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PAGINA 1 edit Compleanni GIUSEPPE PONTREMOLI Come tutti ben sanno, molte sono le cose ridicolmente patetiche e pateticamente ridicole la cui vista si è costretti a subire. Tra queste, gli adulti che bamboleggiano, che fanno i ragazzini, adolescenti di trenta e quaranta e cinquanta e più anni, desolanti figuri che dietro il cerone giovanotteggiano sgambettando e cinguettando. Bisognerebbe metter loro da qualche parte il pannolino o il bavagli(n)o, magari servendosi di quel grande romanzo che è Ferdydurke di Witold Gombrowicz (del 1937; pubblicato da Einaudi nel 1961 e da Feltrinelli nel 1991): la storia di un uomo che una mattina si trova riprecipitato in una classe di scuola, circondato da un mucchio di altrettali rimbambi(ni)ti. E così il primo impulso, sentendo tanto parlare dei cinquant’anni del Giovane Holden, è quello di tenermene alla larga. Fortunatamente si tratta dei cinquant’anni di The Catcher in the Rye, Il giovane Holden, il libro, e non già del suo protagonista Holden Caulfield, il quale peraltro dovreb- be averne ormai almeno sessantasette, se già ne aveva diciassette quando il libro apparve, ap- punto nel 1951. Il giovane Holden è un bel libro, un libro importante, anche, e fa piacere che ancora venga letto, anche se a me non è mai sembrato quel libro sconvolgente che molti dipingono. Proviene indub- biamente da Mark Twain e, pur operando una notevole confusione tra Tom Sawyer e Huckleberry Finn, delinea un protagonista che di quei due indimenticabili personaggi è parente stretto. Quel che a Holden manca, però, per eguagliarli e magari andare oltre loro, è un sovrappiù archetipico e poetico che essi invece hanno in abbondanza, e soprattutto Huck. Inoltre, proprio in quegli stessi anni, e finanche in quel medesimo 1951, sempre da quelle parti, nascevano o venivano concepiti altri libri composti di ingredienti fortemente analoghi. E non mi riferisco tanto al decisamente inferiore Sulla strada di Jack Keruac (pubblicato nel 1957, ma scritto proprio nel 1951), quanto piuttosto a Le avventure di Augie March (del 1953) di Saul Bellow e ancor più al magnifico La veglia all’alba (1951) di James Agee. Giovani, adolescenti, ragazzi, alle prese con se stessi e con il proprio stare nel vasto mondo, alle prese con l’ipocrisia, la sofferenza, il male, la morte; alle prese con le dinamiche di illusione e disillusione, utopia e disincanto, innocenza e ferocia, silenzio e rabbia, dono e calcolo, ribellione e regressione; alle prese con la propria storia — nonché con la Storia. Alle prese con il raccapriccio del sordo ronzare dell’età adulta, un concitato girare a vuoto e nel vuoto, e il cui unico pieno sembrerebbe essere la mortificazione delle sensibilità. Alle prese con le proprie ineludibili domande. «Chi diavolo sono... chi sono, in nome di Dio», diceva James Agee in un altro suo libro straordinario, Sia lode ora a uomini di fama (del 1941, pubblicato dal Saggiatore nel 1994). Purtroppo, nel caso di Agee si può festeggiare il compleanno dei soli libri, essendo lui stato fermato per sempre nel 1955 a bordo di un taxi, nella viva maturità dei suoi quarantasei anni, da un infarto. Nel caso del Giovane Holden si possono invece ancora fare festeggiamenti anche al suo ottantaduenne papà, Jerome David Salinger, al quale augurerei soprattutto di riuscire a ottenere di essere lasciato in pace e rispettato nel proprio desiderio di rimanere appartato, nonché di essere considerato per avere scritto non soltanto Il giovane Holden ma anche altre cose, ben più preziose. Sì, non stravedo per Salinger, ma i Nove racconti (Einaudi) sono molto belli, specialmen- te Un giorno ideale per i pescibanana e il personaggio che racconta ai ragazzini le avventure de L’uomo ghignante. E poi Salinger ha il merito enorme di avere scritto una frase che bisognerebbe scolpire all’entrata di ogni scuola: «Non capisco che senso abbia sapere cosí tante cose ed essere bravi e brillanti come pochi se poi non si è felici». L’ha scritta in un altro suo libro, Alzate l’architrave, carpentieri (Einaudi), la cui epigrafe canta così: «Se in tutto il mondo è rimasto ancora un lettore che legga per il gusto di leggere — o che comunque dopo aver letto se ne vada per i fatti suoi — gli chiedo o le chiedo, con indicibile affetto e gratitudine, di dividere la dedica di questo libro in quattro parti con mia moglie e i miei bambini». Grazie. E buona fortuna.

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edit Compleanni

GIUSEPPE PONTREMOLI

Come tutti ben sanno, molte sono le cose ridicolmente patetiche e pateticamente ridicolela cui vista si è costretti a subire. Tra queste, gli adulti che bamboleggiano, che fanno i ragazzini,adolescenti di trenta e quaranta e cinquanta e più anni, desolanti figuri che dietro il ceronegiovanotteggiano sgambettando e cinguettando. Bisognerebbe metter loro da qualche parte ilpannolino o il bavagli(n)o, magari servendosi di quel grande romanzo che è Ferdydurke di WitoldGombrowicz (del 1937; pubblicato da Einaudi nel 1961 e da Feltrinelli nel 1991): la storia di unuomo che una mattina si trova riprecipitato in una classe di scuola, circondato da un mucchio dialtrettali rimbambi(ni)ti.E così il primo impulso, sentendo tanto parlare dei cinquant’anni del Giovane Holden, è quello ditenermene alla larga. Fortunatamente si tratta dei cinquant’anni di The Catcher in the Rye, Ilgiovane Holden, il libro, e non già del suo protagonista Holden Caulfield, il quale peraltro dovreb-be averne ormai almeno sessantasette, se già ne aveva diciassette quando il libro apparve, ap-punto nel 1951.Il giovane Holden è un bel libro, un libro importante, anche, e fa piacere che ancora venga letto,anche se a me non è mai sembrato quel libro sconvolgente che molti dipingono. Proviene indub-biamente da Mark Twain e, pur operando una notevole confusione tra Tom Sawyer e HuckleberryFinn, delinea un protagonista che di quei due indimenticabili personaggi è parente stretto. Quelche a Holden manca, però, per eguagliarli e magari andare oltre loro, è un sovrappiù archetipicoe poetico che essi invece hanno in abbondanza, e soprattutto Huck. Inoltre, proprio in queglistessi anni, e finanche in quel medesimo 1951, sempre da quelle parti, nascevano o venivanoconcepiti altri libri composti di ingredienti fortemente analoghi. E non mi riferisco tanto aldecisamente inferiore Sulla strada di Jack Keruac (pubblicato nel 1957, ma scritto proprio nel1951), quanto piuttosto a Le avventure di Augie March (del 1953) di Saul Bellow e ancor più almagnifico La veglia all’alba (1951) di James Agee. Giovani, adolescenti, ragazzi, alle prese con sestessi e con il proprio stare nel vasto mondo, alle prese con l’ipocrisia, la sofferenza, il male, lamorte; alle prese con le dinamiche di illusione e disillusione, utopia e disincanto, innocenza eferocia, silenzio e rabbia, dono e calcolo, ribellione e regressione; alle prese con la propria storia— nonché con la Storia. Alle prese con il raccapriccio del sordo ronzare dell’età adulta, unconcitato girare a vuoto e nel vuoto, e il cui unico pieno sembrerebbe essere la mortificazionedelle sensibilità. Alle prese con le proprie ineludibili domande. «Chi diavolo sono... chi sono, innome di Dio», diceva James Agee in un altro suo libro straordinario, Sia lode ora a uomini di fama(del 1941, pubblicato dal Saggiatore nel 1994).Purtroppo, nel caso di Agee si può festeggiare il compleanno dei soli libri, essendo lui statofermato per sempre nel 1955 a bordo di un taxi, nella viva maturità dei suoi quarantasei anni, daun infarto. Nel caso del Giovane Holden si possono invece ancora fare festeggiamenti anche al suoottantaduenne papà, Jerome David Salinger, al quale augurerei soprattutto di riuscire a otteneredi essere lasciato in pace e rispettato nel proprio desiderio di rimanere appartato, nonché diessere considerato per avere scritto non soltanto Il giovane Holden ma anche altre cose, ben piùpreziose. Sì, non stravedo per Salinger, ma i Nove racconti (Einaudi) sono molto belli, specialmen-te Un giorno ideale per i pescibanana e il personaggio che racconta ai ragazzini le avventure deL’uomo ghignante. E poi Salinger ha il merito enorme di avere scritto una frase che bisognerebbescolpire all’entrata di ogni scuola: «Non capisco che senso abbia sapere cosí tante cose ed esserebravi e brillanti come pochi se poi non si è felici». L’ha scritta in un altro suo libro, Alzatel’architrave, carpentieri (Einaudi), la cui epigrafe canta così: «Se in tutto il mondo è rimastoancora un lettore che legga per il gusto di leggere — o che comunque dopo aver letto se ne vadaper i fatti suoi — gli chiedo o le chiedo, con indicibile affetto e gratitudine, di dividere la dedicadi questo libro in quattro parti con mia moglie e i miei bambini». Grazie. E buona fortuna. ●

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preSgradevole confrontation

VITO MELONI

Il 9 aprile il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ha votatoun documento che in sostanza chiede il blocco sine die della riforma.

I lavori si sono avviati in un clima piuttosto teso e con qualche scaramucciasu questioni procedurali. Di fatto non c’è stata discussione

Gli unici interventisono stati di componentiCgil e Cidi. Al momentodel voto la delegazioneCgil-Cidi ha dichiaratol’abbandono della seduta;la conseguente richiesta diverifica del numero legaleè stata giudicata impropo-nibile dalla presidenza per-ché si era già in fase di vo-tazione (in verità si stava-no facendo le dichiarazio-ni di voto).Cisl e Snals si sono coaliz-zati determinando le con-dizioni del risultato. Per laCisl il dissenso era più le-gato alla non condivisionedi un impianto pedagogicoin contraddizione con ipropri modelli culturali;per lo Snals quella sui cicliè diventata la battaglia diidentità su cui il nuovogruppo dirigente vuole ca-ratterizzarsi. Per tutti e duepesano le necessità di ridi-slocazione rispetto al qua-dro politico: in ogni caso sicandidano a rappresentareil disagio che nelle scuolec’è ed è forte.

Che ciimportadellascuola?Presentazionedi école con

DomenicoStarnoneMilano10 maggioore 20.30Libreria Tikkunvia Montevideo 9

La Cgil esce da questa vi-cenda sconfitta ed isolata.Panini ha insistito sull’ille-gittimità della votazione. Èuna posizione che non fa iconti con il fatto che, an-che se con qualche forza-tura procedurale, il docu-mento votato rappresental’orientamento della mag-gioranza del Consiglio;inoltre è incomprensibilel’affermazione che il Cnpinon avrebbe titolo a chie-dere sospensioni essendo ilministro obbligato dalle ri-soluzioni parlamentari: sa-rebbe una sorta di sovrani-tà limitata che lo ridurreb-be a un ruolo di mera con-sulenza tecnica. La veritàè che la Cgil paga oggi glierrori di gestione della fase

precedente in cui si è so-stanzialmente spesa in unsostegno “a prescindere”all’iniziativa del ministro.Quella che oggi va in crisiè una impostazione “mo-noculturale” della riformache ha impedito lo svilup-po di una discussione dilargo respiro su cosa si deveinsegnare e come, puntan-do tutto sullo scambio po-litico tra cicli e legge diparità.Personalmente ho vissutoquesta vicenda con profon-do disagio. In tutte le fasiprecedenti ho mantenutouna posizione critica, inautonomia da quella dellaCgil. Ma è apparso subitoevidente che la logica diconfrontation avrebbe com-

presso lo spazio di chi nonvoleva sottostare al o di qua,o di là. Alla fine ho ritenutodi condividere il destino del-la Cgil. In questi casi capitadi interrogarsi sulle propriecoerenze, ma confesso chenon so darmi risposte con-vincenti. ●

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La Fondazione NovaSpes (promotrice), il CentroStudi Gilda, il Progetto per larivalutazione dell’insegnamen-to e dello studio del mondoantico (Prisma), l’Istituto Ita-liano per gli Studi Filosoficifirmano un documento globa-le alternativo alle riforme delcentrosinistra, la Proposta diriqualificazione del sistemascolastico. Tra gli estensori:Giulio Ferroni, Antonio LaPenna, Lucio Russo, StefanoZamagni. Vi convergono“gentiliani”, “conservatori disinistra”, “riformisti moderati”(etichette semplificanti) con-vinti che la ristrutturazione diBerlinguer, Vertecchi, Mara-gliano e De Mauro “america-nizzi” e distrugga il megliodella tradizione italiana, da at-tualizzare invece con la fusio-ne tra liceo classico e scienti-fico. Il punto di partenza diquesto pensiero sta nella dife-sa della tradizione liceale giàpresente per esempio anche sein forma molto meno artico-lata nel manifesto dei “161 in-tellettuali contro il liceo super-market” del 1991 (allora labandiera era la difesa della let-tura obbligatoria dei PromessiSposi e il grido d’allarme con-tro il presunto iperspecialismocontemporaneista). La basecritica di una parte di questoraggruppamento per alcuniaspetti è poi affine, oggi, aquelle di Massimo Bontem-pelli e della rivista Koinè (v.école n. 81/2000, “Filosofi inmovimento”), c’è la convin-zione cioè che la sinistra tec-nocratica di governo sia il mi-gliore veicolo del neoliberi-smo, per cui essere “conserva-tori” può essere ormai il veromodo di essere anticapitalisti.

Selezione orientativa

La Proposta prende le mossedalla riforma Gentile ma perprecisarne subito la impropo-nibilità nel quadro della scuo-la di massa. Proverò ora a sin-tetizzare alcune idee-base del

Una classica propostadi riqualificazione

PAOLO CHIAPPE

Un documento sull’architettura dellascuola, sui curricoli dei vari cicli, sulle

singole materie d’insegnamento,controcorrente rispetto al pensiero

unico e all’aziendalismo sia delcentrosinistra che delle destre

testo. Le riforme Berlinguer-De Mauro aprono la stradaalla pura socializzazione esono subalterne al sistemaeconomico e alle tecnologie,al tentativo di trasformare ilnostro paese in un mercatoanonimo di prodotti interna-zionali. Affermano la centra-lità della conoscenza, peròdanno luogo ad un sistema(moduli, crediti, competenze)che di fatto abbassa il livelloculturale. La loro pretesa diintrodurre le “ultime novità”è insensata perché esse sareb-bero quasi obsolete nel mo-mento in cui trovassero unacollocazione nei programmi;ed è inutile perché il “nuovo”richiede la conoscenza di ciòche lo ha preceduto. Il siste-ma configurato è dettagliata-mente prescrittivo, il moduloè malamente inteso e applica-to come metodo universale. Illinguaggio delle immagini èprivilegiato rispetto a quelloverbale (ma è proprio veroquesto?). L’ampia porzionedel monte ore riservata ai sin-goli istituti frammenta il pa-trimonio culturale comune.Il nucleo profondo minaccia-to dalle riforme attuali è defi-nito con due termini che era-no presenti soprattutto nel li-bro di Lucio Russo Segmentie bastoncini: metodo dimostra-tivo e argomentazione razio-nale. Più del saper fare è il sa-pere che mette l’individuo ingrado di orientarsi nel mon-

do attuale. L’identità dellascuola è quella del luogo del-le conoscenze, il sistema scuo-la confina sì con altri sistemi:economico, sociale e politico,familiare, ma non deve esseresubordinato ad alcuno né ca-dere nella tentazione di assu-mere un ruolo di supplenza.La dispersione si combatte af-fermando accanto al dirittoallo studio il dovere di studia-re. La scuola deve educare allaresponsabilità e perciò distin-guersi dalla società consumi-stica che blandisce i giovani inquanto possibili clienti. Lo stu-dente, reso consapevole delleproprie capacità e inclinazio-ni e non illuso con la sempli-ficazione estrema dei percor-si di studio, va messo di frontefin dall’inizio della secondariaa itinerari ben definiti, o perlo studio teorico o per la for-mazione professionale o per laformazione artistica. Lo studioteorico sarà presente in tuttele aree, con approcci diversi acui corrispondono sistemi di-stinti ma di equivalenti possi-bilità educative e di istruzio-ne. Fermo restando però ilcriterio di selezione orientati-va (offerta di curricoli calibra-ti su livelli diversi di comples-sità, anche se i diversi livellinon coincidono con le “aree”e sono comunque definiti, aquanto pare, materia per ma-teria).In ogni caso non è compitodella scuola né dell’università

fornire conoscenze immedia-tamente spendibili nel merca-to. Dare flessibilità al sistemasignifica individuare profilirelativamente “stabili” di co-noscenze per preparare perso-ne in grado di adattarsi allemutevoli esigenze future.Contro l’«imperialismo delladidattica», si afferma che l’op-portuno potenziamento dellacapacità di apprendere nonsignifica che quest’ultima siadi per sé l’obiettivo, l’obietti-vo è nella formazione discipli-nare. Il sistema scolastico pub-blico così potrà continuare adessere anche il luogo di sele-zione della futura classe diri-gente, «contro ogni malinte-so democraticismo».

Selezione sociale

È questa una risposta abba-stanza definita alla questionedi come rimotivare i giovaniallo studio e un modo per riaf-fermare il ruolo della scuolapubblica. Il rischio è di ripro-porre la selezione sociale at-traverso la canalizzazione, diilludersi di “saltare” la criticadelle tradizione scolastica(con la sua impostazione eu-rocentrica, maschile, antiam-bientale e intellettualistica) oanche semplicemente la mes-sa in discussione dei vari ca-noni disciplinari, e soprattut-to di tornare a considerare le/i giovani come vasi da riempi-re. Ma è importante confron-tarsi con queste posizioni cheesprimono una visione altadella razionalità e della scuo-la, controcorrente rispetto alpensiero unico e all’azienda-lismo sia del centrosinistra chedelle destre.Essendo comunque impossi-bile riassumere tutti i con-tenuti di questo ricchissimodocumento (molto influen-zatI peraltro dalla personali-tà dei singoli estensori) rin-vio al testo integrale che po-tete trovare sul sito di école:www.scuolacomo.com/eco-le. ●

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CORSIVO

▼Andando oltre

la facile speculazione politica,o i facili collegamenti con iprovvedimenti fascisti dopo lecosiddette “leggi razziali”, laquestione vera che si pone è laseguente: nascere in un deter-minato luogo presuppone o dàuna qualche forma di diritto na-turale? E questa questione s’ac-compagna ad un altro interro-gativo: in che modo il sentiree l’identità di ognuno è deter-minata a partire dal luogo?Affronterò il problema a parti-re dal mio caso personale echiedo venia per questo.Sono nato a Vallelonga, un pic-colo paese in provincia di ViboValentia, e sono emigrato allasplendida età di un anno a To-rino, ovviamente accompagna-to dai miei genitori. Se aggiun-giamo le corrispondenti regio-ni, Calabria e Piemonte, entitàinesistenti come Terronia e Pa-dania, il suolo patrio, l’Italia,un contesto in formazionecome l’Unione Europea e un più“astratto” luogo come il Mon-do, mi domando: qual è la miaidentità?La risposta non è univoca. Misento vallelonghese, ma mi ren-do conto che ciò non mi dànessuna caratteristica determi-nante o particolare, ognuno puòsentirsi parte del luogo in cui ècasualmente nato. Mi sentotorinese, in altre parole la mag-gior parte della mia attualeesistenza è determinata da unvissuto, di oltre quarant’anni,e da un lavoro che svolgo inquesta città. Questa situazio-ne, per quanto importante, haanch’essa un’origine più o menocasuale, quella dettata dai flus-si migratori degli anni Cinquan-ta che hanno portato mio pa-dre a Torino, la città della Fiat.E comunque non mi sento ca-ratterizzato da qualche fonda-mentale differenza rispetto alvissuto, e ai lavori, di tanti al-tri cittadini e lavoratori di que-sta, come di tante altre, città.Mi sento un calabrese e non misento un piemontese, cioè unmeridionale e non un setten-trionale, ma per scelta cultura-le e per sentimento, per staredalla parte incerta del dubbioe della distanza, per sentirsisempre in un altro luogo.Poi Terronia come il Sud, maquesta è una questione stori-ca, sociale e politica, posta dal

Il luogoT. G.

Tra Piemonte e Lombardia, i volantinidella Lega Nord continuano a dire: «viagli insegnanti meridionali dalle scuoledella Padania». O comunque viaqualcuno da qualcosa che è in quelluogo. Riflessioni di un insegnantemeridionale a Torino

Nord e riproposta dai “padani”,e niente di più, direttamentenon mi appartiene. L’Italia ètermine anch’esso storico, dal1861, per ora ancora necessa-rio e poi chissà. L’Unione Euro-pea appare come il destinoprossimo, anche se ancora in-certo e poco definito. Nel Ses-santotto ci dicevamo cittadinidel mondo: e oggi?Ora, all’opposto del mio caso,pensiamo ad una persona cheè nata, come tutti, casualmen-te in un certo luogo, e lì è cre-sciuta, lì ha messo su famiglia,lì vive e lavora. Si capisce fa-cilmente come costui si possaconvincere che quel luogo gliappartenga e da sempre. Si ca-pisce come la sua identità cor-risponda a quel preciso terri-torio, ben delimitato da preci-si confini di lingua, di pelle, direligione, di vincoli familiari,d’interessi economici e di spa-zi geografici. Adesso, proviamoad immaginare di avere il po-tere di cambiare le condizionidi questa persona, facciamogliperdere il lavoro, la famiglia,l’orientamento, ed ancora fac-ciamogli scoprire che tutto in-torno a lui è diverso, che nien-te è più la stessa cosa. È chia-ro che quella persona diventauno straniero in quel luogo, ilsuo luogo non è più suo, anzilui non è più niente, e per nonmorire presto comprenderà chedovrà, se può, ricominciareoppure andarsene. Ricomincia-re, cioè ricostruire faticosamen-te un tessuto di relazioni so-

ciali con quella gente, o anda-re alla ricerca della comunitàperduta (o almeno emigrare incerca di un lavoro), andarequindi verso il suo esodo.A questo punto penso sia chia-ro che il luogo in sé non deter-mina nulla, nascere in un certoluogo come in qualsiasi altroluogo non fonda nessun dirit-to, più o meno naturalmentepresunto. Affermare il contra-rio significa porre le basi peruna deriva razzista della comu-nità che, chiudendosi sempre

più, sarà costretta a fare de-gli altri, anche i più vicini,degli stranieri da scacciare,prima o poi, dal paese-nazio-ne-interesse.Naturalmente lo stesso discor-so vale se le differenze radi-cali sono poste, invece che dalluogo di nascita, dal sanguecome purezza o dalla pellecome colore: sempre di razzi-smo si tratta!Allora il luogo non conta? Quelche conta è ciò che quel luogoè per me, per la memoria che viriconosco, per le relazioni chevi costruisco, per le storie e leemozioni che sento attaccatealle cose, alle pietre, alla piaz-za, alle case. Qualcuno, se èqualcosa, non è nulla di piùdelle relazioni sociali che in unluogo e in un certo tempo èriuscito a stabilire o ha alme-no desiderato di realizzare.Ognuno ha la sua Vallelonga daqualche parte che è parte di sée che vale quanto questo luogoper me.L’identità quindi corrisponde atutti i luoghi concreti o astrat-ti che si frequentano, volentio nolenti, perché è in quelmodo che si è, non per i luo-ghi ma per tutto quello che cigira dentro e intorno. E ognu-no deve avere la possibilità dientrare ed uscire da qualsiasiluogo. ●

SVALUTESCIONComunque vada il prossimo 13 maggio, bi-sognerà cominciare a riflettere su un meto-do “educativo” di valutazione degl’inse-gnanti.Alla prima ce la siamo scampata, col megasciopero che ha fatto passare la categoriaintera per conservatrice: l’opinione pubbli-ca mica ha capito che questo mestiere nonè del tipo “barrare re la casella”... e d’al-tronde, qualcuno ha fatto controproposteal quizzone?Il silenzio attuale non deve affatto rassere-narci. Di certo, da qualche parte c’è una com-missione o un movimento di pensiero cheelucubra, ed al momento (meno) opportu-no esternerà.Quindi, piuttosto che dover rischiare shownozionistici con pubblico avvezzo alle scar-toffie — invece che a cuori e menti — stia-mo all’erta, elaborando strategie e idee.Assai meglio dei burocrati-manager sareb-be, per esempio, venire “osservati” da un totdi colleghi estratti a sorte, a rotazione datutt’Italia tra quelli che, come noi, affronta-no la routine del modesto, imperfetto mareale e testardo, tentativo di coltivare intel-ligenze. [MONICA ANDREUCCI]

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LE LEGGIDiritti regionalizzati

CORRADO MAUCERI

Due anni di dibattiti e discussionisul ruolo istituzionale della scuola

puibblica, l’istruzione pubblicanon è più esclusiva competenza

dello Stato

Nella sua ultima sedu-ta il Parlamento ha approvatola cosiddetta riforma federali-sta, che prevede, tra l’altro, laregionalizzazione dell’istruzio-ne (ma anche del lavoro e dellasanità): diritti fondamentalicome il diritto all’istruzione,al lavoro, alla salute possonoessere differenziati nelle di-verse Regioni del Paese.Con il federalismo scolastico,al di là degli effettivi poteriattribuiti alle Regioni, la mag-gioranza di centrosinistra hadifatti affermato il principiosecondo cui l’istruzione non èuna funzione esclusiva delloStato, ma diventa un serviziopubblico che, fatte salve al-cune regole generali, è disci-plinato in concreto da ciascu-na regione e può essere affi-dato anche ai privati!La riforma federalista difatti,dopo avere mantenuto all’ar-ticolo 3 allo Stato la compe-tenza sulle «norme generalidell’istruzione», al 3° commadel medesimo articolo stabili-sce: «Sono materie di legisla-zione concorrente quelle re-lative a: (...) istruzione, salvol’autonomia delle istituzioniscolastiche e con esclusionedella istruzione e della forma-zione professionale».Nel comma 6 lo stesso artico-lo 3 stabilisce inoltre: «Lapotestà regolamentare spettaallo stato nelle materie di le-gislazione esclusiva, salvodelega alle regioni. La pote-stà regolamentare spetta alleregioni in ogni altra materia».L’articolo 4 infine all’ultimocomma stabilisce: «Stato re-gioni, città metropolitane,provincie, comuni favorisconol’autonoma iniziativa dei cit-tadini, singoli e associati, perlo svolgimento di attività diinteresse generale, sulla basedel principio di sussidiarietà».

Con la riforma non solo simette in discussione il ruoloistituzionale dell’istruzione,

ma si crea, con una formula-zione approssimativa e con-traddittoria, una situazione diincertezza e di conflittualitàtra stato, regioni e privati (lacui autonoma iniziativa dovràessere «favorita»!). Qual è ilconfine delle «norme genera-li»? Quale è l’ambito dell’au-tonomia, sottratto alla legisla-zione regionale? Che cosa si-gnifica «l’esclusione dell’istru-zione e della formazione pro-fessionale»? Le risposte pos-sono essere le più diverse.È certo però che, dopo annidi dibattiti e discussioni sulruolo istituzionale della scuo-la pubblica, l’istruzione pub-blica non è più esclusiva com-petenza dello Stato, anche secontinuano a rimanere in vi-

gore gli articoli 33 e 34 dellaCostituzione che assegnanoallo Stato il compito istituzio-nale di garantire l’istruzionea tutti.Che cosa fare?Anzitutto evitare ogni possi-bile confusione con le conte-stazioni alla riforma che pro-vengono dalla destra; la scuolanon può accodarsi al no delladestra che vuole una regiona-lizzazione più marcata; manemmeno si può accettare laregionalizzazione dell’istruzio-ne nel tentativo di impedirequella proposta dalla destra;l’esperienza (vedi legge diparità) ci dimostra che quan-do ci si mette sul terreno scel-to dalla destra, non solo nonsi impediscono le pretese

eversive della destra, ma siaprono varchi pericolosi.È auspicabile pertanto che afronte dei tatticismi perdentidel centro-sinistra, il mondodella scuola, superando con-trasti e “prudenze”, si facciapromotore di una autonoma eforte iniziativa politica che,pur valorizzando il ruolo delleRegioni e degli Enti Locali, main coerenza con il ruolo isti-tuzionale dell’istruzione san-cito negli articoli 33 e 34 del-la Costituzione, possa ripristi-nare la funzione statale del-l’istruzione pubblica. ●

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T EM A

Le destre e la scuola

Destre plurali

Siamo costretti a prendere sul serio queste destre non più solo borghesi, conservatrici o no-stalgiche, sempre meno simili al vecchio reazionario professor Cordiale che qui troverete immortalato(p. 20). Destre plurali, dai confini spesso indistinti, che danno voce e ideologia a tendenze trasversalicome è ormai il mix di familismo e liberismo, e nel far ciò affiancano comunitarismo e modernità,raffinati intellettuali della nouvelle droite e ultrà da stadio, dottrina cattolica e razzismo etnico, ilcompassionevole e l’egoismo sociale.Certo hanno il facile appeal di chi mette insieme interessi di parte o gruppi identitari che si autode-finiscono contro qualcun altro (a volte in modo mitologico o paranoico) piuttosto che agire perchétutti i soggetti prendano la parola.È vero che le destre esprimono chi resta ancorato alle categorie primigenie della comunità naturale(vera o immaginata) o a un pessimismo antiutopico, o chi rappresenta poteri e interessi già costituiti,o reagisce in modo semplicistico alle insicurezze indotte dalla modernità e dalla globalizzazione.Stiamo attenti però a non restare fermi a una visione solo polemica.Chi ha volontà di conoscere le “destre” (termine convenzionale ma insostituibile) deve cercare pro-prio quello che possono rappresentare, anche nel mondo della formazione, come laboratorio di proget-tualità sociale.L’attacco alla scuola pubblica in nome della devoluzione, del mercato, del primato sociale delle fami-glie delinea uno scenario di particolarismi (e, tra parentesi, di mancanza di diritti degli insegnanti),ed è anche una nuova occasione storica per l’invadenza clericale, questa forma di provincialismo tuttaitaliana. Ma è una risposta all’indebolimento del carattere emancipativo della scuola statale, unaistituzione in cui perfino le innovazioni si traducono più in aumento quantitativo delle procedure chein crescita dello studio e della progettualità reale, compressa da quella di carta. Tra gli esempi recentisi possono citare i nuovi esami di Stato e le cosiddette sperimentazioni di Qualità Totale, ma ancora dipiù la falsa autonomia che rafforza un nuovo tipo di governo centrale. L’aspetto peggiore di questoburocratismo è quello quotidiano: l’invisibilità delle relazioni, la difficoltà di uscire dai ritmi stabilitidalle normative.La sfida che viene dalle destre potrebbe essere utile a riattivare le politiche educative democratiche cheora, di fronte alle varie minacce di ristrutturazione, sembrano appiattite su una patetica difesa dell’esi-stente. Altrimenti vorrà dire che stiamo assistendo all’ultima fase della vecchia scuola pubblica. ●

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▼Il primo argomento messo avan-

ti da Forza Italia, in questo come in qual-siasi campo, è la denuncia della prepo-tenza dei “comunisti” (o dell’egemoniaculturale delle sinistre o dell’invadenzadello statalismo).Berlusconi sa fare leva, perché lo condi-vide, sull’istinto comune a molti di es-sere perserguitati dal sistema illiberale,tendenzialmente totalitario. È uno deitratti comuni a quasi tutte le destre. Cosìil “quasi monopolio” dello Stato nel cam-po dell’istruzione è definito da Forza Ita-lia “regime”, qualcosa che mette l’Italiasul piano degli ex paesi del socialismoreale. Anche le ultime riforme del cen-trosinistra sono “programmi di indottri-namento” fondati su una sorta di peda-gogia di Stato (in questo caso il pregiu-dizio rischia di centrare il bersaglio senzasaperlo).Le proposte per la scuola di Forza Italiaprevedono pluralismo (tra le scuole manon dentro le scuole), competizione, re-sponsabilità di governo dei dirigenti, ser-vizio nazionale “realmente indipenden-te” di valutazione, uno Stato che fissi leregole gli obiettivi e le articolazioni delsistema di istruzione ma non pretendapiù di gestire modi, tempi e risorse concui raggiungerli, finanziamento pubbli-co integrale alle famiglie perché mandi-no i figli dove meglio credono.«Anche nella scuola deve affermarsi quelprincipio di sussidiarietà che abbiamosempre sostenuto e che è stato giusta-mente richiamato dal cardinale Ruini:l’intervento pubblico deve limitarsi a so-stenere l’iniziativa dei privati ovvero adintegrarla là dove sia carente». Si trattadi una sussidiarietà integralmente finan-ziata dallo Stato. L’articolo 33 della Co-stituzione non è mai considerato un pro-blema o un ostacolo, grazie all’ingressodelle scuole private nel “sistema pub-blico”.Però fin dal novembre 1999 Berlusconiha anche chiesto l’istituzione di una au-thority che controlli l’oggettività dei li-bri di testo. Quindi Forza Italia oscilla(ma non è l’unica contraddizione) tral’idea di una depurazione della scuoladalla “invadenza della sinistra” e invecel’affermazione del diritto individuale del-le famiglie ad avere una scuola e dei testicorrispondenti alle proprie scelte (dan-do fra l’altro per scontato che le fami-glie non vogliano che i propri figli en-

La scuoladi ForzaItaliaPAOLO CHIAPPE

Forza Italia è l’unica forza delcentrodestra che ha presentatoproposte di legge chiare su tuttigli aspetti principali dellascuola: pluralismo (tra le scuolema non dentro le scuole),competizione, responsabilità digoverno dei dirigenti, servizionazionale “realmenteindipendente” di valutazione,uno Stato che fissi le regole gliobiettivi e le articolazioni delsistema di istruzione ma nonpretenda più di gestire modi,tempi e risorse con cuiraggiungerli, finanziamentopubblico integrale alle famiglieperché mandino i figli dovemeglio credono

trino neppure in contatto con idee dif-ferenti dalle loro).Gli omaggi di Silvio Berlusconi al cardi-nale Ruini in nome del “pluralismo” edella «tradizione umanistica e cristianadella nostra civiltà» sono stati voluta-mente plateali. Berlusconi ha partecipatonel 1999 alla manifestazione finale del-l’assemblea nazionale della scuola cat-tolica presentandosi come il vero candi-dato ad attuare la parità scolastica pie-na (frecciata contro il Ppi). Contempo-raneamente dichiarava che la scuola nondovrebbe licenziare ragazzi che non sap-piano a perfezione l’inglese, non usino aperfezione il computer e non navighinosu Internet, mettendo così fra l’altro unobiettivo ambizioso se preso alla letteraaccanto a due abilità quasi ludiche, eanticipando la facile formula delle “trei” (inglese, internet, impresa) che pocotempo dopo avrebbe scelto come sche-ma elettorale per la scuola.La formula delle “tre i” propone un asseformativo utilitario e si affianca all’altraidea-base di un pluralismo delle separa-tezze. Mostrando così che Forza Italiaconcepisce la cultura in modo non pro-blematico: la libertà delle scelte indivi-duali (anzi familiari) a cui fa appello ri-guarda il “contorno” e la ricerca dell’ef-ficienza, mentre il progetto formativo èuna cosa neutrale. A meno che le “tre i”non riguardino solo le “masse”.

Familismo e liberismo

Le idee gestionali di Forza Italia coinci-dono in pratica integralmente con quel-le della Confindustria di D’Amato (assem-blea nazionale di marzo 2001). Tra que-ste la piena libertà delle scuole nell’as-sunzione del personale.Fino dal 1997 Forza Italia aveva presen-tato una proposta di legge (Camera deiDeputati n. 3414, primo firmatario Sil-vio Berlusconi) per l’attuazione del buo-no scuola totale a copertura piena e pre-ventiva delle spese scolastiche e spen-dibile da parte delle famiglie in qualsia-si tipo di istituzione scolastica abilitataa rilasciare titoli di studio validi (defi-nizione ambigua), in nome del mercatoautoregolantesi e della sovranità dellescelte familiari, detta anche “prioritàdella libertà di apprendimento sulla li-bertà di insegnamento”. Da notare che

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la concezione di Forza Italia in originenon è comunitaria ma individualistica:tuttavia poi va a braccetto sia con ladottrina cattolica dei “corpi intermedi”e del “privato sociale” sia con quella le-ghista dell’appartenenza territoriale oetnica. Intanto anche sulle pagine diIdeAzione (retroterra culturale di ForzaItalia) è andato avanti l’incrocio tra ilneoliberismo originario del Polo e uncerto comunitarismo in parte ispirato allanouvelle droite in parte di matrice cat-tolica.Nella presentazione della proposta di leg-ge 3414 compare questa affermazioneicastica: «lo “Stato maestro” è un trattotipico dello Stato totalitario».In quella proposta di legge però non siparla ancora di regioni.In seguito Forza Italia ha sposato edesaltato la strategia lombarda che met-te insieme devoluzione regionalista ebuono scuola. Formigoni si è acconten-tato per il momento di un buono parzia-le e a rimborso ma lo usa, insieme conle leggi regionali sulla sanità e sull’assi-stenza, come una delle principali leveper forzare la modificazione costituzio-nale, ben al di là della stessa questionescuola, fino ad accettare come una sfidail ricorso del Governo alla Corte Costitu-zionale, e provocando i noti accodamentinella regione Emilia-Romagna e in ulti-mo anche la confusa e incongrua leggesul federalismo del centrosinistra.In questa linea aggressiva ma anche tat-ticamente ben dosata, Formigoni e Ber-lusconi (la cui alleanza è necessaria adentrambi) non si può dire che abbianorisposto a una vera e pressante doman-da sociale né dei ricchi né dei poveri(tranne ovviamente di chi ha già i figlialle private). L’ingrediente più popolaredel loro discorso è forse l’elemento di“rivolta fiscale”.La lotta sul buono scuola si colloca com-pletamente nella tradizione “neoconser-vatrice” thatcheriana-reaganiana nontanto per la soluzione “tecnica” sceltaquanto per il mix di liberismo e famili-smo, di cui poi Formigoni offre una in-terpretazione radicata nella storia diComunione e Liberazione, del Movimen-to Popolare e della Compagnia della Ope-re. Guai a non capire che in questo fron-te c’è anche una forte componente mo-dernizzante e antiburocratica (ma nondemocratica). La Compagnia delle Opere

ha annunciato da poco che «è maturo ilpassaggio dallo Welfare State alla Welfa-re Society». Welfare Society o WelfareCommunity sono termini che compaionoanche nel programma di Alleanza Nazio-nale. La Compagnia delle Opere (nata dauna costola di Comunione e Liberazio-ne) parla molto anche di settore non pro-fit, di privato sociale, di corpi sociali in-termedi. Non è solo una “ideologia” mauna corposa realtà in crescita e che sista espandendo anche al sud (15.000aziende e 1.000 enti non profit). La di-rigenza della Compagnia delle Opere po-liticamente sta con un piede sulla staffadi Andreotti e l’altro su quella di ForzaItalia.

L’opposizione alle riforme

Forza Italia, come “tutti” i partiti gran-di, sostiene il principio di autonomia del-la scuole e della centralità del dirigentescolastico, anche mediante la delegifi-cazione e riduzione della burocrazia (au-mento della discrezionalità di istituto peresempio nelle assunzioni, abolizionedegli organi collegiali territoriali). L’ac-cusa di burocratismo è uno dei punti fortidella critica che Forza Italia porta allascuola pubblica, e di solito va di paripasso con la critica del presunto “assem-blearismo” che vi dominerebbe (il mo-dello di gestione proposto da Forza Ita-lia è appunto quello dell’attuale gestio-ne di Forza Italia).Per quanto riguarda la riforma dei cicli ei nuovi curricoli della scuola di base ForzaItalia soprattutto nella persona della re-sponsabile Valentina Aprea ha dichiara-to piena opposizione, con un insieme diveementi obiezioni così elencabili:— mancato rispetto della tradizione diqualità della scuola italiana, pretesa il-luministica di cambiare tutto dall’alto,ideologia progressista del nuovismo,omologazione culturale di antico stam-po comunista;— rimescolamento ingiustificato di pro-fessionalità degli insegnanti;— cancellazione dell’insegnante elemen-tare generalista e dell’identità della scuo-la media;— non riconoscimento della pari digni-tà alla formazione professionale e con-danna al contempo dei nostri percorsi diqualità (liceo) che gli altri ci invidiano.

Per tutti questi motivi Forza Italia hacome primo obiettivo una sospensionedi un anno della riforma. In questo delresto non fa altro che seguire la richie-sta di tutte le associazioni cattolichesulla scuola.Queste critiche messe in campo controla riforma dei cicli in sé non c’entranocon l’ultraliberismo del programma uffi-ciale di Forza Italia e con il buono scuo-la, sembrano riecheggiare piuttosto l’opi-nione dei “conservatori” che vogliono di-fendere i tradizionali percorsi ritenuti diqualità della scuola italiana contro l’av-vento di una presunta o reale “scuolasupermarket” all’americana.È importante ricordare a questo propo-sito che negli ultimi tempi c’è stato in-teresse di Forza Italia per i voti degliinsegnanti e un certo avvicinamento traForza Italia e una parte della Gilda. Laquale Gilda ha appoggiato e sottoscrittoin pieno la “Proposta di riqualificazionedella scuola” di Nova Spes, Ferroni, LaPenna, Lucio Russo, Polacco ecc. (vedip. 3) della quale si può pensare tuttoma non certo che vada nella direzionedell’asse culturale delle “tre i” e sostan-zialmente nemmeno verso la sovranitàdelle famiglie. Forse però c’è una laten-te complementarità tra le due proposte:una per la scuola di massa e una per lascuola di qualità.Ernesto Galli Della Loggia (Il Corriere del-la Sera 14 marzo 2001) rimprovera a Sil-vio Berlusconi di non avere una vera po-litica scolastica ed universitaria e il mo-tivo sarebbe la mancanza di interesse ri-spetto al “sociale-immateriale”.Accusa un po’ paradossale se si tiene con-to che è rivolta a un uomo, Silvio Berlu-sconi, che ha costruito buona parte del-le sue fortune politiche sul controllo deidiritti di trasmissione di alcune migliaiadi film: altro che disinteresse per l’im-materiale.Galli Della Loggia esorta la “Casa delleLibertà” a liberarsi della “patetica” e “ri-pugnante” proposta delle “tre i” e a cer-care rapporti organici con la nuova in-tellettualità di destra (e cita Il Foglio,Palomar, Ideazione, Liberlibri, DioramaLetterario) forse proponendo se stessoper questo ruolo di mediazione tra cul-tura e politica il cui massimo ostacolo,però, è proprio nella forma-azienda diForza Italia e nel ruolo carismatico (omonarchico?) del suo leader. ●

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L’attuale sistema scolastico è condannato dalla Lega come veicolo di una cultura omolo-gante rimasta sostanzialmente immutata rispetto al modello di scuola post-unitario esteso d’au-torità a tutto il paese.In attesa del mercato dell’istruzione e della devolution il regime di parità è ritenuto dalla Lega unpasso in avanti rispetto al monopolio centralistico dello Stato in quanto prefigura la concorrenzatra le varie scuole. In futuro le diverse scuole faranno a gara per accaparrarsi gli insegnanti mi-gliori e per offrire strumenti più adeguati e moderni.Inoltre secondo la Lega l’introduzione del buono scuola rende possibile ai genitori di scegliereper i loro figli la scuola più consona ai propri convincimenti etico-religiosi.Come protagonisti della “Scuola rinnovata” sono indicati dalla Lega appunto i genitori cheintervengono attivamente nella costituzione delle scuole padane. I genitori possono costituirsi inassociazione, come è già avvenuto, ed iscriversi all’albo comunale per usufruire dei benefici edelle agevolazioni fiscali previste dal Decreto Legislativo del 4 dicembre 1997 che introduce leOnlus.L’associazione dei genitori ha tutti i principali compiti gestionali, anche nell’amministrazionedelle rette.Ad essa è affidato il reclutamento degli insegnanti pagati come liberi professionisti, con contrattiannuali di diritto privato, licenziabili se non ritenuti all’altezza.Tra i requisiti richiesti per insegnare nelle scuole padane c’è l’approfondita conoscenza della“cultura locale” (a Varese si è svolto un corso preventivo di formazione per scegliere chi si eradistinto in tal senso durante le lezioni), conoscenza della lingua inglese, età non superiore aiquarant’anni.La scuola padana si basa su un sistema educativo in cui sono fattori d’identità la “storia delleproprie radici”, gli usi, le tradizioni, la lingua. La rivista Quaderni padani e la Libera CompagniaPadana da tempo portano avanti questa battaglia culturale. Sul quotidiano La Padania ognigiorno diversi articoli sono dedicati alla storia locale, alla ricerca di un senso di appartenenzanelle “radici etniche” rinvenibili nella toponomastica, nei reperti storici, archeologici, artistici,nella letteratura, nella evoluzione della lingua.La Lega Nord attacca la riforma dei cicli. Per Mariella Mazetto, esponente della Lega, con il tipodi insegnamento dello storia previsto i bambini non potranno conoscere le loro radici civili,culturali e morali e così, privi della memoria del passato, faticheranno ad interpretare il presentee a prefigurare il futuro su cui costruire valori condivisi e storicamente radicati (La Padania, 5febbraio 2001).L’economia globale prescinde dai popoli, dalla nazioni e dagli stati e concepisce il mondo comemercato unico dove vengono spostati uomini e capitali secondo la logica del profitto dove ilconsumatore globale è sradicato da storia, origini e tradizioni. Il multiculturalismo togliendopunti di riferimenti identitari avvia l’individuo sulla strada della alienazione, della solitudine edel despossessamento territoriale.

In base all’accordo Polo-Lega lascuola, insieme alla sanità, dovrà esse-re la prima competenza devoluta alleregioni. Il federalismo prevede prelie-vo e gestione degli introiti fiscali daparte delle regioni, le quali finanzie-ranno scuole pubbliche e private, chegarantiscano gli standard nazionali mi-nimi. La concorrenza tra le scuole deidue tipi metterà la scuola italiana alpasso con l’Europa, considerata preci-puamente sotto l’aspetto di mercato dellavoro.Come si può vedere scorrendo il sito del-la Lega Nord (www.leganord.org), in cuitoni e lessico sono più esplicitamenteda destra estrema rispetto a quelli diAN, gli interventi ufficiali dei politicileghisti sulla scuola nell’ultimo perio-do sono poco numerosi e non molto ar-ticolati, consistendo soprattutto in cri-tiche alle iniziative del governo abba-stanza generiche e ripetitive, quasi sem-pre per bocca della rappresentante scuo-

Le Scuole padaneMARISA NOTARNICOLA

La scuola per la Lega è un luogo di difesa delle identità locali attaccate dallaglobalizzazione e dal multiculturalismo. L’idea di scuola padana si basa su unsistema educativo in cui sono fattori d’identità la “storia delle proprie radi-ci”, gli usi, le tradizioni, la lingua. E Il progetto di scuole padane è già realtàin alcune scuole elementari di Varese e Caravaggio, in provincia di Bergamoe, nella forma del doposcuola, a Lesno e a Biassono, in provincia di Milano

La LegaNord e lascuolaMARIA LETIZIA GROSSI

Gli interventi ufficiali deipolitici leghisti sulla scuolanell’ultimo periodo sono poconumerosi e non moltoarticolati, consistendosoprattutto in critiche alleiniziative del governo Amato.La posizione attuale della Legasulla scuola è completamenteallineata con quella di ForzaItalia, con riferimento esplicitoall’accordo Polo-Lega delfebbraio 2000 sul federalismo

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la, Giovanna Bianchi Clerici, con fre-quenti slogan inneggianti alla devolu-tion. La riforma dei cicli è aspramentecriticata dall’onorevole Bianchi Clerici,soprattutto per i tempi di emanazionedella legge a fine legislatura e le diffi-coltà di attuazione: «le incertezze sul-l’articolazione degli anni scolastici esulle figure professionali, i problemi ri-guardanti la formazione e selezione delpersonale. In caso di vittoria alle ele-zioni la Lega Nord si impegna a cam-biare la legge secondo i principi del tra-sferimento alle Regioni delle competen-ze in materia di organizzazione scola-stica e offerta dei programmi educativisottoscritti nell’accordo col Polo delfebbraio 2000».Non vi sono pronunciamenti ufficiali neiconfronti di insegnanti meridionali chenon dovrebbero lavorare in Padania, adifferenza di atteggiamenti diffusi trai leghisti della base, oralmente o in vo-lantini più o meno violenti. Nella real-tà gli Statuti proposti nelle giunte re-gionali Polo-Lega introducono il regio-nalismo etnico e il controllo della po-polazione a partire dal territorio.Una curiosità: nel fervore e nel confu-so amalgama iniziale, anche don Mila-ni è stato, parzialmente, arruolato sot-to le bandiere leghiste, in virtù dellaparentela con lui vantata dalla militanteEmma Bassani Castelli, che comunque,in un libro del 1993, La scuola da donMilani al federalismo, non lesina criti-che di estremismo al famoso prozio aproposito di Lettera a una professores-sa. Qualche anno fa, quando era leghi-sta, anche Irene Pivetti faceva confe-renze su don Milani presentandolo comeun prete che aveva combattuto pionie-risticamente gli intellettuali di sinistra(c’era in questo arruolamento di donMilani alle destre qualche “piccola”omissione, come quella su L’obbedien-za non è più una virtù…). ●

L’identitàterritorialeEcco cosa ha detto a école Ma-riella Mazzetto, responsabile na-zionale delle “Donne padane”

«La prima cosa che faremo quando sare-mo al governo sarà la devoluzione in tuttii campi, quindi nella scuola, dove inten-diamo realizzare una vera autonomia conuna progettualità europea, non quel fai-da-te affidato alla buona volontà casualedi qualcuno che è stata finora nei miglioridei casi l’autonomia attuata dalle sinistre.Io ho fatto la maestra, poi l’insegnante discuola media poi delle superiori semprenella scuola di Stato, quindi credo nelvalore della scuola pubblica, che peròdeve cambiare modello e che può mi-gliorare solo se si attuerà un pluralismodi posizioni culturali. La scuola anchedi Stato è ricca di energie potenziali chesono state compresse e sacrificate finoradall’imposizione di un modello unicovoluto dalle sinistre.Per realizzare la vera autonomia ci vo-gliono soldi e ci vuole un rapporto realecon il territorio. Vogliamo valorizzarelegami che già hanno cominciato ad esi-stere, per esempio nel mio Veneto [Ma-riella Mazzetto è di Padova] le associa-zioni di imprenditori hanno preso l’ini-ziativa spontanea di protocolli per la col-laborazione con le scuole, queste formedi collaborazione servono sia a finanzia-re l’autonomia sia a rendere concreti iprogrammi. I programmi belli solo sullacarta non funzionano, devono essere ca-lati nella realtà. Così soltanto si creanodelle sinergie con il territorio da cui na-sce la vera scuola della comunità. I co-munisti chiamano questo privatizzazio-ne, invece è una forma di collaborazio-ne.Le scuole padane che già esistono nellazona di Varese sono scuole elementari esono fondate sulla centralità del bambi-no e delle sue esigenze affettive etiche evaloriali, non su un’immagine del bam-bino stabilita dall’esterno. Sono aperteanche agli immigrati, certamente, tuttiquelli che abitano nel territorio hannogli stessi diritti. Però a differenza dellascuola di Stato noi non enfatizziamo lamulticulturalità/multireligiosità. È giustoche ognuno possa conservare la propriacultura nei luoghi destinati alla crescitae all’educazione. Per questo riteniamosbagliato togliere i crocefissi dalle auleper rispetto della multiculturalità. Nonsi può impedire a chi vive nel territoriodi manifestare la propria identità, e chiviene da fuori la deve rispettare come sirispettano le regole in casa d’altri.E la nostra è una identità occidentale equindi cristiana».

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spendibili in qualsiasi istituzione scola-stica, statale o non statale, in grado diassicurare il servizio richiesto.Ad animare la proposta è un evidentedesiderio di separatezza, di non conta-minazione: le idee altrui sono virus dacui essere protetti, per cui il pluralismoculturale, evocato dalla stessa AN, si ri-solve nell’innalzamento di tante invisibi-li frontiere. Altrettanto evidente è il suocontenuto profondamente illiberale, poi-ché il confronto avviene sempre a livellodi istituzioni (scuola, famiglia); ne con-segue che la libertà non appartiene aisingoli bensì a un’entità sovraindividua-le.È un’impostazione coerente con l’ideolo-gia di questa destra. Più difficile è tene-re insieme il familismo — per cui ognifamiglia ha la sua scuola su misura, mec-canico prolungamento di sé nel mondopubblico — con l’altro pilastro teorico diAN, ovvero il richiamo all’identità nazio-nale. Se, com’è convinzione di questo

Alleanzanazionale:l’estremismofamilisticoMARINA DI BARTOLOMEO

Occultando la contraddizioneAlleanza Nazionale tieneinsieme la difesa della scuolastatale, di cui prevede ilrilancio, e il sistema dei buoniscuola. La proposta di buoniscuola spendibili in qualsiasiistituzione scolastica, statale onon statale, è animata da unevidente desiderio diseparatezza, di noncontaminazione: le idee altruisono virus da cui essere protetti,per cui il pluralismo culturalesi risolve nell’innalzamento ditante invisibili frontiere. Ma èdifficile tenere insieme ilfamilismo con l’altro pilastroteorico di AN, ovvero ilrichiamo all’identità nazionale

Nell’essenziale, le idee sulla scuo-la di Alleanza Nazionale e di Forza Italiaconvergono. Comune è l’estremismo fa-milistico. Del resto, tutto il programmadi AN1 riconosce un ruolo centrale allafamiglia, intesa come nucleo primario chetrascende «la somma aritmetica degli in-dividui che lo compongono». Dal diritto-dovere dei genitori di educare i figli, de-riva la libertà illimitata di scegliere lescuole «in sintonia con l’educazione in-terna alla famiglia» nonché il «diritto anon essere costretti a far frequentare aipropri figli scuole che, anche nella sceltadei libri di testo, non siano in armoniacon le proprie convinzioni morali e reli-giose». Da qui, la proposta dei buoni scuo-la a copertura delle spese d’istruzione,

partito, c’è una civiltà italiana da difen-dere, una coscienza nazionale da ritrova-re, diventa necessaria una direzione po-litica accentrata dell’educazione scolasti-ca; dando invece tutto il potere alle fa-miglie, differenti fra loro per convinzionie valori, l’identità nazionale si frammen-ta in un agglomerato di identità partico-lari e non comunicanti, con tutti i rischidi derive privatistiche, localismi se nonaddirittura micronazionalismi.Occultando la contraddizione, AN tieneinsieme la difesa della scuola statale, dicui va previsto il rilancio, e il sistema deibuoni scuola, sostenendo (senza argo-mentare in modo più approfondito) chel’armonia sociale è appunto il frutto diquesto pluralismo separatistico. Ma èchiaro che a essere sacrificato, in questoprogetto, è il tema nazionale: il famili-smo si sposa piuttosto con il liberismo,fondato sul regime concorrenziale fra lediverse offerte formative e sul principiodella soddisfazione del cliente — fami-glia che, al mercato dell’istruzione, ac-quista la merce corrispondente ai suoigusti. La concorrenza stessa è tuttaviainserita in un quadro armonicistico, nelquale è escluso ogni possibile conflittofra i concorrenti ed è anzi consideratodoveroso un loro «organico rapporto nel-la comune prospettiva di una reciprocaqualificazione».Tutto torna, dunque. Almeno nelle inten-zioni. ●

NOTA1. Cfr. il documento approvato nella secondaConferenza programmatica di Alleanza Nazio-nale (Napoli, 23-25 febbraio 2001), da cui sonotratte le citazioni.

[ ]In questa pagina:Gianfranco Fini eFrancesco Storace.

Nella pagina accanto:simboli di gruppi

neofascisti; da sinistra:Il Fronte universitario, ilCentro Studi Translinea,la Comunità Odinista,il

gruppo Fascismo elibertà, Il Centro socialePorta Aperta, il giornale

Il reazionario, ilmovimento Fiamma nera.

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educazione, le buone maniere, possanorealmente difendere i valori e promuo-vere un progetto legato a un popolo e auna terra.È quindi pericolosa, ha un fascino chepuò colpire soprattutto coloro che han-no bisogno di identità, e sappiamo chein nome dell’identità possono essere re-alizzate meravigliose azioni educative ecrimini, veri e propri crimini.È diventata centrale alla questione del-la destra la presenza di immigrati in pa-esi europei. La politica della destra perla scuola, e per l’educazione in genera-le, ha una deriva che va in direzionedell’azione, e quindi della violenza, con-segnata direttamente nelle mani delpopolo, e questo termine popolo è im-portante perché collega a un’altra in-terpretazione dell’educazione di destranella scuola, che è quella del populi-smo: in nome del popolo si può anchegovernare il progetto scolastico che con-segna, apparentemente, al popolo ledecisioni e le risorse. È noto che unadelle proposte, che ha creato anche unacerta coesione nella destra, è stata pro-prio quella del finanziamento diretto allefamiglie, incorniciate in una visione eroi-ca, eroismo popolare: consegnare allefamiglie le risorse per permettere unadiretta realizzazione, e diremmo anchegestione, dell’educazione anche scola-stica.La visione populista è cara a un lungopercorso storico delle destre, ed è la piùambigua perché permette di mascherar-si da politica di sinistra, e quindi appa-rentemente sembra progressista. In unsettore specifico come quello che riguar-da le persone handicappate la conse-gna diretta delle risorse a coloro chevivono il problema può sembrare la rea-lizzazione più avanzata, ma contienel’insidia di quel tipo di populismo cheabbiamo così sinteticamente descritto.

Populismo a buon mercato:laicità conservatrice eclericalismo

La deriva ulteriore da questo tipo dipopulismo è la qualificazione del popo-lo secondo delle connotazioni di unadeterminata civiltà, con un’idea di pu-rezza della linea storica di quella stessaciviltà. Le mescolanze con elementi direligiosità completano la confusione. Gliospiti possono apparire oggettivamen-te contaminanti di una condizione dipurezza e, se aumentano di numero,

pericolosi invasori.È questo momento, molto interessanteda analizzare, e dal nostro punto di vi-sta molto pericoloso, che fornisce alladestra una chiave di lettura della realtàapparentemente oggettiva e nello stes-so tempo storicizzata ma, ancora, conpretese di trascendenza, e quindi taleda mettere in qualche modo insieme unacerta laicità conservatrice, fortementepreoccupata di ogni spinta progressistaverso l’apertura e l’incontro delle cultu-re, e una posizione fortemente ancorataa quello che si deve chiamare con il suonome, cioè il clericalismo.

L’ossessione tassonomica:discriminazione e selezione

Abbiamo utilizzato più volte il terminedifesa perché la difesa di un popolo edella sua terra sono il motivo per pote-re avanzare con degli attacchi, e la ra-gione di una politica della scuola sta inquesta costruzione difensiva che permet-te di attaccare. È difesa di una linea chesembra fortemente ancorata nella sto-ria di una terra, in una cultura, nei suoivalori, ma è una lettura assoluta, siadella terra che della storia, che dei va-lori, non permette contrasti, non per-mette di leggere nella stessa cultura legrandi capacità di accoglienza e di in-treccio che ha sempre avuto, e grazie aquesto ha potuto svilupparsi.Il bel libro di Maria Bacchi CercandoLuisa. Storia di bambini in guerra 1930-1945 (Sansoni, Milano, 2000) fa riferi-mento alla voce Infanzia nell’Enciclope-dia Italiana Treccani, diretta dal 1925al 1943 da Giovanni Gentile. Scrive Ma-ria Bacchi: «Mi pare che una delle chia-vi di lettura con cui interpretare questatrattazione, per molti versi inquietante,possa essere individuata nell’espressio-ne ognuno al suo posto» (p. 39). E an-cora: «Leggere oggi la voce Infanziadell’Enciclopedia Treccani del 1933 pro-voca un senso di disagio di fronte altentativo di rendere “scientifiche” legrottesche partizioni sulla base dellequali i bambini vengono classificati.Tutto il testo è pervaso da un’ossessio-ne tassonomica e da una prima distin-zione tra bambini allattati al seno ebambini nutriti artificialmente (questiultimi destinati a subire danni “gravis-simi, talora irreparabili”), giunge a ten-tare di determinare leggi e fasi dellosviluppo morfologico, e un fisiologico,psichico, morale, culturale dei bambini

Spesso immagini violente ci pre-sentano manifestazioni di un’educazio-ne chiaramente reazionaria. A volte sonolegate a episodi che hanno come sce-nario gli stadi sportivi, e vi sono gruppiorganizzati che inneggiano al nazismo,che proclamano il razzismo e che pro-pongono, senza mezzi termini, la vio-lenza come sistema in nome della pu-rezza dei valori, e quindi difendendo unmodo di essere legati a una terra.

Identità e violenza: maschereper una mistificazione

Questa è la destra educativa, sganghe-rata, chiassosa, pericolosa per il fasci-no che può esercitare nei confronti dichi dubita che le regole della buona

La destrasegretae la destrasfacciataANDREA CANEVARO *

La politica della destra per lascuola, e per l’educazione ingenerale, ha una deriva che vain direzione dell’azione, equindi della violenza,consegnata direttamente nellemani del popolo, e questotermine popolo è importanteperché collega a un’altrainterpretazione dell’educazionedi destra nella scuola, che èquella del populismo: in nomedel popolo si può anchegovernare il progetto scolasticoche consegna, apparentemente,al popolo le decisioni e lerisorse

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Non è facile scrivere dei giovanie della destra.Già è complicato definire i concetti chesi usano: vai a capire oggi cos’è la sini-stra (che perde regolarmente nellebanlieu e vince a Parigi), e cosa tieneinsieme la destra, fra le tre i del sapereusa e getta di Forza Italia e la tradizio-ne classica e cristiana da difendere dal-l’americanizzazione del centrosinistra...E poi chi riesce più a trovare qualcheragazzo o ragazza che “si dichiari” didestra o di sinistra?Anche durante le occupazioni, quandoqualcosa di simile alla tradizionale po-litica sembra avvenire (assemblee, vo-lantini), in realtà la frase chiave è sem-pre noi non facciamo politica, la nostra

scuola è apolitica, siamo solo “noi gio-vani” che vogliamo farci sentire (e nes-suno ci ascolta).Allora penso che i segnali vadano cer-cati su altri terreni, dove si definiscel’immagine di un certo rapporto con glialtri e con se stessi, nella sfera dei de-sideri e dei sogni, come dei bisogni econsumi.Qui qualcosa di nuovo succede, mi sem-bra.

L’acchiappatore nella segale

Se leggiamo in classe (una seconda su-periore) il vecchio giovane Holden, sco-pro che per alcuni e alcune è davvero“l’acchiappatore nella segale”, cioè unpersonaggio incomprensibile, lontanoed estraneo (come la sua copertina di-speratamente bianca). La discussionesembra una triste fotocopia dei dibat-titi giovanili da Maria De Filippi: manon gli va bene nessuno, che cosa pre-tende, perché non si domanda se nonc’è in lui qualcosa che non va, perchénon si adatta al mondo che lo circon-da?Se poi capita di discutere dei rapporticon i padri e le madri, dei disastri e leviolenze e gli orrori vicini, “normali”,il discorso di alcuni su se stessi sembraricalcare un argomento adulto diffuso:noi giovani ormai abbiamo tutto, i pa-dri non sono più padri e sono “amici”, ivalori non ci sono più — dunque appe-na ci negano qualcosa non lo soppor-tiamo ed esplode la violenza. Senza or-dine non c’è autorità possibile.Sembra di sentire all’opera il modellodi San Patrignano, la comunità orga-nizzata, ciascuno che sta al suo postoe il padre padrone della tradizione pa-triarcale a stabilire le norme. Paterno erassicurante. Oppure l’altro modello for-te del comunitarismo giovanile di de-stra, quello di CL — a modo suo anchedi riconoscimento e mutuo soccorso gio-vanile — fondato intorno ai “buoni ma-estri” e nel riferimento costante alla tra-scendenza. In fondo per molti cattolici— anche di sinistra, temo — la libertàindividuale richiama sempre Wall Stre-et, il mercato o l’orrore del gay-pride; euna comunità di base può esistere solose i valori di riferimento sono altrove eal di sopra: altrimenti l’umano precipi-ta nel disordine (o nel relativismo del-la scuola pubblica, di tutti quindi dinessuna verità). Il loro grande nemicomi sembra sempre il vecchio Leopardi e

per ciascuna fascia d’età, a casa e a scuo-la» (p. 40).Maria Bacchi parla di un “delirio classi-ficatorio”. Il tipo di lettura che MariaBacchi fa della voce dell’EnciclopediaItaliana Treccani è certamente determi-nato dalla storia che rintraccia, quellache nacque forse anche attraverso un’im-postazione del genere, adottata dall’en-ciclopedia, ma si sviluppò in manieraanche compiuta solo dopo, ed è la sto-ria della discriminazione anche violentanei confronti di altre culture comel’ebraica ma anche la zingara, o di altreidee come l’idea comunista, una discri-minazione violenta che precipitò nelgenocidio. È quindi una lettura a poste-riori di avvenimenti che hanno fatto leg-gere quelle stesse pagine con accentiben più drammatici.Però ha ragione Maria Bacchi a segnala-re questa impostazione di pretesa scien-tifica che stava in buona compagnia conl’idealismo con cui veniva impostata lascuola della destra. Ed è giusto, comequalcuno vuol fare, di evitare una lettu-ra demonizzata dei pensatori dell’epo-ca, ma è anche altrettanto giusto nonmisconoscere la collocazione di questicontributi culturali in un’impostazionedecisamente discriminatoria e difensi-va di categorie di purezza.Al centro, quindi, di un’interpretazioneche, come tutte le interpretazioni, nonpuò essere completa, e certamente nonlo è, vogliamo mettere la purezza. Lanecessità di mantenere pura un’impo-stazione educativa e scolastica non puòche discriminare e selezionare. Discri-minazione e selezione sono elementi diforza di un’impostazione culturale ededucativa che noi chiamiamo, secondoun linguaggio e una terminologia chemolti oggi desiderano non vedere e nonsentire, di destra. Può essere una con-venzione, ma è una convenzione che hadelle ragioni, e in buona parte abbiamocercato di argomentarle. ●

* Università di Bologna; presidente nazionaleCemea.

Le destregiovaniANDREA BAGNI

Chi riesce più a trovarequalche ragazzo o ragazza che“si dichiari” di destra o disinistra? La frase chiave, anchedurante le occupazioni ascuola, è sempre noi nonfacciamo politica. Forse isegnali dei mutamenti dellacultura politica vanno cercatisu altri terreni, dove si definiscel’immagine di un certorapporto con gli altri e con sestessi, nella sfera dei desideri edei sogni, come dei bisogni econsumi.Sembra essere in crisi fraragazzi e ragazze l’idea di unadimensione pubblicadell’esistenza e della felicità;l’idea che abbia a che fare conla polis, che esista unadimensione interpersonale oltrela propria persona, la propriafamiglia, le strade dei proprinegozi

[ ]Simboli di alcuni gruppineofascisti; da sinistra:la Comunità politica di

Avanguardia, l’associazio-ne Sinergie Europee,

L’associazione Trifase, ilgruppo Destra veneta,

l’associazione Perimetro,il Centro studi Runa,l’associazione Cerchio

antico Jiulius.

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Politica senza polis

Più in generale, la cancellazione dellospazio pubblico della politica potrebbeessere il segno della destra e della suaforza oggi. Berlusconi parla al pubblicocon tutto il suo kit di bamboline giova-nili operaie imprenditrici, ma non in unospazio pubblico. Fa una strepitosa tele-vendita, ipnotica e affabulatoria cometutte le televendite (e oggi la comunica-zione pubblicitaria “ordinaria” imita i suoimanifesti politici, così il cerchio si chiu-de); si indirizza ai consumatori atomiz-zati e aggressivi dello spettacolo politi-co e in questo campo della politica senzapolis, non c’è proprio gara: il messaggiodella destra è già della stessa forma delcontesto che lo raccoglie, lo ha già pro-dotto nelle relazioni sociali. I discorsidegli altri restano discorsi di “politici”:di gente che non ha mai vissuto, mai la-vorato, mai rubato. Come fare a fidarsi?Quello che questo popolo-plebe di pro-prietari chiede alle istituzioni è di offrireservizi che aumentino non la qualità del-la vita ma la sua facilità privata; poi chivale si farà valere, gli altri dovranno vi-vere il senso di colpa dei perdenti.Quando da ragazzo io e mio fratello ascol-tavamo Bandiera gialla o Per voi giovani(già il mitico Renzo Arbore), ci sentiva-mo addosso l’orgoglio di appartenere aquella parte del mondo che avrebbe cam-biato il mondo. Tutto ci toccava. Oggi misembra che molte ragazze e ragazzi ab-biano come razionalizzato il loro esserenicchia di mercato, target. Il loro essereex politico. E cercano di scavarsi uno spa-zio da coltivare in proprio, al massimocol proprio gruppo.Attraversa le scuole una specie di disa-stro del discorso.Se dai le pagelle o leggi i voti dei com-piti, in classe ti chiedono di abbassarela voce, di non farsi sentire — già i com-pagni sono altri da te e maledettamen-te vicini. Ma mentre si invoca la “leggesulla privacy” per il gruppo classe, sidichiara senza troppi problemi tutto“l’intimo” in televisione, magari urlan-do dal tetto della scuola oppure raccon-tando-recitando (ma fa molta differen-za?) le proprie pene in qualche pome-riggio televisivo dove tutti poi giudi-cheranno tutto. Non c’è vergogna per-ché sei nello show: nessuno ti conosce-rà e tutti ti riconosceranno. Quasi fossequesto l’unico tessuto sociale possibilenell’epoca della felice solitudine del sod-disfatto consumatore.(Tuttavia magari non proprio felice). ●

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la sua ricerca di un senso per la polistanto fragile quanto umano, senza Pa-dri ma con molti fratelli e sorelle.Il punto è che poi molte ragazze e ra-gazzi, tanto saggi nell’invocare i valoridella famiglia, sono anche profonda-mente insofferenti di fronte ad ogni sol-lecitazione che li allontani (o minaccidi allontanarli) da ciò che sono imme-diatamente; tanto disponibili in gene-rale ad adattarsi alla società, mi sem-brano rifiutare allo stesso tempo qua-lunque discorso entri in conflitto conle loro istintive propensioni, con il lorodesiderio di essere accettati e accet-tarsi così come sono: io la penso cosìprofe, cosa vuole, cambiarmi? non è giu-sto.

Proprietari giovanili

Ecco allora il profondo odio verso rom,albanesi, cinesi, immigrati in genere.Ovviamente ti dicono che non è razzi-smo, perché gli “ismi” sono già troppoimpegnativi: è che vogliono staretranquilli “a casa loro” (nei non-luoghistile McDonald che cercano dappertut-to), non avere i problemi degli altri. Ibuoni valori della carità e dell’accoglien-za raramente vanno oltre il giardino dicasa propria, o un ambiguo volontaria-to ridotto a credito certificabile per lapropria coscienza, tutto dover-essere,nessuna cura delle esistenze reali, cre-sciuto nella distruzione del legame so-ciale postmoderno.E poi il ragionamento sui paesi poveri ericchi, sulla disperazione di chi arriva(come degli italiani che andavano, ed èargomento “patrio” che ancora un po’funziona, ma non ci sono più nonni nar-rativi, l’anello della memoria si è spezza-to ed è come parlare di preistoria o diresistenza…) sembra appartenere al “po-litico”, sa di considerazioni generali, nonpersonali: il personale è apolitico. (Chesia qui il cuore della destra?).La sinistra invece è come se invitassesempre un po’ al senso di colpa, sem-pre in conflitto col mondo e mai congli altri…In un certo senso è la felicità il proble-ma.Mi pare sia in crisi fra questi ragazzi equeste ragazze l’idea di una dimensionepubblica dell’esistenza e della felicità;l’idea che abbia a che fare con la polis,che esista una dimensione interperso-nale oltre la propria persona, la propriafamiglia, le strade dei propri negozi.

[ ]Qui sopra, da sinistra: Altri

simboli di gruppineofascisti:la rivista

negazionista L’uomo libero,l’associazione Destranazionale, la rivista

telematica Samisdat, ilgruppo politico Forza Nuova,l’associazione tradizionalista

Lungbardaland.In basso: I mensili

Ideazione e Area e le homepages dei siti Destra.it,Rivoluzione blu e Destra

plurale.

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colo 9 afferma che la Repubblica italia-na riconosce «il valore della cultura re-ligiosa» e «che i principi del cattolice-simo fanno parte del patrimonio storicodel popolo italiano», per cui viene assi-curato l’insegnamento della religionecattolica nella scuola pubblica (in tuttigli ordini preuniversitari, scuola dell’in-fanzia compresa) — quanti si oppose-ro? Nella maggioranza governativa siastennero i liberali e all’opposizione siastennero i missini. Dettero battagliacontro l’accordo i radicali (con Rutelliin testa, sì proprio lui), Democrazia pro-letaria e la Sinistra indipendente. I voticontrari (75) furono una cinquantina piùdei previsti, comunque pochissimi. I so-cialisti si presentarono come gli arteficidella modernizzazione. I comunisti, no-nostante qualche fronda e qualche no-bile eccezione, come Luporini che spe-se le sue ultime energie anche su questitemi, si dichiararono nel complesso sod-disfatti.La revisione concordataria nell’articolo1 del Protocollo addizionale toglieva co-munque alla religione cattolica il ca-rattere di religione di Stato. Quanti sisono battuti per trarre da ciò le dovuteconseguenze? Nei partiti proprio pochi.Ma negli anni ‘90 la crisi della laicitàera evidente anche sul terreno della cul-tura. Il documento del 1994 su “Unanuova idea di scuola” fu un segno disbandamento notevole e rese visibilel’irresistibile fascino su una parte con-sistente della sinistra dell’ingresso dellascuola privata confessionale nel siste-ma pubblico «integrato». Superare gli«steccati storici» fu la parola d’ordine.Bisogna dire che ci sono state, sullapiena facoltatività dell’Irc e su qualchealtro argomento concernente la laicità,alcune positive sentenze della Corte co-stituzionale, tuttavia meno coraggiosedi quanto talvolta si dica. Ci sono stateanche numerose intese che hanno ga-rantito i diritti delle minoranze religio-se e che hanno reso evidente il plurali-

smo religioso come realtà ormai irrecu-sabile (è ferma però la ratifica parla-mentare delle intese già firmate con iTestimoni di Geova e con i Buddhisti).Ma nel complesso le intese hanno resoanche evidente l’“effetto di trascina-mento” del Concordato cattolico sulleminoranze non cattoliche: per esempiodopo un iniziale rifiuto c’è stata l’ade-sione delle minoranze al finanziamen-to pubblico delle istituzioni religiosee/o delle loro iniziative sociali con l’8per mille del gettito Irpef (con appro-priazione, oltre che da parte dello Sta-to e della Chiesa cattolica, anche daparte di altri gruppi religiosi della quo-ta non espressa dai contribuenti, in pro-porzione alle firme espresse). Le reli-gioni sono «alla riconquista della sferapubblica», come sottotitola un recentelibro di un docente della New School ofSocial Research di New York1, il quale,peraltro, non vede con preoccupazionela cosa e si unisce al coro che dà perdefunto il laicismo liberale in quello cheaveva di meglio («quando lo Stato hagarantito a tutte le confessioni o Chie-se la piena libertà di culto, esso ha datotutto ciò che da lui si può giustamentepretendere in fatto di libertà religiosa»scriveva Francesco Ruffini nel 1924).

Destra/ sinistra

Il rimescolamento delle identità politi-che nell’ultimo decennio ha frammen-tato e confuso anche le appartenenzelaiche. Certamente queste si collocanoprevalentemente a sinistra. Basta scor-rere le adesioni individuali e collettivein appendice al Manifesto laico, promos-so da Enzo Marzo e da «Critica liberale»insieme a Giorgio Bocca, AlessandroGalante Garrone, Vito Laterza e PaoloSylos Labini e pubblicato da Laterzanell’ottobre 19992. A destra neoliberi-smo e clericalismo trovano nella Casadelle libertà un impasto sempre più in-

▼L’invadenza clericale è — nel qua-

dro europeo — un’anomalia italiana sto-rica, profonda. Come ha scritto Asor Rosasu la Repubblica, se laicità significa chenella sfera delle istituzioni bisogna ra-gionare e fare etsi Deus non daretur (Comese Dio non ci fosse è intitolata l’ultimaraccolta di scritti di Rusconi uscita daEinaudi), la cosa più difficile è però ope-rare etsi Papa non daretur. Quando unministro della Repubblica — come giornifa Bordon a proposito delle emittenti va-ticane — punta i piedi e dice: le leggidella nostra Repubblica sono queste, im-mediatamente da parte clericale si invo-ca l’articolo 7 e il Concordato. Concorda-to, cioè privilegi della Chiesa cattolica adanno del principio di eguaglianza spe-cificato al l’articolo 3 della Costituzione.Quali forze politiche, personalità chefanno opinione, giornali sono anticon-cordatari? Quanti sono per un chiaro se-paratismo sul modello francese (per ri-manere a quello più vicino a noi)?Quando il 20 marzo del 1985, dopo duegiorni di dibattito in cui a Montecitoriol’aula fu quasi completamente vuota, siarrivò alla ratifica del neoconcordatoCraxi-Casaroli del 18 febbraio 1984 —un Concordato che impegna all’articolo1 lo Stato e la Chiesa romana «alla reci-proca collaborazione per la promozionedell’uomo e il bene del Paese» e all’arti-

La laicitànon abita piùquiCESARE PIANCIOLA

Il rimescolamento delleidentità politiche nell’ultimodecennio ha frammentato econfuso anche le appartenenzelaiche. Quali forze politiche,personalità che fanno opinione,giornali sono anticoncordatari?

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Alla conclusione del congressodi Alleanza Nazionale a Napoli, donnaAssunta Almirante, che non si è mossaper tre giorni dalla prima fila, riceve l’ap-plauso in piedi dei tremila delegati, ab-bracciata alle giovani del partito, Ales-sandra Mussolini e Roberta Angelilli.Stanno lì tutte e tre sul palco, le dueminori ai lati. A un certo punto la Mus-solini tira fuori il fazzoletto. «Scusate,sono commossa — dice. Sta per partirel’applauso. — Ma no, sto scherzando,ma credete che siamo gente da piange-re noi? De Mauro piange, Livia Turcopure: piangi piangi bella! Siete voi checi fate piangere!» 1.Le donne di destra non piangono comedonnicciole. Sono forti e indomite, or-gogliose di essere di destra, aggressivese è il caso, e così amano presentarsi,peraltro con successo, all’elettorato.

E se al congresso l’esempio di “integri-tà morale” additato da Fini è ancora unavolta un uomo «che ha servito la pa-tria”, medaglia d’oro al valor militare, ilgiovane tenente Gianfranco Paglia feri-to in Somalia, che «si aggira in carroz-zella tra i padiglioni della mostra condisarmante semplicità»2, tuttavia in ANe nelle altre forze poliste le donne han-no mostrato fin dalle elezioni del 1994una percezione di sé e una visibilità sco-nosciuta prima.Quale è il modello che propongono allenuove generazioni e da dove viene? L’ab-biamo chiesto a Guido Caldiron3 che hapubblicato di recente una vera e pro-pria “enciclopedia”4, assai poco conso-latoria, lucida ed aggiornata sulle mol-te destre esistenti in Italia e altrove.«Queste donne di destra non rivendica-no certo alcuna parentela con il femmi-nismo, anzi! Ma rivendicano con forzauna possibilità di fare politica dentro lestrutture maschili dei partiti e nella so-cietà. Estranee al concetto di differen-za di genere, sono schierate invece perla parità per le donne e giocano la cartadi un nuovo protagonismo femminile,che loro stesse incarnano. In AN sonole eredi di un attivismo femminile didestra che si sviluppa all’interno dellacosiddetta “nuova destra” culturale egiovanile e che risale alla fine degli anni’70, all’epoca dei Campi Hobbit. Si stam-pò allora anche una rivista femminile,Eowyn, dal nome dell’eroina di una saganordica. È dei primi anni ’80 poi, natoall’interno dell’ambiente romano delFronte della Gioventù, il Centro StudiFutura, fondato da Isabella Rauti (figliadi Pino Rauti), che si occupava di bioe-tica, contraccezione, lotta contro l’abor-to.Nell’affermazione di una identità nuovadel neofascismo italiano, le donne dellanuova destra non svolgono un ruolo se-condario e AN stessa deve molto a que-gli ambienti e a quel periodo per l’ela-borazione del proprio progetto egemo-

quietante: a settembre dell’anno scorsoBerlusconi fu acclamato al meeting ciel-lino di Rimini, dove l’unità italiana ven-ne presentata come una conquista mili-tare da parte dei massoni e Pio IX comeun lungimirante difensore del federali-smo. Bossi, che un tempo faceva l’anti-clericale, si è riscoperto defensor fideidella Padania cattolica minacciata dallemoschee. Un gruppo prevalentemente diradicali (Giovanni Negri, Marco Taradash,Peppino Calderisi, Roberta Tatafiore ealtri) ha costituito un «Pololaico» den-tro il centro-destra3: «un conto è unadestra europea, liberale e moderna, unconto è una destra, come spesso la Casadelle libertà ci appare, clericale e cheguarda al passato», dicono nel loro pro-gramma. Il «sostegno alla scuola libe-ra, comprese quelle cattoliche» è unodei loro punti qualificanti. Questo nonspiacerà certo a Casini, a Buttiglione ea Formigoni.Gli attuali schieramenti politici di cen-tro-destra e di centro-sinistra sono co-acervi caotici in cui si può trovare ditutto: abbiamo letto che Giorgio La Malfaè passato al centro-destra; in compen-so noi abbiamo da tempo acquisito Ire-ne Pivetti, che nel 1995 patrocinava irosari riparatori anti-islamici. Per que-sto il cardinal Sodano voleva (e forsevuole) passare i politici italiani al va-glio severo delle richieste vaticane: que-stioni bioetiche, finanziamento dellescuole cattoliche, difesa della famigliatradizionale. Ciampi ha dovuto ricorda-re l’autonomia dello stato laico e Soda-no si è scusato dicendo che sono i poli-tici che gli fanno la corte. E questo nonstentiamo a crederlo. Invece del Segre-tario di stato vaticano dovrebbero esse-re piuttosto gli elettori laici italiani achiedere le credenziali ai politici, e nonsu generici princìpi ma sulle questioniconcrete che riguardano la laicità delleistituzioni pubbliche, a cominciare dal-la scuola4. ●

NOTE1. José Casanova, Oltre la secolarizzazione. Lereligioni alla riconquista della sfera pubblica,Il Mulino, Bologna 2000.2. L’iniziativa si è poi sviluppata su Internetcon un bel giornale: www. italialaica.it.3. Si veda il sito www.pololaico.it che però èfermo da un po’ di tempo.4. Mi permetto di ricordare ai lettori di école ilsito del Comitato Torinese per la Laicità dellaScuola: www. arpnet.it/laisc che ha anche varilink con altri siti laici.

La destrae le donneMARTA BAIARDI

In An e nelle altre forze polistele donne hanno mostrato findalle elezioni del 1994 unapercezione di sé e una visibilitàsconosciuta prima.Carismatiche, con un fortesenso dell’impegno politico,spesso giovani, con un’aura dacoraggiose vincenti, questedonne rappresentanoindubbiamente un seducentemodello di forza per la gioventùche le vota. Eppure se si guardail numero (esiguo) delle elette eil loro scarso peso politico negliorgani dirigenti dei partiti didestra, questa immagine diforza e baldanza femminile nonsembra poi avere un granriscontro nella realtà delladistribuzione del potere

[ ]Nella pagina accanto:Pierferdinando Casini e

Rocco Buttiglione.Qui a destra: Sonia Viale,

tra le fondatrici delmovimento DonnePadane e Giovanna

Bianchi Clerici, responsa-bile scuola della Lega.

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nico, come rivendica proprio una donnaoggi giornalista al Secolo d’Italia, An-nalisa Terranova nelle sue memorie, Pla-nando sopra boschi di braccia tese5.Erede politica diretta di quella “nuovadestra” è anche Roberta Angelilli, 37anni, che si presenta a Roma come vi-cesindaco per AN. Parlamentare europeadal 1994, meno nota di Alessandra Mus-solini (che sembra godere di un’inesau-ribile e accorta presa mediatica), la An-gelilli fa invece parte dell’area lepeni-sta del Parlamento europeo. Condivido-no questo radicalismo e questa “durez-za” tutta declinata al femminile, la le-ghista Alessandra Guerra, eletta alla re-gione Friuli, accesa differenzialista eammiratrice di Haider e Sonia Viale, re-sponsabile del Sindacato Padano, pre-sentata da Bossi come “donna di primalinea” e molte altre».

Donne di destra

Carismatiche, con un forte senso dell’im-pegno politico, spesso giovani, conun’aura da coraggiose vincenti, questedonne rappresentano indubbiamente unseducente modello di forza per la gio-ventù che le vota. Nel rifiuto del fem-minismo e delle questioni di genere in-contrano poi anche un certo favore trale stesse giovani, che sembrano averperduto una memoria positiva del fem-minismo e sentono il separatismo comeuna chiusura tutta in perdita.Le donne di destra sono programmati-camente disinteressate a sviluppare inautonomia politica tanto le questionispecificamente “femminili” quanto ilpunto di vista femminile sulle questio-ni generali.Azzurro Donna — organizzazione fem-minile di Forza Italia — vuole rappre-sentare soprattutto «una grande volon-tà di esserci ed una grande speranza dioperare, finalmente dentro una culturache ha come elemento fondante la ri-cerca e la difesa della libertà. (…) Unasocietà che libera l’individuo libera an-che la donna… Noi non siamo e non ciriconosciamo in una logica di ghetto odi categoria». Unificante ed entusiasti-ca invece, per le donne di FI, l’adesioneal «grande, rivoluzionario progetto cul-turale, sociale, solidale, di liberazionedi Silvio Berlusconi»6.Eppure se si guarda il numero (esiguo)

delle elette e il loro scarso peso politi-co negli organi dirigenti dei partiti didestra, questa immagine di forza e bal-danza femminile non sembra poi avereun gran riscontro nella realtà della di-stribuzione del potere.

“Risorse umane”

Se si analizzano poi i programmi delledestre italiane, le donne non vi compa-iono come veri soggetti, ma come inso-stituibile “risorsa umana” da fare frut-tare all’interno della famiglia.Ma dato che, come afferma Bossi, «fa-miglia non è una parola di sinistra»7,quale è allora la famiglia che piace alledestre italiane?Contro «la scia di una pseudocultura li-bertaria e sessantottina»8, la famigliaunica legittima è quella “regolare” com-posta da uomo e donna uniti in matri-monio. Nessuno spazio alle libere con-vivenze. Né tanto meno alle coppie omo-sessuali, che «vorrebbero gli stessi so-stegni» degli altri ma non li meritano,non solo perché «sono contro natura»,come afferma senza mezze parole Casi-ni, ma anche perché non sono vere fa-miglie. Come precisa Buttiglione offren-do un orizzonte sociale alla pura omo-fobia, le unioni omosessuali «non han-no funzione sociale»9.Inoltre nella destra la famiglia (da sem-pre) riveste anche il ruolo di favorire lanatalità degli italiani con implicito va-lore etnico-nazionale: occorre potenziare«la nostra identità occidentale e quindicristiana», dice la leghista Mariella Maz-zetto.Insostituibile nella sua funzione, di «prin-cipale ammortizzatore sociale»10, alla fa-miglia la destra promette il riconoscimen-to come soggetto giuridico, destinatarioprivilegiato di politiche assistenziali, ap-poggi economici e fiscali.E le donne? Come si collocano in questoorizzonte familistico ed integralista?Alle donne si promette solennemente11

una maggiore considerazione del lororuolo dentro le mura domestiche, unasorta di riconoscimento, sia pure nonben precisato, ma strategico nel proget-to di società delle destre, nei confrontidel lavoro di cura. Figli, anziani, handi-cappati, bisognosi in genere, inquadra-ti ciascuno nella propria famiglia (spe-riamo che ce l’abbiano), saranno assi-

stiti da donne felici del loro ruolo, certedella loro funzione sociale e necessa-riamente con una bassa occupabilità nellavoro fuori dalle mura domestiche.Nella mancanza di sicurezza e di certez-ze generata dalla globalizzazione eco-nomica, nell’allentarsi nello spazio pub-blico dei legami solidaristici e delle retiassociative12, gli appelli ossessivi delledestre di tutto il mondo occidentale allasicurezza e ad un’identità culturale for-te sembrano sapere intercettare enormibisogni esistenziali e sociali tanto ma-schili che femminili.Che si tratti di un miraggio, il miraggiodi una società chiusa, protetta dal di-sordine di altre culture, tutta Chiesa,“legge e ordine”, ma tecnocratica e ul-traliberista, non ne allenta la presa.Semmai la solitudine e l’impotenza del-l’agire politico cui tutti, uomini e don-ne siamo ridotti, rendono questo pro-getto di società pericolosamente com-patto e in sintonia sia con gli umori distrati sociali privilegiati e impegnatinella trasformazione postfordista dellasocietà (la destra cosiddetta “postindu-striale”), sia con le fragilità e le delu-sioni dei ceti più deboli. ●

NOTE1. C. De Gregorio, “E a Napoli tornò il passatoe la destra riscoprì l’orgoglio”, la repubblica,26 febbraio 2001, p. 9.2. Il leader di An ha chiuso la tre giorni di Na-poli: «Nessuna Lega del Sud, siamo una grandeforza nazionale». Fini: «Al governo per incide-re», sito web di Alleanza nazionale:www.alleanzanazionale.it/specialenapoli/di-scorso-fini.html, 26 marzo, 2001, p. 1.3. G. Caldiron, La destra plurale. Dalla prefe-renza nazionale alla tolleranza zero, Roma,Manifestolibri, 2001.4. A. Portelli, “Il cuore nero dell’intolleranza”,il manifesto, 14 marzo 2001, p. 12.5. A. Terranova, Planando sopra boschi di brac-cia tese, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1996(segnalato in: G. Caldiron, La destra plurale…,cit., p. 30.6. M. Teresa Armosino, Azzurro Donna, conte-nuto nel sito web di Forza Italia:www.forzaitalia.it, 9 marzo 2001, p. 1.7. B. Jerkov, “Pace fatta tra Fini e Bossi. Anapplaude il figlio prodigo”, la repubblica, 25febbraio 2001, p. 9.8. “Alleanza Nazionale, Libero forte giusto. IlGoverno che vogliamo. Seconda ConferenzaProgrammatica. Un patto di programma congli italiani per la prossima legislatura!, Napo-li, 23 - 25 febbraio 2001, p. 18.9. B. Jerkov, Pace fatta…, cit.10. Alleanza Nazionale, Libero forte…, cit., p.33.11. Alleanza Nazionale, Libero forte…, cit., pp.5, 30 e 33.12. Z. Bauman, La solitudine del cittadino glo-bale, Feltrinelli, Milano, 2000.

[ ]A sinistra: Benito

Mussolini e sua nipoteAlessandra. A destra:

Francesca Martini (DonnePadane) e Valentina

Aprea, capo delDipartimento Istruzione

di Forza Italia.

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Si va dalla ripubblicazione ag-giornata nel 1998 della Storia d’Italiadal Risorgimento ai nostri giorni di Ser-gio Romano 1 (prima edizione 1977), allaraccolta di saggi Miti e storia dell’Italiaunita, autori Giovanni Belardelli, Lucia-no Cafagna, Ernesto Galli Della Loggia,Giovanni Sabbatucci2 (Il Mulino, 1999),giungendo a Una storia della Repubblicadi Giano Accame (Rizzoli, 2000)3.Sergio Romano tra il ‘78 e oggi ha fattoin tempo a dichiararsi convintamenterevisionista, molto revisionismo storicocircola nella raccolta di saggi di Belar-delli, Galli della Loggia (e altri), GianoAccame senza filtri o mediazioni dichiarache la sua è una «ricostruzione da de-stra»4

Quanto indicato è solo il tratto esternoche avvicina i tre volumi citati, più an-cora si trova in essi esplicitata la riscrit-tura della storia italiana dal 1922 al 2000(è questo il periodo storico da loro trat-tato su cui io polarizzerò l’attenzione).C’è presso gli autori richiamati un me-desimo scopo che presiede alla “riscrit-tura”: favorire il formarsi di un nuovosenso comune, diverso da quello costi-tuitosi nei decenni Sessanta e Settan-ta, messo in crisi nel decennio Ottanta.Sergio Romano vede il fascismo comeuna “frattura”, come la rottura profon-

da nella «tradizione risorgimentale - li-berale»: la guerra civile che si combat-té negli anni 1943 - 1945 «più che diguerra tra fascisti e antifascisti [fu] unoscontro mortale tra le due famiglie del-l’ideologia risorgimentale. Sino a quelmomento si erano combattute in Parla-mento, si erano scomunicate a vicendae una di esse, il fascismo, aveva perse-guitato l’altra con misure di polizia. Madurante gli ultimi due anni della secon-da guerra mondiale i nipoti del Risorgi-mento passarono alle armi e si uccise-ro». L’aspetto più tragico di questa vi-cenda è rappresentato dal fatto che dalladissoluzione dell’ideologia risorgimen-tale l’Italia non ha più avuto “fonda-menta etico-politiche” per cui nei no-stri giorni è il ricercarne delle nuove ilcompito da assolvere, se il nostro paesevuole riprendersi e rinascere.Galli della Loggia vede sempre il fasci-smo come una “frattura”, ma più pro-priamente come la rottura profonda della“tradizione risorgimentale-liberale”: vain crisi «più o meno sotterraneamentegià durante il fascismo e dentro il fasci-smo», poi l’epilogo della crisi si svolgetra il 1943 - 1945, durante questi annisi consuma la «sconfitta dello Statonazionale». Questo il dato di fondo, ben-ché resistenti antifascisti, asserviti apotenze straniere, a lungo siano riuscitiad occultarlo. Nel presente, grazie anuovi orientamenti nello spirito pubbli-co, l’idea di nazione può rinascere.Giano Accame, a proposito del fascismo,non parla, in nessuna accezione, di frat-tura: «quello che è stato dirompente inquegli anni [quelli del fascismo] (...) èstato appunto il tornare a innestare unprocesso attivo di modernizzazione nellatradizione, ricomponendo la frattura fratradizione e progresso e rinsaldando lagiustizia sociale con il sentimento reli-gioso e con l’amore di patria. Credo chequesta eredità del fascismo sia soprav-vissuta in termini di pensiero debole» 4.L’innovazione nella tradizione si spezzanel 1943 - 1945: «la primavera del 1945,ancor prima e più decisamente che nonl’affermarsi di concezioni nuove, segnail tramonto d’una certa idea dell’Italia,d’un primato da ricostruire, d’una mis-sione al tempo stesso nazionale e uni-versale da affidare alla Terza Roma, laRoma del popolo dopo quella dei Cesarie dei Papi, con lo sguardo teso avanti,ma la memoria volta sino ai lontani tem-

pi dei romani»5. Certo il fascismo nelreinterpretare questa risorgimentaleconcezione con qualche suo estremo attol’aveva “compromessa”, sta di fatto peròche, da quando essa nel ‘45 è andata infrantumi, poi non è stata sostituita daun’altra concezione altrettanto identi-taria. La rinascita dell’idea di nazionecome “comunità di destino” solo oggiappare possibile.

Liberalismo rinascimentale

Nella diversificata ricostruzione che Ser-gio Romano ed Ernesto Galli della Log-gia forniscono, un aspetto mi sembra aloro comune: risalire al liberalismo ri-sorgimentale e al suo ultimo esponenteCroce. Croce, ritiene Romano, incorse inun errore “provvidenziale” nel ritenereil fascismo una morbosa parentesi, con-vinto di ciò svolse una battaglia cultu-rale decisiva durante il fascismo e subi-to dopo la sua caduta. È un giudizio sucui Galli della Loggia conviene e su cuipare Accame, da ultimo, converga, al-meno in gran parte.Quel che mi sembra vada messo a fuocoè che, come tra l’altro testimonia la pre-senza di Galli della Loggia e di Accameal Convegno di Napoli del 1997 su “Illiberalismo del XXI secolo”, il liberali-smo a cui loro (ma anche Romano) fan-no riferimento è il liberalismo quietisti-co di Croce, comune sembra l’uso di essoal fine di aggregare una nuova zona gri-gia. L’aggiornamento del liberalismo,operato proprio nel convegno napole-tano da Galli della Loggia, a fronte del-la globalizzazione appare nettamentepiù come sviluppo nella continuità (delletonalità di fondo) che non svolgimentonella discontinuità. Per converso tutti,per ragioni distinte, appaiono lontanied avversi a quell’altra espressione delliberalismo che è il pensiero di Gobetti,«emblema di un fallimento» (Galli dellaLoggia).

Ripescaggi

Così come le destre degli anni Novantapropongono nuove riscritture della sto-ria, analogamente operano il rilancio ditrascurate memorie. Negli ultimi tempiinfatti nel dibattito e nella discussionehanno ripreso ampiamente a circolare il

Destre:storia ememoriaGIOVANNI SPENA

Al di là dei micro e quotidianiepisodi di rozza irruzione nellospazio della storia (l’iniziativarumorosa di Storace è uno deitanti) le destre del nostro paese,nella seconda metà degli anniNovanta, sono andate semprepiù proponendo riscritture dellastoria

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De profundis di Salvatore Satta (Adel-phi, 1980) e Rosso e Grigio di AndreaDamiano (Il Mulino, 2000).Anche nelle memorie di Satta e Damia-no ricorre il tema della sconfitta dellanazione, della morte della patria: «l’Ita-lia, costretta a tramare col nemico con-tro l’amico (...) scendeva la china del-l’umiliazione e della vergogna, segnavauna ad una le tappe dell’infamante cal-vario, che il deluso britanno eroe, cal-pestando forse il diritto, certo la carità,doveva subito rivelare al mondo, in unaffronto supremo. Quando l’8 settembreil tradimento fu consumato, si vide cheneppure il tradimento era stato capacedi far finire la guerra» 6; «questo sensodi disfatta morale, distruttivo, che è innoi, da che proviene? Con l’Italia che ècrollata non è crollato solamente il fa-scismo: è finita soprattutto l’altra Italiache nel fascismo sfociò per naturale pro-cesso logico. È facile dire: “il fascismofu un fenomeno morboso”. Certo che lofu: ma allignò su un tronco marcio» 7.E in Croce si rinviene una simile amaraannotazione: «sono stato sveglio peralcune ore, tra le 2 e le 5, sempre fissonel pensiero che tutto quanto le gene-razioni italiane avevano da un secolo inqua costruito politicamente, economi-camente e moralmente è distrutto, irri-mediabilmente» 8. E analogo sconforto,ritenendosi Croce, così come Satta eDamiano, ultimo erede della tradizioneliberale risorgimentale di cui tutti e treregistrano la frantumazione.È rilevante poi evidenziare che il rilan-cio delle memorie di Satta e Damianoscherma altre memorie come quella delPiero Calamandrei del Diario 1939 - 1945(La Nuova Italia, 1982).Le destre modificano lo spazio della ri-costruzione storica e delle memorie. Lanovità da loro introdotta se chiara negliscopi resta vaga nei tratti interni: nonsi capisce con nettezza quanto la filieradegli eventi verrà sovvertita, quanto ilfilo dei ricordi verrà sconvolto per la-sciarne scivolare alcuni nell’oblio.Quel che è certo è che la loro iniziativaingenera disorientamento, dal quale sifuoriesce non col manifestare fastidiood insofferenza, bensì operando ricostru-zione storica con rigore scientifico edinterloquendo con i vissuti di chi va nelcono d’ombra.Tanto più necessaria questa reattivitàallorquando si constata che l’iniziativa

delle destre è riproposta nello spaziodella formazione, come nell’intervistadell’insegnante Marco Messeri al Gallidella Loggia nel numero 2 del 2000 del-la rivista Palomar dedicata all’organiz-zazione delle sintesi storiche per la scuo-la9.È proprio in questa intervista che si av-verte tutto il rischio che oggi si corre.Per questo ritengo che la reattività au-spicata debba prendere avvio nella scuo-la tra gli insegnanti. ●

NOTE1. Sergio Romano, Storia d’Italia dal Risorgi-mento ai nostri giorni, 1998, pp. 385.2. Ernesto Galli della Loggia “La morte dellaPatria. La crisi dell’idea di nazione dopo la se-

Un professore di destra, senza dubbioA. R.

Arturo Cordiale insegnava francese, nel cratere della camorra, ad Aversa, liceo scienti-fico. Somigliava in modo inquietante a Eduardo De Filippo, salvo per il fatto che parla-va esclusivamente in dialetto. E trascinava la pronuncia dialettale anche nel suo france-se, che infatti era molto difficile decifrare. Era un tipo asciutto, dai modi secchi. Unmeridionale autoritario e permaloso. Con lui, gli scrutini erano teatro. Noi recitavamoi nostri numeri con una speciale sospensione nella voce, soltanto per preparare lascena a lui. Che infatti, dopo i nostri cinque e sei molto convenzionali, caricava l’espres-sione soddisfatta di chi chiude un cruciverba, e senza guardare nessuno lasciava caderela penna dicendo: «Doie» (Due). O, al massimo: «Quatt» (Quattro). Arturo Cordiale, piùdi tanto, non dava. E il dubbio che il cedimento sistematico in francese di studenti peraltro encomiabili dipendesse da lui, nessuno aveva il coraggio di insinuarglielo. E nondava mai tre. Perché tre, in dialetto napoletano, si dice semplicemente “tre”. Gli parevache quella ambiguità avrebbe fatto mancare nel consiglio di classe il richiamo al suolo,anche se il voto avrebbe comunque fatto sangue…Un giorno, al liceo scientifico di Aversa, ripeto di Aversa, si iscrisse una studentessafrancese. Suo padre era un tecnico della Saint Gobain, che era allora un’isola industria-le francese in Campania. Nadine fu assegnata a noi, sezione B. Era una ragazza sveglia,molto brava. Imparò l’italiano in un soffio, fece un quadrimestre da record.Al consiglio di classe tutti aspettavamo il voto in francese a una ragazza francese:Arturo Cordiale ci avrebbe stupiti. E in effetti una novità ci fu. Annunciò una irritualedichiarazione e, ottenuto il silenzio, disse: «Sta guagliona me vo’ piglia’ pe fesso! Ieparl e essa fa bberé ca nun capisc o’ francese!» (Questa ragazza vuole prendermi ingiro! Io parlo e lei fa finta di non capire il francese!). E poi concluse tranquillamente,fissando la parete grigia e gialla: «Doie».Arturo Cordiale era quello che a Napoli si chiama, teatralmente, “un soggetto”, cioècolui che ha il dono di esprimere fisicamente una parola. E la sua parola era: ”baluar-do”. La sua esile figura di insegnante-macchietta combatteva contro il permissivismo,il sindacalismo, contro il “sei politico”, i “decreti delegati”. Ma più in profondità e piùtragicamente: contro l’evidente eccesso di libertà, contro l’incontrollabile velocità deicambiamenti e in definitiva contro il presupposto terribile di entrambi: il dubbio.Grandezza per grandezza, Arturo Cordiale — che era pure originario di Nola —, potevaben misurarsi, con il vantaggio di quattrocento anni di storia,con il suo opposto perfetto, Giordano Bruno: «Per ciò che siriferisce alle discipline intellettuali possa io tener lontano dame non solo la consuetudine di credere, instillata da maestri egenitori, ma anche quel senso comune che in molti casi e luo-ghi (per quanto ho potuto giudicare io stesso) appare colpevo-le di inganno e raggiro; possa io tenerli lontani in maniera danon affermare mai nulla, nel campo della filosofia, sconsidera-tamente e senza ragione; e siano per me ugualmente dubbietutte le cose, tanto quelle che sono reputate astrusissime eassurde, quanto quelle che sono considerate le più certe edevidenti, tutte le volte che vengono messe in discussione»(Giordano Bruno, Epistola dedicatoria a Rodolfo II).

conda guerra mondiale”, in Nazione e Nazio-nalità in Italia (a cura di Giovanni Spadolini),Laterza 1994, pp. 133.3. Giano Accame, Una storia della Repubblica.Dalla fine della monarchia a oggi, Rizzoli 2000,pp. 5.4. Giano Accame, intervento al Convegno (Na-poli giugno 1997) Il liberalismo nel XXI secolo,Documenti Liberal, Atlantide Editoriale 1997,pp. 199.5. In Giano Accame, Una storia della Repubbli-ca. Dalla fine della monarchia a oggi, Rizzoli2000, p. 5.6. Salvatore Satta, De profundis, Adelphi 1980,p. 158.7. Andrea Damiano, Rosso e Grigio, Il Mulino2000, pp. 162.8. Benedetto Croce, Quando l’Italia era taglia-ta in due. Estratto di un diario (luglio 1943 -giugno 1944), Laterza, 1948, p. 44.9. L’intervista ad Ernesto Galli della Loggia, acura di Marco Messeri, si legge su Palomarnumero 2 del 2000, nelle pagine 59 - 66.

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Riferimenti di sfondoSui tratti di fondo si rinvia a Furio Jesi, Cultu-ra di destra, Garzanti, 1979. Il volume rico-struisce i percorsi dei “maestri” della destrastorica (Mircea Eliade, Julius Evola, ecc.) e liconfronta con quelli dei loro discepoli in Fran-cia e in Italia.Molto utile è la riflessione svoltasi all’internodella Scuola di Francoforte: Theodor W. Ador-no e altri, La personalità autoritaria (1950);Herbert Marcuse, “La lotta contro il liberali-smo nella concezione totalitaria dello stato”(1934), in Cultura e società. Saggi di teoriacritica, Einaudi, 1969; Herbert Marcuse, L’au-torità e la famiglia (1936), Einaudi, 1970.Opportuno, poi, ci sembra sia il tenere pre-sente, dall’interno della destra: Alain de Be-noist, Visto da destra. Antologia critica delleidee contemporanee, Akropolis, 1981 (l’intro-duzione all’edizione italiana è di Marco Tar-chi) e, sempre di Alain de Benoist, L’imperointeriore, Ponte alle Grazie, 1996.

Tra storia e sociologiaIn Franco Ferraresi, La destra radicale, si se-gnala il saggio “Da Evola a Freda. Le dottrinedella destra radicale fino al 1977”, Feltrinelli,1984; dello stesso autore si veda pure Minaccealla democrazia. La destra radicale e la strate-gia della tensione in Italia nel dopoguerra, Fel-trinelli, 1995.Lungo questo versante di ricerca ci sembra utilerichiamare anche il volume di Luciano Cavalli,Sociologia della storia d’Italia 1861 - 1974, IlMulino, 1974.

Tra storia e politicaCarlo Mongardini, Maria Luisa Maniscalco, Ilpensiero conservatore, Franco Angeli, 2000 (gliautori si soffermano sul tema a partire dai con-tributi richiamati di Adorno e Marcuse).Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni esignificati di una distinzione politica, Donzelli,1994.Daniele Barbieri, Agenda nera. Trenta anni dineofascismo in Italia, Koines, 1976.Guido Quazza (a cura di), Nuova destra e cul-tura reazionaria negli anni Ottanta, IstitutoStorico della Resistenza, Cuneo, 1983.Roberto Chiarini, Destra Italiana. Dall’Unitàd’Italia a Alleanza Nazionale, Marsilio 1995.Marco Revelli, La destra nazionale, Il Saggia-

tore, 1996 (ricostruisce i percorsi della destraitaliana dallo “spirito di Salò” alla svolta diFiuggi); dello stesso autore La cultura delladestra radicale, Franco Angeli, 1985.Piero Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movi-mento Sociale Italiano, Il Mulino, 1989; dellostesso autore Postfascisti? Dal Movimento So-ciale Italiano ad Alleanza Nazionale, Il Mulino,1994.Guido Caldiron, La destra plurale. Dalla prefe-renza nazionale alla tolleranza zero, Manife-stolibri, 2001. Su tematica analoga si veda Bru-no Luverà, I confini dell’odio. Il nazionalismoetnico e la nuova destra europea, Editori Riu-niti, 1999.Andrea Gilioli, Forza Italia. La storia, gli uomi-ni, i misteri, Ferruccio Arnoldi Editore, 1994.Sulla Lega pensiamo sia opportuno richiamarequattro titoli: Giovanni De Luna (a cura di),Figli di un benessere minore. La Lega 1979 -1993, La Nuova Italia, 1993; Ilvo Diamanti, Lalega. Geografia, storie e sociologia di un nuovosoggetto politico, Donzelli 1993; Giovanna Pa-ietta, Il grande camaleonte. Episodi, passioni,avventure del leghismo, Feltrinelli 1994; An-drea Bonomi, Pier Paolo Poggio (a cura di),Ethnos e Demos. Dal leghismo al neopopulismo,Mimesis, 1995.Sterminata ormai è la letteratura su golpismoe strage di stato, qui si rinvia a due ricostru-zioni complessive: Giuseppe De Lutiis, I servi-zi segreti in Italia. Dal fascismo alla secondarepubblica, Editori Riuniti, 1998 e Gianni Bar-bacetto, Il Grande Vecchio. Dodici giudici rac-contano le loro inchieste sui grandi misteri d’Ita-lia da Piazza Fontana a Gladio, Baldini & Ca-stoldi, 1993.

Preferiamo non infoltire la bibliografia conarticoli su riviste, facciamo quattro eccezioni:Democrazia e diritto, n. 1/1994, numero mo-nografico dedicato alle destre;La Rivista dei Libri, n. 7/8 del 1995 dove sitrova di Umberto Eco Totalitarismo ‘fuzzy’ e Ur- Fascismo;Micromega, n. 1/1998 che contiene di PaoloFlores d’Arçais/Domenico Fisichella, Dialogo sudestra maldestra e ambidestra;IdeAzione, giugno 2000.

Le destre si raccontanoAugusto Del Noce, “Sul Centro, il postfasci-smo e i comunisti” (ripubblicazione di scrittidel 1945, a cura di Lorella Cedroni), in Nor-berto Bobbio e Augusto Del Noce, Centro: vo-

cazione o condanna?, I libri di Reset, 1995.Dino Cofrancesco, Destra e sinistra. Per un usocritico di due termini-chiave, Bertani, 1984.Ernesto Galli della Loggia, Intervista sulla de-stra, a cura di Lucio Caracciolo, Laterza, 1994.Domenico Fisichella, Totalitarismo. Un regimedel nostro tempo, La Nuova Italia Scientifica1987 (sulle categorie politiche del Novecentoviste da destra); dello stesso autore Dilemmidella modernità nel pensiero sociale, Il Mulino1993 (sulle conseguenze politiche delle gran-di rivoluzioni popolari).Gianfranco Fini, La mia destra, intervista a curadi Paolo Francia, Viviani, 1994.Su Gianfranco Fini: Goffredo Locatelli, DanieleMartini, Duce addio, la biografia di GianfrancoFini, Longanesi, 1994.Giano Accame, La destra sociale, Edizioni Setti-mo Sigillo, 1996.Maurizio Gasparri, Adolfo Urso, L’età dell’intelli-genza. La destra il cambiamento e la rivoluzioneinformatica, Edizioni Settimo Sigillo, 1984.A più mani, Proviamola nuova. Atti del semi-nario “Ipotesi e strategia di una nuova destra”(Prefazione di G. Malgieri), Lede, 1980.Nicola Rao, Neofascisti! La destra italiana daSalò a Fiuggi nel ricordo dei protagonisti, Edi-zioni Settimo Sigillo, 1999Adalberto Baldoni, La Destra in Italia, Edito-riale Pantheon 1999; dello stesso autore an-che Noi rivoluzionari. La destra e il ‘caso italia-no’. Appunti per una storia 1960 - 1986, Edi-zioni Settimo Sigillo, 1986.Marco Tarchi, Esuli in patria. I fascisti nell’Ita-lia repubblicana, Guanda, 1995; dello stessoautore, Cinquant’anni di nostalgia. La destraitaliana dopo il fascismo. Intervista di AntonioCarioti, Rizzoli, 1995.Gabriele Adinolfi, Roberto Fiore, Noi Terza Po-sizione, Edizioni Settimo Sigillo, 2000.Maurizio Blondet, Luciano Buonocore, La mag-gioranza silenziosa, Edizioni Area 1987.Gianfranco Miglio, Io Bossi e la Lega, Monda-dori, 1994.

Le destre e la scuolaDario Antiseri, Lucio Infantino, Le ragioni de-gli sconfitti nella lotta per la scuola libera, Ar-mando, 2000.Sempre dall’interno di Forza Italia: ValentinaAprea, La scuola che non c’è, Edizioni Liberal,2001.Della leghista Emma Bassani Castelli, La scuo-la da Don Milani al federalismo, Editoriale Vi-scontea, 1993.

BIBLIOGRAFIAA CURA DI GIUSEPPE PANELLA

E GIOVANNI SPENA

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educazione società

▼Pensate alla musica: fuori riem-

pie la vita ed è un mezzo importanteper la comunicazione. A scuola se neperde il sapore, il colore ed il calore,viene frantumata e ricomposta in for-me che non corrispondono alla realtàpiena della musica.E penso a quel preside di Liceo classi-co che presentando la sua scuola ad ungruppo di futuri allievi affermava: «nelnostro liceo c’è storia dell’arte, ma sta-te tranquilli non c’è da disegnare, usa-re i pennelli…». Forniva una garanzia:non vi sporcherete, non vi esporrete dalpunto di vista personale. Si studierà eripeterà la storia dell’arte.La scuola è in crisi proprio perché pro-pone l’apprendimento di forme di sa-pere inadeguate e poco significative. Laformazione culturale è un’altra cosa.

Il sapere e le sue formeDOMENICO CHIESA *

Cosa accade al sapere quando incontra la scuola?Non è un incontro facile: spesso perde le forme chelo contraddistinguono. La scuola è in crisi proprioperché propone l’apprendimento di forme di sapereinadeguate e poco significative. La formazioneculturale è un’altra cosa

Lo scompenso che nel tempo si è crea-to tra la dimensione scolastica dell’ap-prendere e quella “spontaneo-natura-le” della vita quotidiana deve esseremaggiormente indagato.

Logiche plurali

Roberto Maragliano rimprovera allascuola di essere troppo separata dalmondo esterno: sarebbe troppo “scrit-ta”, verbosa. Penso sia una falsa con-trapposizione: la scuola deve mantene-re una propria configurazione. Per lascuola l’errore e/o il limite non stannonel possedere una logica specifica diconoscenza (alla quale dovrebbe rinun-ciare per adottarne altre più efficaci/efficienti e più vicine a quelle sponta-

nee) ma nel non riconoscere con pie-na consapevolezza, l’esistenza di altrelogiche; nel non riconoscere che glistudenti sono “portatori” sani di altrelogiche conoscitive, le quali continua-no a funzionare anche quando essi sitrovano nell’ambiente scolastico: la for-za della scuola sta proprio nel sapersiconfrontare e rapportare con esse, neltenerne conto e, eventualmente, nel-l’utilizzarle come risorsa.La scuola diventa, può diventare il luo-go della consapevolezza in cui l’appren-dimento spontaneo, televisivo, “elettro-nico”, del senso comune, dell’esperien-za concreta si incontra con il sapere dei“vincoli” che caratterizza la cultura sco-lastica costruita appunto sui vincoli-”discipline”; ed è questa una lunga, len-ta e fondamentale esperienza conosci-

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tiva che tutti devono poter incontrare epercorrere in modo compiuto in mododa poter consolidare gli alfabeti e quel-le competenze culturali (compreso ilgusto della competenza) che può sor-reggerli e renderli attivi, contenendo ilrischio di bassa persistenza che la stru-mentazione conoscitiva porta con sé.Molto schematicamente si può dire chel’apprendimento scolastico ha tre carat-teristiche:a. è un apprendimento “insegnato”. Laquasi totalità delle cose che sappiamole abbiamo imparate ma relativamen-te poche cose ci sono state insegnate.Ci sono cose che fanno parte della no-stra esperienza umana che non si inse-gnano intenzionalmente. La scuola èdiversa: s’impara un sapere progettatoe insegnato. E ciò pone la scuola nellacondizione di dare una forma scolasti-ca al sapere. La scuola tratta il sapere.Ed è il suo dovere. C’è stata l’illusionedi poter costruire un ambiente scola-stico in cui il sapere non fosse organiz-zato, dosato, ma fosse lasciato in mano

alla spontaneità dei ragazzi. C’è biso-gno del maestro che t’insegni a scrive-re. È una mediazione necessaria: sa dimagico e ci vuole. C’è un bisogno an-che nei bambini di ritrovarsi nella po-sizione di persone che apprendono. Iragazzi sono disposti ad apprenderedall’insegnamento. Il problema dellascuola è far entrare il sapere nella vitadelle persone senza distruggerlo nelladidattica. Perché la forma del saperenon coincide con la didattica. L’erroredella didattica è di centrare su stessa ilcompito e dimenticare il quotidiano deiragazzi e i loro mondi di significati.b. In secondo luogo, l’apprendimentoscolastico avviene in situazione collet-tiva. Molti insegnanti hanno un sogno:poter avere classi con un solo studente:possibilmente quello che ci somiglia dipiù. Se ci assomigliano, li teniamo sot-to controllo. Scoprire come la dimen-sione collettiva sia invece la ricchezzadella scuola è il nostro obiettivo. La di-versità degli allievi è la vita, la formadel sapere. Se non c’è la vivacità della

FuoriregistroFuoriRegistro è una newsletter, acadenza settimanale, a disposizionedi chi ha una storia da raccontare (icontributi vanno inviati a MarinoBocchi, [email protected])Il titolo richiama quello del libro diDomenico Starnone (edito daFeltrinelli) sulla scuola vistadall’interno, attraverso l’agireconcreto di chi ogni giorno siscontra con le sue mille contraddi-zioni. Su FuoriRegistro non siragiona di didattica, di teoriepedagogiche, di questioni sindacali,ma si narrano episodi di cronacascolastica che muovono al riso oallo sdegno.I precedenti interventi possonoessere consultati all’indirizzo: http://www.didaweb.net/fuoriregistro2.phpPer partecipare al forum: http://w3.didaweb.net/forum/index.php3?bn=dw_fr

Molti insegnanti hanno un sogno: poteravere classi con un solo studente:possibilmente quello che ci somiglia di più.Se ci assomigliano, li teniamo sottocontrollo. Scoprire come la dimensionecollettiva sia invece la ricchezza della scuolaè il nostro obiettivo. La diversità degli allieviè la vita, la forma del sapere

diversità, il sapere è una cosa morta. Isaperi sono invece vivi. La dimensionecollettiva e plurale del sapere e dellavita scolastica è la grande ricchezzadella scuola. Paulo Freire diceva cheun insegnante può capire di aver inse-gnato qualcosa solo se alla fine ha lasensazione di aver lui imparato qual-cosa. Se ho smontato e ricostruito conloro un sapere, nel loro flusso di cono-scenza, allora avrò dato una forma vivaal sapere per me e per loro. Qui sta lagrandezza della vita sociale a scuola.Io vivo a scuola nell’attesa che i ragaz-zi mi dicano “ho capito”. La scuola tra-smette saperi, ed ha una responsabili-tà: mettere l’altro nella condizione diapprendere, di poter davvero metterein moto il processo dell’apprendere.Penso sbaglino coloro che attendono lamorte di Socrate nell’idea che sarà ilcomputer a veicolare l’esperienza co-noscitiva offrendo anche la garanzia diun sapere senza gli errori indotti dagliinsegnanti.c. Infine: la scuola è il veicolo delle

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Le maestree il professoreNel Convegno nazionale dell’Auto-riforma gentile (Roma, 28 - 29 apri-le), si è parlato di scuole dell’infan-zia e elementari, la parte miglioredella scuola italiana, fin dalla finedell’800 abitata principalmente dadonne, maestre ed educatrici.Sono state interrogare le loro espe-rienze per capire come si è creataquesta qualità, e mostrare come tut-ta la scuola possa cambiare imparan-do da loro.È stata messa in discussione la tradi-zionale gerarchia tra i diversi gradidi scuola: al livello più basso la scuo-la dell’infanzia, al livello più altol’università. In questa rappresenta-zione l’idea di fondo è che bisognaman mano emancipare l’insegna-mento dai lacci affettivi attraverso cuipassa l’apprendimento nell’infanzia,cosa tipicamente femminile (“la ma-estra” appunto), per passare al sape-re neutro condensato nella figura del“professore”, considerato più nobileperché più vicino all’accademia e de-purato dagli aspetti emotivi implica-ti nel gioco della relazione. A ripro-va, nell’ultima stesura della riformai riferimenti al senso relazionale del-l’insegnamento sono limitati ai gra-di “bassi” dell’istruzione; nei gradi“alti” la scuola sembra dover soccom-bere alla certificazione minuta dellecompetenze e al tecnicismo esaspe-rato perché lì si giocherebbe il valo-re supremo del sapere. L’impratica-bilità ormai di questa gerarchia divalori genera nelle scuole oscillazio-ni inquietanti: dalla politica dellapacca sulle spalle al desiderio di ri-tornare al sette in condotta, cui hadato voce insistentemente la primapagina di Repubblica. Nella contrap-posizione fra paternalismo e autori-tarismo vengono ignorati gli spazi dilibertà che donne e uomini hannocreato autonomamente in questianni nella scuola e nell’università:una libertà tutta diversa da quellasventolata dall’ideologia neoliberista,che teme la soggettività perché nonconsente di controllare tutto il pro-cesso. Mai come da quando è entra-ta in vigore l’autonomia le scuole el’università sono oberate da incom-benze organizzativistiche che ostaco-lano le pratiche viventi, fatte di rela-zioni contestuali, esigenti e allamano. Mettere in cattedra le mae-stre significa rifiutare le gerarchiemaschiliste, e riconoscere che ogniautentico apprendimento, indipen-dentemente dalle età e dalle fasi for-mative, si fonda sulla qualità delle re-lazioni e sulla valorizzazione del lorocarattere sessuato. Il convegno è stataun’occasione per riflettere sulle formedi autorità e di responsabilità che pos-sono aiutarci a dialogare con le nuovedomande di senso delle giovani gene-razioni, e per dar voce al dissenso nonorganizzato nei modi tradizionali, chesi è espresso nelle scuole alla ricercadi nuove forme della politica.

Quelle e quelli dell’autoriforma gentilehttp://members.xoom.it/autoriforma/

conoscenze disciplinari. Non m’illudoche la scuola possa essere qualcosa dimolto diverso da questo. Anche gli in-segnanti della scuola dell’infanzia de-vono riferirsi al sapere delle disciplineper costruire i campi di esperienza. Inqualche modo si tratta di costruire ilsuperamento della contrapposizione trascuola dell’esperienza e scuola dei con-tenuti (scuola centrata sul bambino escuola centrata sulla cultura) proprioriprendendo in modo non riduttivo, lerisposte già formulate da Dewey: farincontrare l’esperienza conoscitiva (ri-spettando i tempi dell’esperienza cono-scitiva) con i “modi di guardare”, imodelli conoscitivi della cultura; perrecuperare ancora Dewey si potrebbedire «intellettualizzare l’esperienza».

A scuola per sapere

Concludendo penso sia importante ri-flettere sul sapere e le sue forme a par-tire da quattro premesse fondamentali:1. Il sapere è un tempo di vita ed ha laforma della vita. Se insegnandolo per-de questa forma non è più sapere.2. Il sapere è esperienza. Ha la forma

dell’esperienza. È la familiarità e lacontinuità di esperienza che fa sì che ilsapere assuma la sua forma. Occorredare senso alle cose che s’insegnano.Se il bambino non dà senso alle coseche sente, non le impara. Certo occor-re saper regolare le emozioni che leesperienze propongono.3. Il sapere scolastico deve mantenerela forma della cultura. Quando Gard-ner parla delle intelligenze multiple siriferisce al fatto che la forma del sape-re è multipla. La mente mette in con-tatto queste forme multiple di sapere.Quindi la forma del sapere è la storiadella cultura.4. La scuola è il luogo in cui “s’impara-no gli altri”. Gli altri non sono deglioggetti, ma una forma del nostro sape-re. La scuola deve tenerne conto. Sa-per usare la diversità è essenziale. Il sa-pere dovrebbe quindi avere la forma deibambini che crescono, cioè la forma diciascuno di noi. Così la scuola sarà unluogo dove costruire se stessi. ●

* Sintesi dell’intervento di Domenico Chiesa,vicepresidente nazionale del Cidi, al semina-rio “Creatività e processi educativi. Le formedel sapere”, organizzato dai Cemea (Torino,26-27 gennaio 2001).

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Il terzo gradino della scalinataANDREA BAGNI

Mia figlia è a un mese dalla fine della quinta elementare. E anche la scuola elementareè vicina alla fine.Aveva cominciato (alla materna) con il terzo giorno che mi diceva, ma ci siamo già andati duevolte di seguito, che ci andiamo anche oggi? Non possiamo fare qualche altra cosa? Tutti i giornisi deve andare, vai a spiegarlo un gioco così…E poi alle elementari era sbocciato il grande amore per la scuola e la classe: guai mancare ungiorno, perdere i contatti con le amiche e le maestre.Ho veramente invidiato quell’intensità così poco “scolastica” delle relazioni di scuola, unaspecie di gioco serissimo, intreccio di attese, affetti, scoperte, poco alla portata dei “professo-ri” — per le maestre in realtà credo anche una fatica micidiale. Ma insomma tutto sembravaaurorale, mostrarsi allo stato puro. Un dispiacere profondissimo per un commento deludente ouna scheda che rimaneva la stessa del primo quadrimestre (è uguale a quell’altra, che ci sonoandata a fare; che mi volete regalare per una scheda così, un sasso regalatemi…); ma anche unagioia fin quasi alle lacrime per dei complimenti o per un buon strano voto (ho preso bravissima).Non si trattava, mi sembra, di semplice “successo formativo”: era proprio il riconoscimentodelle maestre prezioso, un punto di riferimento che viene dal mondo degli adulti, anzi delleadulte; una specie di specchio di sé in cui cercare misura — diverso da quello dei padri e dellemadri, più di appoggio, nicchia e nido.Allo stato puro anche la difficoltà del cominciare a studiare, e leggere rileggere sottolineare

ripetere; rifare, accettare di stare con le “ripetizioni”, anche con lanoia di certe operazioni — l’ho già letto, lo so, perché lo devo ridire,quante volte devo fare la stessa cosa. Ma poi anche la sfida, la com-petizione bella con se stessi, l’avere cura di ciò che si fa. Che si è.Di nuovo tutto chiaro, trasparente.Allo stato puro come l’amicizia, la costruzione del gruppo, l’abitarela scuola anche come sfondo delle avventure sentimentali. Alloradiventa un evento con quale bambino o bambina sei in coppia e tidevi tenere per mano quando vai a mensa. Allora la mattina, benprima dell’apertura del portone, bisogna trovarsi con le amiche e gliamici: da soli, senza genitori e maestre d’intorno, accanto alla scuolama tra bambini.In un questionario di autovalutazione di una scuola media, mi paredi avere trovato qualcosa di simile: un ragazzo che indica comeluogo più amato dell’intero istituto, il terzo gradino della scalinata.Poi si scopre che è quello dal quale si cessa di essere visti dall’inter-no, dagli adulti. Il più lontano, il più vicino. E un altro che esprimecome desiderio più forte riguardo lo spazio scolastico, la presenzadi una panchina in giardino, dove si possa stare un po’ a non fareniente.Mi domando quanto tragicamente per ragazzi e ragazze la scuola esi-sta come spazio regolamentato, normativo. In fondo anche il tempo,la storia da studiare, finisce per essere una misura lungo una linea, dapagina x a pagina y, quanti passi sono? troppi — troppo pochi poiquando li misura l’insegnante lungo il programma. Altra linea.Mi ha raccontato una giovane collega “tirocinante” che spiegano allascuola postuniversitaria (Ssis) che fare scuola è un edificio che siprogetta nel curricolo e si costruisce con i mattoni dei moduli; secon-do lei invece si dovrebbe pensare ad un paesaggio (ha detto propriopaesaggio, nemmeno giardino o territorio) in cui stare, esplorare, sco-prire.Bellissimo.Come l’ingegnere di Ratataplan (albero a colori lussureggiante nelleprove attitudinali alla ditta: unico bocciato) chissà se ce la farà adentrare nella nuova scuola. ●

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le culture

▼La cittadina fiamminga di

Mechelen è oggi un polo regionale del-l’istruzione superiore e parauniversitaria.Da cinque anni ospita il Cimic che orga-nizza un master della durata di due anni.Ma qui la parola d’ordine è flessibilità,nel senso accademico ovviamente, ed èpossibile tanto concentrare il corso in unsolo anno quanto diluirlo in tre. Il masterè strutturato per moduli e comprende unpacchetto di base comune per tutti piùun ventaglio di aree tematiche (Culturae diplomazia, Management economia eculture, Cooperazione internazionale ecomunicazione interculturale, Assistenzamedica in un contesto interculturale) euno di aree geografiche (Africa, AmericaLatina, Asia, Europa dell’Est) cui si ag-giunge il modulo dedicato al ruolo dellereligioni (dalla cosmologia occidentale al-l’Islam, dal mondo giudaico-cristiano aquello tibetano e a quello post-moderno)per un totale di più di 300 ore di lezionepiù una decina di stage residenziali.

contributi di autori come Martin Buber,Emmanuel Levinas e Boszormenyi-Nagy. Quando, ad esempio, costruiscoun progetto attraverso la cooperazioneinternazionale, io “do” — e non solo,perché mi aspetto un ritorno —, ma l’al-tro non ha il diritto di “dare”, poiché dasecoli è soggetto ad un rapporto univocodi dominio in cui uno è colui che dà el’altro quello che riceve. Questa è un’in-giustizia, anche sul piano psicologico.Tutti hanno il diritto di dare e non solodi ricevere, in termini materiali ma an-che affettivi, di riconoscimento. Uno deipunti su cui insiste il nostro progetto diformazione è proprio cos’ha significatoil processo coloniale in termini di meta-fora, di proiezione.

Nel criticare la pretesa occidentale disostenere valori universalmente validinon c’è il pericolo di cadere in un ec-cesso di relativismo, ad esempio quan-do si sottolinea l’impostazione occi-

Una diversa idea di EuropaDAVID SANTORO *

L’Europa non sarà più la stessa sotto l’influsso dei migranti,dei rifugiati e dei paesi che stanno per aderire all’UnioneEuropea. L’esperienza di un Centro di formazione che inBelgio, partendo da premesse interculturali e interreligiose,esplora un diverso paradigma nel campo dell’economia edella democrazia, che sappia tener conto delle realtà deglialtri continenti; e che prova a fornire strumenti peraffrontare il confronto con la diversità e far sì che le personenon si sentano minacciate da presunte invasioni e nonpensino all’Europa come a una fortezza. Abbiamo chiesto diparlarcene a Marc Colpaert, scrittore e giornalista, espertoin questioni asiatiche e cooperazione internazionale,creatore del Cimic - Centro per il management interculturalee la comunicazione internazionale

Qual è l’ambizione del Cimic?Fin dall’inizio l’obiettivo è stato quellodi creare un percorso formativo postuni-versitario in cui studi economici appli-cati, aziendali o di gestione non fosserol’elemento centrale. Qui in Belgio, ecerto nelle Fiandre, l’economia dominae determina il sociale. Il dibattito tra eco-nomisti, sociologi e altri specialisti supresunte gerarchie tra economia e cul-tura è un modo sbagliato di porre la que-stione. Ogni comunità, ogni società haun suo sistema di valori e dà risposte, di-verse. Noi vogliamo farle emergere tuttelasciando che siano l’Asia, l’AmericaLatina, l’Africa e l’Europa dell’Est adavere la parola.Il master segue le tracce di tre disciplinefilosofia, antropologia e psicologia, oltreall’economia naturalmente.In ambito filosofico ci è parso centrale ilproblema del sé e dell’altro e in psicolo-gia il bilancio tra dare e avere, temi suiquali ci appaiono di grande interesse i

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dentale dei diritti umani? E, aggiun-go un po’ malignamente, visto che ilmaster è inserito nella struttura di unahigh school cattolica, non c’è il rischioche possa essere visto come un cavallodi Troia per attaccare i valori del-l’umanismo laico?Direi proprio di no. I nostri corsisti sonoin maggioranza donne, hanno un’etàmedia sui trent’anni, lavorano, hannouna buona conoscenza del mondo e ildesiderio di approfondirla. Noi creiamoun’opportunità di incontro compatibi-le con il lavoro, di sera, nel fine setti-mana, per seguire insieme un percor-so di ricerca. I nostri docenti sono un’ot-tantina, tanti per correre il rischio diun’impostazione rigida. Il metodo èquello di ricercare il dialogo con tuttele discipline coinvolte nella formazio-ne e con i rispettivi punti di vista, perprovare a costruire un puzzle.I diritti umani non costituiscono il noc-ciolo del corso ma certo sono uno de-gli argomenti che si affrontano. Gli asia-tici o gli africani magari ci dicono chetra i diritti umani ne abbiamo dimenti-cato qualcuno, non dicono mai «ce n’èqualcuno di troppo». L’intenzione nonè quella di cancellare, tutt’altro, ma discoprire piuttosto altri aspetti che nonsiamo magari stati capaci di vedere.Mettiamo l’accento su un duplice pro-cesso: accettare la diversità e costruireuna maggiore unità. E non si tratta diuna contraddizione: si possono accet-tare le diversità e al tempo stesso senti-re un’appartenenza comune.Quale forma deve prendere la società?Questa è la sfida. Le risposte sarannodiverse in Italia, nelle Fiandre, in Olan-da o nei paesi scandinavi. Che c’è dimale? Personalmente non provo nes-suna attrattiva per l’uniformità. Pensia-mo alle lingue: ogni anno ne scompa-iono venticinque nel mondo, un aspet-to davvero preoccupante.

Tornando alla questione della religio-ne e dei diritti umani…Proprio paesi a regime teocratico, comel’Iran o il Pakistan, cominciano a con-frontarsi con alcuni aspetti e valori del-l’illuminismo e a chiedersi se non siain fondo più auspicabile una divisionetra Stato e Chiesa. Continuare a con-frontarci tra credenti e non credenti etra credenti di diverse religioni può es-sere fuorviante se non ridefiniamo i ter-mini della questione. Io mi consideroagnostico e religioso al tempo stesso, inche categoria rientro? Oggi l’Europadovrebbe discutere seriamente sui con-cetti di famiglia, sessualità e religiosità,

un termine che scelgo non a caso inve-ce di religione e il cui significato è,come sappiamo, quello di “riunire”.Dobbiamo riflettere su cosa unisce ecosa divide, ed è quello che cerchiamodi fare attraverso il nostro progetto for-mativo.Il nostro corso si svolge all’interno dellaKatholieke Hogeschool Mechelen, unriferimento quello alla cattolicità che rin-via alla storia del nostro paese e a quel-la particolarità sociopolitica chiamataverzuiling 1. Ma il nostro non è un in-segnamento improntato all’ideologiacattolica. Si parte piuttosto da premes-se interculturali e interreligiose peresplorare un diverso paradigma nelcampo dell’economia e della democra-zia, che sappia tener conto delle realtàdegli altri continenti.

Quali elementi sottolineeresti del-l’impostazione pedagogica del Cimic?Ci sono due elementi, l’informazionee l’elaborazione personale.I contenuti vengono presentati in ma-niera divulgativa, non accademica, manon semplicistica, fornendo indicazio-ni bibliografiche e materiali di appro-fondimento. Il corso si svolge di sera enel fine settimana e quindi deve esserecompatibile con una vita “non studen-tesca”, per questo, fin dall’inizio, abbia-mo ritenuto non adeguate le classichemodalità della formazione accademi-ca, troppo rigida.Il processo di elaborazione personaleviene apertamente stimolato nei corsi-sti, cui per ogni lezione si richiedonocommenti scritti individuali e di grup-po. Quanto più noi europei saremo pre-parati e coscienti, tanto più saremo ca-paci di confrontarci con le diversità,non limitandoci a prenderne atto maimparando anche ad apprezzarle e amettere in discussione il nostro puntodi vista.

Che tipo di formazione hanno i vostristudenti e che preparazione ricevono?I corsisti hanno alle spalle percorsi for-mativi assai diversi: gli studenti sono in-gegneri, sociologi, operatori turistici,operatori di Ong… Il nostro master nonindirizza ad una professione specifica,ma cerca di favorire in ciascuno lo svi-luppo dei propri interessi principali. Untipo di formazione ad ampio raggiocome il nostro che tende a sviluppareuna mentalità aperta sta guadagnandoterreno e credibilità. I risultati possonoavere riflessi sulle attività lavorative chei corsisti già svolgono, ma capita ancheche una gran parte di loro cambi lavo-ro già durante il master, se l’attività svol-

ta appare incompatibile con le idee e ivalori sviluppati e approfonditi. Inoltre,soprattutto in Africa e in Asia, impresee organizzazioni hanno sempre più bi-sogno di persone che possano fungereda mediatori culturali e al Cimic co-minciano ad arrivare da più parti richie-ste specifiche di formazione, anche li-mitate nel tempo. Per questo è statacostituita una associazione senza fini dilucro che raccoglie le domande di im-prese e istituzioni e che fornisce con-sulenze, utilizzando tanto il personaledocente quanto alcuni corsisti.

Come è considerato il Cimic dalle isti-tuzioni belghe?Il valore della formazione offerta dalCentro è stato riconosciuto da Moreelse da Boutmans, rispettivamente il pre-cedente e l’attuale responsabile dellacooperazione internazionale e dallaBTC, la Commissione tecnica belga perla cooperazione internazionale. Comu-ni e province cominciano a guardare coninteresse ai nostri studenti e, nel campodell’istruzione, si registra sensibilità daparte delle organizzazioni che si occu-pano di educazione e sviluppo.

Collaborate con altre istituzioni nazio-nali o internazionali?Cooperiamo ufficialmente con l’Univer-sità indiana di Pondycherry, con l’Uni-versità di Lovanio i cui studenti di antro-pologia possono seguire alcuni modulidel Cimic e dal cui “Africa research cen-ter” provengono alcuni dei nostri docen-ti. Ottimi contatti ci sono anche conl’Università di Leida, con il Social Insti-tute de L’Aia e con il Dipartimento Pae-si del terzo mondo dell’università di An-versa. Alcuni nostri docenti provengonoanche dal mondo delle Ong. ●

* Si occupa di sviluppo sostenibile e ambienteper il Dipartimento di Economia pubblica del-la facoltà di Economia e commercio dell’Uni-versità La Sapienza di Roma. Giornalista pub-blicista: in Italia, scrive per il manifesto, Cous-Cous e DW-Press; in Belgio collabora con Kla-ra, il terzo canale della radio nazionale neder-landofona.

NOTA1. Verzuiling, un termine di uso ormai consoli-dato nell’analisi dei sistemi politici, sta a indi-care una situazione in cui in una determinatasocietà organizzazioni di vario tipo basate sudivisioni di ordine culturale o religioso si colle-gano a partiti politici creando una rete di inter-connessioni che abbraccia una vasta gamma diattività collettive. In letteratura sono considera-ti paesi con un elevato grado di verzuiling il Bel-gio, l’Olanda, il Lussemburgo, la Svizzera, l’Au-stria e l’Irlanda del Nord. Si veda: Stein Rokkan,“Towards a generalized concept of verzuiling”,in: The Western European Party System, P. Mair,Oxford University Press, New York 1990.

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Possono due porcospinistringersi l’un l’altro senza farsi troppo male?

BIANCA DACOMO ANNONI

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«Entrano nel bar due uomini ma-scherati con la pistola in pugno, urlando:questa è una rapina, tutti al muro! D’ac-cordo, dico io, è evidentissimo che è unarapina. Fuori i portafogli! gridano ancora,e svelti! facciamo in fretta! Io subito tirofuori il mio, e siccome gli altri tardano unpo’, mi metto ad aiutarli a cercare nelletasche… via, che ce la sbrighiamo in fret-ta, i signori non hanno tempo da perdere,su, cerchiamo di andare tutti d’accordo.Consegno tutti i portafogli ai due signorimascherati, e uno di loro mi fa: oh, ma chefai, sembri d’accordo con noi! Non sembra,io vado d’accordo con tutti, dico. Allorasenti, continua il mascherato, perché nonli tieni sotto la minaccia della pistola, fin-ché non siamo andati via? Prendo la pisto-la e la punto contro i signori, che sonoancora tutti belli in fila, ci vuole assai pocoad andare d’accordo, tra persone civili.Delinquente! mi urla il signore del cognac,metta giù la pistola! E io: come no, dovevuole che la metta? Per terra va bene? Nonho neanche finito la frase che mi saltanotutti addosso e mi riempiono di botte…Come dice? Certo, se lei vuole il mio avvo-cato, lo chiamo subito, ma per dirgli cosa?Concorso in rapina? Come vuole lei, d’ac-cordo… Se la fa contento, scriva pure col-pevole, d’accordo. Io firmo tutto quello chevuole, ma non alziamo la voce, per favore,eh…» (L’uomo che andava d’accordo contutti di Stefano Benni).Ovvero, dove ci può condurre la negazionedel conflitto vissuto come minaccia.Che esso sia parte integrante delle relazio-ni umane non è cosa nuova, che a partireda questa riflessione si scelga di sostituireo integrare percorsi di “educazione allapace” con percorsi di “educazione alla ge-stione del conflitto” può essere invece for-temente innovativo, sul piano metodolo-gico oltre che contenutistico. Sui conte-nuti: il rifiuto della guerra non necessaria-mente implica scelte “pacifiste”, guerra econflitto non sono termini immediatamenteassimilabili, e leggerli esclusivamente inchiave ideologica può indurre contraddi-zioni tra posizioni “di principio” e praticaquotidiana. Al contrario, riflettere meto-dologicamente sul “sé”, sulle modalità checiascuno di noi mette in atto per gestire il

conflitto, o per evitarlo, o per discono-scerlo, non è una pratica così frequente,nemmeno per un educatore, raramente pre-occupato di verificare le proprie capacitàdi “agire” i contenuti che quotidianamen-te trasmette.Riflettendo su quanto possa essere pocoincisivo un intervento educativo basatoprevalentemente su presupposti raziona-li/ideologici, come ad esempio nei con-fronti degli immigrati, soprattutto lavo-rando con i ragazzi e in un’epoca di cadu-ta/assenza delle ideologie, è utile doman-darsi quanto in realtà il rifiuto possa na-scere da un atteggiamento conflittualeinconscio, totalmente irrazionale, nei con-fronti dell’alterità, vissuta come minacciaalla sensazione di sicurezza indotta dal “giànoto”. Da qui le frequenti dichiarazioni di“antirazzismo” totalmente ideologico chenascondono una pratica razzista, e vice-versa le invettive antiimmigrati che si ac-compagnano ad una pratica quotidiana diestrema tolleranza.Ma se il diverso è anzitutto il mio vicinodi casa, o di banco, con il quale il con-fronto, lo scambio, la contrapposizione —e quindi il conflitto — sono aspetti dellarelazione, allora si tratta di elaborarli inmodo costruttivo, imparare a gestirli intermini corretti; un atteggiamento apertoe disponibile al confronto con le diversitàdovrebbe a questo punto essere normal-mente conseguente.

Il Centro Psicopedagogico per la Pace e laGestione dei conflitti è un centro profes-sionale per la formazione, la consulenza ela progettazione psicopedagogica che daundici anni si occupa dei temi legati allagestione e alla trasformazione costruttivadei conflitti. Si rivolge a insegnanti, ope-ratori scolastici, genitori che desideranoincrementare le proprie competenze negliambiti educativi e sociorelazionali, propo-nendo seminari brevi, giornate formative,percorsi organici riassunti molto efficace-mente nel titolo generale “So-stare nelconflitto”. Molte sono le aree operativepreviste dal Centro nel calendario 2001:formazione, animazione formativa, consu-lenza e supervisione, progettazione, ricer-ca, attività editoriale. Per gli operatori sco-lastici vale la pena di segnalare un’inizia-tiva già in atto che, da interviste raccoltetra i ragazzi partecipanti, sembra racco-gliere ampio consenso: la mostra interat-tiva “Conflitti, litigi e altre rotture”. È ri-volta a ragazze e ragazzi dagli 11 ai 16anni ai quali, attraverso semplici stimoliindotti da immagini, racconti, giochi dasvolgere in piccoli gruppi tra i visitatori,si propone di riflettere sui conflitti quoti-diani, le proprie reazioni, i sentimenti cheesprimono modalità di difesa e bisogni per-sonali. Si offre loro una modalità privile-giata e protetta di sperimentare il conflit-to come esperienza normale e “non peri-colosa”, e in prospettiva come spazio pos-sibile di creatività nelle relazioni e nellacomunicazione.Recita un grande pannello in apertura delpercorso della mostra: «In una fredda se-rata invernale due porcospini decidono diriscaldarsi stringendosi il più possibile unocontro l’altro, ma si accorgono ben prestodi pungersi con gli aculei. Allora si allon-tanano, tornando però a sentire freddo.Dopo tante faticose prove i due porcospiniriescono a trovare la giusta posizione chepermette loro di scaldarsi senza pungersitroppo». ●

Per informazioni: Centro Psicopedagogicoper la pace e la Gestione dei conflitti, viaCampagna, 83, 29100 Piacenza, tel./fax0523.498594, e-mail [email protected],www.cppp.it.

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de rerum natura

▼Le società sane destinano le

migliori energie ai piccoli. Nel paesag-gio urbano di quelle società una scuolasi distingue per lo spazio privilegiatoche le è riservato, per il rigore formaledel progetto architettonico, per il ricor-so alle tecnologie più appropriate eavanzate in fatto di materiali, arredi,sicurezza, fruibilità per i soggetti debo-li, sostenibilità ambientale. Le parti delsistema sono concepite in modo flessi-bile e modulare, per rispondere inmodo dinamico all’obiettivo di fondo:rendere naturale e sereno il processodi apprendimento, salvaguardando ilbenessere fisico e mentale di chi abite-rà così a lungo nello spazio scolastico.Non solo, ma in quelle società si è or-mai aperta da molti anni una sfida in-tellettuale tra professionalità diverse perassegnare alle architetture scolasticheun ruolo esemplare nella cultura delprogetto architettonico. Per almeno dueaspetti: quello metodologico della pro-gettazione partecipata e quello tecno-logico dell’eco-architettura. Così leeducazioni ambientali in corso nellascuola entrano in comunicazione (o perlo meno non sono in contraddizione)con le soluzioni ecologiche messe inpratica nella scuola stessa. Comunica-zione che rappresenta il fine stesso del-l’architettura e che innerva il concettodi ecosistema.

Allora la nostra società non è sana. Per-ché le condizioni in cui ogni giornobambini e ragazzi vivono a scuola sonoquelle che nessuno accetterebbe in casapropria. La ricerca svolta da Legam-biente (Ecosistema scuola 2001) è unaconferma ulteriore e definitiva. La ri-cerca riguarda il 2000 ed ha coinvolto iComuni capoluogo di Provincia. Gliedifici scolastici monitorati sono stati

quindi quelli di competenza comuna-le (scuole dell’infanzia, elementari emedie). Il numero delle scuole chesono state monitorate è di 7.690.

Il 20 % degli edifici risale a prima del1940 e ha quindi problemi gravi di di-spersione termica, incorporano mate-riali inadeguati (anche tossici), gli spa-zi costringono la prassi didattica ad adat-tamenti improvvisati ed effimeri. Laloro collocazione quasi sempre centra-le nel contesto urbano, in assenza dibarriere protettive (contro il rumore,l’inquinamento atmosferico ed eletro-magnetico) e di interventi urbanisticicrea unicamente spaventosi problemidi mobilità (circa il 40% non ha unoscuolabus). Molte scuole (15%) occu-pano edifici riadattati alla meglio: ca-serme, conventi, case private. E molti(5,7%) sono addirittura in affitto. Lametà non ha uno straccio di giardino eil 20% non ha alcuna struttura per losport.13 scuole su 100 si trovano a meno di 1

ANDREA ROSSO

Una ricerca nazionale di Legambiente confermaancora una volta che le condizioni in cui ogni giornobambini e ragazzi vivono a scuola sono quelle chenessuno accetterebbe in casa propria. Un bambino habuone probabilità di finire in un ex-appartamentomale illuminato, in mezzo al rumore del traffico eall’inquinamento, senza uno straccio di giardino,senza palestra, impossibile da adeguare alle norme disicurezza. E in affitto

chilometro da aree industriali, anten-ne radio tv, aeroporti, aree militari, di-scariche (il 6% a meno di 200 metri!).Una scuola su 200 si trova in un’area arischio ambientale ufficialmente di-chiarato. «E a questo quadro — dice ildocumento di Legambiente — vannoaggiunti i problemi indoor come il casodell’amianto, ancora presente in moltestrutture edilizie, e il quasi sconosciutoinquinamento da radon». La ricercanon valuta, del resto, altri importantifattori di rischio generale, come quellosismico, vulcanico, idrogeologico.Quasi tutte le scuole insegnano ai ra-gazzi quanto sia indispensabile la rac-colta differenziata dei rifiuti, ma più del60% non effettua alcuna raccolta diffe-renziata. Anche perché il 40% dei Co-muni non investe in progetti educativirivolti alle scuole. Le scuole del Sudsono più spesso in affitto e sono più fa-tiscenti (Calabria, Sicilia, Campania),ma in compenso quelle del Nord sonopiù inquinate (Emilia, Lombardia,Friuli). ●

Mal di scuola:una ricerca

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È stato Italo Calvino, coetaneoe amico-fratello di Libereso (lo ha de-scritto in Un pomeriggio Adamo), a cre-are qui quei “sentieri calviniani” cheportano così spesso dal mare alla colli-na e sempre dalla terra alla mente: Lastrada di San Giovanni è uno di questi“sentieri” (ed è il primo di cinque rac-conti della raccolta Passaggi obbligato-ri, un elenco di testi indicati in un ap-punto autografo di Calvino). «Fra terrae mare, sul confine che orizzonte emontagne stabiliscono con il cielo. “Lavallata di San Giovanni, in ombra du-rante parte del giorno...” (...) piastrelledi maggiorana e cicoria, basilico e me-lanzane, cipolle e carciofi...»1. Qui glialunni della scuola elementare SanMartino di Sanremo hanno “cammina-to leggendo” per conoscere uno scrit-tore e un ambiente entrambi familiarie misteriosi.«… Quest’anno abbiamo voluto acco-starci a Italo Calvino perché ci incu-riosiva conoscere l’uomo che sta dietrole parole… Ne La strada di San Gio-vanni abbiamo riconosciuto luoghi e

parole della nostra terra ma soprattuttoabbiamo capito che questa terra si puòvedere in molti modi: Italo non eradaccordo con il padre Mario che “delmondo vedeva solo le piante e ciò cheaveva attinenza con le piante…”. PerItalo «il mondo, la carta del pianeta,va da casa loro in giù, che il resto è spa-zio bianco senza significati». Per Ma-rio, invece, dalla strada di San Giovan-ni «comincia il mondo, e l’altra partedel mondo, quella di giù, è solo un’ap-pendice, talvolta necessaria per le coseda sbrigare, ma estranea e insignifican-te, da attraversare a lunghi passi quasiin fuga, senza girare gli occhi intorno».«… Noi abbiamo percorso realmentela strada di San Giovanni con una gui-da d’eccezione: il signor Libereso».Ecco allora che in questa esperienzadi educazione ambientale compareuna persona vera. Non una guida na-turalistica diplomata, non un informa-tore scientifico, bensì un maestro diesperienza.«Sono nato il 20 aprile del 1925 sullecolline di Bordighera. Naturalmente,

nascendo in primavera, ho visto tuttofiorito. Istintivamente ho assorbito laprimavera. Sono stato fino ai miei pri-mi sei anni a Bordighera, poi ci siamotrasferiti a Sanremo. Libereso, il mionome: perché mio padre era un espe-rantista, forse uno degli ultimi del suogenere. Era anche vegetariano. Espe-rantista perché a Bordighera c’era sta-to Clarence Bicknell, uno dei grandi,un acquerellista meraviglioso, il primoa classificare la flora ligure e a disegnar-la».Mario Calvino, botanico, direttore del-l’Istituto sperimentale di floricoltura diSanremo aveva viaggiato molto: Suda-merica, California, Cuba, Messico. Diritorno dai suoi viaggi aveva creato aSanremo una delle stazioni di acclima-tamento di varietà esotiche più impor-tanti d’Italia, dando un notevole impul-so al vivaismo ligure. In quei terreni Li-bereso aveva cominciato a lavorare gra-zie ad una borsa di studio di 333 lire almese. In quell’ambiente naturale cosìsingolare e nel clima culturale di casaCalvino («Erano tutti sinistroidi; anche

Passaggi obbligatoriANDREA LEVERONE

Difficile che a Sanremo bambini e ragazzi nonincontrino in qualche modo Libereso (LiberesoGuglielmi, sarebbe, ma tutti lo chiamano solo pernome). Anche a scuola, perché quando agli insegantiviene la bellissima idea di “portar fuori i ragazzi” a capirenatura e ambiente l’“esperto” che li accompagna èsempre lui. Ma “esperto” di che cosa? Semplice:botanica, pittura, letteratura, storia, poesia, filosofia. Eccochi è il leggendario botanico-giardiniere cheaccompagna i bambini tra i fiori e le poesie

L’educazione ambientale ha certo bisognodi esperti ma soprattutto di testimoni,persone vere, capaci di raccontare unastoria, di contagiare chi ascolta con ilproprio esempio di vita: scelte quasi sempredifficili, molto lontane dall’apologia edall’ipocrisia della compatibilità

[ ]Qui sopra: Libereso

Guglielmi e Italo Calvino.Nella pagina accanto: unframmento del “giardino

verticale” sui muri a seccodelle fasce liguri. Si

riconoscono gli “imbuti”dell’ombelico di Venere

(Umbilicus rupestris) e unapiccola felce, la ruggine(Asplenium trichomanes).

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Calvino — dico Calvino il vecchio, ilprofessore — era un anarcoide»2), Libe-reso era stato considerato da subito unpo’ come un figlio, anzi un “antifratel-lo” di Italo. Uno selvatico, rude e sola-re, l’altro cittadino, raffinato e inquie-to. Una metafora che attrae molto que-sti bambini a scuola sulla strada di SanGiovanni, perché personifica e rendecomprensibile l’antica, irriducibile con-traddizione tra natura e cultura.Dice Libereso: «Viene Italo con ‘stogrembialino, con le forbicine da pota-re, il coltellino... Lui pigliava tutto e losbatteva via: “Io voglio fare il giornali-sta!”, e sua madre: “Tu fai il giardine-re!”».Invece il giardiniere lo fece Libereso,com’era naturale. Dopo la morte delprofessore diresse un’azienda brasilia-na di orchidee dell’Italia meridionale.Poi si trasferì in Inghilterra dove per do-dici anni fu capo-giardiniere del Giar-dino Botanico Middleton House e delGiardino delle Erbe dell’Università diLondra. Ma poi tornò in Italia, nel1970, con la famiglia che nel frattem-po aveva costruito. Oggi è un caposcuo-la del giardinaggio “naturale”, cono-sciuto in tutta Europa. A Sanremo con-tinua a creare giardini, ad allestire mo-stre di acquerelli e ad insegnare la suapersonalissima botanica lungo gli oli-veti e le fasce del Ponente.La sua educazione ambientale è sicu-ramente più di una semplice trasmis-sione di informazioni e conoscenze sulmondo vegetale. Libereso trasmette(con tutto il corpo) la grande comples-sità del suo rapporto con il mondo na-

Le esperienze“Una Passeggiata per la strada di SanGiovanni… con sorpresa”.Alla scoperta del territorio attraverso leparole di Italo Calvino e le testimo-nianze di Libereso Guglielmi.Scuola elementare statale “SanMartino”, Sanremo.(http://www.sanremonet.com/scuole/segnali/indice3/attualita/frames17.htm)

“Una fascia per amica”Lo stupore è la chiave per educare lecapacità di osservazione della natura.Scuola Materna statale “MariaMontessori”, Sanremo(http://www.sanremonet.com/scuole/3circolo/progetti/ambiente.htm)

“Flora, erbe spontanee e aromi delMediterraneo”Come si riconoscono e si usanoparticolare le erbe aromatiche tipichedell’ambiente mediterraneo.Scuola Media “Giovanni Pascoli”,Sanremo(http://www.bdp.it/~geir0001/inno/imperia/pascoli/erbe-3a/index.htm)

turale. La terra come madre, le creatu-re disposte in orizzontale, sullo stessolivello di dignità; la scienza come stru-mento di lavoro, l’entusiasmo del “cre-are di natura, natura”, accostando pian-te e colori, piante e piante, incrocian-do, selezionando, riproducendo escambiando sementi con tutto il mon-do. Un grande amico della libertà del-le donne e degli uomini. I bambini ca-piscono che non è uno che fa chiac-chere. La libertà gli viene da lontano,quando con suo fratello, anche lui Li-bero all’anagrafe (ne avessi cento saran-no tutti Liberi, diceva il padre) si dichia-rava “afono” «Afoni perché così noneravamo costretti a cantare i canti delregime. Tutte le mattine! Guarda, erauna schifosata che non ci credi. Tu do-vevi andare a scuola, il maestro è arri-vato e faceva: “Eia, eia…”e tu dovevidire “…alalà”: per un quarto d’ora, ra-gazzi! Allora io essendo “afono”…».Oggi, naturalmente, si schiera controla sostituzione degli olivi con serre digarofani, contro l’abbandono dei boschie dell’entroterra, contro tutte le intol-leranze che hanno ripreso a vegetareanche qui. Su un gerbido che gli è sta-to donato sulla collina di Sanremo hacreato un giardino, il Giardino Libere-so, che non si potrebbe immaginare piùnaturale, perché ci sono solo piantespontanee disposte in modo spontaneo.Qui accoglie e incanta le scolareschecon lezioni di educazione ambientaleche sono in realtà lezioni di vita. E bam-bini e ragazzi vedono con i propri oc-chi una persona in permanente “ricac-cio vegetativo”, vitale e libera, testimo-

ne di serre, orti botanici, due guerre,del giovane Calvino, dei garibaldini,delle orchidee e delle palme, del Pro-fessore e di Sanremo. ●

NOTA1. Così Nico Orengo nella prefazione a Libe-reso, Il Giardiniere di Calvino, il libro intervi-sta di Libereso Gulielmi e Ippolito Pizzetti(Franco Muzio, 1993, pp. 204, L. 28.000). Nel-le tre parti del libro, Mattino, Pomeriggio eSera, Libereso si racconta in un lungo collo-quio con l’amico paesaggista e scrittore. Le pa-role di Libereso nel testo sono tratte da questovolume.

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32«Immagino il paradiso

come un’immensabiblioteca»

Gaston Bachelard

È stato fatto credere amilioni di persone che ilmondo è rumore, parolepronunciate e poi sparite,magari pronunciate e poiritirate e rovesciate. Maicome in questo momentosembra che non ci sia postoper il silenzio, per mettersi aleggere un libro seduti efermi. Eppure la salvezzadelle società moderne,dell’economia, della stessademocrazia può veniresoltanto dallo studio, dallalettura, dal controllo di unlibro, pagina per pagina.Alcuni libri possono essereacquistati: Altri si trovanonelle biblioteche pubbliche,anche in piccole città. Maaltri, e tra questi molti diquelli che contengono ideee informazioni meritevoli diattenzione, sono accessibilisoltanto nelle grandibiblioteche pubbliche dei

capoluoghi, delle università,biblioteche a cui si accedesolo seguendo rigoroseliturgie, con limiti di giornie di ore.Ma qualcosa sta cambiando:in qualsiasi paese, di giornoe di notte, con una spesarelativamente limitata, itesti di intere bibliotechepossono arrivare nella casadi chiunque possieda uncomputer e uncollegamento telefonico.Internet promette notizie,oroscopi, incontri amorosi,chiacchiere futili, ma puòfornire, se usata conintelligenza, l’accesso ainnumerevoli libri e articoli,anche rari.Internet è una specie di casacon innumerevoli stanze ecorridoi e anche con alcunilabirinti che fanno pensarealle immagini classiche,della “biblioteca di Babele”,di Borges o alla bibliotecadel monastero del libro Ilnome della rosa di UmbertoEco. Muoversi in unlabirinto pieno di libri,richiede un briciolo diattenzione e fantasia, e unacerta dose di pazienza, virtùin via di estinzione, maancora utile.

Avviso ai naviganti

C’è, nello stato americanodel Colorado, fra leMontagne Rocciose, il sitohttp://csf.colorado.edu (“csf”sta per “Communicationsfor a Sustainable Future”).Ha tante sezioni: una diqueste comprende scrittidegli economisti“eterodossi”; un’altra èintitolata “sociologiaprogressista” e lì si trovanogli scritti di Marx, Engels,eccetera; c’è una sezionesulla pace; c’è una sezione“Ecology and environment”.Da questo “sito” poteteaccedere a innumerevoliarticoli o interi libri: potetetrovare l’intero testo(inglese) della“Convenzione delle NazioniUnite sul cambiamentoclimatico”(www.greenpeace.org/intlaw/fcc-html.htm);leggere un lungo articolo diLovins e Lovins,“Reinventare la ruota”, cheparla dei progetti sulla“super-automobile” delfuturo, ultraleggera, a bassoconsumo di energia,l’articolo è apparso nellarivista americana The

L’IMMENSABIBLIOTECA

GIORGIO NEBBIA

Consigli ai naviganti per condividere la sorpresae la felicità di leggere e scoprire libri, quando sene ha voglia, in qualsiasi ora del giorno e della

notte. I siti su cui cercare libri, riviste,conferenze su ecologia e chimica

Atlantic Monthly delgennaio 1995(www.theatlantic.com/issues/96april/oil/wheels.htm). Unarticolo sull’”Alba dell’etàdell’idrogeno”, apparso nellarivista Wired (ottobre 1997),si trova in www.wired.com/wired/5.10/hydrogen.html 1.Qualche lettore potràrallegrarsi trovando (http://csf.colorado.edu/authors/Boulding.Kenneth/) alcuniscritti di Kenneth Boulding(1910-1993), fra cui: “Losviluppo economico comesistema evolutivo” e, semprein inglese, “SpaceshipEarth”, il testo di unacelebre conferenza tenuta il10 maggio 1965 in cui per laprima volta il nostro pianetaè stato paragonato ad unanave spaziale, di dimensionilimitate, i cui occupantisono costretti a tenereall’interno della navicellatutti i propri rifiuti.Ai più interessatiall’importante capitolo dellascienza ecologica, quelloche tratta la dinamica dellepopolazioni animali e lalotta per l’esistenza,raccomando la letturatelematica di un preziosolibro, pubblicato in inglese

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nel 1934 dal russo GiorgiGause (1910-1986), Thestruggle for existence, oggiintrovabile su carta. Algrande studioso sovietico iconnazionali negli Statiuniti hanno dedicato il sito:www.gause.com/contgau.htm.Se volete immergervi in ungran numero di articoli epubblicazionisull’ambiente, consultate ilsito: www.dfg-vk.de/english/bookmark.htm. Si trattadell’elenco di articoliraggiungibili dal “Norbert’sBookmarks for a betterworld”. Bookmark è il“segnalibro”, quel fogliettoche si mette fra le pagine diun libro di carta perricordare dove si è letto unpasso o una notiziainteressante. Nel computersi può “scrivere” in unaapposita riga il “segnalibro”che consente facilmente diritrovare in futuro un testoche si è già letto.Partendo dal “segnalibro diNorbert” e percorrendo varicorridoi, a cominciare daquello sulla cui porta èscritto “Environment”,potete trovare spiegazionisulla raccolta differenziata,sul riciclo dei rifiuti, suipesticidi, su associazioniambientaliste e sui loro librie scritti, eccetera.Una miniera di articoli sullachimica, soprattutto sullastoria della chimica èaccessibile dal sito http://webserver.lemoyne.edu/faculty/giunta, curata dalprofessor Carmen J.Giunta 2, Le MoyneCollege, Syracuse, NY13214-1399.

Tra le riviste riprodotte suInternet, alcune offrono laversione telematica di unnumero apparso in passatosu carta. Altre riviste sononate e continuano ad essere“pubblicate” 3 soltanto informa telematica; è il casodi altronovecento, il cui n. 1è uscito nel novembre 1999(il n. 4 è stato pubblicatonel novembre 2000), che sitrova integralmente esoltanto inwww.altronovecento.quipo.it.Una raccolta di articoli

sull’ambiente, anchelunghi, in parte inediti, sitrova nella “rivista”www.quipo.it/netpaper.

Labirinto virtuale e pazienzareale

Purtroppo esiste un maceroanche per i libri telematici.La pubblicazione di un testoin un sito di una retetelematica costa e ormail’affollamento delleinformazioni sulla rete ètalmente grande che alcunilibri o articoli “scompaiono”.Che cosa significa chescompaiono? Può significareche una persona o unaazienda, annullano un sito eil relativo contenuto; tanto èvero che in genere occorrespecificare che si è trovatauna informazione in un certosito alla data del .... Dopo taledata chi fa la citazione nongarantisce che la stessainformazioni o lo stesso testosiano ancora in quel posto lì 4.Non si deve infattidimenticare che quello cheleggete sul video del vostrocomputer non esiste,fisicamente, è “virtuale”, perusare una parola di moda; è,insomma, parte di un insiemedi segnali elettronici,veramente miliardi dimiliardi di miliardi, chevagano per l’“etere” e di cuivoi potete captare unafrazione piccolissima, anchecon i computer personali piùpotenti.Può anche succedere che,nella ristrutturazione dellereti, specialmente dei sitiuniversitari, un blocco diinformazioni, nel nostro casodi libri o articoli, vengatrasferito da un indirizzo adun altro; ci vuole allora unagrande pazienza perrintracciare dove leinformazioni sono finite.Chi, infine, vuole sapere seun certo libro si trova in unadelle biblioteche pubblicheitaliane — solo in quelle chehanno “messo in rete” ipropri cataloghi — puòvisitare il sito www.sbn.it,passare a opac.sbn eaccedere al sito: http://opac.sbn.it/index.html, chesi può interrogare indicando

il nome dell’autore (prima ilcognome poi il nome)oppure il titolo del librocercato. Può apparire ancheun elenco di molti libri dellostesso autore cercato, nelqual caso bisogna leggeretutti i titoli fino a che si ètrovato quello del librocercato. “cliccando”, comesi dice, su un quadratinoappare la scheda con lacollocazione in una o piùbiblioteche. Fate unesercizio con un librosemplice, per esempio:Fermi Laura (attenzione,cognome e poi nome senzavirgola), Atomi in famiglia(la nota biografia di Fermiscritta dalla moglie),Milano, Mondadori, 1954,1965.Buon viaggio .

I lettori di école chevogliono porre quesiti sullaricerca su Internet di libri oarticoli di riviste possonoscriverci in redazione([email protected]).Risponderà GiorgioNebbia.

NOTE1. Tengano presente, i lettorimeno “scafati”, cioè meno praticia manovrare il loro scafo nella“navigazione” su Internet, che al-cuni dei siti citati vanno cercatimuovendosi con furbizia nei varilabirinti: per esempio entrandodalla porta csf.colorado.edu/, poiandando a infilarsi nel “corrido-io” denominato “Ecology and en-vironment”, per trovare poi “Eco-logical economics”, poi “Hydro-gen and hypercars”, e infine perarrivare a destinazione, al sito pri-ma citato, www.wired.com/wired/5.10/hydrogen.html.2. Nonostante il nome si tratta di

ecol

ogia

, chi

mic

a

un professore e non di una pro-fessoressa.3. Il termine “pubblicare” non èesagerato; un articolo, un librohanno il fine di comunicare in-formazioni ad altre persone e a talfine devono essere resi accessibilial “pubblico”, diventare “pubbli-ci”. Finora la “pubblicazione” erarealizzata su carta, richiedeva uneditore, era costosa per l’editore etalvolta finiva, invenduta, in unacantina o al macero. La pubbli-cazione telematica — finché è “inrete” — è accessibile a chiunque,talvolta ad un numero di lettorisuperiore a quello dei lettori dimolti libri stampati.4. Le citazioni che troverete inquesto articolo esistevano il 1marzo 2001.

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scienza○

Vi ricordate?: strage del Cermis, bombardamento dell’ambasciata cinese a Belgrado, spero-namento della nave giapponese nel Pacifico, incidente dell’aereo spia in ricognizione sulla Cina.Sono solo alcuni dei principali episodi di bullismo internazionale di cui si sono resi colpevoli gliUsa, negli ultimi tempi. Ma c’è di peggio. Appena insediato alla presidenza, ottenuta senza avereil consenso non solo della maggioranza dei cittadini Usa, ma neppure quello, assai esiguo, deivotanti, George Bush II ha pensato di mostrare immediatamente la faccia arrogante del potereannunciando il suo programma che prevede di considerare carta straccia tutti i principali e piùimportanti impegni presi sia nella politica internazionale sia in quella ambientale. Certo, tuttociò non ci stupisce più di tanto, perché oggi questi uomini politici sono nient’altro che i porta-voce di interessi costituiti. Il complesso militare-industriale chiede, e ottiene, l’aumento dellagià vertiginosa spesa militare per realizzare ogni sorta di pericoloso gadget proposto dai labora-tori di ricerca militari, dalle cosiddette “armi umanitarie” al fantomatico scudo stellare.I petrolieri chiedono e ottengono:1. di annullare gli impegni assunti a Kyoto nel 1997 per avviare una timida inversione di tenden-za nel pericoloso processo del cambiamento climatico globale prodotto dall’attività antropica;2. di condurre nuove prospezioni e trivellazioni ovunque si supponga esista qualche goccia dipetrolio, comprese le aree protette, negando i diritti delle popolazioni residenti e degli altriviventi. Le responsabilità non cadono solo sulla nuova amministrazione, perché anche quellaprecedente ha cincischiato a lungo e non è stata in grado, in quattro anni, di ratificare definiti-vamente gli accordi di Kyoto arrivando all’ultimo momento, alla conferenza dell’Aja , senza unnulla di fatto.Di fronte alla totale irresponsabilità dei leader politici, c’è chi sta pensando di promuovereiniziative dal basso senza perdere altro tempo prezioso. È da segnalare in particolare la propostadegli “Amici della Terra” che hanno lanciato un progetto educativo assai interessante: The Bet –La SCO2mmessa. Visto che i “grandi” della Terra non vogliono agire e sono succubi del poteredelle multinazionali petrolifere, lanciamo una “scommessa” per dimostrare che possiamo rispet-tare gli accordi di Kyoto modificando i nostri comportamenti, le nostre abitudini, i nostri consu-mi in maniera tale da ridurre noi stessi direttamente, dal basso, le emissioni di CO2. Per saperecome fare, concretamente, e per stimare di quanto possiamo incidere sulle emissioni dei gas diserra, gli “Amici della Terra” hanno preparato un ottimo Manuale pratico, rivolto in particolareagli studenti delle scuole che intendono partecipare al progetto, disponibile in rete all’indirizzo:www.amicidellaterra.org/thebet/index.htm.Il manuale contiene le istruzioni dettagliate su come ridurre le emissioni provocate dalle seguen-ti attività che si svolgono quotidianamente nella scuola, senza che noi se ne sia molto consape-voli: produzione di energia elettrica, riscaldamento, trasporti, carta, acqua, rifiuti. Per ciascunsettore è possibile, con semplici accorgimenti, ridurre i consumi e di conseguenza le emissioni. Ilprogetto prevede la compilazione di “assegni”, appositamente preparati e disponibili in rete, coni quali si documentano i progressi e i risparmi effettuati, giorno dopo giorno, mese dopo mese, inmodo che alla fine dell’anno si sarà in grado di fare il bilancio complessivo. Altri suggerimentiriguardano l’attività educativa che si può fare a partire da questo progetto, in modo tale da«promuovere l’autogestione dell’educazione ambientale e responsabilizzare gli studenti sulla ge-stione degli edifici e sui bilanci economici della scuola». Perché oltre ai benefici ambientali, siottiene anche una riduzione delle bollette energetiche, dell’acqua, del riscaldamento e del costodei trasporti e quindi un significativo ritorno economico. Accettiamo la “scommessa” per dimo-strare ai capi di stato a dei governi che siamo in grado di ridurre i gas serra, nonostante la lorocolpevole inerzia. È una sfida che può essere allargata man mano ad altri soggetti contribuendoa creare i presupposti per una autentica svolta energetica, economica e ambientale. ●

CapitalismoNaturaSocialismoEcologia Politica haripreso il vecchio nomedi Capitalismo NaturaSocialismo, e lacadenza mensile. Larivista esce comesupplemento delquotidiano Liberazionel’ultima domenica delmese.Continua lapubblicazione anche suInternet, al sitowww.quipo.it/ecologiapolitica.

Giovanna Ricoveri([email protected])Dario Manna([email protected])

La casadi PinocchioLa casa di Pinocchio èun’azienda agrituristicabiologica a pochichilometri da Alba,sulla “collina degliscoiattoli”, a 600 metridi quota, in un anticoborgo in pietra, nelleLanghe. La casa diPinocchio organizza,nei mesi estivi Giochi elavori per una culturaecologica con o senzagenitori. Tra le attivitàproposte: corsisull’alimentazionenaturale e percorsi digioco.

La casa di Pinocchio,via Dietro Langhe 12,12050 Cravanzana(CN),www.lacasadipinocchio.com;Monica Gallo, vialeSan Maurizio 12,12058 Santo StefanoBelbo (CN), tel.0141.844148,0347.0367174, [email protected]

Bullismo internazionaleNANNI SALIO

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Ambiente

Sembrano operazioni ov-vie e banali, ma fare il pienodi benzina, riscaldare i termo-sifoni, accendere la luce po-trebbe, nei prossimi anni, es-sere non così facile e sconta-to come oggi. La risorsa pe-trolio, su cui tutte queste ope-razioni si reggono, si sta av-vicinando al punto di massi-ma produzione, un qualchemomento tra il 2005 e il 2015secondo gran parte degli ana-listi, dopodiché l’offerta nonpotrà che diminuire sconvol-gendo tutti gli equilibri eco-nomici su cui si reggono lesocietà industrializzate, la cuidomanda continua invece acrescere inarrestabile.Sarà anche per questo, e perle sempre più pressanti esi-genze di protezione del clima,che dopo molti anni di alle-gro e disinvolto consumismopetrolifero, si assiste ad untimido rilancio di iniziative nelcampo del risparmio energe-tico e dell’impiego di fontid’energia rinnovabili. È di que-sti mesi la comparsa sul mer-cato automobilistico dei pri-mi modelli di auto ibride abasso consumo di benzina (trelitri per 100 km); mentre nelcampo della produzione elet-trica si assiste al boom del-l’eolico nell’Europa centro-set-tentrionale, all’inaugurazionein Gran Bretagna della primacentrale elettrica commercia-le che sfrutta il moto ondoso,e alla crescita diffusa di pro-getti per l’introduzione su lar-ga scala del solare termo-elet-trico, ovvero la produzione di

calore ed elettricità attraver-so la conversione dell’energiaassociata alla radiazione so-lare diretta. Due ulterioriesempi, pur assai diversi traloro per portata ed incisività:il programma varato nel 1999dall’amministrazione Clintonper promuovere nel Stati Uni-ti la realizzazione, in tempibrevi, di un milione di tettisolari, e il contemporaneovaro in Italia di una leggina(N. 163, 1999), che stanzia300 miliardi per incentivareanch’essa l’autoproduzioneenergetica delle abitazioni.

Laboratori scolastici

Un aspetto forse meno noto,ma altrettanto, se non ancorpiù significativo, è la diffusio-ne e il successo che, nellescuole di ogni ordine e gradodi molti Paesi, sta registran-do la sperimentazione didat-tica riguardante le fontid’energia rinnovabili. Quindinon solo lo studio delle loroproprietà e dei loro impieghi,ma anche la verifica diretta delloro comportamento in appli-cazioni, più o meno comples-se, sviluppate all’interno del-le scuole stesse. D’altra parte,gli edifici scolastici sono unposto ideale per lo sfrutta-mento dell’energia solare: laloro domanda energetica è si-gnificativa e concentrata ingran parte nelle ore diurne,quando cioè l’energia irradia-ta dal sole può essere usatacon i maggiori vantaggi. Inol-

tre i loro bisogni energetici,dall’elettricità al calore per ilriscaldamento ambientale eper la fornitura d’acqua calda,ben si prestano ad essere sod-disfatti, anche solo in parte,da moduli di impianti solaritermici e fotovoltaici piena-mente alla portata delle pos-sibilità di installazione e dicontrollo di un attrezzato la-boratorio scolastico. Ed è pro-prio quanto sta avvenendo incentinaia di scuole statuniten-si, tedesche, svizzere, inglesied australiane, a giudicare dairesoconti della rivista Schoolsgoing solar, che si proponecome guida internazionale agliinsegnanti intenzionati adavviare nei loro ambiti questotipo d’iniziativa.Secondo i curatori di questarivista, edita dalla SolarElectric Power Associationun’organizzazione no-profitinternazionale a cui aderisceanche l’Enel, il primato nelcampo della solarizzazionescolastica, con relativa forma-zione, spetta alla Svizzera cheda più tempo e con maggiorintensità, rispetto alla propriapopolazione studentesca, si èimpegnata in questa direzio-ne. Tuttavia attualmente sonoStati Uniti e Germania i Paesidove la sperimentazione sco-lastica nel campo delle ener-gie rinnovabili, e in partico-lare del fotovoltaico, sta pro-gredendo con maggior ampiez-za e rapidità. In Germania, adesempio, sono oltre un miglia-io le scuole nelle quali risul-tano in funzione sistemi di

pannelli fotovoltatici proget-tati, installati e gestiti daglistudenti con l’assistenza ditecnici prestati dalle industriedel settore che, in base adaccordi con le amministrazio-ni locali e statali, fornisconoanche, a costi concordati,moduli di celle fotovoltaiche,da 1 kW cadauno, apposita-mente progettati. Questi siste-mi possono essere installatinel cortile, sui terrazzi, o sul-la facciata dell’edificio scola-stico, e l’elettricità da essigenerata è direttamente im-messa nella rete della scuola.Agli studenti spetta quindi ilcompito di studiare la compa-tibilità e l’adeguatezza dell’im-pianto con l’edificio preesi-stente e le sue necessità ener-getiche; assicurare il control-lo e la gestione del sistema intermini funzionali; valutare econfrontare le prestazioni e irendimenti ottenuti; integra-re l’apporto di questa fonteenergetica con misure di usorazionale dell’energia; effet-tuare analisi dei costi e deibenefici economici connessi;ed altro ancora. In Italia unlaboratorio scolastico di que-sto genere (l’unico di cui sonoa conoscenza) è stato costi-tuito presso l’Itis Avogadro diTorino per iniziativa di Legam-biente. Se così, certo è un po’poco per il “paese del sole”,ma forse, per chi ritiene lecompatibilità di governo prio-ritarie rispetto a quelle am-bientali, potrebbe trattarsiinvece di un risultato più chesufficiente. ●

Poche scuole solari nel “paese del sole”ANGELO CHIATTELLA

Dopo anni di quasi totale disinteresse, una significativa novità nelle scuole di ogni ordine egrado di molti paesi: la diffusione e il successo che la sperimentazione didattica riguardante le

fonti d’energia rinnovabili sta registrando. Non solo lo studio delle loro proprietà e dei loroimpieghi, ma anche la verifica diretta del loro comportamento in applicazioni, più o meno

complesse, sviluppate all’interno delle scuole stesse

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/ reportage /

Moreno Gentili (Como, 1960) è docente diLaboratorio di Immagine presso la Facoltà diDesign del Politecnico di Milano CampusBovisa. Si occupa di immagine fotografica evideo e di progettazione editoriale. Ha vinto ilpremio nazionale per la fotografia VincenzoCarrese, la selezione per la Biennale Giovanid’arte mediterranea, il premio nazionale perla fotografia Franco Pinna. Nel 1998 ha espo-sto ai Rencontres international de la Photo-graphie ad Arles il progetto Nuovo MondoMondo Nuovo, successivamente ha espostoalla Triennale di Milano. Nel 1999, con il cd-rom Crossings, ha vinto il secondo premioMonumedia per l’arte digitale in Europa. Nellostesso anno ha inaugurato con una video in-stallazione l’edizione di Artissima a Torino. PerTelepiù ha realizzato una serie di programminel campo del design e della moda. Nel 2000ha esposto nel circuito europeo del progetto Ilsentimento del duemila presso la Triennale diMilano. Nel 2001 ha curato il progetto EOSpresso la Palazzina Liberty per il Comune diMilano. Ha pubblicato diversi volumi, tra cui“Milano Metropoli” (Media Press, 1998), Ri-vedute veneziane (Idea Books, 1993), Habitat,viaggio sociale (Art&, 1995), Nuovo MondoMondo Nuovo (Charta, 1998), Crossings(Charta, 1998), In linea d’aria (Feltrinelli,1999), Image collection di National.

Viaggio fotografico in una scuola elementare di Milano

Tre cose imparerai dal bambino:è allegro senza avere bisogno dialcuno stimolo; non è ozioso neppureun attimo; se qualche cosa gli mancala sa esigere energicamente.

Martin Buber

Moreno Gentili ha compiuto un viaggio. Un viaggio non metaforico, giacché alla fine di marzo dell`anno 2001 ha percorso lestrade di Milano fino a raggiungere un luogo preciso della periferia nord, la scuola elementare di Via Cesari, quartiere Niguarda.E qui ha continuato a viaggiare, attraverso aule, cortili, corridoi, persone, cose, tracce, echi, suoni, parole, sguardi; nel dentro enel fuori dei luoghi e dei loro abitanti, del loro essere e fare. Un viaggio, dunque, storicamente ben connotato. Poi ho viaggiatoanch`io, insieme a Andrea Rosso, dentro le centinaia di immagini che Gentili ne ha ricavato. Un diverso viaggiare, come è ovvio,ma quantomai preciso nel porre in evidenza cosa sia una scuola, cosa in essa avvenga, di quale tempo siano gli umani che laabitano. Eppure, ora, qui, volendo corredare di parole un piccolo campione di quelle immagini, mi riesce solo di ricorrere a paroleche, più che supportare la definizione di uno spazio e di un un tempo storici, evocano qualche eco favolosa. Ma forse è proprio inquesta inevitabile commistione una delle ragioni che portano a continuare ogni giorno il cammina cammina. (G.P.)

tre cose imparerai dal bambino

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(...) A meno che, direttore, maestro, ispettore, visitatore,questa carta non diventi la loro finestra e queste finestreche si richiudono sulla loro vita come catacombe,non si aprano. Oh non si aprano finché non aprano la cittàe non guidino i bambini ai prati verdi e non facciano correre il mondoazzurro su sabbie d’oro, e non facciano correre nudele loro lingue sui libri, le foglie e i fogli bianchi e verdi non apranola storia che è di loro il cui linguaggio è il sole.

Stephen Spender

questa carta diventi la loro finestra

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Scappa, cuore di lepre!Chi ha paura è veloce.Non badare alla vocedietro a te che ti grida di fermarti.

Ti vogliono rubareil fiore che hai dipinto coi pastellisul quaderno a quadretti.Sono uomini stretti al proprio odore,donne che tra i capellihanno vipere a guisa di forcine.

Ma io vi dico, bambini e bambine,non lasciatevi prendere, scappate!stringendo tra le ditale matite regalo delle fatefinché la mano sanguina.

Fernando Bandini

non lasciatevi prendere, scappate!

/ reportage /

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È possibile che si dica "ledonne", "i bambini", "i ragazzi"senza il sospetto che da lungotempo queste parole non hannopiù alcun plurale, ma soloinnumerevoli singolari?

Rainer Maria Rilke

innumerevoli singolari

/ reportage /

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Le parole ci sono sempre, ma è soloquando le dici o le leggi o le appendi almuro che incominciano a vivere.

Torgny Lindgren

le parole ci sono sempre

/ reportage /

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media

Julio Cabrera,Da Aristotele aSpielberg. Capire lafilosofia attraversoi film,Bruno Mondadori,Milano 2000,pp. 352, L.38.000

Gianni Celati,Cinema naturale,Feltrinelli, Milano2001, pp.197,L. 30.000

Da Aristotele a Spiel-berg di Julio Cabrera è un ma-nuale di storia della filosofiae può essere utilizzato cometale. Sul serio.Tant’è che ogni suo capitolo,come ogni buon manuale chesi rispetti, risulta corredatoalla fine dal suo bravo appa-rato di brani significativi edesemplari dell’autore analizza-to nel capitolo stesso. Così ilcapitolo relativo ad Aristote-le e a Ladri di biciclette, il filmdi Vittorio De Sica del 1948,reca in appendice una serie dibrani tratti dalla Poetica diAristotele e il capitolo relati-vo a Descartes e tre film sullavisione e il dubbio metodico(La finestra sul cortile, 1954,di Alfred Hitchcock, Blow up,

1968, di Michelangelo Anto-nioni e Istantanee, 1991, diJocelyn Moorhouse) è corre-dato da una serie di estrattidal Discorso sul metodo e dal-le Meditazioni metafisiche.Precedenti in tal senso nonsono mancati in questo scor-cio ultimo di Novecento filo-sofico: Gilles Deleuze ha affi-dato alle sue riflessioni sulcinema una parte considere-vole, forse la più significati-va, del suo legato teoreticopost-bergsoniano. Anche inItalia Umberto Curi ha prati-cato un analogo “gioco teo-retico” con alcuni film chevenivano proiettati in contem-poranea sugli schermi analiz-zandoli sulla rivista Iride inchiave filosofica (una partedei suoi articoli già pubblica-ti è uscita lo scorso anno involume con il titolo Lo scher-mo del pensiero, Raffaello Cor-tina, Milano 2000). Cabrerautilizza i film che accoppiagiudiziosamente ad altrettantifilosofi per ricostruire, conesempi comprensibili e prati-cabili, dal punto di vista teo-rico i problemi generali dellastoria della filosofia. Ma per-ché non ricorrere alla lettera-tura, un procedimento forte-mente radicato, ad esempio,in protagonisti della scena fi-losofica postanalitica anglo-sassone come Richard Rorty eDerek Parfit? Perché il cinema

racconta di più e meglio ri-spetto a quelle opere lettera-rie — più difficili da risolverein concetti — che caratteriz-zano il Novecento. Nel cine-ma i problemi filosofici si pre-sentano — e qui sta il pro-duttivo paradosso alla base dellibro di Cabrera — come sefossero riportati allo statopuro.«È un fatto che nel corso del-la sua storia la filosofia si siasviluppata in forma letterariae non, per esempio, attraver-so immagini. Essa potrebbequindi esser considerata allastregua di un genere lettera-rio, come una forma di scrit-tura. E così, le idee filosofi-che sono andate fissandositranquillamente e inavvertita-

mente in forma letteraria. Machi dice che debba essere così?C’è forse un qualche vincolointrinseco e obbligatorio fra lascrittura e la problematizza-zione filosofica del mondo?Perché le immagini non po-trebbero supportare con al-trettanta o superiore efficaciaquest’operazione problematiz-zante? Sembrerebbe non es-serci niente nella natura del-l’indagine filosofica che deb-ba inesorabilmente inchiodar-la all’espressione tramite scrit-tura articolata: possiamo in-fatti immaginare un mondoalternativo dove la cultura fi-losofica venga completamen-te svolta grazie a fotografie oa danze, per esempio» (pp. 6- 7). In realtà il problema non

libri Il cinema e il raccontofilosoficoGIUSEPPE PANELLA

A proposito di due libri che tentano dispiegare la drammatica necessità del saperefilosofico. Un manuale di storia della filosofiain cui sfilano Platone, Aristotele, Tommasod’Aquino, Bacone, Descartes, Locke e Humeinsieme a Tim Burton e Quentin Tarantino,Immanuel Kant con Fred Zinnemann e PeterWeir, Hegel, Schopenhauer e Buñuel), Marxe Oliver Stone, Heidegger, Sartre eWittgenstein. E una raccolta di racconti disituazioni esistenziali, paesaggi, figurazioni,voci che sono immagini e suoni mentali

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è così facilmente risolvibilericorrendo alla soluzione del“mondo parallelo”: la filoso-fia contiene in sé, intrinse-camente, una vocazione nar-rativa (che la riporta ineso-rabilmente al mondo dellascrittura per intreccio (comePaul Ricoeur ha mostrato apiù riprese con decisione eperspicuità).

“Concettimmmagini”

Come funziona la ricezione fi-losofica del cinema presso chisi rivolga ad essa senza cer-carvi soltanto una fruizioneestetica dell’oggetto filmico?Cabrera, con intelligenza evolontà critica, si inventa untermine — quello di “concet-timmagine” che, pur essendoascrivibile ad una tradizionedi pensiero filosofico (quellache, grosso modo, va da Scho-penhauer a Heidegger e puòessere identificata con il co-siddetto “pensiero negati-vo”), presenta caratteri dinovità. Il “concettimmagine”contiene al proprio internonon solo ciò che il film vuoleesprimere nel suo svolgimen-to (il suo contenuto), ma an-che le emozioni, i sentimen-ti, il dubbio, la sofferenza eil godimento estetico e mo-rale che comunica e di cuipermette l’interazione con chisi pone in sintonia intellet-tuale ed emozionale con esso(la sua forma espressiva).«Grazie a questa complessivaesperienza “avviatrice”, i con-cettimmagine del cinema cer-cano di produrre in qualcuno(un qualcuno sempre poco de-finito) un impatto emotivoche gli dica contemporanea-mente qualcosa sul mondo,sull’essere umano, sulla natu-ra ecc., che insomma tramitela sua componente emotivaveicoli anche una valenza dinatura cognitiva, persuasivae argomentativa. Non sonointeressati né all’informazio-ne oggettiva né tantomenoall’inondazione affettiva perse stessa, ma a quell’approc-cio che ho chiamato logopa-tico, cioè logico e patico allostesso tempo» (pp. 10 - 11).L’approccio “patico” è, perCabrera, tipico di quei filoso-fi che considerano emozioni

e passioni umane come ele-menti consistenti della razio-nalità umana e non soltantocome elementi di disturbo darigettare in nome della supe-riore capacità esplicativa eargomentativa del Logos. Fi-losofi appartenenti a questacorrente di pensiero sono au-tori come Kierkegaard e Nietz-sche che hanno approfonditoil carattere esperienziale (nonempirico! — specifica Cabre-ra con decisione) della prati-ca filosofica e l’hanno colle-gata alla soluzione dei pro-blemi classici presenti nellastoria del pensiero teoreticoe sociale. Il “concettimmagi-ne” è lo strumento di indagi-ne che si può utilizzare, dipreferenza, per mostrarel’aspetto “patico” della ricer-ca filosofica. In questo modo,un film come Intolerance(1917) di David Wark Griffithpuò essere di grande utilitàper lo studio del problemadell’intolleranza tra gli uomi-ni attraverso la dimostrazio-ne compiuta nel film della suapersistenza in tutte le epo-che della storia umana (pri-ma e dopo Cristo). Ma ci sonofilm — e Cabrera li mostrautilmente in azione comestrumenti filosofici — chenon consistono in un unico“concettimmagine”. Il caso di2001: Odissea nello spazio(1968) di Stanley Kubrick èemblematico: il suo obietti-vo filosofico è quello di ana-lizzare la nozione di “rappor-to con l’intelligibilità delmondo” e il risultato che essoraggiunge è quello di unadensità metafisica mai realiz-zata (p. 13).

La proposta di Cabrera — sidiceva all’inizio — è manua-listica. Nel suo libro sfilanoPlatone (in un capitolo di for-tissima suggestività teorica),Aristotele, Tommaso d’Aquino,Bacone, Descartes, Locke eHume (insieme a Tim Burtone Quentin Tarantino per spie-gare il concetto di sostanza),Immanuel Kant (con Fred Zin-nemann e Peter Weir), Hegel,Schopenhauer (e — a sorpre-sa — Bu?uel), Marx (e — piùbanalmente — l’Oliver Stoneregista di JFK - Un caso anco-ra aperto del 1991), Nietzsche(e i suoi “assassini nati” sem-

pre desunti da un film di Sto-ne), Heidegger, Sartre e Wit-tgenstein (dove il filosofo au-striaco viene spiegato con ilwestern di un regista irlan-dese e cioè Ombre rosse). Ilrisultato è un bel tentativo —non completamente riuscito,ma con momenti molto bellisotto il profilo concettuale —di spiegare la drammatica ne-cessità del sapere filosofico.Un analogo tentativo è pre-sente nei racconti di Cinemanaturale, l’ultimo libro diGianni Celati. In essi ci si pro-pone di “risolvere” (tentare dirisolvere, quindi) una serie diproblemi filosofici ad altissi-mo tasso di densità teoreticaattraverso il racconto di al-trettante situazioni esisten-ziali che ne comporterebberola soluzione. Il paesaggio mo-rale e umano che ne risultaricompone il quadro in un’ot-tica di movimento conosciti-vo: «Questi sono raccontiscritti nell’arco di vent’anni,poi riscritti a lungo per te-nermi occupato e vedere cosasuccede. Perché scrivendo oleggendo dei racconti si ve-dono paesaggi, si vedono fi-gure, si sentono voci: è un ci-nema naturale della mente edopo non c’è più bisogno diandare a vedere i film di Hol-lywood» (“Notizia”, p. 5).Questi paesaggi, queste figu-razioni, queste voci sono im-magini e suoni mentali, sonoil frutto del lavoro della scrit-tura su situazioni-limite cheassumono, proprio per la lorostraordinarietà, efficacia evalore universali. L’arrivo delnarratore Giovanni in Ameri-ca così come le straordinarieavventure di Ridolfi e Ceve-nini in Africa sono significa-tive perché mostrano in situa-zione, nel primo caso, la crisidell’esperienza soggettiva e,nel secondo, il valore cono-

scitivo dell’errore (e dell’er-rare). Ridolfi — che si è per-so insieme all’amico Cevenininel deserto africano mentrecercavano di prendere unacorriera che li riportasse in-dietro — giunge alla conclu-sione che nulla è certo e si-curo di quanto si presuppo-neva tale e che ciò che contaè «badare solo alle cose inparticolare, una a una (que-sta cosa, quella cosa), perchéle cose viste così, nel loroparticolare, sono come sonoe basta; e se uno bada allecose come sono, non si fa piùtante idee con l’immaginazio-ne, per cui se il pensiero hasolo idee di cose singole sca-rica via i discorsi in generaleche fanno venire inutili fre-gole» (p. 189). Ridolfi sta quiapplicando l’insegnamentocontenuto nell’Ethica di Spi-noza alla propria esperienzapersonale. Allo stesso modo,la ricerca del significato par-ticolare della propria scoper-ta dell’America conduce il nar-ratore Giovanni a rendersi con-to della natura vuota del Tem-po: «Lo ficchi nel sacco deimomenti vuoti che nessuno siricorda, perché sono cose pocointeressanti, sempre uguali, sucui non c’è niente da dire edè questa l’eternità» (p. 20).Le situazioni esistenziali tra-dotte da Celati in scrittura rin-corrono i “concettimmagini”cinematografici di Cabrerasenza saperlo. In entrambiquesti libri, infatti, le imma-gini (scritte o osservate sulloschermo) sono il cemento cheunificano due progetti di let-tura del mondo attraverso ilrecupero della verità dell’espe-rienza. Ed è questa aspirazio-ne a far scattare l’interesse —che non è mai soltanto teori-co ma diviene poi umano e pe-dagogicamente rilevante —dei loro lettori. ●

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Scuola elementare:dove si insegna a scrivere

ANTONELLA BALDI, MARIA LETIZIA GROSSI

Script

Certo, alla scuola ele-mentare insegnare a scrivere(insieme agli altrettanto ca-nonici leggere e far di conto)è una delle attività principali,coltivata dai primissimi gior-ni e per tutto il ciclo. Un in-segnamento che qui gode dellagrazia degli inizi: il primomomento miracoloso in cuibambini e bambine si accor-gono che quella linea ondu-lante che stanno tracciandosul foglio significa quella pa-rola che possono pronunciarecon la bocca e ascoltare. Sonoperciò della massima impor-tanza il rispetto per lo stupo-re e la gioia della scoperta edella conquista, e l’approcciogiocoso, nel contesto di unastoria e nel rispetto dei ritmidi ognuno1. Per motivi tecniciè ovvio che l’aspetto struttu-rale, segni e ortografia, siaampiamente presente nella di-dattica, e non pochi insegnan-ti gli danno tanto spazio dafar passare in secondo pianol’aspetto espressivo della scrit-tura. In certi casi anche lagrammatica fa precocementela sua comparsa, troppo pre-sto per la sovrapposizione diuna riflessione sulla lingua,spesso con carattere normati-vo, ad un’esperienza d’usodella lingua scritta non anco-ra consolidata. Comunque nel-la scuola elementare, più chein altri cicli, la qualità espres-siva della scrittura s’imponeall’evidenza, perché qui è piùche mai visibile che la scrit-tura è una proiezione di sé,anche quando si parla delmondo esterno. Un’osservazio-ne palese anche se si osserval’evoluzione dei costrutti sin-tattici, che segue lo sviluppopsichico dei piccoli scriventi,e l’ampliamento del lessicoman mano che le esperienzesi fanno più varie. Legato alla

Scuola diAnimazioneMusicaleIl Centro Studi Musicalie Sociali Maurizio DiBenedetto, il Movimentodi Cooperazioneeducativa - gruppomusica e la CooperativaLa Linea dell’arcoorganizzano a Lecco, dal20 al 31 agosto laconsueta sessione estivadella Scuola diAnimazione Musicale.I corsi, giunti al VI anno,sono autorizzati comeaggiornamento dalMinistero della PubblicaIstruzione.

Scuola di AnimazioneMusicale, c/oCooperativa La Lineadell’arco, viaC. Cattaneo 62, 23900Lecco (LC),tel./ fax 0341.362281,tel. 0341.285012,e-mail info@csmdb,www.csmdb.it

capacità di porsi altro da séè, ad esempio, il superamen-to dell’anacoluto; e lo svilup-po delle attitudini di astrazio-ne consente il periodare se-condo schemi logici distesievitando la sola associazioneanalogica e quindi le ripeti-zioni.Modalità e occasioni di scrit-tura si stanno sempre più al-largando e differenziando,anche sulla spinta dei pro-grammi del 1985: non più solotema, ma diario, relazione,corrispondenza, giochi di pa-role, filastrocche, produzionipropedeutiche alla scritturacreativa e talvolta scritturacreativa vera e propria. Cosìgià in una seconda si può cu-cinare un pranzo con un’uni-ca vocale come ingrediente:«Pollo con contorno,tonno bono,pomodoro rosso, ovo sodoporco cotto con fornococcocono».Oppure suggerire l’immaginedi un rifugio protettivo:«La talpa scava la tana cal-da»2.Un ulteriore stimolo in que-sta direzione verrà dalla rifor-ma dei cicli e dai nuovi curri-coli d’Italiano: l’intera scuoladi base, riunita in unico ci-clo, avrà come fondamento, intutte le materie, il lavoro sul-la lingua e sulle abilità lingui-stiche3. Anche in questo casociò che appare in controten-denza rispetto a proposte cur-riculari di approfondimento, èla sottrazione di un anno allascuola di base. ●

NOTE1. Su questo punto insiste il me-todo naturale, a partire dagli in-segnamenti di Freinet, di cui siveda il classico L’apprendimentodella lettura secondo il metodonaturale, La Nuova Italia. Sullostesso argomento: E. Ferreiro, A.Teberosky, La costruzione della lin-

gua scritta nel bambino, GiuntiBarbera 1985; M. Formisano, C.Pontecorvo, C. Zucchermaglio,Guida alla lingua scritta, EditoriRiuniti, 1988.2. Scuola elementare “G. Mameli”di Firenze. Per questi ed altri gio-chi con le parole, sempre utili, conadattamenti: Ersilia Zamponi, Idraghi logopei, Einaudi 1986;Umberto Eco (a cura di ), PoveroPinocchio, Comics 1995. O anchei precursori Esercizi di stile di Ray-mond Queneau e le produzioni delgruppo di Oulipo.3. Sulla didattica della scrittura,oltre i titoli citati in questa ru-brica nel N. 1 di école, gennaio2001, si possono leggere: G. Pal-lotti, Scrivere per comunicare,Bompiani 1999; M. A. K. Halliday,Lingua parlata e lingua scritta, LaNuova Italia 1985; M. A. Cortel-lazzo (a cura di), Scrivere nellascuola di base, La Nuova Italia1991; F. Mandelli, L. Rovida (acura di), La bella e la brutta. Ilprocesso di scrittura nella scuoladi base, La Nuova Italia 1992.Produzioni di bambine e bambinisi trovano in molti siti di Scuoleelementari.

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Cd-romAnsia da reteFRANCESCO DE LUCA

La mania dello zapping arriva su Internet egenera nuove ansie e frustrazioni

Il recente sondaggio pubblicato da una accreditata agenzia(Hi-Flier, www.hi-flier.com) condotto su alcune centinaia di uten-ti Internet italiani, sostiene che questi soffrano di forme d’an-sia dovute allo stress per non riuscire a trovare le informazioniche desiderano sui motori di ricerca. Soprattutto durante le oredi lavoro, hyperlink anodini inducono ansia e depressione e moltidegli intervistati lancerebbero volentieri il pc fuori dalla fine-stra.Stufi dello zapping televisivo, gli spettatori annoiati guardanola rete come la sorgente inesauribile di ogni sorta di informa-zione e ne rimangono delusi quando non sgorgano più le rispo-ste.Già, la televisione. La magica scatola gioca da sempre un ruoloimportante nell’equilibrio psicofisico dell’homo — tecnologi-cus.Dai pochi canali istituzionali che come Cenerentola chiudevanole trasmissioni a mezzanotte lasciandoci al posto della scarpet-ta di cristallo un freddo monoscopio sibilante, l’inarrestabilemarcia del progresso ha trasformato l’elettrodomestico in stru-mento di comunicazione multimediale con centinaia di canalidigitali. Abbandonato il tentativo di monopolizzare il mercatoattraverso la stesura di chilometri di inutili cavi, la tecnologiasatellitare ha dato il via a un nuovo corso, animato dalla con-correnza tra la televisione “tradizionale” che distribuisce temidi varia natura all’interno di un ristretto numero di canali equella digitale che utilizza una infinità di canali dedicati a sin-goli temi: economia, sport, film, arte, cultura.Sacrificati al dio Auditel, i programmi che non incontrano igusti della maggioranza vengono relegati in orari impossibili.I pregi della televisione general-popolare nei confronti di quel-la digital-tematica si esplicitano attraverso la sua funzione edu-cativa: l’interattività è nulla, ma si può fruire di ogni sorta diinformazioni, pur non essendo preparato sull’argomento. Artein genere, scienza in genere, cinema in genere. Tuttologia ap-plicata.Sull’altro versante il pubblico sembrerebbe in grado di sceglierein autonomia gli argomenti ai quali è interessato tra i molticanali disponibili. Un media non didascalico, un frigorifero dalquale tirar fuori le leccornie senza stare a sindacare sul lorovalore energetico e nutritivo.Tutto questo c’è già e si chiama Internet.Penalizzata dalla lentezza bradipica del mezzo fisico, la rete starecuperando terreno (velocità). Una volta superati i limiti fisi-ci, Internet è già ciò che il pubblico televisivo stava cercandoda tempo: una fonte di informazioni quasi infinita e interatti-va. A questo punto sediamoci sulla riva del fiume e aspettiamo:un pc o un televisore passeranno prima o poi. ●

Per un’Europa solidale / Insieme controil razzismoGli “incidenti razzisti”: disuguaglianza delleopportunità ed esclusione; violenza contro leminoranze; nazionalismi e odio razziale; chocsculturali. Prodotto dalla Fondazione DanielleMitterand - Cemea, con il sostegno dellaCommissione europea (280 Mb, per windows,novembre 2000, L. 100.000).

Il cd-rom Per un’Europa solidale / Insieme contro il razzismo èuno strumento pedagogico destinato a tutti i formatori che lavo-rano sul tema del razzismo. Il progetto è nato dal Passaportoeuropeo contro il razzismo pubblicato in più di 3 milioni di copiein 15 paesi, e tradotto in 19 lingue. Con il sostegno del program-ma Socrates, 16 organizzazioni non governative di 13 paesi del-l’Unione Europea hanno lavorato alla concezione dell’ipertesto,strumento per la formazione di adulti destinato a promuovereun’educazione ad una cittadinanza europea attiva, solidale e an-tirazzista. Hanno scelto una metodologia concreta e illustrata dacasi vissuti in tutta Europa, ricercato documenti giuridici, artico-li, foto, video, colonne sonore, ecc. indispensabili alla sua realiz-zazione. La realizzazione è stata affidata da France libertes, lea-der del progetto, ai Centres d’Entraînement aux Méthodes d’Edu-cation Active (Cemea) che si sono avvalsi di un’équipe di esperti.Utilizzando le informazioni provenienti dalla rete delle associa-zioni antirazziste europee, il cd presenta una raccolta di atti e diincidenti razzisti insieme a riflessioni ed elementi storici, nonchébasi legislative e giuridiche, suggerimenti di azioni preventive eproposte di attività di gruppo.Al visitatore sono proposti tre siti: uno Spazio di dialogo che,oltre le rubriche Preambolo, Guide e Forum, offre l’accesso ad unostrumento di proiezione specificamente sviluppato per permette-re al formatore un uso personalizzato del cd-rom, un capitolo di“Casi concreti”, una banca dati di documentazione.Il capitolo “Casi concreti” costituisce il nucleo dell’ipertesto. Unacinquantina di “incidenti razzisti” (atti o atteggiamenti) accadutinei diversi paesi europei vi sono presentati e analizzati classifi-candoli in quattro categorie: disuguaglianza delle opportunità,esclusione; violenza contro le minoranze; nazionalismi, odio raz-ziale; chocs culturali.Per utilizzare Per un’Europa solidale / Insieme contro il razzismobisogna disporre di un computer equipaggiato almeno con pro-cessore Pentium 100, cd-rom 8 x, 16 Mb di Ram ed installare ilprogramma Quicktime (fornito nel cd). [G. R.]

Il cd può essere richiesto, nella versione in italiano o in francese,ai Cemea del Piemonte via Avogadro 26,10121 Torino, tel.011.541225, fax 011.541339, e-mail [email protected],www.piemonte.cemea.it. ●

Internet

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percorso

D ue libri presentati inun’attività didattica di storia, in-contri pomeridiani in un liceoscientifico, per unire passato epresente, e testimoniare la bar-barie della “nostra” civiltà. Si escedai limiti imposti dai programmi,per correre il rischio di racconta-re storie. Alla storia cronologicadei grandi avvenimenti, dei lun-ghi processi, si affianca la simul-taneità della storia delle persone.Due libri legati dall’unicità che ac-comuna due tragedie contempo-ranee dell’umanità, da una partela “logica” dello sterminio dei “ne-mici” del III Reich e del sistemaconcentrazionario, che ha il suopunto culminante nella secondaguerra mondiale tra il ’39 e il ’45,dall’altra la negazione “totalita-ria” di un popolo, quello kurdo,ad opera del regime fascista-ke-malista turco, che dal trattato diLosanna del ’23 segue tutt’oggi.Di libri così ne abbiamo bisogno,in un’epoca come la nostra che,tra revisionismi e negazionismi,rinnova le tecniche di annienta-mento; il primo per continuare aricordare, il secondo per accorger-ci di quel che continuamente ac-cade.

Continuare a ricordare

Il primo libro, edito da Il Punto(novembre 2000, Torino, L.26.000), scritto e curato da Vale-rio Morello, già insegnante discuola elementare, ora professoredi lettere di scuola media, raccon-ta la storia di Beppe Berruto, exdeportato.Fin dall’introduzione cogliamo im-mediatamente la consapevolezzadel rischio maggiore che qui si cor-

re di raccontare la storia di unasola persona, di mettere al centrol’esperienza di un solo testimone.«Come mai un deportato, testimo-nianza vivente di quanto è avve-nuto nei lager nazisti (realtà cheal giorno d’oggi sedicenti storicitentano nei più disparati modi dialterare e di mistificare) sente lanecessità di raccogliere dati, do-cumenti, deposizioni di altri de-portati, che abbiano come ogget-to non solo il lager di Dachau, maqualsiasi campo di lavoro o di ster-minio del III Reich? Non dovreb-be essere sufficiente a titolo per-sonale, la stessa esperienza tra-scorsa per comprovare sul pianostorico la veridicità di quanto lostesso testimoneasserisce?…quindi, la ricerca sto-rica di un periodo vissuto in tuttala sua tragedia umana e sociale,rappresenta, in ultima analisi, unampliamento sincronico della pro-pria esperienza la quale, grazie aquesta ricerca sistematica, diventaindubbiamente più profonda e, secosì si può dire, col sostegno delconfronto metodico e razionaleaddirittura più reale, più vera. Pa-rimenti il racconto del proprio vis-suto, scritto o orale che sia, deveavvenire in modo piano, discorsi-vo, ma senza nessuna celebrazio-ne che possa in qualche modo al-terarne la veridicità. Solo a que-ste condizioni, la testimonianzaavrà un valore storico, ossia rive-stirà il ruolo di deposizione attaa ricostruire la realtà di un passa-to che ha condizionato in modoprofondo e inequivocabile glieventi sociali e politici del tempoattuale».Il libro si articola in due parti con-catenate: la prima monografica,narra la storia di Beppe Berruto

tra incisi del curatore e ricordi deltestimone (un breve paragrafosulla sua infanzia tra scuola e fa-scismo, poi l’attività clandestinae l’arresto a Torino quando, appe-na diciassettenne, è deportato aBolzano, Innsbruck, Reichenau edinfine a Dachau), la seconda diriproduzioni grafiche e fotografi-che di documenti dell’epoca.Il decimo capitolo è esposto nel-la forma dell’intervista diretta, vi-sto che il nostro è per fortuna vivoe vegeto, ha settantaquattro annie può ancora testimoniare (atti-vità che regolarmente compie dal-la liberazione e con l’Associazio-ne Nazionale Ex Deportati).Il libro si arricchisce di un’inda-gine psicologica compiuta su Ber-ruto da Felice Tagliente, psicolo-go e psicoterapeuta e di ottoschede storico-didattiche.

Accorgerci dei Kurdi

Il secondo libro, di Laura Schra-der, giornalista e saggista, esper-ta di politica del Medio Oriente,impegnata a denunciare la tragi-ca situazione del popolo kurdo daoltre vent’anni, è pubblicato nelleEdizioni Gruppo Abele (novembre1999, Torino, L. 20.000) e rac-conta, attraverso la storia di don-ne e uomini kurdi e turchi, l’in-sostenibile realtà dell’ultimo fa-scismo alle porte dell’Europa.Dopo aver letto il libro, una con-siderazione balza subito agli oc-chi: è sorprendente come, nellacosiddetta era dei mass media,si taccia sulla questione kurda.Una storia che dura da circa ot-tant’anni, un genocidio che siconsuma ogni giorno, un conflit-to specchio di un sistema ideo-logico e istituzionale che per esi-stere deve negare i valori di unasocietà umana, democratica, mul-ticulturale.Questa storia ha dell’inverosimi-le, ricorda il silenzio metodico na-zista che intendeva celare la de-portazione e lo sterminio, ricor-da il silenzio dei sopravvissuti chenon riuscivano a testimoniarel’abisso dell’inumano che aveva-no vissuto.Negli ultimi quarant’anni solo indue occasioni “l’informazione uf-ficiale” ne ha parlato. Alla finedella cosiddetta “guerra del gol-fo” nella primavera del ’91, quan-do, col benestare dell’Onu, gliStati Uniti incitarono i kurdi ira-cheni a ribellarsi a Saddam Hus-sein; gente comune illusa e poiabbandonata, dalle stesse forzeoccidentali che non hanno mos-so un dito, alla repressione del-l’intatto esercito iracheno. Allo-ra, sulle televisioni di tutto ilmondo giunsero le immaginidrammatiche dell’esodo dei kur-

di in fuga verso la montagna, deibambini morti per il gelo e av-volti nelle sciarpe.La seconda volta è a partire dal12 novembre 1998 quando scop-pia il caso Ocalan. Il leader delPKK (Partito dei lavoratori kur-di) in cerca d’asilo politico at-terra a Roma. Leggiamo a p. 129:«L’importanza di Ocalan per mi-lioni di kurdi in Medio Oriente enel mondo risulta con evidenzadalle pacifiche manifestazioniche accompagnano la sua presen-za a Roma. (…) Alcuni — donnee uomini — si danno fuoco permostrare la loro protesta o la di-mensione di una speranza chearriva all’estremo sacrificio. (…)Il governo italiano cerca imme-diatamente un’intesa con i part-ner dell’Unione Europea. Nessu-no di essi è disponibile. (…) L’in-gerenza americana si fa sentire.(…) Il leader kurdo diventa “ilterrorista Ocalan”. (…) Il seque-stro è stato “Un affare nel cuoredel triangolo Ankara-Washington-Gerusalemme” titolava Le Mondeil 18 febbraio. (…) In Turchia,Ocalan è chiuso nel carcere-for-tezza sull’isolotto di Imrali. (…)In Turchia esultano. (…) Si sca-tena una repressione gigantesca.(…) Dodicimila persone sono ar-restate nella sola città di Diyar-bakir».Questo libro è un libro difficileperché corre il rischio, non solometodologico ma anche pratico,di raccontare queste storie. Sto-rie di kurdi fondate dalla normagenerale che paradossalmente lenega, la legge nazionalista e raz-zista turca che (articolo 26 dellaCostituzione) stabilisce il divietodi utilizzare una lingua che nonsia il turco per non violare l’inte-grità della nazione (la parlamen-tare Leyla Zana, è stata condan-nata a 15 anni di carcere, di cui 8già scontati, per aver pronuncia-to in lingua kurda il suo discorsodi insediamento al Parlamento diAnkara). Un’aberrazione che can-cella oltre venti milioni di perso-ne, che fomenta la privazione deidiritti più elementari, che alienal’identità millenaria dei kurdi.Caso unico nella storia, parlare lapropria lingua significa, per i kurdidi qualsiasi età, trovare discrimi-nazione, tortura e morte: chi nonha voce non esiste.Le storie, presentate con stileasciutto e crudo documentano ladevastante ferocia quotidiana subambini, donne, giovani, anzia-ni, kurdi e turchi dissidenti.In appendice, due capitoli d’in-quadramento storico e culturale,dal Kurdistan dell’antica Media alKurdistan diviso (nel ’23 tra Siria,Iraq, Iran e Turchia) dalle poten-ze occidentali e trasformato in“colonia internazionale”. ●

Il dolore della memoria e il dirittodi esistereTONI GULLUSCI

Due libri: Achtung! Dachau, il dolore dellamemoria e Il diritto di esistere, storie di kurdi eturchi insieme per la libertà

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Giorgio Agamben,Infanzia e storia.Distruzionedell’esperienza eorigine della storia,Einaudi, Torino 2001,pp. 152, L. 26.000

Alberto Savinio,Tragedia dell’infanzia,Adelphi, Milano 2001,pp. 224, L. 22.000

Partirono da luoghi distanti, mas’incontrarono. Agamben vuolefolgorare Heidegger in Benjamin(e rendere omaggio a Levi-Strauss); Savinio canta la nostal-gia di una libertà senza condi-zioni. Il primo costruisce unateoria in cui l’infanzia avrebbe ilcompito di restituire all’uomo lacapacità di fare esperienza; ilsecondo la innalza a simbolo tra-gico della naturalezza schiaccia-ta “a fin di bene” dall’educazio-ne. Per i due l’infanzia è terra daproteggere e riscoprire per la suaunicità ed originalità. In Infan-zia e storia (prima edizione 1978)l’infanzia rappresenta l’irruzionedel marginale che fa saltare ilcontinuum della storia lineare. Ilpaese dei balocchi, sospeso trarito e gioco, offre resistenza alladialettica del mondo che tuttoinghiotte, la fantasia s’introdu-ce nella sfera della conoscenza ecrea isole dove l’inesprimibiletrova il suo dasein. L’infanzia èarticolazione del linguaggio e ri-crea la storia e così esperienza.La salvezza di ciò che è piccolo(il presepio è cifra che coglie ilmondo della fiaba nel trapassomessianico nella storia) garanti-sce la rottura con la teoria delrispecchiamento tra struttura esovrastruttura ed “ogni scheggiaè immediatamente e storicamen-te completa”. Il compito della ri-voluzione non è cambiare il mon-do, ma cambiare il tempo. Nonil miraggio del progresso, mal’istante ci libera dal tempo: ebalena nel ricordo della patriaoriginaria. Savinio riparte dal-l’esperienza autobiografica perproteggere l’infanzia dal mondoadulto. «Si ama il bambino, op-pure… amiamo noi stessi nelbambino?». L’infanzia è vittimadel senso di proprietà; essa è

invocata proprio per essere di-menticata. Il suo ricordo è quel-lo della sconfitta della potenzialerivoluzione sotto i colpi dell’edu-cazione che per necessità domi-na la volontà del bambino. Solonegli artisti sopravvive lo slan-cio dell’infanzia che si sottraealla sua tragedia. Gli occhi deibambini vedono cose vietate agliadulti: c’è un solco tra i due mon-di. Perché s’ingannano i bambi-ni? Le grandi domande delle pri-me esperienze, la magia dei rac-conti notturni, le delusioni delleprime scoperte razionali, lo stu-pore di fronte alla natura ed al-l’arte, i sensi di colpa di cui sifanno carico i bambini nei con-fronti dei genitori... questi i pas-saggi essenziali di uno scrittodegli anni venti, apparso nel1937 ed ora ripubblicato conl’aggiunta (vera) di nuovi mate-riali.

STEFANO VITALE

AA.VV.Maestrine. Dieciracconti e un ritratto,Sellerio Editore,Palermo 2000,pp. 162, L. 15.000

Certo, si tratta solo di un’impres-sione. Ma la copertina rigorosa-mente nera delle piccole edizio-ni Sellerio, evoca in questo casoil sapore un po’ carognesco —son morte, si celebrino o si com-patiscano — dei manifesti a lut-to: quello per i nostri antenati,o meglio, per le nostre “antena-te” che furono. Maestrine. Dieciracconti e un ritratto è una pic-cola, squisita e per certi versiferoce antologia di racconti, in-centrati per l’appunto sulle ‘ma-estrine’ dei tempi andati.Un pot-pourri di quadretti lette-rari che spaziano dagli ultimi de-cenni dell’Ottocento (con CarloDossi, Neera e Matilde Serao), aiprimi decenni del Novecento(Salvatore Di Giacomo, CarolaProsperi, Marino Moretti, Piran-dello e Ada Negri). Con l’aggiun-ta di un inaspettato Scerbanen-co, di una scrittrice contempo-ranea particolarmente abile nelridare vita al passato — è di Lau-ra Pariani il racconto “Le guerredi Ada”, tratto dal fortunato Dicorno o d’oro — e con la causti-

ca chiusura, 40 godibilissime ri-ghe diabolicamente al vetriolo,del “ritratto” scritto da FederigoTozzi. Difficile dire se davvero la“narrativa”, come qui si sugge-risce in seconda di copertina,abbia sempre nutrito «verso lemaestre una specie di attenzio-ne sadica». Contrariamente, al-meno in parte (come scrive Vin-cenzo Campo nella prefazione),tipo di attenzione rivolto invecenello stesso periodo storico e let-terario ai “maestri”. Fatto staperò che davvero, le vite e i de-stini di queste undici maestrinemesse impietosamente in fila,salvo forse due sole eccezioni(l’estemporanea insegnante ditedesco e la vitalissima scioramaàstra di Ada Negri che fa daio narrante per altre stigmate esi-stenziali), sembrano uscire dalcatalogo delle miserie e dei pic-coli orrori quotidiani. Ciascunanasconde un dolore segreto oqualche scheletro nell’armadio:un padre padrone, un amore in-carognitosi, una famiglia che tisucchia il sangue e lo stipendiomiserrimo. Qualcuna si seppelli-sce in campagna, due si suicida-no, una minaccia di farlo, altresi salvano col matrimonio: l’ulti-ma, abortendo ogni tentativo diamare, semplicemente abbruti-sce. Volendo a tutti i costi trarreuna morale da queste pagine, purnella consapevolezza che le raf-figurazioni di maestre e maestrinella letteratura restano ancoratutte da esplorare, si potrebbefacilmente affermare che ieri(d’altronde ahimè, un po’ comeoggi) la percezione del destinodi chi stava dietro una cattedra,era quella di un destino sfigato.Doppiamente sfigato poi, quellodelle maestrine, per una pura ap-partenenza di genere. Donna eper di più maestra: neanche lasanta e progressista mano di DeAmicis (leggasi qui La penna ros-sa), poté porvi rimedio.

ALBERTO MELIS

Josè Saramago,La caverna,Einaudi, Torino 2001,pp. 335, L. 34.000

La forma del sapere: c’è un aspet-to statico ed uno dinamico.Esprime la struttura che il sape-

re ha assunto e ne identifica ilprocesso. Il vasaio di Saramagoè il melanconico rappresentantedi un sapere artigiano che vuoletenere insieme i due livelli. Maora i suoi prodotti non interes-sano più. Il mercato consumasenza sosta, sondaggi indirizza-no le scelte produttive, gli in-dividui sono elementi di un in-granaggio reificante che garan-tisce sicurezza in cambio dellaperdita di identità e libertà. Lametafora di tale società è il Cen-tro: qui non manca niente e tut-to è controllato. Il richiamo aPlatone è evidente: i “filosofi”(i manager) dirigono le sceltedi mercato, i guerrieri (Marçal,il marito della figlia è un poli-ziotto) controllano le strade, glischiavi (le persone normali) la-vorano e ringraziano di essereancora vivi. E le donne? Espri-mono quel che resta dell’utopia.Marta, la figlia, ha in grembouna nuova vita; Isaura Madru-ga, la vicina innamorata del va-saio, ricorda che l’ineluttabilitàdel cose può essere vinta per-ché esiste la possibilità «che ilfiume si è messo a nostro favo-re». Entrambe mostrano, senzaretorica, la priorità dei legamid’amore. I protagonisti abbando-nano il paese, ma sono in unaprospettiva nomade non ancorarisolta: via-di-qua è la meta. Lafuga è nella lettura del mito. Nelmondo sensibile gli uomini, perPlatone, sono incatenati in unacaverna, costretti a guardare sulfondo di essa le ombre degliesseri e degli oggetti proietta-te da un fuoco che arde al difuori. E scambiano queste om-bre per la vera realtà. CiprianoAlgor vede se stesso, la sua fa-miglia in tale condizione, manasce una consapevolezza: l’uo-mo si riduce ad ombra se cedeal gioco del mercato (spacciatoper vera realtà). Ed allora «il ri-torno alla caverna» si compie nonper accettare la necessità di ciòche è dato, ma per liberarsi dal-l’illusione di questa necessità.Non ci sono né vinti né vincito-ri, forse tutti sono sconfitti, cer-tamente «le ragioni di alcunipossono non essere le ragionidi tutti». Intanto il Centro stac-ca i biglietti per la nuova attra-zione sotterranea.

STEFANO VITALE

libri

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libri di testo o quasi

Imprimatur!MARA DE PAULIS

Baudolino di UmbertoEco, (Romanzo Bompiani, L.34.000), offre di che scialarecon una massa di ipotesi, rac-conti, problemi, soluzioni efavole, che corrono su e giùper tutto il medioevo e paesiannessi, riunendo l’immagina-rio d’epoca attorno al fattoreale della fondazione di Ales-sandria e della lotta di Fede-rico Barbarossa contro i libericomuni. Tutto è riferibile ainostri giorni, dal pool multi-mediale che “fabbrica” il re-gno del Prete Gianni dotando-lo di meraviglie e potere sal-vifico, alle sottili dispute re-ligioso-filosofico in difesa ditesi assurde, al mondo globa-lizzato sotto l’imperatore. Quelche una mente e una culturacome quelle di Eco possonotrovare per stupire il lettore,è riversato con sorridente iro-nia nella cornucopia dello sci-bile. L’autore ha messo come

in un caleidoscopio i miti e laloro formazione, i delitti e laloro copertura, la misteriosamorte di Federico annegato inArmenia, la ricerca del Graal eil commercio delle reliquie, fe-rocia e sprovvedutezza dell’ho-mo qui ad medium aevum per-tinet, la scienza e il suo sche-ma che la nostra scienza riten-ne non ortodosso, tagliandofuori intuizioni e anticipazionieterodosse e perciò vere. Bau-dolino è uno sveglio ragazzo dicampagna, coinvolto in un de-stino che gli farà conoscere Co-stantinopoli, Parigi, l’Orientedove gli scismatici definivanoscismatici noi, che ci eravamoallontanati dalla vera chiesa.Un ragazzo, e poi un uomo, conun problema dall’inizio allafine: ma esiste, la verità? E sesì, che cos’è e dov’è?

Anche con “N”, di Ernesto Fer-rero, (Einaudi, L. 32.000), Pre-

mio Strega, c’è da lavorare perun intero corso di storia. Bel-lissimo e intenso romanzo suNapoleone all’Elba, il vero pro-tagonista è un nobiluccio pie-no di slanci e ritrosie, la cuivoglia di amare si esprime inun amore impossibile e fram-mentato, fiammella di una vitadi tranquilla routine. L’arrivodel grande Esiliato sconvolgetutto. L’offerta del posto di bi-bliotecario fornisce all’uomo,che odia il tiranno, un osser-vatorio privilegiato da cuispiarlo nel desiderio di ucci-derlo. Le notazioni dei prepa-rativi e dei sogni per il delit-to, di arrivi e partenze miste-riose, l’amante Walewski, lamadre Letizia, la sorella Pao-lina Borghese, arrivano all’at-tentato che avrebbe cambia-to la storia. (Per rispetto dellettore non si svela cosa lofrustrò poche ore prima dellarealizzazione). In una bella e

Un capoccione in carica, ritenuto che la storiadebba essere codificata dall’alto, auspica unacensura che trasmetta alle vergini menti degli

allievi solo quel che piaccia a lui.Del resto anche i capoccioni nostri hanno

spesso scambiato il giudizio personale,(teorizzazioni, regole e ukàse di varie

cricchette), per il giudizio universale, perciòquando il presente numero di école vedrà la

luce, il dado sarà stato tratto. Se staremocuocendo nel nostro brodo (sono certa cheno), bisognerà fare storia con qualsiasi libro,e per chi ha idee chiare e voglia di libertà,anche i romanzi forniscono elementi di

informazione e di discussione

chiara visione umanista, vi-vono grandi decisioni che sca-turiscono da piccoli fatti,quotidianità dei grandi e vi-cende straordinarie dei picco-li, mene politiche e cronacagiornaliera: un excursus sullacondizione umana. L’analisidel mondo è intensa, ricchis-sima di particolari, condottacon una tale finezza di stileda rendere la lettura sempreun piacere. Tutto è misura espesso è poesia, mentre undiscorso sulla inutilità dellaguerra, profondamente vissu-to dall’autore, soffonde di-screto, forte e sconsolato,molte pagine.

Mal’aria di Eraldo Baldini,(Frassinelli, L. 20.000) ac-compagnerà lo studio del ven-tennio fascista. È il raccontodella malaria e delle leggi tesea prevenirla e curarla, disat-tese dai bassi scalini del par-tito nelle paludi tra Ferrara eRavenna. Sicuri dell’impuni-tà, un manipolo di arditi stor-nano i fondi a proprio van-taggio finché arriva l’ispetto-re da Roma a chiedere il per-ché di tante morti, soprattut-to di bambini. Una coltre dipaura e vigliaccheria crea unarete di omertà intorno al ge-rarca locale, a difendere ilquale si leva, insieme alla bru-ma malefica, la superstizioneche preferisce al chinino le fo-sche magie dei tempi passatie pratiche di ferocia inaudi-ta, in un ritratto pessimisti-co, e tuttavia attendibile, diuomini e cose. Lo scrittore faparte delle giovani leve cheamano il cannibalico, quiamministrato da una scrittu-ra pulita che rende alla per-fezione epoca e paese. Riu-scitissimo il discorso sul grup-po sociale, sull’ambiente nel-le sue interazioni, sono un po’meno convincenti i personag-gi, non abbastanza indagatinelle motivazioni profonde, espesso soltanto pretesto aldiscorso convincente, da ri-scoprire, nella piccola storiadelle piaghe nazionali. ●

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leggere negli anni verdi

DuelliGIUSEPPE PONTREMOLI

Con Schubert non avevo problemi, quan-do avevo l’età di David. E nemmeno ne avevocon Otis Redding o Aretha Franklin. I problemili avevo invece con Bob Dylan e con WoodyGuthrie. Il fatto è che ascoltavo tutti loro (non-ché mille altri, beninteso) in modo sostanzial-mente ossessivo, però era solo con Dylan e Gu-thrie che mia madre si avvicinava e mi chiede-va: «Perché ascolti sempre della musica cosìmalinconica?». Aveva come un allarme, nellosguardo; delicato, sì, ma un po’ accorato. Lostesso allarme era comparso quell’inverno, al-lorché per almeno una settimana mi ero sve-gliato ogni mattina alle sei per andare, nono-stante il buio e la neve — tantissima neve,quell’anno —, a “servire Messa” mezz’ora dopo.«È buio, fa freddo... Perché lo fai?», mi chiese una mattina men-tre accendeva la stufa; e io, sulla porta, con la boria dei dodicianni, le risposi che se non lo capiva da sola non meritava disentirselo dire. In realtà non lo sapevo bene nemmeno io. Vagavoaffannoso lungo i tornanti della mente tra desiderio di santità edesiderio di apprezzamento sociale; tra frasi ridondanti come «ri-cerca della verità» e la consapevolezza che ogni Messa in piùavrebbe significato una tacca in più nella tabella dei chierichetti,e questo mi sarebbe servito a conquistare il libro in premio riser-vato al primo in classifica. Pensavo confusamente che ero confu-so; mi si affacciavano le categorie di “nobile” e “meschino”; eallora saliva la furia, ma non già contro il “meschino” che eviden-temente albergava in me, bensì contro gli altri, il mondo, miamadre, mia madre soprattutto. Che cosa voleva da me? Io stavocercando la verità, anzi, la Verità, e lei si preoccupava del buio edel freddo. La menava tanto con la fede e il “timor di Dio”, maavrebbe preferito che stessi a dormire. Era proprio un’ipocrita.Come quando preparava quell’infinità di anolini e tagliatelle elasagne e tortelli e arrosti e torte e budini: con che coraggiopoteva parlare dei poveri, di chi moriva di fame? E mio padre:buono, anche lui... Andava a caccia, e ogni volta, immancabil-mente, uccideva una lepre. Prima di mangiare, tutti in piedi da-vanti al piatto, era lui a condurre la preghiera: «Signore, benediteil cibo che stiamo per prendere, e datene anche a coloro che nonne hanno. Amen». Lui aveva ucciso una creatura del Signore, siapprestava a mangiarla, e pretendeva pure che il Signore elargis-se una benedizione. Molte volte ho pensato che questo rito fosseblasfemo, e ho spesso desiderato/temuto che arrivasse un fulmi-ne divino. E una sera, dopo l’ennesima urlata perché smettessi dileggere e spegnessi la luce, perdurando la difficoltà di dormireper la rabbia di avere dovuto sottostare al loro potere, sentii cheparlavano, e mia madre diceva a mio padre che mi sarei rovinatogli occhi, e che non sapevo godermi la vita, come avrebbe dovutofare un ragazzo della mia età. Quel che le disse lui non riuscii asentirlo, ma pensai subito che non capivano niente. Io me lagodevo, eccome, la vita: ci vedevo benissimo, leggere era un pia-cere, ero bravo a giocare a calcio, c’era Linda. Sì, Linda. Anchel’Annamaria mi piaceva, ma meno da quando era arrivata Linda,figlia di un carabiniere trasferito da poco al paese. Nel buio Lindami venne vicino, si accucciò accanto a me. Mio padre e mia madre

parlavano ancora, ma non distinguevo più leloro parole. Quali che fossero, non m’importa-va: loro non capivano niente. M’importava checontinuassero a parlare, ché non si accorges-sero che ero con Linda, che la guardavo nelbuio, che la carezzavo, che mi carezzava, chemi addormentava cullandomi, stordito e felice.Anche a David — protagonista dell’ultimo li-bro di David Grossman, Il duello, pubblicato daMondadori nella collana “Contemporanea” perla traduzione di Daria Merlo — anche a David,e per ragioni analoghe, càpita di affermare aproposito di sua madre che «quella lì non capi-sce niente»; e anche lui dice che «una voltal’avevo addirittura sentita dire a mio padre chenon sapevo godermi la vita, come avrebbe do-

vuto fare un ragazzo della mia età». Il fatto è che David, dodicianni, quando «l’insegnante ci aveva divisi in “gruppi di volonta-riato”, e tra le varie attività c’era anche quella di aiutare un an-ziano e diventare suo amico», aveva scelto proprio questa. E cosìaveva conosciuto il signor Rosenthal, ma questa scelta era parsaa sua madre una scelta preoccupante: un dodicenne che, invecedi frequentare i coetanei, preferiva starsene solo a leggere o pas-sare il suo tempo con il settantenne Rosenthal, non poteva esse-re a posto. Ma David non ha alcuna intenzione di rinunciare alleproprie scelte, e poi è molto affascinato dalle storie di Rosenthal;inoltre, e soprattutto, a un certo punto Rosenthal viene sfidato aduello — un vero duello, con la pistola — da Rudi Schwartz, unsuo coetaneo piuttosto impetuoso, e David intende fare di tuttoper evitare la tragedia.Il problema nasce dal fatto che cinquant’anni prima Rosenthal eSchwartz si erano innamorati di Edith Strauss, una bella pittriceche poi aveva lasciato entrambi per andarsene con un inglese.Andandosene aveva lasciato due dipinti: uno, raffigurante i pro-pri occhi, a Rosenthal; un altro, la bocca, a Schwarz. Ora però ilquadro della bocca è scomparso, e Schwarz accusa Rosenthal delfurto. Da questo, e dal relativo reciproco scambio di insulti e diaccuse, il duello, essendo i due uomini sostanzialmente rimastilegati a codici antichi. David, preoccupato per la vita dell’amico,e convinto della sua innocenza, riuscirà a impedire il duello, maarriverà a risolvere il tutto attraverso personaggi e vicende che ionon svelerò, per non togliere a nessuno il piacere di godersi lavita tramite le parole e i marchingegni narrativi del grande DavidGrossman.Sì, le parole e le storie hanno una grande capacità di far godere lavita. E hanno anche la capacità, come tutti sappiamo e comeviene confermato da questo Duello, di complicarla moltissimo, lavita. Hanno insomma una grande forza, un grande potere.E le madri, David? (E i padri, ahinoi?) Sarà bene che riescano —che riusciamo — a coltivare la memoria viva dei propri dodicianni e a farsi cronopios, e quindi non prendersela troppo perl’odio inevitabilmente generato nei figli per troppo amore. Perchéi cronopios, come racconta Julio Cortázar (Storie di cronopios e difama, Einaudi), «anche loro hanno odiato i loro genitori, e anzi sidirebbe che questo odio sia uno dei nomi della libertà e del vastomondo». ●