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PAGINA 1 edit Può la mannaia dei tagli alla scuola del governo Berlusconi compattare idee della formazione diverse e renderle concordi? È possibile pensare che il marcio della priva- tizzazione e confessionalizzazione della scuola venga tutto dalle confuse idee della mini- stra Moratti? Possiamo dimenticare che gli assi della trasformazione buro-familistico-tec- nicista della scuola non sono stati generati solo dai governi delle destre, ma al contrario partoriti, con dignità di Riforma, proprio quando il centrosinistra era al governo? Possiamo scambiare il successo della manifestazione e dello sciopero del 15 novembre come l’inizio di una nuova stagione di mobilitazione di genitori, studenti e lavoratori della scuola? Vorremmo. C’è in tutti coloro che insegnano un disperato bisogno di buone notizie, di speranze e di prospettive capaci di ridare colore a un lavoro ingrigito, sempre più consi- derato marginale e parassitario. Ma per crederci davvero bisognerebbe che si facesse una ragionevole chiarezza su quale scuola è possibile dopo la necessaria e auspicabile uscita di scena di Moratti & co. Biso- gnerà chiarire subito che non è di nuove e ancora più altisonanti riforme che la scuola ha bisogno, che non serve che i soliti noti “saggi” della Gad si mettano a studiare un’altra trasformazione epocale (come quella di Berlinguer) della formazione nel nostro paese. Me- glio sarebbe che si cominciasse da un serio sforzo di semplificazione e di abrogazione liberando la scuola sì dal turpe armamentario della riforma Moratti, ma anche dalle ormai radicate metastasi della “cultura” della privatizzazione che, anche in assenza della ri- forma del centrodestra, possono ugualmente diffon- dersi. Un’idea potrebbe essere inventare altre parole per “abrogare” certamente tutor e portfolio, ma anche dirigenti, open day, passarelle, crediti formativi, of- ferte formative, debiti, accreditamenti, patenti infor- matiche, certificazione di qualità, corsi Fse, sistema pubblico-privato, eccetera. Parole in cui è intrappolato e costretto il lavoro didat- tico sempre più descritto e agito come una funzione economico-amministrativa, subordinata – va da sé – alle inconfutabili leggi del mercato. Naturalmente non basterà cambiare il nome delle cose per cambiarne il senso, ma già usare “abitanti della scuola” e non “utenti del servizio scolastico” può rasserenarci e rendere la vita nei luoghi della formazione un po’ meno tardofordista. Non vogliamo, naturalmente, una legge dello stato che stabilisca le nuove parole della scuola, raccogliendole in una sorta di dizionario del political correct del settore. Ma so- gniamo che alla standardizzazione dei termini del nostro triste momento attuale (frutto di un vero delirio centralistico) segua una liberalizzazione che ridia a chi vive la scuola il diritto di nominare individualmente e collettivamente le cose in base ai concetti e alle idee che si vogliono esprimere. Così – ad esempio – potrebbe essere definitivamente eliminata dal lessico scolastico la parola “supplente” attribuita ingiustamente a coloro che insegnano come il personale di ruolo senza supplire nessuno, ma essendo licenziati anno per anno e (forse) riassunti l’anno successivo senza diritti. Per loro si potrebbero invece usare termini più congrui come “insegnante sfruttato” o meglio “insegnante più sfruttato”, “insegnante precario per dolo dell’amministrazione”, “insegnante in attesa di licenziamento”, “insegnante plurilicenziato” o più ottimisticamente “pluriassunto” o più tristemente “docente paria”. Così anche uno dei drammi più seri della scuola italiana, che funziona macinando anno dopo anno i diritti al lavoro e alla dignità professionale di centinaia di migliaia di persone (in cambio possono però godere di un termine, supplente, che dà loro un’immagine di eterna giovinezza, un po’ come accade per tutto il personale che di riforma in riforma “ringiovanisce” non raggiungendo mai la pensione), sarebbe finalmente trasparente. Le brutte parole GIANPAOLO ROSSO

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Può la mannaia dei tagli alla scuola del governo Berlusconi compattare ideedella formazione diverse e renderle concordi? È possibile pensare che il marcio della priva-tizzazione e confessionalizzazione della scuola venga tutto dalle confuse idee della mini-stra Moratti? Possiamo dimenticare che gli assi della trasformazione buro-familistico-tec-nicista della scuola non sono stati generati solo dai governi delle destre, ma al contrariopartoriti, con dignità di Riforma, proprio quando il centrosinistra era al governo?Possiamo scambiare il successo della manifestazione e dello sciopero del 15 novembrecome l’inizio di una nuova stagione di mobilitazione di genitori, studenti e lavoratoridella scuola?Vorremmo. C’è in tutti coloro che insegnano un disperato bisogno di buone notizie, disperanze e di prospettive capaci di ridare colore a un lavoro ingrigito, sempre più consi-derato marginale e parassitario.Ma per crederci davvero bisognerebbe che si facesse una ragionevole chiarezza su qualescuola è possibile dopo la necessaria e auspicabile uscita di scena di Moratti & co. Biso-

gnerà chiarire subito che non è di nuove e ancora piùaltisonanti riforme che la scuola ha bisogno, che nonserve che i soliti noti “saggi” della Gad si mettano astudiare un’altra trasformazione epocale (come quelladi Berlinguer) della formazione nel nostro paese. Me-glio sarebbe che si cominciasse da un serio sforzo disemplificazione e di abrogazione liberando la scuolasì dal turpe armamentario della riforma Moratti, maanche dalle ormai radicate metastasi della “cultura”della privatizzazione che, anche in assenza della ri-forma del centrodestra, possono ugualmente diffon-dersi. Un’idea potrebbe essere inventare altre paroleper “abrogare” certamente tutor e portfolio, ma anchedirigenti, open day, passarelle, crediti formativi, of-ferte formative, debiti, accreditamenti, patenti infor-matiche, certificazione di qualità, corsi Fse, sistemapubblico-privato, eccetera.Parole in cui è intrappolato e costretto il lavoro didat-tico sempre più descritto e agito come una funzione

economico-amministrativa, subordinata – va da sé – alle inconfutabili leggi del mercato.Naturalmente non basterà cambiare il nome delle cose per cambiarne il senso, ma giàusare “abitanti della scuola” e non “utenti del servizio scolastico” può rasserenarci erendere la vita nei luoghi della formazione un po’ meno tardofordista.Non vogliamo, naturalmente, una legge dello stato che stabilisca le nuove parole dellascuola, raccogliendole in una sorta di dizionario del political correct del settore. Ma so-gniamo che alla standardizzazione dei termini del nostro triste momento attuale (frutto diun vero delirio centralistico) segua una liberalizzazione che ridia a chi vive la scuola ildiritto di nominare individualmente e collettivamente le cose in base ai concetti e alleidee che si vogliono esprimere. Così – ad esempio – potrebbe essere definitivamenteeliminata dal lessico scolastico la parola “supplente” attribuita ingiustamente a coloroche insegnano come il personale di ruolo senza supplire nessuno, ma essendo licenziatianno per anno e (forse) riassunti l’anno successivo senza diritti. Per loro si potrebberoinvece usare termini più congrui come “insegnante sfruttato” o meglio “insegnante piùsfruttato”, “insegnante precario per dolo dell’amministrazione”, “insegnante in attesa dilicenziamento”, “insegnante plurilicenziato” o più ottimisticamente “pluriassunto” o piùtristemente “docente paria”. Così anche uno dei drammi più seri della scuola italiana, chefunziona macinando anno dopo anno i diritti al lavoro e alla dignità professionale dicentinaia di migliaia di persone (in cambio possono però godere di un termine, supplente,che dà loro un’immagine di eterna giovinezza, un po’ come accade per tutto il personaleche di riforma in riforma “ringiovanisce” non raggiungendo mai la pensione), sarebbefinalmente trasparente. ●

Le brutte paroleGIANPAOLO ROSSO

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docenti, si sono rifiutati di accettareaffidamenti e supplenze fino a quandoil DDL Moratti non sarà ritirato. Le pro-teste hanno prodotto un blocco par-ziale o totale della didattica nella mag-gior parte degli atenei, con il sostegnospesso degli stessi organi collegiali.Ormai ci sono prese di posizioni uffi-ciali contro la riforma Moratti da partedi consigli di dipartimento, di corso dilaurea, di facoltà, e di senati accade-mici in tutta l’Italia. Il Consiglio Uni-versitario Nazionale (CUN) ha espressola sua opposizione al DDL e il 15 set-tembre anche la Conferenza dei Rettori(CRUI) l’ha bocciato («inaccettabili ovelleitarie e inapplicabili» le previsio-ni del DDL).

La società della conoscenza

Nessuno nega che l’Università abbiabisogno di una seria riforma, ma perpotenziare il suo ruolo pubblico nondistruggerlo. Bisogna assicurare il di-ritto allo studio, ancora molto lontanodalla media europea; reclutare migliaiadi giovani ricercatori nei prossimi anni;riformare lo stato giuridico della do-cenza con una distinzione fra recluta-mento e progressione di carriera, conun’unica figura della docenza, contrat-tualizzata, e un efficace sistema di va-lutazione sia a livello di ateneo che alivello nazionale; assicurare un controllopiù serio sulle attività e sulla presenza

L’Università in movimentoJOHN W. GILBERT *

Sono stati i governi di centro-sinistra degli anni‘90 a preparare il terreno per l’attuale crisi delsistema, ma l’attuale attacco all’Università è senzaprecedenti: i tagli ai finanziamenti pubblici (e gliaumenti alle università private), il blocco alleassunzioni di tecnici-amministrativi e docenti(ormai da 4 e 2 anni rispettivamente), e adesso ilDisegno di Legge sulla docenza

Il DDL Moratti che formalizza laprecarizzazione della docenza univer-sitaria è stato approvato dalla Commis-sione cultura della Camera il 31 luglioe poi a settembre nelle università sonoriesplose le mobilitazioni della prima-vera scorsa.Fra le cose previste: l’abolizione del-l’attuale figura del ricercatore (più diun terzo della docenza) e la sua sosti-tuzione con figure precarie, favorendocosì quella “fuga dei cervelli” dal si-stema universitario che sta penalizzan-do gravemente tutta la ricerca in Ita-lia; la precarizzazione dei nuovi pro-fessori associati e ordinari; nessunaattuazione delle norme europee per ilettori di madrelingua (nonostante larichiesta della Commissione europeaalla Corte di Giustizia di imporre all’Ita-lia una maxi-multa di 310 mila euro algiorno); l’abolizione della distinzionefra tempo pieno e tempo definito chepenalizza ulteriormente i bilanci degliatenei, con un serio rischio che l’Uni-versità diventi un luogo di secondo la-voro per professionisti; “le cattedreaziendali”, cattedre triennali finalizza-te dalle imprese a puri interessi di mer-cato.Con la riforma Moratti si farà semprepiù ricorso a contratti di insegnamen-to ad esterni, figure precarie (circa25.000 in tutta l’Italia secondo il MIURcontro circa 57.000 docenti di ruolo)reclutate senza concorso, prive di ognigaranzia di un trattamento economicoe normativo dignitoso.Si calcola che in questa critica fase diattuazione del nuovo ordinamento, al-meno il 45% delle lezioni universitariesia tenuto dai più di 20.000 ricercatori(un dato ancora più significativo vistoil pensionamento a breve di circa lametà degli attuali docenti). Senza i ri-cercatori gli atenei non potrebbero co-prire i quasi 10.000 corsi previsti nelnuovo ordinamento se non con un ri-corso ancora più massiccio ai “profes-sori a contratto”. In molti atenei i ri-cercatori, con la solidarietà degli altri

dei docenti, garantire concorsi che evi-tino i rischi del baronato e del nepoti-smo; bloccare la riforma didattica dellaMoratti per il “percorso ad Y” (ovvero“1 più 2 più 2”) ma anche avere il co-raggio di rimettere in questione la ri-forma “3 più 2”, ora che l’applicazionee i primi esiti disastrosi sono evidentia tutti.La formazione e la ricerca pubbliche,libere da condizionamenti economiciimmediati e da logiche di mercato, sonoun investimento strategico per l’interasocietà – quella “società della cono-scenza” che vede un continuo rinno-varsi dei saperi. In accordo con l’arti-colo 3 della Costituzione, l’Universitàdeve far parte integrale di un sistemapubblico di istruzione che garantiscaquella formazione pubblica permanen-te e di qualità, necessaria a ogni in-dividuo per poter esercitare i diritti dicittadinanza. Nuovi finanziamenti sononecessari subito solo per recuperare ladistanza con il resto dell’Europa. Poiper invertire l’attuale declino bisognarispettare l’impegno europeo di dedi-care 3% del PIL alla ricerca entro il2010. A livello internazionale c’è unacampagna in corso per dedicare il 6%del PIL di ogni paese all’istruzione, mal’Italia deve aumentare i finanziamen-ti almeno al livello medio dei PaesiOCSE. ●

* Università di Firenze.

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Ma forse siamo sempre davantialla stessa realtà proteiforme che sipresenta con sigle diverse di volta involta, la sinistra della scuola con la suafaccia sociale organizzata o diffusa equella della rappresentanza politica,quella della sinistra estrema e quelladei riformisti di sinistra e dei riformi-sti di destra, tutte componenti che disolito si scontrano ma che non posso-no fare a meno una dell’altra, visto an-che il tipo di destra-destra che hannodavanti. Questo è appunto il momentoin cui molti si esprimono sobriamentee cercano di capire qualcosa di nuovo,più che di affermare il già noto, e ditrovare i punti di accordo più che con-flitto.La cosa che si è sentita più dire è chenon bisogna più cadere – se ci sarà unanuova maggioranza di governo – nellatrappola della “riforma globale”. Eranopresenti persone provenienti da tuttol’arco della sinistra, quindi perfino ber-lingueriani, e questi ultimi, ascoltaticon educazione come imponeva il tito-lo del seminario, in parte difendevanol’operato della maggioranza di centro-sinistra o quello attuale di regioni comela stessa Toscana; ma il fatto che cifosse accordo sul rifiuto netto della ri-

Le alternative a MorattiPAOLO CHIAPPE

Al seminario del Forum Nazionale dell’Educazione(Firenze, 23-24 ottobre) dedicato alle “Proposte in positivo”per la scuola e introdotto dalla relazione di Domenico Chiesa,più che in un seminario da forum sociale, come poteva farpensare il titolo, ci si è ritrovati in una sorta di assembleaprogrammatica consultiva in cui si discuteva il da farsi dellaGad sulla scuola (cosa utile e necessaria alla Gad ma non soquanto utile al concetto di forum)

forma Moratti da un lato, e sulla ne-cessità di non riproporsi come demiur-ghi globali della scuola dall’altro, indi-ca che una stagione politica segnatada una radicale voglia di ristruttura-zione aziendale della scuola dall’altoverso il basso potrebbe essere archi-viata da una futura Gad. Ciò non risol-ve i problemi, ma costituisce una im-portante premessa di metodo fondatasul saggio principio medico: Primumnon nocere.

Se la Gad vincesse leelezioni...

Supponendo di abrogare Moratti di co-mune accordo (Margherita e altri per-mettendo), e di intervenire poi solo conil metodo del consenso su aspetti spe-cifici, rimarranno comunque enormimotivi di divisione nel corpo stesso delcentrosinistra e anche della sinistra:concetto di spazio pubblico e legge diparità, laicità, potere dei dirigenti, con-

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La scuola secondaria e la legge 53Sul sito di école [www.scuolacomo.com/ecole] Pino Patroncini risponde a diecidomande sulla scuola secondaria e la legge 53.

1. Uscirà il decreto attuativo della legge per la scuola secondaria superiore?2. Cosa dirà questo decreto?3. Ma su questo punto non c’è stato un dissenso anche di Confindustria?4. Perché si scaricherà soprattutto sui precari?5. Quali modificazioni all’organico della secondaria superiore comporterà la

riforma?6. Ma da un po’ di anni l’utenza si sposta verso i licei: ciò potrebbe

compensare queste perdite?7. Allora lo spostamento dell’utenza salverà le cattedre?8. In conclusione?9. Ma la Moratti non diceva di voler unire scuola e lavoro?10. Vengono dunque fuori handicap ereditari storici della nostra formazione?

Punti condivisiAl termine dei lavori il Forum Nazionale dell’Educazione e dell’Istruzione, te-nutosi a Firenze il 23 e 24 ottobre, ha condiviso i seguenti punti.

Esprime una valutazione estremamente positiva sull’andamento dei lavori edecide di impegnarsi perché prosegua l’attività di confronto e approfondi-mento intorno ai nodi tematici affrontati soprattutto nelle attività dei semi-nari, che hanno riguardato:• Autonomia scolastica e sistema nazionale dell’istruzione• Fare l’insegnante nella scuola pubblica• Il valore sociale della conoscenza: saperi e progetto culturale• La scuola secondo Moratti: alternative possibili• Università in crisi: alternative possibili• La scuola funzione pubblica o servizio a domanda?• La scuola di tutte /i: intercultura, integrazione, diritti di cittadinanza.

Il Forum inoltre si impegna affinché si trovino nuove forme di lavoro e colla-borazione per costruire, insieme a tutti i soggetti impegnati nei movimenti,una grande campagna nazionale contro le riforme Moratti.

Sul sito di école [www.scuolacomo.com/ecole] si possono leggere altrimateriali sul Forum e il resoconto di Diana Cesarin, del Movimento diCooperazione Educativa, sul seminario “La scuola di tutte/i: intercultura,integrazione, diritti di cittadinanza”.

cezione dell’autonomia, curricoli uni-versitari, retribuzioni e diritti del per-sonale a cominciare dalla questione deiprecari che ormai si dovrebbe chiamarela questione del lavoro atipico, del la-voro senza diritti nella scuola. Quindila questione dei soldi. Tutte contraddi-zioni che hanno la tendenza a scoppia-re più che a starsene buone in sonno.Ma oso sperare qui (o almeno devo im-maginare per potere andare avanti nelragionamento, e così facevano i parte-cipanti al seminario), che Gad e cen-trosinistra abbiano l’abilità e la sag-gezza per cogliere quella particolarecontingenza postelettorale, quel mo-mento di grazia che consente di faresubito due o tre mosse convincenti checambiano poi anche il senso e la co-stellazione della fase successiva chesarà, comunque, difficile. Che cosa èstato suggerito in positivo da questaassemblea?Secondo me quanto segue:• abrogare Moratti in modo secco e

lasciare per un bel po’ in pace lascuola elementare visto che funzio-nava già discretamente per contosuo “prima” dei vari furori riformi-stici;

• obbligo a sedici anni, secondo altria diciotto anche se magari non su-bito:

• biennio post-media, articolato quan-to si vuole, ma tutto nella scuola eunitario (sapere e saper fare) e chenon sia una quarta e quinta media(questo e il precedente sono i puntidecisivi secondo i più)

• salvaguardare gli istituti tecnici sta-tali;

• calibrare i tempi della scuola nellesuperiori, ora spesso troppo accu-mulativi (orari);

• abolire la legge 30 sul lavoro atipi-co (riguarda anche l’apprendistatoformativo, in realtà fatto senza for-mazione, puro sfruttamento);

• istituire la scuola pubblica 0 - 3 anni;• generalizzare i più alti livelli quali-

tativi nella scuola dell’infanzia;• rivedere i curricoli delle medie;• più spazi democratici culturali e di-

dattici per gli studenti nelle supe-riori.

Questioni trascurate

A mio avviso solo due questioni gravisono state trascurate o appena accen-nate.La prima riguarda l’affarismo privatodi corsi e corsettini sottratti alla ge-stione collegiale, e in gran parte an-

che alla conoscenza di chi ci vive ac-canto, che si sta sviluppando nellescuole e che comprende anche tutto ilsettore degli IFTS. Lo sviluppo incon-trollato e spesso clientelare e doppio-lavoristico di questo settore potrebbefar sì che un bel giorno si vada a chiu-dere la porta della stalla della scuolapubblica e si trovi che i buoi sono giàscappati, o meglio si scopra che dietroquell’etichetta di pubblico non c’è ri-masto nulla, tranne la borsa dei con-tribuenti italiani ed europei che paga-no e non controllano né conosconol’uso che viene fatto del loro denaro.

Ciò significa anche: lotta per la gestio-ne democratica e l’amministrazione col-lettiva di tutto ciò che passa sotto iltetto dell’edificio scolastico di proprie-tà statale o degli enti locali.Il secondo, poco aristocratico in ap-parenza da discutere ma concreto, ri-guarda la squadra di governo che do-vrebbe sostituire le varie signore Mo-ratti e Aprea: vedremo rispuntare gliineffabili Vertecchi, Campione, Tiritic-co o i loro cloni? Oppure Gad e centro-sinistra, se vincenti, sapranno evitaredi rivolgersi al vecchio ceto buropeda-gogico? ●

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È bene non dimenticare che laFinanziaria è suscettibile, mentre scri-viamo di modificazioni: non ritengosaranno rilevantissime, ma non vannonemmeno sottovalutate.Propongo, come chiave di lettura dueconsiderazioni di carattere generale.In primo luogo si deve tener conto delfatto che le precedenti leggi finanzia-rie hanno pesantemente toccato l’or-ganico di diritto nella scuola che è statotagliato di diverse decine di migliaiadi unità a fronte di una crescita deglistudenti rilevante per quantità e, so-prattutto, per caratteristiche visto chei nuovi studenti sono, per l’essenziale,stranieri.Può valere la pena, a questo proposito,esaminare i dati delle iscrizioni negliultimi anni di alunni italiani e alunnicon nazionalità non italiana (tabella 1).Gli alunni stranieri non sono distribui-ti omogeneamente sul territorio nazio-nale e sarebbe necessario personalespecializzato perché siano, come si suoldire, un’occasione di arricchimento del-la scuola. Invece il personale di dirittoè ridotto con effetti che possiamo im-maginare e che arrivano sino al pas-saggio a scuole private di alunni che sitrovano troppi compagni “problemati-ci” in classe.D’altro canto, oggi i precari sono, comesi è più volte ricordato, circa 180.000(110.000 docenti e 70.000 ATA), ebbe-ne, il progetto di legge finanziaria nonprevede risorse per le immissioni inruolo promesse con il piano plurienna-le per le assunzioni previste dalla Leg-ge 1437/04. Naturalmente è possibileche il governo intenda provvedere aconsistenti immissioni in ruolo in pre-visione delle prossime elezioni politi-che, il fatto è che il disegno di leggenon stanzia nulla a questo fine per l’an-no prossimo.In secondo luogo l’assenza di ulterioritagli ha una ragione evidente, la LeggeMoratti, se vi saranno i regolamentiattuativi per la secondaria superiore,provvederà da sé alla cura dimagrantedi quest’ordine di scuola mentre per la

Totale cittadinanza cittadinanzanon italiana italiana percentuale

1997-98 7.599.060 63.945 7.535.115 0,841%

2004-05 (stima) 7.681.775 300.460 7.381.315 3,911%

Tabella 1

primaria e per la secondaria inferiore,basterà l’attuale normativa con la finedella salvaguardia parziale dell’organi-co che è stata garantita per il solo annoscolastico in corso.Si può ottenere un effetto medianteun’azione o un’omissione ed il governosembra intenzionato a puntare sullaseconda pratica.A conferma di quest’ipotesi, basta ri-cordare che la messa a regime, dal puntodi vista della sicurezza, degli edificiscolastici è slittata di un anno comegraziosa concessione del governo aglienti locali ai quali i fondi sono statitagliati e che altrettanto è avvenutoper le risorse per il pagamento delletasse per la pulizia con l’effetto che,se dovranno pagare le singole scuole, ifondi di istituto saranno ridotti ai mi-nimi termini.Inoltre, il disegno di legge pone un li-mite, inferiore al tasso di inflazione,del 2%, all’incremento di spesa per lepubbliche amministrazioni. Per la scuo-la l’aumento offerto al personale, per ilcontratto, ormai scaduto da quasi unanno, è del 3,8% e cioè ampiamentemeno del già ricordato tasso di infla-zione. Potrebbe diventare del 4,8% incambio del congelamento dei gradoni,del blocco de turn over e del rinvio delleassunzioni. Un’offerta decisamente ge-nerosa, non c’è che dire.Per quanto riguarda la riforma, gli in-vestimenti previsti sono di 110 milionidi euro, che, sommandosi ai 90 stan-ziati per l’anno passato, sono ben lon-tani da quanto deriverebbe dall’appli-cazione del piano programmatico quin-quennale per la scuola che prevedeva,fra il 2004 ed il 2008, investimenti per8.320 milioni di euro. Nei fatti, queste

cifre confermano la nostra tesi e cioèche siamo non di fronte alla RiformaMoratti ma alla Riforma Tremonti-Sini-scalco e che tutto si riduce a un tagliodella spesa e dell’organico.

Il Progetto di Legge

• Conferma il divieto – per il triennio2005-2007 – di adottare provvedimen-ti di estensione dei giudicati in mate-ria di personale delle pubbliche ammi-nistrazioni. In concreto blocca l’esten-sione erga omnes di vittorie ottenuteda singoli o da gruppi di lavoratori insede giudiziaria su problemi che abbia-no rilevanza economica (pensiamo allevertenze degli ATA ex Enti locali perfare un esempio noto). I lavoratori,indeboliti sul piano contrattuale dameccanismi ben noti, vengono disin-centivati rispetto all’utilizzo dello stru-mento legale.• Prevede che l’ARAN (Agenzia per leRelazioni Negoziali nelle PubblicheAmministrazioni, la Confindustria del-le pubbliche amministrazioni) sia par-te in causa nei processi di lavoro conl’effetto che vi sarebbero, da una par-te, i lavoratori e dall’altra l’amministra-zione sostenuta dall’ARAN con tuttal’autorevolezza e le risorse di cui di-spone.È interessante notare come, in linea conil passato, la Finanziaria deliberi suquestioni di carattere contrattuale, giu-ridico, politico sostituendosi ad altrimomenti di decisione e caratterizzan-dosi come strumento del rafforzamen-to del potere dell’esecutivo che questogoverno, ma il precedente ha operatonella stessa direzione, persegue. ●

La Finanziaria e la scuolaCOSIMO SCARINZI

Il disegno di Legge finanziaria 2005 non introducegrandi novità rispetto al passato, ma è indicativo delladeriva che caratterizza la politica scolastica del governo

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LE LEG

GIIl 29 ottobre è stata firmata la Costituzione Europea che rafforzerà il processo di interazionetra politiche europee e politiche nazionali; l’istruzione è uno dei settori di maggiore impegnodegli organismi europei; già il Consiglio Europeo di Lisbona del marzo del 2000 aveva delineatol’obiettivo strategico per i prossimi 10 anni di politica comune europea: «diventare l’economiadella conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economicasostenibile»; gli stessi principi sono ora affermati nella Costituzione Europea.La scuola deve essere sempre di più funzionale all’economia ed al suo sviluppo; in questo sensoanche il principio di “un’istruzione lungo tutto l’arco della vita” è visto soprattutto in funzionedi una permanente formazione al lavoro che, per la sua variabilità, richiede non solo una maggio-re flessibilità dei sistemi formativi, ma anche una capacità di adattarsi alle diverse e mutevoliesigenze.In questo contesto la domanda formativa non può essere soddisfatta soltanto dallo Stato; anzi loStato non sarebbe nemmeno il soggetto più adeguato a tale fine; si renderebbe necessaria unapluralità di soggetti capaci di soddisfare tutte le specifiche esigenze del mondo del lavoro; loStato potrebbe tutt’al più dettare le regole, lasciando ad altri soggetti, pubblici o privati, ilcompito di organizzare e gestire le diverse forme della formazione.Queste linee di tendenza sono diffuse anche nel nostro Paese; l’idea di una scuola per l’economiaperaltro non trova spazio soltanto nell’ambito della destra, ma anche in molti settori dellasinistra.La legge di parità, la riforma del Titolo V con la tendenziale regionalizzazione della scuola, gliaccordi Stato-Regioni per la sperimentazione di modelli di integrazione tra sistemazione e for-mazione professionale rappresentano concreti momenti di cedimento all’idea di una scuola infunzione del lavoro e dell’economia; in questo senso il sistema duale proposto con la leggeMoratti si può considerare la conclusione di un percorso già in qualche modo avviato in prece-denza.In questi ultimi anni però si è avviata anche una riflessione a livello mondiale su questa tenden-ziale subordinazione della scuola all’economia e sulle forme di integrazione tra istruzione eformazione professionale; a partire dal primo Forum mondiale dell’Educazione si è sviluppato unforte movimento di contestazione a questa idea dell’istruzione “per l’economia”; però mentre

l’idea di una istruzione “per l’economia” si “istituzionalizza” in Trattatie Costituzioni, la proposta alternativa di una scuola “per la democra-zia”, non riesce a diventare un modello “istituzionale”.Dopo le delusioni (per usare un eufemismo) per la politica scolasticadel centro-sinistra ed il pesante attacco all’istruzione pubblica da partedella destra, in alcuni settori della sinistra si pensa che l’unico possibilemodo per realizzare una scuola alternativa sia quello della “pratica so-ciale” alternativa.Senza dubbio la “pratica sociale” è sempre necessaria, ma rischia diessere velleitaria se non è sorretta da una proposta che, anche a livelloistituzionale, si contrapponga al progetto neo-liberista.Peraltro molto spesso ci dimentichiamo che, noi abbiamo una Costitu-zione che, nata dalla Resistenza, è una delle Costituzioni più avanzatedel mondo; nella nostra Costituzione è affermata un’idea ed un modellodi scuola alternativa a quella neoliberista; la scuola per la democrazia,che deve essere non affidata a chiunque, ma allo Stato, non governatadai ministri o dagli assessori, ma nella forma dell’autogoverno democra-tico, aperta a tutti e, per almeno otto anni, obbligatoria perché nondeve formare al lavoro, ma deve formare il cittadino.Il richiamo ai principi costituzionali però per molti, anche a sinistra (enon solo centro-sinistra) è obsoleto; di conseguenza ad un dibattito“alto” non corrisponde una coerente proposta di politica scolastica al-ternativa; la Costituzione Europea fa salvi gli ordinamenti scolasticinazionali; se vogliamo tradurre il “dibattito” in proposte concrete ilrilancio dei principi costituzionali può essere il terreno per opporsi con-cretamente alle politiche neo-liberiste. ●

Scuola e CostituzioniCORRADO MAUCERI

Costituzione Europea e Costituzione Repubblicana: a scuola “perl’economia” o “per la democrazia”?

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TEMA

verso liberoA cura di MARISA NOTARNICOLA e STEFANO VITALE

Il punto di partenza

Prendere coscienza di sé e dei propri ritmi e tempi (respiro, battiti, gorgoglii…).La poesia a scuola conduce una vita travagliata. Da piccoli almeno ci si diverte conle filastrocche ritmate, allegre, anche insensate; alla scuola elementare se ne impa-rano alcune a memoria (poche, per la verità) per tenersi in esercizio e magarisantificare le feste. Alla scuola media compaiono le prime antologie, ma sono pienedi commenti e note impossibili. Nella scuola superiore la poesia diventa “letteratu-ra”, si storicizza, ci sono aperture verso altre lingue, qualcuno tenta analisi stilisti-che e metriche, a volte c’è anche Dante che ci accompagna.In ogni caso è assolutamente raro che i maestri o gli insegnanti leggano poesie avoce alta, molto difficile che s’invitino i bambini ed i ragazzi a scrivere essi stessi.Qualcuno, per la verità, partecipa a laboratori, ogni tanto salta fuori un poeta edanche un concorso. In ogni caso c’è sempre disordine e casualità, anche negliincontri. Eppure la poesia è emozione e rigore, occhio sul reale e sguardo fantasti-co, eppure la poesia ha uno stretto legame con la lingua, la sua evoluzione stilisti-ca, i suoi significati, eppure può essere gioco quanto impegno e sofferenza. Rispet-to alla poesia abbiamo l’impressione che la scuola abbia scelto, in generale, lastrada di una indifferente secolarizzazione: la poesia è un fatto personale ed inquanto tale va lasciata alla sfera privata. Non è un caso che lo spazio riservato dallamaggior parte dei docenti alla poesia sia molto piccolo e che molti ragazzi e ragaz-ze tengano nascoste nel cassetto le loro composizioni poetiche e che fuori dallascuola la poesia stia trovando spazio ed attenzione. La nostra idea è un po’ diversa:respirare poesia è una forma d’educazione etica, estetica e culturale che parte e sisviluppa dalla scuola, che connette espressione personale e condivisione colletti-va, il fare poesia, il leggere per sé e per gli altri assieme. Per cercare di capireabbiamo interpellato gli stessi poeti ed ovviamente gli insegnanti. Le risposte cheabbiamo ricevuto, i contributi raccolti sono molto diversi e ricchi: vediamo dove ciporta questa strada.

«La relazione alla scrittura è la relazione alcorpo… Rinnovare l’apprendimento dellascrittura è ottenere che tutto il corpo, nel-la complessità delle sue coordinazioni, visia coinvolto; contro la rigidità dell’anticaeducazione il valore oggi preminente è ilproprio agio.» [Roland Barthes, Variazionisulla scrittura, Einaudi, Torino 1999, pp. 53-54].

«Alle volte mi sembra che un’epidemia pe-stilenziale abbia colpito l’umanità nella fa-coltà che la caratterizza, cioè l’uso dellaparola, una peste del linguaggio che si ma-nifesta come perdita di forza conoscitiva edi immediatezza, come automatismo chetende a livellare l’espressione sulle formulepiù generiche, anonime, astratte, a diluire isignificarti, a smussare le punte espressive,a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallascontro delle parole con nuove circostan-ze.» [Italo Calvino, Lezioni americane, Gar-zanti, Milano 1988, p. 58]

«L’autobiografia è una metodologia umani-stica e attivistica di tutto rispetto. Si ri-collega alla tradizione pedagogica antica econtemporanea che ha privilegiato il con-

TracceSTEFANO VITALE

L’istruzione e l’insegnamento hanno bisognopiù che mai di una “relazione educativa” conla scrittura. Chiunque abbia a cuore lequestioni della scuola e dell’educazione vedecome continui ad esistere un “residuo”, che siesprime nel leggere e nello scrivere, chedifficilmente può essere insegnato con puroausilio della tecnica. La poesia può esserequindi di grande aiuto per tenere assieme leragioni della conoscenza e le urgenze dellasoggettività

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tatto diretto con le cose e gli altri, l’ap-prendimento dall’esperienza, il dialogo nonsimulato ma reale, il conflitto come momen-to inevitabile della concertazione e dellamediazione plurilaterale, l’assecondamentodi ogni maturazione simultanea di mente ecorpo, il tutto all’interno di salutari bagnidi realtà, messa alla prova di sé, competi-zione e cimento.» [Duccio Demetrio, Rac-contarsi. L’autobiografia come cura di sé,Cortina, Milano 1995, p. 199].

«Il gioco va alla velocità del pensiero, lamente è in continua azione, tutto si fa e sidisfa come nella realtà, non c’è niente dipiù importante, quello che conta è la possi-bilità combinatoria, cambiare sempre, pro-vare e riprovare. La mente diventa elastica,il pensiero dinamico. L’individuo creativo.»[Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza,Bari 1985]

In queste quattro citazioni è racchiuso il sen-so di un possibile ragionamento sulla poesiaa scuola collocandola a pieno titolo all’inter-no dei processi più globali di apprendimentodi crescita dello studente e dell’insegnante.Già perché si cresce assieme.La poesia fa parte dei programmi della scuo-la, a vario titolo: recuperare un rapportocorporeo con la scrittura significa saper cre-are dei contesti di apprendimento e espres-sione che coinvolgano il movimento, il gio-co drammatico, la narrazione espressiva,magari la grafica, la musica per conferirealla scrittura un ruolo di mediazione e co-municazione globale che aiuti a superare lapaura dell’astrazione. Le parole scavano nelsenso delle cose, lo esprimono e ci invitanoad essere esigenti, a trovare così una preci-sione, l’esattezza, diceva Calvino, del desi-derio di dire quello che davvero vogliamodire senza frasi fatte o appiattimenti ba-nalmente retorici. L’aspetto linguistico èdecisivo nella poesia. Tutto questo può col-legarsi ad un campo d’ispirazione infinito:il racconto che noi stessi siamo. L’attenzio-ne per la soggettività non come autocon-solazione o come autoesaltazione, ma comeforma di autoeducazione a vedere le cosecoi nostri occhi, che costruisce e decostru-isce la nostra esperienza di vita concreta.Ma senza esasperazioni o lacerazioni intel-lettualistiche: tutto può restare un gioco,un fatto piacevole, elastico, fondato su unaars combinatoria leggera e profonda al tem-po stesso. Come solo l’esperienza del giocosa essere. Non si tratta di “creare poeti”,ma di rendere presente quotidianamenteesperienza della poesia.

Letteratura permanente

La letteratura non è solo una materia; è unaforma specifica di esprimere la nostra stes-sa umanità. L’insegnamento è senza dubbiouno degli obiettivi principali della scuola.Tuttavia l’insegnamento della scrittura edella lettura si è ridotto all’insegnamentodella tecnica e delle regole formali. Non èun caso che dopo la scuola, l’80% delle per-

sone non legga più e lo scrivere resta confi-nato nei limiti di una scrittura funzionale ecommerciale. Il fatto è che la scuola, restan-do sul piano dell’insegnamento tecnico, nonsempre riesce ad affrontare anche il proble-ma di “chi” vive l’esperienza: al contrario sitratta di instaurare un rapporto vivo col mon-do degli oggetti e degli altri, una relazionesul piano della ricerca, del fare, in cui il cor-po gli affetti, e non solo l’intelletto sianomobilitati; un modo di relazione che superianche il puro aspetto pragmatico del lavoroe che appartenga anche al mondo del ludicoe dell’immaginario; infine un modo di rela-zione che sia individuale e sociale nello stessotempo. In una qualunque situazione, in unaattività, l’essere intero si trova impegnatoattraverso una combinatoria ludica, affetti-va, corporea, immaginaria, linguistica.

Imitazione e piacere

«In seguito ai suoi esperimenti, Fedro arri-vò alla conclusione che l’imitazione era unmale che andava estirpato prima di inco-minciare l’insegnamento vero e proprio del-la retorica. Sembrava frutto di una costri-zione esterna. I bambini piccoli non sape-vano neanche cosa fosse: probabilmente erail frutto della scuola stessa.» (Robert Pir-sig, Lo zen e l’arte della manutenzione dellamotocicletta, Adelphi, Milano, pp. 192-193).Questa indicazione semplice e sensata è inrealtà gravida di problematiche molto com-plesse. Fin da piccolo il bambino viene messodi fronte a modelli precostituiti da imitare,ai quali adeguarsi, che lo privano man manodi quella freschezza ed originalità, che sonocomponenti essenziali dell’espressione scrit-ta. La verità è che esiste ancora una linguascolastica fatta per dare l’impressione di direcose che poi non ci sono perché, appunto,represse da una lingua che rifiuta la sem-plicità. L’immediatezza, la presenza del pro-cesso del pensiero. È la lingua della sogge-zione, della paura del giudizio, lingua delconformismo perché chi parla o scrive ras-sicura di essere null’altro che uno scolaro.La scuola non insegna a vedere le cose coipropri occhi, ad avere fiducia in se stessi:quello che conta è ripetere quanto altri han-no già scritto. Viene così meno una dimen-sione fondamentale dello scrivere: il piace-re. Se poi è in ballo la poesia, allora quelche conta è il commento, la spiegazionepuramente razionale: non c’è scambio diidee, emozione, ricerca di un significatopersonale da condividere. E soprattutto nonsi devono scrivere poesie per il gusto di far-lo. Questa prospettiva non è affatto in con-trasto con l’esigenza di guidare i ragazzi inun percorso di conoscenza delle regole del-la poesia: la conoscenza del mezzo, la sto-ria del “genere” attraverso le sue struttureè fondamentale. Così come lo è il piacere

Silenzio

Il silenzio che amoè quello che si stagliatra una parola e l’altratra torrente e boscagliaquello di due personeche stringon le maniquello che fan gli uccelliogni sera sui ramiquello che fa la nottequando ti sembra immensaquello d’una tua vogliaimpetuosa ed intesaquello che dalla lineamossa dell’orizzonteavvicina ed allontanala pianura ed il monte.Il silenzio che amoè quello che si stagliatra una parola e l’altratra torrente e boscaglia.Il silenzio che amoè quello che dipanauna parola e l’altrae il silenzio s’allontana.[Giuseppe Pontremoli, in Rabbia Birabbia, Nuo-ve Edizioni Romane, 1991]

È appena uscito il libro di Giuseppe Pontremo-li Ballata per tutto l’anno e altri canti, illustra-zioni di Octavia Monaco, Nuove Edizioni Roma-ne, Roma 2004, pp.65, 14 euro. Si tratta di unomaggio a Giuseppe che oltre alla “Ballata pertutto l’anno” ripropone anche alcune poesie pub-blicate in Rabbia e Birabbia e l’Autoritratto delloscrittore del marzo 1991.

della musicalità della poesia: apprendere po-esie a memoria può essere un appassionan-te viaggio dell’anima al di là delle rime ste-reotipate che ci hanno ossessionato e sucui abbiamo scherzato a lungo.

Aperture

Siamo dunque di fronte ad una questioneemblematica. Qui non è gioco soltanto il“posto” che può avere un aspetto della let-teratura nel curriculum scolastico, ma lostesso senso formativo della scuola. Nonstiamo esagerando: le scuole sono semprepiù anguste, strette e soffocanti. Negazio-ne della creatività da sempre, oggi più chemai distante da ogni formazione globaledella persona, tutta impegnata in una sara-banda di giudizi, in un sabba di tecnicismoimpiegatizio e produttivistico. Il potere delmercato relega la poesia in soffitta. Eppurele parole degli scrittori e dei poeti insegna-no la lingua meglio delle frasi delle schede.Ma il fatto è che i maestri ed i professorianch’essi hanno studiato “male” e chi «parlamale pensa male», come diceva quel regi-sta… Ed allora cerchiamo delle nuove aper-ture. La nostra proposta è di interrogareprima di tutto gli stessi poeti, di coinvol-gerli in un dibattito forse infinito e di chie-dere agli insegnanti di raccontarci cosa fan-no, come lo fanno e dove lo fanno… E ci famale pensare a Giuseppe Pontremoli che nonè più qui con noi a darci lui un segnale, araccontarci una storia, a preparare una sor-presa, lui poeta e maestro insieme, uomo discuola non allineato eppure così radicatonel suo essere “maestro”. A lui è dedicato,ancora, questo tema. ●

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La poesia di fronteall’alunnoWalckiewiczUMBERTO FIORI *

Nel suo romanzo Ferdydurke (1937, Feltri-nelli, 1991) Witold Gombrowicz ci presentauna scenetta scolastica che vale la pena diriportare ampiamente. Protagonista è il pro-fessor Pallore, docente di letteratura: «[…]“Dunque che c’è in programma per oggi?”,disse severamente e dette un’occhiata alprogramma. “Ah! Spiegare e illustrare agliallievi perché Slowacki susciti in noi tantoamore e ammirazione”. (…) “Hm… hm…hm… Perché dunque Slowacki suscita in noitanto amore e ammirazione? Perché, leg-gendo gli arpeggi del meraviglioso poemaIn Svizzera anche noi piangiamo con il poe-ta? (…) Hm… Perché? Perché Slowacki, si-gnori cari, era un grande poeta! Me lo dicalei, Walkiewicz: come mai? Risponda: comemai piangiamo d’amore e di ammirazione,come mai vorremmo correre e volare? Eh,Walkiewicz? Perché? […] Un grande poeta!Tenetelo a mente, è importante. Perché loamiamo? Perché era un grande poeta. Ungrande poeta! Capito, fannulloni, capitoignoranti? Cacciatevelo bene in testa. […]E adesso scrivete un tema per casa: Perchénelle poesie del grande poeta Julius Slowackialberga l’immortale bellezza, suscitatrice ditanta ammirazione?” A questo punto dellalezione uno degli allievi si agitò nervosa-mente e gemette: “E io invece non l’ammi-ro, non l’ammiro per niente! Non mi inte-ressa! Faccio fatica a leggerne due strofe eanche quelle non mi dicono un accidente!Misericordia, come faccio ad ammirarlo senon l’ammiro?” Strabuzzò gli occhi e sedet-te, sprofondato in un baratro senza fondo.

[…] PROFESSORE: “Ma come non l’ammira?Glielo avrò spiegato almeno mille volte, chel’ammira”. WALKIEWICZ: “E io non l’ammi-ro”».I docenti italiani di oggi sono forse un po’meno apodittici del professor Pallore, ma illoro rapporto con la poesia non è – a quan-to mi risulta – molto diverso. Una bella gattada pelare, «sti poeti: che siano importantipare assodato, e dunque – pochi o tanti –bisogna pur “farli”» («che c’è in program-ma per oggi?»); però, che sofferenza. In unromanzo o in un racconto, almeno, c’è latrama, ci sono i personaggi, lo sfondo so-ciale; ma nei versi? Sì: il pessimismo, il fan-ciullino, il male di vivere, la musicalità…Mah. Il dramma del docente italiano medioè che, nel fondo del suo cuore, egli condivi-de da sempre il punto di vista dell’allievoWalkiewicz. Per qualche anno, all’universi-tà, ha dovuto fingere di capire, di ammira-re; poi si è laureato e con la poesia, final-mente, ha chiuso. Si limita a insegnarla.Biografia dell’autore, collocazione storica,stile, poetica, metrica, lessico, metafore. Sullibro di testo c’è tutto; basta ripeterlo, as-segnare qualche esercizio, interrogare, eanche Ungaretti è “fatto”. Così, anche i no-stri Walkiewicz imparano che la poesia è unacosa importantissima e noiosissima, e – aimitazione dei loro docenti – la evitanoappena possono.Contro questo inesplicato disamore si è cer-cato, in passato, di reagire stimolando la“creatività” dei giovani, spingendoli a com-porre filastrocche e anagrammi, a diventa-re – da fruitori passivi – “protagonisti” dellinguaggio poetico. Grazie a una didattica“alternativa” e zuzzurellona, la poesia per-deva ogni aura di serietà, e si rivelava comeun giochetto di parole, dove ogni figlio dimamma poteva eventualmente infilare i suoigabbiani e i suoi tramonti. Perché mai i gio-chetti di parole di Leopardi siano più inte-ressanti di quelli di un altro, restava dachiarire.

Alla sbornia di “creatività” seguirono annidi normalizzazione: Omero fu rimesso al ser-vizio di “obiettivi”, “metodi”, “finalità”. Chisfoglia le antologie in uso nella scuola ita-liana ha l’impressione che Les fleurs du malsiano state commissionate da Zanichelli oPrincipato, per riempire il capitolo sul de-cadentismo o fornire spunti per esercitazionisemiologiche.Che cosa si dovrebbe fare – mi si chiede –per far apprezzare di più la poesia a scuola?Innanzitutto, bisognerebbe farla leggere agliinsegnanti. Fare in modo, voglio dire, chela lettura di versi non si riduca per loro auna stanca pratica professionale, ma diven-ti una buona abitudine, magari una passio-ne, anche fuori dall’ambito scolastico. Soloamandola, comprendendone le ragioni pro-fonde (e le profonde contraddizioni), si puòdavvero “insegnare” la poesia. Per amarla,per comprenderla, non basta avere studiatoi classici; la poesia non è finita con Monta-le: c’è ancora, è qui fra noi, nelle nostrecittà. Accostarsi alla poesia contemporanea(che la maggioranza dei docenti ignora deltutto) è un modo per tornare a riflettere suiproblemi del suo farsi, su quei problemi cheanche i classici (anche loro sono stati vivi)hanno dovuto, nel loro tempo, affrontare.In questa prospettiva si sono mossi, negliultimi anni, alcuni docenti italiani. Al sot-toscritto (come a molti altri autori) è capi-tato sempre più spesso di essere chiamatonelle scuole di ogni ordine e grado, dalleelementari ai licei all’università, per incon-trare gli studenti. Lodare e incoraggiarequeste iniziative potrà sembrare, da partemia, un sintomo di vanità (ai poeti, si sa,piace pavoneggiarsi in pubblico); e tutta-via – mi si creda o no – quegli incontri sonostati ben più di un pretesto per esibirmidavanti a una platea. Sono stati – per mema, credo, per tutti i partecipanti – l’occa-sione per riflettere in modo davvero pococonvenzionale sulla poesia. Quando incon-trano finalmente un autore vivo, lì, in car-

Le parole dei poetia cura di STEFANO VITALE

La poesia è un albero sempreverde che si rinnova e rimane bello,colorato, luccicante. Questo è dovuto anche ai poeti, a chi “fa poesia” e

visto che è di questo che qui ci occupiamo ci è sembrato importantedomandare loro cosa ne pensano della poesia a scuola. Così abbiamo

formulato una domanda: «In tutti gli ordini e gradi di scuola la poesiaresta piuttosto in ombra. Che cosa si dovrebbe fare, secondo voi, per farapprezzare di più la poesia a scuola? Che cosa fare perché diventi uno

studio ed una pratica quotidiana?». Ecco alcune risposte.I testi completi ricevuti sono disponibili sul sito di école

[www.scuolacomo.com/ecole]

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ne e ossa, soprattutto se si tratta di unautore non incluso nelle loro antologie, nonprotetto dalla fama, i ragazzi riescono a ti-rar fuori le domande che di solito rimuovo-no. «Perché si va a capo? Come si fa a deci-dere che bisogna andare a capo?», mi han-no chiesto degli alunni di seconda elemen-tare. Ecco una bella domanda. Una doman-da difficilissima, che mette in gioco tutto.Rispondere significa andare alle radici delfare poetico, tornare a interrogarsi su coseche fingiamo siano ovvie, e che non lo sonoper niente. Dagli studenti di un Itis mi sonoarrivate osservazioni analitiche sui miei te-sti (scelte lessicali, compositive, uso delleimmagini, ecc.) che nessun critico si pren-derebbe mai la briga di fare. Messi di fronteal signore brizzolato che ha scritto la poe-sia, i ragazzi gliene chiedono conto, puntoper punto. Può capitare che ti lodino (sonole lodi più emozionanti, e imbarazzanti), manon hanno problemi a dirti in faccia che que-sto verso non li convince, che quella frasenon gli è chiara. I loro giudizi sono a volteingenui, ma quasi sempre vanno al cuore dellequestioni. Nel bene o nel male, ti prendonosul serio. Pretendono, giustamente, che turisponda di quello che hai scritto, e di comelo hai scritto. Vedono con i loro occhi che lapoesia non è solo una paginetta da studiare:è radicata in una persona, nella sua vita, nelsuo stare al mondo.Gli incontri con i poeti non bastano, certo, a“far apprezzare la poesia”; si tratta di inter-venire sull’approccio quotidiano con i testi,di migliorarlo. Si tratta innanzitutto – se-condo me – di eliminare, o di ridurre al mini-mo, quella crosta storicistico-didattico-let-teraria che lo studente deve faticosamenteattraversare prima di raggiungere il testopoetico. Lo so, ci sono autori che è difficilecapire (o anche soltanto leggere) senza unapparato critico; anche in questi casi, co-munque, bisognerebbe evitare che l’appa-rato prendesse il posto della poesia. Meglio– secondo me – partire direttamente daltesto, per poi fornire le spiegazioni neces-sarie a superare le difficoltà di lettura e diinterpretazione, man mano che emergono.Lasciare che siano gli alunni a identificarle,a chiedere chiarimenti. Per capire, bisognaprima non capire. Oltre a quelli “in program-ma”, sarebbe utile offrire ai ragazzi unamolteplicità di testi, tra i quali ognuno diloro possa scegliere quelli che gli “parlano”di più, e lasciare tranquillamente da partegli altri. «Molte letture, molte libere lettureliberamente commentate», raccomandavaPasolini in un intervento sulla scuola, tantianni fa. La libertà mi sembra la chiave ditutto. Solo un lettore libero può amare lapoesia. Forse non la amerà subito, ma traqualche anno; forse non amerà questo te-sto, ma un altro. È certo, però, che un let-tore non libero, un alunno del professorPallore, la detesterà per sempre. ●

* Insegnante, ha fatto parte negli anni ’70 delgruppo rock degli Stormy Six. Ha pubblicato,presso Marco Y Marcos, Esempi (1992), Chiari-menti (1995), Parlare al muro (1996), Tutti(1998) e La bella vista (2002).

Coltivarela memoriaELIO PECORA *

Ci sono classi di ginnasi e di licei che, a mar-zo, non hanno ancora letto un solo verso ecominciano leggiucchiando Il Cantico dellecreature di Francesco d’Assisi o I fiumi diUngaretti. Sottolineo il leggiucchiare perché,delegando ogni possibile lettura e interpre-tazione ai libri di testo, gli insegnanti si per-dono in una ridda di analisi strutturali e lin-guistiche e in una serie di esercizi, se noncapziosi almeno terziari, trascurando la di-retta partecipe lettura del componimento.Così il sonetto dantesco, la canzone leopar-diana, il mottetto di Montale, già assediatida pagine e pagine di commenti e delucida-zioni e confronti, finiscono ammutiti e az-zoppati. Ne risulta che un’opera di poesianon “parla”, non “commuove” nel senso di“muovere dentro”, se non grazie a quello cheancora osiamo chiamare “sottotesto”. (Già,in anni lontani, Eugenio Montale lamentavache, nelle nostre università e anche dopo, lalettura della poesia si limitava ormai al sot-totesto).Appartengo a una generazione che, nellescuole elementari e ancora nelle medie, co-nosceva la poesia anzitutto mandandone itesti a memoria. Un patrimonio mai perduto.Il verso s’incastra nella mente e nel cuorerivelando, di giorno in giorno, di anno inanno, valori ritmici, forza espressiva, molte-plicità di interpretazioni. Si vada per scuoleelementari e si lasci leggere ai bambini –come a me è accaduto – poesie scelte diMontale, di Sbarbaro, della Pozzi, senza ri-piegare sul gioco di rime e sulla filastrocca.Si lasci leggere ad alta voce, uno scolaro dopol’altro, l’intera classe, si proceda sollecitan-do risposte sul significato delle parole, sullaloro posizione nel verso, sulla loro sonorità,sul loro colore. I piccoli mostreranno di in-tendere molto di quel testo, ne sentiranno lavicinanza, scioglieranno i loro pensieri, da-ranno parole alle loro paure, ai loro desideri.La poesia, lo sappiamo, non addita vie disalvezza, non dà precetti, ma accresce la ca-pacità di vedere e di sentire, dà voce a quelche credevamo inesprimibile.Perché diventi uno studio o una pratica quo-tidiana la poesia abbisogna solo di esserefrequentata e goduta come un bene durevo-le. Insomma va letta e, dove prende e trat-tiene – e questo viene dallo studio che non èimposizione e costrizione, ma solo e sempreattenzione e affezione – va riletta e posse-duta. Essa diventa nostra nel momento incui ci lasciamo prendere e condurre in unaltrove che non conoscevamo e che possia-mo finalmente vedere e misurare. È un viag-gio il comprendere e anche per la poesia ènecessario un cammino ché, prima delle ese-gesi e dei commenti, essa si concede a chi sene innamora, e nell’amore si dimentica e siritrova. E se nelle scuole si provasse, almeno

nelle scuole che precedono le superiori, adadottare antologie che accolgano scelte dipoesie prive di commenti? Nell’Italia del pri-mo Novecento ne compilò una Giovanni Pa-scoli, s’intitolava Fior da fiore; ne esiste unadi poesia francese, altrettanto nuda e pre-ziosa, di Gide. I due poeti avevano ancorafiducia nella poesia come espressione auto-noma. Chi ha paura di lasciare che la poesiaraggiunga da sola il suo lettore e questi l’ac-colga come un nutrimento e un dono? ●

* Autore di sette libri di poesia, curatore del-l’opera postuma di Sandro Penna. Ricordiamolasua antologia di poesia del ‘900 La strada delleparole (Mondadori, 2003) per avvicinare i ra-gazzi alla poesia.

LinguaggiGIORGIO LUZZI *

Esiste un problema-chiave ogni volta chesorga il discorso attorno alla salvezza delgenere poesia in una società di immagini edi riduzioni violenta del linguistico. Il pro-blema riguarda lo slittamento vero la bana-lizzazione dei connotati identitari del gene-re; senza questi connotati differenziali il ge-nere infatti è destinato a essere inghiottitoda altre forme pervasive della comunicazio-ne. C’è una certa tendenza a rincorrere versoil basso la riconoscibilità del testo, appli-cando la qualifica di poesia a modelli lingui-stici sempre più elementari. In questo modosi garantisce nominalmente la permanenzadi canali di fruizione, ma si accetta di riem-pirli di letteratura scadente. Si baratta unacerta “popolarità” con la superficialità, uneffimero interesse per il genere con la sven-dita della sua tradizione (conoscitiva, antro-pologica, emotiva, rituale, ecc.).Credo che i criteri di valore da attribuire adun testo poetico non debbano identificarsicon quelli che presiedono alle attese espres-sive di altri fenomeni di comunicazione dimassa. Irriducibilmente democratico in poli-tica, mi definisco aristocratico in letteratu-ra: solo il testo complesso, elaborato, pe-sante e difficile è in grado di restituire al-l’urto di confronto con i generi dell’effimero,di imprimersi lentamente nella memoria col-lettiva, di produrre cultura alternativa. Sefossi un docente lavorerei a lungo su questiprincipi, sulla loro specificità, cercando didimostrare che la conoscenza più gratifican-te è quella che affronta il difficile e ne vienepremiata. Questo, d’altra parte, vale per tut-te le materie; perché non dovrebbe valereper la poesia? Forse che un teorema di trigo-nometria è un intrattenimento, una tradu-zione da Tacito è uno svago? E ciò significainfine separare i famosi interessi editorialidal giudizio di valore, demistificare il circui-to perverso che vorrebbe far coincidere valo-re e mercato: ottimo esercizio di critica so-ciale e di addestramento alla politica, a par-tire dalla poesia. Fossi un docente insegne-

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rei soprattutto a prendere interesse per lapolitica della poesia a partire da questi aspettidella sua esistenza. ●

* Poeta (Predario, Marsilio, 1997 e Talìa per pie-tà, Scheiwiller, 2003); Saggista (studi su Sere-ni, Turoldo, Zanzotto); pubblicista letterario(scrive su Poesia, Immaginazione, L’Indice); tra-duttore di poeti in lingua francese e tedesca.

Cosa insegnala scuola?ROBERTO BERTOLDO *

Si domanda «In tutti gli ordini e gradi discuola la poesia resta piuttosto in ombra.Che cosa si dovrebbe fare, secondo voi, perfar apprezzare di più la poesia a scuola? Checosa fare perché diventi uno studio e unapratica quotidiana?». Le due interessantidomande sono in contrasto tra loro. Se lapoesia diventasse uno studio ed una prati-ca quotidiana, verrebbe apprezzata ancorameno. È costitutiva dell’arte l’indipenden-za, che si esprime tra l’altro, almeno nelsuo aspetto creativo, nell’inusualità, nell’in-teriorità e nella libertà.Nel novanta per cento dei casi gli studentinon sanno riconoscere alla scuola il suo va-lore culturale o non accettano il suo ruoloeuristico. Ciò che la scuola propone viene daloro visto con fastidio, come un dovere, in-dipendentemente dalle capacità dell’inse-gnante. Ho visto ottimi insegnanti, prepara-ti, propositivi, duttili, fallire a breve terminee raccogliere risultati formativi negli studentipiù validi solo qualche anno dopo la scuola.Soltanto allievi dotati, da sé, di una sensi-bilità fuori dal comune sono in grado di ac-quisire un rapporto formativo con quantosvolgono, ma a questi allievi non occorronoinsegnanti che li incoraggino in tal senso,essi leggono e scrivono senza bisogno diguide. Tutt’al più la scuola può danneggiar-li. Scriveva Kafka: «Non si impara la vitadel marinaio con esercitazioni in una poz-zanghera, ma con troppo allenamento nellapozzanghera si può diventare incapaci difare il marinaio».Le esercitazioni, esegetiche e creative, sonosempre dannose. È sul campo che si diventasoldati, oserei dire che se ne ha da sé la vo-cazione. E poi perché – mi riferisco alla vo-stra premessa alla domanda – coltivare poetifasulli? Non ce ne sono già troppi di pseudo-poeti impudici e arrivisti, snob, egotisti?Volete che essi, con il loro esempio, insegni-no ai nostri ragazzi che in fondo fare le veli-ne e fare i poeti è la stessa cosa? Ricordocome Leopardi ironizzava sui poetucoli cheamano leggere i propri versi ad un uditorioannoiato, trovando in questo un piacere, unpo’ sadico a dire il vero, fine a se stesso.Parlo da scrittore: uno scrittore è un medio-cre se non fa della propria malattia una stra-da verso la bellezza e la giustizia.

L’amore per la poesia, per la scrittura, in ge-nere per l’arte, da praticante o da fruitoreche sia, nasce in sé e il tenere nel cassetto,quando si è ragazzi, “le proprie composizio-ni poetiche” è il miglior modo per restareumili e sviluppare, come voi dite, “la propriaeducazione etica, estetica e culturale” in luo-go della propria malriposta ambizione e au-toconsiderazione.Chi conosce lo stimolo vero della creazioneartistica sa che la scuola non può insegnaread essere scrittori, e non ha certo strada fa-cile per insegnare ad essere lettori.Come insegnante, i soli risultati un po’ vali-di, riguardo la poesia, li ho ottenuti quandoho fatto leggere non alcune poesie ma unlibro intero di autore vivente; la successivafase, di ricerca del significato concettuale edemotivo dei testi mediante analisi, discus-sioni e sininterpretazioni è stata avvaloratadall’incontro finale con l’autore al quale sonostati richiesti dei chiarimenti circa il signifi-cato dei suoi testi. L’autore, le poche volteche ha compreso umilmente la funzione delnostro lavoro, è stato di grande aiuto e, sod-disfacendo le richieste, ha permesso di capi-re che lo scrittore è uno di noi verso il qualedobbiamo lo stesso rispetto non veneranteche si deve verso qualsiasi essere umano. Ascuola, dal rispetto per la letteratura nasceil rispetto per le persone; imparare ad ascol-tare le idee e le emozioni è un modo perimparare ad ascoltare il prossimo, con le sueesigenze intellettuali ed affettive. ●

* Insegnante e direttore della rivista inter-nazionale Hebenon. Ha scritto libri di poe-sia, narrativa e filosofia. Tra i romanzi ricor-diamo Il Lucifero di Wittenberg (Asefi-Terzia-riaria, Milano 1998) e Anche gli ebrei sonocattivi (Marsilio, Venezia 2002); tra i libri dipoesia Il calvario della gru e La vita felice(Bordighera Press, New York 2003).

La poesia è unapersona vivaMASSIMO MORASSO *

Come tutte le forme di artigianato, la poesiapresuppone un’esperienza indisgiungibiledalla persona fisica che in quell’esperienza,appunto, nell’atto/ fatto che dà conto di unapercezione di qualità, decide di un mondo edella sua rappresentazione. Per questo so-prattutto, mi pare, la poesia a scuola non habisogno, in fondo, che dei poeti – della loropresenza, intendo, del loro semplice esserelì, a scuola, visiting poets in carne ed ossaprima e al di là di qualsiasi testimonianzascritta mediata dai docenti. Per apprezzarein modo significativo, letteralmente memo-rabile, il senso radicalmente politico e, dun-que, condivisibile del “fare poesia” non c’è,mi sembra, miglior mezzo di un poeta: diuna persona viva e vegeta, non necessaria-mente accolta nel “Parnaso” delle antologie,

che partecipa dello stesso destino storico deibambini/ adolescenti/ ragazzi con cui è chia-mato a dialogare, interrogandosi, dal livellodi consapevolezza linguistica che gli è pro-prio, sulle medesime questioni che assillanochiunque, bimbi/adolescenti/ragazzi, docentie, va da sé, poeti.Confido nell’idea che i poeti bravi (o i poetiveri, ma è lo stesso?) a scuola ci verrebberoanche gratis, non solo a fare gli ospiti d’ono-re “incapsulati” dentro a dei laboratori dipoesia, ma, più semplicemente, voglio cre-dere, come potrebbero venirci dei genitori, odegli zii, o dei nonni desiderosi di racconta-re una storia: quella storia (non solo) inte-riore che è di tutti, e che ha bisogno, però,di qualcuno che continui a dirla anche pergli altri con furore ed esattezza. ●

* Scrittore e poeta, è nato a Genova dove vivee lavora come promotore culturale. È coordina-tore organizzativo del “Festival della Scienza”.Ha scritto La leggenda della primavera (L’Obli-quo). Il libro di versi Le poesie di Vivian Leigh èin uscita per Marietti.

Lo spaziodella creativitàCARLA BERTOLA e ALBERTO VITACCHIO *

Partiamo da una esperienza di alcuni anni dilaboratorio di scrittura di poesia nella Scuo-la Media “Palazzeschi” di Torino. Si utilizza-vano le tecniche di Koch poi, certamente, sifaceva ricorso alla propria immaginazione edesperienza ma, sopra ogni cosa, si liberaval’enorme creatività dei ragazzi che è semprea portata di mano anche se spesso masche-rata o sopita. Il trucco è fare scoprire che illinguaggio è gioco stupendo che va oltre leregole comuni, la grammatica, le letture sco-lastiche, ma anche oltre il linguaggio dellatelevisione che è facile smontare in tutta lasua povertà. Fatti cadere i lustrini del ba-nale i ragazzi scoprono di avere in loro stessiben altre ricchezze e colori. Si tratta di gio-care con loro, di fornire pretesti, rompereschemi, procedere per lampi improvvisi eseguire i loro percorsi, le loro intuizioni. Siscoprono così ragazzi (e molto di più ra-gazze) che inventano parole, che sperimen-tano arditi legami lessicali. Si scoprono quasisempre ragazzi che già scrivono. Si trattadi lasciali liberi e di minimizzare gli strappieventuali a regole lessicali, di offrire lorostimoli di scrittura poetica, di farli leggerad alta voce le loro poesie, di renderli felicied orgogliosi delle loro avventure nel lin-guaggio, di presentarle agli altri. Per ragio-ni di percorso personale abbiamo portatosempre molto avanti l’utilizzo delle vocali-tà, facendo scoprire sperimentazioni, poe-sia sonora e poesia concreta. I ragazzi han-no incontrato poeti e ascoltato testi e regi-strazioni di poesia contemporanea.In sostanza si tratta di una operazione di

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esplorazione fatta con i ragazzi sfruttandoproprie capacità e piccole astuzie tecnichefacilmente utilizzabili da un qualsiasi inse-gnante. La posta in gioco è molto alta, èquella di “fare poesia”, di fare vagare i ra-gazzi nell’immenso spazio della creatività,nel fare comprendere che scrivere in modocreativo è alla portata di tutti e che sì, qual-cuno poi forse continuerà e si affinerà eforse vorrà diventare poeta. ●

* Poeti lineari, sonori, visivi. Insegnanti, au-tori di saggi ed interventi presso numerose ri-viste (Risvolti, Letterature, Altri termini).

La musica che stanella poesiaEMILIO JONA *

Giorgio Caproni un tempo faceva il maestrodi scuola, e insegnando in una classe di tro-vatelli, altra cosa rispetto a bambini conmadri e padri, ebbe a scrivere: «Erano ostilie soffrivano di essere diversi, li trattavo dapari, leggevo loro poesie e facevo ascoltaremusica… Avevo girato per le scuole roma-ne a leggere poesie». Per comunicare, dun-que, la poesia insieme alla musica. La musi-ca che sta nella poesia: ritmo, cadenze, suo-ni, altezza delle parole. Se poi ai poeti fos-se imposto di andare a leggere poesie nellescuole, sarebbe un buon esercizio pedago-gico anche per loro.Poi la poesia dovrebbe esser sfogliata, nellesue stratificazioni, nelle sue sincronie e dia-cronie, nei suoi vari livelli di comunicazione:immediato, nascosto, traslato. E qui sta moltonell’intelligenza e nell’arte di chi la sfogliaper creare la disponibilità di chi l’ascolta.Non la vedo però come una pratica quoti-diana, perché la poesia è una cosa che faargine contro lo sperpero della parola, chela trasforma, la illumina, le crea un’auraintorno. Non è come un romanzo che si leg-ge dal principio alla fine, la poesia può re-stare come in ombra o una traccia ed esserepreziosa. Ed è anche bene che sia appresaripetendola, perché estende la memoria el’immaginazione. Ma è difficile dare ricettepedagogiche; per quanto mi riguarda non èla scuola che mi ha avvicinato alla poesia,ma mio padre e la lettura in solitudine diquelle pagine dove il nero della parola gio-ca con l’a capo, cioè con il bianco, il silen-zio, dell’inespresso e del possibile. ●

* Poeta (Tempo di vivere, Mondadori, 1994; Lacattura dello splendore, Scheiwiller, 1998),scrittore (L’aringa”, Scheiwiller, 1994), dram-maturgo (L’ingiustizia assoluta, Guaraldi, 1977),studioso di cultura popolare (Canti degli ope-rai torinesi dalla fine dell’800 agli anni del fa-scismo, Ricordi-Unicopli, 1990). È stato unodei fondatori di Cantacronache, è redattoredella rivista di studi ebraici Ha Keillah (La co-munità), di professione fa l’avvocato.

La poesia ovunqueGIUSEPPE PANELLA

Forme di comunicazione condivisa

«È immensamente importante che si scrivano grandi poesie, ma non fa alcuna differenzachi le scrive» [Ezra Pound]

Oggi la poesia sembra condannata a morte dall’impatto con un linguaggio comune(quello che Pasolini, sulla scia dell’insegnamento di Leo Spitzer, chiamava «la lingua dellakoiné») che esclude drasticamente ogni forma di elaborazione linguistica che non vada aldi là della pura comunicazione di fatti o di sensazioni elementari: inoltre, oggi più chenegli anni Sessanta in cui Pasolini elaborava le sue analisi linguistiche sull’argomento,l’utilizzazione spuria e indebita di lingue straniere tradotte approssimativamente o tra-piantate sic et simpliciter nel corpo del linguaggio comunemente parlato rende l’ascoltodella parola parlata un’esperienza definitivamente allucinante. Il caso dell’”informatichese”,linguaggio inesistente “in natura” e singolare ibrido di gergo tecnico incomprensibile e diespressioni rese in maniera inadeguata dai tecnici del ramo, è davanti alle orecchie di tutti.Eppure, nonostante l’infame commercio della lingua con ciò che ad esso dovrebbe sovrana-mente ripugnare, la parola della poesia non è mai sembrata nutrire ottima salute come inquesto periodo storico. Tutto questo accade non certo per merito dei grandi editori “stori-ci” del Paese (che hanno anzi assai rarefatto le loro uscite nel settore specifico) e noncerto per virtù dei circa tremila volumi, volumetti e plaquettes di poesia che si pubblicanoogni anno in Italia (e si tratterebbe di una cifra approssimata per difetto). Nonostantequesto – si verrebbe tentati di dire – la poesia è un’esperienza sempre più diffusa e semprediventa patrimonio comune. Come mai accade questo? Da un lato sono progressivamenteaumentate le scuole di scrittura creativa (di cui già quattro o cinque anni fa rendeva contola rivista Panta, elencandone diverse decine distribuite in tutto il territorio nazionale),dall’altro ci sono libri di poesie (tra cui misteriosamente spicca l’Oscar Miti dedicato aZanzotto che ha venduto cinquemila copie) che hanno avuto successo alla pari di libri dinarrativa o di pettegolezzi sugli effimeri personaggi televisivi. Il fatto è che la poesiasembra rafforzare le proprie ragioni di essere proprio a contatto e in confronto con ciò chesembrerebbe doverla uccidere. Ma la poesia – alla pari del superuomo di Nietzsche – sembratrovare la propria forza attraverso lo scontro con ciò che dovrebbe maggiormente nuocerle.

Tra tradizione e innovazione linguistica

Le scuole di scrittura creativa hanno fatto lievitare il numero di coloro che scrivono (e nondi quelli che leggono, ma tant’è!): tra i partecipanti a queste esperienze non sempreesaltanti, il linguaggio della poesia ha trovato cultori interessati non solo al suo valorestorico e accademico ma anche alle sue possibilità di comunicazione. Inoltre la necessitàdi scrivere in maniera letterariamente elaborata impedisce l’abuso di quelle espressionidevastanti cui si faceva riferimento prima in chi si attenda un riscontro critico dalle proprie“secrezioni” letterarie. Dall’altro l’impatto della comunicazione poetica con le nuove formedel sapere tecnologico (i computer, ad esempio) non ha creato soltanto i danni micidialialla lingua della koiné (cui si accennava prima). Ha prodotto fin dagli anni Sessanta delleprospettive di contaminazione tra i linguaggi che hanno avuto esiti non indifferenti disvecchiamento del lessico poetico tradizionale di ispirazione lirico-petrarchistica (non èqui possibile che accennare alla straordinaria funzione assunta in questo processo fin daglianni ruggenti del Gruppo ’63, in particolare Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini e AlbertoArbasino). L’uso della logica combinatoria derivata dall’algebra booleana come pure la “de-contaminazione ideologica” del linguaggio dei media rappresentano, infatti, uno dei mi-gliori risultati dell’”azione poetica” di un autore come Balestrini (si pensi alla sua raccolta“multipla”, compilata da un computer IBM Ma noi facciamone un’altra del 1968). Di conse-guenza, la poesia come pratica letteraria perde le sue caratteristiche finora predominantidi linguaggio chiuso e destinato ad un’èlite portatrice esclusiva dei suoi valori per aprirsi almondo della comunicazione delle espressioni e dei sentimenti traducibili in parole. Inbuona sostanza, la poesia rappresenta nell’epoca di Internet una sorta di patrimonio comu-ne che eredita le sue parole dal passato e le proietta in una dimensione di comunicazionea largo raggio. Una forma di raccordo tra tradizione e innovazione linguistica che è interes-se di tutti non distruggere né disperdere. ●

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La poesia è una ricercaMARISA NOTARNICOLA

Su Kenneth Koch

Il mio incontro con Kenneth Koch risale agli anni ’80 quando lessi il suo libro Desideri,sogni e bugie, una testimonianza ancora oggi valida ed attualissima di scuola attiva.Poeta, saggista e romanziere aveva insegnato ai bambini della scuola elementare di alcunecittà del Nordamerica e successivamente in Europa a “fare poesia”.La sua sfida era quella di condurli a comporre versi e a sviluppare in loro un’attitudine allacreatività. I risultati a cui la sua esperienza portò fu un atteggiamento nuovo e liberatoverso la poesia, considerata uno dei mezzi espressivi più significativi per educare il gusto,la sensibilità, avvicinarli in modo piacevole ai grandi autori ed accompagnarli nel lorocammino alla ricerca del proprio sé.Di molte altre cose dobbiamo essergli grati e soprattutto di aver sgombrato il campo daipregiudizi in fatto di poesia considerata patrimonio di pochi che possiedono cultura etalento poetico e di aver sostenuto invece che tutti possono comporre versi nelle formepiù semplici, allo stesso modo in cui si asseconda qualunque forma espressiva: pittura,disegno, canto, musica che sia, a prescindere dal fatto che, successivamente, si possacoltivarne qualcuna più a fondo se diventa passione e ragione di vita.Ma quale il modo di avvicinare i bambini alla poesia? Per lui una maniera semplice eraquella di introdurre un tema che a loro piaceva e poi procedere, nelle fase iniziale dellavoro, a far comporre una poesia collettiva in cui ognuno contribuiva con un verso, inciascuno dei quali una parola ripetuta all’inizio, scandiva il ritmo e conferiva alla poesiaunità di contenuto. Attraverso il “fare poesia” essi si appropriavano delle parole, scopri-vano nuovi significati che rigeneravano il linguaggio quotidiano riproponendolo in modiinusuali di dire le cose. Kenneth Koch, nel rivolgersi ai suoi piccoli amici, abbandonòanche il linguaggio della scuola, non più termini come “esercizi, lezioni, materie” magioco divertente in modo che “il fare poesia” apparisse loro come qualcosa di interessan-te e stimolante e fosse svolto in un tempo meno incalzante, più disteso, più in sintoniacon i loro ritmi interni.Riusciva a creare in classe un’atmosfera particolare, lasciava che i bambini si influenzas-sero reciprocamente mentre scrivevano versi, si imitassero, si prendessero in giro, men-tre l’idea di qualcuno poteva diventare tanto irresistibile che anche altri se ne appropria-vano e volevano usarla.Ogni bambino nel seguire il filo della propria immaginazione e delle proprie fantastiche-rie trovava il modo per esprimere parole dense di emozioni, di sentimenti, di stuporeverso dimensioni inesplorate. Per Bachelard lo stato di queste fantasticherie o rêveries,come lui le chiama, è una sorta di stato trasognato in cui il proprio essere gode di unalibertà simile a quella del sogno e tutti i sensi si destano e si armonizzano e le paroleuscite dal loro torpore acquistano la forza delle immagini, abbandonano il loro normalesignificato, come un carico troppo pesante e affermano il loro diritto di essere giovani.«Come si può – egli dice – scrivere versi senza fantasticare? Ciascuno provi a sognare, a“covare ” una parola tra le più familiari e vedrà lo sbocciare inatteso e più raro dellaparola che dormiva nel suo significato inerte, come un fossile di significati» (p. 25, Lapoetica della rêverie, Dedalo, Bari 1972).Per stimolare i bambini a comporre versi, Koch li coinvolgeva con tematiche vicine allaloro esperienza e realtà: colori, rumori, desideri, sogni, bugie, segreti ed altro ancora e sirivolgeva loro con un linguaggio semplice, colloquiale vicino alle loro parole. Mai usavatermini tratti dalla retorica, mai si serviva della rima considerata da lui troppo costrittivaed imbrigliante.Li trattava come se fossero veri poeti, li prendeva sul serio e ciò gli permetteva diincoraggiarli, di incitarli come se fosse un loro ammiratore e collaboratore, non li ripren-deva per i loro errori, desiderava piuttosto che corressero dietro ad una associazione, adun’idea nascente che poteva aprire scorci di paesaggi inattesi. Koch avvicinava i bambinialla poesia dei grandi autori e, prendendo spunto dai contenuti delle loro composizioni,ne faceva rilevare i sentimenti che davano forza ai loro versi e le emozioni che suscitava-no e, domandando loro se, incerte situazioni, avevano provato le stesse cose, li invitavaa scrivere e a trasferirle nei loro versi.Li leggeva ad alta voce, apprezzandone il tono diretto ed aperto o lodandone il caratteredi levità, quasi che prefigurassero quella “leggerezza” della scrittura di cui parlava Calvi-no nelle sue Lezioni americane frutto di faticosa conquista da parte di scrittori e poeti. ●

Attenzioneal potenziale!BRUNELLA ERULI *

Quando il gioco si faserio…

Cosa significa questo titolo? La que-stione non è semplice. Forse potrebbe volerdire, come aveva avvertito Georger Perecnella sua La vita: istruzioni per l’uso, di aprirebene gli occhi e di guardare con tutta l’at-tenzione possibile. Cosa? Il potenziale.L’attenzione per il potenziale si traduce conlo sguardo creativo posato sulle cose, sen-za fermarsi alla loro provvisoria ingannevo-le scorza “reale”. Vedere la realtà, insom-ma, non significa accettare l’aspetto con ilquale essa si mostra o ci appare. Torno alpunto di partenza: cos’è il “potenziale”?Si potrebbe dire: il “potenziale” è la dina-mica di ciò che ancora non esiste. Si trattadi cogliere i movimenti, le possibilità cheportano alla comparsa di un avvenimento.Un momento di grandi possibilità, in cuitutto può essere inventato… Tutti i feno-meni della vita sono traversati e legato traloro da una componente ludica accompa-gnata e sostenuta da una inflessibile curio-sità scientifica.Ecco quindi che il gioco non è più qualcosadi frivolo, un riempitivo, ma un momentograve e delicato: di fatto il gioco diventa ilcomune denominatore tra letteratura, artifigurative e scienze esatte. Cioè tra la paro-la e il segno, tra il segno ed il senso. Ed èin questo spazio di invenzione, passione,ricerca dell’autentico, dell’individuale e delnuovo che la poesia trova il luogo del suoessere. Jarry diceva che i giochi di parolenon sono mai semplici giochi. Quando sitocca il linguaggio, la comunicazione si toc-ca anche l’immagine della realtà.Raymond Queneau, Georges Perece, ItaloCalvino hanno fatto parte di questa schieradi esploratori-autori simbolo di una lette-ratura capace di pensare i problemi esisten-ziali sotto forme disinvolte o feriali solo inapparenza. Quest’atteggiamento ironico neiconfronti della letteratura, di se stessi e delproprio essere artisti è causa ed effetto dellaloro appartenenza o vicinanza all’”Oulipo”(gruppo letterario fondato nel 1960 da Que-neau e Le Lionnais, ancora oggi molto atti-vo). L’idea di base sta nella ricerca di strut-ture generatrici di testi letterari attraversol’uso di contraintes, restrizioni.

Restrizioni

Ma cosa è una “restrizione”? Le leggi scelteautonomamente dall’autore a cui un testo

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Del vento che s’insinua[cosa dicono gli insegnanti della poesia a scuola]

Del vento che s’insinuadentro ad ogni fessurati dico che non devinon devi aver paura,vuole solo giocarefar sentire il suo cantotrasformare il consuetoin un magico incanto.

[Giuseppe Pontremoli, da Rabbia, Birabbia, 1991]

Partiamo dagli ambienti di elaborazione elettronica ditesti.Non sento la pressione della penna sulla carta bianca, non lasciouna vischiosa traccia di inchiostro colorato, non stringo tra ledita una stilo a rappresentare segni muti per parole, suoni eritmi.Compio leggere pressioni su tasti e compaiono segni netti epuliti su uno schermo di luce.La materialità dello scrivere sembra aver fatto un passo indietroma la materialità dello scritto acquista nuovo valore. Èsoprattutto una materialità del testo giocata sul suo esseremanipolabile. È una materialità virtuale, piccoli gesti con dita emouse a guidare un cursore, ad eseguire nuove antiche procedure(selezionare, annerire, cliccare, trascinare, incollare, …). Ma unanuova forza nella testa, una serie di protesi mentali per costruireoperazioni di manipolabilità cognitiva. È come se la parolascritta, divenendo digitale, acquistasse duttilità.Una serie di facilitatori operativi per la fantasia e la creatività.Tutto ciò apre ad una serie di percorsi di esplorazione poetica,tralasciando volutamente la facilitazione che un wordprocessorpuò dare nel processo di scrittura-riscrittura.Senza pregiudizio e falso pudore arte e tecnica, creatività eelaborazione metodica, fantasia e ripetitività nelle prossime righedisputano alla pari nel rapporto fra la poesia antica di decine disecoli e l’informatica antica di decine di anni. Ma dice beneWoody Allen: «Io credo che le nuove tecnologie offrano grandiopportunità ma nascondano anche grandi pericoli. Il trucco stanel cogliere le opportunità, evitare i pericoli e tornare a casa perl’ora di cena».

Software

Tra i numerosi software a disposizione per la scrittura creativa, neillustro brevemente alcuni soprattutto per dare un’idea dellepotenzialità e convinto che sono ausili, soprattutto nelladidattica, e non certo sostituti dell’inventiva.About Masterwriter [http://www.masterwriter.com/] è unostrumento per scrivere canzoni ed è composto da un rimario conoltre 100.000 entrate, un dizionario con 35.000 termini, modi didire e frasi, un dizionario di allitterazioni ed un tesauro, undatabase per conservare in modo ordinato e facilmenteconsultabile le liriche prodotte, il tutto integrato con uncompleto wordprocessor.Con Icon Poet [http://www.iconpoet.com/] si possono produrrepoesie semplicemente ciccando su differenti categorie di parole.È sufficiente avere la nozione di che cosa siano nomi, verbi eaggettivi e le frasi si generano automaticamente. Il vocabolario

ubbidisce per esprimere le ragioni del suoesistere quanto più sono complesse, tantopiù sono portatrici di senso e tanto più iltesto finale risulterà interessante. Il pro-cesso, il gioco mentale che ha generato taleprocesso ha la stessa valenza espressiva,poetica del testo finale scritto.Questa tessitura di significati sottostantinon è visibile o non è comunicata al lettoree rappresenta la molla segreta della costru-zione che esprime quel complesso atteggia-mento creativo che faceva dire a Duchamp«L’arte è un atteggiamento». Non ricerca delrisultato o della moda o del consenso.Un esempio: ne La diparition Pereec non usamai la vocale “e”. si tratta solo di una stra-ordinaria performance? Di un modo per com-plicarsi la vita? Se pensiamo che la lettera“e” è il risultato fonetico di “eux” e che“loro” sono i genitori travolti dall’olocau-sto, la “disparition” delle “e” parla dellascomparsa assurda, della perdita delle ori-gini. E non si può non ricordare Queneauche affermò che era molto più libero un tra-gico greco che applicava regole (unità ditempo, luogo e azione) a lui perfettamentenote, piuttosto che l’artista che pensava diessere libero perché applicava regole cheignora. La visione della letteratura e del-l’arte raggiunta attraverso la moltiplicazio-ne di regole non è certo nuova: da Arcim-boldo a Leonardo, da Dante ai poeti giap-ponesi di haiku il filo è lungo e solido. Glioulipisti hanno dato di sé una bella defini-zione: topi che pretendono di uscire dal la-birinto che hanno costruito essi stessi. Cifa capire perché è interessante costruire dasoli delle regole piuttosto che seguire quel-le che vengono proposte già confezionate.Questo atteggiamento ci pone di fronte alproblema della regola. Qui, nella poesia, difronte alla confusione del mondo si opponeun universo costruito secondo altre regole,provvisorie, che durano il tempo di un gio-co che non è un divertimento fine a se stes-so, ma una costruzione tenacemente volu-ta, magari fragile, ma senza dubbio primadi tutto una sfida con se stessi. ●

* Università degli Stranieri (Siena), fa parte delgruppo “Oplepo” (Opificio Letteratura Poten-ziale).

Poesiaelettronica?GIANCARLO ALBERTINI

Se la poesia è manipolazionecreativa di parole e significati, la scritturadigitale e gli strumenti informaticidisponibili nel web sono buoni ambienti dipratica educativa per insegnare la scritturadel testo poetico a scuola

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interno può essere arricchito con le proprie parole fino a divenireil serbatoio di termini con i quali la nostra fantasia generalmentelavora. Si avvia così un processo creativo che, se certo nontermina con gli automatismi elettronici, può essere una base dilavoro creativo.Power Structure [http://www.masterfreelancer.com/wspage1.html] è uno strumento per sviluppare storie fornendoausili elettronici per il loro sviluppo. Fornisce un playground perla mente dove esplorare e sviluppare le strutture narrative,un’interfaccia grafica in cui lavorare sulla struttura, suipersonaggi, su conflitti, incongrenze e difficoltà di sviluppo.,insomma un buon luogo per scrivere.Stroccofillo.it [http://www.stroccofillo.it/index.php] è un sitoInternet di giochi linguistici e di scrittura creativa per bambinidai 5 ai 12 anni, nel quale è possibile andare alla scoperta digiochi e filastrocche, di macchine trasformatrici e materiali dascaricare, di siti rodariani e curiosità linguistiche, di messaggi inversi, scrivere poesie arricchite da immagini e suoni, trasformarlein modi differenti. Il “Filastroccaio” è l’ambiente di lettura escrittura: qui il bambino scrive i propri versi, abbina le immaginialle parole, fa leggere alla sintesi vocale ciò che scrive e inventale rime scegliendole in un rimario di 10.000 parole. I testipossono essere trasformati in dialetto o in latino o in tanti altripazzi modi, rimescolati come un puzzle, colorati e ingranditi apiacimento, editati in maniera semplice ed intuitiva.

Per esplorare

E dal mare infinito del web, alcuni consigli di esplorazione elettura.Premi letterari italiani di poesia [http://www.alice.it/publish/awa.pub/pre_poes.htm].Poesia, mensile internazionale di cultura poetica [http://www.poesia.it/].Semicerchio, rivista di poesia comparata [http://www.unisi.it/semicerchio/index.htm].Riviste di critica letteraria [http://www.alice.it/writers/prs.wri/critic.htm].Elenco di biblioteche virtuali in lingua italiana, con possibilità diconsultare liberamente su Internet testi scritti in tutte le epochee in tutte le lingue in originale e in versioni tradotte [http://www.alice.it/virtual/net.vir/vnetita.htm].Il Duecento, un archivio che raccoglie testi della poesia italianaantica, del periodo che va dalle origini fino a Dante. Si possonoeffettuare ricerche nei testi, scorrere le opere di tutti gli autoriclassificati per scuole poetiche. L’archivio comprende oggi quasi200 autori tra maggiori, minori e minimi, per un totaleapprossimativo di 2.400 opere, 85.000 versi. [http://www.silab.it/frox/200/pwhomita.htm].Piccola antologia della poesia romanza [http://www.geocities.com/Paris/LeftBank/2238/italia.htm].Un sito amatoriale dedicato ad Eugenio Montale, con poesie,opere in prosa, testi, commenti, documenti audio, immaginiriguardanti il grande poeta genovese [http://art.supereva.it/eugeniomontale/index.html].

L’editoria digitale

Passiamo ora agli scenari poetici legati agli ambienti dell’editoriadigitale. Videoscrivere comporta comporre testi nei qualil’attenzione alla presentazione finale è immediatamente presente,anzi gli elementi grafici, tipografici, di formattazione, diinserimento di segni non alfabetici, disegni, immagini, suonifanno già parte del lavoro di creazione di un testo composito ecomplesso nelle sue prime fasi di elaborazione progettuale. Edecco aperta la strada della poesia verbo-visiva sul web, dellaquale consiglio, fra le innumerevoli, alcune esplorazioni:La video-poesia di Binga, Moio, Patella, Pienotti [http://www.cirps.it/risorse/poesia/generi/visiva.htm].I linguaggi multicodice di Giovanni Fontana [http://

www.cirps.it/risorse/poesia/autori/fsfontana.htm].Risvolti, numero speciale sulla poesia verbovisiva [http://www.edizioniriccardi.com/Risvolti%20n.%208%20on%20line.htm].

Ricordo di aver letto che negli anni ’60 Nanni Balestrini avevausato un computer IBM per comporre una poesia elettronica cheaveva poi intitolato con il nome del nastro magnetico utilizzatoper memorizzarla. Aveva scelto tre brani letterari ed avevasegmentato i testi in unità sintagmatiche. Ognuna di esseiniziava e finiva con una specie di lucchetto elettronico chedeterminava la sua valenza combinatoria e negli stessi anniPrimo Levi inventava scenari di poesia automatica:Poeta:- Il programma per oggi?Segretaria:- Non c’è molto: due carmi conviviali, un poemetto peril matrimonio della contessina Dimitropulos, 14 inserzionipubblicitarie, e un cantico per la vittoria del Milan, domenicascorsa.Poeta:- Roba da poco: in mattinata finiamo tutto. Ha giàattaccato il versificatore?(Primo Levi, “Il versificatore”, 1966, in Storie naturali, Einaudi,Torino 1979).E per vedere all’opera un versificatore digitale, consiglio lapagina Generatore di Haiku versione 1.1 [http://haiku.cascinamacondo.com/site/haiku_al_volo.asp]. Bastacliccare sulle finestre per avere una nuova poesia sempre diversae casualmente composta, una breve poesie di tre versi, al mododell’haiku, soli 3 versi con 5 - 7 - 5 sillabe per ogni verso.Il tutto funziona utilizzando un generatore di numeri casuali confrasi scelte che non entrano in contraddizione tra loro creandoeccessive ripetizioni tra un verso e l’altro. Ricorda il cut-up diBurroughs, che si divertiva a ritagliare parole sulla carta e aricomporle casualmente. Tecnica che ha raggiunto il suo culmineelettronico in David Bowie.Consultate [http://www.arengario.it/mostre/beats/burrough.htm]; [http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=426&biografia=William%20Burroughs]; esulla tecnica del cut-up [http://www.liberliber.it/biblioteca/tesi/scienze_politiche/sociologia_dell_educazione/ipermedia_e_unita_didattiche/html/tesi35.htm] e [http://xoomer.virgilio.it/iconiglirosasonosemprefelici/ARTICOLI.html].

Per finire questa navigazione, passo agli anagrammi, ancorainfluenzato dal bel testo di Giampaolo Sasso, Le struttureanagrammatiche della poesia, Feltrinelli, Milano 1982: nellecomposizioni poetiche i gruppi di lettere indicano le tracce che ipercorsi ideativi lasciano nel tessuto fonetico, «vere e proprielinee logiche nascoste nell’aspetto timbrico della poesia, chesorreggono, guidano e fanno interagire in profondità le retisemantiche dell’enunciato».In rete troviamo alcuni semplici generatori anagrammatici:Motore Anagrammatico del Gaunt Generatore di anagrammi afrase in italiano [http://www.nightgaunt.org/anagrams/anagrams.htm]; Ricerca di anagrammi a frase di Giovanni Resta[http://www.imc.pi.cnr.it/~resta/anagrammi.html]; InternetAnagram Server, in inglese [http://www.pippo.it/frame-click.asp?url=http://www.wordsmith.org/anagram/index.html]. ●

TEMA verso libero Il 20 ottobre abbiamochiuso questo tema dedicatoalla poesia: era il giorno dei90 anni di Mario Luzi, poetatra i massimi del nostrotempo. Non siamo riusciti araggiungerlo e chissà cosaavrebbe scritto sul temadella poesia a scuola.Intanto noi continuiamo astudiare la Dottrinadell’estremo principiante egli auguriamo che anchenelle vesti di senatore possaindicare strade profonde dapercorrere. Auguri, Maestro.[Foto Archivio del Corriere della sera]

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La papata bollenteFILIPPO NIBBI *

Le radici école-logiche dellaFantastica

TEMA verso libero

- Dove Iràn? Come Iràq a finire?- Come si fa a ire in fieri senza infierire?- Mala tempora currunt. Ego latinus latine loquor.- Mala bestia è questa mia. Mal cavallo mi toccò. Sol la VergineMaria sa quand’io ritornerò.- Ibis redibis non morieris in bello.

Ecco due esempi di “papata bollente” avanzati dal Nuovo Catechi-smo della Chiesa Cattolica. Il primo riguarda l’ambiente, e dice:«L’ambiente è un bene collettivo e la natura non può diventareoggetto di manipolazione e sfruttamento soltanto per egoismo efini utilitaristici. Tuttavia non ci può essere una idolatria della bio-sfera». Il secondo riguarda la donna, e dice: «Bisogna garantirealle donne la possibilità di avanzare ad ogni livello della vita pro-fessionale. Ma va evitato che la carriera si svolga in condizioni dilavoro tali da costringerla di fatto a lasciare la famiglia».La terza “papata bollente” riguarda la guerra, e dice: «Ogni nazioneha diritto di difendersi da un attacco. La guerra preventiva, scate-nata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere lan-ciata, suscita gravi interrogativi morali e giuridici».

- Ibis redibis non morieris in bello?- «In verità ti dico: - Questa notte prima che il gallo canti, tu mirinnegherai tre volte-».- Così la neve al sol si dissigilla. Così al vento ne le foglie levi siperdea la sentenza di Sibilla...- Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e atten-ta, e sempre nel mirar faciesi accesa.

Mirava dove? Mirava checcosa?... Siamo al poligono di tiro? Studia-mo la geometria? È questa una “Fantastica” in tutta regola, prontaper essere insegnata nelle scuole come la geometria?... Che cos’è la“Fantastica”? Che cosa significa? Il Segno è dentro ciascuno di noi.Non c’è parola che si possa comprendere se si va a fondo. Le parolesono come la pellicola superficiale su un’acqua profonda…

Nella foto di Gianni Rodari con me, siamo al Centro Sociale di viaGaribaldi, ad Arezzo. Quando ebbi l’idea di registrare gli Esercizi difantasia. Il 23 marzo 1979.Dopo il lavoro compiuto con Gianni Rodari, a cinquant’anni nean-che compiuti, ho definito la “Fantastica” come «L’arte di inventareil possibile e di renderlo reale, con il gusto del sogno, delle creati-vità e del piacere. Disciplina propedeutica alla poesia, momento diautenticità assoluta conseguito mediante la re-invenzione lingui-sta e la ri-fondazione della realtà».- “P-a-p-a-t-a”? Ho capito bene?- Sì. Lo spelling è giusto. Prova a spellarla, ora, questa “papatabollente”. Ho chiamato una volta “errori crativi” quelli che rivelanoun intervento dell’immaginazione e costituiscono spesso una vitto-ria, magari provvisoria. sulla grammatica e sulla sintassi. Ne conti-nuo la raccolta pian piano a Pian del Voglio, senza stancarmi disuggerire ad altri lo stesso esercizio. Ecco una bambina che, par-lando del fratellino appena nato, dice che è stato messo nella “co-vatrice”. Ecco un’altra bambina, la Cecilia, che osserva la panciadella mamma con Giovanni dentro e dice “panciullo” e vuol fare“amiciccia” con Giovanni fin da quando lui è ancora nella panciadella mamma... Sono queste le radici école-logiche della Fantasti-ca. Dove ogni parola torna a essere una “picciola metafora” come

direbbe Vico... Ci siamo messi in un Vico-lo cieco? Siamo a Napoli?Abbiamo paura di essere scippati?... Qui il traffico è caotico, certo!C’è un caos della madonna, a Napoli... Caos o caso? Naturalmente,credo sia il caso di spiegare poi alla bambina che il nome giusto diquella macchina è “incubatrice”. Insomma, che ha capito male. Maa noi deve pur esser chiaro che la sua mente non è rimasta inattivaperché aveva capito male e che, condensando in modo originalesuoni e concetti diversi, essa ha prodotto una parola incantevole.La stessa bambina ha scritto “tombulanza”, per nominarel’”autombulanza”... Perché? Perché siamo ancora a Napoli? Perché iNapoletani giocano a tombola e al lotto? Sta dando le parole allotto, quella bambina?... Se ne sia accorta o no, essa ha fattodell’umorismo nero a buon livello, attribuendo a quell’auto il com-pito di portare alla tomba. Ed ecco un ragazzo che si chiama così:Edecco, non Cecco (Angiolieri), ma Edecco, che parla, in un suotema, di “aria smogosa” senza tema di esserci dentro, inquinato.Correggiamo! Correggiamo! Questo aggettivo non è ufficiale. Però èbello...– s’i’ fosse papa, allor sarei giocondo – dice Cecco. E ci passa unabella “papata bollente”, la radice école-logica della Fantastica, dacui nasce l’albero “del bene e del male”, con su tutte le filastroc-che. Scrive Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia: «Unbimbo aveva perso tutte le parole buone e gli erano rimaste quellebrutte: merda, cacca, stronzo, eccetera.Allora la sua mamma lo porta dal dottore, che aveva i baffi lunghicosì, e gli dice: – Apri la bocca, fuori la lingua, guarda in su, guardain dentro, gonfia le guance.Il dottore dice che deve andare in giro a cercare una parola buona.Prima trova una parola così (il bambino indica una lunghezza dicirca venti centimetri) che era “uffa”, che è cattiva. Poi ne trovauna lunga così (circa cinquanta centimetri) che era “arrangiati”,che è cattiva. Poi trova una parolina, che era “ciao”, se la mette intasca, la porta a casa e impara a dire le parole gentili e diventabuono».Un bambino di cinque anni ha raccontato questa storia, che è una“picciola” parabola che trasmette “l’ottimismo della specie”, certo!Ed è questa l’espressione tipica di Gianni Rodari. Quando Rodari erail diavolo, scriveva filastrocche come l’in-seguente Filastrocca delferroviere.«Filastrocca del ferroviere,che bellissimo mestierestare in treno tutto il giorno,per l’Italia andare attorno».«È un bel mestiere, non dico di no,sempre a spasso, ma peròquando di notte tu stai nel tuo lettoio vado in giro a bucare il biglietto».«Ferroviere, che bel lavoro,sul berretto due righe d’oro,chiamare per nome paesi e stazionicome simpatici amiconi».«Ma se il mio bimbo chiama - papà –io sono sempre in un’altra città».

E la papata bollente è qua! ●

* Insegnante, collaboratore di Gianni Rodari.

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Qual è la tua definizione di poesia?L’esperienza didattica mi ha indotto a scar-tare tanto le definizioni fondate sull’ineffa-bile risposta emotiva del lettore (l’idea cro-ciana di poesia come “intuizione pura”) quan-to quelle basate su concetti solo apparente-mente scientifici e oggettivi (l’idea jakobso-niana di “linguaggio poetico”, nella quale iconcetti di “poetico” e “letterario” tendonoa sovrapporsi, fino a includere nell’ambitodel “poetico” anche i testi letterari in pro-sa). Più in generale mi sono sembrate inade-guate tutte le definizioni che si basano più omeno esplicitamente sull’identificazione tra“poetico” e “dotato di valore estetico”: seuna torta cattiva resta comunque una torta,non si vede perché una brutta poesia nondovrebbe essere definita come poesia.Una formulazione abbastanza univoca, ma-neggevole e spendibile didatticamente (pa-ragonabile a quella per cui un triangolo sidefinisce un poligono con tre lati e tre ango-li) potrebbe essere questa: “Dicesi poesia untesto letterario che va a capo prima dellafine del foglio”. Purtroppo anche una defini-zione così banale e brutale pone almeno dueproblemi: la necessità di definire preventi-vamente il concetto di “testo letterario”; l’esi-stenza di eccezioni, cioè di poesie che nonvanno a capo prima della fine del foglio (peresempio le Illuminations di Rimbaud). No-nostante ciò, credo che, per il suo carattereconcreto e artigianale, questa formulazionepossa essere adottata come provvisoria ap-prossimazione iniziale, suscettibile di essereapprofondita e problematizzata nella relazio-ne diretta con la straordinaria varietà di temie di forme che ciò che oggi chiamiamo “po-esia” ha storicamente assunto 1.

Le antologie: con quale impostazione di-dattica delle antologie ti senti in maggio-re sintonia? Hai in mente una tua idea diantologia? Come vorresti che fosse?

Mio bello professor che leggi il versomio e degli altri, pensa ai nostri affanniquando d’estate guardi il cielo tersostravaccato e disteso senza panni:a noi ch’ora speriam col cuore immersonei più tristi pensieri per i danniche nostra svogliatezza ha provocato,dona la promozione a chi ha peccato!(Massimo Consolini)

Se ti chiedono di scrivere un’ottava,e non desideri essere bocciato,fin dai tempi in cui Berta filava,è buona norma non sfidare il fato.Se non ti riesce come l’Ariosto usava,non ti sentire troppo imbarazzatoprendi la penna e scrivila in scioltezza,cercando di non fare una schifezza.(Daniele Rapparini)

Durante le sue ore sono stancoed a seguire proprio non ci riescovorrei sognare un cielo tutto biancodisteso su di un letto fresco fresco.Lei mi vorrà tenere su di un bancoma io con la mia mente me ne esco.Per questo professore mio adoratola sua lezione ormai ha già scocciato.(Emanuele Zaccaria)

Io sono un professor, e mi dilettod’insegnar quella lingua, ai miei ragazzi,in cui già scrisse Dante con effettoe poi Petrarca nei suoi versi pazzid’amore per colei che avea nel petto,e infin Boccaccio coi suoi bei sollazzi.Lo so: insegno l’arte solamentech’agli studenti non importa niente.(Franco Serafini)

Indipendentemente dal maggiore o minorevalore estetico dei risultati, consegne di que-sto tipo coniugano i vantaggi delle domande“legittime” e “illegittime” 2: da un lato con-sentono all’insegnante di verificare il gradodi acquisizione di conoscenze e competenzeben precise (in questo caso metriche e reto-riche); dall’altro stimolano la soggettività ela libera invenzione fantastica degli studen-ti. Come avviene in molti campi dell’espe-rienza umana, anche nel leggere e nello scri-vere poesie il rigore e l’immaginazione nonsi escludono ma si implicano a vicenda. ●

NOTE1. Forse l’unica incontrovertibile definizione dipoesia sarebbe tautologica: “Dicesi poesie ciòche una determinata comunità umana ha deci-so di definire tale (o di utilizzare come tale)”.Formulazione incontrovertibile quanto inutile.2. I concetti di “domanda legittima” come do-manda «le cui risposte ci siano ignote» e di“domanda illegittima” come domanda «di cui siconosca già la risposta» sono di Heinz von Fo-erster (Sistemi che osservano, Astrolabio, Mila-no, 1987). Se le domande “illegittime” verifi-cano il convergere degli studenti verso il sape-re codificato, le domande “legittime” mettonoalla prova la loro capacità di divergerne creati-vamente.

Come autore di antologie per la scuola, negliultimi anni ho avuto l’occasione di proporrequalche risposta pratica a queste domande.Non sopravvaluterei comunque l’importanzadelle antologie: la partita risolutiva si giocain classe, nella relazione quotidiana tra gliesseri umani (insegnanti e studenti), e tragli esseri umani e i testi. Se queste relazio-ni sono buone, la lettura della poesia puòrivelarsi un’esperienza coinvolgente, impre-vedibile, profonda. Se sono cattive, non c’èantologia che tenga. Un libro di testo puòcercare di non ostacolare il dialogo direttotra gli esseri umani e le opere poetiche, e,se possibile, di favorirlo, ma non può certoporsi come la variabile fondamentale dellascommessa.Mi pare comunque che, nonostante gli smon-taggi strutturalistici e i marchingegni pro-grammatori degli ultimi trent’anni, il rischiopiù ricorrente nella didattica della poesia,e più in generale, della letteratura, restiquello del “leggi e ripeti”. Ci sono analisidel testo già fatte, ipotesi interpretative giàelaborate, verso le quali lo studente è chia-mato a convergere, ritornando su ciò che ègià stato fatto e detto dagli specialisti, eriproponendolo “con parole sue”. A questapedagogia della ripetizione fa riscontro latendenza ad offrire agli insegnanti mate-riali e percorsi preconfezionati da ripropor-re in classe passo per passo, secondo undisegno rigorosamente predeterminato. Cre-do invece che un’antologia dovrebbe cerca-re di lasciare un ampio spazio all’intelligen-za e alla fantasia di insegnanti e studenti,per consentire a loro di colmare gli “spazivuoti” che ogni testo poetico offre all’ini-ziativa interpretativa del lettore: occorre-rebbe insomma proporre spunti, strumenti,possibili percorsi di lettura più che prescri-zioni e ricette.

Fai scrivere poesie? Usi un metodo parti-colare? Segui le indicazioni dei manualidi scrittura o di altro?Secondo quanto dicono le statistiche, colo-ro che scrivono poesia sono molto più nu-merosi di coloro che la leggono: fenomenodeprimente per i poeti di mestiere e squali-ficante per i poeti dilettanti. Penso che lascuola potrebbe ritornare ad esercizi di com-posizione praticati nei secoli passati, met-tendo in moto un processo di reciproco ar-ricchimento tra lettura e scrittura poetica.Da un lato l’analisi e l’interpretazione dei testidei grandi poeti può immunizzare gli stu-denti dalle secche del “poetese”, mostrandoloro come la parola poetica possa essere con-tinuamente reinventata. Dall’altro gli eserci-zi di scrittura possono smontare l’aura di ir-raggiungibilità e di ineffabilità (che spessoconfina con la noia) associata alla sfera delpoetico, offrendo un approccio artigianale alletecniche e ai trucchi del mestiere di poeta.Così, per esempio, dopo aver esplorato l’Or-lando furioso e la Gerusalemme liberata, hospesso prescritto ai miei studenti come com-pito a casa di scrivere ottave satiriche sullavita scolastica. Ecco alcuni risultati, sceltitra quelli che sono stati più apprezzati dame e dalle classi:

TEMA verso libero

Chi ha pauradelle antologie?M. N. e S. V.

Abbiamo posto a Guido Armellini,insegnante ed autore di antologieper le Scuole superiori, alcunedomande sulla sua esperienza esulla didattica della poesia. Unmodo per entrare nella “cucina”di chi prepara le tanto amate-odiate antologie

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Non sapendo come raccontare la mia esperienza tra/con i bambini e la poe-sia, ho scelto questa forma grafica. Ringrazio la mia amica Patrizia Favaron che miha aiutato a concretizzarla.Questo albero, che trae vita dall’humus dell’atmosfera della classe, è formato daquelle componenti che io ritengo permettano e facilitino la conquista dell’obietti-vo, che non è quello di “creare dei poeti”, ma di permettere a tutti di sentire lapoesia come un elemento normale dell’esistenza.Anche se è prevista una gradualità di approccio, soprattutto nella scelta dei testi,questo non significa che non vi possano essere anticipazioni e/o ritorni; inoltre,ogni momento si interseca continuamente con gli altri, ma è anche un link cherimanda ad ulteriori approfondimenti. Infatti entrano in gioco:• i metodi psicomotori;• le strategie di ascolto e la cura della relazione nel gruppo classe;• la riflessione sul vissuto temporo-spaziale a livello soggettivo e culturale;• le esperienze e i metodi di scrittura creativa che si aprono alla poesia visiva, ai

testi misti, e così via.Tutto questo per far succedere quello che è successo l’altro ieri, quando Tommaso,che adesso è in prima media, mi ha fatto avere, con un passamano, una paginettaun po’ sgualcita e poiché non mi vergogno: mi sono commossa. ●

Prendere coscienza di sé e deipropri ritmi e tempi (respiro,

battiti, gorgoglii…)

Sperimentare la relazionecorporea con l’altro

Sentire, riconoscere edesprimere ogni generedi emozione

Scoprire, vivere,riprodurre le relazionitemporo-spaziali, iritmi e i cicli

Divertirsi con filastrocche e contefacili poesie con la rimanonsense, e limerickgiochi di parole

Scoprire che la frase «ogni mattinamangio due cornetti» è un perfettoendecasillabo

Riconoscere similitudini, metafore e altre figureIntuire i piani denotativo e connotativoIniziare a contestualizzarel’autore come persona

atteggiamento di ascolto generalizzatoricorrere frequentemente all’espressione poetica

trasmettere il proprio coinvolgimentoaccettare la produzione dei bambini

mantenere vivo il “piacere di stupirsi”come qualcosa che ci accompagna quotidianamentenon aver paura di commuoversie guidarli alla revisione in senso maieutico

ATMOSFERA DELLA CLASSE

IL CORPO

IL SENTIRE

IL DOMINIO DEL MEZZO

La poesia è di tuttiANTONELLA BALDI

Il ventoIl vento,che muove le foglie,le incanta con la sua dolce musicache infonde felicità.

Il vento,che porta felicità, voci dapaesi lontani, tristezza, che ti portain un mondo lontano.

Il vento,che sferza il tuo viso,che ti scompiglia i capelli,che ti porta il cuorenel cielo più azzurro.

Tommaso C.

TEMA verso libero

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Procediamo con ordine. Prendiamoun’antologia per il primo anno della scuolamedia abbastanza recente e apriamola al-l’indice: di solito la parte riservata alla po-esia non è mai all’inizio. Più o meno a metàlibro. Chissà poi perché. Forse perché si ri-tiene che il linguaggio della prosa sia piùfacile da capire, più vicino alla realtà deibambini, più adeguato alle loro conoscen-ze ed esperienze? Quale sia la risposta nonha importanza. È così. Ma c’è di più: adessousa iniziare con la “motivazione”. Pare cheper fare amare la poesia, ma anche la pro-sa, occorra spiegare il perché la si debbaamare: bisogna dire quali prerequisiti si de-vono possedere per leggere i vari tipi di testoe poi quali sono gli obiettivi che gli inse-gnanti, i pedagoghi, gli autori, le famiglie,non dimentichiamole, per carità!, i ministrie così via, si propongono di far conseguireattraverso la lettura.Vecchi i tempi in cui a sei anni ti metteva-no in mano un libro, a otto la maestra, pri-ma di Natale, ti forniva un elenco di roman-zi “adatti a te”, da farti regalare, tra cuicomparivano Salgari, Stevenson, Carrol, in-sieme a Collodi e Twain e soprattutto ti fa-ceva imparare a memoria poesie lunghissi-me, di cui forse non capivi del tutto il si-gnificato ma che ti piacevano tanto perché“suonavano” bene alle orecchie! Ma per nondivagare e non passare per nostalgica ebasta, ribadisco la mia prima affermazione:sono assolutamente d’accordo su quanto èdetto, in tutte le antologie, per dare unadefinizione di poesia. Leggo che “la poesiaè come la musica” che deve essere ascolta-ta perché sorgano in noi sensazioni ed emo-zioni; leggo che “la poesia è l’arte delleparole e dei suoni” attraverso cui possiamosia giocare, sia “volare con la fantasia”; leg-go ancora che “la poesia è un modo diversodi parlare di piccole cose e di grandi tema-tiche”, un modo speciale di vedere la realtàe oltre, che è in ciascuno di noi.Tutto vero, almeno per me, che amo la poe-sia più di ogni altra cosa e che non sapreidarne altra definizione che non quella cheper me poesia vuol dire passione.Quindi ciò che, in tutti i libri di testo, in-troduce il lavoro didattico sulla poesia èbello, anzi direi che stimola la curiosità ascoprire cosa viene dopo e se quel che vie-ne dopo è adeguato alle aspettative create.

E l’angoscia? E la dolcezza? E la nostalgia?Il ricordo? La malinconia? Il dolore?Forse troveranno spazio e occasione nellaparte seguente: “Analisi e comprensione dellinguaggio poetico”.A volte il capitoletto è intitolato “Compren-dere e scrivere un testo poetico” oppure“Dalla lettura alla produzione di una poe-sia”.Anche in questo caso non vi è molta diffe-renza tra un’antologia e l’altra. Un esem-pio:MareM’affaccio alla finestra, e vedo il mare:vanno le stelle; tremolano l’onde.… Ecco sospira l’acqua, alita il vento:sul mare è apparso un bel ponte d’argento.[Giovanni Pascoli]

Comprendiamo il testo.1. Perché il poeta si sofferma a guardare ilmare e il cielo stellato?2. Che cosa significa per il poeta il ponte?3. Secondo te questa poesia esprime ansia,malinconia, mistero o serenità?Secondo me non ha senso porsi domande diquesto tipo: non sapremo mai la risposta,perché Pascoli non ha mai fornito insiemealle sue poesie un commento esplicativo dicome si sentiva mentre le scriveva, da qualisentimenti fosse turbato o allietato; e poi,a pensarci bene, che ce ne importa?Sono fermamente convinta che le domandeche la lettura di un testo deve stimolareinnanzi tutto in noi e che, in un secondomomento, dobbiamo porre ai nostri alunnisiano: quali sentimenti suscita “in me” que-sta poesia? Ricordo dei momenti che pos-sono essere descritti attraverso quelle pa-role? Quando guardo il mare ed il cielo stel-lato provo il desiderio di parlarne? Come neparlerei? Quali sono le parole, della poesia,che sento più belle o musicali?A questo punto può nascere un dibattitotra noi e i nostri allievi o anche solo tra diloro e sicuramente scatta in tutti la vogliadi provare ad esprimere i propri sentimenti,le emozioni, quasi una sfida con il poeta, ela parte relativa alla “produzione di testipoetici” viene da sola, senza bisogno delleindicazioni troppo rigide, per me, che lenuove antologie forniscono.Secondo me i testi che più aiutavano l’inse-gnante ad educare i propri allievi alla poe-

Subito dopo, secondo me, le aspettative ri-schiano di essere disattese.Comincia infatti un percorso metodologico,praticamente uguale in tutti i libri, che in-tende sviscerare a fondo le caratteristichesia del linguaggio poetico sia della “forma”poetica, così a fondo che la poesia vera epropria, intesa come la produzione testualedi Pascoli, di Neruda, di Apollinaire… – nonpossiamo certo citarli tutti –, perde del tuttoil suo senso e il suo valore.Di solito questo percorso inizia con lo spie-gare che cosa siano i versi e le strofe: un’or-ganizzazione lessicale che segue delle re-gole particolari, la metrica innanzi tutto,cioè l’arte di comporre versi e di disporlitenendo conto del numero delle sillabe, delritmo, della musicalità delle parole.Si affronta quindi il discorso della metrica:sinalefe, dièresi, sinèresi, dialèfe, si incro-ciano con frammenti poetici di Leopardi,Foscolo, Dante e versi come «ed erra l’ar-monia per questa valle/sì che parea che l’ae-re ne temesse…» o «Forse perché della fatalquiete…» vengono divisi in sillabe, a voltecontrassegnate da colori diversi, in unoschema che, a parer mio, mortifica sia ilmessaggio poetico, sia l’uso altissimo dellinguaggio, riducendo le emozioni a regola!Passiamo alla strofe, o strofa, come si usadire ora. I nostri alunni imparano che LaDivina Commedia è composta da terzine, l’Or-lando Furioso da ottave, che il sonetto ècostituito da due quartine e due terzine diendecasillabi, che le poesie di Ungarettisono caratterizzate da versi “liberi”. Bene.In un crescendo che sa di drammatico, iragazzi vengono introdotti nel mondo dellefigure retoriche che vengono distinte in “fi-gure di significato” per accentuare l’espres-sività dei contenuti e “figure di ordine”, opiù umilmente “giochi di suoni”, per otte-nere maggiori effetti ritmico-musicali.Metafora, sinestesia, metonimia, ossimoro,ma anche paronomasia, anafora, chiasmo,iperbato, sono termini che non hanno se-greti per i nostri, dai quali vengono trascrittinella colonna di una tabella, con a fiancola colonna degli esempi, in cui, corretta-mente e con assoluta freddezza riportano:Sinestesia: … l’urlo nero della madre… pigolio di stelleParonomasia: … Era un piccolo porto, unaporta/ aperta ai sogni

TEMA verso libero

Semplicemente poesiaIVANA FERRARSI *

La poesia nei testi per la scuola media:come ci sta?

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Quasi sempre una poesia si può scriverealla lavagna, si può leggere e dettare facilmen-te. Il che significa che si può anche, nel corsodi un’ora di lezione, rileggere molte volte, ana-lizzare, interpretare, osservare con una lente det-taglio per dettaglio, studiare al rallentatore,passare alla moviola e smontare pezzo per pez-zo davanti agli studenti, insieme a loro e con laloro collaborazione. Il romanzo è più attraente,se si riesce davvero a fare in modo che tutti glistudenti lo leggano da cima a fondo, senza so-stituire la lettura con schede didattiche e rias-sunti: leggere un romanzo è di solito una verae propria esperienza. Per una settimana o perun mese si vive una specie di vita parallela cheinterferisce con la vita quotidiana del lettore.La poesia non offre tanto. Non si può vivere eabitare “dentro” una poesia: è troppo piccolaper ospitarci. Possiamo però portarcela dietro,in testa o in tasca. Certi versi, certe rime ocombinazioni verbali diventano ritornelli osses-sivi, formule proverbiali, epigrafiche, sempre lìa portata di mano. Le poesie che si sono amatedi più si finisce sempre, prima o poi, per impa-rarle a memoria. Solo che oggi, per arrivare nel-l’insegnamento a un tale risultato, è meglio nonprocedere d’autorità. È meglio partire dalla ri-lettura, dalla lettura rallentata, a voce alta, inclasse, coinvolgendo ogni singolo studente.Il mio metodo, quando insegnavo, era assaisemplice, ma posso testimoniare che è di sicuraefficacia. Per consolare e tranquillizzare i tipisofisticati che temono le cose semplici e prati-che, posso dire che in fondo si tratta del meto-do illustrato dall’inventore della Stilkritik, l’au-striaco Leo Spitzer: leggere, rileggere e rileg-

TEMA verso libero

Abitare la poesiaALFONSO BERARDINELLI

La poesia a scuola. La poesia, nelsenso tecnico di lirica, è senzadubbio il più maneggevole deigeneri letterari. Che si tratti diCatullo, di Leopardi o diBaudelaire, per non parlare dellapoesia dell’ultimo secolo, abbiamoa che fare con una sorprendenteeconomia di parole, con unaeccezionale condensazionesemantica e formale

sia (uso il verbo educare nel suo significatoletterale), erano le antologie di venti,trent’anni fa.Ne sfoglio una che non ho mai voluto but-tare: dedica un notevole numero di paginealla poesia europea.La cosa che colpisce di più è che i testi dipoeti inglesi, francesi e spagnoli sono pre-sentati sia nella lingua d’origine sia nellatraduzione italiana e ci si chiede: perchénon riprendere questa bella abitudine orache i nostri allievi studiano almeno due diqueste lingue?Trovo una poesia del bulgaro Georgi Sejta-nov Mare amico, nido dei venti; non riportoil testo bensì le domande che seguono:- Commenta con parole tue la poesia met-tendone in risalto i punti più significativi.- Quali sensazioni suscita in te la poesia?- Se tu dovessi sottolineare la poesia conun commento musicale, quale motivo sce-glieresti? Perché?- Confronta questa poesia con quella chesegue (“Mare in tempesta” di G. Ferro) edevidenzia similitudini e differenze.A questo punto io aggiungerei:- Prendi un foglio da disegno e prova adesprimere con i colori ciò che hai provatoleggendo la poesia.Semplice, vero? Così salvaguardiamo anchela non più tanto di moda interdisciplinarie-tà e rendiamo contenti almeno un paio dicolleghi ma soprattutto stimoliamo la crea-tività e la sensibilità di ragazzi che ne han-no ancora tanto di entrambe da spendere!Sono soltanto dispiaciuta che quest’anto-logia sia ormai fuori produzione da un belpezzo, se no l’avrei adottata subito!Per concludere tutto questo discorso, poi-ché in fondo non sono assolutamente l’in-segnante conservatrice e retrograda che ri-schio di sembrare, affermo che la nuovaimpostazione metodologica per lo studiodella poesia non è del tutto da buttare, ilproblema sta nel fatto che è troppo elabo-rata, troppo approfondita, troppo difficile,troppo ricercata… troppo!Sarebbero sufficienti due o tre pagine, comenelle vecchie antologie, dove si parli, inmodo semplice, di linguaggio, di uso delleparole, citando magari le metafore e le ono-matopee e poi tutto il resto dovrebbe esse-re poesia, inserita in percorsi tematici –l’amicizia, il ricordo, la guerra, le stagio-ni…– ma anche senza riferimenti specifici,soltanto e semplicemente poesia.Chiedo troppo? ●

* Istituto Comprensivo “66 Martiri”, Gruglia-sco (To).

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BibliografiaA cura di MARISA NOTARNICOLA e STEFANO VITALE

Mauro Santagostino, Il manuale del poeta, Mondadori, Milano 1988.Andrea Molesini, Il manuale del giovane poeta, Mondadori, Milano 1988.Alberta Martini, Il testo poetico, Il Capitello, Torino 1995.Angelo Marchese, L’officina della poesia, A. Mondadori, Milano 1985.Kenneth Koch, Desideri, sogni, bugie, Punto Emme, Milano 1980.AA.VV., Oulipo. La letteratura potenziale, Editrice Clueb, Bologna 1995.

Daniela Bertocchi, Edoardo Lugarini, Guida alla poesia, Editori Riuniti, Roma1986.Lorenzo Renzi, Come leggere la poesia, Mulino, Bologna 1985.Stefano Colangelo, Come si legge una poesia, Carocci, Roma 2003.Gabriella Sica, Scrivere in versi, Il Saggiatore, Milano 2003.Georg Lakoff Mark Johnon, Metafora e vita quotidiana, Editori Europei Asso-ciati, Cuneo 1982.Jiurij Lotman, La struttura del testo poetico, Mursia, Milano 1985.Costanzo di Girolamo, Teoria e prassi della versificazione, Il Mulino, Bologna1983.Bruno Traversetti, Stefano Andreani, Le strutture del linguaggio poetico, Eri,Torino 1972.W. TH. Elwert, Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, Le MonnierFirenze 1985.Jean Cohen, Strutture del linguaggio poetico, Milano 1974.Pietro G. Beltrami, Gli strumenti della poesia, Mulino, Bologna 1996.Nicolas Ruwet, Linguistica e poetica, Il Mulino, Bologna 1976.Stefano Agosti, Cinque Analisi, Feltrinelli, Milano 1982.GruppoM (J. Dubois, F. Edeline, J. M. Klikenberg, Ph. Minguet, F. Pire, H.Trinon), Retorica generale, Bompiani, Milano 1976.Giorgio Bertone, Breve dizionario di metrica italiana, Einaudi, Torino 1999.Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, Milano 1988.Mauro Doglio, Media e Scuola. Insegnare nell’epoca della comunicazione, Lu-petti, Milano 2000.

Franco Gaudiano, Manuale di scrittura creativa, Zanichelli, Bologna 2000.Francesca Gatta, Rosa Pugliese, Manuale di scrittura, Bonomia Press, Bologna2002.Stefano Brugnolo, Giulio Mozzi, Ricettario di scrittura creativa, Zanichelli, Bo-logna 2000.A cura di Raffaele Aragona, Oplepiana. Dizionario di letteratura potenziale,Zanichelli, Bologna 2002.Nathalie Goldberg, Scrivere zen, Astrolabio, Roma 1986.Pier Marco Bertinetti, Carlo Ossola, La pratica della scrittura, Paravia, Torino1976.Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1997.

Gianni Rodari, Esercizi di fantasia, Editori Riuniti, Roma 1981.Elio Maccario, Words games. Giochi di classe, La Meridiana, Molfetta 1998.D’Introrio, P. Fischietti, G. Lupo, A. Zingrillo, Zero spaccato. Dal gioco di paro-la alla scrittura creativa, Schena Editore, Fasano di Puglia 1988.Ersilia Zamponi, I draghi locopei, Einaudi, Torino 1986.Ersilia Zamponi, Roberto Piumini, Calicanto, Einaudi, Torino 1988.Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989.Umberto Eco, Pinocchio, Comix, Milano 1990.Gianfranco Staccioli, Silvia Signorini, Ludi Linguisti. Proposte di giochi con leparole, Il Capitello, Torino 1996.Clara Serra, Tra regine e re, Guida, Napoli 2004.Stefano Vitale, Il gioco della scrittura, Carocci, Roma 2005 (in corso di pubbli-cazione).

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gere ancora, finché non arriva il “clic” della com-prensione, finché un dettaglio stilistico, ancheuna sola parola, non ci fa intuire l’unità “orga-nica” di tutto il testo. Leo Spitzer è stato unodei critici più geniali del Novecento, non c’èbisogno di gareggiare con lui. Nella scuola pri-maria e secondaria non si impara a diventaredei critici letterari.Ma qualunque sia l’altezza e la complessità delpunto d’arrivo, il punto di partenza è semprequello. Dunque:1. Si sceglie un testo, preferibilmente, almenoall’inizio, una poesia molto famosa, molto bel-la, adatta al tipo di studenti con cui si lavora.2. La si scrive alla lavagna o la si detta.3. Niente notizie storiche e biografiche prelimi-nari, nessuna introduzione.4. L’insegnante legge a voce alta, come preferi-sce, lentamente o velocemente, una o due vol-te.5. Poi, uno dopo l’altro, sempre a voce alta,leggono tutti gli studenti. Non devono recitare.Devono semplicemente leggere facendo sentirela punteggiatura, la fine del verso, certe pauseminori all’interno dei versi (le cesure). Soprat-tutto, si deve leggere sentendo ogni singolaparola e la sintassi della frase. Chi legge devecapire quello che sta leggendo.6. Alla fine, quella poesia sarà davvero presentefisicamente, ognuno le avrà prestato la propriavoce.7. Solo a questo punto si cominciano a fare del-le osservazioni sul “funzionamento” del testo esul suo significato. Solo ora qualche notizia sto-rica, biografica, linguistica e stilistica diventautile e quindi necessaria. Qualche nozione dimetrica e di retorica. Qualche parola sull’idea dipoesia tipica di quel periodo o propria di quel-l’autore.8. Si invitano gli studenti a esprimere qualun-que osservazione, riflessione e dubbio, con lamassima libertà, senza timore di essere banali.Subito dopo si valuta insieme e si discute pa-zientemente ciò che è stato detto: serve a capi-re meglio? che rapporto ha con quello che iltesto dice? aiuta ad analizzare l’artigianato tec-nico della poesia? rimanda alle intenzioni co-scienti dell’autore? rivela qualcosa che forse l’au-tore stesso non sapeva?9. Infine, dopo aver accuratamente parafrasatoil testo, si trova la forma migliore per fissaresinteticamente 1e cose più interessanti emersedalla discussione.10. È probabile che a questo punto alcuni ricor-dino già a memoria la poesia o siano fortemen-te tentati di impararla, e non in astratto e perdovere, ma perché quel testo è già entrato nellaloro mente.Ho già detto che questo è il punto di partenza,cioè una pratica che nessuno, a nessun costo,dovrebbe saltare. Ci si può fermare qui, o si pubandare oltre: leggendo altre poesie dello stessolibro e autore, dello stesso periodo ma di altriautori, di tema analogo o di analoga tecnica. ●

* Saggista e critico, ha pubblicato tra l’altro:Cento poeti. Itinerari di poesia, (Oscar Monda-dori, Milano 1997) e La poesia verso la prosa.Controversie sulla lirica moderna, (Bollati Borin-ghieri, Torino 1994).

TEMA verso libero

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educazione società

Quattro seminari su scuola, educa-zione e studenti al Social Forum Europeo diFirenze, nel 2002. Nove l’anno dopo a Pari-gi, compresa un’assemblea finale tanto fo-cosa quanto caotica. Quattro i seminari aLondra 1, oltre a vari e variegati workshop,senza considerare le iniziative degli studenti.Nessuna assemblea finale.Questi i dati “oggettivi”. Ma da soli spiega-no poco.Innanzitutto perché il numero complessivodei seminari londinesi è inferiore a quelloparigino e pertanto l’incidenza percentualedel tema nel Forum di Londra risulta supe-riore a quella che si è avuta a Parigi. Poiperché, in un processo così complesso, comequello di portare al confronto i sistemi edu-cativi europei tanto differenziati, i numeridi per sé ci danno solo una parte di verità.Occorre capire le luci e le ombre in un pro-cesso che è comunque in movimento. E que-sta è già una “luce”.

Chiaroscuri

Un’altra “luce”, se così si può chiamare, èstato il percorso preparatorio, che, nono-stante le diversità politiche, organizzative,culturali, è riuscito a mantenere un profilounitario e ad occupare uno spazio visibileall’interno del Social Forum. Come se fossematurato qualcosa in questi mesi.Ma nel complesso il quadro è a chiaroscuri.Le tematiche, ad esempio.Il tema della privatizzazione e della merci-ficazione domina in tutti gli interventi. Siache si metta l’accento sulla subordinazionealle imprese sia che si disegni il quadro in-glese in cui le scuole sono esse stesse im-prese che producono e vendono prodottiformativi, che possono vendere o affittarele loro stesse strutture, che possono essere

acquistate da vere imprese. Sia che si sot-tolinei l’indebolimento dello stato sociale.La mercificazione comporta la competizio-ne tra scuole e la destrutturazione del si-stema pubblico nazionale. Il mercato, nelleanalisi fatte ai seminari, sembra aver fattoil miracolo ed aver avviato un processo diomogeneizzazione dei diversi sistemi diistruzione. E se l’Inghilterra è più avanti ditutti, perfino in Francia si cominciano avedere i primi segnali di privatizzazione.Questo filo conduttore è comune a tutti iseminari e produce un effetto inaspettato:i seminari si assomigliano un po’ tutti. An-che nell’approccio all’analisi: si svolgono ingenere ragionamenti generali, che per deli-neare il quadro d’insieme, finiscono per es-sere ripetitivi e poco approfonditi. In alcu-ni momenti sembra di assistere ad una lita-nia e non bisogna distrarsi per evitare diperdersi passaggi importanti, come nel casodell’insegnante turco della Teachers Union,che denuncia gli attacchi liberticidi agliinsegnanti come mezzo per smantellare lascuola pubblica, o nel caso dell’interventodi Richard Hatcher della NUT inglese, chedisegna il nostro futuro possibile, solo par-lando di ciò che è già presente nel RegnoUnito. O ancora il rappresentante belga NicoHirtt, dell’Appel pour une ecole democrati-que, che rileva come oggi sia impossibile,se si vuole adattare l’insegnamento all’eco-nomia globalizzata, pianificare gli obiettividella scuola perché ci si trova di fronte alproblema che l’instabilità dello sviluppo glo-bale rende impossibile capire quanti inge-gneri serviranno tra 10 anni, per cui l’unicarisposta è destrutturare i sistemi, renderlipiù flessibili nella speranza che sappianocosì rispondere in tempi stretti alle modifi-cazioni economico – sociali, o almeno sap-piano aderire alle domande locali.Qui e là emergono poi altri temi. Mentre si

parla di economia della conoscenza aumen-tano i mestieri dequalificati. Si registra latendenza a ridurre sempre di più la portataculturale ad ampio spesso sostituita dalperseguimento di abilità limitate e ben de-finite, ed in parallelo si rilancia la distin-zione tra licei e istituti professionali. C’èanche chi, come Gabriella Giorgetti dellaCGIL Scuola (ora FLC-CGIL) mette l’accentosulla necessità di costruire scuole parteci-pate, che nascono dalla collaborazione trascuola, studenti, genitori e soggetti del ter-ritorio, rifiutando la logica secondo cui l’uni-ca forma di rapporto tra questi soggetti puòessere quella del mercato, della scuola su-permarket.Sullo sfondo rimane il tema della Costitu-zione Europea, richiamato solo in pochi in-terventi e comunque per denunciare la de-bolezza dell’attuale formulazione e per sot-tolineare la necessità che in Europa si af-fermi l’idea (e la pratica) che l’istruzione èun diritto per tutti.Come si può capire da questi rapidi e disor-dinati accenni, che non possono essereesaustivi, a me sembra che l’analisi sia an-cora ferma, per gran parte, a questioni diprincipio. Poco o nulla su come battere laprivatizzazione, nulla del tutto su qualescuola vogliamo.

Futuro prossimo

Su come muoversi nel prossimo futuro qual-cosa si è detto. Le organizzazioni italianeche erano presenti al Forum (Cobas scuola,Legambiente, FLC CGIL, UDS, UDU, Rifon-dazione) si sono fatte latrici dell’appello cheil Tavolo nazionale per fermare la Morattiaveva inviato al Forum di Londra, chieden-do che si prendesse in considerazione l’ideadi una giornata europea di mobilitazione

Educatori europei cresconoVITTORIO COGLIATI DEZZA*

Scuola ed educazione al Social Forum Europeo diLondra

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«per porre al centro del processo di costru-zione della nuova Europa la qualità socialee culturale dei sistemi formativi pubblici[…] per realizzare un fronte comune».Ma proprio sul fronte comune si sono in-contrate le difficoltà. Essenzialmente due.La prima consiste nel fatto che alcune grandiorganizzazioni rivendicano la specificitàdella propria situazione nazionale (nono-stante riconoscano che si è avviato un pro-cesso di omogeneizzazione delle politicheeducative dei diversi stati). La seconda con-siste nel fatto che al Forum di Londra eraassente del tutto l’Europa del Nord, Olanda

compresa, e dell’Est. Troppo per parlare diun coordinamento europeo. Ciononostantel’Europa dell’educazione è un obiettivo per-seguibile, ma, evidentemente, le forme dicoinvolgimento fin qui attivate, ed i temisu cui ci si è incontrati, non sono giusti oalmeno non sono sufficienti. Comunque ilclima che si respirava era quello per cui,anche per una semplice logica di buon sen-so, se i Ministri europei si parlano, si devo-no parlare anche le organizzazioni che, avario titolo, si occupano di educazione e diistruzione. Dal confronto è emerso che peril momento è prematuro parlare di Forum

europeo dell’educazione. Questo vincolo hafatto sì che anche la rinnovata convocazio-ne del Forum mondiale dell’educazione, chesi terrà a Porto Alegre nel luglio 2005, nonè stata sufficientemente presa in conside-razione nel dibattito e la stessa piattafor-ma di lotta elaborata nell’ultimo Forummondiale dell’educazione non è stata consi-derata un punto di riferimento.

Giornata di mobilitazioneeuropea

Qualche problema iniziale c’è stato ancheper accogliere la proposta della giornata dimobilitazione europea. Ma, più pragmati-camente rispetto a Parigi, quando si uscìdall’assemblea finale con una mozione chenon ha prodotto alcune effetto organizza-tivo e di mobilitazione, si è deciso di pro-cedere passo dopo passo, convocando in-tanto una prima riunione di coordinamentoentro l’anno e quindi lanciare con una dataprecisa la mobilitazione.In questo quadro quello che a me apparedavvero straordinario è che bene o male noiitaliani un percorso di confronto, graziesoprattutto all’esistenza del movimento perla difesa del tempo pieno e al lavoro delTavolo nazionale per fermare la Moratti, loabbiamo avviato. Esportarlo in Europa nonsarà facile.Da tutto il quadro si ricava comunque unavalutazione, valida per tutto il Forum e nonsolo per il nostro settore. Le modalità concui si sono realizzati i tre Social Forum eu-ropei hanno ormai fatto il loro tempo. ALondra si respirava un po’ meno curiosità epiù voglia di lanciare campagne, iniziative,e avviare il confronto a partire da alcunecose da fare insieme. Questo è anche unastrada percorribile per il mondo della scuo-la. Il confronto deve essere sorretto dallanecessità di coordinare delle iniziative co-muni (non solo mobilitazioni di piazza, maanche conferenze, seminari tematici, ecc.).Se si riusciranno a fare passi avanti è tuttoda vedere. ●

NOTA1. I quattro seminari di Londra sono stati: “Crisidell’educazione secondaria ed universitaria:accesso, tasse d’iscrizione, privatizzazione edemocrazia”; “Globalizzazione, educazione edUnione Europea”; “Un’altra educazione è pos-sibile: opposizione e resistenza al neoliberi-smo”; “L’educazione non è in vendita, è unservizio pubblico, non un business”.

* Responsabile nazionale Legambiente Scuolae Formazione.

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In uno splendido soleggiato po-meriggio, genitori, insegnanti e tutti co-loro che si occupano di educazione (pre-senti 120 persone) si sono incontrati aMilano, sabato 25 settembre presso l’Au-ditorium San Carlo, per partecipare alConvegno-incontro “Scuola: un tempopieno di vita”, organizzato da maestre egenitori di Retescuole e del Movimentodell’Autoriforma.Quest’anno il movimento nato nelle ele-mentari ha messo al centro dell’attenzionepubblica le condizioni irrinunciabili per farescuola con bambine e bambini: contem-poranea presenza di più insegnanti, agiodel muoversi in piccoli gruppi, responsa-bilità condivisa, collaborazione e recipro-co sostegno, e specialmente tempo per l’in-contro e la socialità libera. Ad esempio ilrischio di perdere i momenti del pasto edel gioco ci ha aiutato a capire che i tem-pi nei quali è possibile conoscersi e capir-si fuori dai banchi e dai ruoli non sono“tempi morti” per l’apprendimento, matempi vivi e preziosi, nei quali si intreccia-no relazioni che più somigliano a quelledella vita quotidiana. Tutto questo ci spingea ripensare il tempo a scuola non comemodello orario ma come una questione divita e di esistenze nella scuola.

“Perdere tempo”

Il dibattito culturale sulla scuola che ab-biamo riacceso con le nostre iniziative èpartito da questa idea: “perdere tempo” eavere tempi fluidi e morbidi permette espe-rienze profonde di crescita e conoscenza.Vogliamo continuare a chiederci come sipuò «stare in un buon tempo», per far cre-scere umanamente e intellettualmente l’in-fanzia.Altrimenti, a qualunque età, non è possi-bile apprendimento che non sia – nel mi-gliore dei casi – pura ripetizione di nozio-

ni. Anche le madri e i padri ci dicono chela fretta e l’accumulo di impegni disparatiattraversano profondamente le loro vite, eper la prima volta nei nostri incontri han-no cominciato a porci domande precise sucome si svolge una giornata a scuola.La questione del tempo ne porta con sémolte altre, perché è strettamente connessaal senso della scuola e alla sua funzionenella società. Quello che sta capitando,anche con la riforma Moratti, è che dall’al-to si cerca di imporre un tempo semprepiù frammentato e impoverito, immaginee specchio di una futura società pensatasul lavoro flessibile.Si genera così sofferenza, e ogni anno au-menta l’alienazione di chi vive la scuolatutti i giorni, soprattutto negli ordini su-periori in cui si è perso il senso del fare edell’andare a scuola, ed esperienze vitali epositive sono spesso vissute in solitudine,rischiando alla lunga di implodere. D’altrocanto, in noi insegnanti, nelle bambine enei bambini, negli studenti e studentesse,nei genitori, continua ad abitare un ca-parbio desiderio di fare del tempo a scuolaun’occasione di incontro tra generazioni,una libera costruzione del sapere, un’espe-rienza di convivenza civile. Nel presente ein presenza. Riaprire la riflessione sul sen-so del tempo, con insegnanti di tutti gliordini di scuola e con i genitori, può rilan-ciare, nello spazio politico pubblico creatodal movimento delle elementari, un con-fronto capace di rivitalizzare l’intero siste-ma scolastico e la società.

Una scommessa vinta

I pensieri che esprimono i risultati dell’in-contro stanno nelle parole di Massimo Cru-citti, un genitore che ha partecipato e checosì ha comunicato le sue considerazioni:«Ancora adesso sono impressionato dal-l’evento del susseguirsi di tanto concen-

trato d’intelligenza nell’arco di quattro oreche sono trascorse in un attimo, quell’at-timo che dura un’eternità, come si è det-to, l’attimo nel quale vive il mondo delbambino. Alla fine di quelle quattro oresentivamo la stanchezza provocata da ungrado di attenzione alta, sostenuta per untempo a noi inusuale, riflettiamo sul fattoche questo è solo la metà di ciò che ri-chiediamo ai bambini/e ogni giorno, per-ché loro, nel loro tempo, sono sempre pre-senti con questa qualità di attenzione».Cristina Mecenero con i suoi personali rac-conti di scuola, in alcuni passaggi, è riu-scita a trasportarci in quell’attimo del bam-bino; il bambino che esce dallo spazio-tem-po dell’aula per compiere un atto istitu-zionale, lo svuotamento del bicchiere diacqua sporca di colore, che, una voltariempito il bicchiere con acqua limpida,si trasforma in un atto individuale, co-smico; un riflesso di luce dà vita a quel-l’acqua, il gesto dello svuotamento e delriempimento viene reiterato per un nu-mero infinito di cicli, come infinito è iltempo vissuto dal bambino e dalla suaattonita osservatrice in quel momentomagico. «Pioggia-pioggia», la formulaesce fluida dalla labbra di Cristina dive-nuta sciamana di un centinaio di ascol-tatori ancora ignari dell’evento che si stacompiendo, «pioggia-pioggia» è la for-mula del bambino per rendere eterno quel-l’attimo di godimento, «pioggia-pioggia»cade sulle nostre teste, ci invade in unsilenzio quasi insopportabile, il tempo sidilata a dismisura, e in quel tempo impa-riamo molto di più di quello che potrem-mo imparare in un anno di corsi specia-lizzati.Gli interventi si susseguono con una ca-denza tranquilla ma carica di vita: lamamma che combatte tutti i giorni labattaglia di offrire a cinque figli il massi-mo della qualità, obbligata all’interno deiferoci ritmi metropolitani; la maestra che

Perché un incontro sul tempoCLARA BIANCHI, VITA COSENTINO, MASSIMO CRUCITTI, MARTA GATTI

La questione del tempo ne porta con sé molte altre, perché èstrettamente connessa al senso della scuola e alla sua funzionenella società. Quello che sta capitando, anche conla riforma Moratti, è che dall’alto si cerca di imporre un temposempre più frammentato e impoverito, immagine e specchio diuna futura società pensata sul lavoro flessibile.Ripensare il senso del tempo dal nido all’università perchiedersi cos’è e cosa può diventare una giornata a scuola

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racconta il suo percorso ancora in attoper diventare una “maestra liberata”, iltempo perso, il tempo guadagnato.«Tutta la vita è una perdita di tempo»dice Vita Cosentino con la sua caratteri-stica ironia.

L’esistenza attiva

Per quattro ore siamo investiti da un por-tato emotivo notevole, la diversificazio-ne del materiale umano ci arricchisce: iro-nia, sagacia, puntualità, irruenza, tene-rezza, commozione, tutto questo è persi-no troppo.Alla fine del dibattito alcune personemanifestano la necessità di isolarsi perrielaborare un vissuto troppo intenso, era-vamo disabituati all’esercizio dell’intelli-genza che non teme il sentimento, qual-cuno si lamenta dello scarso apporto po-litico 1.«Io dico che questo è l’evento politicopiù pericoloso dei nostri tempi, pericolo-so perché ha determinato un cambiamentonelle persone che sono uscite dall’audi-torium, quelle persone domani ai loro ra-gazzi/e e a se stessi/e porteranno un po’di “pioggia-pioggia”, e se Cristina ha di-chiarato che lotterà per aumentare il tem-po del “pioggia-pioggia”, anche io miunirò alla sua lotta, perché di una duralotta si tratta, e tutto ciò che potrò farea favore di questo mi riempie semplice-mente di gioia».Alla fine dell’incontro ci siamo dette chequesto è solo l’inizio di una rivoluzioneculturale che ci deve portare ad affianca-re alla lotta per l’abrogazione della legge53, la ferma determinazione di attuare“l’esistenza attiva” nelle nostre scuoleattraverso la pratica educativa e didatti-ca quotidiana. Quando le soggettivitàprendono coscienza cominciano a parlar-si, a rimettere al centro le ragioni dellanostra umanità e su questo riscopronolegami sociali e un possibile orizzonte disenso per la nostra vita singolare e il no-stro stare nella società. All’interno dellescuole, luogo di società per eccellenza, èpossibile creare spazi di libertà per op-porsi al liberismo culturale che avanza:applicare metodologie non competitive,prestare attenzione ai contenuti cultura-li, praticare le relazioni con i bambini/ee con i/le colleghe, dare significati e va-lore a ciò che invece viene consideratosuperfluo, rifiutare funzioni manageriali,dare sempre la precedenza al lavoro diclasse, creare spazi mentali e attivi di“controtendenza” affermando in ogni con-testo, ma soprattutto nella pratica, lanostra differenza, la pedagogia possibi-le… la scuola possibile. ●

NOTA1. Alcuni interventi dell’incontro si possonoleggere in www.retescuole.net.

Autunno 2003, le porte del mioliceo vicino a Monaco si aprono per la pri-ma volta per 120 giovani fra 9 e 11 anniche hanno scelto il percorso liceale 1; fradi loro 18 super-dotati, iscritti dopo untest d’intelligenza in una classe speciale“di promozione” – 17 ragazzi, 1 ragazza.Sorpresa? Certo, perché tutti i dati stati-stici confermano da anni che sono le ra-gazze che fanno dappertutto i miglioriesami – ma parimenti una conferma para-dossale del fatto che sono i ragazzi adessere ancora spinti in numero maggioredai genitori ambiziosi di raggiungere unsuccesso; triste realtà patriarcale dopotanti anni di proclamate pari opportuni-tà: incarnano sempre e ancora oggi – loro– la speranza e il futuro del paese.Dopo un anno di sperimentazione, il bi-lancio: molti dubbi si sono confermati e/o persistono, nuove frustrazioni si sonocreate, pochi sono convinti del modellodi “classe d’elite”, ma continuiamo: que-sta volta con 4 ragazze.

“Avanguardie pedagogiche”

Appunto storico: nel 2002, una piccolamaggioranza di colleghi – aperti al pro-gresso, alla modernizzazione del sistemascolastico che si deve necessariamenteadattare ai nuovi bisogni (sul mercato dellavoro?), allo sviluppo sociale e a nuoveconoscenze psico-motorie – si era dichia-rata esplicitamente a favore dell’integra-zione della formazione di una “classe d’eli-te” nella nostra scuola (magari speravanoche una piccola parte dello splendore deidotati cadesse anche sulle loro teste). Eraovvio che il Ministero della Scuola e dellaCultura apprezzasse la decisione – fa par-te del mainstream pedagogico internazio-nale, non è vero?–. La nuova direttrice/preside del liceo ha dato enfasi a più ri-prese al fatto che anche lei era superdo-tata e avrebbe approfittato bene di un talepercorso specializzato. Chi avrebbe potu-to contrariarla!Partecipare alla presupposta “avanguardiapedagogica” – anche politicamente inco-raggiata – era sempre meglio che esporsialla pubertà ignorante, uguale di anno in

anno, alla motivazione intellettuale sem-pre più bassa della “generazione fun”.Magari per gli ottimisti si sarebbero an-che aperte nuove possibilità di sperimen-tazioni metodologiche, progetti affasci-nanti al di là della normalità scolastica.

“Superdotati”

I superdotati stessi avevano all’inizio lasperanza di finire il loro percorso scola-stico un anno prima degli altri (in ag-giunta al fatto che alcuni di loro avevanogià saltato un anno nella scuola prima-ria). Ma… delusione! Nello stesso anno,il Ministro (signora Hohlmeier, CSU, fi-glia del vecchio primo ministro Franz-Jo-sef Strass, che ha i propri figli in una scuo-la antroposofica “Rudolf Steiner”) annun-cia nel quadro di una riforma generale delliceo: 1 anno di meno vale per tutti! L’uni-co vantaggio che sarebbe restato ai su-perdotati: essere fra di loro, concorrenzarafforzata, altre sfide all’interno, ma quasilo stesso programma da seguire.Chi sono allora questi (poveri?!) candi-dati al successo? Non sono tutti piccoliEinstein. Approssimativamente solo unterzo sarebbe di vera eccellenza (i cosid-detti underachiever), coloro che non sisentono mai abbastanza stimolati in unsistema normale, un terzo è “dotato so-pra la media” solo per la matematica, unterzo solo per le lingue (l’arte, la musicanon vengono testate specificamente, sonocomprese nel caso in cui si raggiunga lavalutazione di “ottimo”).In corrispondenza con questa abbondan-za di doni, resta agli insegnanti consta-tare un individualismo esclusivo, un’am-bizione spesso arrogante, competenzesociali piuttosto ridotte o sottovalutate,un comportamento quotidiano ai limitidel caos. Scelta per la propensione e ca-pacità professionale per dare l’avvio alprogetto, la prima equipe dei professori èscettica, parzialmente delusa e/o terrifi-cata fino all’esaurimento. Essa compensala mancanza di una formazione psicolo-gica adeguata ai problemi specifici connumerosi riunioni del team.I genitori dei super-cervelli non sono

Chance per i superdotatiHEIDI MEINZOLT *

Gara dei super-cervelli al posto di una vera riforma scolastica.Bilancio critico dopo un anno di “classe d’elite” in un liceobavarese

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passivi, si incontrano per scambiare leesperienze e discutere con gli insegnantie la preside, s’impegnano a collezionaresoldi per l’equipaggiamento materialedella loro classe che promette altrettantiprogressi. Bel engagement – ma sollevail livello politico dalla sua responsabilitàe apre la strada al privato, allo sponso-ring industriale. Non occorre fare lunghediscussioni, processi democratici di de-cisione: semplicemente, si fa.

Qualità a due livelli

Le prime reazioni dei compagni di scuola“normali”, dei coetanei , che guardavanoi superdotati come animali da zoo, sonofinite; ci si abitua – e, infine, non sonopoi così diversi, non sono mostri!Allora? Normalizzazione generale? Non nesono convinta, purtroppo. Troppo prestoo magari tutto ancora troppo fasullo perdare il segnale di cessato d’allarme, poi-ché si tratta dei cattivi parametri in cuiquesta modernizzazione si presenta,escludendo parallelamente altre alterna-tive pedagogiche. Si è ciechi, per esem-pio, riguardo ai risultati buonissimi neipaesi scandinavi. Là conta l’apertura del-le scuole verso l’esterno, vale a dire ver-so la società, ma soprattutto all’internosi ha l’integrazione e la diversificazionedelle offerte, che pure sono rivolte a tut-ti e a tutte, tenendo conto della varietàdegli interessi . Si aprono le aule, si offrelibero accesso alla biblioteca, ai mate-riali didattici , si gioca sulla motivazionee la curiosità. Così, la creatività e le ca-pacità comunicative vengono stimolatee si sviluppa l’idea di un impegno solida-le senza il quale ogni rendimento scola-stico puramente intellettuale vale meno.Noi invece chiudiamo le aule, creiamocerchie elitarie che comunicano fra di loro,anche dopo scuola nelle famose reti clien-telari . La complessità del mondo moder-no globalizzato e i problemi esistenzialiper il futuro dell’esistenza umana nonpotranno di certo essere affrontati dalla“ torre d’avorio”, ma solo dal risultato diprocessi democratici che necessitano distudi teorici nella ricerca e di persone ingrado di agire sulla base della tolleranza,del rispetto e della sostenibilità . Vale lapena spingere per quest’alternativa nellenostre scuole. ●

* Heidi Meinzolt vive a Monaco di Baviera. Èinsegnante di lingua francese e italiana e dieducazione fisica in un liceo vicino a Monaco.Fa parte della WILPF (Lega internazionale del-le donne per la pace e la libertà).

NOTA1. In Germania i percorsi scolastici separaticominciano a 9 anni. Chi non ha voti suffi-cientemente alti ha due possibilità diverse dailicei.

«[...] qualcuno degli amici che èda questa parte vi potrà raccontare comenella mia fuga da Roma sia arrivato neiterritori controllati da Badoglio, comeabbia passato a Brindisi dieci pessimigiorni presso il Comando Supremo e come,dopo essermi convinto che nulla era cam-biato fra i militari, sia riuscito con unanuova fuga a raggiungere Napoli. Qui hocontribuito a costituire un Centro Ita-liano di Propaganda che potrebbe avereuna funzione utile.» [Giaime Pintor, Dop-pio diario 1936 - 1943]

Giaime Pintor nella nota di diario, data-ta novembre 1943, testimonia in modoalto il momento della scelta che in tantitra il settembre e l’autunno di quell’an-no ebbero la forza etica di fare. Menonota della scelta di Giaime Pintor è l’al-tra analoga scelta di quanti si adopera-rono per nascondere e far scappare dal-l’Abruzzo, occupato dai nazisti, i prigio-nieri di guerra inglesi ivi internati. Èmerito di un gruppo di docenti e stu-denti del Liceo Scientifico “Enrico Fer-mi” di Sulmona l’aver riproposto la me-moria di questo frammento di resistenzacivile.Coordinati dal preside Ezio Pelino e daMario Setta, professori ed alunni del Li-ceo di Sulmona hanno dato vita ad unLaboratorio di Storia la cui attività de-cennale, nel tempo, è divenuta una stra-ordinaria occasione di crescita civile eumana per tutti i protagonisti ed i col-laboratori dell’impresa culturale, una ric-ca e densa esperienza sia per la scuola,sia per la realtà sociale ed istituzionaleesterna. L’attività del Laboratorio di Sto-ria di Sulmona è un esempio eloquentedi come gli insegnanti, se professional-mente attrezzati, possano attivare cen-tri di ricerca disciplinare e didattica chenon solo interagiscono col contesto for-mativo della Scuola media superiore, mache entrano in positiva sinergia con l’Uni-versità e con tutti gli Enti che si attiva-no nel proporre ricostruzioni storiche edi memoria a livello locale (dagli Archi-vi Comunali, agli Istituti Storici per laResistenza, alla Associazione di ex com-

battenti, tanto per fare qualche esem-pio), ma non solo.L’esperienza del Laboratorio Distrettualedi Storia è cresciuta tanto da divenirenon solo uno spazio pubblico di rifles-sione e dibattito, un centro di aggior-namento per operatori culturali, ma an-che un luogo di produzione libraria. E daultimo dal laboratorio, per filiazione, siè giunti alla fondazione di una ONLUSche ormai da cinque anni organizza lamarcia “Il sentiero della Libertà”. Attor-no a questa marcia ricordo che, nelleedizioni sin qui realizzate, sempre alta èstata la partecipazione di studenti pro-venienti dalle scuole dell’Europa.È sulla produzione libraria, frutto di unaintensa attività laboratoriale a scuola,che penso sia qui più opportuno soffer-marsi per meglio illustrare questa com-posita esperienza.Per primi ricordo i due libri E si diviseroil pane che non c’era del 1994 e il Sen-tiero della libertà del 2003. Questi duelibri sono la sintesi di due ricerche con-dotte con grande rigore metodologico etrattano temi simili anche se con ango-lazioni diverse. Nel primo (realizzato da7 docenti e 41 studenti) viene compiutauna ricognizione molto particolareggia-ta della situazione di Sulmona e del-l’Abruzzo nel biennio 1943 - 44, dellasituazione territoriale in cui si inseriscelo sviluppo generalizzato di quel feno-meno di aiuto ai prigionieri di guerraalleati (soprattutto inglesi) che ha inte-ressato oltre 10.000 soldati e un nume-ro enorme di famiglie, praticamente unterzo della popolazione complessiva.Questo evento viene descritto attraver-so le testimonianze orali dei protagoni-sti, ancora sopravvissuti, interrogati da-gli studenti. La ricerca è dunque ancheun lavoro pluridisciplinare perché vi siintrecciano materiali storici, sociologici(fondamentale la ricostruzione della ci-viltà contadina abruzzese di allora), let-terari ed archivistici. Col secondo libro,Il Sentiero della libertà, la ricerca siestende e dilata alla ricostruzione dellavicenda di Carlo Azeglio Ciampi giovanetenente in fuga, dopo l’8 settembre, da

Tra storia e memoriaVITO NANNI

Il Liceo di Sulmona ha dato vita ad un Laboratorio diStoria, attivo da oltre dieci anni. Un’esperienza che valela pena di conoscere, sostenere, incoraggiare

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Roma verso Scanno. Alla ricostruzione,che procede tra storia e memoria, si af-fianca il diario di allora dell’ufficialeCiampi, che il Presidente della Repub-blica ha concesso alla scuola di pubbli-care attribuendo all’attività dei docentie degli studenti un alto profilo morale.La pubblicazione (Laterza) del secondolibro – realizzato a molte mani: 18 tradocenti e studenti – ha garantito al Labo-ratorio di Storia di Sulmona una risonan-za che in precedenza non aveva avuto.Ma il secondo libro si segnala anche peraltro tratto decisamente più significati-vo. La pubblicazione del diario dell’uffi-ciale Ciampi, infatti, è stata l’occasioneper fare una ricognizione storico filosofi-ca sulle radici di “Giustizia e Libertà” edel gruppo liberalsocialista di Guido Ca-logero (maestro di Ciampi) nel medesimoperiodo riparato a Scanno. È un altro deimeriti del libro: in poche ed asciutte pa-gine docenti e studenti riescono nelladifficile opera di sintetizzare e documen-tare con rigore scientifico il percorso diun gruppo politico culturale (il liberalso-cialista) che nell’immediato dopoguerraè pervenuto a dare una impronta profon-da al nuovo stato repubblicano.Ai due libri ricordati sono da aggiungerele pubblicazioni (sinora tre) interne aduna collana di libri di memorie realizzatida ex prigionieri inglesi. Sono libri dialta densità umana ben resa dai tradut-tori, libri che riescono a completare ilquadro disegnato e ad arricchirlo con ilpunto di vista delle soggettività diffe-renziate. A mio parere il più interessan-te è quello scritto da William Simpson,La guerra in casa – 1943 - 44. L’autore cioffre un quadro articolato non solo dellasua fuga dall’Abruzzo ma anche del peri-odo da lui passato a Roma nell’organiz-zare una rete di nascondigli in Vaticanoe nella città per i tanti prigionieri allea-ti che riuscivano a scappare dai nazifa-scisti occupanti.L’attività del Laboratorio di Storia di Sul-mona rappresenta, nel contesto dellascuola italiana, una novità feconda, inquanto produce inedita ricerca, innovaconoscenze, mette alla prova dispositivistoriografici più recenti, ad esempioquello di resistenza civile ancora desa-parecido nei manuali. (E un altro versanteda perlustrare potrebbe essere quellodelle vicende che riguardano i fascistidella RSI in Abruzzo, un modo per guar-dare la tematica sin qui indagata da unaulteriore angolatura).I risultati ottenuti dai docenti e daglistudenti di Sulmona sono oltremodo in-coraggianti per quanti nella scuola quo-tidianamente operano. Sono esiti cheprovano che la Scuola media superiore(nonostante la Moratti) ha al proprio in-terno forze per continuare ad essere vi-tale e vivace. ●

Bastone e carotaMONICA ANDREUCCI

Cambia l’anno scolastico ma la musica non cambia: ore diriunioni tra docenti a parlar di “regole” e come farle rispettare. Esempre, a sentire elencare punizioni e minacce propedeutiche, mivien male: «Ma possibile che solo repressione e bastonate sappia-mo usare per educare? – stavolta mi scappa –. Perché, oltre alterrore, non pensiamo anche a delle gratificazioni? Mi metto neipanni degli alunni ligi, puntuali, corretti: chi glielo fa fare… in-ventiamoci qualcosa per loro, così quelli lazzaroni potrebberoimpegnarsi di più per ottenerla, almeno provarci. Che so (la spa-ro) un giorno di vacanza a scadenza regolare».Pensavo peggio, come reazione. Mica tutti si son messi a gridareallo scandalo, devo dire che ho spiato perfino qualche testa an-nuente. Il Preside non mi lincia, non mi mette la nota, anzi milascia spiegare (quasi però ha l’espressione da “che si cuocia nelsuo brodo”). «Dovrebbe essere qualcosa di istituzionale, magarinon proprio il marinare autorizzato – dico – basterebbe un’attivi-tà diversa, fuori dall’aula tutti quelli bravi della scuola, assistitida prof in recupero. Le risorse, se si vuole, saltano fuori; inventia-moci una gita, un laboratorio, un torneo di ping-pong, qualcosache i “cattivi” percepiscano come ludico. Di solito restare dentrol’aula è pesante, ancor più per gli irrequieti e deconcentrati. Unpo’ di soddisfazione, che diamine, non solo stato di polizia».«Cara collega – sentenzia una – qui non siamo ad un gioco apremi. Chi ottiene risultati positivi nello studio si deve sentirsoddisfatto solo nel fare il proprio dovere. E basta!». Bel dire,indiscutibile fino a 40/ 50 anni fa quando il sapere, pur se stru-mentale ad ottenere il famoso pezzo di carta, era un valore social-mente riconosciuto ed i suoi operatori – gli Insegnanti – rispetta-ti da tutti. In un oggi di lustrini e paillettes, dove ogni cosa sipropone comprabile ed i ragazzi sono sempre più soli di frontealla TV ed alla vita, molti che vengono da altri mondi e qui nontrovano accoglienza, molti sbatacchiati in situazioni di disagio,spesso figli di coppie o di persone instabili… il senso del doverecome fa a maturare? Chi o cosa glielo dovrebbe instillare? O càpi-tano tutti in classe a me?«Questa è una proposta inaccettabile – accidenti, i pensieri mihanno distratta e la bufera intanto continua. Ecco un’altra GrandeProfessoressa – è nel rapporto che deve venir fuori il modo giustodi porsi con gli alunni. Se si fosse in grado di relazionarsi, ceerteprooposte – sottinteso il dispregiativo – non si sentirebbero».Alé! Dal desiderio di creare un ambiente positivo, con sprazzi disereno piuttosto che armi puntate e sempre uggioso, eccomi bol-lata come idiota, incapace. Fortuna che me ne frego, mi ostineròa dare uguale dignità al bastone ed alla carota con preferenzeortofrutticole. Però mi dispiace per questi giovani nelle mani dichi non ha mai dubbi. ●

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R/Esistere tra i banchistrategie per salvarsi dalla/nella scuola

La questionedell’educazione comepotere

I bambini, quando vedonoqualcosa di brutto, chiudonogli occhi e sono convinti inquesto modo che l’oggetto te-muto sia scomparso. I grandi,no: l’educazione è una formadi potere. Questa è la mia con-vinzione, anche se la cosa puònon piacermi. Può essere unaforma di potere maschile, fal-lica, impositiva, può essere una forma di potere femminile, in-vischiante, confusiva, nella quale i ruoli sono artificiosamentee demagogicamente negati, ma pur sempre di potere si tratta.Io non condivido l’atteggiamento di chi si ritrae terrorizzato oschifato davanti alla dimensione del potere: ci vuole potere perfar funzionare le cose, per espropriare gli espropriatori, per cam-biare il mondo. Ci vuole contropotere (sarà anche una categoriavetusta: io non ne ho trovate di migliori) per modificare nonsolo e non tanto l’educazione ma il tipo di mondo al qualel’educazione ci porta, ci conduce, ci orienta. Braccio armatodella società, ribadisco: se non di questa, di quella futura, chesogniamo, costruiamo, inventiamo. Strumento della classe do-minante o di quella che gramscianamente si allena a diventar-lo. Che il rapporto con il potere del professore universitario coni suoi ragazzi sia diverso di quello delle maestre con i bambiniè una banalità: che il primo sia più forte, più pericoloso, piùminaccioso per l’autonomia del singolo non è per forza vero. Imiei studenti hanno la forza per contestarmi, e lo fanno, da solio in gruppo. I ragazzini di quarta elementare non l’hanno, que-sta forza, e sono molto più in balia della maestra di quanto lamatricola lo sia del professore. Si giocano molto di più conmolte meno armi a disposizione.

Sull’educazione buona

Lascio la parola a Fulvio Papi: «Colui che si pone il problema diuna educazione buona non sa affatto che l’architettura medesi-ma del collegio segna il processo educativo, la camerata nottur-na disciplina il sonno, i grandi corridoi distribuiscono l’interiore eil sociale, i grandi giardini lo scambio del discorso le sue forme. Ilmodo della distribuzione spaziale organizza le finalità di socializ-zazione e la sorveglianza, garantisce l’assegnazione dei ruoli trascolari e maestri e tra scolari e scolari, presiede alla formazionedelle classi, crea le condizioni per il modo comunitario di nutrirsie di vivere collettivamente la nutrizione. Ogni organizzazione edu-cativa ha la sua microfisica: a mente come il corpo dell’educando

Un passo indietroRAFFAELE MANTEGAZZA

La lettera di Gioconda Pietra e Vita Cosentinopubblicata su école di ottobre pone questionitroppo importanti perché questa rubrica non

faccia un passo indietro per cercare diampliare le questioni dibattute

subiscono un processo di tra-sformazione e di adeguazionea vari modelli.» (Papi, Educa-zione, Isedi, 1978, p. 26). Chele maestre subiscano il potereè vero; che alcune di loro lo ri-giochino in modo spesso ver-gognoso (per fortuna non sem-pre, se vogliamo anche in unaminoranza di casi) sui bambiniè una mia invenzione? L’oppo-sizione feroce all’introduzionedei moduli nella scuola elemen-tare non è stato per alcune

maestre (e io qui ho in mente presone con nome e cognome)anche una difesa a oltranza di un potere personale e sacrale?

Sul “paradigma novecentesco di sinistra”

Dispiace molto sentire parlare della sinistra novecentesca, unodei più straordinari momenti di emancipazione e di riflessione,come se si trattasse di uno straccio da buttare. Immagino ilgongolare di Giuliano Ferrara. Io penso che il paradigma marxi-sta, soprattutto nelle tradizioni critiche francofortesi (e in Ita-lia nella linea discontinua che lega Gramsci a Fortini) sia anco-ra utile per leggere la realtà. Anche perché le alternative chevedo in giro sono veramente poca cosa. E soprattutto sono qua-si tutte banali giustificazioni e apologie dell’esistente.

Di che cosa dovrebbe parlare questa rubrica

Sarebbe così bello ed autoincensatorio parlare di me, delle mieesperienze di emancipatore, del mio rapporto con gli studentiimprontato al rispetto e all’emancipazione reciproca. Io non lofaccio: perché francamente ritengo indecente la moda che so-stituisce al necessario e ineludibile “partire da sé” che proprioil pensiero della differenza di genere ci ha insegnato, l’impudi-ca esibizione di quanto si è bravi. L’ho sentito fare, da moltepersone, a seminari e convegni, e lo trovo una squallida esibi-zione di potere. Se è vero che il discorso è sempre collocato, seè vero che occorre sempre sapere chi parla, è narcisistico edisonesto pensare che lo stesso parlante debba anche auto-collocarsi. Diffido di tutte le parole che iniziano con auto-.Sanno di narcisismo e di auto-assoluzione. Per quanto mi ri-guarda credo nella teoria come sedimentazione delle esperien-ze pratiche e professionali di ciascuno, e di questo voglio par-lare. Quanto al mio ruolo di potere maschile in università, pre-ferisco che a parlarne, a criticarlo, a scalzarlo siano le studen-tesse e gli studenti. Che per fortuna, lo fanno. ●

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lotta che si proponeva molteplici obiet-tivi: impedire la distruzione delle forestepluviali equatoriali del Kenya e il conse-guente processo di desertificazione; con-tribuire in tal modo a creare pozzi di as-sorbimento dell’anidride carbonica e ri-durne gli effetti sul cambiamento clima-tico globale; riequilibrare il ciclo dell’ac-qua; evitare il dissesto idrogeologico sullecolline e le montagne; salvare molte spe-cie animali che vivono nella foresta. Mail suo impegno non si è limitato solo allequestioni ecologiche ed è stato rivoltoalle donne, soprattutto le più povere, conuna intuizione semplice e geniale: inse-gnare loro a piantare alberi e coltivarepiccoli orti per rendersi indipendenti dalpunto di vista energetico (legna da arde-re) e alimentare, contribuendo al tempostesso al risanamento ecologico.Nel 1977 fonda il Green Belt Movement,costituito prevalentemente da donne, chein trent’anni di attività riuscirà a pianta-re circa 30 milioni di alberi e diventeràpunto di riferimento di altre iniziativesimili in vari paesi africani. Fautrice diuna politica di autentica sostenibilità, sitroverà sovente a lottare duramente con-tro il governo e contro le varie forme dimaschilismo che opprimono le donne, inAfrica come negli altri continenti. Si scon-trerà con l’allora presidente-dittatore ke-niota, verrà picchiata brutalmente e in-carcerata. Ma, come nelle storie a lietofine, riuscirà, con la sua tenacia e la suaindomita forza morale, a farsi eleggeredeputata in parlamento, sbaragliando let-teralmente gli avversari, tra il tripudiodelle donne che danzeranno in strada pernotti intere, pazze di gioia per questostraordinario risultato, che infine culmi-nerà nell’attuale incarico di ministra ag-giunta all’ambiente.“Piantare alberi, per piantare i semi dellapace”. Questo potrebbe essere lo slogancon cui riassumere il lavoro di Maathai:un messaggio che dovremmo raccogliereovunque, anche noi, per rendere più vivi-bili le nostre città e le nostre campagnee tutelare le zone montane dal dissestoidrogeologico. Quando ci incontriamo perstrada, quando vediamo un amico oun’amica dopo molto tempo, non dovrem-mo solo chiedere «come stai?», ma ag-giungere: «come stanno gli alberi dalletue parti?». Se stanno bene, vuol dire chesiamo sulla buona strada, altrimenti dob-biamo preoccuparci.

Gaviotas

Altri sogni si sono concretizzati nei luo-ghi più impensati del nostro fragile pia-neta. Oltre all’uomo e alla donna che pian-tavano e piantano alberi, esiste nella sper-duta e inospitale selva della Colombia,un intero villaggio che pianta gli alberi:

non a decine o centinaia, neppure a mi-gliaia, come avviene nelle cerimonie for-mali promosse dalle istituzioni (le “festedegli alberi”), ma a milioni, tanto da averricostituito interi boschi là dove non cre-sceva nulla. Gaviotas (gabbiano) è il nomedi questo straordinario esperimento lan-ciato da Paolo Lugari di un «villaggio perreinventare il mondo», per dimostrare cheè realmente possibile coniugare tecnolo-gia e sostenibilità (http://www.friendsofgaviotas.org). Il villaggio conta poco piùdi 200 persone. Da tre decenni, contadi-ni, scienziati, artisti, tecnici hanno lot-tato per costruire un’oasi di sostenibilitàe di immaginazione creativa in un’areamartoriata dal terrore politico della guer-riglia e degli squadroni della morte. Pra-ticano una agricoltura rigorosamente bio-logica e utilizzano fonti energetiche so-lari ed eoliche su piccola scala. Ogni fa-miglia dispone di un alloggio, di pasticomuni e di servizi scolastici gratuiti. Nonci sono armi, polizia, prigioni, né autori-tà amministrative e le Nazioni Unite nehanno riconosciuto ufficialmente lo stra-ordinario valore.

In un’altra illuminante storia, sono nuo-vamente le donne le principali protago-niste, questa volta in difesa degli alberigià esistenti. Sono i Chipko, coloro cheabbracciano gli alberi, un movimentononviolento di ispirazione gandhianasorto negli anni ’70 sulle montagne hi-malayane dell’India del Nord che lottacontro il disboscamento e per difenderele foreste, principale fonte di sostenta-mento per le popolazioni locali. La loroconsapevolezza ecologica si esprime du-rante la lotta con il canto: Abbraccia inostri alberi/ salvali dall’abbattimento./La proprietà delle nostre colline/ salvaladal saccheggio. ●

Talvolta, poeti, scrittori e scienziatiriescono ad anticipare la realtà con vi-sioni che a qualcuno possono semplici-sticamente apparire utopiche. È il casodi Jean Giono, autore, tra l’altro, del fa-moso racconto L’uomo che piantava glialberi (Salani, Milano 1996; Edizioni An-golo Manzoni, Milano 2003), bellissimafiaba ecologica che dovrebbe comparirein tutte le biblioteche scolastiche ed es-sere oggetto di attenta lettura e com-mento da parte di insegnanti e studenti.Ma non sempre i sogni rimangono chiusisolo nelle pagine di un bel libro: posso-no concretizzarsi inaspettatamente per-ché c’è chi è capace di passare dalle pa-role, dalle buone intenzioni, ai fatti con-creti. Con il recentissimo Premio Nobelper la Pace assegnato a Wangari Maathai,donna, ecologista e africana, anche lepersone più distratte e meno informatesono costrette a prendere atto che il so-gno si è concretizzato, da parecchio tem-po, in una donna che piantava gli alberi.Sin dagli anni ‘70, Maathai iniziò la sua

La donnachepiantavagli alberiNANNI SALIO

Esempi concreti dicome donne e uominipotrebbero esserealtrettanto efficaci inaltri campi oltre ladistruzione.Nonostante tutto, lacondizione umananon è disperata.

Con il Premio Nobel per laPace assegnato a WangariMaathai, donna, ecologista eafricana, anche le persone piùdistratte e meno informatesono costrette a prendereatto che il sogno si èconcretizzato, da parecchiotempo, in una donna chepiantava gli alberi

Wangari Maathai

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Settembre. Drammi di soprannumerarietà acquisita per il completamento a 18 ore di tutte lecattedre, continuità didattica ricordo di un tempo lontano, lavorare di più, peggio, in meno,sempre per gli stessi 1.450 euro. E i nostri istituti tecnici che non si sa che fine fanno...Ma la prima assemblea sindacale si dedica tutta a discutere di contratto d’istituto, gestione delfondo aggiuntivo e criteri d’assegnazione del giorno libero: troppe richieste per il sabato (guardaun po’...). Principio dell’anzianità. Si parla anche di sciopero generale alla fine, ma l’atteggiamen-to segnala una frattura: la sfera politica e sindacale mi sembra comunque quella dell’amministra-zione delegata dell’esistente; giorno libero o sciopero generale, tutto da richiedere quasi comeutenti di un servizio. La vita quotidiana nelle classi non è fatto politico ma forma privata disopravvivenza: nicchia separata o di routine quotidiana (comunque protettiva). L’orario che siconquista, allora diventa prezioso.Per avere un “movimento” alle superiori penso che dovrà ricomporsi in qualche modo la schizofre-nia: portare la nostra esperienza di tutti i giorni sulla scena politica (soggetto e oggetto diconflitto). Senza un attraversamento della biosfera scolastica non c’è nessuna partecipazionepossibile, nessuno scenario collettivo di senso condiviso.Qualche pomeriggio dopo, consiglio d’istituto.All’ordine del giorno il corso ECDL (patente europea d’informatica) e un progetto di partnershipper un IFTS, corso postdiploma.L’agenzia con cui dovremmo collaborare nessuno l’ha mai sentita nominare (probabilmente è unodi quegli enti specializzati nell’intermediazione con la Regione, cioè nel vincere i bandi), né checosa si dovrebbe fare: quali conoscenze trasmettere, come, con quale obiettivo, per quale lavoro.Il concetto è che si vedrà facendo, non si può sapere prima perché la risposta deve essere dataimmediatamente visto che il bando scade fra una settimana (i bandi sono quelle cose che scadonosempre fra una settimana). Comunque ci darà prestigio partecipare, le altre scuole lo fanno, chefigura ci faremmo a rifiutare. Qualcuno protesta, faranno fare tutto a noi; qualcun altro, farannotutto loro e noi non potremo mettere bocca. Comunque passa.Il problema per la patente europea d’informatica è che dobbiamo piazzare delle skillcard che ciavanzano. La DSGA presenta la questione così: le risorse vanno recepite sul mercato, questi corsialtri istituti li fanno pagare 700 o 800 euro: noi li possiamo offrire a 600 e ci rimane comunquela metà per le casse dell’istituto. Possiamo essere competitivi. Si tratta di cercare un commercia-lista e ottenere la partita iva. È tutto lavoro in più per la segreteria, ma per i nostri ragazzi è unsacrificio che dobbiamo fare. (Ma come mai il “sacrificio” fa brillare gli occhi dello staff deldirigente di tanta passione?). Perché sia chiaro, i presenti sono tutti contro il governo e sonotutti “di sinistra”. Però non ci possiamo permettere il lusso di essere ideologici e siamo costrettia scendere sul mercato.Penso che siamo ad un aggiornamento un po’ ipocrita della “sinistra patetica” di cui scriveva annifa Starnone. Siamo addolorati di dover trasformare un consiglio d’istituto in consiglio d’ammini-strazione; ci dispiace lanciare i nostri prodotti alla ricerca di clienti, con tanto di campagnapubblicitaria; ma è la modernità, né di sinistra né di destra... Certo se questo è lo scenario, vienevoglia davvero d’affidare tutto a qualcuno che ci creda sul serio e sia meno “dolente”: ci mettapassione e creatività nella mission. In fondo questo spiega bene il caso Italia.Penso che si dovrebbe fare esattamente l’opposto dei miei dirigenti “di sinistra”: lasciar perderele Grandi Dichiarazioni di Principio (anche Vertecchi e Frabboni non hanno problemi con quelle)e ricominciare dalle scelte quotidiane, dalla scuola che si fa tutti i giorni, con ragazze e ragazzi.Non per loro. Ma ci vorrà tempo... ●

Io non vinco, tunon perdiIo non vinco, tu non perdi è lanuova pubblicazione realizzatadall’UNICEF insieme con il CentroPsicopedagogico per la Pace e laGestione dei Conflitti diPiacenza, per approfondire iltema dell’educazione alla pace.Il kit si rivolge agli educatoriche lavorano con studenti di etàcompresa trai 6 e i 18 anni.Lavorando sul conflitto, iragazzi potranno riflettere sulleloro modalità di affrontare ilrapporto con l’altro per maturarecompetenze di relazione, diempatia e di comprensione deibisogni propri e altrui. Il testocontiene letture, casi studio,laboratori, attività didattiche,bibliografia, sitografia efilmografia.Suddiviso per fasce di età dallascuola elementare alle mediesuperiori.

UNICEF - Direzione Attivitàculturali e di comunicazione,tel. 06.478091, fax06.47809270, [email protected], www.unicef.it.

Suola eCostituzioneSul sito di Suola e Costituzione[www.comune.bologna.it/iperbole/coscost], nella sezionenews dal mondo si possonoleggere un articolo sul concettodi scuola pubblica in Francia, unpezzo sulle prime azioni delGoverno Zapatareo sulla scuolain Spagna, e nella pagina “IRC ediritti”, in vista delle iscrizionialle scuole, un’ampiadocumentazionesull’insegnamento della religionecattolica.

La sinistra della partita ivaANDREA BAGNI

Come mai le scuole superiori dormono così clamorosamente sotto ilregime Moratti-Berlusconi, quando erano state tanto attive contro

Berlinguer (e mentre elementari e medie si dannano l’anima contro lariforma)? Il racconto di un’assemblea sindacale e di un consiglio

d’istituto. Forse aiutano a capire

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Quella di Michel de Certeau (1925-1986) è stata una figuradi studioso e insegnante assai particolare. I suoi molteplici interes-si, uniti alla prodigiosa erudizione e a una sfrenata curiosità intel-lettuale, oltre a una profonda indifferenza nei confronti della car-riera accademica, rendono difficile classificarlo secondo parametritradizionali. Membro della Compagnia di Gesù dai 25 anni fino allamorte, partecipò accanto a Lacan alla fondazione della École freu-dienne nel 1963. Il suo insegnamento, sparso tra università parigi-ne di periferia, quella californiana a San Diego, e poi in Messico, inBrasile e in Cile, si esplicava nella maniera più stimolante all’inter-no dei seminari e dei gruppi di studio da lui promossi in tutti iluoghi in cui gli capitava di lavorare. Protagonista del dibattitostoriografico francese degli anni ’70 e grande studioso della misticanei secoli XVI e XVII, le sue ricerche spaziano dalla linguistica allapsicanalisi, dall’antropologia alle culture giovanili intorno al ’68.Ma non solo. Da alcuni anni, infatti, Certeau gode di una grandefortuna presso gli studi culturali in lingua inglese, in particolareper la originale ricerca del 1980 su L’invention du quotidien – con-dotta insieme a Luce Giard e Pierre Mayol – punto di riferimentoessenziale nel rinnovato interesse delle scienze sociali e umane perl’analisi della vita quotidiana.Instancabile ed entusiasta animatore, dal 1971 al 1982, di memo-rabili incontri durante i convegni estivi presso il Centro di Semioti-ca dell’Università di Urbino, Certeau rimane da noi ancora scarsa-mente conosciuto. Lo scritto Che cos’è un seminario?, inedito inItalia, costituisce un’ottima occasione per approfondire il carattereassai speciale di un magistero “senza allievi”, come scrive nellapresentazione Luce Giard, collaboratrice di Certeau e profonda co-noscitrice della sua opera.A chi affronta per la prima volta un autore non facile da avvicinare,forse qualche avvertimento si rende necessario.Come accade con l’intera prosa di Certeau, nel leggere si viene im-mediatamente catturati dalla scrittura elegante e dall’originalitàdella prospettiva offerta, ma allo stesso tempo ci si sente pervasida un senso di incertezza su ciò che si è letto. Di primo acchitoverrebbe quasi da dire: “mi piace ma non lo capisco”. A un secondotentativo le difficoltà di comprensione diminuiscono, ma rimanesempre come la traccia di qualcosa che non è stato del tutto chia-rito, qualcosa che per essere afferrato appieno richiede uno sforzoulteriore; una specie di invito ad approfondire ciò che si è appenacominciato a capire.All’opposto di ciò che fa il seduttore classico, il quale provoca estra-niamento e perdita di sé (sedurre significa infatti essere portativia), la scrittura di Certeau – specchio testuale della dinamica nelseminario, dove sono presenti come modelli ispiratori fondamentaliil transfert analitico e gli esercizi spirituali ignaziani – attira senza

annullare, accoglie senza imprigionare; ascolta “ciò che non vi [è]detto”. Contrariamente a quanto accade con la seduzione vera epropria, la pagina certiana attiva un processo di ri-conoscimento,di sé e degli altri, e anche dell’oggetto di ricerca intorno al quale siè costituito il seminario. Questo risultato si ottiene per effetto diun rovesciamento completo rispetto alla dinamica tipica dei luoghicanonici deputati all’insegnamento e dei gruppi che li costituisco-no: non l’approfondimento di un certo problema o argomento im-posti dall’esterno, né una applicazione meccanica di tecniche eobiettivi formativi, ma il rispetto delle soggettività e la valorizza-zione della pluralità insita in ogni gruppo.Simili aspetti hanno il potere di attribuire a pagine scritte nel lon-tano 1977 i caratteri di una preziosa e incomparabile inattualità.Nel momento in cui scuola e università hanno smesso di costituireluoghi significativi di crescita e di confronto culturale tra genera-zioni, i suggerimenti contenuti in Che cos’è un seminario? offronoinfatti numerosi motivi di interesse per chi insegna e apprende.Anziché voler raggiungere obiettivi di eccellenza artificiosi, pro-grammati burocraticamente, qui la pratica didattica è intesa comegioco, scambio assai vario senza un nucleo né una direzione unici.Il seminario certiano non si colloca a un livello superiore ed esclu-sivo rispetto a quelli tradizionali esistenti nella maggioranza discuole e università: viene al contrario concepito come uno spaziotransitorio nella vita di ciascuno/a; si pone, cioè, come luogo nonproprio. Questa “a-topicità” è basata sulla convinzione che il semi-nario ha caratteristiche affini a quelle della vita ordinaria, non èestranea né esterna a chi vi prende parte, e cerca di rendere visibile“ciò che accade effettivamente” quando ci si riunisce in un gruppodi studio: “le procedure della ricerca, egli scrive, non sono fonda-mentalmente distinte dalle procedure o dalle “maniere di fare” co-muni”.Tali caratteristiche, spiega Certeau, sono ingredienti basilari pergarantire la pluralità e la convivenza delle differenze all’interno delgruppo, e per aprire così la strada sia alla storia (il tessuto cheunisce i partecipanti e conferisce identità di appartenenza al grup-po) che alla politica (lo spazio nel quale si rendono possibili ilconfronto, il conflitto, l’accordo): sono queste – oggi come trent’annifa – componenti irrinunciabili di pratiche didattiche non autorita-rie e di esperienze creative nel lavoro intellettuale.

NOTARingrazio la professoressa Luce Giard per aver consentito la pubblica-zione del saggio di Certeau su école, accompagnato dalla sua limpidapresentazione. Ringrazio in modo particolare, inoltre, il professor LuigiMantuano, per aver lavorato con generosità e competenza alla tradu-zione italiana.

Che cos’è un seminario?Un testo di Michel de Certeau, figura originalissima di storico e di pensatorefrancese, presentato da Paola Di Cori e da Luce Giard – a lungo collaboratrice diCerteau e curatrice delle opere dopo la morte – può diventare il punto di partenzaper una riflessione sulla possibilità di trasformare luoghi di trasmissione del saperetradizionali, in spazi vitali aperti alle differenze, e avviare pratiche di lavorointellettuale strettamente collegate con le dimensioni della quotidianità

Michel de Certeau,maestro senza discepoliPAOLA DI CORI

Considerato tra i più importanti intellettualifrancesi della generazione che includeFoucault, Derrida, Cixous, Irigaray, Lyotard,quella di Michel de Certeau (1925-1986) è unafigura di studioso e insegnante assaiparticolare

Opere principali di Michel de CerteauLa Prise de parole, Paris, 1968.La possession de Loudun, Paris, 1970.L’écriture de l’histoire, Paris, 1975.L’Invention du quotidien. Arts de faire, vol. I, Paris, 1980.La Fable mystique, Paris, 1982.

In traduzione italianaPolitica e mistica, Milano, 1975.La scrittura della storia, Roma, 1977.Fabula mistica, Bologna, 1987.L’invenzione del quotidiano, Roma, 2001.

Studi su Michel de CerteauLuce Giard (a cura di), Michel de Certeau, “Cahiers pour un temps”,Centre Georges Pompidou, Paris, 1986.Jeremy Ahearne, Michel de Certeau, Cambridge, 1996.AA.VV. Michel de Certeau. Les chemins de l’histoire, Paris, 2002.François Dosse, Michel de Certeau. Le marcheur blessé, Paris, 2002.AA.VV. Michel de Certeau, histoire/ psychanalyse. Mises à l’épreuve, Espa-cesTemps, Paris, 2002.

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A partire dal 1972, e fino alla sua partenza per l’Universitàdi San Diego, California, Michel de Certeau ricopre un insegnamen-to all’Università di Parigi VII, presso il Dipartimento di antropolo-gia, etnologia e scienza delle religioni, diretto da Robert Jaulin. Inparticolare, dal 1974 al 1978, ci fu un seminario di dottorato (perla formazione alla ricerca) che per la brillantezza, l’originalità, laricchezza delle fonti, dei metodi e delle teorie confrontate, la di-versità delle esperienze che vi si incrociarono, ha lasciato tra colo-ro che vi parteciparono un ricordo incomparabile.Il seminario aveva per oggetto “le pratiche culturali”. Al centrodell’attenzione vi erano temi riguardanti tutti gli aspetti dell’an-tropologia culturale: le società vicine o lontane di cui si indagavail passato ed il presente, il dire e il fare, i processi di simbolizza-zione, i rapporti tra le generazioni e i sessi, i codici e i riti, e millealtre cose. Per Certeau, questo seminario fu il luogo di sperimenta-zione entro il quale elaborò le grandi linee di ciò che in seguitoteorizzò e argomentò ne L’Invention du quotidien (Paris, UGE, 10-18, 2 tomes, 1980; nouv. éd. Luce Giard, Paris, Gallimard, Folio,1990-1994; traduzione italiana Roma, edizioni Lavoro, 2001). Permolti dei partecipanti, questo luogo aperto, multiplo, contraddit-torio, segnato da un «inquietante perturbamento» (secondo le paroledi Freud), fu fonte di stimoli e spesso il catalizzatore di profondetrasformazioni. Si arrivava con delle domande, si andava via senzarisposte, turbati o incuriositi, spogliati delle proprie certezze pre-cedenti, rinviati a una sorta di libertà interiore, o piuttosto comemessi in movimento, richiamati alle proprie esigenze, attenti adaltri interrogativi.Così procedeva Michel de Certeau, con tocchi leggeri e discreti,interrogando o articolando le intenzioni dei partecipanti, sugge-rendo loro altre letture, altri incroci, mettendo da parte il ricorrerealle certezze che si presentavano per prime, senza insistenze nésoluzioni definitive. Sapeva rimanere con un’eleganza naturale «ilmaestro che non voleva avere dei discepoli», come nota giusta-mente un giovane antropologo brasiliano, attore di questo meravi-glioso teatro. Senza pesare sul suo auditorio, senza avanzare deiprincipi incrollabili, senza difendere una teoria o un metodo esclu-sivo, Certeau fece di questo seminario un luogo indimenticabile, in

Presentazione diChe cos’è un seminario di Michel de Certeau

LUCE GIARD *

Che cos’è un seminario?Michel de Certeau *

Un caquetoir (luogo di chiacchiere)

cui fu portato a termine un buon numero di tesi di dottorato. Laloro qualità e diversità sono la testimonianza di una singolare ca-pacità per far nascere o piuttosto per cogliere ciò che di originalesi rifletteva oscuramente in ciascun interlocutore. Tutte le parole,tutti i progetti ricevevano da parte sua la stessa attenzione e ri-spetto, e il suo autore si vedeva dolcemente sostenuto e accompa-gnato fino a che giungeva ad articolare pienamente la propria in-tenzione, a costruire il proprio progetto. Allora «colui che non eraun maestro» si metteva da parte per «fare spazio all’altro», comeamava ripetere, «cosicché potesse nascere dell’altro».Di questo modo di insegnare, generoso e lucido, così ricco d’intel-ligenza come di delicatezza, tutti cercavano di comprendere il se-greto. Del loro desiderio di comprendere da dove fosse venuta que-sta «composizione di luogo» (solo uno o due studenti più familia-rizzati con la spiritualità ignaziana vi hanno saputo riconoscerequesto segno), il testo che segue rende testimonianza. Inizialmen-te ha avuto la forma di dialogo tra Michele de Certeau e Yan deKerorguen, complice attento e acuto del seminario (su quest’ultimosi veda François Dosse, Michel de Certeau le marcheur blessé, Paris,La Découverte, 2002, p. 398-401). Il dialogo fu pubblicato su unmodesto giornale di studenti all’interno del Dipartimento di antro-pologia (La brochure ethnologique, Université de Paris VII, n°3,mai 1977, pp. 5-12). Abbreviato e rivisto in qualche punto da Mi-chel de Certeau, il testo è stato ripreso in un dossier dedicato allasituazione universitaria francese dalla rivista Esprit (novembre-dé-cembre 1978, pp. 176-181), come un ultimo saluto a colui che nonc’era più: in quella data, l’autore aveva già raggiunto il nuovo inca-rico di professore in California. Questa seconda versione è stataripubblicata in seguito su una rivista di psicoanalisi (Le Bloc-Notesde la psychanalyse, Genève, n. 7, 1987, p. 239-247), in un dossiersu “Educazione e psicoanalisi” coordinato da Mireille Cifali, nel qualesia lei che Anne-Marie Chartier offrono ciascuna dei puntuali com-menti sull’apporto di Certeau in materia.

* Copyright Luce Giard per questa nota e il testo di Michel de Certeau intutte le lingue.

Un Seminario è un laboratorio comune che permette a cia-scuno dei partecipanti di articolare le proprie pratiche e conoscen-ze. È come se ciascuno vi apportasse il “dizionario” dei propri ma-teriali, esperienze, idee e che, per effetto di scambi necessaria-mente parziali e di ipotesi teoriche necessariamente provvisorie,con questo ricco vocabolario riuscisse a produrre delle frasi, cioè a“ricamare” o a organizzare in discorsi le sue informazioni, le suequestioni, i suoi progetti, ecc. Questo luogo di scambi instauratoripotrebbe essere comparato a quello che, nella Loira, si chiama uncaquetoir, l’appuntamento settimanale sulla piazza principale, la-boratorio plurale, dove dei “passanti” si fermano la domenica perprodurre nello stesso tempo un linguaggio comune e dei discorsipersonali. Un Seminario mette così in causa una politica della pa-rola, come vedremo. Tuttavia in rapporto al caquetoir esso presentala differenza di non essere il solo appuntamento per le chiacchierema solamente un luogo di linguaggio tra molti altri in una rete chenon comporta più né piazza principale né centro.Così gli effetti della produzione del discorso che mette in attonon sono che tangenziali in rapporto alla ricchezza crescente esilenziosa dei viaggiatori che si fermano un momento in questa

stazione. Mi sembra che il primo compito, in un Seminario, sia dirispettare ciò che non viene detto, e ancora di più ciò che visuccede all’insaputa, dunque di moderare la propria voglia di arti-colare, forzare, coordinare gli interventi di ciascuno: vengono datroppo lontano per poter essere interpretati; vanno troppo lonta-no per poter essere circoscritti in un “luogo comune”.Se il caquetoir di Parigi VII crea degli eventi, come tu dicevi, puòessere perché noi cerchiamo, e, da parte mia, io cerco di “tenerlo”(come si “tiene” una direzione) tra due modi di dare a un Semina-rio un’identità ripetitiva che esclude l’esperienza del tempo: l’uno,didattico, suppone che il luogo è costituito da un discorso profes-sorale o dal prestigio di un maestro, cioè dalla forza di un testo odall’autorità di una voce; l’altro, festoso e quasi estatico, preten-de di produrre il luogo tramite il puro scambio dei sentimenti edelle convinzioni, e infine tramite la ricerca di una trasparenza diespressioni comuni. Tutti e due sopprimono le differenze al lavoroin un collettivo, –il primo schiacciandole sotto la legge di unpadre, il secondo cancellandole illusoriamente nel lirismo indefi-nito di una comunione quasi materna. Si tratta di due tipi diunità imposta, l’uno troppo “freddo” (che esclude la parola dei

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partecipanti), l’altro troppo “caldo” (che esclude le differenze diposizione, di storia e di metodo che resistono al fervore dellacomunicazione).L’esperienza del tempo comincia in un gruppo con l’esplicitazionedella sua pluralità. Occorre riconoscersi differenti (di una diffe-renza che non può essere superata da nessuna posizione magi-strale, da nessun discorso particolare, da nessun fervore festoso)perché un Seminario si trasformi in una storia comune e parziale(un lavoro sulle e tra differenze) e perché la parola vi divenga lostrumento di una politica (l’elemento linguistico di conflitti, diaccordi, di sorprese, insomma di procedure “demo-cratiche”).Certi nostri Seminari hanno conosciuto dei momenti di euforiacontagiosa o di “dinamiche di gruppo”, e anche dei momenti incui veniva la richiesta che, dal mio punto di vista particolare, iocollocassi e riassumessi in un discorso gli interventi dei parteci-panti. Se da una parte è normale che questo accada, tuttavia nondovrebbe essere la norma, perché ciò compromette quella che, inun gruppo, può essere esperienza politica della parola (dei rap-porti discreti di forza), creazione di eventi nel tempo (delle “na-scite” grazie alla relazione con l’altro) e produzione di un lin-guaggio dialogico (una comunicazione relativa a delle differenzemantenute) – tre elementi che vanno alla pari.La mia posizione sarà dunque piuttosto quella di esplicitare lamia posizione (invece di nasconderla sotto un discorso suppostocapace di inglobare tutti gli altri), di mostrarne le conseguenzepossibili, teoriche e pratiche, nella discussione di gruppo, e direagire reciprocamente a quelli che intervengono con una modali-tà interrogativa per spingerli ad esprimere la loro differenza, e atrovare nelle suggestioni che io posso fare il mezzo per formularlapiù chiaramente. I “modelli” teorici proposti hanno per funzionedi delineare dei limiti (la particolarità della mia questione), e direndere possibile degli scarti (l’espressione di altre esperienze edi altre questioni). In questo modo si avvia il lavoro comune checrea degli eventi: una serie di differenziazioni permette a ciascu-no di specificare passo dopo passo il proprio cammino nella mas-sa delle informazioni che si scambiano.

Lavori di pratiche

Alla fine, che cos’è un seminario? Cos’è stato il nostro? Comepensare la nostra pratica? Oscillando tra la storia di ciò che abbia-mo già fatto e l’utopia di ciò che si dovrà fare, zigzagando inquesto spazio tra-due, vorrei soltanto fissare alcuni punti che pos-sano essere sulla carta i segnali del nostro viaggio.

1) Parto dal postulato che per quanto concerne il nostro lavorol’Università non è più il luogo né un luogo di ricerca. Per alcuni dinoi non è né il campo di un confronto tecnico e professionale conil reale, né l’oggetto d’investimenti politici, intellettuali, o amo-rosi. Nel nostro gruppo, le pratiche effettive di ciascuno si svol-gono fuori da Parigi VII. D’altra parte, nello spazio pubblico emarginale che è diventata l’Università, si possono effettuare degliincontri regolari, capaci di creare uno scarto in rapporto ai luoghidifferenti da cui veniamo e dove lavoriamo. Altrimenti detto, unSeminario può produrre dei modi di prendere le distanze in rap-porto ai nostri compiti e delle possibilità di ritornarvi in mododifferente. Nel lavoro di ciascuno, apre una porta di uscita e dirientro. È una specie di cursore che cambia con discrezione il o iluoghi delle nostre pratiche effettive in scene dalle quali ci si puòdistaccare per pensare e rivederne l’azione. Permette dunque unlavoro ai bordi (sui bordi). Questo cursore non si potrà costituirecome un doppione speculare dei luoghi abitati, come uno spaziodove essi potrebbero essere progettati e espressi: non è né ilcontrario né lo specchio della scena ma un margine che rendepossibile qualche operazione di correzione sul testo. Ancor menoè un luogo autonomo in cui un sapere potrebbe costruirsi in pace.Introduce solamente un gioco nell’opaca normatività dei luoghi dilavoro.Questo gioco di (e sui) luoghi apre uno spazio critico. Ha una dop-pia condizione di possibilità:a) per non trasformarsi in una lusinga, in spettacolo illusorio, in un

simulacro di sapere, la pratica del gruppo deve essere determinatadall’elaborazione dei suoi rapporti con la sua “esteriorità”, o piut-tosto dalla sua situazione di non essere che una procedura di uscitae di rientro relativa a delle localizzazioni sociali, professionali, fa-miliari, ecc;b) ma esso “esercita” questa funzione di scarto critico a causadell’incrocio di esperienze che vi entrano e vi escono, vale a direper un lavoro di confronto tra delle ricerche che il Seminario noncrea. Cioè, i discorsi del gruppo sono definiti sia dal fatto di essereseparati o privati delle pratiche e dei luoghi che analizziamo insie-me, sia da una pratica della parola, da una gestione comune deinostri scambi socio-linguistici.

2) In questo spazio appartato (questo studio quasi insulare, al 5°piano di Parigi VII), quali erano, quali potevano essere le nostrepratiche?Generalmente parlando, hanno per caratteristica di salvaguardare aquesto posto il ruolo di essere un luogo di transito. Non hannodunque come finalità la costruzione di un sapere con le pietre porta-te da ciascuno, e di edificare così un luogo proprio. Al contrario,come gli “svincoli” stradali o gli shifters linguistici, sono delle proce-dure di “passaggio all’altro” o di alterazioni. Vengono a restaurarenel luogo (che si dice “proprio”) del sapere le sue relazioni con il suocontrario che comporta al tempo stesso una disappropriazione e unaoscenità. Insomma, noi inficiamo il luogo “proprio”, come i bambinireintroducono la loro storia nel testo adulto riempiendolo di macchiee di pasticci. Un modello di questa operazione è fornito da Freud conil ritorno di ciò che è stato rimosso: nel posto che si è voluto “pro-prio” grazie ad una eliminazione dell’altro, ecco che il rimosso riap-pare come qualcosa che ritorna e altera, “macchia” e ossessiona iluoghi. Questo modello è servito da punto di partenza al nostro Se-minario di quest’anno, perché comporta molte implicazioni che met-tono in causa diverse specie di luoghi propri (il luogo proprio delsoggetto del sapere in rapporto all’oggetto studiato, il luogo propriodi una scientificità in rapporto a delle pratiche sociali o letterarie,ecc.), e permette di analizzare i ritorni dell’altro nello stesso spazioche si è creduto autonomo. Due momenti di questo processo sono, inparticolare, nettamente articolati: da una parte, una distinzione oseparazione tra il “proprio” e il “non-proprio”; dall’altra parte il mi-scuglio e come la “bastardaggine” di ciò che accade lì dove soprag-giungono dei fantasmi che non dovrebbero trovarsi là.Il nostro metodo potrebbe avere per fondamento una teoria dellabastardaggine. Non che essa abbia per scopo di trasgredire e attra-versare le frontiere stabilite. Si tratta piuttosto di rendere contodi ciò che accade effettivamente: il coinvolgimento del soggettonel suo studio, il ritorno della finzione nella scientificità, la poro-sità tra le procedure “tecniche” e i modi di fare “comuni”, le am-bivalenze dei luoghi, ecc. Fenomeni di passaggio, di combinazio-ni, di relazioni tra elementi differenti nello stesso spazio, ecc.,chiedono di essere analizzati per se stessi, allo scopo di far sì cheuna teoria espliciti le regole e i modelli conformi a ciò che real-mente è l’esperienza della ricerca. Bisogna trovare un rigore pro-porzionato a questa promiscuità o bastardaggine dei fatti, e smet-terla di giustapporre all’esperienza di lavoro una definizione oni-rica e atopica dei campi “propri”.Nella pratica di un Seminario, si colgono delle procedure d’analisie dei modi d’interrogazione che occorre specificare maggiormen-te: l’alternarsi tra le sedute dedicate a delle esposizioni su deimodelli teorici e le sedute riservate a dei racconti, storiografie diricerche concrete (il che rende possibile degli effetti delle unesulle altre senza confonderle); il privilegio accordato alla narrati-vità come strumento di analisi, in quanto è un’interconnessionedi dati osservati e di investimenti soggettivi e anche la combina-zione di una teoria esplicativa referenziale e delle sue eccezioni;l’esame dei conflitti di potere impliciti negli scambi di parole;l’esplicitazione della storia (una pluralità di strati e di interazio-ni) che è rinchiusa in uno stesso luogo, e che fa in realtà diciascun luogo un’esperienza ambivalente del tempo; l’eterogenei-tà nell’atto dell’enunciazione e il sistema di enunciati in cui essasi produce, ecc.Tutti questi procedimenti rinviano all’oggetto della nostra ricer-ca. Il fatto è che le pratiche della nostra analisi non possono

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essere eterogenee rispetto alla pratiche socio-culturali che stu-diamo. Questa posizione di principio è legata al fatto che il Semi-nario non costituisce un luogo “proprio” e che le procedure dellaricerca non sono dunque fondamentalmente distinte dalle proce-dure o dalle “maniere di fare” comuni. Dal solo punto di vistametodologico è stato importante che il Seminario viaggiasse fuorida Parigi VII, come abbiamo fatto, per esempio, ritrovandoci indiversi altri luoghi – nel caso in cui ci fossero delle riunioni ulte-riori non previste dal calendario universitario. Oltre al fatto chequeste “uscite” permettevano delle esperienze più concrete e de-gli scambi più liberi, esse spezzavano la “finzione” seduttrice diun luogo e di un tempo propri. Esplicitavano o restauravano larelazione del nostro lavoro con la sua “esteriorità”. Attraversandole frontiere artificiali tra le pratiche di un Seminario e le praticheche ne sono in principio escluse (mangiare, bere, parlare dellastoria personale legata ad un lavoro, fare l’esperienza di una retelocale in cui si scrive una ricerca, ecc.), facilitano una chiarifica-zione reciproca delle nostre “maniere” di studiare e delle manieredi fare che studiamo. Ci toglievano dunque l’illusione di una spe-cificità scientifica che è in gran parte sostenuta dal solo fatto diriunirsi in un luogo universitario e stimolavano tramite la perce-zioni di aspetti ignorati l’esigenza di analizzare l’astuta comples-sità delle più semplici pratiche.

3) Quanto alle pratiche socio-culturali, oggetto del Seminario, essenon designavano evidentemente dei comportamenti obiettivi, bensìdelle operazioni trasformatrici: delle maniere di leggere (di produrreun senso attraversando un testo), di dirsi in una lingua che non è lapropria, di truccarsi (di crearsi un volto nel codice delle simulazionisociali), di organizzarsi delle traiettorie in un ordine urbano costitu-ito, di “fare dei tagli” nell’intreccio di una politica locale o di unsistema famigliare, ecc. Ciascuna di queste pratiche è un’arte di gio-care in uno spazio imposto (un ordine) e con una congiuntura (del-le “occasioni”). Ho chiamato tattiche questi modi di “rigirare” ifatti imposti da un sistema dominante e di crearvi un gioco perdelle combinazioni temporanee. Le distinguo dalle strategie, cheindicano la capacità di isolare un luogo autonomo di potere, diesplicitarvi un volere proprio, e di calcolare dei rapporti di forzacon un “ambiente” circoscritto. Il nostro proposito era di analizza-re queste tattiche, manipolazioni instabili e relazioni stabili, astu-zie legate ad un non-potere e all’istante, operazioni complesse fon-date su un “flair”, e di domandarci quali modelli teorici e quali tipidi scrittura potessero renderne conto. Questione tanto più impor-tante perché queste “tattiche” costituiscono l’immensa maggioran-za delle pratiche sociali, e perché l’osservazione scientifica ne con-serva spesso soltanto ciò che è conforme ai suoi schemi procedura-li, supposti più razionali ma in tutti i casi semplificativi.Iniziato dalle ricerche sulla cultura popolare e sul funzionamentoeffettivo delle rappresentazioni, questo lavoro pone delle questioni:la creatività dei «consumatori», poeti e artisti sconosciuti; la rela-zione di questa arte di “fare dei tagli” con il sistema dentro il qualesi sviluppa; l’omologia con le con le “precise azioni” sociali e politi-che; l’esperienza del tempo che implica una pertinenza dell’istante inqueste tattiche; il rapporto di queste astuzie con i luoghi in cui siproducono e che possono essere analizzati come dei puzzle di fram-menti stratificati che giocano gli uni sugli altri; la funzione di questetattiche, suscettibili di essere considerate come delle articolazionioperative tra dei sistemi (codificazioni prodotte) e dei corpi (luoghiopachi e determinati, di bisogni e di piaceri); le rivoluzioni silenzio-se prodotte da questa attività brulicante, ecc. Ma tutte queste que-stioni compongono il vocio del nostro caquetoir.

Luoghi della ricerca

D’altra parte bisogna sottolineare che, in rapporto al CNRS [Centrenational de la recherche scientifique] o ad altre istituzioni spessoformate da luoghi inaccessibili, per privilegiati senza responsabilitàsociale e senza una regolare relazione con il crescente flusso dellericerche degli studenti, le università offrono spazi di confronto per-manenti con le domande e le innovazioni che i “ricercatori” patentatinon percepiscono più. Mi sono sistemato a Parigi VII per questo. Alle

grandi scuole “famigliari” o alle strutture insulari della Ricerca, homeper un’intelligenza tranquilla da sola, preferisco questi luoghi uni-versitari (del resto lentamente proletarizzati in rapporto ad una éliteche gli sta di fronte): lì è possibile una viva collaborazione con tuttiquelli che, anche se la loro presenza è già l’effetto di una selezione,arrivano viaggiando tra esigenze, esperienze e ambizioni venute datutte le parti, da molto lontano. Certo, la “miseria” dilaga in questiluoghi. Ma proprio per questa ragione può essere che l’intellettualetrovi in questa collaborazione un’altra figura sociale e un altro ruolotecnico, molto più che nelle celle ad aria condizionata in cui si giu-dica con disprezzo la degradazione delle università.Detto ciò, le università non saprebbero essere trasformate in casechiuse del sapere o di un potere del sapere. Del resto è da un belpezzo che, almeno nelle UER [Unités d’enseignement et recherche]di scienze umane, gli studenti e molti insegnanti lo sanno. Lo dice-vamo poc’anzi a proposito di un Seminario particolare, si trattapiuttosto di cercare come il lavoro che si fa là, pubblico e margina-le, possa articolarsi sull’insieme delle pratiche sociali. Questa con-nessione verrà fuori da costrizioni economiche, esperienze scienti-fiche e da confronti politici.Per terminare sottolineerei soltanto tre punti che risaltano dalla no-stra ricerca particolare.a) Un lavoro teorico e tecnico (la critica ideologica non è sufficiente)si deve basare sul taglio sociale sul quale si articola la costituzione dicampi intellettuali “propri”: la separazione tra ciò che è «scientifico»e ciò che non lo è. Così l’analisi delle pratiche o “maniere di fare”come noi le interpretiamo mostra, da una parte e dall’altra di que-sta frontiera, la presenza dello stesso tipo di cosa di ciò che si fa,gli stessi “tagli” relativi ad una congiuntura e a dei destinatari,ecc. Ma la parvenza delle istituzioni scientifiche (e tutte le inizia-zioni necessarie ad una aggregazione) fa passare le pratiche inter-ne per qualitativamente superiori alle pratiche “esterne” e proteg-ge questa differenza. Può essere, in questa prospettiva e malgradoil terrorismo primario che ha generato in Lyssenko, che si debbaritornare al principio iniziale della “scienza proletaria”: vale a direche esiste una scienza delle pratiche dell’operaio o della casalingacome del ricercatore, e che non si può gerarchizzare la loro compe-tenza in base a criteri sociali.b) Il lavoro di restituire la sua legittimità socio-culturale e di darefigura teorica a queste “maniere di fare” comuni ha portata politi-ca, nella misura in cui esse contribuiscono a fornire dei riferimentiper un’azione collettiva. La presa di coscienza politica di esperien-ze sociali per lungo tempo ridotte al silenzio ha sempre avuto percondizione di possibilità la produzione di analisi tecniche, di espli-citazioni teoriche, di rivalutazioni simboliche. Così è stato per del-le culture oppresse o per dei comportamenti repressi. Da questopunto di vista, la nostra ricerca, legata ad altre, senza dubbio nonè direttamente un’azione politica, ma le prepara degli strumenti.D’altra parte essa s’inscrive necessariamente in una rete di impegnipolitici preliminari e congiunti.c) Proprio per il suo oggetto come per le sue prospettive, questoprogetto non potrà essere circoscritto in un luogo universitario.Esso implica un gioco su una pluralità di luoghi. Il passaggio perio-dico sulla scala di una università non rappresenta che una punteg-giatura di momenti critici nel testo delle nostre attività sociali.Questa operazione universitaria non può, mi sembra, essere “gesti-ta” nella sua funzione marginale, dalla sola autocritica né dallasola elucidazione dei suoi necessari rapporti con le esperienze chel’attraversano di tanto in tanto; le occorre essere legata in manierapiù strutturale con dei luoghi d’azione e con delle effettive collet-tività. Occorrerà dunque considerare delle relazioni più strette traunità universitarie e nuclei sociali fortemente impiantati – le primepiù aperte gli altri più stabili. Non per una confusione di generi,che è sempre nefasta, ma in vista di connessioni nel mantenimentodelle differenze. Ne abbiamo parlato a proposito delle relazioni pos-sibili tra l’UER di etno-antropologia e altri luoghi. Ci sono sicura-mente altre formule. Se, come io credo, la teoria si colloca semprein uno scarto in rapporto all’istituzione, essa troverà in questa strut-tura plurale la sua condizione di possibilità. ●

* Traduzione dal francese di Luigi Mantuano.

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le culture

▼dove studiare nel pomeriggio (la stanza,quando c’è, coincide con la casa, dovevivono e lavorano anche 6 - 7 persone).«Se poi un genitore muore o si ammala,la figlia maggiore viene subito ritiratadalla scuola, perché deve occuparsi deifratelli», dice Lulseged Erkihan di Ifso(Integrated family service organisation)un’organizzazione non governativa diAddis Abeba (la capitale dell’Etiopia). Ifsosi occupa, tra le varie attività, di aiutarefamiglie in difficoltà a pagare gli studi ailoro figli, attraverso un programma disostegno a distanza, portato avanti in

collaborazione con il CIAI (Centro Italia-no Aiuti all’Infanzia, tel 02/540041 owww.ciai.it).«L’istruzione delle bambine porta benefi-ci a tutti»: lo slogan campeggia dai car-telli della campagna Unicef per l’alfabe-tizzazione femminile. Si vedono ovunque,ad Addis Abeba (ma non nelle campagne),sistematicamente ignorati dal “paesereale”.Per dirla con Althusser, come sempre ilsistema scolastico riproduce e perpetuale differenze sociali. Chi può permetter-selo, frequenta una scuola privata, ma-

La scuola in EtiopiaFRANCESCA CAPELLI

In Etiopia la scuola pubblica inizia a 6 o 7 anni ed è gratuita. Eppure menodel 60 per cento dei bambini la frequenta. La maggior parte delle famiglie,infatti, non può permettersi l’acquisto della divisa, obbligatoria (5-7 euro),

né di libri, quaderni, biro e altro materiale

Non esiste in Etiopia un obbligoscolastico, inteso come diritto per il bam-bino e dovere della società e della fami-glia. La qualità dell’offerta educativa èbassa, su stessa ammissione degli etiopi.Le classi sono sovraffollate, con 80 - 100studenti. Le attrezzature e gli edifici,obsoleti o fatiscenti. I libri, modesti neicontenuti e poco allettanti nella grafica(anche perché nessuno avrebbe i soldi percomprare volumi stampati in quadricro-mia).E poi, pesano i fattori sociali. Pochi ra-gazzi hanno a disposizione una stanza

Una studentessa del centro di formazione professionale dell'Ifso (foto Francesca Capelli).

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Il centro diriabilitazioneminorile

Ad Addis Abeba si trova l’unico centrodi riabilitazione minorile del paese. Peri minori di 9 anni, la legge etiope nonprevede né l’imputabilità né la punibili-tà. Dai 9 ai 15 anni, il minore che com-pie un reato viene inviato a un centrodi riabilitazione (dovrebbe essercene unoin ogni regione, ma quello della capita-le è l’unico realizzato). Dopo i 15 anni,invece, sono previste le stesse punizio-ni degli adulti, compreso il carcere. Conla differenza che i minori di 18 annidovrebbero essere detenuti in aree se-parate. «Ma questo non avviene quasimai e finiscono con gli altri carcerati –ammette con amarezza Leyew Tegegne,direttore del centro di riabilitazione diAddis Abeba –. Il nostro obiettivo, qui,sarebbe proprio evitare che i ragazzi fi-niscano in una vera prigione. Tentiamodi offrire istruzione e formazione pro-fessionale. Ma le nostre attrezzaturesono vecchie e inadeguate e il persona-le insufficiente». Nel laboratorio di tes-situra, per esempio, c’è un unico telaioper una ventina di studenti. «Così, quan-do i ragazzi escono di qui, non trovanolavoro – prosegue il direttore –. Perchéè difficile per tutti, dato l’alto livello didisoccupazione. Perché la loro formazio-ne è insufficiente. Perché poche perso-ne sono disposte ad assumerli. E fini-scono per commettere nuovi reati, ri-schiando la prigione vera».Leyew Tegegne e il suo staff sono pro-fondamente convinti che il counsellingsia la strada migliore per modificare ilcomportamento dei giovani che hannocommesso reati (quasi sempre furti econsumo di droga, i delitti più gravi sonorari). Ma il personale è poco. Una psico-loga, Abaynesh Merga, deve seguire dasola un centinaio di adolescenti. «Pos-so soltanto organizzare counselling digruppo, nei quali si parla dei reati com-messi, degli effetti della droga, dei pro-blemi alla base dei comportamenti de-vianti – spiega –. Mentre molti ragazziavrebbero bisogno di un intervento in-dividuale».Come politica interna, la scuola cerca diassumere personale disabile. Sia la psi-cologa, sia alcuni insegnanti sono nonvedenti. Un esempio di civiltà in un pa-ese che prevede ancora le classi specialiper gli alunni con handicap.

gari gestita direttamente dal governo diun altro paese. Proprio ad Addis Abeba,per esempio, c’è una scuola italiana, cheaccoglie studenti dalla materna alle su-periori (tecnico-commerciale, geometri eliceo scientifico).

Bassa qualità, alta competizione

Nel sistema statale etiope, dopo la deci-ma classe, è previsto un esame di stato,dal cui risultato si deciderà il destinodell’alunno. I bocciati ingrosseranno lefile dei dropout. Chi viene promosso conun voto basso sarà orientato verso la for-mazione professionale. Solo chi ottieneun’ottima votazione sarà ammesso alla“scuola preparatoria”, della durata di dueanni. Dopodiché dovrà affrontare un ul-teriore esame, l’equivalente della nostra“maturità”. Per accedere all’università,bisogna superarlo con il massimo dei voti.Nella consapevolezza che per le ragazzeproseguire gli studi è comunque più dif-ficile, il sistema prevede che le studen-tesse possano iscriversi a corsi universi-tari con risultati più basse.«Malgrado ciò, l’accesso è diventato moltoselettivo», dice Mekdes Zelelew, fonda-trice e direttrice di Ifso, dopo 24 anni dilavoro al ministero dell’Infanzia e dellafamiglia. «Fino all’anno scorso la condi-zione di studente universitario era moltovantaggiosa. Tutto gratuito: frequenza,alloggio, mensa… Ora sono state intro-dotte varie tasse. Gli studenti meritevolipossono però usufruire di prestiti d’ono-re». Insomma, “andare all’università” eragià in sé un mestiere, ambito per giunta.«Si è cercato di mettere un freno a que-sta tendenza», continua Zelelew. «Di con-seguenza, a fronte di una maggiore diffi-coltà d’accesso, sono spuntate come fun-ghi sedicenti università private. In molti

casi si tratta di scuole di formazione pro-fessionale, che offrono semplicissimi corsidi computer o di tecniche aziendali, nien-te di più di un training pratico. Spaccian-dolo come laurea».

Un sostegno ai dropout

Il destino dei dropout è facilmente pre-vedibile: senza alcun titolo di studio,impossibilitati a trovare un lavoro paga-to in modo decente (in molti casi il sala-rio non basta a coprire nemmeno le spe-se di trasporto), ingrosseranno le file deidisoccupati e di coloro che vivono di espe-dienti o lavoretti giornalieri. Per argina-re questo fenomeno, Ifso organizza perloro corsi professionali.«Formiamo figure di cuochi, camerieri,governanti d’hotel e bambinaie – spiegaBeyene Bekele, il direttore della scuola –.Ogni corso è teorico, oltre che pratico,per colmare anche un vuoto di istruzionedi base. Alla fine è previsto uno stage inazienda, durante il quale molti allievi ven-gono assunti».Ma il training professionale è soltanto unodegli aspetti. «Vogliamo formare cittadi-ni attivi, in grado di dare un contributocostruttivo alla nostra società. Per que-sto ci occupiamo anche di educazione allasalute, contraccezione e prevenzione dellemalattie sessualmente trasmesse. Abbia-mo un servizio di counselling familiareper le situazioni più problematiche. Or-ganizziamo gite e attività culturali: mol-ti nostri allievi non hanno mai visitato idintorni di Addis Abeba, non conosconola storia del nostro paese, il suo patrimo-nio naturale e culturale. Incoraggiamo leforme di associazione e cooperazione trastudenti». L’obiettivo? Far crescere l’im-pegno e l’autostima. Non tutti i ragazzisono fiduciosi sul loro futuro. Qualcuno

teme di non riuscire a trovare lavoro, acausa dell’esistenza di altri corsi simili,molti dei quali gestiti dallo stato, cheforniscono un vero diploma. «È vero –ammette il direttore –. Ma il nostro obiet-tivo non è far concorrenza a queste ini-ziative, ma riempire un vuoto formativoe offrire una possibilità in più a tanti dro-pout estromessi dal nostro sistema sco-lastico». ●

Alunni di una scuola primaria statale di Addis Abeba (foto Francesca Capelli).

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Li chiamano “Progetti di relazione” e non diEducazione allo sviluppo gli operatori di Un Ponteper ..., la ong diventata famosa, quella delle dueSimone 1, e sono rivolti al mondo della scuola o piùin generale della cultura. Una scelta probabilmen-te non casuale per un’associazione che ha decisodi autorappresentarsi come un ponte verso il restodel mondo. Nata nel 1991 alla fine dei bombarda-menti sull’Iraq per promuovere iniziative di solida-rietà a favore della popolazione irachena colpitadalla guerra e dall’embargo, in quel paese è Unponte per... Baghdad, ma nel 1999 era anche Unponte per... Belgrado all’interno della drammaticasituazione dei Balcani, in Libano è Un ponte per...Chatila a portare sostegno e solidarietà nei 12 campiprofughi, in Turchia Un ponte per... Dyarbakir, perpromuovere e sostenere il riconoscimento dei di-ritti delle minoranze.L’associazione ha circa 500 aderenti e comitati lo-cali in diverse città italiane. Ha le sue basi in duerealtà, congiunge due parti, è attraversato in duedirezioni, crea quindi necessariamente relazioni;come del resto la scuola, spazio relazionale ancorprima che di formazione e di crescita.E alla scuola delle relazioni si rivolge Un ponte per...con una proposta di gemellaggi tra scuole italianee irachene che non introduce strumenti e contenu-ti educativi specifici ma semplicemente offre oc-casioni di incontro e di conoscenza, lasciando agliincontri stessi di fare il resto. Obiettivo del pro-getto è promuovere nelle scuole processi educativiper rafforzare e diffondere integrazione e culturadi pace. Si basa sulla Convenzione Internazionalesui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza appro-vata nel 1989 dalle Nazioni Unite e ratificata datutti i paesi tranne Somalia e Stati Uniti, i cui prin-cipi affermano la titolarità del bambino come sog-getto di diritti; e l’istituzione scolastica è luogoprivilegiato in cui dare risposta ai bisogni di rela-zione del bambino, un diritto fondamentale per lasua formazione.Oltre a scambi di materiali tra studenti delle scuo-le coinvolte nei due paesi e a pubblicazioni tema-tiche che raccontino le esperienze realizzate al finedi non disperderle e renderle replicabili, tra le di-verse azioni previste si intende costituire in Italiaun gruppo di lavoro nazionale sull’educazione allapace formato da bambini e ragazzi delle scuole ele-mentari e medie. Il progetto si conclude nel giu-gno 2005, partner italiano il Centro InterculturaleTawasool di Treviso. ●

Per informazioni: Un ponte per..., tel. 06.44702906,e-mail [email protected], www.unponteper.it.

NOTA1. Sul sito dell’associazione è riportato un bell’in-tervento di Fabio Alberti (sul sequestro e sulle po-lemiche dopo la liberazione), al congresso straor-dinario dell’Arci del 9 ottobre 2004.

Relazioni di paceC%

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Nonostante ciò e nonostante altri limiti, dovuti per esempio alla mancanzadi partecipanti delle scuole scandinave, quelle oggi più resistenti al liberismo, o dibuona parte di quelle dell’Est, le più vulnerabili, oppure alla debolezza del dibattitosull’integrazione (immigrati, handicap ecc.), e nonostante un certo ritualismo ripe-titivo e puramente di denuncia, proprio sulla scuola il Forum di Londra ha segnatouno dei suoi punti più positivi.In difficoltà a reggere il confronto di partecipazione complessiva con i tre milioni dipersone che due anni fa a Firenze sfilarono contro la guerra e pregiudicato nelgiudizio e nell’atteggiamento da tenere nei confronti della Costituzione Europea(divaricante fra movimenti e sindacati, senza che però il confronto si sia interrot-to), con gli alti costi della vita londinese e della stessa iscrizione al forum (48 euroa delegato: hanno fatto gridare alla commercializzazione e a qualche velleità diboicottaggio) che hanno limitato la partecipazione dei movimenti, dei gruppi edelle organizzazioni più piccole (in ambito scolastico per l’Italia le presenze ricono-scibili erano solo quella di Flc-Cgil, Cobas, Udu-Uds e Legambiente, con un solomovimento di insegnanti e genitori presente: La Scuola Siamo Noi di Parma) il fattoche il tema istruzione, incardinato nell’Area Giustizia Sociale (le altre erano Guerra-pace, Ambiente, Razzismo, Globalizzazione corporativa e Cultura), abbia visto 4seminari ufficiali e 2 workshop non può che significare la crescente centralità delterreno scolastico e educativo nello scontro con i poteri forti internazionali.Scontate le denunce sull’”invasione” mercantilista nel campo dell’educazione, se nesono precisate le tendenze. Viene “dall’alto”, dall’università, che ovunque mostraaccelerazioni e uniformità ancora sconosciute al livello scolastico: smantellamentodel servizio pubblico, asservimento della ricerca alle imprese, aumento esponenzialedelle tasse, mancanza di alloggi, crisi delle facoltà umanistiche, con la gravosità dei“prestiti d’onore” che nella sopravveniente società della conoscenza si configuranosempre più come l’equivalente dello strozzinaggio su attrezzi e sementi e della ripro-duzione della servitù ai tempi della penetrazione del capitalismo nelle campagne.Nella scuola le contraddizioni esplodono dalla Gran Bretagna, dove si arriva a trasfor-mare le scuole in Spa e persino a venderle, fino alla Turchia dove l’incremento delletasse scolastiche per compensare un taglio pubblico del 35% ha ormai tolto ogniparvenza di scuola pubblica e ridotto drasticamente la scolarizzazione. I meccanismisono ovunque gli stessi: taglio ai fondi pubblici, precarizzazione del lavoro docente enon docente, decentralizzazione che passa per autonomia e regionalizzazione, richie-ste di contributi per l’extra-curricolo, svalutazione legale dei diplomi, gerarchizzazio-ne dei docenti, passaggio della formazione professionale ad aziende e privati.Si è preso atto che la Costituzione Europea non aiuta la scuola, lasciando apertisull’argomento ampi varchi alla mercificazione e che, nonostante il pronunciamentodel Parlamento Europeo per l’esclusione dell’istruzione dai GATS, il fatto che la Com-missione Europea possa agire senza alcun controllo non può rassicurare nessuno. De-cisivi sono dunque alcuni obiettivi su cui lavorare: fare pressioni per cambiare laCostituzione Europea anche nei punti che riguardano l’istruzione e l’educazione, eser-citare pressioni sulla Commissione per evitare una gestione sconsiderata dell’argomen-to di fronte alle richieste del WTO, condizionare i singoli ministeri nazionali e soprat-tutto continuare nel lavoro di informazione puntuale e capillare paese per paese. ●

London callingPINO PATRONCINI

Tra le decisioni che prenderà l’assembleainternazionale che il 12 dicembre si riunisce perdare attuazione ai deliberati del Social ForumEuropeo di Londra anche quella su se tenere afebbraio la giornata di lotta europea per la scuola– proposta dagli italiani del Tavolo “Fermiamo laMoratti” e sostenuta anche dai partecipantispagnoli e portoghesi – o se puntare a un Social

forum dell’educazione continentale come sostenuto dainglesi e francesi. I lavori londinesi sulla scuola, infatti,unici fra tutti, a quanto sembra, sono stati segnati dallaimpossibilità di arrivare a un documento finale condiviso

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de rerum natura

▼A quando risale l’idea di insegnare ai bambini l’ecologia tra-mite la coltivazione di alimenti?Già molto tempo fa ci guardammo intorno chiedendoci: «comepossiamo far esperire la natura ai bambini?». Guardando variprogrammi ambientalisti che già esistevano scoprimmo che cisono fondamentalmente due tipi di ecosistemi che hanno ladimensione giusta per i bambini, anche per quelli piccoli (ini-ziamo dall’asilo, quando hanno 5 anni). Quei due ecosistemisono l’orto e il ruscello. Nelle nostre scuole facciamo coltivazio-ne di alimenti. Il recupero di ruscelli è l’altro programma, edentrambi sono divenuti programmi estesi.

Quanto sono diffuse queste pratiche ad oggi e, se mai valuta-ti, quali sono i risultati?Sul nostro sito [www.ecoliteracy.org] si trovano i nomi di circa100 scuole. Lavoriamo solo nella California del Nord perché vo-gliamo poter visitare le scuole. Gli istituti stessi hanno formatodelle reti e si fanno visita a vicenda.Recentemente abbiamo commissionato la valutazione del pro-gramma a Michael Murphy, della Harvard University. I risultatisono molto interessanti: l’indagine ha riguardato molte scuolemedio-grandi, di 1.000 – 1.200 studenti ed ha scoperto che,come ci si aspetterebbe, i ragazzi delle scuole “ecoalfabetizza-te” hanno una migliore conoscenza ecologica. Ha diviso il testin principi dell’ecologia e quanto i ragazzi sanno sull’ecologia.Chiaramente quelli che hanno fatto il programma ne sanno dipiù. Ma ha anche scoperto, e questo è molto interessante, chenella scuola c’è una miglior cooperazione, meno violenza, quin-di l’intera atmosfera della scuola è differente, di conseguenzal’apprendimento di tutte le materie migliora. La nostra pedago-gia, esperienziale e partecipativa, stimola molto i bambini inquanto possono decidere cosa fare, in quale tipo di progettocoinvolgersi e si impegnano nel processo d’apprendimento, percui apprendono meglio.

Per cui il vostro programma alimenta un senso di comunità ela partecipazione.Sì. Il senso di comunità è molto importante perché l’ecologia sioccupa di comunità. Quando si osservano i principi dell’ecolo-gia: reti, cicli e così via, tutto ciò riguarda comunità. Gli ecosi-stemi sono comunità; gli ecologi usano il termine comunità per

Alfabetizzazione ecologicaANDREA MARKOS

Una chiacchierata con Fritjof Capra, il fisico autore diIl tao della fisica, Il punto di svolta, La rete della vitae La scienza della vita. Capra dal 1995, con icollaboratori del Centro per l’ecoalfabetizzazione, dalui fondato, si dedica a sviluppare un programmapedagogico volto a riconnettere i bambini al mondonaturale, aiutarli ad apprendere i valori, laconoscenza e le abilità cruciali per costruire comunitàecologicamente sostenibili

Sono le 18 e 13 del 31 maggio 2004, le 9 e 13 in Cali-fornia. Il fisico Fritjof Capra risponde affabile al telefono. Dopouna breve presentazione passiamo alle domande.

Come è nato il centro per l’ecoalfabetizzazione?L’origine viene dalla constatazione, molto tempo fa, che la mag-gior sfida del nostro tempo è quella di creare comunità sosteni-bili. Il concetto di sostenibilità per molti è ancora confuso,sebbene sia stato introdotto da oltre 20 anni. La mia definizio-ne di sostenibilità deriva dall’osservazione scientifica che labiosfera possiede la straordinaria capacità di sostenere la vita,e che ha sostenuto la vita per oltre 3 miliardi di anni. La capa-cità di sostenere la vita è intrinseca nella natura, e se vogliamocostruire società e comunità sostenibili dobbiamo vivere in modotale da non interferire con questa capacità intrinseca della na-tura di sostenere la vita.Accettato questo il passo seguente consiste nello scoprire comela natura faccia tutto ciò. Come sono organizzati gli ecosiste-mi, come si organizzano per sostenere la vita? Questa cono-scenza è ciò che io chiamo “alfabetizzazione ecologica” o “eco-alfabetizzazione”.Oltre 10 anni fa avviammo un programma per insegnare l’ecoal-fabetizzazione nelle scuole pubbliche, e nel corso degli anniabbiamo sviluppato una pedagogia speciale coerente con que-sto insegnamento.Insegnare l’ecologia non è così facile. In primo luogo l’ecologiaè materia intrinsecamente multidisciplinare. Non è solo biolo-gia, è anche chimica e nel regno umano si occupa della tecno-logia, dell’economia, dell’antropologia e delle scienze politi-che, tutte queste aree hanno a che fare con l’ecologia, se sivuole costruire una società sostenibile.La seconda considerazione è che non vogliamo insegnare la “te-oria” dell’ecologia, vogliamo che quei bambini, una volta finitala scuola, siano responsabili verso la Terra, e che non sentanotale responsabilità unicamente in base ad una conoscenza teo-rica. Per ciò vogliamo fargli fare esperienza dell’ecologia ed avereuna relazione emotiva con la natura. Il nostro è anche un ap-proccio partecipante. Non stanno solo seduti in una classe, bensìsono attivi e giungono a farsi idee proprie. Pertanto la pedago-gia che abbiamo sviluppato è esperienziale, partecipante emultidisciplinare.

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descrivere gli ecosistemi. Questi sono comunità di animali, pian-te e microrganismi, così i principi dell’ecologia possono ancheessere intesi come principi di comunità.C’è un altro aspetto comunitario: l’ecologia è un’impresa multidi-sciplinare, e ciò che stiamo cercando di fare è di porre l’ecoalfa-betizzazione al centro del curriculum scolastico. Non una materiaseparata, bensì la materia principale, coperta in tutte le lezioni.Quindi l’insegnante d’inglese parla dell’ecologia, ma anche quellodi matematica, di scienze, di storia e così via. Ora, con un curri-culum integrato in questo modo è ovvio che tutti gli insegnantihanno bisogno di collaborare e parlare gli uni con gli altri, il cherende la scuola una comunità molto più vitale. Quindi la comuni-tà è molto importante nella nostra pedagogia.

Parla quindi per esperienza quando afferma che «una solu-zione sistemica risolve non solo il problema per cui è stataconcepita, ma anche molti altri»?Sì. Assolutamente sì.

Avete mai tentato di esportare queste pratiche?Abbiamo iniziato con un programma locale, così in due o treore possiamo raggiungere una qualunque delle nostre scuole epoi reti di scuole si incontrano qui a Berkeley ed altrove. Quin-di abbiamo cercato di rimane localmente e regionalmente, masin dall’avvio del nostro sito, e persino da prima d’allora, edu-catori d’altri paesi e d’altre parti degli Stati Uniti sono statiispirati e adesso ci sono programmi di ecoalfabetizzazione inBrasile, Cile, India, Nuova Zelanda Australia e probabilmente in

molti altri luoghi che noi non conosciamo, questi sono soloquelli che si sono messi in contatto con noi.

Quindi hanno preso a modello la vostra esperienza?Sì. Credo che ci siano più attività in Brasile perché spesso lavo-ro con i brasiliani. Hanno tradotto le nostre tre pubblicazioniprincipali. Le hanno tradotte in portoghese e rese disponibilisu un sito brasiliano, sicché tutti gli operatori in Brasile hannoaccesso a questo materiale.

Quali sono stati i risultati del contributo del Centro per l’eco-alfabetizzazione al governo brasiliano per lo sviluppo soste-nibile?Il nostro lavoro col governo brasiliano non fa parte del pro-gramma del Centro per l’ecoalfabetizzazione, ma in parte vi sisovrappone. Il ministro dell’ambiente brasiliano, Marina Silva,è una donna interessante. È una donna indigena della regionedell’Amazzonia, nell’agosto 2003 ci ha invitato per avere unserio scambio di idee sulla sostenibilità, l’ecologia, la progetta-zione ed educazione ecologica. Ho portato alcuni attivisti eteorici in Brasile, compresa Zenobia Barlow, direttore esecutivodel Centro per l’ecoalfabetizzazione. Ma l’incontro ha riguardatol’ecoalfabetizzazione solo in parte 1. ●

* Sociologo.

NOTA1. Nell’ottobre 2004 Fritjof Capra ha tenuto in Brasile alcuni seminari.

Fritjof Capra

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abb.La rivista bimestrale,la lettera bimestrale,

il sito (www.scuolacomo.com/ecole),il cd rom annuale.

L’abbonamento (5 numeri + 4 lettere di école + cd)costa 35 euro.

Conto corrente postale n. 25362252 intestato aAssociazione Idee per l’educazione,

via Anzani 9, 22100 Como

Attivazione immediata: tel. 031.268425

«Come l’uomo che cammina per una strada solitaria,/ avvolto nelterrore e nella paura,/ e dopo essersi guardato alle spalle,/ conti-nua a camminare, senza voltarsi più/ perché sa che un demoniospaventoso/ lo segue da vicino.» [Samuel Taylor Coleridge, La bal-lata del vecchio marinaio]

L’uscita sugli schermi italiani di Io, robot, il film diretto daAlex Proyas tratto da quello che è forse il più famoso romanzo diIsaac Asimov, impone di ripensare non solo alla dimensione artisti-ca di un simile evento (assai dubbia, in verità) quanto alle sueimplicazioni sociologiche e antropologiche.I robot non sono più creature uscite dall’immaginazione di scrittorio drammaturghi più o meno fantasiosi e dotati di spirito predittivo,ma sono delle realtà ben concrete. Lavorano in fabbrica al postodegli operai nel sistema post-fordista di produzione. Sorvegliano laproduzione. Possono essere utilizzati nei negozi o a casa e non solonei sistemi gerarchizzati del lavoro post-taylorista per cui eranostati progettati.Quando il geniale commediografo praghese Karel Capek utilizzòquesto termine in una sua fortunata opera teatrale del 1920 par-tendo dalla parola boema robota che vuol dire “lavoratore”, sapevadi aver creato un neologismo ma sicuramente ignorava la fortunafutura del termine e il fatto che avrebbe finito con l’indicare davve-ro una categoria specifica di automi pensanti. Nell’opera teatralein cui il robot nasce come figura letteraria, R. U. R. (e cioè RossumUniversal Robots), gli automi umanizzati che vengono chiamati conquesto termine sono esseri organici del tutto simili agli uomini enon creazioni metalliche e goffe come diventeranno nella SF suc-cessiva. Il loro impetuoso sviluppo intellettuale li porta poco apoco a sviluppare una capacità di lavoro tali da spingerli a contrap-porsi agli uomini (nel frattempo diventati pigri e fiacchi) e a ribel-larsi contro di essi. La possibilità di una ribellione delle macchinediventa così una delle espressioni fondamentali dell’immaginariocollettivo e sociale del Ventesimo secolo. La paura della rivolta deirobot diventerà uno dei leit-motiv della narrativa di anticipazione.Tanto è vero che all’interno del suo primo romanzo dedicato allemacchine pensanti, Asimov si sentì in dovere di codificare il com-portamento umano nei confronti dei robot e quello robotico neiconfronti degli uomini, coniando quelle che sono diventate famose(e come tali ora accettate anche dai fisici 1) con il nome di tre leggidella robotica:- un robot non può recar danno a un essere umano, né può permet-tere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umanoriceva danno;- un robot deve obbedire agli ordini impartiti da un essere umanopurché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge;- un robot deve proteggere la propria esistenza purché questa auto-difesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.Queste leggi valgono ancora – come si è detto. La prospettiva diun’umanità capace di accettare sia l’animalità quale componente in-dispensabile della sua dimensione umana che la dimensione robotica(e delle protesi che essa permette di utilizzare) in maniera pacifica èancora di là da venire. Finché questo non avverrà gli uomini conti-nueranno a camminare per la loro strada senza avere il coraggio divoltarsi, spaventati dalla loro stessa ombra. I sogni della ragioneumana, infatti, sono ancora popolati dai mostri che essa stessa hacontribuito a far proliferare. ●

NOTA1. Nella conferenza mondiale sulla robotica di Fukuoka del marzo 2004la validità delle tre leggi di Asimov è stata riconosciuta come elementofondamentale dell’etica da applicare ai robot e come strumento di rego-lazione dei rapporti degli uomini con essi.

Il presentecome ce lo siamoimmaginatiGIUSEPPE PANELLA

Immagini del postumano. È dalla finedell’Ottocento che la narrativa dianticipazione immagina il futuro comepotrebbe essere. Spesso i suoi autori piùrappresentativi lo hanno mostrato comeavrebbe voluto che fosse, altrettantospesso, invece, come temevano che sarebbediventato. Alla svolta del fatidico anno2000, il progresso tecnologico è diventatotale da rendere presente ciò che siimmaginava sarebbe stato il futuro. Qualisaranno, allora, le caratteristichedell’immaginario collettivo di oggi?

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ambiente

Il termine ultimo per il definitivo ade-guamento alle prescrizioni della Legge626 (emanata – si badi bene – nel 1994,dopo due proroghe), fissato al 31 dicem-bre di quest’anno con un Decreto Leggedel 9 novembre 2004, è stato nuovamen-te spostato, consentendo alle Regioni difissare nuove scadenze, «non successiveal 31 dicembre 2005». Le ragioni di que-sti ritardi ed incertezze emergono evidentidalla lettura, anche affrettata, dei sem-pre più numerosi rapporti che, verso lafine di ogni anno, appaiono per iniziati-va di enti ed associazioni decisi a sensi-bilizzare l’opinione pubblica sulle troppeinadempienze che ancora caratterizzanoil problema della sicurezza scolastica.Anche se questa rubrica si è già in prece-denza occupata di alcune di queste in-chieste, un’ulteriore segnalazione, in que-sto caso il 2° Rapporto nazionale Impa-raresicuri 2004, realizzato da Cittadinan-zattiva, un’organizzazione di singoli,gruppi e reti impegnata nell’affermazio-ne del cittadino come soggetto attivo digestione democratica della cosa pubbli-ca, può forse costituire un utile aggior-namento.

Si tratta di un’indagine svolta su un cam-pione di 200 scuole di ogni ordine e gra-do – di cui il 48,5% situate al Nord, il

39,5% al Sud ed il 12% alCentro – che hanno accet-tato volontariamente, men-tre molte hanno invece ri-fiutato, di sottoporsi alcontrollo di 206 indicatoriin grado di permettere, se-condo i loro ideatori, l’at-tribuzione di un punteggiorappresentativo del livellodi sicurezza esistente nel-l’edificio scolastico in esame. I molti, in-teressanti dati raccolti dall’inchiesta sonodettagliatamente esposti nel Rapporto, lacui versione completa è disponibile inrete. Tra essi quello che forse attira dipiù l’attenzione è il confronto tra la si-tuazione attuale e quella rilevata, sem-pre da Cittadinanzattiva, nel 2003. Sullabase infatti delle loro rilevazioni, i re-sponsabili dell’inchiesta ritengono, comeanche riscontrato da altre analoghe in-dagini, che la sicurezza delle scuole siaparzialmente migliorata, grazie alla rea-lizzazione di molti degli interventi richie-sti dalla Legge 626. Ma, accanto a ciò,l’inchiesta dimostra anche che, a ridossodella scadenza del 31 dicembre, continua-no a permanere in modo diffuso gravicarenze. Carenze che forse il campioneesaminato tende addirittura a sottosti-mare, in quanto c’è da ritenere che adaderire all’iniziativa siano state le scuoleche si ritenevano meno inadempienti.

Inosservanze

In particolare, si evince dal Rapporto,inosservanze molto gravi persistono a li-vello di manutenzione delle strutturedove, ad esempio, nel 14% delle 2823aule esaminate si è riscontrata la presenzadi crolli d’intonaco. E alla fine di ottobreuno di questi incidenti verificatosi in unascuola di Borgo San Dalmazzo (CN) ha de-terminato il ferimento di due allievi tre-dicenni. Ma gli intonaci non sono le uni-che magagne delle aule: nel 39% di essesi trovano banchi e sedie rotti o in catti-ve condizioni, il 16% presenta pavimentisconnessi, il 17% finestre malridotte el’85% è priva di porte antipanico, per lequali però non vi è obbligo di legge. Ap-pena sufficienti sono poi i livelli medi diilluminazione, aerazione e temperaturaambientali. Ancor più grave e preoccu-pante, se possibile, è la situazione dellepalestre evidenziata dal Rapporto di Cit-tadinanzattiva. Innanzitutto il 25% del-le scuole esaminate non dispone di unapalestra al proprio interno, ma deve ri-correre a strutture esterne o ad ambientiscolastici inidonei. Delle palestre scola-stiche considerate, nel 27% non vi sonoporte con chiusura antipanico, nel 21%vi sono invece barriere architettoniche esegni di fatiscenza sulle pareti, e nel 13%

i pavimenti risultano sconnessi o pocoadatti alla destinazione d’uso. Dal puntodi vista del servizio didattico e dell’igie-ne, il 19% delle palestre esaminate pre-senta attrezzature danneggiate, il 41%manca della cassetta del pronto soccor-so, il 90% è priva di attrezzature per di-sabili ed infine il 23% non dispone dispogliatoi.Chi rimedierà a questo stato di cose pri-ma della scadenza prevista? e con qualirisorse economiche? Da parte sua Citta-dinanzattiva avanza diverse proposte, tracui la nomina di Commissari straordinariregionali con la funzione di governarequest’emergenza coordinando tutti gliinterventi degli enti locali e dei soggettipreposti in materia di sicurezza delle scuo-le. Nel frattempo però sul piano istitu-zionale ciò che si registra è l’apertura diun’ennesima vertenza tra governo centraleed enti locali a proposito di alcune di-sposizioni economiche, riguardanti ap-punto la messa in sicurezza degli edificiscolastici, contenute nella Legge 186/2004, emanata a luglio. In esse l’ANCI(Associazione Nazionale Comuni Italiani)ravvisa una violazione delle competenzeche su questa materia detengono provin-ce e comuni e denuncia il manifestarsi ditendenze di ritorno al centralismo. Unanuova controversia dunque, ma anche unadelle poche cose sicure su cui insegnantie studenti possono sempre contare. ●

Dai vita al tuo fiumeNell’ambito della campagna “Kids for the Alps”[http://www.kids-for-the-alps.net/], per gli anniscolastici 2004/5 e 2005/6, il WWF propone allescuole e ai ragazzi dai 10 ai 14 anni, Dai vita al tuofiume, una iniziativa panalpina che ha lo scopo dicreare nei ragazzi che abitano sulle Alpi un senso diappartenenza attraverso il lavoro fattocongiuntamente in tutti i paesi alpini.Grazie al materiale didattico disponibile sul sito, leclassi potranno approfondire la conoscenza dei corsid’acqua e dei fattori che ne influenzano lo stato disalute. Inoltre, tramite Action kit per l’acqua, siforniranno indicazioni su come promuovere presso leautorità politiche e la comunità il proprio progettoin favore dei fiumi.

WWF Italia - “Kids for the Alps”, via Orseolo 12,Milano, tel. 02.83133251, www.wwf.it/educazione.

ScuoleinsicureANGELO CHIATTELLA

Tra le molte scadenze cheincombono sulla scuolaitaliana quella relativa allamessa in completa sicurezzadi tutti gli edifici scolasticinon è certo la più lieve

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mediaIn generale non credo affat-to vadano disprezzate le opere– come si diceva un tempo –“commerciali” o i libri di suc-cesso. Quando si incontra ilconsumo di molti/e, si espri-mono sogni paure o desideridiffusi: qualcosa si coglie di im-portante e qualche merito si ha.Alla rovescia, molta letteratu-ra e cinema che sembrano chie-dere sempre al pubblico di “am-mirare” lo stile del grande arti-sta (lentezze sublimi e raffina-ti tormenti dell’anima) li trovopresuntuosi e stucchevoli. (Cer-to non va meglio quando si ce-lebra l’idea di “poetico” cheabita la testa di molti; allora sipreferisce – per fare un esem-pio – il Gesù di Zeffirelli, congli occhi celesti sempre rivoltial cielo, a quello di Pasolini,così povero e banalmente uma-no, come un extracomunitarioqualunque; ma quello è il con-sumo che si immagina “colto”e non c’è di peggio).

Un banale libropornografico

Quello di Melissa P. mi è sem-brato un banale libro pornogra-fico, piuttosto sciatto e triste,senza la fantasia che pure inun porno “sereno” potrebbestare (utile tipo educazione allasalute). Tutto si riduce ad unaserie meccanica di “unità didat-tiche” sul sesso orale, con som-ministrazione per moduli e clas-si aperte. Lei è sempre amara e“scazzata” (soprattutto con igenitori ovviamente), però nelfinale arriva il principe azzurroche tutto risolve per il megliocon il vero amore. Domina unadimensione mortuaria e auto-distruttiva nelle vicende deicorpi, una ricerca di riservata“santità” nei moti dell’anima.Tutto sommato sembra un ro-manzo per Buttiglione (bastache poi lei si sposi, faccia figlie sia protetta dal marito).E tuttavia un po’ dell’entusia-smo si capisce. Intanto un rac-conto di sesso senza amore (eamore senza sesso) ha sempreil suo fascino; e poi l’intrecciodi angelica anima segreta(chiusa nella propria cameret-ta, dopo i colpi di spazzola chefanno pulizia della vita) e cor-

po a disposizione di banaliometti, immagino possa direqualcosa alle quattordicenni dioggi. Alludere a una schizofre-nia che funziona sempre.Ma i Tre metri sopra il cielo diFederico Moccia?Qui arrivare alla fine è statadura davvero.

La “giovane italia”

Per metà romanzo sembra di sta-re (finalmente?) in un vero li-bro neonazista, in cui si cele-brano le virtù dei giovani pale-strati romani, violenti, volgari,ribelli, dotati di luccicanti motocon le quali attraversare le not-ti e gettare la vita. Rubano aper-tamente a feste a cui nessunoli ha invitati (va da sé che sonocomunque migliori dei fighettipadroni di casa) dalle borsettedelle ragazze-bene, gli picchia-no selvaggiamente i padri, maquelli sono – anche per le figlie– «rompicoglioni che non si fan-no mai i cazzi loro». E poi han-no muscoli scolpiti da abbrac-ciare sotto i giubbotti di pelle,sedute dietro le moto.Fin qui, saremo pure sull’elogionichilista della violenza giovanilema può essere si fotografi unarealtà esistente. Si può leggerecome una specie di documentodella “giovane italia” fra salottiMoratti e borgate La Russa.

Ma poi tutta la storia diventa“d’amore”, con lei che disprez-za e ama, vuole e non vuole;con la “prima volta” di fronteal mare e al tramonto, la mortedel giovane amico e tutto ilresto dell’armamentario rosa.E qui viene fuori che il violen-to è tale perché ha una storiafamiliare alle spalle che l’hasegnato (è naturalmente colpadella mamma che tradisce ilbabbo, e dunque anche il fi-glio). In realtà tutta la gioven-tù che si vede, è tale per colpadella società o della famiglia.Tutto trova una specie di giu-stificazione sociologica (che siaun romanzo “di sinistra”, vistoche è edito da Feltrinelli?). Ilsentimento allora può scorre-re, anche se non arriverà a sal-vare la strana coppia dalle dif-ferenze socio-culturali (che siaun retaggio del materialismodialettico?).Da pagina 75 a pagina 77 tro-viamo un «tenero bacio che laporta sul letto», una «magicapenombra», una «commessa so-gnante», «bellissimi orecchi-ni», «bellissime scarpe», «unabella orchidea»; lei indosseràun “bellissimo tailleur», “splen-didi orecchini» e “una caldasciarpa»... Un vero horror, unasagra dei superlativi assoluti.Perché è piaciuto tanto? Un po’penso per quella certa idea delpoetico.

Insegnare a raccontare

In un dibattito fra lettori suinternet, all’unica voce scon-tenta della “facilità” del roman-zo veniva risposto che «nonaveva capito il significato» diquelle pagine. Come se la pre-senza di un significato fosse lachiave risolutiva di ogni possi-bile obiezione. Presenza di unsentimento dietro, struggente,che si esprime nella storia e larende sublime. Mi sembra cheun po’ assomigli a quando (an-che a scuola) si dice che nellapoesia si manifestano i senti-menti del poeta (e il gioco ètutto a spiegarla, a mostrare ciòche c’è dietro – non dentro iltesto, non dentro di noi...). Ilfatto forse è che per ragazze eragazzi i sentimenti nelle “ope-re d’arte” si esprimono, si mo-strano, se addirittura non siesibiscono. Non sono provoca-ti, non avvengono dentro dinoi, accesi dalla lettura. Quan-do scrivono della loro miglioreamica, dicono che è “meravi-gliosa”: raramente raccontanoquel rapporto in modo da farcapire e sentire quella meravi-glia. La dichiarano e tanto ba-sta. Forse la stessa cosa ama-no nella lettura, perché è ef-fettivamente più facile, non c’èbisogno di ascoltare, interpre-tare. Né di silenzio. Non c’è bi-sogno di cercare; di farsi vuotie lasciarsi attraversare, per poimettere insieme le tracce. For-se ci vuole tempo per altre for-me anche del consumo, piùcomplesse.A scuola mi verrebbe vogliaadesso di “proibire” l’uso di certiaggettivi – magari, come giocoper un po’ di tempo, di tutti...Cioè insegnare semplicemente araccontare (come il professoredel Re dei bambini di Acheng)quello che si vede, quello che sifa, la strada verso casa, di tuttii giorni. Ripulire la lingua daisuperlativi e dalle grandi espres-sioni.Poi magari sarebbe bello parla-re anche un po’ di sesso e amo-re (sarebbe il nostro sesso “ora-le”), di sentimenti e desideri.Perché i grandi significati abi-tino tranquillli e pacati, sottotraccia, le aule – e non sianocondannati a esplodere dall’ani-ma. Sublimi. ●

Melissa e FedericoANDREA BAGNI

Vedevo circolare fra le mie ragazzeinsistentemente, come in uno scambio privatoextrascolastico, una merce un po’ strana: dei

libri. Non è che capiti spessissimo,soprattutto nel biennio, e allora ho chiesto sepotevo partecipare alla circolazione e magarileggere. Si trattava prima di Melissa P. e deisuoi Cento colpi di spazzola e poi di Tre metrisopra il cielo di Federico Moccia. Sapevo cheerano dei “casi letterari”, però mi ha fatto

comunque un certo effetto trovarmelieffettivamente davanti, vederli girare per laclasse. Desiderati. Allora li ho letti. Arrivare

alla fine è stata dura davvero

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«Cantami o Diva…» i poemi omerici sono obiettivamente un po’lamentosi. Però i tre sul palcoscenico riescono a svergognare que-sto pregiudizio, spiegando perché furono scritti attraverso il menodivertente, l’epopea della guerra troiana.«A un certo punto i Greci, proprio quelli che fecero grande la civiltàMediterranea, si ritrovarono analfabeti – racconta Totem – e senzascrittura è difficilissimo conservare la cultura, cioè le cose che sisanno e servono per vivere».«Chi non sapeva leggere doveva affidarsi alla memoria, e la strate-gia migliore per ricordare è, da sempre, usare il ritmo. L’ossessionedi quel popolo per gli accenti, la metrica, il verseggiare (insommaquello che tedia chi studia greco) sta tutta nella costruzione di unacadenza. Esattamente come succede oggi, l’Iliade è un vero e pro-prio rap con cui, se andiamo a vedere quel che si dice, viene tra-mandato il sapere quotidiano e non.«Insomma, i poemi omerici altro non sono che enciclopedie». Ah,la grandezza della divulgazione. Ma per arrivarci si deve saper benedi cosa si parla: quarto trucco dell’insegnare per davvero, la cono-scenza.

Alla mente dal cuore

«Il bello della lettura a voce alta è che è come ascoltare musica: cisi può distrarre, e star lì non deve essere una fatica». Eccoci arriva-ti all’ultimo ingrediente della ricetta per il vero apprendimento. Lacultura può essere veicolata in maniera razionalmente perfetta, mase non c’è partecipazione emotiva – potremmo chiamarla “animali-tà”? – resta ben poco.«L’idea è quella di raccontare alcune pagine, musiche, immagini,persone, storie che agli autori sembrano bellissime o importanti, ocomunque da non dimenticare – dice la descrizione dello spettaco-lo (chissà se è giusto definirlo così) –. Di volta in volta l’unicoscopo è ricreare l’emozione e la meraviglia legate a quelle scheggedi cultura».Però bisogna capire quanto ne vale la pena: «Se davanti a unapoesia, ad un certo punto non ti accorgi che stai leggendo ad altavoce, c’è qualcosa che non va». Allo stesso modo, trovando qualcu-no che ti legge come si deve un racconto, se non viene di chiuderegli occhi, vuol dire che probabilmente è roba insignificante». «Enon c’è bisogno di cogliere tutto – ritornando a Totem – però suc-cede che talvolta passa qualcosa che si conosce».Insomma, pare che si tratti di «Quel che un adulto non saprebbeimmaginare e che un bambino non saprebbe descrivere», almeno asentir Baricco. Già, lui: lo scrittore è autentica primadonna, manon nel senso istrionico né puramente esibizionista. Con quel suogironzolare su e giù, mani in tasca o cortesemente agitate, riesce afar di sé corpo che vibra – spiega e sente, come fosse egli stessol’autore di quell’antologia che snocciola – fino a parlare al cuore dichi ascolta.Non esistono, forse, altri modi di insegnare “per sempre”. Ecco per-ché alla fine c’è lo stremo delle forze; però così si diventa capaci ditrapanare durissime scorze.Mettendoci niente meno di tutto. ●

Il movimento è rapido e talmente naturale da passare quasi inos-servato. Qualcuno però ha sospettato che lì, nella penombra infondo al palcoscenico, lui si fosse proprio levato le scarpe un mo-mento. Far innamorare chi non ne abbia affatto voglia è, infatti,una vera fatica fisica; quando poi si tratta della cultura, e quellatanto alta quanto considerata ostica, allora… Comunque il risulta-to non cambia anche se, dopo ore di spettacolo, Alessandro Bariccosi concede un gesto di innocente relax.Praticamente è lo stato d’animo di quegli insegnanti che “ci credo-no”, dopo l’ennesimo tentativo di trasmissione del sapere. Cambiasolo l’esito, visto che alla fine di Totem non ci si sente propriouguali a prima, mentre capirlo in classe è assai più difficile. Soprat-tutto se si pretende di non-far-dimenticare-quel-che-si-fa. Provia-mo a scippare qualche trucco del mestiere a chi riesce a metterefelicemente in scena gli aspetti intellettuali più tosti.

Sapiente dosaggio

«Totem lo si fa sette, otto volte l’anno. Di più no – si legge nelle notedi presentazione – altrimenti diventa uno spettacolo teatrale fatto amemoria e non ha più senso. Se non si stupiscono gli autori facendo-lo, come potrebbero stupirsi quelli in sala?» Straordinario come glialunni (e tanto più quanto sono piccoli) sappiano annusare se gli sista propinando una lezione-fotocopia da catena di montaggio. Primogioiello rubato al mestiere dell’autore torinese, la freschezza.In teatro la fascinazione è palpitante, grazie all’atmosfera che Ba-ricco lascia creare alle due splendide “spalle”: la voce – ovattata,avvolgente – del regista Gabriele Vacis ed il tappeto sonoro/ lumi-noso – evocativo, a tratti un po’ ipnotico ma sempre gentile – diRoberto Tarasco. D’altro canto il sottotitolo recita “Letture, Suoni,Lezioni” e rivela il secondo indizio: un sapiente mix di suggestionisensoriali.Purtroppo, in aula, di solito si è soli; però se i prof. tentassero difarne la regìa, le loro performances si potrebbero contaminare conimmagini ed esempi noleggiati da altre discipline, ricordi persona-li, attinenti esperienze dei ragazzi in brain storming, agganci dicronaca ecc. Qualcosa di diverso dall’ormai consunta “ricerca”, ot-tusa e scopiazzata asetticamente da qualche www, peraltro, nem-meno più tra polvere ed inchiostro doc delle biblioteche.

Ars Comunicandi

«Diceva Paul Valéry – cita lo scrittore – che la poesia è un attimosospeso tra “senso” e “suono”», poi giù a tuffarsi in un impossibi-le, a tutta prima, esempio lirico analizzandolo e rileggendolo. L’epica,quanto l’abbiamo sbuffata tutti.Eppure citazioni efficaci quanto immediate, parole semplicissime acostruire frasi perfettamente digeribili per concetti che invece ri-chiedono molto bicarbonato: questo il linguaggio scelto da Totem,cui va rapinata appunto una verbalità leggera, che tutto ricopredopo aver sfarfallato come neve.A scuola, piuttosto, troppe volte grandina.

L’Iliade? Un rap…MONICA ANDREUCCI

Arriva puntuale, per Natale, la versione domestica dell’ennesimo filmone: stavolta è ilfalso storico di Troy. Omero, comunque, va di moda, con Baricco che pubblica l’Iliade e nefa letture-spettacolo. Ma il lavoro divulgativo di Alessandro Baricco viene da lontano,quando con Totem lo scrittore raccontava la fatica di insegnare attraverso il classico piùtosto. Ne ripassiamo insieme la metodologia, sempre e ancora valida

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«Mi hanno col-pito in ciò che ho di più caro:la mia immagine». La frase, lun-gi dall’essere un aforisma iro-nico o un’intuizione autocon-sapevole sulla comune culturadel narcisismo, per citare Chri-stopher Lasch, è invece la di-chiarazione naïve e perciò al-larmante di colui che presiedeil Consiglio dei nostri ministri,onorevole Silvio Berlusconi. Nocomment. Tutto ciò che puòsuonarci familiare, oppure stra-niero, in un ragionamento comequesto, o meglio familiare-e-straniero al tempo stesso, eperciò assai perturbante (Hei-mlich e Unheimlich, avrebbescritto Freud), viene lasciatoriecheggiare senza aggiuntenella nostra mente. La dichia-razione – raccolta insieme adenne altre, tutte rigorosamen-te senza commento, che pos-sono sembrare rubate tanto allafolla di un autobus, o alla fol-lia di uno spot dell’ultima cre-ma antirughe, quanto ad un di-scorso presidenziale al Paese –è riportata in Elementi per unateoria della Jeune-Fille, a curadel comitato parigino Tiqqun(18, rue Saint Ambroise, 75011Paris: per chi volesse scriver-gli, per chi volesse conoscer-li), dati alle stampe italiane daBollati Boringhieri. Nella stes-sa collana, le “Variantine”, escel’altrettanto perturbante Teoriadel Bloom, Torino 2005, pros-simamente nelle nostre librerie.Jeune-Fille? Bloom? Un mo-mento: chi è l’una, chi è l’al-tro? E poi Tiqqun, che diavolosignifica, e a proposito, si scri-ve così?La Jeune-Fille, che sia giovaneo d’altra età, è la donna-della-società-audiovisiva. La velina?L’attrice più sexy dei futuri 15

minuti, tipo Keira Knightley,come da servizio d’alta qualitàgiornalistica, si veda la rivistacinematografica Empire, Lon-don, novembre 2004? Ma no,la Jeune-Fille è fra tutti noi,scriviamo pure che è in noi: èla cittadina dell’impero dellospettacolo, non importa cheruolo vi abbia. Così è il Bloom(in omaggio all’Ulisse di Joyce):è l’uomo-della-pubblicità, nonimporta che sia dentro uno spotpubblicitario, molto più impor-tante è che la pubblicità siadentro lui. E «tutto questo rien-tra nel progetto antropologicoo piuttosto antropotecnico del-l’impero dello Spettacolo. Sitratta di profilare dei cittadini»(sic, il corsivo è loro, Tiqqun,Elementi, cit., p. 8). Ovviamen-te potremmo proseguire a vo-lontà, poiché la Jeune-Fille eil Bloom «non sono altro che icittadini modello quali la so-cietà dello spettacolo li ridefi-nisce e li riformatta nei pen-sieri e nei desideri, in rispostaesplicita ad ogni minaccia ri-voluzionaria». Maturare? Sve-gliarsi dal sopore di questa soaptotalitaria, riconoscendo ciòche ci è autenticamente neces-sario, e al contempo i nostrilimiti e ciò che è altro-da-noi,irrimediabilmente altro, per for-tuna!, contro ogni visione illu-soria, e onnipotente, e globa-lizzante? (Ogni riferimento aGandhi che comunicherebbeonnipotentemente urbi et orbicon la videotelefonia Telecom,secondo l’ultimo, ingiuriosospot firmato Spike Lee, è pura-mente voluto...). Difficile ma-turare – per il Bloom, per laJeune-Fille – poiché «l’adole-scenza è una categoria recen-temente creata dalle esigenzedello Spettacolo e del consu-

mo di massa». Amare? Usciredalla religione dello spettaco-lo, e dunque da un profilo dipersonalità il cui narcisismo èincoraggiato, andando incontroalla gradevolezza/sgradevolez-za dell’altro? «L’amore dellaJeune-Fille e del Bloom non èaltro che un autismo in due».Stracciare la propria foto? «LaJeune-Fille e il Bloom assomi-gliano alla propria foto». Faregesti impulsivi, sperando disfuggire alle regole dello spet-tacolo? «Il modello spettraledegli eroi del cinema aleggia difronte ad un abbraccio di ado-lescenti e perfino al gesto diadulterio» (ma questa, se nonricordiamo male, era già in Dia-lettica dell’illuminismo, Horkhe-imer e Adorno, mamma mia,come siamo conciati…). Fug-gire lontano? «Ovunque la mer-ce e lo spettacolo sono pocoamati, anche il Bloom e la Jeu-ne-Fille lo sono». Provare a mo-dificare o a smascherare o aduellare con il sistema dellospettacolo senza tentarne lafuga (come da sempre, da re-dattori delle pagine che stateleggendo, continuiamo a fare)?Qui la risposta è caustica, ci siscotta: «Il Bloom e la Jeune-Fille finiscono per dire “pren-diamo le cose dal lato giusto”,visto che la Storia va nel sensosbagliato».Dentro/ fuori? Giusti/ sbaglia-ti? Videoschiavi/ cineliberi?Sulla vexata quaestio degli apo-calittici da una parte e degli in-tegrati dall’altra (ricordate, Um-berto Eco?) non si spenda unaparola di più. Così come ognu-no vada alla ricerca, però perconto suo, della corrente car-sica di pensiero che sta allabase dei volumi di Tiqqun(guydebordadornofoucaulthei-

deggerlacandeleuze…). Posi-zionare il recente Bloom, degnocompagno della Jeune-Fille,sulla scrivania d’ogni cinefilocapace di autocritica (e dun-que di autoconservazione), cipare già un buon punto di par-tenza: come un paio di specchi– per l’appunto, in tema di nar-cisismi… – di cui valutare lalucidità o le distorsioni. Parlar-ne sarebbe il minimo, anche se,coerentemente, Tiqqun già ri-batte: «Il Bloom e la Jeune-Fil-le non parlano: sono parlatidalla società dello Spettacolo»(e qui Lacan si fa sentire e par-la, altro che esser parlato…).Ma ugualmente, nonostante chei nostri occhi siano già staticertamente incisi dalla societàdello spettacolo, non è dettoche non possano a loro voltaincidere. E poiché Lacan è mor-to, e gli altri autori (viventi)di cui si tratta qui si nascon-dono sotto il tetto di Tiqqun –che, in ebraico, significa ripa-rare, ricostruire, con tanti salu-ti alla Cabala Lurianica –, ognu-no giochi al piccolo esplorato-re con quella formidabile tor-cia che è Internet, per il pia-cere (o il dispiacere, a secondadei gusti) di scoprire i singolinomi che compongono Tiqqun.È il punto di partenza, scrive-vamo: sì, il dibattito sì, per unavolta. ●

Tiqqun, l’occhio che incideGABRIELE BARRERA

Occhi capaci di incidere sul mondo o irrimediabilmente incisidalla società dello Spettacolo (e dunque resi ciechi, purcredendo di vedere)? Il perfetto-cittadino-audiovisivo èoggetto di una lucida descrizione, ad opera del comitatoparigino Tiqqun. Autore di due volumi-specchio su cui,propriamente, non possiamo fare a meno di rifletter(ci)

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script

Le descrizioni di ambienti sono tanta parte dell’esperienza della scrittura,uno dei suoi pilastri1. Sono però anche tra gli elementi che di solito risultanomeno riusciti nei testi dei nostri allievi e allieve, stereotipati, guardati attraversosguardi di altri media, che spesso si accampano al posto degli occhi dei nostriragazzi. Sono anche tra i passi che gli stessi ragazzi più volentieri saltano leggen-do i romanzi, soprattutto se sono lunghi e particolareggiati. Il fatto è che nonabbiamo più bisogno di descrizioni minuziose per vedere i luoghi, le immagini lescavalcano a una velocità tanto maggiore. Le parole devono dunque descrivere inaltro modo. Difatti alcune esperienze letterarie importanti negli ultimi anni han-no rielaborato le descrizioni di paesaggi come dimensione soggettiva di percorri-mento, come intrusione e interscambio tra scrivente e territorio2.Antonio Tabucchi raccomandava in una trasmissione televisiva di qualche anno fa3

di non rappresentare mai un ambiente se non con gli occhi del personaggio,sempre e solo da dentro. Questo può essere un buon consiglio per iniziare inclasse un lavoro sulle descrizioni. Un altro può essere quello di leggere e usarecome strumento di lavoro Lungo la strada scritta, il libro attraverso cui il labora-torio di scrittura di Grafio analizza il territorio di San Lazzaro di Savena. Stimolan-te da più punti di vista, innanzitutto come indicazione di metodo, perché qui ilterritorio è vissuto, prima di essere scritto. In una prima fase i membri del gruppo“di esplorazione” hanno espresso il proprio immaginario sul luogo, poi sono ini-ziate escursioni di osservazione diretta del territorio, che hanno originato unasuccessiva produzione di testi, questa volta espressioni di un rapporto concreto.Dunque qui il territorio non è descritto da fuori, ma attraversato con l’immagina-zione prima, coi passi, i corpi, le relazioni, le parole in seguito. Non si tratta dimettersi di fronte e di fornire indicazioni su un luogo a lettori che non lo conosca-no, si tratta piuttosto di mettersi in rapporto personalmente e di far circolare letracce percorse, contribuendo a costruire una identità della comunità che lo abitapiù consapevole. In questo la scrittura è molto importante, perché introduce unadimensione di tempo calmo, di approfondimento, di sguardo soggettivo ma anchemesso in comunicazione con gli altri scriventi e coi lettori.L’altro invito è quello alla riflessione sulla natura dei luoghi (e dei non luoghi,aggiungerebbe Marc Augé). Qui la scelta di San Lazzaro – un comune alle porte diBologna, sviluppatosi lungo una grande strada, la via Emilia, paese di origineetrusca, in bilico tra tradizione agricola, risorse naturali (il Parco dei Gessi), indu-strializzazione, urbanizzazione veloce – è un compendio di stimoli. «L’intenzioneprimaria – scrive Gianni Cascone – era quella di dar voce a uno dei tanti nostripaesaggi contemporanei diseredati, cioè parzialmente conosciuti o trascurati, [...]non consacrati dalla storia, non monumentali, di edilizia dimessa e diffusa [...]che rappresentano la vera sfida [...] alla superficialità del proprio sguardo»4.E poi c’è la suggestione della via Emilia di tondelliana memoria, che attraversa eorigina piccoli luoghi “infraordinari” e quotidiani e allo stesso tempo «ti illude dinon avere fine» 5, di portarti lontano, «calamita dell’andare all’infinito»6.E poi ancora c’è la suggestione delle voci dei vari coautori, tutte diverse ma conquell’impronta del laboratorio di Grafio, che produce scritture sperimentali, diricerca, riuscendo a mantenere una forte capacità comunicativa. ●

NOTE1. Dario Voltolini, nella prefazione a Lungo la strada scritta, p. 10.2. Gianni Cascone cita a mo’ di esempi Celati, Moresco, Handke, lo stesso Voltolini, in Lungola strada scritta, p. 157.3. La trasmissione era Io scrivo, tu scrivi, curata da Dacia Maraini.4. G. Cascone, Lungo la strada scritta, p. 155.5. G. Cascone, Lungo la strada scritta, p. 20.6. P. Rosati, Lungo la strada scritta, p. 18.

MusicheriaIl Centro Studi Musicali e Sociali MaurizioDi Benedetto, per festeggiare i suoi primidieci anni si è fatto un regalo: è nata lanuova edizione di MUSICHERIA Bottega on-line di educazione musicale[www.musicheria.net].

Centro Studi Musicali e Sociali Maurizio DiBenedetto, c/o coop. sociale La lineadell’arco, via Balicco 11, 23900 Lecco, tel0341.362281 fax 0341.285012, http://www.csmdb.it

Voci del verboinsegnareUn gruppo di insegnanti di Bologna hadato vita al sito Voci del verbo insegnare[http://www.iger.org/insegnare.htm]. Ilsito presenta diverse sezioni: “voci”,“esperienze”, “interventi”, “grandipagine”, “letture inattuali”, “segnalazioni”(di letture e di incontri), link ad altri siti.

Voci del verbo insegnare, Istituto Gramsci,via Galliera 26, Bologna, [email protected].

Contro l’esclusionedella letteratura perl’infanzia dalla scuolaprimariaLa letteratura per l’infanzia è rimastaesclusa nelle Indicazioni Nazionali per iPiani di Studio personalizzati nella ScuolaPrimaria.Contro questa esclusione è stato propostoun manifesto di protesta – promosso daEmy Beseghi dall’Università di Bologna –pubblicato sul n. 63 di LiBeR e disponibilenelle pagine web di LiBeRWEB all’indirizzo:http://www.liberweb.it/grandeesclusa/mani.htm.Tramite LiBeRWEB o con un messaggio diposta elettronica all’[email protected] è possibile sottoscrivereil manifesto.

Informazioni: Idest s.r.l., via Ombrone 1,50013 Campi Bisenzio (FI), tel.055.8966577, fax 055.8953344, [email protected], www.liberweb.it.

Lungo la strada scrittaUn’antologia di testi (a cura di Gianni Cascone e Paola Rosati, Grafio – Labora-torio di scrittura di San Lazzaro di Savena, Fernandel 2004, pp. 175, euro 12)che costituisce una guida in forma narrativa ed un contributo alla ridefinizionedi un territorio dall’identità incerta, ai margini di una grande città, lungo unagrande strada, considerato di solito solo come luogo di attraversamento. Unlibro di “viaggio” sui generis, che può servire anche in classe e nelle scuole discrittura come spunto di lavoro. L’Associazione culturale Grafio ha lavorato findagli esordi del suo laboratorio di scrittura, nel 1991, al rapporto tra scrittura eterritorio, come testimoniano i libri precedentemente pubblicati, che abbiamogià recensito su école. Qui quindici autori, oltre ai due curatori, portano contri-buti diversi, frutto delle diverse esperienze autobiografiche e culturali, che siintersecano, contribuendo a una de-scrittura molto soggettiva ma anche moltocorporea di San Lazzaro.

I luoghi, le paroleper scriverliMARIA LETIZIA GROSSI

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internet

Anche i materiali dei corsi For Tic del MIUR, accanto adinterventi “alti” (pochi ma dei pochi esperti che in Italia vale sem-pre la pena di leggere), contenevano materiali (all’apparenza “su-bappaltati”) di livello decisamente basso. Tanto che in alcune re-gioni, per esempio in Piemonte, la Direzione Regionale ha incarica-to l’Università (e per essa alcuni docenti individuati come espertitramite graduatoria) di integrare, mappare, rendere utilizzabili queimateriali ai tutor ed ai corsisti.Adesso il MIUR ci riprova con la stessa piattaforma, sulle 3 temati-che chiave: Riforma, Informatica e Inglese.Il fenomeno riguarda una fetta crescente, ma esigua di docenti, lamaggioranza dei quali diffida ancora delle tecnologie. L’impressioneè che siano sempre gli stessi (uno zoccolo duro in espansione), tantoche il MIUR (dopo l’ubriacatura dei 180.000 di For Tic) non riesce afar decollare le iscrizioni alla formazione attuale.Ma come fare ad orientarsi nella troppo abbondante proposta attua-le? Come valutare queste proposte? Cosa vogliono i docenti italiani?Una ricerca italiana (progetto EQUA, coordinato dall’Ufficio Scola-stico Regionale per la Lombardia) ha intervistato un campione si-gnificativo di insegnanti per capire cosa chiedono all’e-learning.Complessivamente si può dire che gli insegnanti sono orientati ver-so corsi on line con: costo relativamente basso o accessibile; temilegati al vissuto scolastico e ai bisogni professionali dei destinata-ri; garanzia di certificazione o forme di riconoscimento delle com-petenze acquisite; materiali semplici e chiari, supportati da tutorprofessionali; possibilità di interazione, condivisione, dibattitoaperto e di scambio e dialogo a livello di comunità di corsisti;forme di valutazione chiare e serie. «Ovviamente si pretende ancheche girino su piattaforme funzionali e semplici da usare e che iprofessionisti impegnati nella realizzazione e gestione del corso(dai docenti, ai tutor, ai tecnici) dimostrino capacità, elasticità eadeguate competenze».Nella nostra esperienza di questi anni, come docenti, autori, tutor,ma soprattutto formatori è anche emerso che un buon formatore èquello che per esperienza e competenza sa: far crescere e gestire lacomunità anche a distanza, integrando e ovviando alle rigidità olimiti che un po’ tutte le piattaforme hanno, integrando i materialicon interazione, flessibilità, scambio e dialogo, gestendo le dina-miche che tutti i gruppi hanno. Più quelle specifiche della intera-zione a distanza: non basta sommare piattaforma + autore + tutorper avere un prodotto funzionante, perché abbiamo a che fare conpersone ed è sempre la competenza umana ad integrare e rendereefficace, funzionante e soddisfacente l’insieme; formatori (ancheonline) non ci si improvvisa (come non ci si improvvisa docenti).La prossima volta parleremo di una indagine a livello europeo. Perora citando il professor Rotta della Università di Firenze: «quantidei tanti, troppi corsi attualmente su Internet rispondono a questicriteri? » E quanti dei tutor attualmente in azione hanno avuto iltempo e fatto le esperienze per diventare dei buoni formatori? ●

il libro

La seconda parte del vo-lume contiene molte tabelle suitrend demografici, sulle disu-guaglianze economiche, sull’ac-cesso all’istruzione e su tutti glialtri aspetti che concorrono, aldi là della semplice e spesso in-gannevole misura del PIL, a de-terminare gli indici di “svilup-po umano”. La prima parte rac-coglie invece, oltre a una sinte-si iniziale, cinque saggi sui pro-blemi e sulle risorse delle so-cietà multiculturali in rapportoalla partecipazione politica, allalibertà religiosa, all’accesso allagiustizia, all’uso della proprialingua, alle opportunità socio-economiche delle minoranze.Alcuni riquadri riportano contri-buti speciali su questi temiscritti da personalità quali Nel-son Mandela e Shirin Ebadi.Del primo saggio è autore Amar-tya Sen, premio Nobel 1998 perl’economia e filosofo morale epolitico che ha dato notevolicontributi su ciò che rende con-crete le libertà. Sen sostiene chebisogna cercare i «modi per di-

fendere ed ampliare le libertàculturali di cui le persone pos-sono godere» respingendo nelcontempo le versioni tradizio-nalistiche e più marcatamentecomunitaristiche delle differen-ze culturali. Per un comunitari-smo radicale la comunità è prio-ritaria rispetto agli individui, ele tradizioni che sostanzianol’ethos delle diverse comunitàesigono dai singoli sottomissio-ne in cambio di protezione eidentità. A questa concezioneesclusiva e compatta, Sen obiet-ta che le identità sono plurimein ogni individuo: di cittadinan-za, di genere, di religione, diaffiliazione politica ecc. e all’in-terno della gamma di apparte-nenze c’è sempre la scelta, im-plicita o esplicita, di dare prio-rità all’una o all’altra. Inoltre ladiversità culturale non è unbene sempre e comunque: «Mol-to potrebbe dipendere da comesi realizza la diversità culturalee dalla misura in cui le personecoinvolte possono esercitare lapropria libertà».

Diritti e libertàculturaliCESARE PIANCIOLA

Il rapporto annualecommissionato dal Programmadelle Nazioni Unite per loSviluppo, dedicato ai diritti delleminoranze e dei gruppi cherivendicano una identitàculturale (lingua, religione,costumi ecc.) diversa da quelladelle maggioranze dei paesi incui risiedono, è un libro digrande interesse, ricco dianalisi, dati, schede statistichee approfondimenti su numerosesituazioni nel mondoLo sviluppo umano. Rapporto 2004. 15. La libertà cultu-rale in un mondo di diversità, traduzione italiana di C.Cavagnet, I. Correndo e P. Mezzetti, Rosenberg & Sellier,Torino 2004, pp. 315, euro 22,00

E-learning.Moda e necessitàRODOLFO MARCHISIO

Un fenomeno di moda, nel confusoattuale panorama delle tecnologiescolastiche è quello della formazionea distanza. Come in tutte le mode,accanto a proposte serie troviamoimprovvisazione, fretta e spazzatura

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Il discorso sui “diritti culturali”è dunque complesso.Quali aspetti delle culture de-vono trovare legittimo ricono-scimento e quali invece contra-stano con diritti umani fonda-mentali? È chiaro per esempioche le mutilazioni sessuali fem-minili (pratiche etniche diffusesoprattutto in alcune zone del-l’Africa e non prescrizioni isla-miche come spesso si dice) le-dono il diritto primario all’inte-grità fisica e definiscono undestino d’inferiorità per le don-ne. Ma altri casi di conflittopongono questioni più contro-verse.Se lo stato interviene a imporrela laicità, l’eguaglianza e la neu-tralità dello spazio pubblico,come nella recente legge fran-cese sulla scuola, viola il dirit-to personale alla espressionedella libertà religiosa? Oppuredifende un bene indispensabileper tutti, anche per coloro chelo rifiutano?Speciali opportunità e benefici– come “azioni positive” o si-stemi di quote – a compensa-zione dello svantaggio di mino-ranze rispetto alla maggioranza(o, nel caso delle donne, rispet-to alla tradizionale appropria-zione maschilista delle risorsemateriali e simboliche) sonointerventi da respingere inquanto confliggono con l’egua-glianza indipendentemente dal-le differenze di sesso, linguaecc., oppure devono essere giu-stificati come rimedi volti a ri-stabilire condizioni di paritàeffettiva? Quando ci sono in unostato più gruppi etnici il siste-ma giuridico deve riconoscere,e in quale misura, norme e con-suetudini particolari?Un altro interrogativo: comeneutralizzare e combattere i«movimenti che puntano allasupremazia e cercano di soppri-mere le altre identità, anche conla violenza»?Non ci sono risposte semplicialle questioni complesse dellesocietà multiculturali1. Le solu-zioni prospettate dal Rapporto2004 non sempre sono convin-centi, ma il libro aiuta a vederela molteplicità dei problemi esoprattutto a ragionarne conrespiro planetario. ●

NOTA1. Su questi argomenti sono daleggere anche i saggi raccolti inErmanno Vitale (a cura di), Dirittiumani e diritti delle minoranze.Problemi etici, politici e giuridici,Rosenberg & Sellier, Torino 2000.

pio spazio alla prospettiva didat-tica della narrazione e dell’inte-grazione a scuola ed ignori per-corsi educativi già relativamen-te consolidati. Si pensi solo, perfare qualche esempio, all’intera-zione fra educazione intercultu-rale e apprendimento cooperati-vo, al dialogo interreligioso, ainumerosi esempi in chiave inter-culturale offerti dall’educazionemusicale – grande assente dellaparte dedicata alla comunicazio-ne e allo scambio–.Complessivamente, più che ad unpercorso dall’A alla Z, il volumeoffre alcuni nodi critici utili adapprofondire i temi dell’intercul-tura come opportunità di più ge-nerale rinnovamento pedagogi-co, evitando, invece, di entrarenel merito delle ricadute disci-plinari della prospettiva intercul-turale.

ALESSIO SURIAN

Maurizio Vitali,Alla ricerca di un suonocondiviso.L’improvvisazione musicaletra educazione eformazione,Centro Studi Musicali eSociali Maurizio DiBenedetto, Franco Angeli,Milano 2004, pp. 128, euro11,50

In un mondo sempre più rumo-roso e sempre più incapace disentire sono indispensabili espe-rienze, come quella dell’improv-visazione musicale, che richiedo-no capacità di ascolto, valoriz-zazione dei suoni e dei silenzi,disponibilità delle persone amettersi in gioco e a confron-tarsi, capacità di intervenire inmodo creativo in realtà semprenuove e impreviste. È quindi par-ticolarmente importante un te-sto come quello di Maurizio Vi-

tali che si occupa di improvvisa-zione in gruppo, sottolineandocome un laboratorio in questocampo possa essere una vera epropria “scuola di comunicazio-ne”. Già nel titolo del libro emer-gono i concetti di ricerca e dicondivisione. Ricerca in terminidi suoni, strutture e forme musi-cali, ma prima di tutto ricerca disé attraverso i propri suoni edesiderio di conoscere gli altriattraverso i loro suoni. Condivi-sione come messa in comune diaspetti di sé per arrivare a unevento sonoro che sappia far in-teragire elementi diversi, simili,contrastanti, opposti. Più voltenel libro emerge l’immagine delviaggio per descrivere il percor-so di un laboratorio di improvvi-sazione ricco di stupore, impre-visti, rischi, sorprese, incontri,scoperte, crescita personale.Uno dei pregi del libro è quellodi presentare una esaustiva par-te iniziale di tipo teorico e me-todologico e di supportarla conesempi pratici di “training”, in-tendendo con questo terminedegli “esercizi” che abbiano insé aspetti di espressività, di co-municazione, di stile «in un pro-cesso che garantisce, insieme, di-vertimento e disciplina, libertàe gradualità, energia e sensodella forma». Ovviamente questaparte non è presentata comemodello rigido da adottare, macome proposta di modalità percostruire percorsi analoghi.È sempre molto difficile descri-vere con le parole ciò che riguar-da i suoni e le emozioni e cherichiederebbe di essere ascolta-to e sentito. Spesso il rischio èdi cadere in descrizioni che pos-sono sembrare astratte o tecni-cistiche a chi non ha già vissutol’esperienza. Maurizio Vitali af-fronta questa difficoltà presen-tando percorsi, materiali, osser-vazioni, scaturiti da laboratori diimprovvisazione che si sono re-

A cura di Graziella Favaroe Lorenzo LuattiL’intercultura dalla A alla ZFrancoAngeli, Milano2004, p. 425, euro 33

Sono già dieci i titoli nella col-lana “La Melagrana”, dedicata al-l’educazione interculturale. Il vo-lume curato da Favaro e Luattiha le caratteristiche di una cor-posa introduzione alla sezione“Idee e metodi” ed è stato pro-piziato dal progetto Socrates, so-stenuto dalla Commissione Eu-ropea, “L’educazione intercultu-rale, un cantiere d’Europa”, pro-mosso da due organizzazioni are-tine, il Centro di Documentazio-ne e Ucodep, e presentato nellaparte finale del libro. Peccato cheil finanziamento pubblico nonabbia contribuito a contenere ilprezzo di copertina, perché iltesto ha le caratteristiche delmanuale utile ad una prima in-troduzione all’argomento per in-segnanti e studenti universitari,avendo il pregio di riunire con-tributi di ben diciotto autori frai più rappresentativi dell’arcipe-lago di ricercatori, formatori eanimatori di centri intercultura-li in Italia.Raccoglie ventiquattro articoliorganizzati in tre sezioni.Nella prima parte gli stessi cura-tori e Francesca Gobbo traccia-no alcune coordinate per defini-re l’educazione interculturale edi suoi nodi critici anche a partireda una prospettiva storica che ri-prende il dibattito americano edalcuni contributi del Consigliod’Europa.Tre quarti del testo sono dedica-ti alla seconda parte, intitolata“Dimensioni e lessico”, che mettea confronto ambiti e metodi delleprospettive interculturali a scuo-la ed è ulteriormente suddivisain “Intercultura come integrazio-ne” (con scritti dei curatori, Gil-berto Elio Bettinelli, FrancescaGobbo, Milena Santerini, LeilaZiglio), “Intercultura come rela-zioni e rappresentazioni” (LauraBalbo, Marianella Sclavi, Massi-mo Ghirelli), “Intercultura comenarrazione” (Duccio Demetrio,Antonio Nanni, Mariangela Giu-sti, Ivano Gamelli), “Intercultu-ra come comunicazione e scam-bio” (Graziella Favaro, Rosa Pu-gliese, Massimiliano Tarozzi, Mar-co Dallari) e “Le risorse dell’in-tercultura” (Lorenzo Luatti eAnna Ferrero del Centro Intercul-turale Città di Torino).Rispetto alla tensione “enciclo-pedica” del titolo è interessantenotare come il volume presti am-

libri○

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almente svolti, che ha condottoo a cui ha partecipato. Questodiretto coinvolgimento rendeconvincenti le proposte e, seb-bene resti la sensazione che sa-rebbe necessario “sentire” oltreche leggere, ci lascia una sensa-zione di sincerità e autenticità.Anzi, forse proprio questo desi-derio di “sentire” potrebbe es-sere la molla che spinge a pro-vare ad attuare alcuni di questipercorsi. E sarebbe sicuramenteun ottimo risultato per un librosull’improvvisazione.

MARIATERESA LIETTI

Gaspare Polizzi,Leopardi e le “ragioni dellaverità”, prefazione diRemo Bodei, Carocci, Roma2003, pp. 288, euro 19,60

«La solida indagine di GasparePolizzi ha il merito di aver indi-viduato l’affacciarsi e il proiet-tarsi del pensiero leopardianosulle teorie e le pratiche dellescienze del nostro tempo, versomodelli probabilistici, che sipone tra “leggi cieche ed eventiarbitrari”» (p. XVIII). Così RemoBodei conclude la sua Prefazio-ne a quest’ultimo lavoro di Ga-spare Polizzi e non si può nonconvenire con lui. Polizzi rico-struisce con grande sensibilitàcritica il rapporto tra Leopardie le scienze naturali e poi, ine-vitabilmente, quello con la pra-tica della filosofia.«Il nucleo profondo della rifles-sione leopardiana sulla naturasi esprime nello Zibaldone in al-ternativa alla visione della na-tura fornita dalla scienza, indirezione di una “scienza nega-ta”, di una scienza tanto entu-siasticamente appresa quantonettamente rifiutata (ma anchedi una scienza negata in super-ficie, che ricompare carsicamen-te lungo l’intero asse del pen-siero)» (p. 87).Il mito idealista di un Leopardicritico delle scienze esatte e po-lemico nei confronti della pra-tica scientifica come tale vienebattuta in breccia e al suo po-sto emerge un personaggio più“nuovo”, originale e più inte-ressante di quello precedente.Un episodio della vita del poe-ta di Recanati descritto nel li-bro illumina sulla vera natura deisuoi interessi in questo campo:il martedì 25 giugno 1827, aPalazzo Buondelmonti, il venti-novesimo compleanno di Giaco-mo Leopardi fu festeggiato au-

torevolmente, auspice Gian Pie-tro Vieusseux. A quella festa dicompleanno parteciparono unnutrito numero di suoi amiciscienziati: i fisici Gaetano Cio-ni, Domenico Paoli, GuglielmoLibri e Francesco Orioli, lo zoo-logo Carlo Luciano Bonaparte el’amatissimo Gino Capponi.Polizzi apre così delle strade ori-ginali all’indagine sul pensieroleopardiano: scavando nello Zi-baldone e confrontandolo con lacoeva produzione poetica, essoappare finalmente libero dalleipoteche ideologiche che trop-po spesso lo avevano costrettoa fare da sponda ad interpreta-zioni legate alle polemiche del-la nostra contemporaneità.

GIUSEPPE PANELLA

Rossella Grenci,Le aquile sono nate pervolare,La Meridiana, Molfetta(BA) 2004, pp. 114, euro14.00

Sapevate che Agatha Christieera dislessica e che per tutta lavita ha avuto grandi difficoltànella scrittura e, in modo parti-colare, nell’ortografia? E che loerano anche Flaubert e Yeats?Churchill ed Einstein, John Len-non, Cher e Jackie Steward?Lo psicologo William James, an-ch’egli dislessico, scrisse: «Io,proprio io, ho grandi difficoltà ausare l’immaginazione e trovoche, raramente, posso richiama-re in mente solo una singola let-tera dell’alfabeto. Devo traccia-re la lettera ripercorrendo il suocontorno con il mio occhio men-tale da capo a piedi, finché l’im-magine non si distingue tutta».La logopedista Rossella Grenci,docente nel Corso di Laurea inLogopedia dell’Università Catto-lica di Roma, pubblica, con LaMeridiana, un libro interessan-te e necessario sulla dislessia inetà evolutiva e sulle diversemodalità di approccio, di inter-pretazione, di gestione di que-sta patologia considerata il piùfrequente e importante distur-bo dell’apprendimento. Patolo-gia difficile da riconoscere perchi non ne abbia almenoun’esperienza, difficile da gesti-re perché ancora poco conosciu-ta in Italia e anche perché nonsi tratta di un disagio momen-taneo che può risolversi concure adeguate. La dislessia co-stringe a convivere con l’idea

dell’impossibilità di guarirne.Del resto, un grande terapeuta,Goolishan, diceva che: «I pro-blemi umani non si risolvonomai, al limite si gestiscono».Nel libro di Grenci, sono indica-te strategie di approccio peda-gogico, modalità di interventoriabilitativo, suggerimenti pra-tici, non solo in ambito scola-stico, per stimolare le abilità deibambini dislessici, spesso gran-di creativi. Approccio positivoe multisensoriale, sfruttando lateoria delle intelligenze multi-ple di Gardner e proponendo at-tività nei vari ambiti discipli-nari rivisitate per poter esserepraticate con successo anche daibambini con difficoltà di ap-prendimento o, meglio, con undiverso modo di apprendere.Soprattutto se si parte dall’ideache democrazia non significadare a tutti le stesse cose, ma aciascuno ciò di cui ha bisogno.

GIOVANNA ALBORGHETTI

Daniele Novara (a cura di),La scuola dei genitori,Berti editrice, Piacenza2004, pp. 130, euro 9.00

Realizzato all’interno del proget-to della Provincia di Piacenza,“Università dei Genitori”, que-sto libro, curato da Daniele No-vara, raccoglie i contributi, tragli altri, di Raffaele Mantegaz-za, Anna Oliverio Ferraris, Ga-briella Seveso e affronta alcunitemi significativi su cui i geni-tori e le agenzie educative siconfrontano da tempo, alla ri-cerca di nuovi modelli educati-vi efficaci.La ricerca di regole condivise eben esplicitate aiuta i figli a co-struire l’autonomia necessaria adiventare grandi serenamente esenza strascichi irrisolti o rim-pianti di ruoli non vissuti a fon-do.L’educazione alla sessualità èparte integrante di una ben piùcomplessa educazione relaziona-le, ma l’istruzione sessuale è in-dispensabile per costruire “map-pe” di senso che aiutino gli ado-lescenti ad orientarsi.Una piacevole scoperta è,senz’altro, il capitolo di WalterBaroni, nella terza parte del li-bro, che si intitola: “Balzaresotto il cielo libero della storia:crescita e congedo dalla propriainfanzia” e che si conclude conla citazione integrale della bel-lissima poesia di Franco Forti-ni, La gioia avvenire.

In appendice un’intervista diDaniele Novara (che firma an-che l’introduzione e il primocapitolo) ad Anna Oliverio Fer-raris sui temi trattati e appro-fonditi nel libro.

GIOVANNA ALBORGHETTI

Daniele Novara (a cura di),Abbracci e litigi,EGA, Torino 2004, pp. 207,euro 12.00

Con il contributo di diversi au-tori, Daniele Novara cura un li-bro che affronta le tematichedello stare insieme fra bambinie fra bambini e adulti. La pre-sentazione del curatore, che daanni e fra i primi in Italia sioccupa della gestione creativadei conflitti, ha un titolo pro-vocatorio: “Il diritto dei bam-bini ai conflitti”.Può, forse, sembrare contraddit-torio parlare di un diritto ai con-flitti in tema di educazione allapace, ma Daniele Novara recu-pera il senso profondo di cam-biamento che offre una prospet-tiva diversa in cui osservare op-posizioni e divergenze. Nonomogenizzandole, eliminandocon interventi valutativi e pu-nitivi uno dei punti di vista ingioco; non reprimendole, tac-ciandole sbrigativamente comeinopportune violenze; non cer-cando di far combaciare l’imma-gine, idealizzata da molti adul-ti, di un bambino buono sem-pre, incapace di violenze e didesideri di vendetta o di sopraf-fazione, ma risignificando ilconflitto «come una vera e pro-pria area di crescita formativa».Il libro è suddiviso in tre partiche affrontano il “so – stare nelconflitto” approfondendo la ri-flessione pedagogica e attraver-so le esperienze delle “Propo-ste operative” e dei “Percorsi”.Ogni attività viene presentatasottolineando i suggerimentimetodologici e il percorso di-dattico e costruendo una corni-ce che è possibile traslare adaltre attività o arricchire di con-tenuti.Il capitolo scritto da Rita Gay,attenta osservatrice dei bambi-ni, soprattutto in età prescola-re, approfondisce la tematica deicomportamenti di cooperazionegià presenti nell’età del nido edella scuola materna.I disegni sono di Francesco To-nucci, autore anche di un capi-tolo nella prima parte del libro.

GIOVANNA ALBORGHETTI

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