermare unapreferenza d’inclinazione o la forma del-la propria sessualità, mentre per il se-condo è in gioco uno statuto di catego-ria sociale quale che sia, in primis, laloro preferenza sessuale. In effetti,l’emergenza della pubblica riconoscenzadell’omosessualità lungi dal confermarel’indifferenza dei sessi sembra sottoline-

test neuropsicologici secondo i quali ledonne sarebbero più performanti nellapercezione visiva e il linguaggio, mentregli uomini lo sarebbero nel campo del-l’orientamento spaziale e nella geometria.Naturalmente dimenticano di dire che talirisultati sono solo delle medie, ma so-prattutto non tengono conto del fattore“educazione”. È chiaro che si sottovalutail fatto che i ragazzi, per restare sull’esem-pio dell’orientamento spaziale, nel corsodel loro sviluppo ricevono molte più sol-lecitazioni “esterne” delle ragazze graziea giochi di all’aperto, attività di squadra,ecc. Ed in ogni caso è la variabile indivi-duale che va messa in evidenza ben piùimportante di quella del sesso.

Una prospettiva antropologica

Paola Tabet (La construction sociale desinégalités de sexe, L’Harmattan, Parigi,1998) ha studiato la questione da unpunto di vista antropologico. La sua tesi,partendo da osservazioni sui popoli pri-mitivi, è che la differenza tra i sessi èdirettamente connessa con la differenzaqualitativa e quantitativa degli strumen-ti, degli utensili messi disposizione dalladiverse società per gli uomini e le don-ne: i primi userebbero degli strumentitecnologicamente più complessi ed ela-borati. Per la caccia, per la pesca, perl’agricoltura la divisione sessuale del la-voro è chiaramente definita e gli stru-menti per le donne sono in genere rudi-mentali mentre gli uomini possedevanoutensili più perfezionati. Se si aggiungepoi il divieto per le donne di usare le armi,il quadro è ancora più chiaro. Ora, il mo-nopolio delle armi è decisivo per i rap-porti tra uomo e donna. Le armi e la tec-nologia non vengono affidate alle donnee ciò marca la distanza tra i sessi. Di quiil divario storico tra tecniche e lavoromaschile e femminile. Il possesso dellearmi si coniugava poi con la predominan-za nell’organizzazione politica e simboli-ca: le donne non potevano accedere ailuoghi del potere e delle decisioni.

* L’articolo riprende alcuni spunti proposti daJosy Gaillochet, esperta di “Igegneria delle pariopportunità” dell’associazione Egalitere di Tou-louse. Un testo più articolato, scritto in colla-borazione con Bruno Fondeville (insegnantedell’IUFM) è apparso nella rivista Vers l’Educa-tion Nouvelle, nel gennaio 2006 (N. 521).

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La ricerca ha potuto essere realizzatacon il sostegno finanziario Unione Euro-pea all’interno del progetto intitolatoQuante donne puoi diventare? condottoda una rete di partner: l’assessorato alSistema Educativo e Pari Opportunità delComune, l’associazione francese Du côtédes filles, diretta da Adela Turin, Poliedraspa, la rete delle biblioteche civiche diTorino e il Centro Studi Pensiero Femmi-nile. Quest’ultimo è un’associazione cul-turale femminile che opera dal 1995 nel-l’ambito degli studi di genere ed ha con-dotto la ricerca seguendo due piste, en-trambe miranti a mettere in luce gli ste-reotipi sessisti trasmessi ai bambini dal-le immagini: la prima dedicata all’esamedegli albi illustrati per lettori da 0 a 10anni, la seconda a interviste qualitativeproposte a bambine e bambini dai 7 ai10 anni. È stato analizzato un campionedi 516 albi illustrati pubblicati tra il 1999e il 2003. I criteri per la scelta sono statidestinazione e caratteristiche: lettrici elettori da zero a dieci anni e illustrazioniper almeno il 70% del volume.

L’esame degli albi

La nostra ricerca guardava in particolarealle illustrazioni: dagli anni Settanta inpoi sui testi si è esercitata una certa sor-veglianza e tematiche apertamente ses-siste nelle storie per bambini sono fortu-

natamente diventate rare, ma le immagi-ni spesso suonano tutta un’altra musica.Come Adela Turin ha scritto nell’introdu-zione della Guida alla decifrazione deglistereotipi sessisti negli albi pubblicata dalprogetto: «Se al momento del loro ingres-so nella scuola materna, verso i tre, quat-tro anni, i bambini e le bambine si sonogià identificati nel loro ruolo sessuale econoscono il comportamento appropria-to a ciascun sesso, i libri illustrati, sup-porto essenziale nelle classi della scuolamaterna, perfezionano questa identifica-zione: dicono con insistenza che la fun-zione delle donne è occuparsi del lavorodomestico e dei bambini e quella degliuomini guadagnare denaro».Nel nostro campione il padre è rappre-sentato mentre si dedica ad un lavorodomestico in appena 19 immagini che,detto in termini più intuitivi, corrispon-de a circa tre libri su cento, ma ancorameno frequente è la collaborazione tra igenitori all’esecuzione di un lavoro do-mestico: appena 10 casi, pari a meno del2%. Di fatto, che il lavoro domestico siacompetenza della madre è il messaggiotrasmesso da un terzo degli albi esami-nati.Cucinare e servire a tavola sono i lavoripiù spesso illustrati: la madre che servela cena stando in piedi di fronte alla fa-miglia seduta a tavola è un’immagine fre-quente, quasi rituale.Il re degli stereotipi sessisti è senz’altroil grembiule. L’abbiamo incontrato 56volte. Questo significa che più di un albosu dieci rappresenta così abbigliato ilpersonaggio della madre. E se si pensache il soggetto famiglia appare negli albida noi esaminati solo 184 volte, questosignifica che il grembiule riveste un ter-zo delle madri rappresentate.Sovente è associato alle ciabatte, anchese la madre è in strada, come a ricordarciche il suo ambito è quello domestico, lacasa è la sua vocazione e destinazionenaturale. Poltrona e giornale sono inveceappannaggio del padre e anche gli spazidella casa risultano ripartiti secondo unadivisione di genere: la mamma in cucina,il papà in soggiorno sulla sua poltrona-trono.

Le interviste

109 bambini e 95 bambine di età com-presa tra i sette e i dieci anni hanno, nelcorso di interviste impostate in modo lu-dico e con il supporto di immagini, con-fermato l’efficacia degli stereotipi sessi-sti con una uniformità di risposte vera-mente imponente.La prima immagine presentata ai bambi-ni aveva caratteristiche volutamente am-bigue: un orso grande e grosso, privo diqualunque caratteristica femminile, anzi

are la loro disgiunzione. D’altra parte lepratiche sessuali, culturali e simbolichedei gay e delle lesbiche oggi non sonointercambiabili ed il rischio da evitare èun “fenomeno di normalizzazione delmodello maschile nel movimento gay”.Se l’eterosessualità introduce un rapportodi forze tra i sessi sin nell’intimità, l’omo-sessualità che non comporta tale formadi confronto, lascia tuttavia trasparireriferimenti sociali di sesso sotto formadi gerarchie.Malgrado le difficoltà che investono lascelta omosessuale essi, se uomini, be-neficiano pur sempre dello statuto so-ciale, economico e culturale degli uomi-ni. E la misoginia non scompare soloperché non si è eterosessuali. La stessarappresentazione fantasmatica e l’appro-priazione del femminino sui carri del gaypride sembra ricalcare le caricature tra-dizionali della femminilità. Il problemadel rapporto tra i sessi non può essereconfuso col problema del rapporto trasessualità.

Contro ogni stereotipia

Una volta che abbiamo decostruito lacostruzione sociale dell’etero-normativitànon emerge forzatamente l’indifferenzia-zione dei rapporti sociali di sesso. Leviolenze sessuali, la prostituzione, pernon dire dell’incesto e della pedofiliafanno parte di un sistema di devianzecerto minoritarie, ma costitutive e quasiistituzionali della sessualità maschile,che sia etero o omosessuale. Tuttavia, lacostruzione sociale dei sessi può e deveessere confrontata alle questioni dellanuova genitorialità che sconvolgono apoco a poco i processi della procreazio-ne e delle strutture parentali dell’occi-dente mettendo in crisi la dissimetria deiruoli paterni e materni, maschili e fem-minili. La decostruzione, partendo dairapporti sociali di sesso in cui ciascunoè preso, realizza una modificazione del-le forme stesse senza pretendere d’im-porre una nuova “buona forma”. Si trattadi praticare una politica di uomini e didonne, nel privato come nel pubblico,in cui la “verità” si reinventa giorno dopogiorno senza identificarsi con un unicacausa, ma cercando di rompere con lesecolari modalità del sessismo prevari-cante. La decostruzione decentra e ren-de mobili: non è per la vittoria dell’Unoo del Due, né della differenza o dell’in-differenza, ma del loro rapporto “in ten-sione”. Essa è un movimento. D’altra par-te la rivoluzione femminista parlava di“movimento delle donne” che deve es-sere anche un “movimento degli uomi-ni”.

* Associazione Egalitere, Toulouse

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Che cosa si leggetra 0 e 10 anni?FERDINANDA VIGLIANI *

A quale età si incomincia ad

assorbire dall’ambiente

circostante la discriminazione

sessuale? Quali canali

percorre negli anni in cui la

personalità è in formazione e

massima è l’apertura a tutti i

messaggi espliciti e impliciti?

Una ricerca sulle letture di

bambine e bambini nelle

scuole di Torino

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di tratti mascolini, ma vestito da ungrembiule con la pettorina [figura 1].

Quest’ultimo è decisamente l’elementoprevalente: ciò che fa dire a 153 bambi-ni su 204 che il personaggio è la mam-ma e che ne hanno la certezza per viadel grembiule. «I maschi non mettono ilgrembiule, perché il grembiule è da fem-mine», «Se fosse il papà andrebbe a com-prare una pizza!».Se l’orso non viene riconosciuto comepersonaggio femminile, le motivazionisono spesso legate alle sue caratteristi-che fisiche (corporatura imponente, un-ghioni, denti) o di comportamento: l’or-so sembra rivolgere a qualcuno un gestopiuttosto imperioso: «Non è un grem-biule è un tovagliolo e l’orso sta dicen-do a sua moglie: “Ho fame. Portami lacena!”».Nei rarissimi casi in cui l’orso col grem-biule viene riconosciuto come papà orsointento a cucinare, l’intervistato precisache mentre lui cucina «la mamma fa lepulizie e gli orsetti sono fuori in giardi-no a giocare», oppure una gerarchia neiruoli di genere è ristabilita in questomodo: «Il papà cucina con il grembiulee intanto la mamma lava per terra».Quando all’orso col grembiule viene at-tribuito il genere maschile, lo si imma-gina impegnato in un’attività professio-nale e il grembiule diventa quello di unmacellaio, di un fruttivendolo, di un cuo-co: «L’orso ha la faccia da maschio. È unpizzaiolo che grida “Ora faccio una bellaMargherita!”».

La seconda immagine proposta ai bam-bini è stata senza indecisioni accredita-ta alla mascolinità. Di nuovo un orso,privo di connotazioni di genere, ma im-pegnato nella lettura di un quotidiano[figura 2].«È il papà, la mamma non ha mai il tem-po di leggere. Deve fare i lavori…» E diche cosa si interessa il papà? «Le noti-zie, ma soprattutto lo sport». E la mam-ma non si interessa delle notizie?«Nooo… La mamma il giornale lo guar-da la sera, quando ha finito tutti i lavo-ri» Che cosa legge nel giornale la mam-ma? «Mha… Le diete. Le ricette. Lamoda. I consigli per la salute dei suoibambini». Sì, anche quando finalmentetrova un momento per leggere, la mam-ma è sempre intenta a pensare al benedella famiglia, alla salute e al benesseredei figli, ai manicaretti che potrà prepa-rare per rendere tutti felici. Le voci fuoridal coro sono rarissime «L’orso che leg-ge è la mamma, perché a casa mia leggesolo la mamma. Il papà non legge mainiente. La mamma però legge solo la sera,quando ha finito tutti i lavori».Sulla lettura del giornale c’era una do-manda di riserva con un’immagine ap-

propriata: all’orso di prima era statamessa una collana che ne femminilizza-va l’immagine.Ma in molti casi neppure con la collanal’orso diventa un’orsa o il papà diventala mamma: «È il papà che ha messo unacollana per sembrare più bello»; «È il fra-tello maggiore, che è “strano” e moltovanitoso». «È un cane» ha affermato condecisione un ragazzino di nove anni, «sivede dal collare». Davvero? E che cosalegge? «Un giornale per cani» è stata larisposta, in cui si intravedeva una con-siderazione abbastanza scarsa per un’in-tervistatrice che faceva domande così ov-vie.«È un’orsa, però è strana se si ferma aleggere durante il giorno». Se la mammasta leggendo il giornale, è perché in quelmomento i bambini sono a scuola, o adormire, e il papà è a pesca o al lavoro.Insomma, perché la mamma possa avereun attimo di pace, un momento da dedi-care a se stessa, bisogna che tutta la

famiglia sia addormentata o altrove. Sepoi, si ha il riconoscimento dell’orso conla collana come orso femmina, è una si-gnorina, una sorella maggiore, una stu-dentessa, un’orsa giovane, non la mam-ma.I papà lavorano e lavorare, si sa, stanca.Per questa ragione lo stanchissimo orsoche riposa in poltrona è il più delle vol-te definito un papà. Ci sono però anchealtre figure: il nonno, un fratello, unamico del fratello, un ragazzo.Nel caso del giovane orso si deve osser-vare che è considerato normale da partesua il fatto di essere un completo scio-perato. Come mai è così stanco? «È stan-co perché ha giocato tutto il giorno»,«È stanco perché la notte prima è anda-to in giro con gli amici ed è rincasatotardi».Quando l’orso ha un aspetto più vigile,meno rilassato, l’attribuzione alla mam-ma diventa un po’ più frequente e calaquella al giovane orso. Tuttavia: «Sem-bra una femmina, però sono i maschi chestanno vicino al camino e si scaldano.Le donne vanno a far la spesa e non sisiedono davanti al fuoco. Questa sta se-duta, ma è anomala». «Quando diventa-no grandi le femmine devono stare com-poste e si riposano solo quando vanno adormire. Le mamme orse non dormonodi giorno. Quando si riposano poi non sistravaccano, ma stanno sedute. Questaè un’orsa femmina che si sta alzando perandare a vedere i bambini, poi va in ba-gno e si mette a pulire» [figura 3].Lo sguardo dell’orso è rivolto verso qual-cuno, o qualcosa. Che cosa sta guardan-do? Se l’orso è il papà la risposta piùfrequente è «la televisione». Se si trattadella mamma, qualche volta guarda i suoibambini che giocano. Qualche volta è unanonna o un’orsa giovane e il caminettoacceso sembra ispirare la narrazione: «Èuna ragazza con dei begli occhi e unmusetto carino. Guarda suo fratello piùpiccolo e, mentre la mamma prepara lacena, lei racconta una storia ai suoi fra-telli per farli addormentare».

Sovente intorno alla poltrona i bambiniimmaginano un soggiorno, arredato conun divano e altre poltrone, ma in soli 4casi su 204 questo, che sembrerebbe unospazio di relazione, ospita personaggiintenti a conversare e, in tutti i quattrocasi, la conversazione si svolge con de-gli amici o dei parenti in visita. Mai nes-suno ha immaginato una conversazionetra i genitori o tra i genitori e i figli.Solo una volta i genitori sono stati col-locati insieme sul divano, mentre un fi-glio era in poltrona, ma non stavanoparlando: guardavano una soap-opera allaTV. Un dato che fa riflettere sulla quan-tità e qualità della comunicazione all’in-terno della famiglia.

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Figura 1.

Figura 2.

Figura 3

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Ma già alla fine del Settecentofurono avanzate rivendicazioni della pie-na uguaglianza di diritti per le donne, daparte di Olympe de Gouge in Francia(1791) e di Mary Wollstonecraft in In-ghilterra (1792). Olympe de Gouge chie-deva per le donne tutte le libertà riven-dicate dagli uomini, aggiungendo la ri-chiesta della libertà dalla tirannia dome-stica e quindi estendendo i diritti dei cit-tadini e delle cittadine alla sfera privata.Mary Wollstonecraft indicava che negan-do i diritti delle donne gli uomini dell’As-semblea Costituente francese seguivanoil modello dei tiranni che professavanodi attaccare, e insisteva sulla contempo-raneità delle differenze corporee e dellesimilarità intellettuali tra donne e uomi-ni.Fin dall’inizio il tema della differenza fuquindi coniugato con quello dell’ugua-glianza, e questa connessione si è man-

tenuta per tutta la storia dei movimentidelle donne europei, anche se talvolta conl’accentuazione dell’uno a scapito dell’al-tro. Nell’Ottocento il movimento delledonne non combatté soltanto per il suf-fragio, ma anche per i diritti delle donnesul lavoro e nella famiglia; ci furono peresempio nel movimento italiano contra-sti sulla questione del dare o no alcuniprivilegi alle donne lavoratrici, propriosulla base della scelta di sottolinearnel’uguaglianza o la differenza rispetto ailavoratori maschi.

In principio furono gli anni ‘70

Nel Novecento, la ripresa del movimentofemminista alla fine degli anni 1960 -inizio degli anni ‘70 rinnovò radicalmen-te il retaggio precedente. La differenzadi genere venne messa in primo piano,con il rifiuto di limitarsi a rivendicazionidi parità con gli uomini. Queste non ven-nero abbandonate – e tuttora sono moltoimportanti e devono essere portate avantiper correggere le disuguaglianze socialie professionali – ma le innovazioni prin-cipali si ebbero nel ripensare il tema del-la differenza. Questa venne intesa nonpiù soltanto come differenza tra donne euomini, ma anche – a volte soprattutto –come “differenze” tra le donne. Vennecontestato a fondo il presupposto positi-vista, sostenuto per esempio da CesareLombroso, di una differenza di genereancorata in una determinazione biologi-ca che riservava alla “donna” come unicodestino quello di essere madre. Venne ri-conosciuta non solo la pluralità delle don-ne e delle loro scelte di vita, ma anche lapriorità di stabilire tra loro dei rapportidi piena intersoggettività, che includes-sero la capacità di gestire le differenzein modo civile, con forme democraticheispirate alla differenza. Dunque si tratta-va non di una democrazia rappresentati-va, ma diretta, attraverso l’attività delpiccolo gruppo di presa di coscienza, chesomiglia maggiormente a certi modi dideliberare delle società non europee chenon al sistema parlamentare occidentale.Oggi il tema della differenza e delle dif-ferenze di genere si coniuga inevitabil-mente con altre differenze, quelle di raz-za, religione e cultura, oltre che di clas-se. Già le femministe afro-americane ave-vano rimproverato alle femministe bian-che di essere “cieche al colore” del corponella loro proclamazione di sorellanzauniversale, dunque di non considerare ipropri privilegi di donne bianche preva-lentemente appartenenti ai ceti medi.Questa accusa colpisce nel segno. Ancoroggi in Italia l’intreccio tra le varie diffe-renze è insufficientemente riconosciuto,e il discorso sul “corpo di colore” non èpienamente sviluppato. È vero che il tema

Il passaggio dagli orsi agli esseri umaniha reso ancora più immediata l’indivi-duazione dei personaggi all’interno diuna rete di rapporti famigliari di cui ibambini hanno esperienza. Qui lo stere-otipo da riconoscere era il collegamentodella figura ad un’attività professionale.In particolare la valigetta portadocumen-ti lo suggeriva, insieme con l’abbiglia-mento elegante.«È un dottore», «È un avvocato», «È untecnico dei computer». Ma anche «È unpolitico», «È un direttore», «È un ban-chiere». Su quest’ultima professione bi-sogna osservare che in alcuni casi i bam-bini non fanno distinzione tra “banchie-re” e “bancario”.Molti hanno attribuito all’uomo sulla por-ta la professione del loro papà: «È uncommerciante», «È un muratore», «È unidraulico», «È un rappresentante, infattinella valigetta ha il suo campionario, damostrare ai clienti».Quando il personaggio è sulla porta dicasa, di ritorno dal lavoro, i bambini im-maginano che la sua famiglia lo atten-da: «I figli stanno facendo i compiti esua moglie ha preparato la cena» E luiche cosa fa? «Si cambia d’abito, si lavale mani, cena e poi va a dormire»., L’ul-tima immagine della serie era la versio-ne femminile dell’immagine precedente:anche in questo caso l’abbigliamento ela presenza della valigetta suggerisconouna figura di professionista, ma una ge-rarchia riappare se le due figure vengo-no considerate in sequenza: lui avvoca-to, lei segretaria; lui medico, lei infer-miera, lui direttore, lei maestra. È affa-scinante la concretezza e la precisionecon cui i bambini sanno spiegare il fun-zionamento della divisione del lavoronella famiglia e nella società. Nessunocrede che il lavoro domestico si facciada solo, come per magia. Tutti sannobene che è dalla mamma che dipende ilbuon funzionamento della vita di tuttala famiglia. La donna sulla porta: «È unasignorina che entra in casa: fa l’impie-gata. Trova tutto ordinato e il tavolo giàapparecchiato dalla sua mamma. Non èsposata». Insomma la donna, finché ègiovane, può beneficiare di alcuni servi-zi, a spese di un’altra donna (di solito lamadre), ma è evidente che non appenadiviene lei stessa moglie e madre, que-sti privilegi diventano un ricordo. Ma ildispositivo culturale che sottostà alladivisione del lavoro attraverso il genereè talmente ampio ed efficace da appa-rirci come l’ordine naturale delle cose:«È una mamma. È tornata a casa dal la-voro in anticipo per lavare, stirare e oc-cuparsi dei figli. Si vede dall’espressio-ne del volto. Si vede che è felice».

* Responsabile del Centro Studi Femminile,Torino.

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

La differenza digenere in Europa.Una prospettivastoricaLUISA PASSERINI *

L’Europa ha una lunga, ma

contraddittoria, tradizione di

pensiero nel campo della

differenza di genere. Mentre i

filosofi dell’illuminismo e la

rivoluzione francese

proclamavano l’eguaglianza

universale, continuavano

tuttavia ad accettare lo stato

di inferiorità delle donne. Per

questo tale principio di

eguaglianza e l’universalismo

ad esso associato sono stati

criticati in seguito dalle

femministe – e non solo –

come astratti e incapaci di

tener conto delle differenze

basate sul corpo

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del corpo, aspetto centrale dei discorsisulla differenza, è tornato alla ribalta inmodo inequivocabile con le grandi mani-festazioni di Milano e Napoli in difesadella legge 194 per il diritto all’abortonei primi mesi del 2006, e con le prote-ste contro la legge sulla procreazione as-sistita. Ma manca la decisa assunzionesu vasta scala del problema del corpo ses-suato in prospettiva globale, che includeil riconoscimento del tema della “bian-chezza” come un problema europeo.

La frontiera dell’ambiguità

Negli ultimi decenni è venuta fortemen-te alla ribalta la questione dell’ambigui-tà culturale delle definizioni di genere,grazie all’attività e al pensiero dei movi-menti detti GLBT (Gay Lesbian BisexualTransgender). Questi hanno insistito suuna gamma di diritti derivanti anche dal-le nuove possibilità offerte dalle tecno-logie biologiche. Da un lato viene riven-dicato il diritto di omosessuali e lesbichea contrarre unioni in cui siano garantititutti i diritti attribuiti ai matrimoni ete-rosessuali, quali la trasmissione eredita-ria e il trattamento pensionistico, non-ché la possibilità di adozione di figli.Dall’altro viene affermato il diritto di de-cidere a quale genere si appartiene, ri-vendicando o una doppia appartenenza ola possibilità di trasformare il propriocorpo da maschile a femminile o vicever-sa. Queste rivendicazioni sono di granderilevanza per capire il doppio caratteredella differenza di genere, cioè il fattoche il suo fondamento biologico è sem-pre vissuto e modificato culturalmente.A queste considerazioni generali vorreiaggiungere alcune osservazioni derivantida una ricerca da me diretta per l’UnioneEuropa (compiuta nelle università di Co-penhagen, Budapest, Sofia, Utrecht e al-l’Istituto Universitario Europeo di Firen-ze), nella quale sono state intervistate120 donne, bulgare e ungheresi immigra-te in Italia e Olanda, e anche donne ita-liane e olandesiı. Uno degli intenti dellaricerca era proprio quello di capire comela differenza di genere viene percepitaall’interno di un processo di migrazioneintraeuropeo. Per questo fu fatta la scel-ta di intervistare donne sia native siamigranti. La interviste hanno mostratoche i rapporti intersoggettivi tra di lorosono di grande rilevanza per determinarel’integrazione tra le due culture. Gli uo-mini non sono affatto esclusi dal quadro,anzi sono molto presenti nelle interviste,e i rapporti d’amore – già esistenti o an-cora prefigurati – sono presentati comeuna delle motivazioni principali per ladecisione di migrare, accanto a motivieconomici e politici. Tuttavia viene mes-sa in rilievo l’importanza dei rapporti in-

tra-genere, tra donne e donne, per lo svi-luppo di nuove identità e per la reciprocaaccettazione. Tale accettazione non vasenza problemi, anche gravi. Le donneitaliane, per esempio, tendono ad accet-tare le nuove arrivate dall’Europa centra-le e orientale considerandole molto simi-li a “com’eravamo noi negli anni 1950”,sulla base di una concezione linearisticae progressistica della storia. Ma usanoquesta nuova unità tra donne europee perescludere altre donne, come quelle isla-miche, definite “diverse”. Questo dato,cioè l’intreccio tra la percezione della dif-ferenza di genere e quella delle differen-ze tra le culture, richiede di essere tenu-to presente nelle politiche culturali e so-ciali dell’unione, nonché dagli operatori

e mediatori a livello di base. Nel com-plesso, uno degli esiti della ricerca è l’af-fermazione che la consapevolezza delladifferenza di genere può essere un ele-mento decisivo di integrazione intercul-turale nell’Europa contemporanea.

* Luisa Passerini è autrice, sui temi trattatinell’articolo, del libro Storie di donne e femmi-niste (Rosenberg & Sellier, Torino, 1991), edel saggio “Diventare soggetto nell’epoca del-la morte del soggetto”, in Memoria e utopia(Bollati-Boringhieri, Torino, 2003).

NOTA1. La ricerca è di prossima pubblicazione pres-so l’editore Berghahn, col titolo Women Mi-grants from East to West: Gender, mobility andbelonging in contemporary Europe, a cura diLuisa Passerini, Dawn Lyon, Ioanna Laliotou,Enrica Capussotti.

Judith Butler1, filosofa americana, hada sempre proposto una posizione sco-moda ed al tempo stesso originale cer-cando di andare al di là del semplice stu-dio delle implicazioni socio-antropologi-che generali della coscienza del genere.Il suo primo riferimento crediamo restiSimone de Beauvoir che nel 1949 scrisse:«donna non si nasce, lo si diventa», se-parando con chiarezza il sesso biologicoda quello sociale: il genere, appunto. Ilsesso ed il genere sono separati, è que-sta la verità ed il sesso stesso cambia neisuoi usi, nella visione che noi ne abbia-mo secondo i tempi. La natura è cultura.Non si nasce donna o uomo, ma ci co-struiamo tali ogni giorno, mettiamo inscena questo copione. Noi confermiamo,ma possiamo anche disconfermare, il no-stro genere di fronte agli altri entrandoin un sistema esigente, spesso obbliga-torio, più o meno flessibile e tollerante,il più delle volte coercitivo fatto d’appa-renze e norme sociali. Il genere è una“cerimonia sociale”, una sorta di sfilataquotidiana, disciplina ed estetica del cor-po che possiamo interpretare con più omeno passione: siamo autori ed attori altempo stesso. E vi è tutto un businessche alimenta queste pièces: media, mer-ci, spettacoli, pubblicità… che declina-no e caratterizzano i due generi.

Diritto alla differenza

«Si vede bene questa teatralità negli sforzidei travestiti e dei transessuali di asso-migliare ad una donna. Ci rivelano a loromodo gli artifici, i travestimenti… tuttoquesto rituale per apparire “donne”Ma in realtà, spiega la Butler ciascuno dinoi si pone domande, più o meno consa-pevoli, del tipo: che cosa ci si aspettadal mio genere? Fin dove possono spin-

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Disfare i generiSTEFANO VITALE

Ciascuno di noi non è un

uomo o una donna: in verità

mimiamo la donna, facciamo

l’uomo ognuno a suo modo.

Essere uomini o donne è una

specie di prestazione

quotidiana. Perpetuare il

proprio genere, senza

pensarci, malgrado noi stessi.

Certamente ciascuno ci mette

il suo stile, il suo tratto

personale, ma siamo quel che

siamo ripercorrendo sempre

una lunga storia, quella del

“femminino” e del “maschile”.

Che s’intrecciano tra loro

permettendoci di giocare

all’uomo o alla donna

contemporanea

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A dispetto dei molti cambiamentiavvenuti nella mentalità, nella società eanche nella scuola italiane, gli stereotipidi genere permangono, inossidabili e ina-movibili, e le bambine e i bambini acqui-siscono diversità solo nei comportamen-ti. I maschi sono più inquieti, meno con-tenibili, più coraggiosi, più spacconi,hanno più bisogno di muoversi, sono piùdisordinati, dicono più parolacce…Le femmine sono più “frignone”, più tran-quille, più calme, più educate, più gesti-bili, piangono di più, hanno paura deiragni e degli insetti in giardino, scrivonomeglio, sono più permalose e anche più“ochette”, sono più ordinate, fanno piùspesso “la spia”, danno meno problemi…Nemmeno questi stereotipi hanno, però,la forza di stimolare l’assunzione di unapedagogia che tenga conto delle diffe-renze di genere. Nonostante la stragran-de maggioranza dei casi problematici si-ano maschi, sia dal punto di vista del-l’assetto cognitivo, sia da quello dei com-

germi? Ed io, uomo, devo mostrarmi ag-gressivo alla prima occasione? Come possomostrami all’altezza delle aspettative diuna donna? Fin dove posso assumere ilmio ruolo di “macho”? Si diventa prigio-nieri di un ruolo fabbricato in realtà al difuori di sé. In un’intervista rilasciata aLe Monde2, Judith Butler racconta che daadolescente fu mandata dai genitori dal-lo psichiatra per distoglierla dalle sueinclinazioni verso le donne: le sedute siconclusero con le parole del medico chedicevano: «Siete fortunata a poter amarechi volete. Penso che non abbiate alcunproblema. Piuttosto è vostra madre chedovrebbe venirmi a trovare…». Nei suoilibri più recenti3 si sofferma ad analizza-re l’evoluzione dei costumi contempora-nei: matrimonio omosessuali, monogeni-torialità… e seguendo Michel Foucaultpropone un “diritto tollerante”, un’eticanon repressiva verso le minoranze e lediversità, quali che siano. Già nel suo li-bro Corpi che contano, (Feltrinelli, Mila-no, 1996) chiariva come l’egemonia ma-schilista discendesse direttamente daquella che chiama egemonia eterosessua-le, la quale consolida il binarismo oppo-sitivo maschile/femminile. Così il para-digma eterosessuale diviene norma e siconsolida, traendo conferma dall’atto diesclusione con cui allontana le sue tra-sgressioni; esso diviene norma autocitan-dosi, ripetendosi.È come se un modello ideale di “umani-tà” s’imponesse sulla base di dati morfo-logici specifici. Si finisce per stabilire unadifferenza tra ciò che è “umano” e ciòche non lo è; tra vite giudicate “vivibili”ed altre no. Gli ermafroditi, ad esempio,“rimettono radicalmente in discussione ilprincipio dominante della nostra socie-tà, secondo il quale la differenza sessua-le tra generi deve essere stabilita e man-tenuta ad ogni costo”. C’è come una “vio-lenza del genere” che si esercita sulleminoranze sessuali, sui transessuali, checi riguarda tutti. Certo per ragioni di co-erenza etica laica, ma anche perché siesercita segretamente su tutti gli esseriumani, confrontati in modo o nell’altrocon la tentazione di scivolare fuori dallenorme, verso una maggiore “singolaritàsessuale”, non giudicabile a priori.

Conformismo sociale e diritti personali

In Europa, come negli Stati Uniti è vivoil dibattito sui Pacs e più i generale suimatrimoni omosessuali e le adozioni omo-parentali. Vi sono tesi che sostengono l’ir-riducibilità della differenza dei sessi e chela coppia eterosessuale sia così il fonda-mento della vita psichica come della no-stra stessa umanità. Judith Butler la pensadiversamente: per lei «questo famoso or-dine simbolico che vieterebbe alle lesbi-che di essere genitori e di formare dellecoppie…non è niente altro che una no-zione culturale contingente e storicamen-te variabile». L’idea della Butler è che unbambino cresciuto in condizioni non con-venzionali possa crescere felicementecome gli altri, tanto bene che male, vistoche tutto dipende dall’attenzione e dallaprotezione che gli riservano i genitori.Ma c’è dell’altro, in questa costante “dia-lettica della libertà”: non potrebbe acca-dere che il riconoscimento legale delmatrimonio o dell’adozione omosessualefinisca per legittimare un nuovo ostraci-smo verso coloro che non si sposano, chehanno relazioni sessuali fuori dal matri-monio, che rifiutano la monogamia isti-tuzionale come fedeltà obbligatoria? Perla Butler occorre evitare di «uscire da unarmadio per entrare in un ghetto». Si trat-ta allora di sviluppare una cultura dellatolleranza, del rispetto delle diversitàanche al di là del femminismo ed anchedelle soluzioni istituzionali. Nessuno puòdirsi realmente autonomo e libero nellesue scelte, nessuno può creare liberamen-te se stesso senza alcuna relazione so-ciale, al di là dei conflitti che la “norma-tiva dei generi” produce. Non esiste una“natura” dell’uomo o della donna sgan-ciata dai sistemi di relazione e dalle di-namiche di potere. È per questo che lalotta per la libertà d’espressione di cia-scuno va al di là del conflitto, che purec’è, tra uomo e donna. Disfare i generi,liberarsene sapendo che “uomo” e “don-na” sono categorie instabili, sempre incorso di elaborazione, quasi delle cate-gorie “politiche” per combattere le ine-guaglianze e liberare le differenze.

NOTE1. Judith Butler insegna alla University of Ca-lifornia a Berkeley ed è Hannah Arendt Profes-sor of Philosophy presso la European GraduateSchool a Saas-Fee, in Svizzera.2. Le Monde Magazine, 18.3.2006.3. Tra i suoi libri ricordiamo: Subjects of Desire(1987), Gender Trouble (1990, traduzione ita-liana 2004, Scambi di genere, Sansoni), Bodiesthat Matter (1993, traduzione italiana 1995,Corpi che contano, Feltrinelli), The Psychic Lifeof Power (1997, traduzione italiana La vita psi-chica al potere, Meltemi, 2005), Excitable Spe-ech (1997), Antigone’s claim (2002, traduzio-ne italiana 2003, La rivendicazione di Antigo-ne, Bollati) e Critica della violenza etica (Fel-trinelli, 2006).

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Pedagogiadi generee consapevolezzadi séGIOVANNA ALBORGHETTI

Nella scuola elementare

italiana, in un’età che va,

considerando la riforma

Moratti, dai 5 ai 10 anni, i

bambini e le bambine

vengono percepiti,

considerati, educati, come

un’unità compatta, definita

con il maschile plurale, sia

che si tratti di alunni o di

bambini, di allievi o di

fanciulli, così come di figli.

Non ci sono differenze di

genere se non, qualche volta,

nell’odioso aggiungere a/e al

maschile consueto, quasi una

concessione

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portamenti a rischio, non esiste in Ita-lia, a tutt’oggi, una riflessione significa-tiva che approfondisca le differenze digenere, tanto meno nelle scuole dell’in-fanzia ed elementari. Anche nei contestieducativi più avanzati, con sperimenta-zioni innovative rispetto all’handicap,all’inserimento dei minori stranieri, alledidattiche alternative, la pedagogia digenere è praticamente inesistente e noncompare quasi mai né nei progetti, nénei famigerati POF.Nella scuola dell’infanzia, la presenza diinsegnanti maschi è dell’1%, sale all’8%nell’elementare e al 15% nella media in-feriore; aumenta moltissimo nella secon-daria e diventa preponderante all’univer-sità: come a dire che dove si studia dav-vero, le donne non servono più. È un’ideapericolosa che la dice lunga sull’educa-zione in età evolutiva intesa come ma-ternage.

Bambini o angeli?

Eppure, l’identità non inizia a costruirsia 15 anni, la coscienza della propria ses-sualità nemmeno.Questi dati ci dicono anche altre cose,per esempio, sempre considerando l’ideache, fino a una certa età, l’educazionepuò essere affidata alle insegnanti e allemamme, torna fuori anche e prepotente-mente il pensiero dei bambini e dellebambine come esseri asessuati, senzasessualità e, quindi, privi di genere. Ilfanciullo angelo, insomma. La mancanzadi riflessione su questi temi confonde ipiani di senso, mischia i significati, ge-nera messaggi inconsapevoli che produ-cono, quindi, dinamiche che nessunoprende in carico, né la scuola, né la fa-miglia. Appare scontato che esistano,naturalmente, giochi da maschio e da fem-mina, che le femmine siano più portateper i lavori domestici, che i maschi sianopiù portati per quelli manuali, intenden-do assemblaggi, aggiustamenti vari ecostruzioni, non certo uncinetto, cucinae cucito…Su questi temi, nella scuola, soprattuttoquella dei più piccoli, sparisce la diffe-renza fra natura e cultura e ogni compor-tamento diverso viene considerato peri-colosamente deviante.Ciò che non accade nella scuola elemen-tare, le cose ignorate, quelle non viste,non contestualizzate, non affrontate, tut-to ciò che accade e continua ad accaderenel silenzio, produce comportamenti inadolescenza e nell’età adulta, generamalintesi e sottintesi che condizionanodinamiche relazionali, convincimenti,orientamento del pensiero. Sono moltis-sime le ragazzine che sostengono: «A mela politica non interessa». A 18 anni,voteranno, eserciteranno un diritto di

tutti, faticosamente e abbastanza recen-temente conquistato dalle donne, ma lapolitica non le interessa. La finanza el’economia ancor meno. Le bambine, chesono più brave a scuola, studiano di più,si iscrivono in numero maggiore all’uni-versità, diserteranno le facoltà scientifi-che, perché si sa che l’ingegneria, la fisi-ca, l’astronomia sono cose da maschi.

Occasioni perdute

La scuola elementare è il luogo, più dialtri ordini di scuola, delle occasioni per-dute. Occasioni di capire, di conoscere,di esprimere se stessi, se stesse e la pro-pria intelligenza. Occasioni di consape-volezza di sé nel mondo per poter sce-gliere davvero, senza escludere in parten-za o nemmeno considerare percorsi o te-matiche pregiudizialmente assegnate auno dei due sessi.Ancora oggi, in moltissime scuole elemen-tari non viene affrontata l’educazione

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

sessuale che diviene argomento di studioin terza media. Di studio, non di rifles-sione su se stessi, su se stesse, perché,spessissimo, l’educazione sessuale propo-sta a scuola si riduce a una serie di infor-mazioni tese a spiegare la riproduzione.Non si parla di differenze se non biologi-che, non si parla di omosessualità, dicontraccezione, di emozioni, di matrimonicivili, di convivenze, di famiglie ricosti-tuite, di diritti, di PACS. La differenza digenere, ovviamente, non compare nellastragrande maggioranza dei percorsi diorientamento alla scelta delle superioriche iniziano in seconda media, condotti,spesso, da esperti che, anche loro, svico-lano beati da un tema così spinoso.Voglio dire che la pedagogia di genere acui faccio riferimento non è la didatticadi genere, non bisogna differenziare leattività costruendone di apposite per ibambini e le bambine; ciò che manca,ciò che non avviene è una riflessione checonduca alla consapevolezza della diffe-renza. Tutto si gioca nella relazione, nel-la possibilità di dire, di dare nomi allecose, alle emozioni, agli accadimenti. Neldare ai bambini, maschi e femmine, lapossibilità di riconoscersi e di riconosce-re ciò che appartiene a loro stessi comeunicità, progettualità e valore.

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Inventarsi altrimentiBERNARD BACHEROT*

Nel profondo della nostra memoria c’è un paese

nell’alba azzurra di questo paese, si vedono…si vedono uomini brandire lance,bastoni e spade, si vedono macchine da guerrae bandiere sventolare

nell’arrossato mattino si vedono…si vedono donne ricurve sulle loro ceste,sui panni da lavare, i mortai ed il loro dolore

nel profondo della nostra memorial’uomo è occupato dagli affari, la donna al focolare

l’uomo tiene i piedi ben piantati per terra e la donna sogna chimere

e quando muoiono i desideri restano le buone manieree ciascuno resta al suo posto, nella sua casella…Andare via, ragazza mia, andarseneproprio come un ragazzo…già, ma tu non ci pensi! Andiamo, voliamo viaed anche tu, ragazzo mio, siamo pronti, lasciamo perdere

il vecchio ritornello: questo lo puoi fare, questo invece no…tu sei così e tu sei cosà…«ma come puoi pensare che un ragazzo…»«ma sei solo una ragazza…»

noi non guardiamo più, soltanto rivediamo nella memoriagesti ripetuti, movimenti senza più sensosenza domandarci più nienteparole rimestate e senza riflessosolo copie conformate e sfigurate per nulla smascherate,ancor meno denudate

nella memoria o, se volete, nei semplici sognidobbiamo guardarecercare nel profondodelle memorie che verranno

polvere negli occhi, intrecci indifferentigrisaglia uniforme per nascondere le nostre paureda dove infine potrà crescere il nostro desiderio d’esserenon più un’etichetta, il marchio d’una fabbrica

ci avevamo da sempre creduto: l’uomo qui e la donna là…scambiar le parti è troppo semplice ed allora almeno guardiamoil movimento di ciascuno, di ciascuna che può cambiaree le certezze infine spazzare

come essere uomo? come essere donna?solitudine desiderata, scelta stando l’uno accanto all’altrapenombra della memoria, ora esitantedomani, come…

non so se lo soche cosa io, che cosa tu, cosa noi siamo…per vedere, dobbiamo guardareoltre il muro del ricordo

dobbiamo intrecciare gli sguardi, attoniti…meravigliarsiinventarsi stupitisorprendersi, restare a bocca aperta, roba da non credercicon la prora della nave nella tempestaaccogliere la novità, tremandoaccettare e festeggiare l’inatteso, abbagliarsima chi ci avrebbe mai creduto, il tuo sguardo sorpresodi chi non se lo immaginava, di chi non ci pensavaè questo meraviglioso riflesso di sé che ci mancae non ci si dove stupire se non facile

raccontare la memoria che è stata e dire l’oggiper poi stanare il domani dai suoi nascondiglie raccoglierlo tra le mani e, se serve,semplicemente saper dire no,contraddire quel che non si dicea forza d’essere ripetutocome l’idea d’essere stati fattiper stare al proprio posto, punto e basta

inventare uno slancioresistere per creare, creare per resisteree far ridere anche la vitache tanto ha da dirci

inventarsi altrimentidobbiamoper poterci ritrovare noi stessi, diversi.

* Questo testo (traduzione di Stefano Vitale) apre il CD-Rom di sintesidel Progetto “A quoi joues-tu?”.

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Ricerca-azione e convegnoLa ricerca-azione “E tu, a cosa giochi?” ha concluso il suo percorso presentando alParlamento Europeo di Strasburgo (16 e 17 marzo 2006) i risultati in un convegnoal quale hanno partecipato, tra gli altri: Luisa Morgantini (presidente dellaCommissione Cooperazione e Sviluppo del Parlamento Europeo); Karine Hernotte-Fosber (presidente delle Ong del Parlamento Europeo “Eguaglianza e Parità);Rebecca Rogers (Università Marc Bloch di Strasburgo); Elianne Deproost (presidenteFicemea, Bruxelles). In questa sede è stata anche presentata una “scatolapedagogica” che raccoglie alcune delle produzioni realizzate: un CD-Rom (conschede di attività per la formazione, bibliografie, sitografie, documenti teorici,ecc.), dei libri, un video (realizzato in un centro di vacanza per la prima infanzia),un gioco da tavolo (Égal pursuite), un Dvd con le schede e brani di film sul temadella costruzione dell’identità.La “scatola” può essere richiesta gratuitamente, sino ad esaurimento delle copie,alla Ficemea, 24 rue Marc Sèguin, 75883 Parigi.

Sensibilizzare le famiglieIl tema degli stereotipi sessuali non può essere affrontato senza coinvolgere lefamiglie in un processo progressivo di sensibilizzazione. Sul sito di école unarticolo di Paola Amasio educatrice della ludoteca “La Filastrocca” dei CemeaTorino, affronta la delicata questione e propone alcuni esempi su come è possibileaccompagnare con cura e discrezione i genitori a mettere in discussione le proprieconvinzioni che trovano una radice profonda in processi mentali e culturali spessonon consapevoli ed animati da una “visione naturale” delle cose.

GlossarioSul sito di école trovate un glossario per orientarsi e per decostruire gli stereotipidi genere, a cura di Jean Luc Bastos (Égalitere, Toulouse) e Christel Ledun(Economie Plurielle, Rouen).

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padre e fratello che lo vorrebbero avviarealla boxe, prende lezioni private da Mrs.Wilkinson. L’insegnante, sicura del suotalento, ostinatamente lo incoraggia, glidà lezioni gratuite, e riesce a convincereil padre a permettergli di partecipare alleselezioni della Royal Ballet School di Lon-dra. Billy viene ammesso, proprio quan-do lo sciopero dei minatori fallisce, e siavvia sulla strada del suo riscatto. Passa-no gli anni: Billy è un celebre ballerinoche si esibisce nel Lago dei cigni al Co-vent Garden, sotto gli sguardi commossie orgogliosi del padre, del fratello e diMichael, l’amico gay.

LA MIA VITA IN ROSAdi Alain Berliner (1997)Ludovic è un bambino di sette anni chesi sente bambina. Presi dai problemi quo-tidiani e dagli altri tre figli, i genitorinon danno peso alla cosa, giudicandolaun capriccio infantile. Ludovic ama iden-tificarsi con la magica Pam, eroina di unserial televisivo, e alla festa organizzatadai genitori si fa vedere con abiti femmi-nili. Cominciano così le preoccupazioni el’incertezza sulle cose da fare. Le sedutecon una psicanalista producono effettimolto relativi. I genitori sono tesi, ner-vosi e in contrasto tra loro sui comporta-menti da tenere. Quando il padre vienelicenziato, la famiglia si trasferisce a Cler-mont-Ferrand. Qui Ludovic conosce Chri-stine, una bambina che si mostra inte-

ressata a lui. Durante una festa in ma-schera si scambiano i vestiti, la madre livede e prende a schiaffi Ludovic. Rifu-giatosi nel mondo di Pam, il piccolo fini-sce per riconciliarsi con la madre.

LA STANZA DI CLOEdi Rolf de Heer(titolo originale: The Quiet Room, 1996)Cloe, una bambina di sette anni, vive nelmutismo più assoluto per protestare con-tro il deterioramento dei rapporti tra isuoi genitori. Benché la sua intelligenzasia pronta e riflessiva, la bambina evitadi dialogare con il padre e la madre, iquali, nonostante i forti segnali inviatiloro, proprio non riescono a comprende-re le ragioni di questa scelta. Cloe si tro-va a suo agio solo nella tranquillità dellasua stanzetta dipinta di azzurro, mentrein casa, sempre più spesso, i genitori li-tigano violentemente. La bambina, chesogna una fuga nella vita di campagna,attraverso i suoi disegni segnala il fermodesiderio di un’esistenza condotta tran-quillamente con i genitori pacificati. Igenitori, però, decidono di separarsi. Lascomparsa di Cloe, nascosta dentro unarmadio, e il suo successivo ritrovamen-to fanno sì che i genitori discutano at-tentamente della questione, ma per labambina, che ha ripreso a parlare, la ri-conciliazione si dimostra soltanto un’il-lusione: il padre lascia la casa e Cloe ècostretta ad abbandonare la sua stanza.

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

Costruirel’identità, liberarele diversitàA CURA DI STEFANO VITALE E PAOLO ROSSI

Il cinema è un potente veicolo di ste-reotipi, ma anche di “visioni alternative”che possono aiutare a far riflettere, a di-scutere coi ragazzi a scuola, ma anchetra insegnanti, educatori. Il percorso chevi proponiamo è stato messo a punto nelquadro del progetto “A quois joues-tu”.Un dvd con dei trailers dei film è statoconfezionato appositamente per fornireun supporto didattico accompagnato daschede dettagliate e da suggestioni perl’approfondimento. Un invito alla visio-ne.

BILLY ELLIOTdi Stephen Daldry (2000)Durham Coalfield, Inghilterra settentrio-nale, 1984, durante il grande sciopero deiminatori contro le misure del governoThatcher. Billy Elliot, ragazzino di undicianni, vive con il padre e il fratello, mina-tori, e la nonna. Scopre la passione perla danza classica e, contro la volontà di

BILLY ELLIOT

BILLY ELLIOT

BILLY ELLIOT

LA STANZA DI CLOE

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LA FRATTURA DEL MIOCARDIOdi Jacques Fansten (1991)Nella provincia francese, il dodicenneMartin perde improvvisamente la madre.Per non finire in orfanotrofio, poiché nonha mai conosciuto suo padre e non haparenti, è necessaria la collaborazione deicompagni di scuola, che giurano di nondir nulla agli adulti. Insieme la seppelli-scono di notte, poi gli amici decidono diaiutarlo e si installano a casa sua: chicucina, chi rammenda i pantaloni, chi fala spesa, chi imita la firma della madreper le comunicazioni della scuola. Nasceun tenero affetto tra Martin e Marianne etra Claire e Antoine. Tutto sembra fun-zionare, ma Martin cade dalle scale e vain ospedale. La burocrazia per l’assisten-za costringe Claire a svelare tutto allamadre. Viene allertata la polizia, che scovail nascondiglio di Martin, ormai consciodi non poter fuggire per sempre. Gli ami-ci vanno a trovarlo in orfanotrofio, doveMartin confida che non vede l’ora di di-ventare maggiorenne.

TOTO LE HEROSun eroe di fine millennio, di Jaco VanDormael (1991)Nel lussuoso salone del magnate AlfredKant, la polizia trova il cadavere di Tho-mas Van Hasebroeck, suo amico-nemicod’infanzia, che ha sempre pensato di es-ser stato scambiato con lui in culla al-l’ospedale. Thomas, bambino, ha un fra-

TEMA A SCUOLA CON I CORPI

tello down in istituto, Celestino, e la so-rella Alice, che adora in modo quasi ince-stuoso: quando inizia a frequentare il suonemico, va in crisi. Alice gli promette dibruciare la casa dei Kant, considerati col-pevoli della morte del padre, ma periscenelle fiamme. Thomas cresce, vivendo unasquallida routine da contabile, finché nonincontra Evelyne, che gli ricorda Alice. Trai due nasce una relazione, anche se lei ègià sposata. Decidono di scappare insie-me, ma Evelyne tarda all’appuntamento.Thomas va a cercarla a casa e scopre cheè sposata con Kant. Anziano, evade dal-l’ospizio, deciso a uccidere l’odiato riva-le. Scopre che ci sono già due sicari chelo attendono: per vivere almeno una vol-ta come Kant, si fa uccidere al suo posto.

RICOMINCIA DA OGGIdi Bertrand Tavernier (titolo originale Çacommence d’aujourd’hui, 1999)Harnaig, piccola cittadina nel Nordestdella Francia. Daniel è il direttore di unascuola materna situata in una delle zonepiù povere del paese, in crisi economicadopo la chiusura di molte miniere. La vitaprofessionale del maestro si scontra quo-tidianamente con situazioni di disagiofamiliare, emarginazione e analfabeti-smo, e spesso anche i servizi sociali, perinsensibilità o incapacità di risolvere lesituazioni critiche, gli si mettono con-tro. Daniel prova, invano, a migliorarele condizioni di vita della signora Henry,

madre alcolizzata di due bambini, disoc-cupata, con un compagno che non le dàda vivere, costretta a stare in una casasenza riscaldamento e luce; oppure delpiccolo Jimmy, che arriva spesso a scuo-la con i segni delle violenze subite infamiglia. Solo i bambini e le bambinedanno al maestro la forza di continuarenella sua opera, grazie alla loro gioia,alla voglia di giocare o di colorare ilmondo. La realtà, tuttavia, appare di-sinteressata a ogni serenità fanciullesca:la signora Henry si suicida con i due fi-gli e a Daniel sembra cadere il mondoaddosso.

ESSERE E AVEREdi Nicolas Philibert (2002)Per realizzare questo film il regista fran-cese ha trascorso un intero anno scola-stico con una piccola troupe al seguitoin un villaggio dell’Auvergne, nel Mas-siccio Centrale, nel cuore della Francia,a stretto contatto con i tredici compo-nenti della classe unica del maestro Ge-orges Lopez, figlio di un emigrante spa-gnolo, ormai giunto ai limiti della pen-sione, da vent’anni consecutivi nella stes-sa scuola, catturando le vicendevoli emo-zioni dell’insegnamento e dell’apprendi-mento. Lo squarcio di anno scolastico fi-nito su pellicola va dai primi freddi del-l’inverno fino alle vacanze estive, con ilmaestro che saluta tre dei suoi allievi chepasseranno alle scuole medie.

ESSERE E AVERE

ESSERE E AVERE

RICOMINCIA DA OGGI

TOTO LE HEROS

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educazione società

In occasione del convengo nazionaledella SIEM (Società Italiana per l’Educa-zione Musicale) tenutosi a Rimini nel mar-zo 2004 e dedicato al tema “Musica + Li-ceo = Liceo Musicale?”, ho proposto i ri-sultati di un’intervista realizzata con ot-tanta ragazze e ragazzi lombardi e sicilia-ni, di età compresa tra i quattordici e idiciannove anni, che studiano in Conser-vatorio e in una scuola superiore preva-lentemente di carattere liceale. Si trattadi studenti “costretti” alla doppia frequenzascolastica per accedere ad un insegnamentorigoroso di carattere strumentale e, con-temporaneamente, per acquisire competen-ze culturali di carattere generale.

Sconcerto

L’intervista ha focalizzato il tema del tem-po della scuola e del tempo per la scuola.I dati sono sintetizzati nella tabella 1.Ne emerge un carico orario settimanaledi frequenza e di studio davvero eccessi-vo: l’aspetto cognitivo risulta “invasivo”rispetto ai tempi esistenziali di un ado-lescente. Lo sconcerto aumenta se si con-sidera la dislocazione territoriale dei Con-servatori e degli Istituti musicali pareg-giati – oggi entrambi inglobati nell’AltaFormazione Musicale e di fatto equipol-lenti – quale emerge da un rapporto Cen-sis del dicembre 2003 (tabella 2).

La distribuzione, molto disomogenea,penalizza l’Italia nord-occidentale e cen-trale. A titolo esemplificativo: gli studentidi Varese, Lecco e Sondrio, città lombar-de che non hanno istituti di Alta Forma-zione, devono aggiungere alle settanta-tre ore medie di impegno scolastico set-timanale il tempo destinato ad un pen-

dolarismo gravoso per raggiungere il Con-servatorio di Milano o di Como.L’analisi di questi dati giustifica l’attiva-zione del Liceo Musicale come soluzionerazionale ad un’anomalia unica nel pano-rama scolastico italiano, ossia l’oneredella doppia frequenza scolastica, nelsegmento liceale, per conseguire un’istru-zione soddisfacente di carattere cultura-le e pre-professionale. Non risultano di-sponibili informazioni statistiche speci-fiche inerenti l’abbandono degli studi daparte di adolescenti che rinunciano allaformazione musicale o liceale. La miaesperienza insegna che il tasso di disper-sione è piuttosto elevato; parlando constudenti che scelgono di abbandonare ilConservatorio o la scuola secondaria, laragione principale addotta è la “fatica“di un percorso formativo raddoppiato,

“fatica” che vanifica motivazioni e talentie conduce ad optare tra musica e cultura.

Il “Progetto Mozart”

Non sorprende dunque che, nelle ultimedue legislature, i ministri dell’istruzionedel centro-sinistra e del centro-destraabbiano previsto la creazione del LiceoMusicale nel quadro di riforma della scuolasecondaria superiore. E tuttavia i proget-ti elaborati sotto il dicastero di GiovanniBerlinguer e di Letizia Moratti sono mol-to diversi. Tralascio di esaminare questio-ni relative a orari e curricoli sofferman-domi esclusivamente sul modello forma-tivo generale.Nel 1998 il ministro Berlinguer autorizzòalcuni Licei Artistici e Istituti d’arte (a

Il liceo musicaleCLAUDIA GALLI *

Nel panorama scolastico italiano l’assenza di una opportunità liceale declinata verso la

formazione musicale si configura come una carenza grave. Non sorprende dunque che, nelle

ultime due legislature, i ministri dell’istruzione del centro-sinistra e del centro-destra abbiano

previsto la creazione del Liceo Musicale nel quadro di riforma della scuola secondaria superiore.

E tuttavia i progetti elaborati sotto i dicasteri di Giovanni Berlinguer e di Letizia Moratti sono

molto diversi. Lo stato delle cose e le prospettive

Tabella 1 - Impegno settimanale orario

Media (ore) Giornate impegnateFrequenza scuola secondaria 30 5-6Studio individuale scuola secondaria 15Frequenza conservatorio 8 3-4-5Studio individuale conservatorio(strumento + materie complementari) 20Totale ore 73

Tabella 2 - Distribuzione degli istituti dell’Alta Formazione Musicale per tipologia di istitu-to e ripartizione geografica

Nord-Est Nord-Ovest Centro Sud TotaleConservatori 20 8 7 22 57Istituti musicali pareggiati 6 4 5 6 21Totale Alta Formazione Musicale 26 12 12 28 78

Distribuzione percentualeConservatori 35,1 14,0 12,3 38,6 100,0Istituti musicali pareggiati 28,6 19,0 23,8 28,6 100,0Totale Alta Formazione Musicale 33,3 15,4 15,4 35,9 100,0

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Cuneo, Brindisi e Tempio Pausania, suc-cessivamente anche a Parma e Lucca) adattivare indirizzi sperimentali di LiceoMusicale secondo il cosiddetto “ProgettoMozart”. L’intenzione era quella di verifi-care l’esperienza per estenderla, se posi-tiva, a livello nazionale. Il “Progetto Mo-zart”, che continua ad essere attuato nellesedi citate, prevede che le materie cultu-rali e quelle di indirizzo (per un totale ditrentaquattro o trentacinque ore settima-nali, a seconda dell’anno) siano affidatead una équipe di docenti liceali per favori-re la coesione e la coerenza del progettoformativo globale. L’apparente ovvietà diquesta scelta, attuata in tutti i contestiliceali, si rivela davvero innovativa nel set-tore specifico dell’istruzione musicale. IlMaestro Unico che, in Conservatorio, con-duce l’allievo attraverso tutto l’iter dell’ap-prendimento – potremmo dire dalla ma-terna al master – viene finalmente messoin discussione. Le competenze psico-pe-dagogiche, metodologiche, comunicative,relazionali che si imparano e si agiscono,da parte dell’insegnante, a seconda dellafascia d’età dello studente, “riguardano”finalmente anche i “didatti professionisti”delle discipline musicali. Inoltre il “Pro-getto Mozart” sollecita l’integrazione deidiversi saperi grazie alla opportunità di unoscambio reale e continuo tra docenti. Ilsegmento liceale deve (o dovrebbe) met-tere a confronto i modelli molteplici di rap-presentazione del mondo che le materieformalizzano per coglierne analogie e dif-ferenze, specificità e intrecci. In partico-lare il discorso musicale, per la sua naturadi metafora sonora del tempo oggettivo esoggettivo, di traduzione fonica di con-cetti ed emozioni, esige una pluralità dicompetenze (matematico-scientifiche, sto-rico-stilistiche, linguistico-semiologiche,psico-motorie ecc.) che la sola formazionetecnica di carattere operativo, tradizional-mente impartita dal Conservatorio e limi-tata spesso al solo know how,, non è ingrado di soddisfare.

Le due culture

Anche il modello di Liceo Musicale predi-sposto da Letizia Moratti prevede il su-peramento della “doppia frequenza”; etuttavia l’ipotesi organizzativa fa riferi-mento ad esperienze sperimentali attua-te nel passato e, in pochi casi, nel pre-sente da alcuni Conservatori attraversola modalità del “liceo annesso”. La for-mazione culturale è affidata a professoridi liceo mentre l’istruzione musicale è de-legata a docenti di Conservatorio. In pra-tica lo studente è inserito in un contestoeducativo “tradizionale” di carattere li-ceale per le materie di carattere generalee frequenta le discipline musicali con in-segnanti di Conservatorio. Il governo di

centro-destra, precisando che il Liceo Mu-sicale, almeno in prima applicazione, puòessere attivato solo tramite convenzionicon l’Alta Formazione Musicale, sanciscedi fatto la separazione tra la sfera del-l’educazione generale e la specificità del-l’indirizzo. Va ricordato che i docenti diConservatorio hanno uno stato giuridicosimile a quello universitario: monte-oreannuale di lezione inferiore di almeno unterzo rispetto all’insegnante di scuola se-condaria superiore, godimento di permessiartistico-professionali retribuiti (un meseall’anno), nessun dovere di partecipazio-ne ad organi collegiali affini a quelli at-tuati nel liceo ecc. La progettazione col-legiale – che si realizza anche attraversorelazioni interpersonali e presenze con-crete dei docenti negli spazi educativi –confligge inevitabilmente con diritti edoveri contrattuali differenti. La dicoto-mia tra cultura da un lato e musica dal-l’altro viene purtroppo ribadita: si trattadi “territori” paralleli e separati non de-stinati a contaminarsi.

Un appello per l’insegnamentodella musicaConsiderato che la musica è anche una componente essenziale e fondamentaledella formazione di tutti i cittadini,rilevato che i vari tentativi di riforma degli ordinamenti scolastici fin qui attuatinon sempre hanno risposto a tale considerazione.riteniamo urgente che il governo e il parlamento italiano predispongano gli attinormativi e finanziari al fine di:1) garantire a tutti i bambini e le bambine della scuola elementare una educazionemusicale centrata sulla pratica corale e strumentale, oltre che sulla conoscenzadegli elementi di base del linguaggio musicale, col contributo di personale quali-ficato ed esperto nel settore;2) assicurare la possibilità, per chi lo desidera, di iniziare lo studio di uno stru-mento musicale fin dal ciclo primario;3) consolidare l’indirizzo musicale nella scuola secondaria di I grado, assicurandol’attivazione di un numero adeguato di corsi in ogni provincia, sulla base dellerichieste avanzate dai vari istituti;4) rafforzare la presenza della musica nel curricolo generale delle scuole seconda-rie di II grado;5) rendere operativa l’istituzione dei licei musicali con l’assunzione di personalespecificamente preparato e predisponendo, con opportuni finanziamenti, sedi ade-guate e attrezzature idonee;6) emanare con urgenza tutti i decreti attuativi della legge 508/99 relativi allatrasformazione dei Conservatori di musica in Istituti Superiori per gli Studi Musi-cali, individuando anche le risorse finanziarie adeguate per l’attuazione della ri-forma;7) attivare i nuovi percorsi formativi per l’accesso alle classi di concorso relativeagli insegnamenti di musica nelle scuole secondarie, con specifico riferimento alleclassi A31, A32, A77 e a nuove classi di concorso per i diversi insegnamenti nellicei musicali;8) garantire i diritti acquisiti di chi da anni svolge l’insegnamento della musicanei vari ordini scolastici;9) equiparare, per l’accesso ai pubblici concorsi, il diploma di conservatorio con-seguito in base agli ordinamenti previgenti la legge 508, alle lauree di II livello,in analogia a quanto già avvenuto per i titoli universitari;10) sostenere tutte le iniziative atte a creare un circolo virtuoso tra struttureformative e istituzioni di produzione e di diffusione della cultura e della praticamusicale.

L’appello, promosso dal Centro Studi musicali e sociali ‘Maurizio Di Benedetto’(CSMDB) di Lecco – Comitato scientifico: Maurizio Disoteo, insegnante e musico-logo, Scuola Europea Bruxelles III; Rosi Granata, formatrice e docente Lecco;Mario Piatti, Docente del Conservatorio di musica della Spezia; Maurizio Spacca-zocchi, Docente del Conservatorio di Pesaro e Università di Urbino; Enrico Strobi-no, Docente scuola secondaria I grado (Biella); Maurizio Vitali, Docente scuolasecondaria I grado Brivio (LC), Responsabile scientifico del CRT Musica del CSA diLecco – si può sottoscrivere inviando la propria adesione (nome e cognome,qualifica e un riferimento geografico) a: [email protected]. Leadesioni verranno pubblicate su www.musicheria.net, con aggiornamento setti-manale. L’appello, con tutte le firme pervenute, verrà consegnato al Governo e alParlamento.

Il tentativo della Moratti di anticipare alprossimo anno scolastico l’avvio della ri-forma della secondaria superiore è falli-to. Per quanto riguarda il Liceo Musicalela speranza è che il prossimo ministro del-l’istruzione sappia comprendere l’urgen-za di “normalizzazione” che l’insegnamen-to e l’apprendimento musicale richiedo-no. Il docente di latino e greco del LiceoClassico non è un professore universita-rio. L’insegnante di storia dell’arte delLiceo Artistico non è “preso in prestito”dall’Accademia. I risultati positivi conse-guiti dalle SMIM (Scuole Medie ad Indi-rizzo Musicale) dimostrano che professio-nalità di valore nel campo della forma-zione strumentale e musicale lavorano ematurano anche fuori dalle mura conser-vatoriali.

* Insegnante di Storia della musica e dell’este-tica musicale al Conservatorio di Palermo, faparte della Commissione nazionale Licei Musi-cali della SIEM (Società Italiana per l’Educa-zione Musicale).

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LE SOCIETÀ DELL’AVVENIRE

Margaret Mead soste-neva che le donne sono me-glio attrezzate dei maschi adaffrontare le tensioni e pro-blemi della ricerca sul campoe che le donne di una certaetà sono ancor più avvantag-giate delle più giovani poi-ché di solito suscitano menodiffidenza e ostilità nella po-polazione locale e, in quantostraniere e venerabili, riesco-no anche a farsi raccontaredai maschi aspetti della vitaquotidiana dalle quali le don-ne locali sono escluseı.In effetti da quando l’osser-vazione partecipante e il re-soconto etnografico sono di-ventati i modi paradigmaticidella conoscenza antropolo-gica, le donne sono statesempre piuttosto numerose,certamente più attratte dallaantropologia che non dallasociologia (alcune antropolo-ghe erano già famose neglianni ’30 - ’40 del secolo scor-so: Ruth Benedict, MargaretMead, Hortense Powdermaker,Cora du Bois). Una prima dif-ferenza fra i loro testi e quel-li dei colleghi maschi è chetendenzialmente si rivolgonoa un pubblico più vasto diquello accademico sia perchésono delle antesignane di unapproccio riflessivo, di antro-pologia come critica cultura-le, sia perché ritengono scien-tificamente ed eticamentediscutibile sia gli atteggia-menti che il gergo scientistadominante. A titolo esempli-ficativo si può portare il con-trasto fra l’atteggiamento neiriguardi dei nativi da parte diMalinowski e quello di RuthBenedict. Testimonianza diReo Fortune, allievo di Mali-nowski: «Spiegava ai suoi in-timi che una volta sul campoper ottenere i materiali dagliinformatori reticenti, biso-gnava “afferrarli per il collo”in modo che non potesseroandarsene finché non avesse-ro detto quel che dovevanodire [...]»2.Riporto una testimonianza diMargaret Mead, allieva diRuth Benedict: «In passato siriteneva che i sentimenti e lestorie di vita dei soggetti suiquali scrivevamo fossero deltutto irrilevanti. […] Seppel-liti in riviste specialistiche,imbalsamati in un gergo tec-

nico , i nostri resoconti , alpari di segreti religiosi, veni-vano coscienziosamente mes-si al riparo da menti e occhiindiscreti. Ma questa situazio-ne sta cambiando […]».Eranostro compito (sostenevaRuth Benedict) assumere cheogni descrizione di una cul-tura i cui membri vengonoidentificati come tali otten-ga il loro consenso e non ap-paia oltraggiosa né a loro néalla sensibilità di lettori ap-partenenti ad altre culture»3.

Il romanzo antropologico

Le donne, in modo più accen-tuato dei colleghi maschi,sottolineano la straordinarie-tà anche emozionale dellaesperienza di osservazionepartecipante e uno dei moti-vi per cui pongono resisten-za al gergo accademico è per-ché questo impedisce di ren-dere conto di questa dimen-sione della ricerca. Mi limito,nello spazio che ho a dispo-sizione, a una testimonianzaemblematica. Nel 1954 l’an-tropologa Laura Bohannandecide di pubblicare il reso-conto della sua pluriennale

blica una fortunata rassegnadi scritti sulla esperienza sulcampo raccontata dalle don-ne, con questa introduzione:«Quando al primo anno dellalaurea specialistica, ho lettoReturn to Laughter di ElenoreSmith Bowen (1954), vi horiconosciuto qualcosa di cuiavevo avvertito la mancanzanella gran parte dei lavoriantropologici. Scritto nellaforma di romanzo antropolo-gico questo testo descrive inmodo vivido e coinvolgentel’esperienza di incontro-scon-tro e adattamento alla vita diun villaggio africano, narra leprime reazioni ed emozioni ele successive rielaborazionidelle stesse; è il testo chequando più tardi ho intrapre-so la mia prima esperienza sulcampo mi ha dato il coraggiodi proseguire e fiducia in mestessa e anche quello al qua-le mi sono ispirata nel pro-gettare la presente opera».6

NOTE1. Margaret Mead, “Fieldwork inPacific Islands, 1925-1967”, inPeggy Golde (edited by), Womenin the Field, Berkeley, Universityof California Press, 1986, pp. 324-329.2. David Lipset, Gregory Bateson:the Legacy of a Scientist, NewYork, Prentice-Hall, 1980, p. 123.3. Margaret Mead, An Anthropo-logist at work. Writings of RuthBenedict, Boston, Houghton Mif-flin, 1959, p. XX.4. Elenor Smith Bowen: Return toLaughter, New York, DoubledayAnchor Book, 1961 (prima ed.1954).5. Idem, p. X.6. Peggy Golde, op. cit., p. 1.

Donne antropologheMARIANELLA SCLAVI *

Da quando l’osservazione partecipante e il

resoconto etnografico sono diventati i modi

paradigmatici della conoscenza antropologica,

le donne sono state sempre piuttosto

numerose, certamente più attratte dalla

antropologia che non dalla sociologia.

Marianella Sclavi ritorna alle origini

dell’antropologia culturale per ricordare il

modo in cui il sapere femminile dell’approccio

empatico e dell’ascolto attivo possano servire

meglio di quello accademico

alla costruzione di una possibile dimensione

futura della soggettività

(1949-1953) esperienza sulcampo, in un villaggio Tiv del-la Nigeria, sotto forma di “ro-manzo antropologico”. Si trat-ta di una decisione sofferta ecoraggiosa che corrispondecontemporaneamente alla de-cisione di firmarsi con unopseudonimo e alla rinuncia adusare questo testo per la car-riera accademica. Lo pseudo-nimo: Elenore Smith Bowen,il titolo: Return to laughter4

(che io tradurrei: “La riconqui-sta dell’allegria”). Particolareintrigante – questa decisioneviene appoggiata da due nomifra i più prestigiosi dell’epo-ca: Margaret Mead che pubbli-ca il libro in una collana dalei diretta e il sociologo Da-vid Riesman, che scrive una in-troduzione alla seconda edi-zione del 1961. Questo libro,scrive Riesman, «rivela i costiumani, le passioni, i passi fal-si, le fragilità e i momenti digaiezza, che si nascondonodietro i resoconti troppo spes-so antisettici degli scienziatisociali».5

Ed ecco il momento della ven-detta: nel 1970 e in secondaedizione ampliata nel 1986l’antropologa della StanfordUniversity, Peggy Golde, pub-

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27Ma cosa rende difficile la comunicazione di questi temi, per tanti versi digrande attualità?Forse la mancanza della spettacolarizzazione, del richiamo all’irrazionale, dellapersonalizzazione, dell’enfatizzazione mediatica. Se così fosse sarebbe ancora piùnecessario tenere duro: ma in che modi?Il 28 marzo il Comitato nazionale Scuola e Costituzione e il CRIDES (Centro roma-no d’iniziativa per la difesa dei diritti nella scuola) hanno organizzato un incon-tro su “Laicità oltre i ghetti culturali - dall’accoglienza delle diverse culture allaformazione critica delle nuove generazioni” che si è tenuto presso l’Aula Magnadel Liceo Mamiani di Roma.All’incontro, introdotto da Marcello Vigli del Comitato nazionale Scuola e Costitu-zione e concluso da Antonia Sani, del Crides, hanno partecipato con belle eappassionate relazioni Sergio Lariccia, ordinario di Diritto amministrativo pressol’Università La Sapienza di Roma e attento studioso delle tematiche inerenti allalaicità e ai rapporti fra lo Stato e la Chiesa Cattolica, e Clotilde Pontecorvo,ordinario di Psicologia dell’educazione, sempre presso l’Università La Sapienza diRoma.Sergio Lariccia ha iniziato con l’appello di Piero Calamandrei “Conserviamo lascuola democratica” e ha sviluppato il tema del rapporto fra laicità e democrazia,della laicità come strumento fondamentale per una società rispettosa degli indi-vidui e delle loro diverse identità.Clotilde Pontecorvo ha sviluppato una vivace relazione sul tema della laicità comepremessa per una educazione alla libertà di scelta e alla libertà in senso lato.Tutti e due i relatori hanno sottolineato come i diritti appartengano agli indivi-dui e non ai gruppi, e come la laicità non sia tolleranza fra diverse chiese, maesercizio della ragione e rispetto e riconoscimento dell’altro.Il dibattito, cui hanno partecipato Franca Long, in rappresentanza della TavolaValdese, Gigliola Corduas, presidente della Fnism, Barbara Accetta (Cidi), SandroMasini (Associazione Democratica Giuditta Tavani Arquati), Alberto Buttaglieri(SOS Razzismo) ha ripreso i temi delle relazioni e ne ha introdotto di nuovi(l’ipotesi di avviare un insegnamento “laico” di storia, o tematiche religiose an-che per favorire l’accoglienza e l’integrazione delle persone che portano culture ereligioni diverse; la questione dei simboli religiosi nelle scuole e nelle sedi pub-bliche ed istituzionali) e, con l’intervento di Donatella Artese, insegnante, haportato interessanti esperienze sul campo.

* Comitato nazionale Scuola e Costituzione.

Una Consulta laica

La “Consulta per la libertà dipensiero e la laicità delleistituzioni” del Comune di Roma ènata nel 2004 con un protocollod’intesa sottoscritto dalla consiglieraFranca Eckert Coen delegata delsindaco (Walter Veltroni) allePolitiche della Multietnicità e irappresentanti di associazioni laichecon sede a Roma. Precedentementeera stata istituita una Consulta dellereligioni che prendeva le mosse daun tavolo interreligioso al qualeavevano aderito alcune confessionireligiose presenti nella capitale, adeccezione della Chiesa cattolica (!).Alla “Consulta” parteciparono subitoin gran numero associazioni laiche,atee, agnostiche, che per la primavolta trovavano una sede diconfronto e di iniziativa per lavorareinsieme. L’impresa dimostrò tuttaviaalcune difficoltà a livello operativo.Associazioni gelose del proprio“livello di laicità”, orientate versodiversi settori di attività (scuola,diritti umani, laicità delleistituzioni, recupero della memoriastorica del Risorgimento…),ciascuna intenzionata a imporre leproprie priorità, non potevano nonincorrere in litigiosecontrapposizioni. Collaborare o nocon la Consulta delle religioni? E sesì, limitatamente a quali ambiti?Inoltre, l’essere la Consultaun’emanazione del Campidogliopresentava aspetti positivi enegativi insieme. Positivi, perché ilComune dà indubbiamente unsostegno (assai minimo, in verità)in termini di servizi, e perché laconsigliera delegata è in grado dipresentare subito in ConsiglioComunale le istanze emerse dalleriunioni; negativi perché la Consultaè nel suo insieme dipendentedall’iniziativa della sua presidente.L’impressione di alcune associazionipiù battagliere è che questoorganismo serva un po’ come fioreall’occhiello per il Comune facendoda contraltare alla “Consulta dellereligioni,” senza goderedell’autonomia – ad esempio – della“Consulta torinese,” la quale è deltutto esterna alle istituzioni equindi più libera di agire.Un risultato positivo la Consulta loha sicuramente raggiuntopromuovendo, a febbraio 2006 lapubblicazione di Le voci della laicità(vedi recensione a p. 47).

ANTONIA SANI

Laicità e formazioneANNAMARIA MASINI *

La laicità è non è tolleranza fra diverse chiese, ma esercizio

della ragione e rispetto e riconoscimento dell’altro. A 20 anni

dall’entrata in vigore del Nuovo Concordato e dell’Intesa

Falcucci-Poletti un incontro (Roma, 28 marzo 2006) per

verificare se e quanto la scuola italiana sia preparata a

confrontarsi con una società complessa e a fornire agli allievi

gli strumenti per la formazione di una coscienza critica, per

l’individuazione di valori condivisi e l’elaborazione di un

sistema comune di valori senza il quale il sistema formativo

rischia di trasformarsi in una palude di ghetti culturali

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«Non tema, questa prassi tera-peutica si fa sempre e tranquillamente»mentre dice, occhi negli occhi, ed unafalange si fa alito di vento sulla mano dichi ascolta. Felice è viceprimario in ungrande ospedale italiano ma non ha spoc-chia né il distacco di chi manovra il bi-sturi su interventi specialistici. Con pa-zienti e preoccupati familiari mette unarara umanità: spiega con calma e, se è ilcaso, sa sciogliere le ansie. Non un inse-gnante, quindi, eppure a suo modo unMaestro perché capace di far fare “click”all’anima.Viene in mente l’incontro di indici nellaSistina: Michelangelo aveva intuito chela creatività sta in una molecola di gesto(non importa se materiale o meno), op-portunità che pure l’intelligenza più bol-sa ha a disposizione. La grandezza di chisa far scattare l’attimo magico – educa-tore maximo in senso lato – sta nel capi-re, o nell’indurre a riconoscerlo, qual è ilmomento giusto per Te.

Paolo fa l’architetto ed ha cattedra uni-versitaria. Nella bibliografia di Urbanisti-ca, il suo esame, ha inserito la consape-volezza della cronaca generale «Perché siimpara sia tra le righe dei quotidiani siasui testi specifici; e comunque prima bi-sogna saper capire quel che succede nel-la realtà, dopo cominciare a pensare dicambiarla». Si duole che in una Facoltàprogettuale troppi studenti non tenganouna matita a portata di mano e non lasappiano usare («Come si fa a fissare leidee, ad elaborarle?», sbotta), e ama ci-tare il bell’aneddoto che riportiamo.

Il suo ultimo figlio era più sveglio deglialtri cinque e, piuttosto che mandarlo neicampi, un saggio padre dell’Antico e Lon-tano Oriente decise di affidarlo ad un Ma-estro di Gemme per insegnargli il mestie-re. Il ragazzo, così, ogni mattina andavadall’esperto che, regolarmente, gli met-teva una piccola giada in mano obbligan-

dolo a tenerla tutto il giorno tra le dita,e poi gli parlava di storia, economia, po-litica o cose meno scolastiche come iltempo, la salute, la musica popolare, iprezzi al mercato alimentare, le buonemaniere. Mai di pietre preziose, però,neppure per caso. Dopo due anni di que-sta vita, il discepolo non ce la fece piùed un bel giorno rivolse la parola al suoMaestro, contravvenendo alla consegnadell’ascolto silente. «Insomma – gli par-lò rispettoso ma deciso – la famiglia sisacrifica per farmi stare con Lei, eppurenon sto imparando nulla. Ora basta sen-tir discorsi su tutto fuorché sulle coseche servirebbero per lavorare. Me nevado». Quindi, improvviso, gli brillò unlampo negli occhi e, restituendo la solitagemma, salutò un poco risentito dicen-do: «Comunque questa giada è falsa!».

Pure Gabriele, regista teatrale, possiedeil “tocco” che fa accorgere chi lo segue –ad un certo punto – di esser diventatodiverso da un secondo all’altro. Durante isuoi corsi di aggiornamento a prof impe-gnati in assortiti progetti scolastici didrammatizzazione, i consigli tecnici arri-vano per caso e quasi controvoglia. No,non per snobismo: è capace di passareore prendendo spunto da un tema speci-fico (luci, scene, intonazioni etc.) svilup-pandolo nell’universo mondo della Cultu-ra. «Far regia significa, soprattutto, ri-spettare la nobile arte del Teatro, il qua-le è la Vita stessa in tutta la sua com-plessità», risponde a chi freme negli«Uffa, quando cominciamo?». Istruttoripiù che docenti, persone queste ultimecol terrore di attraversare il limite traindifferenza ottusa e piacere di sapere, icui alunni quindi non si scopriranno maimigliori dentro, almeno a scuola o permerito della scuola.

Accade infatti nella storia personale diognuno, prima o poi ed in varia misura(tanto che qualcuno neppure se ne ac-

corge), di sentirsi su un confine impor-tante, come sull’orlo di un “qualcosa” distraordinario, affascinante e profondo. Lavoglia di capire, di apprendere può esse-re come entrare in un buco nero? A dettadi chi questo passaggio l’ha riconosciu-to, pare di sì: più ne sai, di ciò che t’in-teressa, più vorresti saperne, e più vaiavanti più ti dài del cretino per tutto iltempo perso da ignorante (essere che nonsa). Tanto forte l’innata sete di conoscen-za come la voglia di stupirsi che, una voltascovata tra le pieghe cerebrali, coltivareil sapere fa provare un’ebbrezza che stor-disce. È la grandezza della mente umana:la via per il genio attraversa un punto-di-non-ritorno. L’orizzonte degli eventi,insomma, come felicemente StephenHawking battezzò il precipizio spaziotem-porale attorno alle stelle implose, da luiscoperte tutto comunicando con un solodito. Il fenomenale astrofisico è indub-biamente un altro Maestro in quanto colsuo esempio sofferto, esclusivamente for-za intellettuale, conduce chi lo conoscealla soglia del proprio Sé più misteriosoed appassionante. Eppure uno scolarocostretto all’immobilità progressiva finoal controllo residuo d’un unico polpastrel-lo, se capitasse nell’italica istruzione forsefaticherebbe ad avere l’insegnante di so-stegno o un ambiente civilmente adegua-to in classe…

Le premessedella relazioneeducativaIl 3 e 4 giugno 2006, si è tenuto a Roma ilseminario nazionale del Circolo Bateson.Nella due giornate è stato ripreso eapprofondito il tema “Le premesse dellarelazione educativa” già affrontato nelseminario del 21 e 22 gennaio.

Per informazioni e per chiedere le rlazioni:Carlo Bonotto, [email protected].

PodcastingIl podcasting è un sistema che permette discaricare via internet in modo automaticoepisodi audio e video tra i quali è possibileinserire immagini, testi, opuscoli impaginatiin pdf e link a pagine web per poterli poirivedere e ascoltare anche su ipod, lettorimp3 e cellulari. L’IIS “Bodoni” e la Paravia diTorino, con il patrocinio del Ministerodell’Istruzione della Ricerca - UfficioScolastico del Piemonte, in collaborazionecon Apple Solution Expert, Rekordata eMac@work hanno organizzato, venerdì 26maggio a Torino, un seminario e una tavolarotonda sul tema “La visione, il gesto el’ascolto nell’apprendimento” per discuteredelle valenze pedagogiche, didattiche ecomunicative del podcasting, uno ”strumen-to” di insegnamento e di apprendimento chesi affianca ad altri strumenti.Informazioni: http://web.mac.com/podcastinclasse/

L’orizzonte degli eventiMONICA ANDREUCCI

Il limite tra “indifferenza ottusa” e “piacere di sapere” può

essere varcato da chiunque, spesso inconsapevolmente e

perfino controvoglia. Merito di un tocco magico che pochi

hanno, talvolta neppure da insegnanti. È momento dopo il

quale nulla è più come prima

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L’esperienza si è basata sul mostra-re esempi di vari tipi di violenza che emer-gono dai comportamenti delle persone neicontesti più disparati. Il metodo è statocaratterizzato da un tipo di lezione par-ticolarmente interattiva: venivano intro-dotti alcuni concetti di fondo, oppure unasintesi del tema del corso e qualche obiet-tivo di apprendimento e poi si passavaquasi subito a mostrare un episodio diun film. Subito dopo si chiedeva ai par-tecipanti quali forme di violenza avesse-ro riscontrato ed in base alle risposte cheemergevano si coglieva l’occasione per il-lustrare alcune teorie psicopedagogicherelative al tema della violenza. Utile erariportare immediatamente la discussionesul piano dell’attualità, attraverso la let-tura di fatti di cronaca o di ricerche, sem-pre in ambito psicopedagogico, relativeal tema trattato. I partecipanti venivanoinvitati a proporre a loro volta sequenzedi pellicole per loro significative.

Violenza fuori di sé

Inizialmente abbiamo proposto due epi-sodi tratti dalla prima parte di Full MetalJacket di Kubrick. (1987, UK) Si intende-va mostrare l’addestramento alla violen-za, l’educare e l’educarsi a diventare “stru-menti di morte”, in nome di grandi idealio per il semplice essere in una situazionedove o si uccide o si viene uccisi. Qui sitrattava della guerra in Vietnam, ma su-bito i commenti dei formatori e dei par-tecipanti si sono riferiti alle guerre piùrecenti. La prima parte di Full metal jac-ket “estremizza” (o forse non più di tan-to) i lati più violenti dell’addestramentomilitare fino a svelarne gli effetti piùmacabri, ad esempio il suicidio di unadelle reclute, quello con evidenti proble-mi personali, che alla fine è tuttavia quel-lo più appassionato di armi: è lui che sisuicida, dopo aver ucciso il comandanteche lo apostrofa con insulti di stampo

“pseudopsicoanalitico” («mamma e papànon ti hanno voluto bene da piccolo?»).Tramite questi episodi si è cercato di in-trodurre il tema della violenza “fuori disé” che, se non elaborata, può portare aduna violenza dentro e contro di sé.

Arancia Meccanica sempre di Kubrick(1971, UK), ha suscitato anche un desi-derio di “vedere violenza”. (Uno dei ri-schi da tenere presenti in questo tipo dicorsi è che forse stimolano l’atto violen-to, più che prevenirlo). Capire che la vio-lenza suscita un certo fascino in ciascu-no di noi è uno dei più importanti obiet-tivi del corso. Con questa pellicola si mo-strava inoltre una sorta di circolarità del-la violenza: risultava sempre più difficiletrovare il “cattivo”, eliminato il quale ogniproblema appariva risolto. Di volta involta l’aggressore si trasforma in vittimae poi ancora in aggressore. E soprattuttola violenza è presente anche nelle istitu-zioni educative.

La gestione dell’aggressività

Successivamente abbiamo creduto impor-tante presentare forme di violenza menoevidenti, ma non meno lesive della di-gnità e della salute psicofisifica dellapersona. Nel caso di Mobbing. Mi piacelavorare di Francesca Comencini, (Italia2003) la protagonista subisce, non ren-dendosene conto, una serie di aggressio-ni psicologiche (le vengono chiesti com-piti impossibili da portare a termine, vieneisolata da quasi tutti i colleghi, ecc.).Fa tuttavia parte della violenza anche unagiusta dose di aggressività, espressa inreazione a un torto che qualcuno ha com-messo. Alcune scene del primo Fantozzi(di Luciano Salce, Italia, 1975) mostranoun giusto modo di incanalare una rabbiache potrebbe sfociare in violenza incon-trollata. Alludiamo ad una partita di bi-liardo dove Fantozzi svolge il ruolo del-

l’impiegato umiliato che deve giocarecontro il direttore, ma deve puntare a“perdere” per ottenere promozioni. Doporipetuti insulti e battute “feroci” da par-te dei presenti, Fantozzi non riesce tut-tavia a resistere e contrattacca, agendotuttavia secondo le regole del gioco: met-tendo a frutto delle lezioni apprese daun campione di biliardo, riesce ad averevinta la partita. Certo, Fantozzi non rie-sce a gestire questa sua “vittoria” e pre-so da forte imbarazzo, rapisce la madredel direttore e fugge buttandosi da unafinestra. Questo ci mostra, in forma pa-radossale, che sapere gestire l’aggressi-vità, saperla dosare, è un compito diffi-cile, ma non impossibile. Durante il cor-so è stato richiamato, a questo proposi-to, il gioco del calcio, nei suoi aspetti diaggressività giustificabile e di violenzanon lecita.

La discussione come antidoto

Il corso si è tenuto in un’aula laboratoriodove era possibile una buona visione deifilm e che permetteva un proficuo dialo-go tra formatore e partecipanti. Nella di-scussione finale, rispondendo a domandedel tipo «quali sono le forme della vio-lenza riscontrate?» o «Come è possibileprevenire-gestire la violenza?», i parte-cipanti hanno mostrato impressioni dif-ferenti. La violenza è in generale conce-pita come difficile da prevenire, speciese connessa con un profondo sentimentodi rabbia, ed è qualcosa che è tuttaviapresente in tutte le persone (la naturaumana appare spesso “maligna”, secon-do alcuni). I metodi di prevenzione “vio-lenta“ della violenza non sembrano i piùefficaci, come mostra il caso narrato inArancia meccanica. Invece il dialogo, ilsemplice “discutere”, emerge come mez-zo per evitare di “agire” la violenza, laquale appare talvolta gestibile ed a volteingestibile, a seconda della rabbia laten-te nell’individuo che subisce una qualcheforma di torto. Appare chiaro che una doseadeguata di aggressività è utile ed op-portuna per evitare situazioni di sfrutta-mento o di aggressione personale sottovarie forme. La gestione dell’aggressivitàappare, per alcuni, strettamente legataalla consapevolezza delle forme di vio-lenza possibili. Solo con questo tipo diconsapevolezza è possibile mantenersi au-tocritici rispetto a comportamenti perso-nali eccessivamente aggressivi.

* Psicoanalista e consulente filosofico.

Riferimenti bibliograficiCuri, U., Un filosofo al cinema, Tascabili Bom-piani, Milano 2006.Irwin, W. (a cura di), More Matrix and Philo-sophy. Open Court, Chicago and La Salle, Illi-nois 2005.

Idee attraverso il cinemaANDREA ARRIGHI *

Un laboratorio di Fratelli dell’uomo all’istituto tecnico milanese

“Molinari” su “La violenza dentro e fuori di noi”. L’analisi di

singole scene o episodi di film ha portato talvolta a fare una

sintesi del film, talvolta a un diverso montaggio dello stesso

film o di più pellicole

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Nel corso degli anni abbiamo im-maginato insieme e alcune volte realiz-zato spettacoli teatrali (“Platone tra i pla-tani”), cene medievali e rinascimentaliin costume con ricette dell’epoca e ade-guato accompagnamento musicale, ceneinterculturali (l’ultima indiana) con mu-sica e letture, giornate della musica conesibizione di gruppi della scuola, readingdi poesia, un giardino zen e tante altrecose.Sono momenti di lavoro collettivo e cre-ativo che devono condurre necessariamen-te alla realizzazione di qualcosa di pub-blico, di manifesto, che permetta insom-ma di infrangere i muri della classe, nonsottoposto a valutazione formale, chedovrebbe essere realizzato per puro pia-cere.

Correre il rischio

Quest’anno in una classe (quinta) duran-te il brainstorming, due spiritosi maschiet-ti propongono un calendario delle modelle(tipo Pirelli, o Penthouse per capirci).Attimo d’imbarazzo, devo liquidare l’ideacon sufficienza, un po’ seccato per la pro-vocazione, invece ribalto la proposta:perché non facciamo, dico, invece che uncalendario delle modelle, un calendariodei modelli? L’imbarazzo passa a loro, perun momento, poi mi spiego meglio: nonuomini nudi, ma persone, uomini e don-ne che consideriamo nostri “modelli” perun qualche aspetto della loro vita, per

gli ideali o le azioni che condividiamo.«Dovrebbe essere come un calendario il-lustrato, con una parte fissa dedicata aigiorni del mese e l’altra curata da ciascu-no di voi, con l’immagine di una personae una frase, o un breve testo, che puòessere una citazione oppure un breve com-mento vostro».A ripensarci dopo, mi rendo conto del ri-schio, di avere alla fine una serie di stuc-chevoli oleografie prodotte per necessitàquasi scolastica, senza gioia né frutto,grondanti mielosa “retorica”. Ma io miaffido anche all’insostenibile leggerezzadel loro essere. Vedo che la cosa comin-cia a stimolarli, i cervelli sono in funzio-ne e com’è consuetudine, cominciano aproporre obiezioni: «Siamo 16, facciamoun calendario di 16 mesi?». «Come unosmemo-calendario?». «Posso metterequalcosa di astratto al posto dell’imma-gine di una persona?». «C’è bisogno discrivere per forza?». E via obiettando, mavedo che l’idea è piaciuta almeno a unaparte di loro e sta già immaginando comerealizzarla e uno si azzarda persino a lo-dare la mia idea, senza traccia di piagge-ria.Insomma l’idea è passata, ora si tratta direalizzarla. Non è facile giungere alla finedel percorso: c’è chi ritarda, chi non èsoddisfatto, chi non riesce a decidere chiè il suo modello e se ce l’ha.La versione major richiede più tempo ecura: scelta di foto a colori, impagina-zione in un foglio A4 della medesima,scelta del titolo e del testo che l’accom-

MemoriaUna mostra curata dalle alunne e dagli alunnidella Scuola elementare “Giacomo Leopardi” (viaLeopardi 135) di Napoli racconta, attraversotestimonianze della memoria orale, documentidell’archivio scolastico, foto e immagini dellepersone e del territorio, la storia della scuolanel contesto del quartiere di Fuorigrotta, dagliinizi del ventesimo secolo fino al secondodopoguerra. Si tratta di una ricerca-azionesvolta nell’ambito del progetto Memoria, che haportato all’allestimento del museo-laboratorio dididattica della storia.Da un’angolazione microlocale vengono rievocatigli anni che hanno visto non solo la progressivadiffusione della scuola di base, che raggiungerà ilculmine nella seconda metà del secolo scorso,grazie alla crescita del sistema istruzionenell’Italia repubblicana, ma anche lo sviluppo diun quartiere come Fuorigrotta, nel quale nelcorso di un cinquantennio si sono verificatetrasformazioni significative e rappresentativedelle vicende che hanno investito la più ampiarealtà cittadina e nazionale.

Allegra…MenteIl Gruppo Educhiamoci alla Pace organizza ilcampo Allegra…Mente 10, campo estivosull’educazione ambientale/ naturale e l’artedella ceramica. Il campo si tiene dal 18 al 23luglio presso l’Oasi S. Giovanni Battista aMontalbano di Fasano (Brindisi).Per informazioni: Gianpaolo Petrucci, tel. 0805344790, e-mail [email protected];Eugenio Scardaccione (Gegè), tel. 080 5343087,e-mail [email protected].

AgapeIl centro ecumenico Agape organizza durantetutta l’estate settimane rivolte a persone diogni età e di ogni credo (bambini,ragazzi, giovani, donne, famiglie e gay),incentrate su temi all’impegno sociale e allanonviolenza”.Per ricevere i programmi: Segreteria di Agape,borgata Agape 1, 10060 Prali (TO), tel.0121.807514, fax 0121.807690, [email protected].

Un calendariodei modelliFILIPPO TRASATTI

Capita di tanto in tanto, almeno a me, di trarre

qualcosa di buono da un gioco di parole. In classe e

nella vita. Quest’anno, come ogni anno, nelle prime

tristi settimane d’inizio delle lezioni, comincio a

chiedere alle mie classi, quelle che me lo

permettono, se e quali progetti (più o meno

extracurricolari) vorrebbero realizzare

collettivamente nel corso dell’anno o del

quadrimestre: è una sorta di brainstorming

collettivo in cui per un momento ci si sforza anche

di immaginare un’altra scuola possibile

pagna, magari anche qualcuno che sap-pia usare un programma di grafica percreare una pagina più pulita.La versione minor, realizzabile in poco piùdi un’ora, prevede invece l’utilizzo di unaconnessione Internet per la ricerca di te-sti e immagini, un uso banalissimo diPowerpoint (o analogo programma perprodurre slide), con uno schema predefi-nito di impaginazione della diapositivacon un titolo, la foto da una parte e iltesto dall’altra.Vorrete sapere alla fine cosa hanno scel-to. Di tutto, da papa Woytila, ad ArsenioLupin, Ambrogio Fogar, Confucio («Me-glio star zitti dando l’impressione di es-sere stupidi, che parlare togliendo ognidubbio»), Albert Einstein («Non hai ve-ramente capito qualcosa fino a quandonon sei in grado di spiegarlo a tua non-na»), al mio preferito, senza titolo: unabella foto di Woody Allen con a fianco lafrase: «Ho un solo rimpianto nella vita:di non essere qualcun altro».

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Le tesine per l’esame di sta-to in generale sono cosa tut-t’altro che seria: passano dauno studente all’altro, annodopo anno, o si trovano “inrete”, cioè in uno strano luogodove le parole non hanno ori-gine, non ci sono autori, nes-suno è mai responsabile di nul-la. Per i giovani mi pare sia unaspecie di altro “manuale”: quel-lo che scaricano ha il caratteredell’impersonalità e non si di-scute. Giudicare e selezionareè cosa che a scuola non si fa.E però la tesina è anche cosache accende in alcuni/e per-corsi strani, personali. Anchepratiche di scuola un po’ in-solite. Qui infatti vorrei rac-contare una storia bella.C’era una volta una fine dimaggio...Con il permesso della presidee degli altri insegnanti abbia-mo passato il sabato e la do-menica nella seconda casa diJessica, sull’Appennino tosco-emiliano. L’idea era di prepa-rare le tesine, appunto, cor-reggere certi lavori di lettera-tura, magari vedere insieme unfilm o due, tipo approfondi-mento. L’altra verità era chenon si era fatta la gita scola-stica fondamentale di quinta,l’ultima mitica, e bisognavariparare in qualche modo.Sono stati due giorni strepi-tosi. Tipo anno sabbatico.Perché si sono fatte volendoanche molte “cose culturali”ma in una buffa forma diste-sa, bio-logica. Un tempo pie-no e leggero, ricco di vuoti.Sdraiato al sole. Torni a casache ti sembra di avere la men-te abbronzata.

Uno studia Pirandello, a torsonudo su un’amaca, e ti fa do-mande sulle maschere. Un’al-tra legge Porci con le ali per-ché porta la rivoluzione ses-suale anni ‘60 o roba del ge-nere. Un’altra lavora su Freud.Su queste sdraio al sole è buf-fo ma va forte “il male di vi-vere” – un po’ come ai mieitempi Pavese, che oggi nes-suno legge più. Ma poi ancheil femminismo, la psichiatria,il sessantotto.Correggo i compiti, anch’io alsole. Li chiamo poi uno allavolta a parlarne. Si alzano dal-le amache e vengono... Quan-do i voti sono alti – ma chebuffa cosa anche i voti qui, aquesta non-distanza comun-que asimmetrica – gli si leggel’entusiasmo negli occhi chequasi ti commuovono. In unromanzo di Erri De Luca la ra-gazza dice al ragazzo, sei im-portante per me, lui dice, pos-sibile che non lo sapessi pri-ma?, forse ci vuole un altroche te lo dica per sentirlo dav-vero. Già, ci vuole un altro. Èl’amore ed è anche un po’l’educazione forse. Noi siamoimportanti per loro.Ma questo tempo pieno pre-vede qualcuno che va a fare laspesa al mattino per compra-re un sacco di schifezze splen-dide, discutere su quale muli-no bianco e quale yogurt allefragole. Qualcuno apparecchia,qualcuno mette la musica,cucina. Elisa, prima della clas-se, fa quasi tutto e poi va via.È testimone di Geova.Scopro una scarsa presenza del“privato”. Quando telefona unfidanzato (e telefonano, e

sono tutti fidanzati, non “ra-gazzi” o altro) mica le ragaz-ze vanno altrove a parlare. Timanco, mi vuoi bene?, io tan-tissimo, ti penso sempre. Lealtre commentano, che cari-na, salutacelo, mandagli unbacio. Però non lo conosco-no: è una specie di solidarie-tà femminile diffusa. Hannospesso due cellulari ciascuna,oppure hanno due schede sim,mi pare di capire, con numerie contratti diversi per diversetipologie di chiamata. Anchele mamme chiamano e non sidistinguono molto dalle ami-che, mi sembra. Ma anch’io cheroba sono qui? Era il mio dub-bio, il rischio... Di solito mipiace di più stare in classe. Misembra protettiva la strutturascolastica. Tu stai lì, loro dilà, in mezzo distanze che tidanno una certa misura: certecose passano, ma come distil-late da quello spazio e queltempo. Rese più “intellettua-li” e astratte, ma in un modoche non cancella l’affettività,piuttosto la filtra e le dà an-che libero corso, non dichia-rato. Questo non dichiarareper me (uomo) non è nientemale... Ma qui è strano. Spazie tempi non sono protettivi,anzi ti espongono. Eppure unadistanza rimane e loro ti trat-tano comunque come un di-verso. Come un esperto, comeun adulto? Boh. Però è tuttomolto gentile e va bene. Sonoloro che ti chiedono una manoper il lavoro, esprimono giu-dizi, ti raccontano quello chegli piace delle cose che leg-gono. A una certa ora si guar-da, senza troppe proteste, Le

parole di mio padre di France-sca Comencini, con Zeno e lasua coscienza di fronte allesorelle. La sera, scala quaran-ta fino alle tre di notte. L’uni-co ragazzo della classe vincealla grande ma bara spudora-tamente. Sono i maschi profe,commentano.Alla fine ci si sente riconcilia-ti con l’insegnare. Ma poi ne-anche con “l’insegnare”: conlo stare con i giovani cosìcome sono, senza controfigu-re scolastiche. Cercando di ri-spondere alle loro domandeinvece di farle, seguire i lorodesideri invece di inseguirli oguidarli. Correre il rischio distare a quello che viene. E sco-prire che qualcosa viene. È unafesta davvero. Rara, ma al ri-paro da qualunque ministro.Spero.

Sabato sabbaticoANDREA BAGNI

CemeaSi svolge a Cesena il corso su “Il gioco eil giocare nei centri estivi” (dal 12 al 14giugno, modulo 6-14 anni dal 14 al 17giugno, modulo 3-6 anni). Informazioni:Cemea Emilia Romagna,[email protected] Firenze, dal 26 al 30 giugno, si tieneun seminario sulla “Comunicazione”.Informazioni: Cemea Toscana,[email protected]).La Federazione italiana dei Cemea –Centri di esercitazione ai metodidell’educazione attiva organizza a OrioloRomano dal 20 al 23 luglio 2006 lo stageresidenziale nazionale “Le attivitàmanuali”. [email protected], tel.339.2760132.

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NUOVIARRIVI

«Adesso, bambini, potete farequello che volete, potete saltare e corre-re, oppure prendere i giochi dagli scaffa-li, ma poi bisogna rimetterli a posto.Mezz’ora e poi rientriamo, impariamo lacanzone di Natale. La canzone e la poe-sia, va bene?»«Sìiiiiiiii» – risponde un coro dissono econcorde, e sciamano le piccole api; re-gine tutte e ciascuna, stanno imparan-do a poco a poco ad essere operaie. Ilcortile è una festa di colori e grida nel-l’intervallo di gioco libero. È proprio lì,nel breve tempo in cui sono sciolti, cheuno sguardo attento può cogliere i se-gni del carattere, preannunci di un futu-ro ignoto ma già in attesa, perché quel-le esistenze così fresche e nuove nonsono digiune di vita, su ognuno di loro ifatti hanno già lasciato qualcosa. Sen-sazioni, immagini, intorno a cui l’etàadulta costruirà un pacificato oblio olaboriosi ricordi e pensieri: adesso è sologrumo in fermento nell’organismo, l’at-tenzione vi si ferma a intermittenze manon è ancora pensiero e nemmeno ricor-do; eppure si fa parola se all’improvvisoai sensi arriva qualcosa che gli somigliae ha già un nome; allora il grumo che èdentro si specchia e si riconosce, e trovaanche il nomeAda e May hanno compiuto cinque anni,pronte alla grande avventura della pri-ma elementare, e sono conversatrici in-stancabili. Le loro mamme, che sono so-relle, fanno di tutto perché le cuginettestiano vicine a farsi compagnia. È moltoimportante per May, perché nel suo pae-se ha lasciato la famiglia e una sorellamaggiore. La sorella è rimasta là. “Là” èuna lunga spiaggia in Tailandia dove trala gente povera arrivano sempre più spes-so i ricchi, e arriva con loro anche unavita meno dura, il piacere di mangiaremeglio e più spesso. May viene da lì,adottata attraverso un complicato iterdi pratiche e colloqui dopo l’Onda delloTsunami.Dallo scaffale May prende sempre lo stes-so giocattolo, una bambola con lunghe

trecce bionde e un abito vaporoso di tullerosso. La guarda e la guarda, non si stan-ca mai.«Mia sorella ce l’aveva così ma ancora piùbella e più alta, e con la collana di per-le».«E tu non ce l’avevi?».«Io non ancora. Io ero troppo piccola».«Ma le bambole sono proprio per le bambi-ne piccole».«No, ce l’aveva solo mia sorella, lei avevagià dieci anni, io ero troppo piccola».«A me non mi piacciono più, le bambole».«Perché sei ancora piccola».«No che non sono piccola, anzi sono gran-de, e con le bambole non ci gioco più».La maestra Daniela in disparte sorveglia,ascolta brani delle loro chiacchiere.«Le bambole piacciono anche ai grandi,anche a mio nonno piacciono le bambo-le».Giorgio si è aggiunto al duetto, Ada è lasua “fidanzata” e anche May gli è simpa-tica.«Non è possibile, i grandi non sanno gio-care, i grandi fumano e guidano la mac-china, vanno in ufficio, al cinema...».«Però a mio nonno le bambole gli piac-ciono, io lo so, se ne porta sempre unanella valigia quando va in Taylandia congli amici. Mi ha detto “Non lo dire allamamma”, mio nonno si vergogna di gio-care con le bambole».«Ma non ci gioca lui, lui la regala a miasorella».Una scena che non aveva voluto capireadesso si impone alla memoria di Danie-la, la obbliga a guardare, a “sapere”. Suun aereo di linea tailandese aveva viag-giato per la tratta Roma-Madrid all’inse-gna della cortesia e dell’eleganza: buonala colazione, bella l’orchidea trovata sul-lo schienale del sedile, e all’uscita le ho-stess sorridenti avevano offerto alle si-gnore un’altra orchidea da appuntare sul-l’abito, già dotata di spilla. Era stato que-sto, forse, a ricacciare in un fondo invisi-bile quella faccia di uomo maturo che aqualche metro da lei aveva estratto da unaborsa una bambola ed era rimasto a rigi-

rarsela fra le mani per qualche minuto, losguardo perso in un’espressione fra idiotae beata. Perché quella bambola nel suobagaglio? Daniela aveva “voluto” vederlacome un dono innocente per una famigliadi poveri, gli aveva voltato le spalle e siera immersa nella propria vacanza.Ma a casa va a rileggere una pagina diElisabeth Costello di Coetze: «La banalitàdel male. È per questo motivo che il malenon ha più odore né aura? I grandi Luci-feri di Dante e di Milton si sono ritiratiper sempre, il loro posto è stato preso dauna serie di poveri diavoli polverosi ap-pollaiati sulle spalle della gente comepappagalli, diavoli privi di aura luminosama al contrario capace di assorbire quel-la altrui».Il vecchio signore dignitoso con l’ariabeata, buco nero della vita, che assorbela luce dell’infanzia con l’attrattiva dellabambola.A questo tipo di attrattiva, di ingoiamentoe perdita di luce May è scampata, per purocaso ma è scampata, sta crescendo su unterreno più protetto con bambole che nonsono trappole; ma già la sua vita, comequella di ciascuno di noi, poggia su fon-damenta disuguali: una parte è costruitasu diritti e garanzie, protezione e amici-zia, una parte nasconde macerie segreteignote anche a noi. Ad alcuni esse riman-gono invisibili per tutta la vita, ad altririvelano all’improvviso il baratro dell’or-rore. Un giorno forse May si accorgerà diquello che c’era dietro la bella bamboladella sorella grande.«Maestra Daniela, ma le bambole sono peri piccoli o per i grandi?».«Sono per i piccoli, ma qualche volta cigiocano anche i grandi perché da piccolinon hanno giocato».Fino a quando May avrà la fortuna di igno-rare le proprie macerie? Ma chi dice cheignorare sia la soluzione? A May Danielafa un augurio più severo e impegnativo:che al momento in cui conoscerà le pro-prie macerie sia già capace di guardare edi sapere. Che guardare gli orrori non di-vori la sua luce.

Bambini e bamboleLIDIA GARGIULO

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33Il dibattito sulla funzione degli asiliin una società moderna, avviato dai mo-vimenti popolari degli anni ’70, si èsviluppato in Brasile, negli anni ’80.L’apertura politica ha permesso il rico-noscimento sociale dei diritti rivendi-cati dai movimenti popolari e dai gruppiorganizzati della società civile. Da al-lora educare ha cessato di essere soloassistere e gli asili sono stati conside-rati luoghi di educazione e attenzionecollettiva per i bambini.La Costituzione del 1988, per la primavolta nella storia del Brasile, sancì comediritto dei bambini da 0 a 6 anni e do-vere dello Stato l’educazione di base(art. 54, IV), e più recentemente laLegge di Orientamenti e Fondamentidell’Educazione (LDB 9.394/96) ha isti-tuito gli asili nido, affermando unanuova concezione di bambine e bam-bini come soggetti di diritto e idee in-novative di educazione e di politicheper l’infanzia, considerate un investi-mento sociale che guarda ai bambinicome cittadini e obiettivo preferenzia-le delle politiche pubbliche.

I bambini ci guardano

Nel 2002 a Xapuri in Amazzonia, si èavviato il Centro di Educazione Infan-tile “Olhar de Criança” – il guardare delbambino –, ribaltando le insegne cheuna volta annunciavano: qui si guarda-no i bambini. L’intervento fa parte diun progetto multisettoriale più ampio

che, oltre a formazione professionale,sostenibilità dell’ambiente e economiasolidale, si occupa di promozione delladonna per cui si è realizzato un centrofemminile di produzione attraverso ilquale la donna lavoratrice conseguel’autonomia finanziaria. In questo pro-cesso di ricerca della libertà si costru-isce il carattere popolare e democrati-co della identità femminile collettivacome affermazione della propria citta-dinanza. E l’asilo permette di conse-guire l’obiettivo di conquista di dirittidella madre lavoratrice e di educazionedella prima infanzia.

Cittadini della società civile di Xapuri,io e mio marito Arialdo Dominioni, vo-lontari di Como, fondammo l’associa-zione ODESS (Organizzazione per lo Svi-luppo Economico Sociale Sostenibile),per gestire localmente il progetto.Nel settore socio-educativo, fondi del-la solidarietà internazionale hanno per-messo la ristrutturazione di un edificioabbandonato concesso in uso allaODESS dall’amministrazione comunaledi Xapuri; gli studenti della scuola difalegnameria hanno costruito infissi earredi; la cooperativa femminile i gio-

cattoli. Durante i lavori di ristruttura-zione dell’edificio ho coordinato il cor-so di formazione, del gruppo delle edu-catriciı. Insieme alle educatrici1 abbia-mo visitato tutte le famiglie di Xapuriper conoscere il reale stato dei bisognie procedere alla graduatoria di iscrizio-ne favorendo i bambini socialmente piùvulnerabili. Sono emersi dati utili, tra iquali il tipo di famiglie spesso compo-ste da un solo genitore, giovani madrisole senza un lavoro né un mestiere cona carico mediamente di tre o quattrominori. Alcuni bambini non risultava-no iscritti all’anagrafe comunale e laverifica delle vaccinazioni ha permes-so il completamento. I dati sono poistati trasmessi agli assessorati del co-mune per i servizi sociali, l’educazionee la salute. Le conoscenze emerse sisono rivelate opportune anche per gliinterventi negli altri settori del proget-to, soprattutto per la realizzazione delcentro femminile di produzione dove,attraverso la ODESS, si propone l’avvia-mento professionale e l’inserimentonella cooperativa Mãos de Mulher - Manidi Donna. Vengono tenuti corsi per lasicurezza alimentare, la potabilizzazio-ne dell’acqua, nozioni di pedagogia in-

i n t e r n a z i o n a l eOlharde CriançaCLARA DEBIASI *

L’esperienza del Centro di

Educazione Infantile “Olhar

de Criança” – Il guardare del

bambino – attuata a Xapuri in

Amazzonia dimostra che

quando si uniscono volontà e

competenze il sogno può

concretizzarsi

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fantile, igiene, salute.

L’asilo Olhar de Criança si costruisce ericostruisce di continuo a partire daglielementi umani, sociali, culturali edeconomici di cui dispone. La propostapedagogica applica gli orientamentidella LDB brasiliana e propone le me-todologie degli asili nido italiani.I bambini, dai 2 ai 4 anni – passati dai60 nel 2003 ai 124 nel 2006 –, sonoaccolti ed educati gratuitamente a tem-po pieno da sette educatrici dirette equattro indirette, ricevono tre pasti,sono seguiti nell’igiene, sono mensil-mente visitati dal personale sanitariocomunale e trimestralmente da un me-dico.L’inserimento dei bambini all’asilo, chenelle nostre città richiede due o tresettimane di presenza di un genitore,a Xapuri viene fatto spesso dai fratellimaggiori o dai vicini di casa e in pochigiorni i bambini manifestano un buonadattamento.Ogni educatrice si occupa di un gruppofisso di venti bambini ed è la figura diriferimento per dare una corretta rispo-sta alle necessità evolutive individualie perché esista un’attenzione longitu-dinale dell’educatore che riconosca evalorizzi le tendenze di ogni bambino.La metodologia che permetta lo svilup-po cognitivo e sociale dei bambini haelaborato un piano di lavoro che si ar-ticola nel perseguire lo sviluppo degliobiettivi pedagogici: socializzazione,linguaggio, motorio, cognitivo, gioco,autonomia.Oltre agli spazi per riunioni del perso-nale, dormitori, bagni, cucina, refetto-rio, l’asilo dispone di sei aule attrezza-te per attività specifiche, proposte informa ludica. I materiali didattici, di-visi per attività orientate e gioco libe-ro, sono sulle mensole accessibili aibambini. I mobili e i sanitari sono amisura di bambino. Le aule/laborato-

rio permettono di svolgere le attivitàdi costruzioni, gioco simbolico, letturae musica, arti visive psicomotricità,cognitivo. Ogni mattina i gruppi, a ro-tazione, utilizzano due aule/laborato-rio.La routine quotidiana è scandita da:gioco libero nel patio, divisione neigruppi, colazione, prima attività neilaboratori, cambio di aula, seconda at-tività, doccia, pranzo, riposo nei dor-mitori, merenda, gioco libero, prepara-zione all’uscita. La dieta corrispondealle necessità caloriche ed è indicatada un nutrizionista del ministero perl’educazione.Il coordinamento pedagogico rappre-senta una struttura innovativa poichési configura come strumento di pro-grammazione, studio, organizzazione,verifica e sintesi della proposta.Per quanto attiene l’organizzazione delservizio, anche per motivi di economia,si è istituita una figura di educatricealla quale è affidato un gruppo di bam-bini che frequentano solo metà gior-nata, così da poter svolgere funzionidi coordinazione e di riferimento, neltempo rimanente.Tra le competenze, alla coordinatrice èrichiesto di assumere la conduzione delgruppo di lavoro perché operi comecollettivo delle educatrici. Questoaspetto rappresenta uno dei momentipiù delicati. Lavorare collettivamentesignifica elaborare un progetto peda-gogico, programmare gli obiettivi edu-cativi che non siano il frutto di sceltespontanee, individuali, improvvisate enon coordinate ma, al contrario, rea-lizzate collocandosi in continua inte-razione tra i vari membri del gruppo,con l’obiettivo di realizzare, ciascunosecondo un proprio stile e le rispettivecompetenze, quello che insieme è sta-to deciso e programmato.La professionalità delle educatici nonsi limita alla adeguata preparazione di

base, o a sporadici corsi di aggiorna-mento, ma è continuamente acquisitaattraverso la pratica educativa, la ri-flessione costante dell’esperienza chesi matura e il continuo arricchimentoteorico. Necessari alla professionalitàdelle educatrici sono gli strumenti dilavoro utilizzati: aggiornamento con-tinuo, riunioni del Collettivo, osserva-zione guidata, pianificazione delle at-tività, relazioni e verifiche costanti2.Nei primi due anni, l’ODESS ha affron-tato le spese di gestione in collabora-zione con il Comune di Xapuri. In se-guito, lo Stato dell’Acre Assessoratoall’Educazione ha apprezzato il servi-zio prestato, in relazione anche al rap-porto tra qualità della proposta educa-tiva e costi di gestione e, attraversouna convenzione con la ODESS, si èaccollato le spese per il personale e l’ali-mentazione; ha assunto l’asilo Olhar deCriança a modello per realizzarne altrie attualmente, con la mia collabora-zione, sono in costruzione venti asilinella capitale Rio Branco. La gestioneverrà affidata alla ODESS e ad altre as-sociazioni del Terzo settore che nasce-ranno.

* Coordinatrice del Progetto Asilo a Xapuri dasettembre 2002 a dicembre 2005.

NOTE1. La formazione ricevuta dalle educatrici hariguardato l’articolazione e la strutturazionedegli spazi, le attività, i materiali di gioco, lasuddivisione di compiti e ruoli tra educatrici,la formazione dei gruppi di bambini. Le edu-catrici hanno acquisito competenze professio-nali in relazione alle conoscenze pedagogichesulla prima infanzia, alla costruzione di unprogetto educativo, all’analisi delle tematicheinerenti l’ambiente culturale, alla relazione traadulti e bambini, educatori e famiglie.2. Si programmano le attività per il raggiungi-mento degli obiettivi della proposta educati-va e attraverso l’osservazione guidata l’équipevaluta i risultati, quindi si apportano i corret-tivi alla pianificazione. Le relazioni, l’aggior-namento continuo e le riunioni completano illavoro collettivo.

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` FRANCIA

Andiamo con ordine. I motivi delmovimento sono ormai noti a tutti: lalegge sui contratti di primo impiego (CPE)– una legge iniqua, una di quelle che van-no di moda presso coloro che attribui-scono le cause della disoccupazione allarigidità delle regole sindacali che inges-serebbero il mercato del lavoro – con lascusa di voler favorire l’occupazione gio-vanile, ha provato ad introdurre la licen-ziabilità senza giusta causa ed altre di-scriminazioni (niente indennità di licen-ziamento, periodo di prova più lungo ecc.)per i minori di 26 anni.Pronta la reazione del mondo giovanile edi quello operaio: dal 7 febbraio al 10aprile, data del ritiro della legge, si sonoavute ben cinque grandi giornate di mo-bilitazione nazionale, con una partecipa-zione che è salita dai 400.000 manife-stanti della prima giornata fino ai 3 mi-lioni delle ultime due e a cui vanno ag-giunte almeno altrettante scadenze lo-cali in ciascun dipartimento in cui è sud-diviso il paese, due scioperi interprofes-sionali, una sessantina di università bloc-cate, un liceo su quattro occupato, scon-tri con la polizia (molto enfatizzati dallastampa italiana ma assai meno da quellafrancese!), e una settimana (l’ultima pri-ma del ritiro della legge) di blocchi a stra-de, ponti, accessi alle città, nodi ferro-viari.

Il movimento

Un movimento dunque straordinario giàper la sua dimensione e anche per la suacomposizione: universitari, liceali e la-voratori. Non a caso mentre i giornalistihanno subito fatto un paragone con il“mitico” maggio ’68, i sociologi (Tourai-ne, Dubet) e gli ex (Cohn-Bendit) si sonoaffrettati a marcare la differenza: il ’68

era offensivo, questo movimento è difen-sivo; il ’68 era ideologico, questo è “sin-dacale”; nel ’68 i giovani non avevanoper nulla la prospettiva della disoccupa-zione, questi giovani invece ce l’hannoeccome.E però il paragone col ’68, inevitabile conl’occupazione della Sorbona ed suo tu-multuoso sgombero, è servito: «Far rife-rimento al 1968 fa parte della tattica. –ha detto Daniel Cohn Bendit, intervista-to da La Lettre du Monde –. Rincuora glispiriti, spaventa il governo e gioca sulmito indistruttibile del maggio 1968».Per altro di movimenti significativi, an-ch’essi di studenti e non solo, ce ne sonostati molti in Francia senza risalire perforza al maggio ’68: solo negli ultimi cin-que anni vale la pena di ricordare quellodel 2000 contro i provvedimenti del mi-nistro Allegre, quelli del 2002-2003 con-tro la decentralisation e la riforma dellepensioni, molto vasto e tumultuoso an-ch’esso, e quello dello scorso anno con-tro la riforma degli esami di maturità.«Queste mobilitazioni studentesche ricor-renti sono un fatto sociale specificamen-te francese che si può spiegare in duemodi. – ha detto Francois Dubet diretto-re della Scuola di Alti Studi in ScienzeSociali –. Nel mondo del lavoro né il pa-dronato né i sindacati hanno fatto dellaprecarietà e dell’integrazione dei giovaniun affare centrale: il padronato si inte-ressa più alla formazione e i sindacatisono ripiegati sui settori protetti. Nelmondo scolastico la situazione è la stes-sa: la Francia ha massificato il sistema eallungato gli studi, ma, ad eccezione diuna minoranza di studenti medi e uni-versitari il sistema scolastico resta alladistanza massima dal lavoro».Ma da un lato la legge sui CPE accentuaproprio questi aspetti di separazione, cosacolta con molta sagacia da Cohn-Bendit:

«Con il CPE i giovani si ritrovano licen-ziati senza motivo quando giustamenteloro hanno bisogno di spiegazioni. Peresempio hanno bisogno che lo stato daquel momento gli proponga una forma-zione appropriata. Orbene nulla di tuttociò è previsto nella legge. Come vuole cheun imprenditore assuma questi giovaniin futuro, se non sono capaci di spiegareil loro primo insuccesso? Questo non-det-to finisce per essere una misura sanzio-natoria che sarà totalmente distruttiva».Dall’altro viene meno uno dei pilastri dellaEcole de la Republique, come sostieneDubet: «[…] in Francia c’è una fede in-crollabile nei meriti della scuola che hamolto pesato a favore della massificazio-ne del sistema scolastico […] abbiamola tendenza scaricare la responsabilitàdella crisi attuale su cause solamenteesterne, come la globalizzazione […]. C’èquesta tentazione di “uscire dal mondo”che spiega il successo del no al referen-dum sulla Costituzione europea […]». Econ esso il senso del diritto, come diceAxel Honneth, il successore di Habermasalla guida della Scuola di Francoforte:«Questo genere di riforme contengono unelemento di provocazione nella misura incui esse violano forme già stabilite di ri-conoscimento sociale: quelle che sonostate messe in atto dallo stato sociale.Esse frustrano in partenza le aspettativedi riconoscimento del lavoratore comesoggetto di diritti. […] lavorare è inti-mamente connesso con il godimento dicerti diritti, tra cui il diritto alla stabili-tà».

La società

Dunque il movimento come espressionedi una società francese “attorcigliata”come l’ha definita Cohn-Bendit? Da essasecondo l’ex leader sessantottino si puòuscire ricostruendo una migliore relazio-ne tra scuola e lavoro: «Ormai si ha biso-gno di insegnanti laici aperti alle diverseculture per rispondere alle disuguaglian-ze sociali. La scuola deve tessere di nuo-vo legami con la vita del quartiere. Dive-nire un luogo dove si acquisiscono tantoconoscenze che un sapere sociale. Nel-l’insegnamento superiore le imprese de-vono aprirsi a dei partenariati con le uni-versità, senza però infeudare l’educazio-ne al mondo del lavoro». E anche da lui èvenuto fuori il modello Danimarca, giàentrato nelle polemiche pre-elettorali ita-liane, dove per evitare che flessibilità eprecarietà coincidano, al licenziato vie-ne garantito un anno di lavoro a stipen-dio pieno nonché assistenza e formazio-ne per la ricerca di un nuovo lavoro.Oppure il movimento è l’espressione diuna società addirittura disperata, dove lapiccola borghesia conservatrice e il ceto

Sul marzo francesePINO PATRONCINI

In Francia è successa una cosa strabiliante

(l’abbiamo vista tutti): un movimento – di studenti,

ma anche di operai – di una portata (e di una

durata: 2 mesi circa) enorme e, soprattutto, con un

effetto enorme. E già in queste poche parole ci

sono un po’ tutti gli elementi che fanno l’originalità

e la particolarità di questo movimento. Riportiamo

stralci di alcune interpretazioni di Francois Dubet e

Axel Honneth, intervistati da Le Monde, e di Daniel

Cohn-Bendit da La Lettre du Monde

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medio “di Stato” progressista, convergo-no in scelte apocalittiche, come il no allacostituzione europea? «Affermano che ieriera meglio, anche quando trovano che laloro sorte è accettabile – dice Dubet –.Ora le statistiche permettono di pensareche ieri era peggio. Ieri i poveri eranopiù poveri, la speranza di vita era menolunga, la gente aveva meno sogni, si eraeducati peggio, le donne erano trattatepeggio, i vecchi morivano di fame. L’uto-pia però è alle nostre spalle».E non bisogna dimenticare neppure lebanlieues in fiamme nel novembre scor-so. Questo, più che il ’68, costituisce unapremessa: «Il movimento anti-CPE è lareplica nei ceti medi di quello dellebanlieues – parola sempre di Dubet –.Questi due mondi si guardano con diffi-

denza l’un l’altro (i giovani delle banlieuespensano che gli studenti siano trattatimeglio di loro e gli studenti credono chei casseurs delle periferie vengano a rovi-nare le loro manifestazioni) ma le loroangosce sono assai simili: certi sono giàout, gli altri hanno paura di raggiunger-li». È l’emergere della consapevolezza diuno status precario, sempre più precario:«Questo movimento – è sempre Dubet cheparla – è l’espressione di una classe dietà che ha la sensazione assai giustifica-ta che la società li accetti come consu-matori e come studenti ma non sappiaoffrire loro un avvenire. Come tutte lemobilitazioni giovanili questo movimen-to ha trasformato una misura tecnica (unnuovo contratto di lavoro) in una sfidasimbolica. Il CPE è percepito come unamisura che accentua una tendenza bru-tale: nella distribuzione sociale delle op-portunità, delle risorse e delle possibili-tà il nostro paese dopo una trentina d’anniha trattato i giovani come una variabiled’aggiustamento».Ma le banlieues hanno avuto anche unaltro peso, più positivo, come ha rileva-to Honneth: «[…] io ho l’impressione chela rivolta delle banlieues abbia giocatoun ruolo decisivo nel movimento attualedi protesta contro il CPE, nel senso cheha permesso agli studenti di pervenire allacoscienza che essi potevano ancora cam-biare le cose. La presa di coscienza cheun movimento sociale poteva avere uncerto potere ha senza dubbio causato ilprecipitare della crisi».Infatti non va dimenticato che tra le pos-sibilità ventilate per l’uscita dalla crisinon c’era solo il ritiro della legge sui CPE,ma persino le dimissioni del primo mini-stro De Villepin, stretto anche nella mor-sa tra i dissensi del partito alleato UDF,contrario alla legge, e del ministro degliinterni Sarkozy, suo concorrente nellanomination alla candidatura alla Presiden-za della Repubblica. Il tutto mentre i son-daggi davano il 68% dei francesi contrarial CPE e il 45% favorevoli alle dimissionidel governo. Una crisi extra-parlamenta-re d’altri tempi, inusitata in altri paesieuropei, più avvezzi a pratiche parlamen-tari concertative o, come da noi in que-sti ultimi anni, all’impermeabilità socia-le del quadro politico. «C’è in Francia unacultura della rivolta – ha detto ancoraCohn-Bendit –. Qui, in Germania, le per-sone di sinistra invidiano questa capaci-tà di mobilitazione, e quelle di destra dif-fidano di questo bisogno di trasformaretutto in uno psicodramma storico. In Fran-cia i sindacati non sono rappresentativi,la cultura della negoziazione fa fatica ademergere. Tutto si gioca sui rapporti diforza. Si avanza a strappi». E Honnethaggiunge: «Negli ultimi anni la Germanianon ha conosciuto nulla di simile. Da noiuna manifestazione su questo argomento

non raccoglierebbe che una ventina dimigliaia di persone. È un lungo processodi depoliticizzazione e di privatizzazionedell’esistenza». Ma aggiunge ancora: «Lapretesa cultura della negoziazione non fache dissimulare il fatto che la sofferenzae la rivolta, benché silenziose, sono a mioavviso le stesse che in Francia».E se ciò vale per la silenziosa Germania,perché non dovrebbe valere per la un po’più rumorosa Italia?

Incontriamociin EuropaIl Catalogo dell’esperienza laboratoriale 2 delCentro di documentazione storiograficadell’Istituto comprensivo “C. Console” diNapoli, in rete con il 1° Circolo didattico diNoci (Bari) conclude il progetto di educazionealla cittadinanza e all’intercultura “Incontria-moci in Europa”, realizzato con la collaorazione e il patrocinio dell’Assessoratoall’educazione e alle relazioni internazionalidel Comune di Napoli. Il dossier raccoglie imateriali realizzati nel corso di due attività:“Noi e l’Islam. La Palestina così vicina… cosìlontana. Un ponte verso Nablus”, svolta incollaborazione con la Comunità palestinese inCampania, e “Da Napoli verso la democrazia.Gli anni della transizione 1943 - 1948”,svolta in collaborazione con l’Istitutocampano per la Storia della Resistenza, conl’Archivio di Stato di Napoli e l’Anpi.

Informazioni: Istituto comprensivo “C.Console”, via Terracina 169, 80125 Napoli,tel./ fax 081.5709719, [email protected].

Il mondo visto daUna cittàUna città (www.unacittà.it) è una rivista chetratta di temi sociali, culturali, politici eambientali che esce dal 1991. In questi annisul mensile sono state pubblicate molteinterviste realizzate in luoghi di conflittiarmati (Bosnia, Algeria, Kosovo, Israele ePalestina, …).Dal lavoro giornalistico sono nate campagnedi solidarietà e talvolta anche dei libri.Tra questi alcuni sono dedicati a bambine ebambini. Come I bambini ricordano - Djecapamte. Srebrenica 1995-2005, di LjubicaItebejac, con prefazione di Irfanka Pasagic(pp. 192, 12 euro, edito in collaborazionecon Tuzlanska Amica e Fondazione AlexanderLanger, Forlì 2005), che raccoglie le vocidolenti delle piccole donne e dei piccoliuomini sopravvissuti alla strage del 1995.E come La storia dell’altro. Israeliani epalestinesi (introduzione di Dan Bar-On, SamiAdwan, Eyal Naveh, Adnan Musallam,presentazione di Walter Veltroni, prefazione diPierre Vidal-Naquet) un manuale di storia perle scuole con due narrazioni, “due verità” checorrono parallele nella stessa pagina con inmezzo uno spazio bianco... (pp. 144, 12 euro,Forlì 2003). Un’impresa straordinaria di ungruppo di insegnanti israeliani e palestinesiche ha coinvolto oltre 700 studenti.

Per informazioni e richieste: Una città, tel.0543.21422, fax 054.30421, [email protected].

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Bambini. In cerca del sensodella vita…BIANCA DACOMO ANNONI

Sono morti nello scorso aprile Daniel Beltran e Bryan Romero, due bambini co-lombiani, gli attentatori, durante un attentato delle milizie delle FARC1 a Bogotà.Una moltitudine di bambini, di bambine e di adulti è immediatamente scesa nellestrade per protesta. Ma non si tratta di un fatto nuovo: recenti dichiarazioni governa-tive informano che sono i bambini le principali vittime delle mine antiuomo, che oltreun milione di bambini colombiani subiscono il trauma dei trasferimenti forzati da unaparte all’altra del paese, che circa 11.000 bambini sono reclutati nelle fila dei gruppiarmati.2

Bambini vittime e bambini carnefici al tempo stesso: ambiguità che impone una seriariflessione sulle condizioni di vita dell’infanzia in Colombia.Quanti di questi 11.000 bambini entrano volontariamente e quanti sono costretti aentrare nell’organizzazione, e quale motivazione li spinge a partecipare alla lottaarmata? Il reclutamento forzato risulta essere un’eccezione alla regola, che vede lagrande maggioranza arruolarsi volontariamente3. Se questi sono i numeri, non si puònon domandarsi che cosa manca a questi bambini delle regioni più periferiche dellaColombia che scelgono volontariamente di partecipare alla lotta armata, che cosacercano, di che cosa hanno bisogno.Certamente la guerriglia offre alle generazioni più giovani qualcosa che né la scuolané la famiglia è in grado di offrire: per alcuni la possibilità di migliorare la propriasituazione economica, per altri l’occasione per fuggire da una situazione domesticaostile, per molti altri ancora il riscatto sociale, la prospettiva di acquisire potere,prestigio e rispettabilità.Queste motivazioni spiegano parzialmente la scelta volontaria dei bambini, ma sideve anche tenere conto che essa avviene in un momento vitale e molto delicato delloro percorso di crescita, ai confini tra infanzia e adolescenza. Un momento in cui lalibertà acquisita nel momento in cui si cessa di essere bambini sembra spalancare unagamma infinita di nuove opportunità, “un momento chiave per dar forma alla propriaidentità e trovare un posto all’interno della comunità e della società, un momento incui si acquisisce una capacità nuova di prendere decisioni e assumere responsabili-tà”4. Così, appartenere al gruppo armato permette anzitutto ai bambini di dare unsenso ad una vita priva di interesse, di attribuire una dimensione nuova alle relazionicon i coetanei garantendosi amicizie e affetto all’interno del gruppo armato, di co-struire la propria identità basandola su un’identità collettiva.Per bambini e adolescenti di estrazione rurale, che vivono in regioni dove l’ordineimposto dal gruppo armato rappresenta la normalità sociale, entrare in queste filasignifica godere del rispetto e dell’ammirazione che si attribuisce a chiunque svolgaazioni di guerra, e anche avere la possibilità di diventare soggetti cui è conferito ilpotere di intervenire e regolare la vita sociale.Sono entrambe prospettive aperte dalla partecipazione ai gruppi armati, ma nell’am-bito di una società in grado di offrire poche opportunità alle sue generazioni piùgiovani. La vera sfida quindi è proporre mete di futuro e strutturare percorsi in gradodi accompagnare le giovani generazioni verso una vita dotata di senso. Il fatto che lamaggior parte dei bambini-soldato scelgano volontariamente di combattere, più chesegnalare una loro volontà di partecipare ad azioni di guerra sta ad indicare quantosono scarse e precarie le opportunità offerte all’infanzia in Colombia. Bambini e ado-lescenti colombiani stanno scegliendo tra qualcosa e il nulla.

NOTE1. Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, gruppo rivoluzionario “marxista-leninista” e “bo-livariano” fondato nel 1964 da esponenti del Partito comunista e dagli uomini della AutodifesaContadina. Oggi possono contare su circa 15 mila guerriglieri armati, attaccano caserme dipolizia, infrastrutture energetiche, organizzano sequestri e compiono attentati in varie cittàcolombiane. Dal 2002 sono state inserite nelle liste dei gruppi terroristici stilate dal governostatunitense e dall’Unione Europea.2. Da un rapporto di Human Rights Watch (2003).3. Dal rapporto sopra citato l’11% è arruolato con la forza, mentre una ricerca della Procuragenerale nazionale riporta un dato del 25%.4. Brett Rachel, Specht Irma, Young soldiers. Why they chose to fight?, International LabourOrganization (2004).

Lo sguardodell’altroSi tiene a Valentigney (Franche Comté -Francia), dal 18 al 28 luglio 2006, unoscambio internazionale per giovani tra i 18ed i 25 anni.Il progetto nasce dalla volontà del CentreSocial di Valentigney di coinvolgere diversipartner sul tema della scoperta dell’altro,della diversità culturale per confrontarsi inparticolare su temi quali: l’integrazione el’incontro delle diversità culturali, l’egua-glianza dei diritti tra ragazzi e ragazze, lacondizione dei giovani nei diversi paesi, loscambio tra Nord e Sud del mondo e lepratiche della cittadinanza attiva. I partnerdello scambio sono, oltre al Centro Sociale diValentigney: i Cemea del Piemonte,l’Associazione Femmes Democraties di Tunisi(Tunisia) e l’Associazione Chouala diCasablanca (Marocco).Si tratta di un incontro di giovani perpromuovere la libertà e l’eguaglianza, percostruire nuove forme d’incontro e discoperta dell’altro, per favorire l’intreccio dipunti di vista sia sulle diversità europee(realtà e condizioni di vita dei giovani neivari contesti nazionali) che sulle diverseforme d’impegno personale e sociale;alimentare una rete di giovani europei perl’elaborazione di nuovi scambi sempre piùvicini ai bisogni reali.

Per informazioni e iscrizioni: Cemea delPiemonte, Settore internazionale, via Sacchi26, 10128, Torino, tel. 011.541225, fax011.541339, e-mail [email protected],web: www.piemonte.cemea.it.

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de rerum natura

In un museo-laboratorio dedicato al-l’energia una guida mostra un exhibit aun bambino accompagnato dalla ma-dre. Il fenomeno implica l’illuminazio-ne di superfici metalliche e superficinere, ma non è semplice spiegare, ov-vero rispondere alla domanda «perchéaccade ciò che accade?». Le parole dellaguida non sembrano convincere i due,che restano perplessi. La guida se nerende conto e fa qualche altro tentati-vo senza esito, finché pronuncia la fra-se «[…] perché il nero attira il calo-re». Immediatamente i volti si illumi-nano: «ah, sì!» «e già...!», lo sciogli-mento della tensione è evidente; si puòpassare al prossimo exhibit.La frase della guida contiene un gros-solano errore dal punto di vista scien-tifico, ma forse non è questo l’effettopeggiore. Quella falsa spiegazione vie-ne accettata perché fa riferimento aconoscenze note: l’effetto è di ridurrela tensione emotiva legata all’incertez-za dell’ignoto, riportando il soggettoin un contesto familiare. Ma è proprioquesta incertezza a creare tensione ver-so la conoscenza.La possibilità che le proprie convinzio-ni, formatesi nel contesto familiare nonesperto, vengano rimesse in discussio-ne è innescata proprio dallo spiazza-mento e dal fatto che esso è operatoda qualcuno che rappresenta il mondoesperto della scienza, cui si attribuisceautorevolezza; se da lì viene una con-ferma del sapere familiare, allora il bi-sogno di conoscenza è già adeguata-mente soddisfatto dalla comunicazio-

ne protettiva, rassicurante della fami-glia, e non è necessario andare per ilmondo; non vale la pena mettere in attouna ricerca che passi dalla esperienzadiretta delle cose, dalla interazione conuna comunità di pari, dallo sviluppo diuna autonomia di elaborazione intel-lettuale.

Lo spettacolo delle emozioni

In un laboratorio proposto al pubblicoda un famoso Museo della Scienza edella Tecnologia i partecipanti vengo-no invitati a prelevare con uno spazzo-lino cellule epiteliali dall’interno dellabocca. Il prelievo viene introdotto inprovette che sono poi sottoposte ad unaserie di passaggi con aggiunta successi-va di vari liquidi. L’unica cosa visibilealla fine sono dei tenui flocculi nelleprovette, che l’animatore assicura esse-re fatti di DNA, evento su cui cerca dimobilitare l’entusiasmo dei partecipan-ti. Il procedimento viene ripetuto a par-tire dall’estrazione di materiale da po-modori. Un bambino piuttosto sveglio eattento alla fine chiede come mai il DNAdi pomodoro nella provetta non sia ros-so. L’immagine è quella di un mago; trail mago e lo scienziato-tecnologo la so-miglianza sta nell’essere depositari di unaconoscenza negata ai più. Che cosa as-sicura i partecipanti al laboratorio chele sostanze usate siano davvero quelleche l’animatore nomina, o che l’effettodelle sostanze nelle provette sia effetti-vamente qualche cambiamento corri-

spondente alla descrizione che lui ne dà?Solo una fiducia (cieca) nella sua auto-rità. Qui però, diversamente dal casoprecedente, non si gioca a ridurre la ten-sione, anzi l’emozione viene sollecitata,provocata, ma è l’emozione tipica dellospettacolo; si va al cinema o a teatroproprio per farsi “emozionare” e si sa chel’assuefazione costringe a “giocare pe-sante”. Ma al cinema l’artificialità, la fin-zione, la non-verità, fanno parte delleregole del gioco che lo spettatore cono-sce e accetta.

Comunicazione e verità: il problemadella divulgazione

I due episodi si riferiscono a contestidi conoscenza scientifica in cui a veni-re meno, a causa della gestione delleemozioni, è la verità, che nel primo casoviene falsificata, nel secondo nascosta.Non crediamo più al mito dell’Univer-salità e dell’Oggettività, ma la scienzanon ha rinunciato alla ricerca di spie-gazioni e teorie condivise e adeguate.“Condivise” vuol dire che in una comu-nità scientifica i dati vengono messi adisposizione, le ipotesi possono esserefalsificate, è garantito uno spazio dicomunicazione dove cooperare alla co-struzione di teorie o mettere a confron-to teorie alternative; “adeguate” signi-fica che le spiegazioni devono esserecoerenti, non contraddittorie, e, dovepossibile, consentire previsioni verifi-cabili. Entrambi i termini non escludo-no la soggettività, ma escludono il sog-gettivismo, ovvero la pretesa che lasoggettività sia sufficiente come fon-damento della conoscenza. Ma una gui-da museale che compito ha rispetto allaconoscenza scientifica? La rispostasembrerebbe scontata, essendo i mu-sei le cittadelle della scienza, ma varipensata alla luce di un nuovo ruoloche si sono dati negli ultimi decenni:l’intenzionalità educativa non è più soloimplicita, ma assume le forme attive diuna didattica, che non si basa più solosu visite guidate, ma comprende labo-ratori, exhibit, comunicazioni interat-tive, ecc.Questo mondo va ad incrociarsi, a so-vrapporsi a quello della divulgazionescientifica che passa soprattutto daimass media. E il termine “divulgazio-ne” ci porta immediatamente alla sem-plificazione che appare inevitabile inogni comunicazione tra il mondo esper-to della scienza e un pubblico nonesperto.

Emozione e veritàMARCELLO SALA

Il termine “divulgazione” ci porta immediatamente alla

semplificazione che appare inevitabile in ogni

comunicazione tra il mondo esperto della scienza e un

pubblico non esperto. Ma esiste anche una

comunicazione contestualizzata nella relazione che si

coltiva come ascolto da parte di chi ha più potere e

responsabilità nella relazione educativa. La

comunicazione nei musei-laboratorio scientifici

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Semplificare per lo più significa tradurrein un linguaggio meno specialistico: mache bisogno ci sarebbe di un linguag-gio specialistico se gli stessi contenutifossero esprimibili in linguaggio quo-tidiano? La conservazione di un poteredi clan da parte degli scienziati sicura-mente c’entra, ma bisogna considerareche la scienza è un linguaggio: le rap-presentazioni, verbali o non, con cuile idee vengono comunicate, sono lascienza; parole diverse significano ideediverse.

Allora la semplificazione è sempreun tradimento della conoscenza?

La storia delle scienze ci dice che, del“territorio” della realtà, esistono “map-pe” a livelli diversi di risoluzione. Comequando si usa lo zoom di una macchinafotografica, optare per una maggiorerisoluzione dei dettagli significa rinun-ciare a cogliere forme complessive. Staa noi scegliere in relazione al contestoeducativo.Ma scegliere di non andare oltre uncerto livello di approfondimento spe-cialistico (ad esempio decidere di trat-tare i fenomeni dell’ereditarietà con unaclasse di scuola media occupandosidelle leggi di Mendel e non del DNA) ècosa diversa dal maneggiare nomi erappresentazioni (DNA, doppia elica...)senza che ne sia noto il significato (chesignifica DeossiriboNucleic Acid? chetipo di oggetto è la doppia elica?). Eche si tratti di maneggiare materialepericoloso è evidente nel caso dellemetafore, della cui natura gli scienzia-ti sono ben consapevoli, non così i nonesperti («Da quando sono arrivato alMilan, ho nel DNA questo atteggiamen-to» dichiara un calciatore1).Di sicuro in un contesto educativo val-gono a maggior ragione alcune regole

che vengono dal discorso scientifico,prima fra tutte quella di non utilizzarecome spiegazione di un fenomeno qual-cosa che deve ancora essere spiegato(è questo che spesso accade con ilDNA). Io credo che il nodo della que-stione stia nella “comunicazione”: sisentono fare discorsi su, esistono esper-ti di, corsi di laurea in, ecc., senza spe-cificare quale sia l’oggetto; il che fapensare che la comunicazione sia qual-cosa di cui si può parlare, una tecnica,una scienza che si può coltivare, inse-gnare, applicare, indipendentementedall’oggetto. La massima espressione diciò è la pubblicità: un pubblicitario hasuccesso professionale se il suo studioaumenta le vendite di qualsiasi prodottovenga affidato alle sue cure comunica-tive.

Comunicazione e manipolazione

La “comunicazione”, in quanto ogget-to culturale del nostro tempo, nasce ecresce caratterizzata da esigenze com-merciali. Le regole che i buoni comuni-catori si danno vengono applicate allaproduzione industriale come al gossip.Inevitabile che questa tecnologia so-ciale, quando viene applicata al mondodella scienza, si porti dietro la voca-zione alla spettacolarizzazione: sei bra-vo se riesci “vendere” il DNA o un som-mergibile come un superalcolico checrea un’atmosfera.Per la verità c’è un altro contesto incui, attorno alla comunicazione, si svi-luppa un dispositivo e si investonoenergie per la ricerca, ed è la propa-ganda. Inutile dire che fin dai tempidella Grecia classica si è consapevolidel profondo conflitto tra propagandae verità. Per i greci la coincidenza traopinione e verità non ha luogo in unaesperienza mentale come sarà da Car-

tesio in poi, ma in una attività di co-municazione, la parresia, il “parlar chia-ro”; e la prova della parresia è il fattoche praticarla comporta un rischio e unpericolo nei rapporti con chi detiene ilpotere2.Nel caso della scienza parlare di poteresignifica per esempio parlare di finan-ziamenti legati alle applicazioni tecno-logiche e ai loro usi commerciali o mi-litari (studiare il DNA per inventare bio-tecnologie più che per scoprire com’èche un figlio assomiglia al genitore).Se il riferimento a questo secondo con-testo sociale della comunicazione ap-pare eccessivo, possiamo accontentar-ci del primo. Sto parlando di come con-cretamente la comunicazione scientifi-ca dei musei (di alcuni musei) possavenire delegata ai tecnici dei media, aipubblicitari che sono professionalmentevincenti se attirano un vasto pubblico,se ottengono visibilità e non se gliutenti apprendono un’idea scientifica(non è compito loro in fondo). Ma que-sto, che ha nella pubblicità il suo pa-radigma, è l’unico modello di riferimen-to per la comunicazione educativa? Ma-nipolare le emozioni, ovvero provocar-le o modificarle dall’esterno, non è l’uni-ca possibilità di gestirle; esiste ancheil modo di riconoscerle là dove sono,nei processi cognitivi come loro dimen-sione inalienabile, di starci dentro, eanche di valorizzarle rispettandole.Esiste anche una comunicazione con-testualizzata nella relazione che si col-tiva come ascolto da parte di chi hapiù potere e responsabilità nella rela-zione educativa. Un ascolto che si con-figura come relazione tra mondi cogni-tivi, tra culture diverse, riconoscendodignità a quella dei bambini3. É dal-l’ascolto che possono venire le indica-zioni su un uso saggio della analogia,del riferimento alla quotidianità, sag-gio perché contestualizzato nella inte-razione con le persone e organico alloro sistema cognitivo. Questo tipo dicomunicazione è la condizione perchéi bambini possano co-costruire cono-scenza scientifica in un andirivieni tral’esperienza delle cose e il bagno diparole in cui sono immersi, in un rap-porto non facile, ma onesto, con laverità.

NOTE1. Marcello Sala, “Frankestein e le cattive me-tafore”, in PIKAIA il portale dell’evoluzionismo(filosofia della biologia), www.eversincedarwin.org, (18.9.2005).2. Michel Foucault (1984), Discorso e veritànella Grecia antica, Donzelli 1998.3. Marcello Sala, Il volo di Perseo, Junior 2004.

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È ben noto che l’ultima indaginePISA1 del 2003 promossa dall’OCSE haevidenziato il preoccupante livello dellecompetenze in campo matematico deinostri scolari quindicenni. Se il riscon-tro di un analogo andamento per moltipaesi occidentali ad economia avanza-ta potrebbe consolarci, per altro versoil dato risulta ancora più deprimentese inquadrato nel contesto di crisi dellevocazioni scientifiche e dello statodella ricerca scientifica nel nostro pa-ese2. È vero che l’indagine TIMSS3 del2003, promossa dall’IEA, ha delineatoun profilo meno catastrofico delle com-petenze dei nostri studenti. Ma unaspetto preoccupante messo in eviden-za da tutte le indagini è il decadimen-to delle competenze matematiche conil “progredire” negli studi scolastici.Secondo le stime del PISA 2003, men-tre per la scuola primaria e media illivello di apprendimento degli studen-ti è ancora più che accettabile, per glistudenti quindicenni della scuola su-periore esso si colloca quasi in fondoalla lista, poco prima di Grecia, Tur-chia e Messico.Se è vero che tutti nasciamo con uncorredo genetico e che il “pallino” ma-tematico si manifesta precocemente,non sembra tuttavia azzardato supporreche, per contro, un imprinting o unambiente scolastico “anti-matematico”possano condizionare pesantementel’apprendimento fino a un vero e pro-prio rifiuto della matematica.«La matematica è creatività, la scuolano», sostiene giustamente il matema-tico Keith Devlin. L’ambiente scolasti-co è uno dei luoghi meno adatti per lariflessione, la meditazione, l’approfon-dimento critico. Anche gli allievi più

bravi sono ostentatamente rapidi e su-perficiali. Non è più tempo di scholé,cioè di tempo disponibile per la rifles-sione, la meditazione, lo studio. L’in-dagine PISA 2000 ci informa che il 38% degli adolescenti si dichiara (total-mente) d’accordo sul fatto che «la miascuola è un luogo dove non ho vogliadi andare». Quanto a scoraggiare lavoglia di apprendere non siamo terzi anessuno tra i paesi OCSE!Al disgusto matematico senz’altro con-tribuiscono certe pratiche didatticheinossidabili che riducono la matemati-ca a una disciplina confessionale (aquel punto perché non renderla facol-tativa?), alla declamazione di un muc-chio selvaggio di regole, puro dogma-tismo indottrinante; algebra come pra-tica addestrativa, una specie di cultu-rismo matematico, di condizionamen-to automatico pavloviano, bizantini-smi di calcolo fini a se stessi, senzaalcuna relazione con la realtà, senzabadare ai concetti di fondo, alle idee,oppure, a scelta, dosi soporifere dicalcolo goniometrico, e così via esem-plificando.Pur essendoci insegnanti impegnaticon competenza e dedizione in una di-dattica della matematica innovativa,al passo con i tempi e «dal volto uma-no», la persistenza di dette pratiche èattestata dall’alto indice di gradimen-to di certi testi.Ho voluto mettere a confronto una pa-gina di eserci(ta)zi(oni) sui radicali4dal mio vecchio testo di matematicadelle superiori, anni ’70, con quella cor-rispondente di un libro di testo traquelli che vanno oggi per la maggiore:9 esercizi su 12 hanno superato l’usu-ra del tempo.

«La matematica è creatività,la scuola no»RICCARDO URIGU *

Se è vero che tutti nasciamo con un corredo genetico e che il

“pallino” matematico si manifesta precocemente, non sembra

tuttavia azzardato supporre che, per contro, un imprinting o un

ambiente scolastico “anti-matematico” possano condizionare

pesantemente l’apprendimento fino a un vero e proprio rifiuto

della matematica

PROBLEMIDI MATEMATICA

Anna Cerasoli, autrice di apprezzatilibri sulla matematica ecollaboratrice della nostra rivista, ciha scritto: «Siamo e resteremo alungo negli ultimi posti delleclassifiche riguardanti lapreparazione matematica deigiovani. La scuola è incapace dirinnovarsi e continua a proporretemi desueti, con modalitàinefficaci. Gli studenti trascorronotroppo tempo nell’esecuzione diinutili e complicati calcoli. Equando non si tratta di calcoli, sitratta di teoria, spesso nonaggiornata, e completamente avulsadalla realtà e dalla applicazionedella stessa a problemi concreti. Ècome se ad uno studente delconservatorio si insegnasse tuttosulla costruzione del pianoforte manon gli si desse mai l’opportunità disuonarlo. Nemmeno il tantodecantato PNI, Piano Nazionale perl’Informatica, ha sortito il benchéminimo effetto. Ci sono LiceiScientifici in cui gli studenti delPNI non hanno mai varcato lasoglia del laboratorio di Informaticama, per più di due mesi, vengonotenuti impegnati nellascomposizione di polinomi! I libridi testo sono, nella maggior partedei casi, rifacimenti noiosi diedizioni di mezzo secolo fa. Tantoper fare un esempio, la Probabilitàe la Statistica, senza le quali laMedicina, le Scienze Sociali,l’Economia, la Meteorologia… nonpotrebbero operare, sono ignoratedai libri e dagli insegnanti».Non ci sono ricette miracolose perrimediare al diffuso disgustoscolastico per la matematica mavediamo in che direzionebisognerebbe muoversi. Apriamouna discussione.

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La matematica che vogliamo

Invece servirebbe una matematica:• da vedere, perché, nonostante (o ma-gari per causa di) un ambiente saturo dimessaggi e stimoli (tele)visivi e iconici,gli studenti sono restii o hanno difficol-tà a visualizzare e immagin-are; ogniteorema (da theorein: guardare, osserva-re, contemplare) dovrebbe diventarespettacolo; proofs without words, comedicono gli anglosassoni, per i quali ap-punto to see (vedere) significa anche tounderstand (capire); inoltre software peruno studio dinamico della geometria,utilizzati adeguatamente, si sono rive-lati utili per rivitalizzare la didattica estimolare negli studenti l’attitudine aosservare, congetturare, confutare, for-mulare teoremi e dimostrare;• da ascoltare, per far cogliere la dimen-sione culturale della matematica, riscon-trandone la pervasività e la rilevanza interritori apparentemente distanti come,per citare un solo esempio, la musica;• da toccare, da annusare magari; unamatematica che sia, possibilmente, «ap-petitosa, saporita» e «vantaggiosa perle persone che fanno lo sforzo di inghiot-tirla»5.Per quanto riguarda i programmi, gli ul-timi 30 anni forse non sono passati in-vano: gli insegnanti hanno assistito (epartecipato spesso attivamente) adun’intensa azione di riforma e adegua-mento, segnata prima dalla stagionedelle sperimentazioni avviate da moltescuole a metà degli anni ’70, proseguitacon le sperimentazioni del Piano Nazio-nale per l’Informatica (PNI) e le succes-sive proposte della Commissione Broccadi nuovi piani di studio per le superiori.Per alcuni indirizzi degli istituti tecnicie professionali alcune di queste speri-mentazioni sono “passate in ordinamen-to” da oltre 10 anni, senza fare troppanotizia. Nel liceo cosiddetto “scientifi-co”, invece, sopravvivono tenacementevecchi programmi.Ma quali riforme e innovazioni senza gliinsegnanti, che sono lasciati soli, senzasostegno a lungo termine e risorse ade-guate?6 Sarebbe anche necessario rom-pere l’isolamento all’interno delle singo-le scuole, favorire il lavoro di gruppo nelladidattica. Ma cosa si può fare, quando sisatura l’orario cattedra a 18 ore (LeggeFinanziaria 2003)? Per quanto riguardala formazione degli insegnanti, bisogne-rebbe valutare alcuni significativi cam-biamenti in positivo che si sono avuticon la costituzione delle Scuole di Spe-cializzazione per l’Insegnamento Secon-dario ma più in generale, come per altrequestioni, servirebbero mutamenti cul-

turali anche in coloro che dovrebbero“governare il cambiamento”. In una re-cente intervista (Il Sole-24 ore, 2 aprile2006), Linda Lanzillotta, responsabile In-novazione e Sviluppo della Margherita,sentenziava: «… un ricercatore precarionon è detto che debba rimanere ricerca-tore a vita. Può anche andare a fare ilprofessore delle superiori». Mi è tornatoin mente Max, lo squallido protagonistadel film di Daniele Vicari L’orizzonte de-gli eventi, un giovane fisico-ricercatore-rampante che si trova a dirigere un im-portante esperimento nei laboratori delGran Sasso. In un episodio del film Maxapostrofa duramente, durante una ses-sione di lavoro, un collega distratto:«Non possiamo permetterci di sbagliare,qui lavorano solo i migliori, altrimenti…si va a insegnare nei licei!» (sic e sigh!).Non ci sono ricette miracolose per risol-vere il problema dell’insegnamento dellamatematica, ma senz’altro vediamo ab-bastanza chiaramente quello che non sideve fare. «Codesto solo oggi possiamodirti, ciò che non siamo, ciò che nonvogliamo» e in particolare non vogliamola cosiddetta Riforma Moratti, che, tral’altro, ha iniziato la sua azione demoli-trice a partire dalle fondamenta dellascuola, da uno dei suoi pezzi meglio fun-zionanti, dove, per stare in tema, l’inse-gnamento della matematica mostra an-cora una certa vivacità.

* Docente al Liceo scientifico “N. Copernico” diTorino.

NOTE1. Programme for International Student Assess-ment (http://www.pisa.oecd.org), avviato nel2000 dall’Organizzazione per la Cooperazione elo Sviluppo Economico, ha cadenza triennale;in Italia l’indagine è condotta dal Miur e dal-l’Invalsi.2. Si vedano, cominciando dal fondo, le Con-clusioni in E. Bellone, La scienza negata, Il casoitaliano, Codice ed., Torino 2005.3. Trend in International Mathematics and Scien-ce Study. La IEA, International Association forthe Evaluation of Educational Achievement èun’associazione indipendente, non profit, di cen-tri di ricerca educativa: http://archivio.invalsi.it/ricerche-internazionali/iea-timss/4. Il calcolo dei radicali: un classico attrezzo da“palestra”. Niente da stupirsi se un conduttoretelevisivo e intelligente (Fabio Fazio) abbiachiesto una volta a un matematico (MicheleEmmer): «A cosa servono le radici quadrate?».5. Da un documento di P. Boulanger, J. M. Kan-tor (I Congresso europeo di matematica, Parigi,luglio 1992), citato da A. Conte in Matematica:istruzioni per l’uso, a cura di W. Maraschini e M.Palma, Paravia, Torino 1997. Il corsivo dellaparola “sforzo” è mio: la matematica non è fa-cile.6. Margherita D’Aprile, Quali riforme senza gliinsegnanti?, «Archimede», LVIII, 2006, n. 1,pp. 10-14.

UmorismoLa vacanza-studio del Circolo Bateson,quest’estate si terrà ad Ischia dal 20 al 26agosto. Il seminario “Il campanello che ride”tratterà dell’umorismo a partire da letturetratte dai libri di Bateson.

Per prenotazioni: Lucilla Ruffilli,tel. 06.86891901, [email protected].

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media

Il suo nuovo libro, Gorgius, è un hor-ror. In una grigia periferia, in un’esta-te ancora più grigia e polverosa, alcuniragazzi scoprono sotto un cespuglio unastrana creatura, Gorgius appunto. Noncapiscono che cosa sia, ma presto sirenderanno conto di quanto quella“cosa” possa essere pericolosa. E cer-cheranno di distruggerla, senza saperese ci sono riusciti davvero.

Togliamoci subito un pensiero: quantoIt di Stephen King ha influito su Gor-gius?Le sembrerà incredibile, ma non ho mailetto Stephen King. E non leggo né l’hor-ror (nemmeno il fantasy), tanto che nonpensavo che ne avrei mai scritto uno.Avevo del materiale pronto da diversianni, volevo raccontare una storia su ungruppo di ragazzi che viveva in una pe-riferia anonima e brutta. La vicenda perònon arrivava, poi il libro si è sbloccato el’ho scritto in fretta. È successo dopo lastrage di Beslan, come mia reazione da-vanti alla crudeltà infinita.

Come nascono le sue storie?Io sono un’autrice lenta, ho scritto infretta soltanto due libri: Gorgius ed Eracalendimaggio. Mi serve uno stimolo chetocchi un’emozione. Poi attorno a quel-la, c’è tutto il lavoro di cervello.

Chi è Gorgius?È una metafora del male senza identi-tà. “Sembra ma non è”. È un po’ “cosa”,“umano”, “animale”. È il male che arri-va ovunque. E soprattutto non è ester-no a noi. Corrisponde a una mia visio-

ne pessimistica non solo della storiaumana, ma anche della relazione del-l’uomo con la natura.

L’ambientazione in una periferia di ce-mento è lo specchio di questa rela-zione?Sì, ma non solo. C’è anche un aspettosociologico. In questi enormi condo-mini la gente non si conosce. Gli adultinon sanno relazionarsi ai ragazzi. Equesti già conoscono la banalità delmale: l’indifferenza, il pregiudizio, laprevaricazione. L’unica figura positivadi adulto è un emarginato, un travesti-to, l’unico disposto ad ascoltare i ra-gazzi. Mi sono ispirata a una personareale, un travestito di Pescara, oggianziano, ma che una volta andava ingiro con il suo abbigliamento voluta-mente trasgressivo. Il tema dell’emar-ginazione e dell’accettazione dell’altro,diverso da te, mi è molto caro.

La sua visione pessimistica potrebbeessere giudicata poco adatta alla nar-rativa per ragazzi, spesso permeatadi buonismo e grondante di lieto fine.È un problema che non mi pongo. Ioscrivo storie e voglio essere onesta conme stessa e con il lettore. Non mi sen-to nemmeno tanto un’autrice “per ra-gazzi”. Ho il senso della genitorialità,questo sì. Da adulta, desidero farmicarico dei giovani, che sono il futuro.Malgrado il mio pessimismo, dovrà puresserci una prospettiva. Anche perchéil mio pessimismo non è certo rinun-ciatario, anzi lotta ogni giorno con unavolontà di speranza.

Come insegnante prima e come scrit-trice oggi, sente il problema dei nonlettori?Moltissimo, tanto che ho scritto il mioprimo libro, Le memorie di Adalberto,proprio pensando a loro. È la storia diun preadolescente, che riflette sul mon-do, sul suo corpo che cambia, sul “coso”che non cresce. Restò per 10 anni fuoridalle scuole.

BIBLIOGRAFIALe memorie di Adalberto, con Federico Maggio-ni (EL, 1984), premio Andersen 1985.Cambio di stagione (EL, 1988).Guardare l’ombra (EL, 1990).Adamo e Abulia (EL, 1991, poi Einaudi, 2004).Federico e il trombone (EL, 1992).Veronica ovvero i gatti sono talmente impreve-dibili (Emme Edizioni, 1993, poi Einaudi, 2004).La banda dei chiodi (Einaudi Ragazzi, 1994).La torta pasticcia della gatta Malestra (EinaudiRagazzi, 1996).Mistero sull’isola (Einaudi Ragazzi, 1996).Mio nonno era un ciliegio (Einaudi Ragazzi,1998), finalista allo Jungenliteratur Prize 2002di Francoforte.Angeli (Einaudi Ragazzi, 1999).Nerone e Budino, con F. Tullio Altan (EmmeEdizioni, 1999).I randagi (EL, 1999), premio Andersen 2000.Felipe e la luna dispettosa (EL, 2000).Aiuto, un topo in trappola! (Emme Edizioni,2001).Cristina Belgioioso una principessa italiana (EL,2002).L’uomo che coltivava le comete (EL, 2002, poiEinaudi, 2003).P come prima (media). G come Giorgina (Poz-zi) (Einaudi, 2004).Gli occhi del mare, Einaudi, 2004.Era calendimaggio con Roberto Innocenti (Ei-naudi, 2004).Cara Rachel... Caro Denis (EL, 2004).Azzurrina (Einaudi, 2004).Gorgius (EL, 2006).

La volontà della speranzaFRANCESCA CAPELLI

Alla scrittura, e alla scrittura per ragazzi, è arrivata negli anni ’80, dopo una lunga esperienza

nell’insegnamento, a Pescara, dove si è trasferita da Bologna dopo la laurea in Storia medievale.

Una lunghissima bibliografia di lavori, alcuni dei quali vincitori di premi prestigiosi

e tradotti in varie lingue. Intervista a Angela Nanetti, vincitrice, nel 2003,

del Premio Andersen come autrice dell’anno

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L’ultimo romanzo in forma di fu-metto di Marjane Satrapi, Pollo alle pru-gne. Un romanzo iraniano (“Diritti & ro-vesci”, Sperling & Kupfer 2005, p. 81, euro14,00)1, ambientato negli anni Cinquan-ta, racconta gli ultimi giorni di un proziodell’autrice, un musicista che si lasciamorire dopo che la moglie rompe il suoprezioso tar, il tradizionale strumento acorda persiano. Dietro il velo della storiaquotidiana e privata dell’agonia di Nas-ser Ali Khan si intravede una società chea sua volta sta scomparendo.Come in Persepolis I – narrazione per im-magini del passaggio dall’infanzia all’ado-lescenza, ma anche del passaggio dal re-gno dello scià al regime degli ayatollah –e in Persepolis II, il seguito del romanzo-fumetto che racconta della traumaticaesperienza in Austria, del ritorno in Irane della partenza definitiva dal paese e inTaglia e cuci (Lizard, 2003, euro 11,50),Satrapi intreccia la sua autobiografia conla storia politica iraniana, con uno stilenarrativo che a tratti ricorda alcune dellestorie urbane di Will Eisner, ma con unosguardo e un tocco di donna.La sua storia personale e la Storia del-l’Iran sono storie di resistenza al fonda-mentalismo, raccontate con la passionedei romanzi di formazione.

Il personale è politico

In Persepolis I. Storia di un’infanzia (tra-duzione di Cristina Sparagana, GianluigiGasparini, Enrico Racca, “Diritti e rove-sci”, Sperling & Kupfer Editori pp. 168euro 15), Marj, bambina, figlia unica digenitori laici e anticonformisti, raccontacome donne e uomini, bambine e bambi-ni riescono, a Teheran, a sopravvivere alla

repressione politica, al regime dello scià,alla guerra. Marj narra in prima personadi sé e intanto crolla il regime dello scià,trionfa la rivoluzione islamica, scoppia laguerra con l’Iraq e un paese moderno sitrasforma in un regime fondamentalista.Persepolis 2. La storia di un ritorno (tra-duzione di Gianluigi Gasparini, AgnesNobecourt, Cristina Sparagana, “Diritti erovesci”, Sperling & Kupfer Editori, 2004,pp. 192, euro 15)2 racconta di un’adole-scente costretta a lasciare il proprio pae-se per completare i propri studi, mentrein Iran Khomeini impone l’uso del velo,della nostalgia per la sua famiglia e perTeheran, dell’emarginazione, dell’amoreper l’arte, della solitudine, dell’amicizia,delle difficoltà di comunicare e della dif-ficile e dolorosa maturazione che la por-terà a decidere di rientrare in Iran, dalquale si allontanerà definitivamente pernon essere costretta a una “doppia vita”per sopravvivere alla censura e alle pre-potenze del regime. Oggi Marjane Satrapivive a Parigi dove collabora con l’Associa-tion, che raggruppa dal 1990 artisti, comelei nati nella seconda metà degli anni ‘60;scrive romanzi in forma di fumetti e libriper ragazzi3; in Italia scrive su Interna-zionale.

Parole e segni

Attraverso sobri, nitidi, raffinati tratti inbianco e nero4 e uno stile narrativo sag-gio e ironico insieme i fumetti diventanodocumenti-testimonianza di una realtà.Quelli di Satrapi sono libri appassionantie interessanti, sia dal punto di vista di-dattico sia socio-politico e raccontanomolto meglio di tanti saggi o di articolidi giornali la Storia – politica, sociale,

Poesie in forma di fumettiCELESTE GROSSI

I fumetti non sono solo libri di svago. Sono anche forme di

narrazione del reale, della complessità del mondo e di chi lo

abita. In tempi in cui si parla di una nuova guerra

“preventiva”, questa volta all’Iran, leggere (o rileggere) a

scuola quelli autobiografici di Marjane Satrapi è sicuramente

utile. Ed è divertente. Perché l’ironica graphic novelist iraniana

riesce a far sorridere anche di fronte al dolore e alla guerra.

Idee per una lezione argomentata e appassionante di storia

contemporanea

nazionale e mondiale –, le storie e anchela condizione della donna in un paesesempre più islamizzato.Passaggi epocali e ricordi personali siintrecciano senza retorica e senza luoghicomuni sotto i nostri occhi grazie allosguardo interno-esterno della protagoni-sta-autrice.

NOTE1. Premio Angouleme come miglior album fran-cese del 2004.2. Persepolis è uscito anche in 4 volumi per itipi di Lizard, dal 2002 al 2003, ciascun volu-me euro 7,50 ed è stato raccolto in un unicolibro uscito nel 2005 per “I Classici del fumet-to di Repubblica”, Serie Oro, euro 6,90.3. Tra i quali, tradotto in italiano, Il dragoAidar, Mondadori ragazzi, 2003, euro 11,80.4. Per chi volesse un assaggio di alcune vi-gnette: http://www.mirada.it/satrapi/immagini.htm. Al sito si possono vedere an-che quelle raccolte nell’ormai introvabile Il velodi Maia. Marjane Satrapi o dell’ironia dell’Iran(Lizard, 2003, euro 8,00).

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Non a caso per la scrit-tura narrativa sono state ado-perate metafore attinenti allamaterialità, come impastare,tessere, cucire. In molti ro-manzi e racconti il corpo èprotagonista – un esempio pertutti, i corpi in movimento oche si osservano allo specchiodi Katherine Mansfield. Inclasse, se si chiede ad allievied allieve di scrivere del pro-prio corpo, vengono fuori mol-ti temi interessanti: la sessua-lità, le relazioni con gli altri,la percezione del reale, le etàdella vita, la salute e la ma-lattia.Ne parliamo con Renata Per-retti, autrice di A testa in giù,in cui racconta la propria espe-rienza di bulimica e il percor-so compiuto per guarire.

«La spinta a scrivere la storiadel mio corpo è stata innan-zitutto quella di conoscermimeglio. Dice Isabel Allende:“La scrittura in fin dei contirappresenta un tentativo dicomprendere se stessi e met-tere ordine nella confusionedella propria esistenza”. Dopo18 anni di disordini alimen-tari e 16 di bulimia, di confu-sione nella mia vita ce n’eratanta. Inizialmente volevocapire cosa aveva attraversa-to il mio corpo, come era so-pravvissuto, come si era tra-sformato. Rivolgermi ad altri,lettori e lettrici, è venutodopo».

La scrittura che parte dal cor-po è diversa da un’altra scrit-tura, ha in qualche modo del-

Scrivere il corpoMARIA LETIZIA GROSSI

La scrittura creativa è intimamente connessa

col corpo, non solo perché gioca con le parole

in quanto suoni, ma anche perché parla ai

lettori e alle lettrici quali persone intere,

dotate di tutti e cinque i sensi, attraverso

immagini visive, uditive, tattili, olfattive

le peculiarità?«È una scrittura più nuda, ri-vela la persona intera, tutti gliaspetti del carattere, ad esem-pio nel mio caso l’ironia. È adun tempo più diretta e piùdolorosa, perché, se metti sul-la pagina il tuo corpo, nonpuoi mentire né velare nulla.Il corpo è la prima cosa cheparla di te, molto prima diquello che potrebbe fare unascrittura solo cerebrale. Per meè stata una scrittura ancora piùsofferta perché ho raccontatodi un corpo malato, di un rap-porto sbagliato con il corpo chedistrugge il corpo stesso».

Scrivere ti ha aiutata a gua-rire?«Quando ho iniziato la stesu-ra del libro, avevo già com-piuto una parte del mio per-corso terapeutico, scriverlo miè servito soprattutto a guar-darmi dentro, nel corpo e nel-la psiche, a chiarire aspetti chenemmeno gli psicoterapeutimi avevano illuminato. La finedel libro è coincisa, forse percaso o forse no, con la finedella mia cura e quindi con laguarigione. Nel libro appaio-no pagine di diario scritte pri-ma, all’inizio della cura, chemi avevano aiutata più diret-tamente. L’elaborazione sottoforma di romanzo è venutaquando già potevo prendereun minimo di distanza dallasofferenza».

Il tuo libro è una autobiogra-fia, ma con una solida strut-tura narrativa, che si espri-me anche nell’attenzione agli

altri personaggi della storia(ad esempio l’epilogo rivelacosa ne è stato di ciascuno).La forma racconto è servitaa dare un senso, a individua-re un filo conduttore?«Sì, ha dato luce ad un perio-do confuso del quale ho coltogli aspetti più importanti, se-lezionando alcune scene fon-damentali. Per questo non èuna autobiografia in sensostretto. L’elemento narrativo el’ironia, che è il mio modo pre-cipuo di rapportarmi alle si-tuazioni e a me stessa, sonoserviti come filtro nei confron-ti dell’esperienza e del dolo-re. Il finale mette in scena le

A testa in giùA testa in giù (Giraldi, 2005, pp.197, euro 12,50) è laposizione che la bulimica assume quando vomita dopo leabbuffate. Chi soffre di disordini alimentari vive sempre atesta bassa. Il romanzo autobiografico di Renata Perrettiè il tentativo riuscito di rialzare la testa, mettendo inparole la malattia e la capacità di superarla. L’autriceriesce a farlo con una onestà spietata verso se stessa, maanche con una scrittura sorprendentemente leggera,brillante, autoironica. Al corpo, raccontato attraverso lasofferenza, i sotterfugi, le dissimulazioni della bulimia,fa da contrappunto la descrizione della società nordame-ricana, dove l’autrice ha vissuto a lungo, incarnazione suscala infinitamente moltiplicata dello stesso male: «[…]tutta l’America è un paese bulimico, tutto è grande,vorace e smodato…». Il coraggio, la consapevolezza e lascrittura sono gli strumenti del processo di liberazionedalla malattia e dai condizionamenti che la societàimpone alla nostra immagine corporea.

script

persone con cui sono stata inrelazione perché ho voluto evi-tare l’autocompiacimento, fre-quente quando si scrive dellapropria vita, dando spazio an-che agli altri attori della sto-ria. Il mio libro in qualchemodo parte da me ma vuolecoinvolgere gli altri. Ho lavo-rato tantissimo con le scuolesuperiori di tutta Italia, par-lare del libro a ragazzi e ra-gazze serve ad affrontare iltema dei disordini alimentarie quello del valore sostanzia-le del proprio corpo, al di làdel corpo-spettacolo esaltatoda una società in cui si valeper come si appare».

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il libro

prima domanda, bisogna ricer-care i modi in cui gli uominidi cultura e gli intellettualipubblici, con alcune lumino-se e significative eccezioni,non solo giustificano o addi-rittura esaltano la guerra, macontribuiscono a fare ben dipiù: preparano le coscienze,collaborano a costruire l’atmo-sfera e l’humus in cui cresce ilbellicismo, lo sciovinismo, ilnazionalismo, il patriottismo,la paura e l’odio per l’altro.

Con passione pacifista

Il percorso di D’Orsi, in pagi-ne animate da un’autenticapassione pacifista (del mili-tante antiguerra come dice luistesso), parte giustamentedall’evento decisivo che apreil secolo breve, la Grande Guer-ra, «madre di ogni vera guer-ra moderna» e si conclude ainostri giorni, ai tempi della

Angelo d’Orsi,I chierici alla guerra,Bollati Boringhieri,Torino 2005, pp. 334,18 euro

L’humusdel bellicismoFILIPPO TRASATTI

«Si può essere “intellettuali”, ossia persone

dotate di mezzi intellettivi supposti superiori,

che per meriti, per nascita o per sorte

conducono “la vita degli studi” assumendo

una posizione pubblica, e schierarsi per la

guerra?»

La domanda che dà origi-ne al libro, viene posta dallostorico d’Orsi nella premessa(p. 8). A questa domanda af-fiancherei subito, per contra-sto, un’affermazione di teno-re assi diverso. A un intervi-statore che comincia dicendo:«Lei è uno dei grandi pensa-tori del nostro tempo, unasorta di perenne dissidente.Potremmo dire che fa “lezionidi autodifesa intellettuale” efornisce strumenti per proteg-gerci da ogni manipolazio-ne…», Noam Chomsky rispon-de incisivamente: «Questo èil compito di ognuno di noi.In realtà il ruolo degli intel-lettuali – da millenni ormai –consiste nel far in modo chela gente sia passiva, ubbidien-te, ignorante e programmata»(Noam Chomsky, Due ore dilucidità, Baldini&Castoldi, Mi-lano 2003, p. 15).Questo rovesciamento è im-portante perché serve a vac-cinarci dall’illusione che altripossano parlare al posto no-stro in questioni di capitaleimportanza per i destini delmondo e per la nostra coscien-za, intellettuali o politici chesiano. Detto questo e una vol-ta risposto senz’altro di sì alla

guerra in Iraq. In capitoli dif-formi per stile, scritti eviden-temente per occasioni diver-se e di diverso spessore sto-riografico si potrebbe aggiun-gere, d’Orsi documenta conpuntiglio la complicità diret-ta e indiretta dei chierici nelpromuovere, sostenere e giu-stificare le guerre. Scorrono imolti nomi noti di bellicistiferoci, come in Italia Papini,Marinetti D’Annunzio con laloro esaltazione della guerra;meno noto almeno a me èquanto scrisse quel poeta chea scuola si studia come un“crepuscolare”, dai teneri sen-timenti: «Saccheggia, stupra,ammazza,/ massacra stupra eincendia,/ rovina, devasta,sconquassa, strazia/ (…)/Puoi sfondare se ti aggrada/una porta con una tua spalla-ta/ (…)/ impiccare il proprie-tario/ e prenderti la sua bellafiglia/ e godertela a sazietà/tutta ignuda sul suo letto/

(…)/ dopo, se ciò ti fa piace-re,/ la puoi sgozzare/ e get-tare come uno straccio/ giùnel cortile/ che i suoi cani/ lelecchino il suo sangue blu(…)» (p. 121)Più pregevoli, anche come untentativo di storia del presen-te, i capitoli sulle vicende anoi più vicine, in particolareal centro è la guerra del Gol-fo, «la prima guerra televisivadella storia», in cui oltre al-l’analisi dei quotidiani e deimedia in generale per docu-mentare chi c’era, chi ci stavae chi no (pochissimi), propo-ne un abbozzo di tipologiadegli interventisti, che è tra-sversale alle appartenenzepolitiche: quelli del partitoamericano (della fedeltà atlan-tica) della fedeltà comunqueagli Usa, quelli del partitodella geopolitica che giustifi-cavano l’intervento dell’occi-dente per normalizzare unmondo scompaginato dal crol-lo del modello bipolare; e ilpartito filosofico-giuridico,ossia i teorici della guerra“giusta”, legittima, o quantomeno legale, dal punto di vi-sta del diritto internazionale.Certo è altrettanto importan-te portare in piena luce le ra-gioni di quanti, da differentipunti di vista, da quello non-violento e libertario, a quellocattolico, a quello laico di si-nistra, hanno coerentementecriticato la guerra e la sua pro-paganda menzognera, e smon-tato le fandonie delle guerre“umanitarie”, con ragioni chedovrebbero diventare partedella nostra scatola degli at-trezzi quotidiani per rifletterecriticamente. Al centro dell’ul-timo capitolo, significativa-mente intitolato “Guerra ecatastrofe: la responsabilitàdei chierici”, all’indomani delquasi completo disfacimentodel diritto internazionale, è latrasformazione della guerracontemporanea: guerra tota-le, anche mediatica, guerra aicivili, al territorio, alla cultu-ra, alla religione. E sullo sfon-do, ma neanche tanto in que-sti giorni, la questione della“bomba”, posta più di mezzosecolo fa dal dimenticato Gun-ther Anders in modo radicale:dopo la bomba, pace o cata-strofe.

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libri sulla scuolaVita Cosentino (a curadi), Lingua bene comune,Città Aperta Edizioni,Enna 2006, pp. 258,euro 16

La lingua che usiamo nel nostrovivere quotidiano dà immagine eforma alle cose, alla sostanza dellecose e alle relazioni tra persone;persone che sono soggetti di plu-rime collettività (culturali, socio-economiche, politiche) e allo stes-so tempo individui consapevoli diessere tali quando sanno stare congli altri. La lingua è lo strumentoche influenza e giustifica questofine, è un sapere particolare tra-smissibile al quale si può educa-re, ma la visione illuminista chelegava questa padronanza allaemancipazione è entrata in crisicome la modernità. La globaliz-zazione mediatico-linguistica hariproposto il problema politicodella lingua oltre i temi della for-ma e della funzione, perché lamassificazione globalizzata haaccelerato i processi di liberazio-ne collettiva, ma ha schiacciatola voce di ogni individuo. Eccoperché la parola che scaturiscedalla relazione è un ponte getta-to sul rumore di fondo della glo-balizzazione, una forma di orien-tamento simbolico che funziona

come struttura assente, ma agen-te sulle competenze linguistiche.Allora riflettere sulla lingua comebene comune è questione politi-ca aperta che ci ripropone la do-manda su come nasce e cresce unsoggetto linguistico in uno spa-zio di relazione pubblica.L’introduzione di Paola Bono ciinforma che il libro è un percorsodi riflessione collettiva che, a par-tire da una proposta di Vita Co-sentino (curatrice della pubblica-zione con Guido Armellini, GianPiero Bernard, Paola Bono, LauraFortini, Antonietta Lelario), hacoinvolto esponenti del movimen-to dell’Autoriforma gentile, dellaSocietà Italiana delle Letterate,del Giscel (Gruppo di Interventoe Studio nel Campo dell’Educazio-ne Linguistica) del Piemonte e delCircolo Bateson di Roma.In questo libro a prender parolasono soprattutto le insegnanti,non più vestali che difendono ilfuoco sacro della grammatica, masciamane invisibili della parolache riflettono sulla forza di tra-sformazione del linguaggio, sulrapporto tra oralità e scrittura,sull’errore e sull’importanza delledifferenze, sulla lingua che è ingrado di inventarsi un possibilenuovo mondo.

MARCO LORENZINI

Oscar Brenifier,(illustrazioni di JérômeRuillier), Che cos’è lavita?, Giunti, 2006,euro 11

Oscar Brenifier,(illustrazioni di ClémentDevaux), Che cos’è ilbene? E il male?, Giunti,2006, euro 11

Libri di filosofia per ragazzi, dai7 anni in su, dedicati alle “pic-cole grandi domande” (questo iltitolo della collana) che si fannoi bambini e che sono le stesseche si sono posti da sempre ledonne e gli uomini nelle diverseepoche storiche (quello che cam-bia, semmai, sono le risposte chesi sono dati). Piccole grandi do-mande, quindi, che non sono “ledomande buffe” dei bambini, male domande fondanti (sulla vitae la morte, sulla morale, l’amore,la felicità…) che diventano con-tenuto e metodo. Nei libri, in-fatti, ogni domanda riceve alcu-ne possibili risposte, che a lorovolta aprono altre domande e cosìvia, nell’esercizio della più laica(e oggi negletta) delle virtù: ildubbio.Libri “di” filosofia, quindi, e non“sulla” filosofia, realizzati secon-do un metodo ideato dal filosofoOscar Brenifier (www.brenifier-philosopher.fr.st) che da anni, inFrancia, conduce laboratori filo-sofici per bambini, adolescenti eadulti. La collana nasce proprioda un progetto realizzato nellescuole primarie di Nanterre.L’idea di base è che tutti possa-no “filosofare” e che “fare filo-sofia” è sicuramente più stimo-lante che “studiare la filosofia”,che il più delle volte, nei licei, siriduce allo studio del pensiero deifilosofi, senza nemmeno cercaredi individuare quella linea di co-struzione e decostruzione dell’es-sere che da Talete arriva a Hei-degger e oltre.La leggerezza di questi libri (duetitoli pubblicati e almeno altridue in arrivo), supportata dall’iro-nia delle illustrazioni e del formato(simile a una rubrica telefonica),non deve far pensare a una su-perficialità o a una semplificazio-ne banale, “se no i bambini noncapiscono”. Per Italo Calvino laleggerezza era una qualità dellaletteratura e per filosofi comeSocrate l’ironia era metodo. Comedire: un sorriso – se non un’enor-me risata - vi seppellirà.

FRANCESCA CAPELLI

Giuseppe Panella - Giovanni Spena

Il lascitoFoucaultintroduzione di Remo BodeiCollana «Philosophia», 11pp. 150euro 14,90

«A oltre vent’anni dalla sua morte, lavalutazione di ciò che resta fecondonel discorso di Foucault induce i dueautori di questo libro a riportare inluce una figura diversa da quella che –sotto la pressione politica del

Sessantotto e del successivo interesse “narcisistico” degli individuiper una “cura di sé” sui generis – il personaggio aveva proiettato.Con una mossa estraneante, Giuseppe Panella e Giovanni Spenacercano di mettersi dinanzi a Foucault con uno sguardo “ingenuo”,come se raschiassero dai suoi testi le incrostazioni parassitarie e gliinnumerevoli strati interpretativi che vi si sono depositati. Panellamostra come il pensiero di Foucault tragga linfa dalla letteratura ecome sia difficile nei suoi scritti tracciare una netta linea divisoriatra la letteratura stessa e la filosofia. Spena, intrecciando il suodiscorso con quello di Panella, mostra il senso del percorso diFoucault in tutte le sue principali tappe, nel trentennio che vadall’edizione di Traum und Existenz di Binswanger, nel 1954 (dove ilsogno appare come espressione dell’originaria libertà umana), allasua morte nel 1984» (dalla Presentazione di Remo Bodei).

A cura di P. Castello, G.Gabrielli, L. Lollini, A.Palmi, R. Puleo, S.Santuccio, Quando suonala campanella. Raccontidi scuola, Manifestolibri,Roma 2006, pp.160,euro 14,00

«Sulla scuola hanno raccontato inmolte, in molti. Racconti diver-tenti, sarcastici, ricordi di umilia-zioni infantili, di imbarazzi adul-ti, di incontri scombinati, di fol-goranti scoperte. Narrare esperien-ze reali e immaginarie, fantascien-za, ricordi, cronache. Abbiamopensato di farlo anche noi, o me-glio, di invitarea provare la scrittura narrativa advasto gruppo di persone cui lascuola sta a cuore. Maestre e pro-fessori, ma anche studentesse eex studenti (ognuno lo diviene),scrittori. Ognuno può scrivere discuola». Scrivevano così nel feb-braio 2005, i curatori e le curatri-ci del libro lanciando il progetto“La scuola: pensiamola per storie”.All’iniziativa del CESP - CentroStudi per la Scuola Pubblica (viaSan Carlo 42, Bologna, tel./ fax051.241336, www.cespbo.it; e-mail [email protected];viale Manzoni 55, Roma, tel.06.70452452, fax 06.77206060,www.cobas-scuola.org/cesp/index.html) hanno risposto intante, tanti, e ora è stata pub-blicata una selezione di «tren-taquattro racconti brevi firmatida scrittori noti (come Cacucci,Evangelisti, Lolli, Pitzorno, Tas-sinari, Bifo), da alcuni di noi diécole (Andrea Bagni e AlbertoMelis), ma anche da insegnanti,maestri, studenti ed ex studenti,[che] tracciano un panorama iro-nico, polemico e intergenerazio-nale della scuola italiana di oggi,alle prese con i conflitti e i disa-gi suscitati dalle riforme Morattie con le nuove domande espres-se dal mondo giovanile».Ne è emersa una narrazione plu-rale, un’antologia di racconti«nata in mezzo ai conflitti e allesofferenze legati alla controrifor-ma della scuola».Le attività del Cesp tengono in-sieme la riflessione culturale el’impegno conflittuale nella so-cietà. Il progetto da cui è parti-ta la pubblicazione ha fatto se-guito all’uscita di Ogni scolaret-ta sa che. Controlessico della scuo-la ai tempi della riforma. Moratti(settembre 2004, consultabile sulsito www.cespbo.it).

CELESTE GROSSI

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libri per la scuolaRaffaele Carcano (a curadi), Le voci della laicità,collana “Intersezioni”,Edup, Roma 2006,pp. 291, euro 15,00

Le voci della laicità è il bel titolodi un volume pubblicato nelloscorso mese di febbraio per ini-ziativa della “Consulta per la li-bertà di pensiero e la laicità delleistituzioni” istituita nel 2004 dalComune di Roma.Si tratta di 22 saggi sui granditemi della laicità – Concordato,Definizioni (laicismo e laicità),Discriminazioni, Donne, Educazio-ne, Ricerca scientifica, Europa,Eutanasia, Testamento biologico,Famiglia, Procreazione responsa-bile, Omosessualità, Unioni civi-li, Finanziamenti alla religione,Libertà religiosa, Ritualità, Memo-ria storia, Relativismo ?, scritti daautori e autrici impegnati /e inaltrettante associazioni laiche ap-partenenti alla Consulta: M. A. Ma-nacorda, F. Coen, F. M. Colorni, A.Buttaglieri, L. Campagnano, A.Baraldi Sani, V. Pegna, G. Fornari,A. Cardente, M. Staderini, F. Pa-tané, L. Pesce, A. M. Agugliaro, M.Barbalato, F. Galluccio, G. Ercoles-si, A. Maccarrone, E. Spinelli, M.Fumo, C. Flamini, G. C. Vallocchia,V. Pocar, M. Zela.A Sergio Lariccia è stato attribuitoil compito non facile di introdurrelettori e lettrici in terreni così spe-cifici facendone emergere il filorosso che li accomuna rappresen-tato dal punto di vista laico.Il volume è completato da unabreve antologia di scritti sulla lai-cità a partire dall’epoca medioe-vale, testi rappresentativi di cul-ture europee e di popoli orientalicurata da Raffaele Carcano, giova-ne studioso al quale va il meritoprincipale della struttura dell’ope-ra. In appendice, oltre a una pre-ziosa guida bibliografica “Per ul-teriori approfondimenti” a cura diSergio Lariccia, trovano posto ilprotocollo d’intesa sull’istituzionee il funzionamento della Consulta,e schede biografiche riferite agliautori e alle autrici, nonché alleassociazioni della Consulta.L’importanza di Le voci della laici-tà sta nella varietà e nell’ampiez-za dei temi trattati, spesso conriflessioni originali e accenti cri-tici nei confronti delle istituzionicivili della nostra Repubblica, in-capaci di garantire concretamen-te il rispetto dei valori laici.Il volume può essere acquistatotramite e-mail a [email protected],indicando il numero di copie e ilproprio indirizzo e inviando via fax(06.6780702) la ricevuta del ver-samento su bollettino di contocorrente postale n. 35524008 in-testato EDUP srl.

ANTONIA SANI

Giovanni Boniolo (a curadi), Laicità. Unageografia delle nostreradici, Einaudi, Torino2006, pp. 257, euro 15,80

Ho l’impressione che il dibattitosulla laicità stia assumendo unacerta rilevanza. Sarà per il momen-to politico che vede il berlusco-nismo in bilico, sarà perché laChiesa sta vivendo un momentodi passaggio di poteri ed ha biso-gno di riaffermare i “suoi princi-pi”, sarà per la necessità di rivi-talizzare i temi della democrazia,ma vedo il “fronte laico” più com-battivo e reattivo del solito. Que-sto libro collettivo, curato da Gio-vanni Boniolo, docente di Logicae Filosofia della Scienza vede icontributi di numerosi importan-ti studiosi. Citiamo, tra gli altri:Gian Enrico Rusconi, Clotilde Pon-tecorvo, Maurizio Mori, GiorgioGioriello, Carlo Alberto Redi. Iltitolo è fedele all’intenzione: of-frire una panoramica ragionevolee ragionata della “geografia dellenostre radici”, del pensiero lai-co. Ma l’aspetto interessate è dicalare la riflessione immediata-mente nel contesto attuale. Inquesto senso è un libro assolu-tamente utile perché aggiorna-to, documentato. Non è solo unvezzo professorale, mi pare unascelta epistemologica precisa:quella di considerare il concettodi laicità come una chiave di let-tura privilegiata del nostro tem-po, qui ed ora. Ancorandosi sì alpassato e guardando al futuro, macercando soprattutto una busso-la “geograficamente” precisa perorientarsi. E così viene meno ognipossibile accusa di settarismo, diacredine: il tono è sempre quellodi cerca di ragionare e di ampliareil discorso al di là delle, sia pureinevitabili, diatribe con il pen-siero religioso. Sia chiaro: nonsiamo di fronte ad un progetto“riformistico” della laicità, macertamente lo sforzo, che condi-vidiamo, è di proporre un’ideadella laicità quale valore auspi-cabile e condivisibile da tutti. Sa-pendo bene che chi volesse dirsilaico per opportunità di potere(si pensi alla “sana laicità” richie-sta dalla Chiesa per poter sem-pre più liberamente interferiresulla vita pubblica italiana) nontroverà scampo tra queste pagi-ne, calme e ferme. Già la ricercadella definizione di laicità, cor-rettamente intesa prima di tuttocome “metodo” è interessante:«atteggiamento intellettuale ca-ratterizzato in modo sufficientedal lasciare (e auspicabilmentedall’avere) libertà di coscienza,intesa quale libertà di conoscen-za, libertà di credenza, libertà dicritica e di autocritica». Diceva-

mo prima della volontà di affran-carsi da una visione ristretta del-la laicità come problema dell’op-posizione a ciò che è confessio-nale: naturalmente, però, tutti gliautori devono fare i conti col pen-siero e l’azione della religione edelle Chiese. Tuttavia i temi sonoarticolati anche se ruotano attor-no a due problematiche: la demo-crazia e la ricerca scientifica. At-traverso il primo tema sono dasegnalare i contributi di Rusconisull’etica pubblica che riprendeampliandoli i suoi pensieri giàespressi in Come se Dio non ci fos-se (2000) e di Stefano Ceccantisu laicità e diritto. Significativa-mente è presente un saggio sulaicità ed istruzione di ClotildePontecorvo che ha il merito, oltredi sintetizzare pressoché tutte lequestioni istituzionali, anche diproporre una lettura fondamenta-le del problema del rapporto trascuola e laicità: attraverso il con-cetto di libertà che riconosca lapresenza di domande individualiall’interno della scuola che ani-mate da una didattica dell’inte-grazione superi ogni conflitto le-gato alle didattiche dell’apparte-nenza. Al secondo filone fannoriferimento saggi molto opportu-ni su temi quali: vita e morte, fe-condazione assistita, biotecnolo-gie, darwinismo ed anche massmedia.È questo il buono del libro: decli-nare il concetto di laicità nei do-versi ambiti della nostra vita inuna sorta di manifesto intellet-tuale che affronti le questioni es-senziali in termini di confronto.

STEFANO VITALE

Sergio Tramma,Educazione e modernità,Carocci Editore Milano,2005, pp. 143, euro 14,60

Sergio Tramma, docente di peda-gogia sociale all’università Bicoc-ca di Milano, nel tracciare il pro-filo della contemporaneità nellamolteplicità dei suoi aspetti eco-nomico, culturali, sociali, si chie-de se ci sono, dal punto di vistapedagogico, riferimenti da cuipossano derivare alcune idee con-divise rispetto a come potrebbe-ro vivere gli esseri umani nel pre-sente e nell’immediato futuro ese si possono individuare orien-tamenti ed azioni educative col-locate nel sociale dove i sogget-ti individuali e collettivi possa-no fare esperienze di apprendi-mento.Le domande sono legittime se sipensa alle caratteristiche che lacontemporaneità è andata assu-mendo rispetto alle incertezze, alsenso di indeterminatezza, fram-

mentazione e ambiguità in cuioggi si è costretti a vivere in se-guito ad un mondo ad economiaglobalizzata.In apparenza può sembrare chegli individui liberati dai vincolidella modernità, che pur tra nonpoche contraddizioni, garantivauna solidità economica, sociale,culturale, si abbandonino allasperanza della possibilità di rea-lizzare, finalmente il ricongiun-gimento tra creatività e lavoro at-traverso progetti sempre più in-dividualizzati e sempre meno col-lettivi o intraprendere attivitàche non impegnino la vita in per-corsi predeterminati, al contra-rio stimolino alla intraprendenzae all’affermazione della sua au-tonomia.Ad un’analisi più attenta il qua-dro è tutt’altro, la precarietà el’incertezza lavorativa pesa sul-l’individuo e produce effetti di ri-dimensionamento della sua pro-gettualità professionale, esisten-ziale, familiare, della sua forma-zione, dei suoi spazi e tempi direlazione. Anche la limitazionedelle garanzie sociali, lo rendepiù solo e sempre più responsa-bile del proprio agire in un con-testo che diventa sempre piùprecario, rispetto alle possibili-tà lavorative, all’orizzonte cultu-rale ed educativo e sempre piùcomplesso rispetto alle sfide chela multietnicità e multiculturali-tà, nel quotidiano, impongono.La pedagogia oggi, sostieneTramma, non può appiattirsi sul-l’esistente come unico orizzontedi possibilità e rinunciare ad as-sumersi responsabilità educativea fronte di “un libero mercato” re-golatore della vita individuale ecollettiva. Deve invece contrastarela tendenza all’umanità di massa,favorire la formazione della per-sona nella sua unicità e in tuttele dimensioni e possibilità rela-zionali. Deve rifiutare l’individua-lizzazione e la personalizzazionedei percorsi formativi a misuradell’utenza, sollecitare gli indivi-dui ad essere protagonisti dellacostruzione del proprio itinerariodi vita e della propria storia diformazione attraverso l’assunzio-ne completa di responsabilità in-dividuale e collettiva e la valo-rizzazione delle componenti col-laborative.Anche se in assenza di orienta-menti certi rispetto a quadri filo-sofici, politici e valoriali, la pe-dagogia, continua Tramma, nonpuò non accettare le sfide di unmondo con componenti semprepiù interattive presenti nel quo-tidiano e con una multiformitàculturale che accentua ricerche diappartenenza territoriali, socialie comunitarie.

MARISA NOTARNICOLA

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Le storie di tradizione po-polare sono piene di violen-za, non si può negare: proba-bilmente la saggezza popola-re sa bene che ci sono emo-zioni, sentimenti, modi di es-sere e di pensare che non sipossono rimuovere. Questonon significa che la violenzasia da accettare e giustifica-re: le storie ci vogliono inse-gnare a produrre i giusti anti-corpi, vogliono aiutarci a ri-flettere sulle nostre comuniemozioni per trovare nuovesoluzioni ai conflitti che at-traversano la nostra vita. Quista il punto: la violenza è una“non soluzione” per il conflit-to che, a sua volta, è il veronodo del problema. Le storieci parlano di noi, nel bene enel male, e senza moralismi cipermettono, adulti e ragazzi,di cogliere il senso dei con-flitti che viviamo ed ad allon-tanare da noi non tanto la re-altà del conflitto quanto latentazione di una facile solu-zione, quella violenta. Ma cosìle storie possono anche farpaura, mettere a disagio, porcidi fronte al male, alla cattive-ria ed insegnarci così a rifug-girla. C’è un racconto terribiledi Roald Dahl, “Il cigno” in Ungioco da ragazzi ed altre sto-rie (Salani, 2001) in cui il ra-gazzo Peter Watson subisce lepeggiori angherie immagina-bili da parte di due suoi coe-tanei, Ernie e Raymond. Laloro ignoranza crassa e violen-ta è il motore dell’azione cheaggredisce e devasta l’intelli-genza di chi, come Peter, sadi essere di fronte ad un gra-ve pericolo. A nulla serve il ra-gionare. La cattiveria chiamaaltra cattiveria specie se ali-mentata dalla vendetta: Peterè un ragazzino troppo diver-so, perché normale per essereaccettato da due idioti. Il fi-nale è magico e bellissimo:Peter è costretto a lanciarsi da

un albero avendo legate allebraccia le ali recise ai suoiamati cigni, allora si alza involo e sfugge ai suoi aguzzi-ni. Sogno o realtà? Forse fasolo ciò che ciascuno di noivorrebbe fare in situazionisenza via d’uscita. SempreDahl ci dà un altro esempiocol racconto Il dito magico(Salani, 1977): la protagoni-sta, un po’ come la più cele-bre Matilde, ha un dito magi-co col quale punisce le perso-ne cattive, insensibili e stu-pide. La famiglia Paper, ma-dre, padre e due ragazzi dinome Philip e William, trag-gono molto piacere dall’anda-re a caccia uccidendo anatreper il puro gusto di farlo. Labambina col dito magico faspuntare loro le ali ed i ruolis’invertono. La famiglia Papervive nei nidi sugli alberi e di-viene oggetto di caccia daparte delle anatre. Lo scam-bio dei ruoli li porta così acomprendere l’assurdità deiloro comportamenti violenti.Il rapporto tra l’uomo e glianimali è spesso un terreno sulquale emerge con chiarezza il

tema dell’aggressività e dellaviolenza. Bernard Clavel, scrit-tore francese, ha pubblicato(Einaudi, 2004) il libro Storiedi cani. Cinque racconti in cuiemerge tutta la stupidità de-gli uomini. Racconti scritti inperfetto spirito avventuroso,a cavallo tra Conrad e London,che ci commuovono e sconvol-gono, senza sconti: Kouglof,cane da guerra suo malgradoche riesce a tornare a casa;la cagna Tempesta che salvala vita in mare anche al suopeggior nemico; Dick che vie-ne abbattuto perché troppovecchio senza capire perché;Clifden, anch’esso costretto acombattere che si ribella alsuo torturatore ed Akita, chemuore per l’impossibilità dicomunicare coi suoi padroniincapaci di capirlo, presi comesono nella loro logica parzia-le. Non c’è retorica né facilecompiacenza in questi raccon-ti, c’è invece una grande faci-lità e felicità narrativa che sacomunicare pensieri sempliciquanto essenziali: come quel-lo che dentro la pretesa razio-nalità dell’uomo si può na-

Anticorpie occhi diversi

STEFANO VITALE

scondere violenza e ottusità.Non sempre le cose sono comeappaiono: in una sorta di “dia-lettica dell’illuminismo” sonoi più deboli, animali e bambi-ni, esclusi e marginali a “sco-prire la verità”. Come accadenel racconto “Josa ed il violi-no magico” di Janosh o nellastoria “Buonanotte, signorvagabondo” di Astrid Lindgren(entrambi in Era una nottebuia e tempestosa, Einaudi,2002). Nel primo, Josa purpiccolissimo, riesce ad avereragione dei potenti grazie alviolino magico che con la suamelodia fa diventare grandeciò che è piccolo, mentre suo-nata alla rovescia fa diventa-re piccolo ciò che è grande.Nel secondo, Sven ed Anna,lasciati soli in casa dai geni-tori che si sono raccomandatidi fare attenzione ai vagabon-di, passano la più bella seratadella propria vita proprio incompagnia del “nemico”. Enon si dimentichino le bellefavole di Leo Lionni (“Pezzet-tino ed altre storie” e Le fa-vole di Federico”), tutte ani-mate dalla ricerca di una so-luzione creativa ed alternati-va ai conflitti, grandi e picco-li, della nostra vita. È il casodi “Questo è mio” in cui treranocchi si rendono conto chevivere in pace appartiene atutti; di “Nicola, dove sei sta-to?” in cui i topi scoprono chei loro presunti nemici uccellinon sono poi così cattivi; di“I sei corvi” dove la logica delconflitto tra un contadino edi corvi porta solo ad una sim-metria di aggressività, men-tre altre sono le possibili so-luzioni. Queste storie parlanoai bambini di realtà concretein cui è facile riconoscersi:senza retorica, senza finzioniproponendo “un altro punto divista”. E a cosa servono le sto-rie se non a vedere il mondo ese stessi con altri occhi?