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PAGINA 1 Lezioni americane CELESTE GROSSI edit «È vero che il centrosinistra, ma non soltanto D’Alema, ha risposto ai cambiamenti intervenuti nella società italiana accettando anche per la scuola i pa- radigmi del liberismo. Ma noi quali paradigmi proponiamo? Gran parte della sinistra considera il liberismo una necessità. Io no.», ha detto Rossana Rossanda nel suo intervento al convegno Una scuola per la cittadinanza. Confronto a sinistra (organiz- zato a Firenze, il 24 e 25 febbraio scorsi, per iniziativa di Ars - Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e del Comitato di Firenze Per la Scuola della Repubbli- ca, www.perlascuolapubblica.com). Il laburista Tony Blair, invece, sì. Il premier britannico ha presentato, in vista delle elezioni della prossima primavera, una proposta per una scuola superiore rinnovata che si intitola Costruire sul succes- so. Abbandonata l’idea di un sistema scolastico «free and for all», i più “moderni” principi ispiratori della riforma sono: canalizzare precocemente “le scelte” scolasti- che (gli studenti verranno indirizzati, già a undici anni, verso differenti scuole superiori in base alle “attitudini dimostrate”); specializzare l’offerta formativa (il 46% delle scuole superiori entro il 2006 dovranno diventare scuole speciali); pre- miare il talento con l’istituzione di una accademia per studenti dotati; privatizzare, affidando in gestione scuole pubbliche ad aziende private con contratti rinnovabili oltre il limite attuale di sette anni. A proposito di privatizzazione dell’istruzione, a Blair non sono servite le lezioni che vengono dagli Stati Uniti — dove i tentativi di introdurre il buono scuola sono stati respinti dagli esiti di referendum in California, Michigan, Washington, New Mexico, Rhode Island, Colorado, Arizona — e dal Canton Ticino, dove il 18 febbraio tre votanti su quattro hanno detto no al ticket scolastico a favore delle famiglie con figli iscritti alle scuole private. Ma le elezioni in primavera ci saranno anche in Italia. E laicità e scuola pubblica sono temi dell’agenda politica sui quali auspichiamo che le proposte delle destre e del centro sinistra riescano chiaramente a differenziarsi. È ancora Rossana Rossanda ad affermare che «il sistema scolastico è lo specchio di come le generazioni trasmettono alle successive la loro propria memoria, la propria esperienza e la propria proposta» e si interroga sul «che cosa crediamo di dover proporre, alla fine del secolo XX, degli ideali repubbli- cani di libertà, uguaglianza e fraternità che sono la base dalla quale è partito il socialismo, e sono l’oppo- sto della civiltà di mercato? Finché non lo diremo, con fermezza e umiltà, non saremo credibili». Noi invece ci interroghiamo su questioni di meno alti principi: cosa sono andati a promettere a Angelo Soda- no, Segretario di Stato del Vaticano, i nostri futuri go- vernanti, in cambio di benedizioni elettorali? Un nuo- vo Concordato sulla scuola? L’attacco alla laicità dello Stato e della scuola è già in atto. Nella mozione approvata dai partecipanti al Con- vegno Il Novecento in Italia: un secolo laico? (Torino 26 febbraio, promotori Comitato Torinese per la Laicità della Scuola, Centro Studi Piero Gobetti, Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini), si solleva una preoccupa- zione: «sembra che per i curricoli della nuova scuola di base si definisca un’ipotesi di orario che prevede l’in- segnamento della religione cattolica all’interno delle 30 ore curricolari» e si formula l’augurio «che nella nuova scuola che sta nascendo dalla legge del riordino dei cicli l’insegnamento della religione cattolica trovi una chiara collocazione extracurricolare, rispettando i prin- cipi di laicità che sono alla base della nostra Costitu- zione e sono garanzia per la libertà di tutti».

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Lezioni americaneCELESTE GROSSI

edit «È vero che il centrosinistra, ma non soltanto D’Alema, ha risposto ai

cambiamenti intervenuti nella società italiana accettando anche per la scuola i pa-radigmi del liberismo. Ma noi quali paradigmi proponiamo? Gran parte della sinistraconsidera il liberismo una necessità. Io no.», ha detto Rossana Rossanda nel suointervento al convegno Una scuola per la cittadinanza. Confronto a sinistra (organiz-zato a Firenze, il 24 e 25 febbraio scorsi, per iniziativa di Ars - Associazione per ilRinnovamento della Sinistra e del Comitato di Firenze Per la Scuola della Repubbli-ca, www.perlascuolapubblica.com).Il laburista Tony Blair, invece, sì.Il premier britannico ha presentato, in vista delle elezioni della prossima primavera,una proposta per una scuola superiore rinnovata che si intitola Costruire sul succes-so. Abbandonata l’idea di un sistema scolastico «free and for all», i più “moderni”principi ispiratori della riforma sono: canalizzare precocemente “le scelte” scolasti-che (gli studenti verranno indirizzati, già a undici anni, verso differenti scuolesuperiori in base alle “attitudini dimostrate”); specializzare l’offerta formativa (il46% delle scuole superiori entro il 2006 dovranno diventare scuole speciali); pre-miare il talento con l’istituzione di una accademia per studenti dotati; privatizzare,affidando in gestione scuole pubbliche ad aziende private con contratti rinnovabilioltre il limite attuale di sette anni.A proposito di privatizzazione dell’istruzione, a Blair non sono servite le lezioni chevengono dagli Stati Uniti — dove i tentativi di introdurre il buono scuola sono statirespinti dagli esiti di referendum in California, Michigan, Washington, New Mexico,Rhode Island, Colorado, Arizona — e dal Canton Ticino, dove il 18 febbraio trevotanti su quattro hanno detto no al ticket scolastico a favore delle famiglie configli iscritti alle scuole private.

Ma le elezioni in primavera ci saranno anche in Italia.E laicità e scuola pubblica sono temi dell’agenda politica sui quali auspichiamo chele proposte delle destre e del centro sinistra riescano chiaramente a differenziarsi. Èancora Rossana Rossanda ad affermare che «il sistema scolastico è lo specchio dicome le generazioni trasmettono alle successive la loro propria memoria, la propriaesperienza e la propria proposta» e si interroga sul «che cosa crediamo di doverproporre, alla fine del secolo XX, degli ideali repubbli-cani di libertà, uguaglianza e fraternità che sono labase dalla quale è partito il socialismo, e sono l’oppo-sto della civiltà di mercato? Finché non lo diremo, confermezza e umiltà, non saremo credibili».Noi invece ci interroghiamo su questioni di meno altiprincipi: cosa sono andati a promettere a Angelo Soda-no, Segretario di Stato del Vaticano, i nostri futuri go-vernanti, in cambio di benedizioni elettorali? Un nuo-vo Concordato sulla scuola?L’attacco alla laicità dello Stato e della scuola è già inatto. Nella mozione approvata dai partecipanti al Con-vegno Il Novecento in Italia: un secolo laico? (Torino 26febbraio, promotori Comitato Torinese per la Laicità dellaScuola, Centro Studi Piero Gobetti, Istituto di StudiStorici Gaetano Salvemini), si solleva una preoccupa-zione: «sembra che per i curricoli della nuova scuola dibase si definisca un’ipotesi di orario che prevede l’in-segnamento della religione cattolica all’interno delle30 ore curricolari» e si formula l’augurio «che nella nuovascuola che sta nascendo dalla legge del riordino deicicli l’insegnamento della religione cattolica trovi unachiara collocazione extracurricolare, rispettando i prin-cipi di laicità che sono alla base della nostra Costitu-zione e sono garanzia per la libertà di tutti». ●

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Mercoledì 24 genna-io, Sole 24 Ore, titolo: “Ri-forma scolastica, primo pas-so di Bush”. Il nuovo presi-dente americano, uscito dai“troubles” dei contestatissi-mi conteggi elettorali e smal-titi i postumi della festa d’in-sediamento, per prima cosasi affretta a mettere in attole sue promesse elettorali inmateria scolastica. D’altraparte la scuola aveva rappre-sentato una parte non secon-daria del programma delpartito repubblicano. InAmerica, come in Italia d’al-tronde, si è sempre pronti apuntare il dito sui difetti del-le istituzioni educative, checerto di difetti ne hannosempre molti, anche perchésono sempre sottoposte, vo-lenti o nolenti, alla sfida del-le mutazioni socioculturali.Mai che a tanti vati della“new economy” e della so-cietà della conoscenza ven-ga in mente che questo con-tratto sociale non sia leggi-bile solo a senso unico e che,quindi, non tutti i difetti ri-siedano nella scuola, mapossano anche venire da al-tri soggetti culturali e non.Mai che ai vati del liberismovenga in mente di prendereper le corna l’informe socia-le: sanno bene che è un Pro-teo inafferrabile, per cui èmeglio un’istituzione bellavisibile e ben individuabileper far bella figura come “ca-

stigamatti”. E così la scuolaè diventata uno dei punticentrali della competizionetra Bush e Gore. Al puntoche pochi mesi fa la rivistaTime è uscita col titolo “Chiè il presidente della scuola?”

Il fascino indiscretodel merito individuale

Ma quali sarebbero a questopunto le misure di riformacon cui Bush «mira a salva-re — sono parole del Sole 24Ore — un sistema pubblicopericolante, ma anche a raf-forzare l’alternativa dellascuola privata»? Che sareb-be poi come dire avere labotte piena e la moglieubriaca, contraddizione che,come vedremo in seguito, gliamericani hanno compresomolto bene.«Il piano di Bush punta aresponsabilizzare le singolescuole. I fondi federali saran-no legati ai risultati. Aumen-teranno i controlli e le veri-fiche. Le scuole che mostre-ranno di aver fatto progressisaranno incoraggiate e finan-ziate. Quelle che non faran-no progressi saranno punite,ovvero non riceveranno sol-di dal governo federale e ri-schieranno di chiudere».Già così ce ne sarebbe ab-bastanza da far rizzare i ca-pelli. Sono cose che, in ma-niera magari un po’ più lar-

vata, si sono sentite anche danoi. Ma invito i lettori a nonsoffermarsi alla prima im-pressione e a considerareche stiamo parlando degliStati Uniti e in quel conte-sto alcune concezioni han-no una valenza diversa cheda noi. Occorre, per cosìdire, fare le dovute propor-zioni.La questione è un’altra ed èche il premio alle scuole nonera nei programmi dei re-pubblicani, ma piuttosto inquello dei democratici o perlo meno di alcuni loro can-didati. Infatti sul New YorkTimes del 10 aprile dell’an-no scorso si poteva leggere:«… la versione della retribu-zione di merito che il sinda-co Rudolph Giuliani propo-ne, che ricompenserebbe inostri insegnanti con premibasati sui risultati dei lorostudenti, ha provocato tu-multi politici in altri sistemiscolastici, e il suo impatto sulrendimento degli studenti,dicono gli esperti, resta ab-bondantemente non dimo-strato.(…) L’avversaria diGiuliani nella corsa al Sena-to, Hillary Rodham Clinton,ha detto la scorsa settimanache lei avrebbe sostenutopiani di retribuzione delmerito che riguardasserol’intera scuola, piuttosto cheindividuare insegnanti isola-ti, un’idea che sostengonoanche alcuni sindacati».

D’altra parte, fin dal secoloscorso quando in Inghilter-ra si cominciò a ricorrere aquesti metodi, queste idee diuna retribuzione legata allaprestazione del docente omeglio ancora al rendimen-to dello studente ha fatto ci-clicamente capolino. Lostesso New York Times cita lavicenda della contea diTexarkana, nell’Arkansas,dove nel 1989 si avviò unprogetto per cui sarebberostati incentivati tutti gli in-segnanti che avessero pro-dotto l’incremento dei pun-teggi nei test e anche aglialunni sarebbero stati datipremi in natura (radioline,dischi ecc.). Il progetto chesi avvaleva della collabora-zione di agenzie di valutazio-ne private, fu subito imita-to, ma tutto finì in uno scan-dalo quando le agenzie fu-rono sorprese a svelare i test.In Kentucky nel 1997 un al-tro progetto che prevedevapremi sia alle scuole che aidocenti produsse una verapropria inflazione di classi-ficazioni e fu abbandonato.Infine nel 1999 un ultimotentativo in questo senso del-la municipalità di Los Ange-les si è infranto contro la re-sistenza dei sindacati. In so-stanza si può dire che le po-litiche del merito individua-le anche nella meritocratica,o presunta tale, Americasono talmente impopolari

I primi passi (indietro) di BushPINO PATRONCINI *

Apparentemente, Bush vuole rafforzare sia il sistema scolasticopubblico che l’alternativa della scuola privata. Ma gli americanihanno compreso molto bene la contraddizione tra botte piena emoglie ubriaca. E il finanziamento alle scuole private non piace

nei sondaggi, soprattutto nella forma del buono scuola

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che Bush ha dovuto ripiega-re sulla più mite misura del-la valutazione delle scuole,sostenuta dai suoi avversari.Ma si può anche dire che,fatte le dovute proporzioni,in America, come in Italianella vicenda del “concorso-ne”, a due diverse visioni delmondo o, per lo meno, a duediverse disponibilità rispettoalle sue contraddizioni, cor-rispondono due diversi atteg-giamenti in merito alla fac-cenda. E allo stesso modo sipuò dire che per la valuta-zione individuale sono tem-pi duri se in Italia il concor-sone è stato bloccato nelmodo che sappiamo, inGran Bretagna il “Perfor-mance Related Payment” èfermo per un ricorso proce-durale avanzato dalla Natio-nal Union of Teachers e ne-gli Stati Uniti persino i re-pubblicani hanno abbando-nato il merito individuale afavore di quello collettivo discuola.

Scuola cattivae buono-scuola

Anche sull’altro punto qua-lificante del programma sco-lastico repubblicano, quellodel buono scuola per le fa-miglie che mandano i figlialle scuole private, Bush hadovuto fare macchina indie-tro. Scrive il Sole 24 Ore:«Bush ha già dato un primosegno di disponibilità ai de-mocratici, proponendo chei “voucher” entrino in vigo-re solo dopo due anni che lascuola pubblica locale si siadimostrata incapace di mi-gliorare per due anni conse-cutivi». Disponibilità verso

chi? Secondo il Sole 24 Oreverso i democratici: quelliintransigenti contro il buo-no scuola come Ted Kenne-dy, e quelli più possibilisticome John Liebermann.Ma la realtà è probabilmen-te un’altra: è che il buonoscuola ha subito in questianni sonore batoste pressol’opinione pubblica ameri-cana. Molti giornali italianihanno riportato la notiziasecondo cui nel giorno stes-so delle elezioni presidenzia-li in California un referen-dum (gli americani non fan-no tutte le questioni che sifanno da noi circa la coinci-denza delle scadenze eletto-rali!) aveva sonoramentesconfitto l’ipotesi di introdur-re il buono scuola in quellostato. Ma quello della Cali-fornia non è stato l’unicocaso. Nella stessa giornata, inun analogo referendum, an-

che nel Michigan gli eletto-ri anti-voucher hanno vinto(2-1) una partita in cui i pro-nostici li davano perdenti. Enon è tutto: negli stati diWashington, New Mexico(dove un “voucher plan” eragià stato respinto dal parla-mento locale), RhodeIsland, Colorado e Arizonail corpo elettorale ha inveceapprovato significativi au-menti di finanziamento allescuole pubbliche. Ad ontadel cattivo funzionamento dimolte scuole pubblicheamericane, pretesto dellacampagna repubblicana peril buono scuola, il movimen-to anti-voucher si sviluppafavorito, secondo la rivistaTime, dal fatto che l’attualegenerazione di genitori ècresciuta nelle scuole pub-bliche in un periodo in cuiqueste godevano di grandefiducia. Sicchè oggi in Ame-rica, contro ogni previsionee ad onta dei luoghi comuniche si sentono a casa nostrariguardo a quel paese, solo 6stati su 50 praticano qualcheforma di finanziamento allescuole private e solo 2 nellaformula del buono scuola.Ci sono stati, come l’Illino-is, dove si detraggono speseper l’istruzione sia pubblicache privata, ma poiché ladetrazione deve coprire il

25% delle spese, la detrazio-ne piena l’hanno solo colo-ro che pagano le rette dellescuole private. Come direche qualche nostro Consi-glio regionale non ha inven-tato niente di nuovo! In Ari-zona si possono detrarre do-nazioni fatte ad uso educati-vo, ma siccome queste nonpossono essere per i proprifigli, ecco che si crea unaspecie di scambio di favori.Nel Vermont, piccolo statomontuoso, c’è una specie dibuono scuola per i paesi dimontagna perché chi vi abi-ta si arrangi a trovare qual-cuno che insegni ai proprifigli.La Florida, dove il governa-tore è il fratello del presiden-te, è invece lo stato in cui siera avviata la sperimentazio-ne del progetto che i repub-blicani volevano imporre alpaese: 3 o 4 mila dollari allefamiglie i cui figli abbianoavuto due anni di risultatinegativi per poter risolvere iproblemi iscrivendoli allascuola privata, un modo tut-to americano di risolvere iproblemi di tutoraggio, recu-pero, assistenza. Non a caso,contrariamente a quanto sipotrebbe pensare, secondo isondaggi l’appoggio a taliprogetti è più forte nei ceti“poveri”: negri e soprattutto“latinos” cattolici, anche perproblemi di identità cultura-le, dal momento che la mag-gior parte delle scuole priva-te sono cattoliche. Ma in

Oggi in America, contro ogniprevisione e ad onta dei luoghicomuni che si sentono a casanostra riguardo a quel paese, solo6 stati su 50 praticano qualcheforma di finanziamento allescuole private e solo 2 nellaformula del buono scuola

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Florida il numero di doman-de è stato così alto che tuttosi è risolto in una lotteria!In Arkansas lo stesso proble-ma è invece stato risolto a fa-vore del pubblico: lo stato in-terviene a finanziare il trasfe-rimento degli alunni dallearee di degrado scolastico adaltri distretti.Chi ha fatto della campagnaanti-voucher la propria ban-diera, impegnadovi risorsecospicue in spot pubblicitarie ricorsi alla magistratura, èl’American Federation of Te-achers, 700.000 iscritti, il se-condo sindacato nella scuolaamericana, affiliata alla Afl-Cio. Ha già alle spalle impor-tanti successi come la messain mora del “voucher pro-gram” della municipalità diCleveland ad opera del giu-dice federale dell’Ohio, chevi ha ravvisato la violazionedella separazione tra stato echiesa e altre sentenze analo-ghe da parte dei giudici deglistati di New York, Wisconsin,Maine e Vermont ed anchedella Prima Corte d’Appello.L’ American Federation of Te-achers vanta il più documen-tato sito web sull’argomento.Da una serie di inchieste esondaggi ivi pubblicati sco-priamo che l’ostilità dell’opi-nione pubblica americanavaria nelle diverse indagini trail 52% e il 69% e cresce quan-to più è chiaro che la formadi finanziamento è proprioquella del “voucher”.«Le elezioni presidenzialidevono essere ancora chiu-se, ma gli elettori sono statiespliciti circa i buoni scuo-la: non gli piacciono», scri-veva la rivista Time nei gior-ni degli interminabili con-teggi delle schede. «C’èun’assai diffusa percezione,enfatizzata dagli oppositoridel buono scuola, che accet-tare i vouchers significhi la-sciare a secco la scuola pub-blica». Anche Bush deveaver percepito qualcosa.Solo Formigoni, Berlusconie qualche possibilista di si-nistra fanno finta di non per-cepire niente! ●

* Alternativa sindacale - Cgil.

La prima propostaera quella di iniziativa popo-lare promossa dal fronte cat-tolico e prevedeva per le fa-miglie i cui figli frequenta-no le scuole private elemen-tari, medie e superiori uncontributo che andava da unmassimo del 50% ad un mi-nimo del 20% del costo me-dio per allievo della scuolapubblica di pari grado. L’en-tità del contributo era lega-to al reddito: 50% sino ad unreddito annuo di 48 milionidi lire, 20% per un redditodi 84 milioni e oltre.La seconda proposta (con-troprogetto) era quella pro-mossa dal Governo ticinesee approvata a maggioranzadal Parlamento e prevedevarimborsi solo agli alunni del-le scuole private elementarie medie.I contributi andavano per leelementari da 1 milione ot-tocentomila per le famigliecon reddito oltre i 108 mi-lioni annui a 3 milioni perun reddito sotto i 54 milio-ni, per le medie gli importierano raddoppiati (da 3 mi-lioni e seicentomila a 6 mi-lioni annui).A favore del buono eranoschierati il Partito popolare,La lega, la destra UDC e iVerdi, contro i socialisti. Il

maggioritario Partito liberalradicale si era spaccato al suointerno fra favorevoli e con-trari.Il successo del no è andatooltre le previsioni più ottimi-stiche del fronte laico riuni-to nell’Associazione per lascuola pubblica (ASP). Han-no votato il 43% degli elet-tori, quando normalmentepartecipano alle consultazio-ni referendarie fra il 25 e il30% dei cittadini.

Il no popolare

Tre le osservazioni di fondo:1) tutte le volte che il buonoscuola è stato sottoposto algiudizio popolare è stato so-noramente sconfitto, dallaCalifornia al Michigan perfinire al Canton Ticino. Ciòè di buon augurio anche peril referendum in Emilia Ro-magna, che dovrebbe svol-gersi nel prossimo autunno.Dopo l’abbandono dell’ideaanche da parte della nuovaamministrazione Bush intutto il mondo occidentalerestano solo le regioni delNord Italia a sostenere que-sto provvedimento;2) determinante nel succes-so ottenuto avendo controGoverno e maggioranza del

Niente buono scuola in CantonTicino: il no raggiunge il 74%BRUNO MORETTO

Grande vittoria del fronte laico in Canton Ticino: i cittadinidella Svizzera italiana hanno respinto le due proposte dibuono scuola poste in votazione domenica 18 febbraio con il74% e 72% di no. Dopo l’abbandono dell’idea anche daparte della nuova amministrazione Bush in tutto il mondooccidentale restano solo le regioni del Nord Italia a sostenerequesto provvedimento

▼Parlamento è stata l’Associa-zione per la scuola pubblicaticinese e la mobilitazionedei docenti e degli studenti;3) in un paese realmentedemocratico il governo si èsentito in obbligo di sotto-porre il provvedimento algiudizio dei cittadini; noncome in Emilia Romagnadove stiamo aspettando losvolgimento del referendumabrogativo da un anno, dopoaver depositato 60.000 firmeautenticate di cittadini chechiedono di esprimersi sulbuono scuola.Speriamo che anche nellealtre regioni coinvolte: Lom-bardia, Veneto e Piemonte sisviluppi una mobilitazioneper dare fiato alla voglia direferendum contro il proces-so di privatizzazione dellascuola pubblica in atto nelnostro paese. ●

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critici della riforma dei ci-cli hanno accolto i vari do-cumenti che la compongo-no, dalla legge 30 di unanno fa a questi ultimi cur-ricoli per la scuola di base.Cioè gridando alla calatadei barbari, alla resa al do-minio aziendale, come sequesti testi proponessero letre “i” di Berlusconi e noncontenessero invece ancheil meglio del pensiero de-mocratico sulla scuola.

Gli ipercritici

Questo tipo di critica è arri-vata all’estremo dopo la pub-blicazione del documento dicommissione e il successivo

Cicli: emendare è utopico?PAOLO CHIAPPE

Molte critiche hanno accolto la pubblicazione deldocumento di commissione e il successivo regolamento suicurricoli di base. Si è gridato alla calata dei barbari, alla resaal dominio aziendale, come se questi testi proponessero le tre“i” di Berlusconi e non contenessero invece anche il megliodel pensiero democratico sulla scuola. Un’avventura partitacon ambizioni epocali rischia così di approdare a unalogorante guerriglia di tutti contro tutti in un quadro diincertezza istituzionale e assenza di lucidità nel dibattito

Se sui cicli bisognadividersi in contro tutto o afavore di tutto allora sonocontro, non mi convinconol’accorciamento di un annoné l’idea di una riforma acosto zero né la pretesa di ri-scrivere ogni cosa con unaristrutturazione coercitiva.La riforma semplifica l’ar-chitettura ma crea una com-plicazione imprevedibile diatti dovuti o inevitabili, dicui la “frantumazione del-l’onda anomala” è solo unesempio. Un altro è il lavo-ro di certificazione: agli in-segnanti sarebbe chiesto dimisurare e descrivere anchel’ineffabile. C’è da temereche le carte burocratichecontinueranno a moltipli-carsi come i volumoni diprove strutturate “consiglia-te” dall’archivio docimologi-co del Cede.Sono diffidente proprio ri-spetto alla pretesa di gene-rare salti qualitativi globalicon le norme generali, al dilà delle buone intenzioni dichi le scrive. Penso che lenorme dovrebbero esserepoche, sobrie, e venire inaiuto agli sforzi e alle richie-ste della base. Autonomiadovrebbe voler dire libera-lizzazione.Detto questo sono perples-so del modo in cui molti dei

regolamento sui curricoli dibase: «Ora è tutto chiaroquello che per anni il gover-no ha voluto tenere nasco-sto dicendo che il “conteni-tore” della legge sarebbe sta-to “riempito”. Dai “nuovi”programmi emerge una verae propria opera di distruzio-ne della cultura e delle pro-spettive delle generazioni avenire. La follia dei program-mi di storia e geografia e labanalizzazione di quelli dimatematica sono gli emble-mi di questa distruzione.»(Appello del movimento peril ritiro della riforma dei ci-cli http://members.xoom.it/appello).«Signor Presidente, signorministro, i contenuti della

nuova scuola di base di set-te anni presentano vuoti in-colmabili. (…) abbattendolo studio della storia si ab-batte l’identità di una cultu-ra: la nostra cultura, la no-stra tradizione.» (dall’inter-vento parlamentare di Ange-la Napoli, di AN, del 14 feb-braio 2000).Un altro esempio di questostile è nella pagina pubbli-cata il 24 febbraio dal ma-nifesto a cura di Iaia Vantag-giato.Nell’intervista alla storicaSimonetta Soldani la gior-nalista e l’intervistata dannoper scontato, e se ne indi-gnano, che il documentodella commissione nellaparte sulla matematica pro-

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ponga di fondare l’appren-dimento sulla sempliceesperienza, e non si interes-si allo sviluppo delle capa-cità di costruzione logica delpensiero. Solo che di questaposizione non c’è assoluta-mente traccia nel documen-to, ma se mai c’è una ideadi metodo che va contro l’in-segnamento puramente li-bresco e deduttivo, il chedovrebbe essere ormaiun’ovvietà, soprattutto trat-tandosi della scuola di base.Sempre la storica Simonet-ta Soldani dichiara che iprogrammi «sembrano ri-spondere a una idea tuttaesaurita nel presente, nel-l’esperienza, nell’immedia-tamente utile». Ora, chequesto sia indirettamente eper il contesto istituzionalee culturale in cui si inserisceuno dei rischi impliciti nel-la costellazione di riformescolastiche del centro sini-stra lo si può ben sostenere:ma non c’è affatto nel testodi commissione per i curri-coli di base. Testo certo di-seguale, scritto da un grup-po ristretto, criticabile per lamancanza di sobrietà nelladefinizione degli obiettivi,ma con alcuni meriti.Per esempio la contestualiz-zazione dell’italiano comelingua europea e mediterra-nea e i rimandi non banalialla trasversalità della com-petenza linguistica; i cuiquattro aspetti fondamenta-li (ascolto, lettura, scritturae riscritture, riflessione sul-la lingua), sono organizzatiintorno alla centralità del te-sto, sia orale che scritto. Ilconseguimento delle abili-tà linguistiche di base è bengraduato in obiettivi sensa-ti, non eccessivamente am-biziosi, concretizzati ancheda suggerimenti contenuti-stici ampi e non convenzio-nali. Una certa vaghezza po-

trebbe essere imputata aquelli per i primi due anni,che però, letti in “continui-tà” con l’iter della scuoladell’infanzia, riacquistanoconsistenza. Bene che lascoperta delle regole lingui-stiche nasca da procedimen-ti di analisi e che rifugga dasistematizzazioni precostitu-ite; bene per i diversi percor-si di lettura e gli spunti discrittura differenziati pergenere e che si ripropongo-no a livelli diversi nelle suc-cessive fasce d’età.

I conservatorie i resistenti

La critica pregiudiziale e in-dignata ha però scelto comepunto focale le indicazionisull’insegnamento della sto-ria, indicazioni certo da di-scutere, a patto però di noncreare una cortina fumoge-na in cui il tentativo di te-nere insieme l’esigenza del-la cronologia e quella degliapprofondimenti e di non farterminare la scuola dell’ob-bligo con la storia antica emedievale vengono trattaticome voluti sabotaggi dellacultura e della memoria.La tendenza alla confluen-za oggettiva e soggettiva traconservatorismo “liceale”stile Lucio Russo o MarioPirani o “Gilda” e resisten-za antiberlingueriana di si-nistra, accomunati dall’im-mediato rifiuto di qualun-que aspetto di questo proget-to di curricoli di base e dalno a qualunque proposta dicambiamento, è uno dei fe-nomeni più paradossali del-la situazione che stiamo vi-vendo, un fenomeno che seda un lato non contribuiscecerto ad aumentare le ragio-ni di queste riforme, noncontribuisce nemmeno a facerto chiarezza sulla costru-zione di una alternativa.

Gli gnomidella docimologia

Un’avventura partita conambizioni epocali rischia

così di approdare a una lo-gorante guerriglia di tutticontro tutti in un quadro diincertezza istituzionale e as-senza di lucidità nel dibatti-to. Emendamenti sostanzio-si sono rifiutati dal governocome disturbo al manovra-tore (anche perché ha fret-ta di rendere le cose irrever-sibili prima delle elezioni)e d’altronde proporli non in-teressa agli oppositori tota-lizzanti.Un aspetto da emendare sa-rebbe sicuramente quellorelativo al tempo pieno, chenella riforma dei cicli (nonper legge ma per regolamen-to governativo) sopravvivesolo come ripiego facoltati-vo e perde la sua dignità dimodello pedagogico, men-tre invece «il tempo pieno è

stato, in certa misura conti-nua ad essere, l’unico con-testo nel quale si ascolta, siriflette e si cerca di attuarela scuola attiva di Dewey, lapedagogia popolare di Frei-net, il protagonismo infanti-le della Montessori, l’intel-ligenza operativa di Piaget,il linguaggio generativo diVygotsky» (Piero Castello,maestro Cobas).Un altro aspetto su cui giu-stamente appuntano le cri-tiche il movimento per l’Au-toriforma gentile e GuidoArmellini è la proliferazionedegli obiettivi, che trasformaquella che dovrebbe essereuna norma in un’impropriaguida didattica e apre la stra-da agli gnomi della docimo-logia. Quelli sì veramentepericolosi per la cultura. ●

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LE LEGGI

Ogni qualvolta nel percorso del-la costruzione della cosiddetta scuoladell’autonomia qualcuno denunciava unaqualche forma di aziendalizzazione dellascuola, da parte dell’ex ministro Berlin-guer si respingeva l’accusa, ricordandoche non solo erano mantenuti gli organicollegiali, ma che le competenze del di-rigente scolastico dovevano svolgersi nelrispetto delle prerogative degli organicollegiali e della libertà d’insegnamen-to.L’osservazione era senza dubbio fonda-ta; ma altrettanto fondate erano le pre-occupazioni di chi intravedeva elementipiù o meno consistenti di aziendalizza-zione della scuola. Il fatto è che il mo-saico berlingueriano è in realtà un coa-cervo di norme contraddittorie, che con-sentono tutto e l’opposto di tutto; la li-bertà di insegnamento senza dubbio nellascuola dell’autonomia è affermata, ma nelcontempo si stabilisce (art. 4 L. D.Lgsn. 29/93) che «l’Amministrazione agiscecon i poteri del privato datore di lavo-ro»; di conseguenza il personale dellascuola sarebbe un lavoratore subordina-to che deve eseguire le direttive del su-periore gerarchico.Gli organi di democrazia scolastica, se-condo la normativa vigente (i “Decretidelegati” del ‘74) avrebbero una compe-tenza decisionale su tutti gli aspetti or-ganizzativi e didattici della scuola; mail D.Lgs n. 59/98 attribuisce molte ditali competenze al dirigente scolasticoche però deve rispettare le competenzedegli organi collegiali (!).Senza dubbio sarebbe stata necessariauna nuova legge, che tenendo conto dellanuova figura del dirigente scolastico ri-solvesse in modo inequivoco tutte le con-traddizioni esistenti. Nelle scorse setti-mane alla Camera dei Deputati era ini-ziata la discussione di un disegno di leg-ge chiaramente volto però a “sterilizza-re” il ruolo degli organi di democraziascolastica; tali organi erano ovviamentemantenuti (anzi numericamente accre-sciuti) ma con poteri evanescenti in fun-zione di un potenziato ruolo gestionaledel dirigente scolastico. In tal modo si

superavano le contraddizioni, ma nelsenso che gran parte dei poteri decisio-nali ed organizzativi attualmente di com-petenza degli organi collegiali sarebbe-ro stati di esclusiva competenza del di-rigente scolastico.Paradossalmente la riforma degli organicollegiali, anziché potenziare la demo-crazia scolastica, avrebbe rafforzato laforma organizzativa aziendalistica damolti denunciata.Questo tassello però manca ed è ormaidifficile che possa essere definito primadello scioglimento delle Camere; rimanequindi un quadro normativo contraddit-torio in cui convivono due modelli orga-nizzativi incompatibili: un modello di ge-stione democratica ed un modello di ge-stione manageriale. In questo contestosi collocano le RSU ed il recente Contrat-to che ne definisce il ruolo contrattuale.A tale proposito si deve premettere cheè ovvio che la contrattazione non puòintervenire sulle competenze degli or-gani di democrazia collegiale, quindi ciòche è attribuito dalla normativa vigenteagli organi collegiali (gli aspetti orga-nizzativi e didattici della scuola) non puòin alcun modo essere condizionato dagliaccordi sindacali; le RSU nella scuola —dove esistono forme di governo demo-cratico — hanno quindi un ruolo diver-so rispetto alle aziende private: hanno

il compito primario di garantire l’effet-tività della democrazia scolastica, con-trollando che le decisioni anche orga-nizzative assunte dagli organi di demo-crazia scolastica siano effettivamente ecorrettamente eseguite dal dirigente sco-lastico, contrattando in quest’ambito glispazi di discrezionalità che in ogni casoil dirigente mantiene.«Le modalità di utilizzazione del perso-nale in rapporto al piano dell’offerta for-mativa», i «criteri riguardanti le asse-gnazioni del personale docente» ecc. pre-visti nell’accordo come materia per lacontrattazione a livello di istituto, sonotutte competenze degli organi collegia-li; in questo ambito le RSU possono svi-luppare un’ulteriore forma di controlloanche con la contrattazione integrativa.Ovviamente i dirigenti scolastici tente-ranno di far leva su spinte pansindacali-ste (che non mancheranno) per rivendi-care alla “piena” contrattazione integra-tiva tali competenze, sottraendole agliorgani collegiali.Se le RSU cadessero in tale contraddi-zione non solo agirebbero illegalmente,ma soprattutto si renderebbero inconsa-pevoli corresponsabili di quel processodi aziendalizzazione della scuola, incom-patibile con il pluralismo culturale e lalibertà d’insegnamento che devono ca-ratterizzare la scuola pubblica. ●

La scuola pubblica verso l’aziendalizzazione?CORRADO MAUCERI

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T EM AIl pensiero narrativo

Questo tema è dedicato al pensiero narrativo ed è anche un omaggio a Jerome Bruner (di cuipubblichiamo un saggio inedito in italiano). Bruner non solo ha dedicato diversi studi a questo aspettodella sua teoria, ma è arrivato a teorizzare una “svolta narrativa” del suo pensiero a partire dagli anniOttanta. In che cosa consiste questa svolta? Nel considerare la narrazione come un’attività (se nonl’attività) essenziale del fare significato umano. Si dà significato a sé e al mondo attraverso le storie,raccontando e raccontandosi. La cultura si costruisce attraverso il raccontare e il raccontarsi. Perciò,dice Bruner, un sistema educativo «deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità al suointerno. Se questa identità manca, l’individuo incespica nell’inseguimento di un significato. Solo lanarrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto dentro la cultura. Le scuole devonocoltivare la capacità narrativa e smettere di darla per scontata».Proprio per questo il modo più efficace per coinvolgere la grande maggioranza degli studenti di unaclasse consiste nel ricorrere alla vivacità e alla drammaticità della narrazione. Ma le storie piacciono allepersone di ogni età, basta vedere il consumo di storie prodotte da quei grandi fabulatori che sono imezzi di comunicazione di massa.Non è possibile che la scuola stia perdendo al confronto con altri media anche per la sua incapacità diraccontare storie, come fanno ad abundantiam TV, cinema, videogiochi? Ma d’altra parte è possibile chela scuola si limiti a raccontare storie, seppur di tipo molto diverso, non per inseguire gli altri media, maperché è questo il modo migliore, testato fin dall’antichità, per l’apprendimento significativo?Il tentativo di questo tema è quello di mettere a fuoco diversi aspetti del pensiero narrativo, con l’ideache nella ricerca di una terza via tra apocalittici e integrati di fronte alla profonda trasformazione deisaperi che stiamo vivendo, lo studio del pensiero narrativo possa costituire uno strumento essenzialeanche in relazione a un diverso modo di fare scuola. ●

«La tendenza degli uomini alla tristezza li fadiventare narratori di storie»

(Peter Bichsel)

«Il pensiero fluisce in termini di storie, storie sueventi, persone, su intenzioni, realizzazioni

fallimenti. I migliori insegnanti sono narratori.Noi impariamo nella forma di storia»

(Frank Smith)

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▼B

rune

rVorrei cominciare le mie conside-

razioni proponendo un frammento auto-biografico. Già in un mio recente articoloho raccontato che da giovane ero un “lupodi mare”. Infatti fin dall’età di undici, do-dici anni cominciai a farmi vedere conalcuni amici al piccolo embarcadero del-la mia città natale. Lavoravamo a giorna-ta per un tale, Frank Henning, che in cam-bio, per una sorta di contratto tacito, cilasciava tenere là una piccola chiatta dapesca. Passavamo un sacco di tempo sul-l’acqua. Il “sé marinaro” che cominciavaa formarsi allora, continua ad esserci an-cor oggi. Esso include alcune risorse comel’abilità non solo di fare nodi elementari,ma anche al buio, a testa in giù e quasiautomaticamente. Nel corso del tempodivenni esperto nella navigazione a orien-tamento stellare, un’abilità resa oggi ob-soleta dai satelliti. Sia la mia abilità qua-si automatica di fare nodi, di navigarecon il sestante, contribuiscono entrambeal mio “sé marinaro”. Io sono, per ragioniche mi sfuggono del tutto, molto orgo-glioso di queste abilità, ma quel sé delpassato non si limita ad essere un aspet-to soggettivo, rinchiuso nella mia me-moria. Pago quote annuali piuttosto sa-late per l’iscrizione a due club nautici au-togratificanti ai quali fui solennementeammesso per le mie prestazioni nautiche.Non frequento gli incontri di nessuno deidue; le loro attività mi imbarazzano unpo’. Perché non mi dimetto? Bene, nonne sono sicuro.Come Io (il mio Sé) sono passato dal “là“del porticciolo di Frank Henning al “qui”del mio presente, piuttosto imbarazzato,“sé marinaro”? Ci sono alcuni strani ar-caismi di cui devo cercare di dar conto inquesto passaggio. Che ne faccio, ad esem-pio, dell’ironica soddisfazione di essere

capace di navigare con le stelle nell’epo-ca dei satelliti? L’ironia è essenziale permantenere la continuità? So anche comecalafatare una barca di legno, quandoormai le barche sono per lo più costruitecon fibre sintetiche. Perché tutto questomi dà una soddisfazione ironica? È sicuroche non sono un nostalgico delle antica-glie e non mi piacciono le abilità oldfashioned. In realtà sono un appassiona-to di e-mail, dei romanzieri post-moder-ni, del buon rap e tutto questo mi sem-bra in strana compagnia con le mie ana-cronistiche e ormai inutili abilità mari-nare. Come faccio a tenere tutto insie-me? Oppure è possibile che queste cosevivano in compartimenti separati, in Séseparati? E comunque, se è così, quantiSé ci sono?

I nostri Sé e i Sé degli altri

In un libro quasi dimenticato, SigmundFreud una volta suggerì che una personapuò essere concepita come «un comples-so di personaggi», come in un romanzo oin un dramma. Egli pensava che ciò cheuno scrittore e un drammaturgo fanno siadi scomporsi in un insieme di personaggie poi costruire una storia in cui qualchecircostanza li porta ad interagire. Pensoche la spiegazione di Freud sia più ap-propriata per il modo in cui costruiamo inostri Sé (o il Sé degli altri), piuttostoche al modo in cui lavorano un dramma-turgo o un romanziere. Comunque questaspiegazione fornisce un modello sugge-stivo e può anche dirci qualcosa sulle dif-ficoltà che le persone incontrano nellacostruzione di un sé “a lungo termine”.Poiché il solo modo in cui mi sembra dipoter fondere il Sé del ragazzino al por-

ticciolo di Franck Henning e l’“io” che stascrivendo questa pagina è quello di rac-contare una storia. E nel momento in cuicomincio a farlo divento facile preda del-la biblioteca di storie che la mia culturapuò offrirmi. Posso raccontare la storiadell’“adulto che, con riluttanza, mette daparte i balocchi dell’infanzia”. Oppureposso usare il modello “conversione e spo-stamento” della psicologia dinamica, se-condo cui il mio sé attuale è una versio-ne mascherata del mio sé dei dodici anni.In realtà in un pomeriggio nella sezionedi letteratura in una biblioteca universi-taria potrei facilmente rifornirmi di unagrande quantità di altri modelli di storieutilizzabili. Alcune potrebbero essere più“giuste” di altre, nel senso di adattarsimeglio, o di sembrare più “autentiche”.Ma nessuna di quelle sarebbe “vera” innessun senso della parola trattabile inmodo procedurale, almeno non di più diquanto un racconto possa essere vero ofalso. (…)

Natura e struttura della narrativa

Ora guardiamo un po’ più da vicino lanatura e la struttura della narrativa. Vla-dimir Propp afferma che i protagonisti egli eventi della fiaba sono “funzioni” diuna struttura globale del racconto. Moltihanno supposto, tra gli altri Northrop Fryeche ci sia un numero molto limitato ditali strutture narrative le quali danno ori-gine ai “generi” della letteratura. La ric-ca varietà di racconti che troviamo tra itesori di ogni cultura si può ricondurre aquesto numero limitato di tipi. All’inter-no di ogni genere ci sono molti modi diattuare le funzioni richieste. L’”eroe” del-la fiaba di Propp, per esempio, deve es-sere una figura con un titolo o una quali-fica sociale e affinché il racconto comin-ci in modo appropriato, egli deve averottenuto l’insieme delle sue risorse at-tuali da una autorità superiore. Può es-sere un principe, un giovane genio, uncredente coraggioso, qualunque cosa, pur-ché il suo ruolo e le sue risorse siano cul-turalmente riconosciuti. Nel racconto ditipo fiabesco l’eroe deve poi dedicarsi auna ricerca canonica, del Graal, di un te-soro nascosto, di un elisir. Il genere glirichiede poi di fare un incontro con unafigura di straordinario potere che gli of-fre una qualche forma di aiuto sopranna-turale per la sua ricerca: un cavallo in-stancabile, un filo d’oro senza fine, il donodelle lingue, il poter divinatori, e cosìvia. Per funzionare gli elementi che at-tuano le funzioni devono creare e con-servare la coerenza narrativa dell’insie-me. Il protagonista principale deve com-piere appropriatamente azioni che lo por-

Narrare tra sé e sé,attraverso le storieJEROME BRUNER

Presentiamo qui una parte di un articolo di Brunerinedito in italiano; la versione integrale si può leggeresul nostro sito web (www.scuolacomo.com/ecole)

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tino in direzione dei propri fini, deve te-ner fede agli impegni, persistere per riu-scire, allearsi in modo appropriato ed usa-re convenientemente le proprie risorse.

Le fiabe di Propp sono antiche e consu-mate dall’uso. Nuovi generi emergono,meno consumati e meno determinatistrutturalmente. La “svolta interiore” delromanzo nell’ultimo secolo ha anche pro-dotto nuovi generi, come nei romanzi diJoyce, Proust e Musil. I cambiamenti nelleconvenzioni narrative che ne risultanopossono anche trasformare la nostra no-zione di sé possibili, come suggerisce iltesto magistrale di Charles Taylor, Le ra-dici del Sé. Ciò che appare chiaro è che lenostre concezioni dell’identità, come purei nostri modi di strutturare la nostra espe-rienza privata del Sé si modificano in con-formità ai mutamenti delle convenzioninarrative. Il motto romantico: la vita imital’arte certamente oggi suona meno sor-prendente di quanto apparisse allora. (…)

Vorrei ora dedicarmi a una questione cu-riosa che emerge da quanto detto finora.Se i Sé sono modellati sulle strutture nar-rative imposte alla vita, come fanno que-ste strutture narrative a penetrare nellavita? In che modo i racconti di una cul-tura si guadagnano la loro via all’internodel Sé? Poche persone, certo, scrivono opensano alle loro vite nei termini di unracconto compiuto e pienamente orga-nizzato. Molte vite vengono raccontateirregolarmente, a pezzi, ad esempio perscusarsi di qualcosa, per giustificare cer-te credenze e desideri. Di solito affermia-mo che quei pezzi circoscritti di vita de-rivano da una qualche implicita vita nar-rativa che abbiamo “in memoria” o “nel-l’immaginazione”, o in qualche altro po-

sto. Ma devo ammettere che come perso-na che ha letto, ascoltato molti raccontiautobiografici e ne ha anche scritto uno,dubito che ci siano un tal genere di rac-conti impliciti immagazzinati. Le auto-biografie raccontate sono di solito tipi-camente costruite in modo funzionale al-l’occasione. La maggior parte delle viteraccontate si caratterizzano piuttosto perle loro incertezze, i punti di svolta, glizig-zag, per episodi ed eventi isolati,dettagli non ben integrati. Le autobio-grafie ben elaborate sono rare. Quando lesi incontrano, sembrano recitate.Dunque quali schemi immagazzinati in-ternamente guidano i nostri resocontiautobiografici? Penso che questa doman-da oscuri la soluzione. Vorrei proporrepiuttosto che la costruzione di sé è unaricerca prevalentemente metacognitiva,come una sorta di riconsiderazione di unterritorio circoscritto e familiare per in-serirlo in una carta topografica più gene-rale. Creiamo le catene di montagne, lepianure, i continenti retrospettivamenteattraverso i nostri sforzi di riflessione ericostruzione: imponiamo confini e me-tastrutture immaginative su dettagli lo-cali per ottenere la coerenza dell’insie-me. Ciò non significa che i dettagli localinon siano esperienze reali nella nostramemoria, ma essi devono essere colloca-ti in un contesto più ampio. Ogni medicoche ascolta un paziente, ogni prete cheascolta confessioni, ogni avvocato chelavora con un cliente per una causa, tutticostoro conoscono questa verità stringen-te. Ciò che è interessante a proposito diqueste professioni è che coloro che le pra-ticano sono forniti di modelli appropriatiper aiutare i loro clienti, dando forma aun racconto globale tratto dai dettagli edai frammenti delle loro vite, nell’inten-to di raggiungere un certo scopo. Il me-dico ha le sue teorie scientifiche, il pretele sue dottrine su pentimento e reden-zione, l’avvocato le sue procedure per sta-bilire colpevolezza e innocenza. In real-tà però la maggior parte delle volte nonabbiamo bisogno dell’aiuto di professio-nisti: la maggior parte delle volte ci aiu-tiamo l’un l’altro attraverso il processodel dialogo.

Perché metacognizioni e non schemi im-magazzinati o scheletri narrativi? Rara-mente siamo chiamati a ricostruire ver-sioni su “larga scala” di noi stessi e dellanostra vita. Accade quando un medicovuol ricostruire la nostra anamnesi, quan-do facciamo richiesta di ammissione a unclub o all’università, o riempiamo moduliper aderire a un’associazione e ci vengo-no chieste le ragioni per cui lo facciamo.Di solito usiamo ricostruzioni autobiogra-fiche quando forniamo scuse o ragioni.

In questi resoconti ci atteniamo al puntoper rispettare le massime di Paul Grice subrevità, perspicuità, pertinenza e verità.La storia della vita e del sé nel corso deltempo non riguardano le scuse per un ri-tardo o il morbillo avuto da piccoli. Diqualsiasi cosa si tratti, di solito non ab-biamo bisogno di molto tempo per rico-struirle coerentemente e nel dettaglio.Sembriamo credere che quando ce ne saràbisogno, avremo i mezzi a portata dimano. Ciò può essere dovuto anche adaltre ragioni.

Dar conto di sé

Credo che ci sia qualcosa che ha a chefare con l’adattamento culturale e con lacomodità psicologica nel “mantenersiaperte le opzioni” quando si parla dellapropria vita. Infatti fissare la storia dellapropria vita e con ciò la propria conce-zione del Sé, ci può chiudere delle possi-bilità prima del tempo: una storia di vitacreata in anticipo, per usare l’espressio-ne di Amelie Rorty, assomiglia una figurachiusa, senza alternative. Nel nostro mon-do sociale, più si fissa il nostro concettodel Sé, più diventa difficile controllare imutamenti. “Mantenersi aperti” rendepossibili i rimedi e le negoziazioni. Dun-que non è sorprendente che i punti disvolta siano così caratteristici delle au-tobiografie che scriviamo o raccontiamo.Perché siamo così sicuri di poter descri-vere le nostre vite e i nostri Sé quando cen’è bisogno, nonostante la nostra rilut-tanza a fissare la nostra posizione? So-spetto che l’illusione della ricostruzioneautobiografica derivi dalla nostra fiducianelle possibilità narrative presenti nel lin-guaggio naturale. Diciamo qualcosa di piùin proposito.Insieme ad alcuni colleghi ho avuto lafortuna di analizzare i soliloqui a letto diuna bambina, Emmy, nel periodo tra i duee i tre anni, lunghi monologhi a luce spen-ta dopo che i genitori si erano allontana-ti. Molti erano autobiografici. Si trattavadi un anno in cui era nato il fratellino edEmmy era entrata nel mondo rumoroso efrenetico dell’asilo. Nei suoi soliloqui ellariesamina la sua giornata, cercando distabilire ciò che è attendibile e regolare,ciò che si avvicina a ciò che dovrebbeessere. Prova a porsi in diverse angola-zioni nei confronti delle persone e deglieventi raccontati, esprimendoli con lo-cuzioni come “voglio che…” oppure “inrealtà non so se…”. Ci divenne chiaro nelcorso di questo lungo studio che l’atto didar conto di sé, almeno in termini brevi,è acquisito insieme all’acquisizione dellinguaggio.Dunque una specie di “linguaggio natu-

T EM A

La costruzione di sé èuna ricercaprevalentementemetacognitiva, comeuna sorta diriconsiderazione di unterritorio circoscritto efamiliare per inserirloin una cartatopografica piùgenerale

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rale” per le autobiografie non artistichesembra esserci accessibile fin dalla primaetà nella forma di connettivi, segnali tem-porali e causali e così via. Ma l’impiegonarrativo di queste forme linguistiche cheabbiamo a portata di mano per creare unastoria di sé coerente ed estesa richiedequalcosa di più che mere abilità lingui-stiche: richiede abilità narrative e un in-sieme di racconti ed elementi tratti dairacconti. Fornire scuse e ragioni per par-ticolari azioni o giustificare i nostri desi-deri, non ci fornisce di tale equipaggia-mento; questi frammenti autobiograficiepisodici non ci forniscono i mezzi peradattarci al più ampio contesto culturaleo per prendere coscienza delle opportu-nità culturali su cui si basa la nostra vita.Tutto ciò richiede una forma più ampia diapprendimento alla quale, tranne in con-dizioni speciali, sembriamo riluttanti.Che cosa allora spinge le persone a ricer-care un modo di raccontarsi più compren-sivo, più esteso nel tempo, meglio strut-turato narrativamente? Perché continuia-mo a costruire versioni del Sé più estese,anche se ammettiamo la cautela di cuiparlavamo prima? Si possono fornire ri-sposte semplicistiche a queste domandeusando cliché bell’e fatti, come il suppo-sto bisogno delle persone di giustificarela propria vita quando si sentono sotto ilfuoco delle critiche, come la difesa deipolitici accusati così familiare ai nostritempi; oppure il cliché che le persone,prese dal senso di colpa, hanno bisognodi espiare i peccati. Penso che si possafar di meglio che riprodurre questi cli-ché.In realtà la ragione dello slancio versoun resoconto autobiografico più estesopuò essere suggerito proprio dalla naturadei racconti che scegliamo di utilizzarequando facciamo resoconti più compren-sivi ed estesi. Molti studiosi di narrativa,in particolare Kenneth Burke, HaydenWhite, William Labov, hanno notato cheil vero meccanismo della narrativa è ladifficoltà, un ostacolo, un problema per-cepito, oppure un pericolo. Il racconto,come sappiamo, comincia con un’indica-zione implicita o esplicita, di uno statodel mondo stabile, regolare; procede poiper dar conto di come esso sia stato di-strutto, sulle conseguenze di questa di-struzione e culmina con un resocontodegli sforzi per ripristinare l’originariastabilità o per porre rimedio alla viola-zione iniziale. Esso è specializzato a trat-tare problemi creati dall’allontanamentodalla legittimità, un metagenere per con-tenere il turbamento dovuto al pericolo.Un problema, una difficoltà dunque puòessere non solo il meccanismo della nar-rativa, ma anche l’impulso per estendereed elaborare il nostro concetto del Sé.

Sembra che ormai pochi si sorprendanodi questo fatto.

Ricostruzioni autobiografiche

James Young riferisce che molti internatidei campi di concentramento nel periododella Shoah erano ossessionati dalla re-gistrazione autobiografica degli orrori chestavano vivendo e spesso rischiavano lavita per farlo di nascosto. Queste memo-rie sono scioccanti, ma poche vanno ol-tre la mera testimonianza, perché riusci-re ad ottenere il distacco necessario perla metacognizione nella vita quotidianadi Auschwitz o Ravensbruck era virtual-mente impossibile, perché era proprio ildistacco ciò che i Lager erano nati per adistruggere. Eppure alcuni riuscirono nel-l’impresa, tra i quali Primo Levi e pochialtri. Si prenda questo brano dal libro diLevi, in cui egli cerca di capire che cosasta sperimentando mentre tenta di rifor-mulare il suo senso del Sé. (Tragicamentenon ci riuscì mai del tutto, dato che sisuicidò diversi anni dopo questo scrit-to.) Ma questo brano ci dice a propositodegli indicatori dell’identità più di qual-siasi saggio. Riguarda la vita dell’autorealla fabbrica chimica vicina ad Auschwitzin cui era stato mandato a lavorare comechimico schiavo e precede il racconto delfurto dei cilindretti di ferro-cerio dallafabbrica, per venderli (come pietre foca-ie nel lager) alle guardie del campo incambio di cibo e favori ad Auschwitz.

Ero chimico in uno stabilimento chimico,in un laboratorio chimico (anche questo ègià stato raccontato) e rubavo per man-giare. Se non si comincia da bambini, im-parare a rubare non è facile; mi erano oc-corsi diversi mesi per reprimere i coman-damenti morali e per acquisire le tecnichenecessarie, e ad un certo punto mi eroaccorto (con un balenio di riso, e un pizzi-co di ambizione soddisfatta) di stare rivi-vendo, io dottorino per bene, l’involuzio-ne-evoluzione di un famoso cane per bene,un cane vittoriano e darwiniano che vienedeportato, e diventa ladro per vivere nelsuo “Lager” del Klondike, il grande Buckdel Richiamo della foresta. Rubavo comelui e come le volpi: ad ogni occasione fa-vorevole, ma con astuzia sorniona e senzaespormi. Rubavo tutto, salvo il pane deimiei compagni.

Forse ho scelto un esempio troppo estre-mo. Ovviamente non abbiamo bisogno disituazioni così estreme per avviare il pro-cesso della ricostruzione autobiografica.L’acuirsi della coscienza, che spesso con-tiene ampi elementi autobiografici, spes-so accompagna la marginalizzazione, l’es-

ser posti al di fuori del flusso rassicuran-te della maggioranza. È quando il Sé nonriesce più a funzionare in modo da rela-zionarci agli altri, o alla nostra precedenteconcezione di noi stessi, è allora che civolgiamo a una rinnovata ricostruzioneautobiografica. È quando il concetto disé non ci dà più l’individuazione richie-sta, né il mutuo rapporto di scambio congli altri esseri da cui dipendiamo, che ciavviamo a cambiare il Sé.Suggerendo che i problemi ci costringo-no a rimodellare il Sé, non voglio direche il problema sia qualcosa decretato dalfato o che semplicemente ci venga percattiva fortuna, sebbene ci possano es-sere molti problemi di questo tipo. Alcu-ni esseri umani hanno una particolaresensibilità per vedere problemi, laddovealtri vedono solo la trama ordinaria dellavita quotidiana. Che questa sensibilità siail prodotto dell’intelligenza, del tempe-ramento o dell’immaginazione, sembracondurre quelli che ne sono dotati a o aun’identità più profonda o a una grandeinstabilità nel tener fermi i limiti dell’iden-tità, oppure infine a una poco agevolemescolanza tra questi. La scrittrice Eu-dora Welty chiama questa sensibilità “au-dacia” ed ella termina le sue notevolimemorie con queste parole: «Una vitaprotetta può anche essere una vita auda-ce, perché ogni vera audacia sorge dal-l’interno».È affrontando problemi e difficoltà, realio immaginati, che modelliamo un Sé chesi estende oltre il qui e ora degli incontriimmediati, un Sé più capace di contene-re sia la cultura che dà forma a quegliincontri, sia la memoria di come abbia-mo fatto fronte ad essi in passato. L’ano-malia in tutto ciò, e forse è il fardellodella specie umana, è che estendere edelaborare la nostra versione dell’identità,propria o altrui, è rendere il compito del-l’autoricostruzione più difficile. La meta-cognizione può essere la fonte della no-stra creazione del Sé, ma non è un com-pito facile.Forse Kierkegaard intuì che la difficoltàsta nel fatto che la vita è vissuta in avanti,verso il futuro, incontro per incontro,mentre il Sé è costruito retrospettivamen-te, metacognitivamente.In conclusione dunque, il Sé è sia inter-no che esterno, pubblico e privato, inna-to e acquisito, prodotto dell’evoluzione edei racconti. Il concetto che abbiamo dinoi stessi è molto adattabile, ma abbia-mo imparato tragicamente ai nostri tem-pi che è anche vulnerabile. Forse è pro-prio questo insieme di caratteristiche cherende il Sé uno strumento appropriato mainstabile per la formazione, il manteni-mento e l’assicurazione dell’adattabilitàdella cultura umana. ●

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Per chi si occupa di storia è cer-tamente importante tentare di ricostru-ire alcuni mutamenti che hanno carat-terizzato la fisionomia di questa disci-plina nel corso degli ultimi decenni. Inun lasso di tempo relativamente brevesi è verificato un passaggio di granderilevanza: da una stagione storiograficadi promettenti espansioni — quella de-gli anni Sessanta e Settanta — in cuil’allargamento degli ambiti e degli og-getti della ricerca sembravano quasi il-limitati, a un’età (gli anni Ottanta eNovanta), durante la quale si è prodot-to un brusco ridimensionamento e unasvolta la cui natura appare di assai com-plessa decifrazione. Oggigiorno non sipuò che constatare quanto lo sconfina-to territorio di un tempo si sia trasfor-mato in un ambito che è arduo descri-vere e definire con precisione, ma anco-ra più difficile sarebbe delimitare, ca-ratterizzato com’è dalla frammentazio-ne degli indirizzi, dallo specialismo,dalla mancanza di obiettivi condivisibi-li, privo di qualsiasi pretesa di centrali-tà e universalità, e di cui si lamenta dapiù parti lo stato di declino. Mai comenell’ultimo periodo si è avuta la perce-zione di quanto grande sia il processo

di trasformazione della disciplina stori-ca, e dell’emergere di grandi differenzedi impostazione esistenti al suo interno— tutti elementi che spiegano le cre-scenti difficoltà con cui è costretta/o aconfrontarsi chi insegna storia.La trasformazione del legame tra storiae storie, con la conseguente progressi-va visibilità di queste ultime e la loroinnegabile affermazione nella storiogra-fia contemporanea1 è tra le più visibiliconseguenze di tali mutamenti, e all’ori-gine delle odierne diatribe sulla perio-dizzazione, sui manuali e sui nuovi cur-ricola di storia2.Fino a vent’anni fa, il rapporto dell’unacon le altre veniva inteso come la rela-zione dinamica esistente tra uno sfon-do e un quadro generale di riferimenticomuni, e la molteplicità di casi localie individuali; tra un grand récit emer-gente al di sopra delle singole differen-ze, e una pluralità di voci narranti, cia-scuna portatrice di un proprio timbro ecadenza. Tale corrispondenza — dall’unoai molti, dai grandi protagonisti/e a unafolla di gente comune — ha caratteriz-zato lo straordinario sviluppo della sto-ria sociale in concomitanza con i movi-menti degli anni Sessanta e Settanta, e

aperto la strada a quel cambiamentocruciale nella storiografia prossima pas-sata che ha portato alla moltiplicazio-ne degli ambiti e degli oggetti di ana-lisi, un’espansione celebrata in Europain alcuni memorabili contributi di EricHobsbawm, di Jacques Le Goff e PierreNora, di Arnaldo Momigliano3.

Memoria

Nel periodo immediatamente successi-vo a questi studi si è verificato un ul-teriore mutamento, conseguente. Quan-do Peter Burke si trovò nel 1991 a com-pilare una raccolta che tenesse contodei risultati significativi della storio-grafia contemporanea, optò per unascelta ‘mista’, la quale includeva tra lenovità sia la pluralità dei soggetti (lastoria delle donne, la storia non occi-dentale) che la diversificazione degliapprocci metodologici (la microstoria,la storia orale) come anche alcuni nuo-vi terreni di ricerca (la storia della let-tura, la storia delle immagini)4.Si deve soprattutto all’effetto combi-nato tra l’apporto dei soggetti emer-genti e il contributo di nuove metodo-logie qualitative il fatto che si possaoggi parlare di una storia al plurale, unrisultato visibile in alcune recenti espe-rienze di ricerca, dove ormai primeg-giano storie di vita, ricostruzione di bio-grafie individuali, reti di relazioni, in-terventi autobiografici, fonti e docu-menti di carattere misto5. Tra i suoi ef-fetti occorre evidenziare l’affermazio-ne di una ineliminabile condizione mol-teplice e differenziata, come una ca-ratteristica ormai presente negli oggettidi ricerca, nei/lle protagonisti/e, even-ti, e narrazioni disponibili. Lo sviluppodi storie, nelle quali l’elemento sogget-tivo acquista un inusitato protagoni-smo, ha così prodotto non soltanto unamoltiplicazione dei punti di vista e lanascita di versioni conflittuali relativeal passato esistenti in uno stesso con-testo geografico, ma la compresenza ditemporalità diverse e contrastanti al suointerno. Anziché trattarsi di scelte su-perficiali motivate solo su una base ide-ologica, siamo qui in presenza di pro-dotti sofisticati, e alcuni risultati dellanuova storia culturale, nonché gli esitidella felice collaborazione tra storia eantropologia, costituiscono buoniesempi al riguardo6.C’è stato anche qualcosa di più; un veroe proprio ripensamento di alcune benradicate convinzioni. Basti pensare allamutata attenzione nei confronti dellamemoria: ciò che sembrava costituireun punto d’arrivo dello sviluppo sto-

Storia al pluralePAOLA DI CORI *

La pluralità dei soggetti — la storia delle donne, lastoria non occidentale —, la diversificazione degliapprocci metodologici — la microstoria, la storiaorale —, alcuni nuovi terreni di ricerca — la storiadella lettura, la storia delle immagini —, la presenzasempre più consistente nelle società occidentali dimilioni di immigrati e di gruppi sociali portatori divisioni del passato e di esigenze di ricostruzionestorica molto diverse da quelle prevalenti in Europa enegli Stati Uniti hanno trasformato la fisionomiadella storia e modificato il legame tra storia e storie,favorendo la tendenza verso la molteplicità dellestorie e delle forme in cui esprimerle narrativamente

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riografico del secondo dopoguerra, pro-prio nel giro di due decenni ha subìtoun totale capovolgimento. La netta se-parazione tra memoria e storia a scapi-to della prima — considerata una di-mensione troppo legata alla soggettivi-tà e in contrasto con le procedure scien-tifiche raggiunte dalla indagine storica— ha mutato direzione. Sebbene pocoesplorato agli inizi degli anni Ottanta,mai come nelle ricerche storiche attualiil tema della memoria ha infatti assun-to un carattere pervasivo e si è impostocome uno degli argomenti centrali deldibattito storiografico 7.

Storia sociale e ricerca antropologica

Volendo riassumere brevemente qualisono alcune delle principali ragioni chehanno favorito lo sviluppo dell’attualesituazione, nella quale alla pluralità distorie, si aggiungono tante versioni di-verse del passato e molteplici scansionitemporali, indicherei un insieme di ra-gioni di carattere vario — metodologi-co, teorico, documentario e socio-poli-tico. Al primo posto porrei la collabora-zione che si è sviluppata negli ultimidecenni tra la storia sociale e la ricercaantropologica, con il conseguente inte-resse nei confronti della percezione edel computo del tempo presso societàilletterate e contadine, e in gruppi so-ciali marginali; tutti fattori che hannoaccelerato la trasformazione dei moditradizionali con cui considerare la cro-nologia dominante8. In secondo luogo,l’utilizzazione sempre più massiccia difonti audiovisive ha dal canto suo con-tribuito ad alterare le forme del discor-so storico introducendovi modalità nar-rative eterogenee che si discostano da

quelle abitualmente adoperate dalla sto-riografia, talvolta anche costruite conl’utilizzazione di flash-back e sul mo-dello dei montaggi di chiara origine ci-nematografica e televisiva; alle quali sipuò aggiungere l’attuale costruzione diipertesti. Inoltre, l’interesse nei confron-ti di prospettive teoriche sovvertitricidi una visione statica relativa alla con-tinuità del tempo storico (sempre piùfrequenti sono i riferimenti che storicie storiche rivolgono nelle proprie ricer-che all’opera di Ernest Bloch, di WalterBenjamin, di Michajl Bachtin, di MichelFoucault)9 ha costituito un ulteriore ele-mento di disgregazione delle concezio-ni del tempo che così a lungo hannodominato manuali di storia e program-mi di insegnamento, al centro di tanteappassionate battaglie odierne. La pre-senza sempre più consistente nelle so-cietà occidentali di milioni di immigratie di gruppi sociali portatori di visionidel passato e di esigenze di ricostruzio-ne storica molto diverse da quelle pre-valenti in Europa e negli Stati Uniti, in-fine, ha favorito l’ulteriore espansionedella tendenza verso la molteplicità dellestorie e delle forme in cui esprimerlenarrativamente.Di fronte a queste considerazioni nonbisogna reagire lamentando la scompar-sa di una storia unica uguale per tutti eapprontando superficiali ricette per ten-tare vanamente di imporla di nuovo; alcontrario, occorre salutare con entusia-smo la fine di una versione unica delpassato che in epoche non tanto remo-te escludeva dai propri registri la mag-gior parte degli esseri umani, in parti-colare quelli di sesso femminile, di con-dizione umile, di pelle non bianca. ●

* Ricercatrice, Università di Urbino.

NOTE1. Per una conferma di questa affermazione rin-vio ai temi delle relazioni introduttive al XIXCongresso di scienze storiche, svoltosi a Oslonell’agosto 2000, e consultabili sul sitowww.oslo2000.uio.no.2. Mi riferisco ai polemici interventi di tantistorici sui quotidiani, in seguito alla presen-tazione delle proposte sul riordino dei cicli sco-lastici fatta dal ministro della Pubblica Istru-zione, Tullio de Mauro, il 7 febbraio 2001. Cfr.,gli interventi di Giovanni Belardelli (“Corrieredella Sera”, 9 febbraio), Rosario Villari (“Cor-riere della Sera”, 13 febbraio), Giuseppe Ga-lasso (“Il Mattino”, 15 febbraio), Nicola Tran-faglia (“Repubblica”, 21 febbraio), FrancescoBarbagallo, Scipione Guarracino e SimonettaSoldani (“Il Manifesto”, 24 febbraio), e il do-cumento di Iris, gruppo sull’insegnamento ericerca interdisciplinare in storia, associato alLandis, e diretto da Maurizio Gusso, che si puòleggere sul sito degli Istituti storici della Re-sistenza, www.Novecento.org.3. Cfr. Eric Hobsbawm, From social history tothe history of Society, “Daedalus”, n. 100, 1971(trad.it. “Quaderni storici”, n. 22, 1973); Jac-ques Le Goff-Pierre Nora (a cura di), Faire de

l’histoire, 3 volumi: I, Nouveaux problémes; II,Nouvelles approches; III, Nouveaux objets, Pa-ris, Gallimard, 1974; Arnaldo Momigliano, Li-nee per una valutazione della storiografia delquindicennio 1961-1976, “Rivista storica ita-liana”, fasc. III-IV, 1977.4. Peter Burke (a cura di), La storiografia con-temporanea, Roma-Bari, Laterza, 1993 (ed.orig. 1991). Per ulteriori considerazioni suquesti punti rinvio a Paola Di Cori, Fare storiaimmediata, di prossima pubblicazione su “Iter”.5. Tra gli esempi recenti cfr. Barbara Curli, Ita-liane al lavoro, Venezia, Marsilio, 1998; San-dro Portelli, L’ordine è stato eseguito, Roma,Donzelli, 1999; Gabriella Zarri, Recinti. Donne,clausura e matrimonio nella prima età moder-na, Bologna, Il Mulino, 2000.6. Rinvio ai due volumi The New Cultural Hi-story, a cura di Lynn Hunt, Berkeley, Universi-ty of California Press, 1989, e Beyond the cul-tural turn, a cura di Victoria E. Bonnell e LynnHunt, Berkeley, University of California Press,1999; v. anche i saggi relativi al rapporto trastoria e antropologia di William Sewell e diSherry Ortner inclusi nella raccolta The Histo-rical Turn in the Social Sciences, a cura di Ter-rence Mc Donald, Ann Arbor, University of Mi-chigan Press, 1996.7. Cfr. il saggio di Kerwin Lee Klein, On theEmergence of Memory in Historical Discourse,“Representations”, n. 69, inverno 2000.8. La tendenza a una proliferazione di conce-zioni temporali che si sviluppano in parallelo, èillustrata con grande ricchezza di esempi da unaraccolta di studi condotti da storici/che e an-tropologi/ghe con ampio uso della compara-zione, che si confrontano intorno a concezionidel tempo, della storia e del passato in novecontesti diversi. I risultati che emergono daqueste ricerche lasciano pochi dubbi in propo-sito. Cfr. Time. Histories and Ethnologies, a curadi Diane Owen Hughes e Thomas R. Trautmann,Ann Arbor, niversity of Michigan Press, 1995.9. Cfr. Remo Bodei, Riflessione sul tempo e gliintrecci temporali nella narrazione storica, inScienza, narrazione, tempo, a cura di Mariuc-cia Salvati, Milano, Angeli, 1985; Gianni Vat-timo, Il tempo nella filosofia del Novecento, inGli strumenti della ricerca. 2, Questioni di me-todo*, a cura di Giovanni De Luna, PeppinoOrtoleva, Marco Revelli, Nicola Tranfaglia, Fi-renze, La Nuova Italia, 1983; Jan Goldstein (acura di), Foucault and the writing of History,Oxford, Blackwell, 1994. Si veda inoltre Kr-zysztof Pomian, L’ordine del tempo, Torino, Ei-naudi, 1992 (edizione originale 1984).

La netta separazionetra memoria e storia ascapito della prima —considerata unadimensione troppolegata alla soggettivitàe in contrasto con leprocedure scientificheraggiunte dallaindagine storica — hamutato direzione

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narr

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▼Sono nata in un ambiente con-

tadino di grandi narratori orali nutritidi leggende che appartengono al fondodei secoli: storie dove le forze della na-tura vivevano con una forte carica sim-bolica sotto il nome di giganti, draghi,fate o streghe. Ché più mi addentro nelmondo della scrittura, più mi rendo con-to che l’uomo non è “animale politico”o altro, ma “animale che racconta sto-rie” e che di storie si nutre.«Che storie sono queste?» mi dicevanoda piccola, quando facevo qualcosa cheai grandi non andava bene; oppure, conuna frase che chiudeva definitivamen-te ogni questione: «Non fare storie!»,«Tutte storie!», «Favole! Balle!». Ec’era, dentro a questi modi di dire, l’ideache le storie non hanno a che fare conla realtà o, addirittura, che non con-tengono verità. Ma io, forse per la miaindole di bastian-contrario, a questonon ho mai creduto. Anzi, al contrario,mi sono sempre sentita viva nel terri-torio delle “storie”, contiguo a quellodel sogno e dei grandi misteri della vita.Ne sono sempre più convinta; come puredel fatto che quello del saper racconta-re, cioè del creare un mondo con le pa-role, sia un talento naturale — mi ver-rebbe da usare la parola “dono” — eche molti lo perdano per strada. Credoche chi racconta sia soprattutto un es-sere ricettivo piuttosto che attivo; chele storie — molte storie, infinite sto-rie... — ci palpitino intorno, in attesache qualcuno le racconti. Perciò adessonon mi sembrano più sbagliate le paro-le “Musa” o “ispirazione”, che un tem-po — quando non scrivevo — mi face-vano sorridere, e che invece mi paionole più adatte a esprimere questa parti-colare “capacità di ascolto” che occor-re possedere e affinare, se si vuole rac-

contare. Una musa che non viene amettere in movimento la penna, ma so-praggiunge quando essa si sta già muo-vendo. Una musa che sconvolge i pianidell’elaborazione deliberata e che por-ta il narratore lontano dalle vie cheaveva pensato di scegliere, nel gustodelle bellissime digressioni che i gran-di narratori orali insegnano.Perché la verità è che chi narra, oral-mente o per scritto, procede sempre atentoni. E questo è il bello di questaattività: niente mi annoierebbe e mi dis-suaderebbe dal mettermi davanti alcomputer, quanto il sapere in anticipodove la storia mi porterà. Ciò che acca-de, mentre scrivo, appartiene al regnodell’invenzione, cioè della scoperta odel ritrovamento. Vi sono per lo scrit-tore tanti momenti in cui vede aprirsivarie possibilità di continuare la sto-ria, a volte addirittura opposte; sonomomenti indimenticabili... Poi, quan-do il libro è concluso — cioè quandonon c’è più nulla da scoprire, perché letante storie possibili si sono trasfor-mate in un’unica storia che la pubbli-cazione fa diventare qualcosa di immu-tabile — sembra impossibile che il li-bro potesse essere diverso da com’è. Eallora c’è chi può credere di poterneparlare; come i critici che si mettono aspiegarlo, quasi che le parole della sto-ria non dovessero bastare in ogni caso.C’è comunque, oltre alla capacità diascolto, un’altra cosa che sostiene ilnarratore: la tradizione. I grandi narra-tori orali della mia infanzia dicevano:«Così si contava nei tempi dei tempi»,oppure «Così diceva l’Angiulina dei Cu-dìtti». Ognuno deve scegliere e formar-si una propria tradizione di riferimen-to, e ciò crea certi vincoli da rispetta-re. Ho conosciuto scrittori che dicono

«E cosa ti è piaciutodi questa storia?»«I paroll...»Laura Pariani anche nel suo ulti-mo racconto porge attenzione alleassenze, alle persone che sono sta-te emarginate dalla Storia con lamaiuscola, i più deboli, donne,bambini, vecchi, che tra i poverisono i più poveri. Qui la protago-nista è una giovane maestra di cit-tà che nel 1885 va a insegnare aicontadini di un paese poverissimoe dimenticato, è dunque una don-na che, grazie alla cultura, “havoce” e si prova a dar voce a chinon ne ha. Ma le difficoltà sonoenormi, l’entusiasmo della mae-stra si scontra con la fame, le ma-lattie, la fatica, l’ottusità dei mag-giorenti, la stessa resistenza deglialunni, rassegnati alla loro condi-zione di miseria e ignoranza. E poiuna storia letta dall’insegnante rie-sce a richiamare l’attenzione deibambini («La scuola dovrebbeessere fatta così, di storie». «E cosati è piaciuto di questa storia?» «Iparoll...». Le parole). Così i bam-bini imparano le vocali e le ripe-tono a voce alta e «tutta la vallene risuona fino al Ticino». Il rac-conto s’illumina di questo suono.L’autrice, capace come pochi dileggere il dolore, con questo can-to delle vocali, con questa fede nelvalore delle parole, introduce unasperanza.Il dialetto serve a dare scrittura edurata a una parlata arcaica, chesi perde, e a esprimere la sofferen-za con maggior verità e pudore.In questo affascinante intrecciolinguistico, le pagine iniziali e fi-nali sono in spagnolo e fanno dacornice alla storia: è una nonnaemigrata in Argentina che raccon-ta alle nipoti la vicenda della pro-pria nonna, in una genealogiafemminile che collega diverse ge-nerazioni.Laura Pariani, Il paese delle voca-li, Edizioni Casagrande, Bellinzo-na 2000, pp. 116, L. 20.000.

MARIA LETIZIA GROSSI

Il territoriodelle “storie”LAURA PARIANI *

«Favole, memoria, storie: di questo sono fatta». Unagrande narratrice di storie e appassionata di storiaprova a raccontarci che cosa significa per lei narrare

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di ammirare questo e quest’altro, perònon riflettono mai nella loro opera taleammirazione. Invece, secondo me, am-mirare suppone certi obblighi: per con-siderare uno scrittore come un maestrobisogna meritarselo. In altre parole, nonsi può dire che si ammira Shakespearee scrivere come Paulo Coelho.Ma questi sono gli unici obblighi cheun narratore ha. Non credo che si deb-ba fare concessioni ai fruitori della nar-razione; nel mio caso, ai lettori. Il mioobbligo di scrittore è impegnarmi se-riamente perché una storia funzioni. Sepoi al lettore non piace, è un rischioche devo correre. Il lettore deve andareal libro, non il libro al lettore. Io sonosempre andata ai libri; nessun libro miè venuto a cercare. Sarei una gran pre-suntuosa se pensassi che Kafka scrisseLa metamorfosi pensando a me. I gran-di narratori della mia infanzia, se ve-devano che gli ascoltatori non applau-divano la storia, dicevano al finale: «L’épassâ un car da merda da pipì in boca atüti quij ch’înn stâj chì a sintì». ●

* Scrittrice, ha pubblicato diversi libri di rac-conti (Di corno o d’oro; Il pettine, La perfe-zione degli elastici), un racconto lungo, Ilpaese delle vocali (di cui pubblichiamo a p.15 la recensione), due romanzi (La spada e laluna e La signora dei porci).

Pensare per storieSTEFANO VITALE

Il pensare per storie nasce dal desiderio di pensare lanostra incompiutezza. Raccontiamo perché nonsiamo certi di poter trattenere tutto entro i limiti dellenostre certezze. Ma non vogliamo rinunciare allaconcretezza del pensare. La filosofia, e l’educazione,diventa narrativa quando vuole comprendere edesprimere quanto del reale sta fuori dalla costrizionedell’ordine logico del discorso

«Quando riusciamo ad avvicinarcia noi stessi? A letto, in viaggio, a casa,dove tante cose al ritorno ci sembrano mi-gliori? Ognuno conosce il sentimento diaver dimenticato qualcosa nella sua vitacosciente, qualcosa che è rimasto a mez-za strada e non è venuto alla luce. Eccoperché spesso sembra tanto importante ciòche si voleva dire proprio ora e che ci èsfuggito. Quando si lascia una camera incui si è vissuto a lungo, ci si guarda intor-no stranamente, prima di andarsene. An-che qui è rimasto qualcosa, che non si èafferrato. Lo si porta comunque con sé perricominciare altrove».

(Ernst Bloch, Tracce, p. 96)

L’utopia che noi siamo

Ci dibattiamo tra paradossi: sensibilità edintelletto, conoscere ed agire, fatti e va-lori. La narrazione indica una via d’ac-cesso inedita perché fa attenzione al la-vorio faticoso del pensiero “artigianale”(restio ad ogni forma di globalizzazione)che collega generazioni ed epoche diver-se, al di là dei contenuti analitici ed espli-cativi, grazie ad un’opera di concatena-zione. Un filo solido s’intesse tra vissutied esperienze, in un contributo ermeneu-tico dato da tutti coloro che narrano unastoria. Nella narrazione l’evento non deveessere compreso, il suo senso è schemametaforico, recita che ha in sé il suo si-gnificato, cornice che supera la logicacausale e, perfino, quella del dominio.Non a caso la narrazione, si tratti di fia-ba, leggenda, racconto popolare mettein scena preferibilmente situazioni e fi-

gure non convenzionali: bricconi, scemidel villaggio, deboli astuti, bambini. Essi«si mettono in viaggio e trovano in so-gno ciò che desiderano» (E. Bloch, Eredi-tà del nostro tempo, p. 138) esprimendola rivolte del piccolo uomo contro le po-tenze mitiche, dando inizio alla storiacontro al destino: Cenerentola diventaprincipessa, Tredicino salva fratelli e ma-dre, il piccolo contadino uccide il mostrodalle sette teste, Pollicino ha ragione del-l’orco. «C’era una volta: è qualcosa dimolto vicino, ma vicino ai bambini, quindia un tempo inebriante e straniero» (ibi-dem, 138).

Storie marginali

Benjamin conferma che la narrazione è«una forma artigianale di comunicazio-ne» (“Il narratore. Considerazioni sull’ope-ra di Nicola Leskov”, in Angelus Novus, p.243,). Essa vive nella dimensione del sin-golare accordo tra l’anima, l’occhio e lamano e non «mira a trasmettere il puro“in sé” dell’accaduto, come un’informa-zione o un rapporto, ma cala il fatto nel-la vita del relatore» (idem, p 243). A dif-ferenza dell’informazione che deve appa-rire plausibile, semplificata, pratica e im-mediata, la narrazione si esprime in «sto-rie singolari e significative» (idem, p. 241)che fanno saltare il predominio dell’at-tualità istantanea sempre uguale a sestessa ed alle esigenze del consumo.Benjamin vedrà, al pari di Bloch, nell’ar-te della citazione, del montaggio, del re-cupero del marginale, nell’espressionismoculturale la possibilità di una teoria este-

La verità è che chinarra, oralmente o perscritto, procede semprea tentoni. E questo è ilbello di questa attività:niente mi annoierebbee mi dissuaderebbe dalmettermi davanti alcomputer, quanto ilsapere in anticipo dovela storia mi porterà

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tica dotata di una valenza politica distrut-tiva di ogni idea classicista e statica del-l’arte. La narrazione vista come arte com-binatoria poteva, e può, rivelare una pre-senza ed una forza imprevista anche nel-le forme più “popolari” della società dimassa.«Il gioco va alla velocità del pensiero, lamente è in continua azione, tutto si fa esi disfa come nella realtà, non c’è nientedi più importante, quello che conta è lapossibilità combinatoria, cambiare sem-pre, provare e riprovare. La mente diven-ta elastica, il pensiero dinamico. L’indi-viduo creativo» (Bruno Munari, Da cosanasce cosa, Laterza, Bari, 1985).Pensare per storie, ovvero muoversi in unospazio diverso dalla geometria euclidea,in una pluralità di mondi possibili, dila-tando e relativizzando una nozione direaltà empirica del tutto indifferente alladialettica vero-falso, reale-irreale. Fiabe,leggende, storielle, giochi sono piene diporte nascoste, trabocchetti, botole, portegirevoli, trasformazioni e metamorfosi chepermettono di de-costruire la durezzadella realtà in nuove modalità di tempoe spazio. La narrazione è un sogno cheagisce al livello della nostra esperienzapiù profonda e richiede una continua rein-venzione (per questo rileggiamo nel tem-po le stesse storie che abbiamo, appa-rentemente, dimenticato ed amiamo gio-care più volte allo stesso gioco). Stare inascolto, bussare alle porte, sorprendere,leggere gli indizi sono procedure tipicheed esprimono l’idea che la realtà non sipuò solo spiegare “dall’esterno”, ma ri-chiede un orientamento ed un’aperturadi tipo morale-pratico (non prescrittivo-

normativo). Pensare per storie significacosì prestare attenzione a piccole espe-rienze, guardare dietro l’angolo, proce-dere a zig-zag. Il pensiero narrativo dis-semina, è frantumato, ma non è fiacco:coltiva l’acutezza, la sorpresa, il saltoacrobatico, lo scarto dalla norma, il rapi-do vagabondare. Invita il pensiero a spor-gersi sui dirupi della vita e dell’azionedei singoli, sulle crepe e le lacune delreale.

Modelli d’apprendimento e struttureche connettono

Nel suo libro La cultura dell’educazione,Jerome Bruner, parlando dei modelli del-la mente e della pedagogia, individuaquattro processi d’apprendimento:1. I bambini apprendono per imitazione:l’acquisizione di know-how;2. I bambini imparano dall’esposizionedidattica: l’acquisizione di conoscenzaproposizionale;3. I bambini come pensatori: lo sviluppodello scambio intersoggettivo;4. I bambini come soggetti intelligenti:la gestione della conoscenza “obiettiva”(cfr. pp. 66-75).I primi due modelli privilegiano ciò chegli adulti possono fare dall’esterno perpromuovere l’apprendimento; gli altri duepongono l’accento su quanto e su quelloil bambino può fare, pensa di fare e sucome l’apprendimento possa fondarsi sutali stati intenzionali.I primi due hanno una lunga storia e tra-dizione e tendono ad escludere gli altridue: ma accumulare competenze e cono-scenze non basta. Il bambino deve poteressere consapevole dei suoi processi dipensiero e dei suoi modi d’organizzazio-ne dell’esperienza: l’insegnate aiuta ilbambino ad essere “più metacognitivo”.Il bambino ha già una sua conoscenzadel mondo: questa va recuperata (e nonsolo come punto di partenza), aiutata adesprimersi, migliorarsi. Anche gli ultimi

due modelli non vanno assolutizzati: «oc-corre piuttosto che le quattro prospetti-ve si fondano in un’unità coerente e ven-gano riconosciute come parti di un con-tinente unico» (idem, p. 78). Competen-ze e fatti non esistono mai indipenden-temente da un contesto, ma non per que-sto sono meno importanti. Per questo sipensa per storie. E ripenso a Gregory Ba-teson, fedele al principio della doppiadescrizione in virtù del quale «la più ric-ca conoscenza dell’albero comprende siail mito sia la botanica» (Dove gli angeliesitano, p. 301). Il problema è compren-dere come il soggetto utilizzi la propriastruttura interna per comprendere il suoambiente, organizzare, definire la pro-pria risposta all’ambiente e di come que-sto stesso ambiente partecipi alla strut-turazione della propria realtà interna. Lestorie che ciascuno può raccontare nonparlano solo della propria storia perso-nale, ma parlano di qualcosa d’altro.Pensare per storie è, seguendo Bateson,agire con una “manovra a tenaglia” chemuove dal pensiero astratto e contem-poraneamente dalla storia naturale, dallaconoscenza formale e dalle “storie”, datutto ciò in cui Epimenide (il creteseche diceva «tutti i cretesi sono bugiar-di») invitava a fidarsi: il gioco, l’umori-smo, la metafora, il racconto. Nel gio-co, ad esempio, si vedono dei compor-tamenti aggressivi di lotta, ma gli indi-vidui lo considerano un gioco. E su que-sto s’intendono. Restare alla superficiedi ciò che si vede ( o si dice) non basta.Il rischio è la schizofrenia che “prendealla lettera” ogni messaggio. E così di-venta importante parlare di come di parladel gioco, di come si parla del conosce-re. E per questo ci aiuto anche la poe-sia, l’arte. Perché conoscere è filtrarequalcosa attraverso un modello menta-le e poterlo esprimere. Non basta impa-rare un lungo elenco di fatti concernen-ti il mondo: occorre saperli mettere as-sieme e spesso manca «la struttura checonnette». Per Bateson, può essere sco-

C’era una volta untizio che chiese al suocalcolatore: «Calcoliche sarai mai capacedi pensare come unessere umano? Dopovari gemiti e cigolii,dal calcolatore uscì unfoglietto che diceva:“la tua domanda mi favenire in mente unastoria”…»

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perta attraverso procedimenti combina-tori non molto distanti da quelli indi-cati da Bloch e Benjamin: «posso adesempio, cambiare il modo in cui com-prendo una cosa danzandola?» (Dove gliangeli esitano, p. 293). È proprio per-ché la metafora ha molte parti che pos-siamo servircene per pensare (idem, p.290). Ma lo scopo non è solo cognitivo,è etico-relazionale: «se vogliamo poterparlare del mondo vivente (e di noi stes-si) dobbiamo padroneggiare le discipli-ne della descrizione e del riferimento inquesto curioso linguaggio che non con-tiene cose ma solo differenze e relazio-ni (...) non solo interpretiamo male etrattiamo male prati, oceani e organi-smi d’ogni genere, ma ci trattiamo malea vicenda perché commettiamo errori cherientrano in una categoria generale: nonsappiamo con che cosa abbiamo a chefare, o agiamo in modi che violano larete comunicativa» (idem, p, 287). Ro-salba Conserva ama raccontare la sto-riella di un antropologo statunitenseche «racconta degli indiani Pueblo, iquali insegnavano ai figli a camminarecon il passo leggero per non disturbarela ‘madre terra’. Trovandosi a tu per tucon il capo villaggio, l’antropologo glichiese: “Qui siamo soli, non ci sente nes-suno, dimmi, credi davvero che se bat-to forte i piedi provoco chissà quale di-sastro?” E quello rispose: “No, non locredo, ma se lo fai dimostri che razza diuomo sei”». (Natura, scienza, educazio-ne, Cemea, Torino).Per Bateson, come per Bruner, occorrefar coesistere elementi duplici: ordine/disordine; rigore/immaginazione; sensi-bilità/ragione; identità/mutamento;tautologia/descrizione. Così siamo “co-stretti” a pensare per storie: «su questafaccenda del perché io racconti tantestorie, mi viene in mente una barzellet-ta. C’era una volta un tizio che chiese alsuo calcolatore: «Calcoli che sarai maicapace di pensare come un essere uma-no? Dopo vari gemiti e cigolii, dal cal-colatore uscì un foglietto che diceva:“la tua domanda mi fa venire in menteuna storia”…» (ibidem, p. 59). ●

NOTA BIBLIOGRAFICAErnst Bloch, Tracce, Sugarco, MilanoErnst Bloch, Eredità del nostro tempo, EditoriRiuniti, Milano.Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Tori-no.Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca dellasua riproducibilità tecnica, Einaudi, TorinoBruno Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza, BariItalo Calvino, Lezioni Americane, Garzanti, Mi-lano.Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, Fel-trinelli, Milano.Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano, Adel-phi, Milano.Rosalba Conserva, Natura, educazione, scien-za. Una mente comune, Cemea, Torino.

UnansweredquestionsFILIPPO TRASATTI

Innumerevoli sono gli esempi che abbiamo nella vitaquotidiana del fatto che la narrazione è unostrumento fondamentale di trasmissione delleconoscenze e di socializzazione. Eppure se siconsidera la didattica tradizionale, la narrazionesembra confinata in riserve. Quando e come a scuolaraccontiamo storie? Come utilizziamo una didatticanarrativa? Come trasformiamo i contenuti dellediscipline in esperienze di apprendimento? Qualioperazioni si applicano alla didattica per“narrativizzarla”?

«Beato colui che può dire: “allorché”,“prima che”, “dopo che”! Avrà magari

avuto tristi vicende, si sarà contortodai dolori, ma appena gli riesce di

riferire gli avvenimenti nel loro ordinedi successione si sente così bene come

se il sole gli scaldasse lo stomaco».(Robert Musil)

Un oceano di storie

C’è un grande oceano delle storie attra-verso il quale navighiamo per tutta lavita, cercando la nostra rotta. Sono comeisolotti, punti di approdo, sui cui ci fer-miamo un momento a sostare, prima diriprendere il viaggio. Le incontriamocontinuamente, dei più diversi generi:ascoltando al mattino il notiziario allaradio, leggendo quotidiani, riviste e ro-manzi, sul tram prestando attenzione aidiscorsi dei vicini, la sera al cinema,oppure a casa ascoltando i racconti deinostri compagni e dei bambini su comeè andata la giornata. La narrazione el’ascolto di storie sono tra le attivitàpiù indispensabili e pervasive della no-stra vita; in mancanza di meglio, con-

sumiamo storie prodotte da quei grandiaffabulatori che sono i mezzi di comu-nicazione di massa. Cominciamo adascoltare storie fin da bambini e prati-camente non smettiamo mai per tuttala vita. E lo stesso accade, seppur inmodalità diverse, in differenti cultureperché, come scriveva Roland Barthes,«il racconto è come la vita, esiste diper sé, è internazionale, trans-storico,trans-culturale» 1.Ma che cosa rende il racconto così po-tente? Ed ancor prima cos’è un raccon-to?

Storia e narratività

Narratologi, psicologi, filosofi si con-frontano da anni alla ricerca della strut-tura e dei meccanismi profondi del rac-conto e della narrazione. Secondo Jero-me Bruner al cuore della narrazione c’èla ricerca del significato.«Al centro della narrazione letteraria,intesa come atto linguistico, sta pro-prio questo: un racconto orale o un te-sto che mira a innescare e a guidare unaricerca di significati all’interno di uno

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19spettro di significati possibili» 2.In questo le storie assomigliano alla vitanarrata, sono costruzioni di senso. L’uni-versalità della narrativa ha forse a chefare proprio con l’analogia tra vita e sto-ria: entrambe sono finite, hanno un ini-zio, uno svolgimento e una conclusio-ne; un elemento essenziale le distingue,la ripetibilità, ma entrambe hanno a chefare con la dimensione del tempo. Chesi parli di historia rerum gestarum, maanche delle piccole storie personali diciascuno, per arrivare alla finzione, finoalla frottola, troviamo sempre comestruttura elementare del racconto la di-mensione della temporalità, quella cheBruner definisce sequenzialità o diacro-nicità. La struttura di una storia puòesser descritta come un xRy, dove x e ysono degli avvenimenti e R è la relazio-ne temporale tra loro, indipendentemen-te dal medium utilizzato per realizzar-lo, fumetto, film o racconto 3.Una storia tenta essenzialmente di pa-droneggiare le dimensioni della tempo-ralità, tenta di trasformare il divenireincontrollato, la vita che fugge, in untempo umano, dandogli un senso e unordine. Serve a creare un legame, unarelazione tra narratore e destinatario,porta a condividere la conoscenza dicerte vicende, e le emozioni conseguen-ti.Il racconto è una «struttura che con-nette» 4: connette insieme eventi, per-sonaggi e azioni in una struttura che dàsenso e delimita un insieme. Ma il nar-rare crea anche una comunità, un patto

che si scambiano le conoscenze. Finchévige il modello disciplinare (disciplinacome disciplina mentis atemporale,uguale per i morti e per i vivi) e la con-cezione proprietaria della conoscenza,ossia quella che chiamerei una conce-zione “essenzialista” della conoscenzae della didattica, non può esserci moltoposto per le storie se non in forma pu-ramente esornativa e secondaria.La svolta narrativa e costruttivistica del-la didattica, riformulata in termini po-sitivi, porta a valorizzare, a mio parere,prevalentemente tre dimensioni:a) quella dell’esperienza (ex-per-ientia)del sapere, nel senso del provenire da eandare verso il sapere;b) quella della soggettività e dell’iden-tità di soggetti viventi; il sapere è per isoggetti viventi;c) quella della costruzione collettivadella conoscenza, attraverso relazionicooperative tra soggetti;Quando e come a scuola raccontiamostorie? Come utilizziamo una didatticanarrativa? Come trasformiamo i conte-nuti delle discipline in esperienze diapprendimento? Quali operazioni si ap-plicano alla didattica per “narrativizzar-la”? Questo costituisce un campo di ri-cerca aperto per ciascun insegnante, unelemento vitale della pratica didatticae della propria storia di insegnanti.Vorrei suggerire per concludere l’imma-gine dell’insegnante come grande nar-ratore, costruttore di trame complesse,aperte in cui gli studenti diventano parteattiva delle storie e in cui la soggettivi-tà del narratore, non viene elisa, ma anzidiventa parte in causa della narrazione.Un narratore che sceglie e poi aiuta acondividere il punto di vista, il ritmo,l’ordine delle storie disciplinari che rac-conta, in una lezione che diventa untesto in costruzione che, come un rac-conto, intreccia insieme narrazioni,spiegazioni, descrizioni, spiegazioni,dialoghi, ogni volta simili, ogni voltadiversi. Perché le storie sono fatte perrassicurarsi, ma anche per scoprirel’inatteso. ●

NOTE1. Roland Barthes, Analisi del racconto,(tr.it.),Bompiani, Milano 1977, p. 8.2. Jerome Bruner, La mente a più dimensioni,(tr.it.), Laterza, Roma-Bari 1988, p. 32.3. Il narratologo Seymour Chatman individuagli enunciati narrativi in rapporto al tempo,come enunciati di processo e di stasi, (ossiadel mutamento e della continuità), in Chat-man, Storia e discorso, (tr. it.), Pratiche, Par-ma 1981, p.29.4. Il riferimento è a due autori importanti peril pensiero narrativo: Paul Ricoeur e GregoryBateson.5. Rober Musil, L’uomo senza qualità (tr. it.),Einaudi, Torino 1972, p.630.

tra gli interlocutori; vuol dire ancheconsentire, sentire in comune. Infine c’èuna stretta relazione tra narrazione eidentità, come ha mostrato Bruner neisuoi lavori dopo la cosiddetta svoltanarrativa. In una pagina straordinaria,Musil proponeva la stessa idea: «Nellarelazione fondamentale con se stessi,quasi tutti gli uomini sono dei narrato-ri. (…). A loro piace la serie ordinatadei fatti perché somiglia a una necessi-tà, e grazie all’impressione che la vitaabbia un “corso”, si sentono in qualchemodo protetti in mezzo al caos»5.

Didattica e narratività

Innumerevoli dunque sono gli esempiche abbiamo nella vita quotidiana delfatto che la narrazione è uno strumentofondamentale di trasmissione delle co-noscenze e di socializzazione. Da qui laproposta di una didattica che abbia acuore la narrazione come focus. Ogni in-segnante con un minimo di esperienzasa che forse il modo più efficace percoinvolgere la grande maggioranza de-gli studenti di una classe consiste pro-prio nel ricorrere alla vivacità e alladrammaticità della narrazione. Esempiilluminanti di didattica attraverso le sto-rie ci vengono dall’Oriente, dalla tradi-zione ebraica, dal vangelo.Eppure se si considera la didattica tra-dizionale, la narrazione sembra confi-nata in riserve. Un conto sono le storie,che si raccontano magari ai bambini, op-pure si leggono anche ai ragazzi piùgrandi durante l’ora di letteratura, unaltro sono le discipline, con i loro beicontenuti ripartiti per ore, in appositesezioni di curricolo e di manuale. Va beneraccontarsi le esperienze in una qual-che occasione particolare, che so al ri-torno dalle vacanze o dopo una gita,ma per il resto la narrazione è fuori luo-go, inadeguata a trasmettere conoscen-ze disciplinari.La povertà di narrazione nella scuola,che è peggiorata se possibile con la “tur-bocognitivizzazione” che hanno subitonegli ultimi anni le discipline (grazieanche all’opera di pedagogisti illumina-ti), se si eccettua forse la scuola prima-ria, e in progressione con l’avanzare del-l’età, richiede forse alcune considerazio-ni. La scuola è piena di storie non rac-contate ed è invece per lo più priva alsuo interno di storia e di memoria.Penso che questa mancanza abbia a chefare proprio con alcune delle dimensio-ni del raccontare che a scuola sono ne-gate: la temporalità dell’esperienza, lanegoziazione tra soggetti e il patto nar-rativo tra esseri viventi e comunicanti

«Nella relazionefondamentale con sestessi, quasi tutti gliuomini sono deinarratori. (…). A loropiace la serie ordinatadei fatti perchésomiglia a unanecessità, e grazieall’impressione che lavita abbia un “corso”,si sentono in qualchemodo protetti in mezzoal caos»

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Ascoltiamo le storie degli altried entriamo in esse come se fossero lenostre. Senza movimenti eccessivi, senzasforzo, soltanto partecipando ad ungrande teatro dove parole su parole, di-scorsi e voci sono rumore di fondo che,a seconda delle circostanze, ci impon-gono — quasi — di entrare in scena.Non si può certo dire pertanto che, oggi,ci manchino risorse per dialogare, perattingere informazioni e saperi. Per ob-bedire a quell’istinto, antico come l’uo-mo, di narrare l’esperienza e di cono-scere quella degli altri. Dovremmo es-sere quindi soddisfatti di un mondomediatizzato, che non ci lascia mai soli,che ci consente — con un “clic”— difare conoscenza con chicchessia (pur-ché risponda al richiamo e soltanto perpochi istanti) segnalandogli la nostraesistenza.On line, un’opinione personale suscital’interesse di altre migliaia e migliaia dipotenziali e reali conversatori. La soli-tudine, l’isolamento, l’assenza di lega-mi — paure millenarie-sembrerebberoormai risolte. È il tanto amato, caldo econfortante “villaggio globale”, che con-

tribuisce a sviluppare narrazioni maiprima d’ora così fitte ed ossessive, ren-dendoci giorno dopo giorno più analfa-beti, consegnandoci a quella oralità diritorno che rassicura i più: ma non tutti.

La socialità a ogni costo

Infatti, in questo strabordante, conti-nuo, assordante proliferare di discorsinostri e altrui; in un esibizionismo nar-rativo al quale non riusciamo a sottrar-ci, che pare cancellare talvolta ogni sen-so dell’intimità e del pudore, stiamo as-sistendo a fenomeni nuovi. In contro-tendenza. Non ci riferiamo alle rivolte eai digiuni autoimposti, tanto sporadiciquanto patetici, contro la Tv, la radio, icomputer. Nel sogno di luoghi dove abi-tare e vivere rituali a contatto con lagente e non più con uno schermo. Benaltro si sta affermando nel costume,aprendosi una breccia proprio laddovequei racconti ascoltati, con i quali indiretta possiamo interagire, ad ogni oradel giorno e della notte, non ci bastanopiù. Si tratta del bisogno del ritorno a

Raccontarsiscrivendo a se stessiDUCCIO DEMETRIO *

Nella società della comunicazione siamo ascoltatori eparlatori spesso contro la nostra volontà, ormaiattraversati da un’oralità diffusa audiovisuale che cirende sempre più deboli o imperfetti lettori. Le paroledette e scambiate costano del resto assai meno fatica;la loro immediatezza ci basta, i loro trucchi sonoinfiniti. Possono essere corrette all’istante,compromettono meno di quanto lo scrivere sigilla erispecchia di noi. Scrittura di sé e memoria comeantidoto e vaccino contro quelle esasperate forme dicomunicazione che durano un istante

noi stessi come individui e persone nondisposte ad essere assorbite dai risuc-chi comunicativi. L’atteggiamento puòapparire aristocratico e supponentecome sempre hanno detto i sostenitoridella socialità ad ogni costo, ma, inve-ro, rappresenta la manifestazione di undiritto alla solitudine perseguita comemorale (felice) e al silenzio (fertile dipensieri e riflessioni invisibili e indici-bili). L’evento si è già verificato in altreepoche, seppur non in forme così ma-scroscopiche e diffuse, dove l’individua-lità in quanto esperienza soggettiva einteriore della vita apparve minacciata.Non come ora: dove è la prepotenzaespropriatrice delle parole ad indurci aritrovare finalmente con parole silenzio-se, interiori, il nostro volto e il nostropiù autentico linguaggio.Ciò di cui abbiamo parlato fino ad oranon evoca del resto masse sterminate diinterlocutori senza volto?Quando tutti si sentono protagonisti, puressendo al contempo nessuno?Dove i racconti dei singoli, anche i piùinteressanti, hanno vita breve e vengonoriassorbiti nell’indistinto e subito oblia-ti?Dove ci si sente smarriti, non sapendopiù bene chi si è , giunti in età matura, enon necessariamente in condizioni di sof-ferenza, insuccesso e disagio?Queste domande se le pone proprio lapersona “normale” che, ad un certo pun-to della vita, guardandosi alle spalle,uomo o donna, quasi del tutto soddisfat-to — più che depresso ? per il percorsogià intrapreso, si domanda: «Perché nonparlare di me? Di come ho fatto a diven-tare quel che sono diventato. Di quel cheho visto, amato, conosciuto…».Un istante dopo, la domanda diventaperò: «Ma a chi può interessare?».Scoprire che parlare di sé a se stessi,certo esercizio già consueto, ma volgen-dosi indietro è passaggio ulteriore ver-so la nostra maturità; è uno spostamentodi significati e di interessi dalla portatamentale ed emozionale assolutamenteunica. Comprensibile a chi decide di met-tersi alla prova, con desiderio e capar-bietà. Ma il monologo o dialogo internoci sfugge, ha lo stesso andamento deiracconti orali e ben presto gli sguardisvogliati dei malcapitati ascoltatori ciscoraggiano dal continuare.

Dal parlare di sé alla scritturaautobiografica

In questi dubbi una moltitudine si ri-sponde che, allora, è meglio lasciar per-dere onde evitare di apparire maniacalie in delirio narrativo.

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Una minoranza, in crescita silenziosa eclandestina, insiste invece con pervica-cia su questa strada. Si trova dinanziall’unico sentiero percorribile: è indot-to giocoforza a cimentarsi con la scrit-tura della propria storia. Della propriaautobiografia. Scopre che scrivere creaappigli e sicurezze impossibili se le sto-rie personali vengono abbandonate alvento delle parole.È una scoperta questa che, dopo qual-che entusiasmo iniziale, fa paura, sco-raggia, inibisce. Molti si tirano indietrodinanzi a un progetto assolutamenteprivato, personale, intimo e preferisco-no tornare all’ascolto delle storie altruie all’ennesimo racconto delle proprie.Moltissimi — per la verità soprattuttodonne — si impongono di andare avan-ti dopo qualche impacciato tentativo.Nascono così scritture personali (dell’Io,le definiscono alcuni, “in prima perso-na” altri ancora) delle quali purtropponon sarà mai dato sapere: la maggiorparte saranno il segreto dei loro anoni-mi autori. Altre invece verranno regala-te a familiari e ad amici stampate a pro-

prie spese.Al di là dell’esperienza letteraria perso-nale, celata a lettori indiscreti o donatafestosamente a chiunque ci abbia co-nosciuto, chi rimette insieme la propriavicenda umana (ritrovando luoghi, tra-scrivendo emozioni, inseguendo perso-ne che si credevano dimenticate) si ac-corge che si sta “individuando”. Perce-pisce fisicamente che l’atto della scrit-tura lo impegna, lo trasforma strada fa-cendo e gli, o le, fa scoprire nuove for-me di concentrazione, di riappacifica-zione con il proprio passato. Oppuresperimenta che lo scrivere ricordi, com-mentare vecchie foto, racimolare testi-monianze ed epistolari è un po’ comeritessere fila che divengono una rete pro-tettiva. Tutto questo si compie sempredentro di sé; al riparo di parole e sguar-di che, pur se indiscreti, non riusciran-no mai a penetrare nella vita interioredel narratore paziente e silente. Tuttoquesto è vivere una riconciliazione af-fettiva con un presente incerto che puòcercare risposte nella memoria, non piùo quasi nel futuro. Difatti, lo scrivere disé se non può essere sempre — comeper molti però è stato — un tragittoverso la guarigione dal “male di vivere”temporaneo o antico, comunque rasse-rena, placa, alimenta speranze perfino.Si scopre in tal modo che, se non unaautoterapia, la scrittura induce nuoveabitudini del pensiero, esplora anfrattidella memoria che ci rassicurano e aiu-tano. Senz’altro ci consentono di spie-garci di più a noi stessi e di accettarequel che è stato. Rispetto al quale l’at-to di scrivere rappresenta la necessitàdella mente di rimettere in ordine, diridare architettura ai ricordi o agli stes-si sogni incompiuti

Luoghi del lavoro autobiografico

Anche se la scrittura autobiografica èuna sorta di istinto che si impone so-prattutto negli anni dell’età di mezzo-tempo di bilanci e meditazioni — essava aiutata e promossa. A questo scopoin Italia sono state inventate due isti-tuzioni che si prefiggono, la prima, diraccogliere autobiografie, diari, episto-lari, memoriali che senza una cura con-servativa andrebbero dispersi; la secon-da — il cui impegno pedagogico è piùesplicito — vuole soprattutto diffonde-re ed insegnare l’arte dell’autobiografia.Si tratta dell’Archivio Diaristico Nazio-nale di Pieve Santo Stefano fondato daSaverio Tutino già molti anni fa e dellaLibera Università dell’Autobiografia, natada un’idea mia, nel l998 e di cui Tutinoè presidente 1. Un sodalizio culturale,

questo, che nella specificità delle fun-zioni rappresenta una proposta unica perchi ha già scritto e per chi vuole impa-rare a scrivere e ad approfondire le mol-te implicazioni scientifiche, filosofiche,letterarie, storiche che il genere auto-biografico include. La Libera Universitàinfatti organizza una scuola biennale perspecialisti (insegnanti, educatori, tera-peuti) e per chiunque desideri iniziarsialla scrittura di sé ed inoltre seminari,convegni, iniziative culturali e artisti-che.Ad Anghiari, la scrittura autobiograficae qualunque altra forma narrativa (an-che non verbale) che abbia per tema lastoria di sé si rende campo di ricerca edi lavoro pedagogico. Dove un princi-pio sovrasta sugli altri: “se vuoi essereun educatore non puoi non sperimenta-re su di te, quel che vuoi imparino afare gli altri come narratori”. Pertantol’attenzione della Libera Università perla scuola e gli insegnanti è costante,dal momento che la diffusione di unapedagogia della scrittura di sé e dellamemoria può farsi antidoto e vaccinocontro quelle esasperate forme di comu-nicazione che durano un istante. Chi cre-de che iniziare bambini e ragazzi all’au-tobiografia molto presto sia un modo persviluppare mente e linguaggi interiori,oltre che una coscienza della propria equindi dell’altrui individualità, differen-za e autonomia, fa un’educazione in con-trotendenza. Per il solo fatto di non cre-dere a test e competenze che negano lestorie e la loro complessità in nome deiframmenti e dei frantumi di sapere; perritrovare in ogni storia connessioni tra ilsapere e il sapere di sé. ●

* Professore di Pedagogia all’Università degliStudi di Milano-Bicocca.

NOTA1. Per informazioni sulle iniziative della liberaUniversità dell’autobiografia: tel./ fax0575.788847 e-mail: lib.uni. [email protected],www.autobiografia.it.

Chi rimette insieme lapropria vicendaumana (ritrovandoluoghi, trascrivendoemozioni, inseguendopersone che sicredevanodimenticate) si accorgeche si sta“individuando”.Percepisce fisicamenteche l’atto dellascrittura lo impegna,lo trasforma stradafacendo e gli, o le, fascoprire nuove formedi concentrazione, diriappacificazione conil proprio passato

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È nella composita esperienza checostruiamo consapevoli visioni della re-altà, che più nettamente definiamo lerelazioni con il mondo e con gli altri. Èattraverso le molteplici aperture, derivantida ciascuna delle tante tracce in noi cheinsieme rinviano a corpo e a mente: desi-deri, sentimenti, ritenzioni, immagini,ricordi, aspettative, linguaggi, che ci re-lazioniamo al mondo, ci dislochiamo nel-la realtà. È una iniziale, immediata quan-to plurima, interazione col mondo stes-so.L’operare attorno ad una delle molte trac-ce, il riorganizzare e rielaborare una del-le aperture possibili, configura l’esperien-za: emotiva, immaginativa, memorizzan-te, concettualizzante.

Lo sfondo

È così per il ricordo. L’operare, infatti, suun ricordo fa chiarezza attorno ai trattidistintivi di ogni ricordo. Fa chiarezzasulla selezione: il singolo di un dato even-to, per sua propria strutturazione (il pre-cipitare delle diverse tracce nella perso-nale esperienza) e per sua sociale dislo-cazione, trattiene un aspetto anziché unaltro, l’oblio sagoma il ricordo come ilmare i contorni della riva (Marc Augé).Chiarisce la relazione: il ricordo è avver-tito come qualcosa da comunicare a qual-cuno, da qui l’individuazione dei referen-ti che soddisfino attenzione, attentoascolto, e che, soprattutto, siano simpa-

tetici col ricordato. Esplicita la conden-sazione di ricordo: il ricordo, infatti, puòvenire racchiuso nella commemorazionecelebrativa, nella cerimonia rituale, puòpoi alternativamente essere immobilizza-to nel monumento, nella raffigurazionearchitettonica, può anche e diversamen-te essere rielaborato in memoria. Infinel’attività sul ricordo fa il punto sulla nar-ratività che accompagna dal principio ri-cordo, ma che può arrestarsi nella monu-mentalizzazione, distorcersi nella comme-morazione celebrativa, dispiegarsi nel rac-conto di memoria.

La narratività

Dunque la densa esperienza del ricordopuò essere considerata da più lati. Quel-lo della narratività è il lato che più dialtri manifesta la porosità del soggettoche ricorda. Intanto vale per la narrazio-ne del ricordo ciò che vale per la narra-zione in generale: «il pensiero narrativosi occupa delle intenzioni e delle azioniproprie dell’uomo o a lui affini, nonchédelle vicissitudini e dei risultati che necontrassegnano il corso. Il suo intento èquello di calare i propri prodigi atempo-rali entro le particolarità dell’esperienzae di situare l’esperienza nel tempo e nel-lo spazio» 1. Come il pensiero narrativo,in generale, fissa il particolare, gli asse-gna valore esplicativo, parimenti la nar-ratività del ricordo ne fissa la particolari-tà, ne sottolinea il valore di significato.

La narrativitàdel ricordoGIOVANNI SPENA

Non sempre la narrazione del ricordo si trasforma inmemoria armonicamente correlata alla storia, a volte— e nel nostro oggi avviene spesso — si palesanodistorsioni gravi. A scuola bisogna recuperare unequilibrato rapporto ricordo-memoria, orientare inostri alunni a racconti di memoria e ad un tranquilloraccordo di quest’ultimi con la ricostruttività storica

Il particolare fissato dalla narrazione delricordo è l’insieme delle propensioni edelle opzioni che in un tempo dato, en-tro una situazione determinata, il sog-getto ricordante ha assunto, più ancorail particolare è dato dalla pregnanza chele propensioni e le opzioni di allora han-no per il soggetto rimemorante, una pre-gnanza tale che egli non può non comu-nicare ad altri. In questo senso il parti-colare del ricordo è un particolare biogra-fico.I primi due tratti (il ricordo fissa un par-ticolare — il particolare fissato è a con-notazione biografica) sono aspetti equi-libranti, ma v’è un terzo tratto del ricor-do che può divenire disequilibrante: quel-lo della verosimiglianza. Il soggetto ri-cordante dà al particolare biografico ri-memorato valore di verosimiglianza, ri-tiene che ciò che lui rimemora possa illu-strare il contesto in cui le sue propensio-ni ed opzioni di un tempo sono state di-spiegate. Ecco, non sempre chi ricordariconosce che la sua illustrazione sia sol-tanto verosimigliante, a volte le assegnacarattere di solida e salda dimostrazione.Origina da qui la distorsione del ricordo.

Memoria

Una prima possibile rielaborazione di ri-cordo — memoria — è il racconto parla-to di Annette Wiewiorka che media tra isuoi ricordi e la figlia Mathilde, tra i ri-cordi di Berthe, l’amica superstite di Au-schwitz, e le domande della figlia (Au-schwitz spiegato a mia figlia), oppure lacronaca a caldo di Giacomo Debenedettisulla deportazione degli ebrei romani 2.Un’altra possibile rielaborazione del ricor-do è quella secondo ‘finzione’ letteraria:si pensi a Giorgio Bassani che affida ad

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Athos Fadigati il testimoniare la certezzadell’impossibilità dell’attecchire in Italiadell’antisemitismo estremo (Gli occhialid’oro). Fu effettivamente e storicamentediffuso tra gli ebrei italiani il convinci-mento che da noi l’antisemitismo violen-to fosse da escludere: il dato storico vie-ne da Bassani filtrato nel doppio filtrodel ricordo e della finzione letteraria.Ultimo esempio di rielaborazione è quel-lo del ricordo direttamente orientato aricostruttività storica: Marc Bloch in Lastrana disfatta applica ai suoi ricordi del-l’estate 1940 ‘l’interrogare’ e il ‘sollecita-re’ le testimonianze di cui parla in Apolo-gia della storia.

Emergenzialità

Non sempre la narrazione del ricordo sitrasforma in memoria armonicamentecorrelata alla storia, a volte — e nel no-stro oggi avviene spesso — si palesanodistorsioni gravi.Un primo esempio di distorsione è em-blematicamente testimoniato da quantoscrive Barbara Palombelli su Repubblica:«ho una grande passione per le storie vere,le storie delle persone raccontano moltodi più dei libri e delle ricostruzioni poli-tiche che abbiamo letto sinora» 3. Affer-mazione singolare: le narrazioni di ricor-do sono più interessanti, più vere dellericostruzioni storiche. Questa frattura di-chiarata e cercata tra storia e ricordi è,nel presente, assai diffusa, ampiamentecircolante nella fascia giovanile. Ma lacosa più sorprendente è che ad indicaretale frattura, a porla quale punto di par-tenza del processo educativo sia La Sur-vivors of the Shoah Visual History Foun-dation di Steven Spielberg; una opzionegrave questa documentata sulle paginedi école dall’insegnante Ilda Gemme 4.Un altro esempio di distorsione è rintrac-ciabile nella Lettera a un amico ebreo diSergio Romano. Qui l’autore più che fa-stidio od insofferenza mostra inimicizia

al ricordo. Imputa infatti agli ebrei e al-l’intellettualità di sinistra il volere im-porre l’unicità della Shoah (lui dice del-l’olocausto), una evidenziazione estremaed ossessiva si che essi, riducendosi dinumero i testimoni, pervengono a sosti-tuzione di memoria: «la memoria indottae ‘artificiale’ deve riempire il vuoto la-sciato dalla memoria diretta e naturale» 5.Il rapporto ricordo memoria da esigenzadei soggetti tutti diviene scelta discuti-bile di alcuni.Altra esigenza di ridimensionare ed equi-parare ricordi distinti la si trova in unnuovo genere di racconto quello dellepacificate memorie — è il terzo esempiodi distorsione. Mazzantini e Bentivegnain C’eravamo tanto odiati 6 piegano e su-bordinano il passato ad istanze del pre-sente: i ricordi sfumano nell’indistinto ele memorie divengono silenti.

Prospettiva

Sarà bene recuperare un equilibrato rap-porto ricordo-memoria, orientare i nostrialunni a tonici racconti di memoria, a untranquillo raccordo di quest’ultimi con laricostruttività storica. Sarà bene porrequesto quale uno degli obiettivi della for-mazione del XXI secolo su cui recente-mente ha scritto Franco Cambi7. Sarà beneconseguire, al più presto, questo obietti-vo ove non si voglia che diluvi fango:«diluviava il fango; e pareva che tutte lecloache della città si fossero scaricate eche la nuova vita nazionale della terzaRoma dovesse affogare in quella torbidafetida alluvione di melma, su cui svolaz-zavano stridendo, neri uccellacci, il so-spetto e la calunnia» 8. ●

NOTE1. Jerome Bruner, La mente a più dimensioni,Roma - Bari, Laterza, 1988, p. 18.2. Cfr. Annette Wieworka, Auschwitz spiegato amia figlia, Torino, Einaudi, 1999; Giacomo De-benedetti, 16 ottobre 1943, Palermo, Sellerio1993; Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, Mila-no, Arnoldo Mondadori 1980; Marc Bloch, Lastrana disfatta, Torino, Einaudi, 1995.3. Cfr. Barbara Palombelli, Lettere, ‘La Repub-blica’, 7 gennaio 2000 p. 14.4. Ilda Gemme, “Storia, memoria e racconti”, in“école”, n 76, marzo 2000.5. Sergio Romano, Lettera a un amico ebreo,Milano, Longanesi 1997, p. 32.6. Carlo Mazzantini e Rosario Bentivegna, Cieravamo tanto odiati, Milano, Baldini & Castol-di 1997. L’istanza di pacificazione presente inCi eravamo tanto odiati si è provato a veicolarlaa scuola, vedasi Domenico Parisi “Come si deveinsegnare (e fare) la storia?”, in Contempora-nea, Anno I, N. 2, aprile 1988.7. L’articolo di Franco Cambi cui faccio riferi-mento è “La formazione e il XXI secolo” in Iri-de, agosto 2000.8. Luigi Pirandello, I vecchi e i giovani, Milano,Oscar Mondadori 1986, pp. 237-238.

Come il pensieronarrativo, in generale,fissa il particolare, gliassegna valoreesplicativo, parimentila narratività delricordo ne fissa laparticolarità, nesottolinea il valore disignificato C’era una volta un

asinello… che… volevastare a casa… ma ilpadrone doveva andare abuttare dei sacchi… el’asinello non voleva…allora stava a letto…E poi… va… però, dopo unpo’, si sente… un rumore…uhhhh, uhhhh… era il lupo.Allora l’asinello dice: aiutoaiuto!!!… e poi… stavaper… mangiare… l’asinelloil lupo… e l’asinello ècaduto giù nel burrone… epoi… si è arrampicatoancora su… e così è andatoa casa.Così è finita.

C’era una volta… unabambina… che ha dettoalla mamma che volevaandare dalla sua nonna… edisse la mamma: sì sì, vaipure! Io ti do un cestinoper portarle la pizza… e va.E poi salta fuori dalcespuglio un leone… eallora… va… dalla suanonna… il leone.Si traveste con lamantellina di CappuccettoRosso, e va… Poi bussadalla nonna… toc toc… chiè?… sono la tua nipotina,disse il leone… con la voceche aveva più… dolce.Dice la nonna: entra pure…e dice la nonna: ma chetesta grossa… che hai!!…per testarti meglio!! mache braccia lunghe chehai!… per abbracciartimeglio!!… ma… nonna…che bocca grande chehai!!… per mangiartimeglio!!! ahhm!!… eallora il povero leone restanella pancia…Poi… non arriva uncacciatore, neanche unboscaiolo, nessunoarriva… allora si tiene lapancia piena. Arriva solo…un coltello da solo… etaglia la pancia di quellanonna… così è finita.

Le storiedi Rossana(3 anni) T E

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sape

reLa natura “narrativa” del saperefilosofico

Il punto di partenza per la verifica dellanatura “narrativa” del sapere filosofico eper l’utilizzazione di questa prospettivain ambito didattico è probabilmente an-cora quello rappresentato dalla dicoto-mia tra scienze della natura e scienze dellospirito.Con un’avvertenza fondamentale: le co-siddette “scienze dello spirito” non sonoaltro che la riproposizione organica, av-venuta nell’ambito teorico dello storici-smo tedesco, della nozione di scienzamorale già vigente nella cultura di ispira-zione positivistica.Lo spirito (umano) viene identificato conla sua vicenda storica e, di conseguenza,la dimensione etica ad esso conseguentesi rovescia nel progetto pratico di com-prendere e verificare la validità del com-portamento degli uomini.«Nel linguaggio comune, non è presentela distinzione netta fra i termini “spiega-re” e “comprendere”. In pratica, si puòdire che ogni spiegazione, sia essa cau-sale o teleologica o di qualche altro ge-nere, accresce la nostra comprensione del-la realtà. “Comprensione”, però, è circon-data da un alone psicologico che “spie-gazione” non possiede. Questo caratterepsicologico fu messo in rilievo da nume-rosi metodologi antipositivisti del dician-novesimo secolo e forse con maggior for-za da Simmel, il quale riteneva che lacomprensione, in quanto metodo pecu-liare delle scienze umane, fosse una for-ma di empatia o ri-creazione nella mentedello studioso dell’atmosfera intellettua-le, dei pensieri, sentimenti e motivazionipropri degli oggetti del suo studio» 3.Spiegazione e comprensione restano pursempre (anche se sono state a più ripre-se rimesse in discussione) le categoriefondamentali per la ricostruzione del rap-porto tra filosofia e metodo scientifico edue momenti essenziali del sapere filo-sofico. Per restare nell’ambito della sto-ria della filosofia, l’ambito delle spiega-zioni è quello in cui si svolge la discus-

Fritz: «(...) Invece la vita scorre— tanto per auto-citarmi — nel corsodel tempo senza il bisogno di sfornare sto-rie». Anna (fuori campo): “Hai sentitoche ha detto? Le storie esistono solo nel-le storie”» 1.

Al regista Friedrich Munro che insiste aconfermare la validità della propria con-cezione del cinema (e della vita) e cioèche le storie non esistono nella realtàquotidiana ma che esiste il flusso dellavita che va colto con la macchina da presaper rimandarlo al pubblico sullo scher-mo delle sale cinematografiche, il pro-duttore hollywoodiano Gordon risponderàproprio sul finire del film Lo stato dellecose di Wim Wenders,: «Devi avere unastoria, Friedrich. La stessa vecchia sto-ria che ti dico sempre — senza una sto-ria, sei morto. Non puoi costruire un filmsenza una storia. Hai mai provato a co-struire una casa senza le mura? È la stessacosa. Non puoi costruire una casa senzamura» 2.Può sembrare ovvio che il produttore diHollywood abbia ragione nel dire quelloche dice, nonostante quello che è e cherappresenta (ed ha ragione anche nellosviluppo del film di Wenders, tra paren-tesi).Un film è tale proprio in quanto mostraimmagini disposte narrativamente a for-mare i contorni di una vicenda conside-rata esemplare e coerentemente dispo-sta nello spazio e nel tempo del campodella visione cinematografica.Il modello narrativo, forse sempre vali-do nell’ambito di quei saperi che risulta-no più direttamente legati all’ambitodella vita quotidiana, vale o può valereanche per i saperi più “astratti” e chedella loro natura eminentemente concet-tuale fanno mostra in maniera evidentee vistosa? E, soprattutto, in che modo sipuò “convertire” il sapere filosofico daarchitettura di nozioni che sembranovolutamente scollegate da un ambito direaltà quotidiane in un dispositivo dinarrazioni che risultino esplicative pro-prio dell’orizzonte di quelle realtà?

Sapere “per storie”GIUSEPPE PANELLA

Narrazione, spiegazione e comprensione dei concettifilosofici

sione in relazione alle scienze naturalimentre la comprensione è tipica di ogniriflessione sulla natura della storia, delleattività degli uomini e dei suoi sentimentie passioni.La spiegazione dovrebbe permettere dicomprendere i processi scientifici, la com-prensione analizzare i moventi e le nor-me etiche (che risultano da sempre lega-te alle vicende storiche della soggettivi-tà). È nell’ambito della comprensione,dunque, che bisogna cercare. La costru-zione di storie e di vicende concettualipermetterebbe di verificare la possibilitàdella comprensione filosofica propriomediante l’uso di quel momento empati-co che al comprendere è intimamenteconnesso.Il momento narrativo risulta fondamen-tale fin dagli inizi della riflessione uma-na sulla natura delle cose e del suo prin-cipio fondativo. La storia della filosofiaoccidentale a noi trasmessa sta là a di-mostrarlo. Non è un caso che il formida-bile problema teorico che emerge da su-bito nella storia della filosofia occiden-tale è proprio quello della “legittimità”narrativa del racconto contenuto nel te-sto filosofico.L’impegno di Platone, ad esempio, a ve-rificare la verità della narrazione miticanel momento in cui essa affiora nella com-patta dimostrazione dialettica che carat-terizza i suoi dialoghi è esemplare al ri-guardo (e così l’impegno di Hans Blumen-berg nel ricostruirlo quale momento fon-dativo del suo metodo concettuale e quale“metafora assoluta” del suo pensiero èaltrettanto significativo nell’ambito del-la filosofia del secondo Novecento).Allo stesso modo, l’importanza della con-nessione esistente tra tempo e raccontodimostra largamente come possa essereriletto, riconsiderato e riproposto quelproblema (lo ha fatto Paul Ricoeur in pa-gine, a mio avviso, esemplari).Mostrare la filosofia (e la sua storia) comeil rovesciamento in momento filosofico ein ricerca della conoscenza di eventi le-gati all’esperienza dei soggetti storici po-trà rappresentare forse il nuovo orizzon-te del “racconto filosofico”. In tal modo,esso ritornerebbe ad essere quel momen-to straordinario di trasformazione in rac-conto dei percorsi teorici che conduconoalla ricerca della verità allo stesso modoin cui questo era accaduto all’alba dellacultura moderna nella grande stagionedella scrittura illuministica. ●

NOTE1. Wim Wenders, Lo stato delle cose (1981), se-quenza 24.2. Sequenza 112.3. Georg Henrik von Wright, Spiegazione e com-prensione, traduzione italiana a cura di G. DiBernardo, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 23-24.

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Musica e pensieronarrativoMAURIZIO DISOTEO

I rapporti tra pensiero narrativo, narrazione e musicavanno ricercati nella comune capacità di sapercreare luoghi e spazi immaginari e virtuali esoprattutto nella temporalità. Sia la musica che ilracconto si articolano nel tempo, anzi, condividonoil fatto di creare un tempo psicologico. La veraemozione all’ascolto sta, nella maggior parte deicasi, nella condivisione di una temporalitàpsicologica, nella corrispondenza del nostro tempointeriore con quello costruito e proposto dallamusica o dal narratore

ca, nella corrispondenza del nostro tem-po interiore con quello costruito e pro-posto dalla musica. Ma anche chi ascol-ta un racconto, condivide in realtà lacostruzione del tempo che fa il narrato-re.Non a caso, la musica è stata definital’arte delle “scritture del tempo”. Più diogni altro aspetto della musica è pro-prio l’articolazione del tempo che defi-nisce lo stile di un compositore, anchese talvolta con differenze sensibili neivari periodi della sua produzione. De-bussy che, dopo i quarant’anni, rifiutale risoluzioni nette sembra voler sfug-gire il passare del tempo e con lui ilfantasma della morte che era apparsoin lui. Tutto questo evidentemente nonviene “raccontato” ma entra nel flussodella comunicazione tra musicista eascoltatore e favorisce il crearsi di unrapporto fondato proprio sulla condivi-sione di un tempo interiore creato dallamusica.La particolarità della musica di poter“creare il tempo” è spesso presente nel-la musica colta del Novecento europeo,dove il concetto di durata prevale suquello di scansione, fatto che forse co-stituisce una delle ragioni dell’essere incontrotendenza di molta musica coltarispetto alla ritmicità ossessiva dellasocietà d’oggi.Una musica che oggi sembra “racconta-re” o “parlare” sempre meno, ma che inrealtà propone con forza una tematicache è stata da sempre presente, forsenon solo nella musica ma in tutte le arti,dove più che cercare ciò che l’artista“dice” è meglio chiedersi quale sua espe-rienza umana ci voglia far condividere.E forse proprio in questo spazio che pen-siero narrativo e musica possono trova-re i loro profondi punti di contatto. ●

Esistono nella letteratura musi-cale molte composizioni con un proget-to narrativo, anzi un genere molto pra-ticato nell’Ottocento fu proprio la mu-sica a programma, vale a dire sostenutada un preciso progetto narrativo. Eppu-re se esaminiamo bene queste composi-zioni, che vogliono dichiaratamente rac-contare qualcosa, ci rendiamo conto cheil loro “narrare” è ben diverso da quellodella parola. Tanto diverso che proprioal tempo in cui il poema sinfonico eranel suo momento di maggiore sviluppo,i compositori sentivano l’esigenza di di-stribuire, all’entrata della sala, il “pro-gramma” della musica, vale a dire il rac-conto in parole di quanto veniva “nar-rato” nella musica. In caso contrario,nessuno avrebbe potuto garantire chele immagini evocate dalla musica negliascoltatori potessero rispondere vera-mente alle intenzioni degli autori. Peresempio, anche se si pensa alle paginepiù fortemente descrittive dei Quadri diun’esposizione di Musorgskij, è facile con-siderare che non necessariamente un rit-

mo lento di tuba e timpani ci fa pensa-re a un carro agricolo, oppure delle cor-se melodiche di flauto a dei bambini chegiocano.La musica suggerisce, più che dire, e citrasmette un ”alone di significati” manon un significato preciso. E non è dadimenticare che molti ricercatori rifiu-tano di usare la parola “significato” aproposito della musica, preferendo quel-la di “senso”.Probabilmente i rapporti tra la musica ela narrazione vanno ricercati altrove. Peresempio nel fatto comune di saper cre-are luoghi e spazi immaginari e virtualie soprattutto nella temporalità.Sia la musica che il racconto si articola-no nel tempo, anzi, condividono il fattodi creare un tempo psicologico che, nelcaso della musica, unisce il composito-re o in alcuni casi l’esecutore- composi-tore (si pensi ai raffinati taksim dellamusica araba) e l’ascoltatore. La veraemozione all’ascolto della musica sta,nella maggior parte dei casi, nella con-divisione di una temporalità psicologi-

La vera emozioneall’ascolto dellamusica sta, nellamaggior parte dei casi,nella condivisione diuna temporalitàpsicologica, nellacorrispondenza delnostro tempo interiorecon quello costruito eproposto dalla musica

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Molti sono gli aspetti magici della chimica che destano meraviglia tantonei “veterani” (i docenti) quanto nei neofiti (studenti).Tra i tanti fenomeni chimici che presentano spiccati caratteri magici le reazioni oscil-lanti hanno un posto d’onore.La prima volta che ho realizzato in laboratorio una di queste reazioni, il ritmicoalternarsi dei colori degli intermedi e dei catalizzatori mi ha improvvisamente riporta-to all’infanzia, alla mia prima visione di “Pinocchio”, e precisamente al momento incui il Grillo Parlante, rifugiatosi nella casa di Mastro Geppetto, si trova di fronte atutti gli orologi costruiti dal falegname: orologi a cucù, pendole con ochette chetuffano ritmicamente la testa nell’acqua, api che entrano ed escono dai fiori... Un’esplo-sione di fenomeni oscillanti, tutti con un proprio ritmo interno, una regolare alter-nanza di immagini e di suoni, un ticchettio che ammalia.Non avrei mai pensato di ritrovare qualcosa di simile all’interno di una provetta, dove,durante una reazione, si osserva solitamente la costante diminuzione di concentrazio-ne dei reagenti, il costante aumento della concentrazione dei prodotti e una concen-trazione molto bassa, quasi costante degli intermedi.Come scoprii in seguito l’analogia che si era prefigurata nella mia mente non era poicosì originale, poiché che queste reazioni sono note anche con il nome di “clockreactions”.Da quel momento queste reazioni, che non sono solo una curiosità scientifica, mafanno parte dei cosiddetti fenomeni complessi che riguardano la materia e in partico-lare la sua capacità di auto-organizzazione, sono entrate nella mia programmazionedidattica: realizzate nel biennio come “spettacolo pirotecnico” con lo scopo di farconoscere quali meraviglie ci può riservare una scienza che alcuni, ingiustamente,ritengono arida.Oppure come oggetto di approfondimento da presentare all’Esame di Stato nell’ultimoanno di corso di una scuola ad indirizzo chimico-biologico; in questo caso le reazionisono state analizzate sia negli aspetti teorici, con cenni alla termodinamica del non-equilibrio che valse nel 1977 il Nobel per la chimica a Prigogine, sia in quelli speri-mentali, seguendo l’andamento oscillatorio con opportuni strumenti.Ma ogni volta, qualsiasi età o titolo di studio avessero le persone presenti durante larealizzazione di una di queste reazioni, ho rivisto nei loro occhi lo stesso stupore, lastessa meraviglia che un bambino può provare davanti agli orologi di Pinocchio: lamagia forse sta proprio in questo, nel riuscire a provare le stesse emozioni forti del-l’infanzia. ●

* Insegnante di Chimica presso l’ITC sperimentale di Castano Primo (MI), e-mail [email protected]

BIBLIOGRAFIAR. Cervellati, Le reazioni chimiche oscillanti: una introduzione, CLUB, Bologna, 1995.G. Nicolis, I. Prigogine, La complessità. Esplorazioni nei nuovi campi della scienza, Giulio EinaudiEditore, Torino, 1991.T. S. Briggs, W. C. Rauscher, An oscillating Iodine clock, J. Chem. Educ., (50, 946), 1973.B. Z. Shakhashiri, Chemical Demonstrations. A Handbook for Teachers of Chemistry, VOL. 2, Univer-sity of Wisconsin Press, Madison, 1985.I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Giulio Einaudi Editore,1993.

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GABRIELLA DAL MONTE *

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educazione società

Le onerose scuoleBRUNO MORETTO

La formazione e l’educazione scolastica dei bambininel momento più importante della loro crescitaintellettuale, nel periodo decisivo per lo sviluppodelle capacità di apprendimento, vengono di fattodelegate ad un sistema misto, nel quale forte è lapresenza di scuole private finalizzate alla puraassistenza. La scuola dell’infanzia in appalto ai privati.1.400 miliardi di finanziamento pubblico

La legge nazionale di parità en-tra nella fase di realizzazione. Si stan-no completando gli elenchi delle scuo-le “pubbliche paritarie”, che farannoparte a tutti gli effetti del sistema scola-stico nazionale con pesanti conseguen-ze sulla libertà di insegnamento.L’aspetto più preoccupante sarà quellolegato all’ulteriore inevitabile dirotta-mento di risorse pubbliche verso scuo-le, che, denominate formalmente pub-bliche, in realtà continueranno a man-tenere proprie finalità educative di ten-denza religiosa, ideologica o commer-ciale e ad assumere gli insegnanti suchiamata diretta.È notizia delle ultime settimane che glistanziamenti per complessivi 900 mi-liardi all’anno a favore delle materne edelementari non statali, previsti dallalegge 52/2000, sono stati sbloccati dopoaver superato le difficoltà applicativerelative alla copertura sollevate dallaCorte dei Conti (sarebbe interessantesapere da quale parte del bilancio delloStato sono stati reperiti tali fondi).Se i contributi a favore del settore ele-mentare sono consistenti: 38 milioniper classe, quelli a favore delle scuolematerne non statali sono ancora mag-giori: lo stanziamento statale raggiun-ge i 686 miliardi, cioè circa 30 milioniper classe. Ma a questi occorre aggiun-gere i finanziamenti locali.Ad esempio in Emilia Romagna i Co-muni versano una media di 13 milioniper classe e la Regione ne versa altri 4.Il totale regionale è pertanto di circa 47milioni per anno per ogni classe, unacifra di tutto rispetto. Cifre analoghe si

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hanno nelle altre regioni: in Lombar-dia il contributo regionale è di 6 milio-ni per classe.

Scuole private e finanziamentipubblici

Considerato che i contratti del persona-le dipendente dalle scuole private pre-vedono emolumenti più bassi di quellidelle pubbliche e che utilizzano in lar-ga misura personale volontario (la leggericonosce questo diritto fino ad un terzodel totale del personale), la cifra permettenon solo di coprire le spese di funziona-mento di dette scuole, ma anche di con-correre in modo significativo alle spesedel personale.Il finanziamento diretto alle scuole pri-vate si realizza pertanto proprio nel set-tore più delicato del sistema scolastico.Da una parte con la legge di riordino deicicli si rafforza il ruolo della scuola del-l’infanzia come indispensabile momen-to formativo del bambino, in preparazio-ne all’ingresso nella scuola primaria,dall’altra il Parlamento viene meno al-l’obbligo previsto dal comma 2 dell’arti-colo 33 della Costituzione di istituirescuole statali per ogni ordine e grado.La formazione e l’educazione scolasticadei bambini nel momento più importan-te della loro crescita intellettuale, nelperiodo decisivo per lo sviluppo dellecapacità di apprendimento, vengono difatto appaltate ad un sistema misto, nelquale forte è la presenza di scuole priva-te finalizzate alla pura assistenza (la pre-senza del privato nel settore materno ècertamente maggiore del 30%).Pesante è inoltre la violazione esplicitadel divieto di oneri per lo Stato a favoredelle scuole private, visto che questi fon-di vengono erogati a sostegno delle spe-se di funzionamento di dette scuole e fi-nalizzati alla creazione di un sistemaintegrato pubblico-privato nel settoredell’infanzia.L’esperienza di questi anni in EmiliaRomagna, che, con la legge 52 del 1995,

ha fatto da apripista per l’integrazione framaterne pubbliche e private, ha inne-scato un processo di disimpegno deiComuni dal settore.La logica del sistema integrato, preveden-do che sia indifferente per l’utenza l’ero-gazione del servizio da parte dell’entepubblico o del privato, comporta la svi-limento della funzione della scuola adassistenza. I controlli sulla qualità del-l’offerta privata sono di fatto inesistenti,anche perché di non competenza comu-nale.Nel Comune di Bologna da 4 anni al-meno 400 bambini ogni anno non rie-scono a trovare posto nelle scuole comu-nali o statali e sono dirottati verso il pri-vato.La trovata della nuova Giunta di centrodestra è stata quella di inserirsi sulla stra-da del sistema integrato introdotta dalCentro sinistra per inserirvi il buonoscuola: i cittadini bolognesi con redditofamigliare sotto i 50 milioni netti annui(famiglia con un figlio), i cui figli fre-quentano una materna privata conven-zionata ricevono un buono fino ad unmassimo di 2 milioni di lire.Il provvedimento ha lo scopo di garanti-re la cosiddetta libertà di scelta e dovreb-be consentire la riduzione della lista d’at-tesa alle scuole comunali.In sintesi il provvedimento da una partenon è nient’altro che un’ulteriore rega-lia alla scuola privata (alla quale non sichiede affatto di diminuire le spese dellerette), dall’altra nega proprio la libertà discelta dei cittadini che vogliono iscrive-re i propri figli alla scuola dell’infanziapubblica.Contro la delibera di Bologna si sta for-mando un fronte ampio che sta organiz-zando prossime scadenze di lotta.

Dalla parità giuridica alla paritàeconomica

Penso però che sia necessario affrontarela questione in generale e verificare l’im-pugnabilità dei provvedimenti di finan-

ziamento della Legge 62/2000 davantialla Corte Costituzionale, che di fattointroducono il sistema integrato per oranella scuola materna e poi in tutti gliordini di scuola.È infatti evidente che riconoscendo oggila parità giuridica delle scuole pubbli-che paritarie (cioè le private) non si po-trà che riconoscere domani anche quel-la economica.Nei prossimi mesi verrà discussa dallaCorte la legittimità dei finanziamentidella Regione Emilia Romagna allescuole materne private, dopo che il Tardell’Emilia Romagna ha sollevato il dub-bio di incostituzionalità della legge inseguito al ricorso presentato dal Comi-tato bolognese Scuola e Costituzione,Chiesa evangelica metodista, Comuni-tà ebraica, Chiesa cristiana avventista.Entro novembre 2001 si svolgerà il refe-rendum regionale1 tendente ad abroga-re i finanziamenti regionali diretti edindiretti alle scuole private, per ottenereil quale sono state raccolte 60.000 firmeautenticate.La battaglia continua ed è lungi dall’es-sere finita. ●

NOTA1. Bruno Moretto è responsabile del Comita-to promotore del referendum regionale abro-gativo della L.R. n. 10/99.

La formazione e l’educazione scolastica deibambini nel momento più importante dellaloro crescita intellettuale, nel periododecisivo per lo sviluppo delle capacità diapprendimento, vengono di fatto appaltatead un sistema misto, nel quale forte è lapresenza di scuole private finalizzate allapura assistenza

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▼La retorica dominante raccon-

ta i fasti di una scuola finalmente libe-ra dai lacci e lacciuoli del centralismo,in cui le diverse componenti sono chia-mate a collaborare fra loro e il dirigen-te, che è responsabile dei risultati delservizio, coordina e valorizza le risorseumane. Localismo, responsabilità, de-cisioni rapide, promozione delle com-petenze: il bagaglio lessicale di unascintillante modernità. Ma in concretoche significa? È di democrazia che quisi parla. Si tratta di capire da quali prin-cipî sarà governata la comunità scola-stica, quali limiti incontrerà il poteredel dirigente, quali spazi di libertà sa-ranno lasciati a chi insegna.Si sommino tre aspetti della riforma: ilnuovo ruolo dei dirigenti scolastici, i cuipoteri sono poco definiti, dunque ten-denzialmente illimitati; la modificazio-ne in senso privatistico del rapporto dilavoro; la conversione delle scuole incentri erogatori di offerte formative perstudenti e di soldi, titoli, opportunità dicarriera per (alcuni/e) insegnanti.Qual è il risultato? Per capirlo, è benescendere nel cuore del cambiamento,usando delle piccole storie come lentiper vedere da vicino i segni dei nuovitempi.

Cronache dall’autonomia

In una scuola nei dintorni di Firenze ilprovveditorato organizza una sessionedei corsi abilitanti per Materie lettera-rie. La scelta dei docenti formatori (pa-gati 80.000 lire l’ora) è lasciata alla di-rigente scolastica. Lei contatta il per-sonale secondo una sua “graduatoriainteriore”, di fedeltà alla propria perso-

Una somma inquietanteMARINA DI BARTOLOMEO

Da quali principî sarà governata la comunitàscolastica, quali limiti incontrerà il potere deldirigente, quali spazi di libertà saranno lasciatia chi insegna? Alcune storie come lenti pervedere da vicino i segni dei nuovi tempi

na; siccome chi sta nella prima cerchiarifiuta, si rivolge alle due docenti dellaseconda, che accettano. La dirigente fasapere che, in caso contrario, avrebbecercato presso altre scuole; mai sareb-be scesa fino alla terza cerchia, com-posta da insegnanti sgraditi per averecriticato la sua gestione del potere. Incollegio la dirigente annuncia le nomi-ne. Richiesta di esporre i criteri, dopoqualche resistenza ne elenca tre: “sti-ma, fiducia, idoneità”, i primi due im-palpabilmente soggettivi, l’ultimo pure,perché non comprovato da nulla. Hal’aria di un sopruso, ma un avvocatospiega che c’è ben poco da fare. Gliampi margini d’autonomia dei dirigen-ti non consentono un intervento; delresto ormai noi insegnanti abbiamo unrapporto di lavoro equiparato al priva-to. E chi mai si stupisce se un operaioviene spostato in un reparto peggiore,e un altro promosso a mansioni piùqualificate, in base al giudizio insin-dacabile del datore di lavoro?Forse qualche margine c’era; altri so-stengono che la dirigenza pubblica,non rischiando in proprio, dovrebbeessere soggetta a maggiori restrizionid’arbitrio rispetto a quella privata. Maè una tesi che non incontra consensiunanimi: e allora chi s’imbarca in unprocesso dispendioso e dall’esito incer-to? Di fatto, in questa fase di transizio-ne i vuoti della legge o della giurispru-denza vengono riempiti dai rapporti diforza, creando una sorta di costituzio-ne materiale su cui si modellerà il fu-turo.Altra scuola, altra storia. Il Pof di unIstituto tecnico prevede l’introduzionesperimentale di Storia dell’arte nelleseconde classi. Il dirigente scolastico

chiede però che i genitori approvino ilprogetto firmando un modulo; stessarichiesta avanza per tutte le attività ag-giuntive, sempre previste dal Pof (tea-tro, multiculturalità e così via). Progettigià approvati con tutti i crismi devonosottomettersi all’ulteriore approvazio-ne d’ogni singola famiglia. Non è undelirio burocratico, probabilmente,bensì un bizzarro esito della scuolaazienda, che sta sul mercato e offreservizi ai clienti. Che sono i ragazzi ele ragazze, sì, ma prima ancora la mo-nade–famiglia, soggetto privato di cuila scuola viene a farsi prolungamento.Ecco spiegato il modulo: pubblicità diun prodotto e insieme contratto d’ac-quisto per chi lo gradisce...Mi fermo a questi esempi, perché toc-cano alla radice il rapporto di lavoro el’autonomia intellettuale del mestiereinsegnante; ed esemplarmente mostra-no come la scuola sia stretta fra le ma-glie di una gerarchia neofeudale da unaparte e delle leggi di mercato dall’altra,operanti in perfetta concordia.

Feudalesimo e mercato

Oggi il potere nelle scuole è molto piùvicino ed incombente; non più (solo)quello impersonale dell’amministrazio-ne, s’incarna in un volto, in una figuraquotidianamente presente, con le sueidiosincrasie e propensioni, con le suereti d’alleanze ed inimicizie. La chia-mata nominale, invece di regole certe,è un beneficium che ripaga della fedel-tà. Chi si conforma può ritagliarsi spa-zi di potere (lo staff), accumulare sol-di, infilare crediti nel portfolio. E nonc’è solo una perdita materiale per chi è

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escluso, c’è una perdita simbolica pertutti: perché il messaggio che provieneda questi atti è la convenienza a obbe-dire, a coltivare le virtù dell’opportuni-smo, in competizione con possibili con-correnti. È un nuovo feudalesimo, fon-dato sulla dipendenza personale, dovenessuno è libero — ma chi ha l’investi-tura di una carica si scava una nicchia,dove agire con una certa autonomia, aresponsabilità limitata.C’è poi il mercato dei clienti, cui la ri-forma concede di ritagliarsi il propriopercorso formativo, componendo insie-me tanti segmenti. Se la strategia discelta è buona, aumentano le speran-ze di occupabilità. Illusoria autonomia,chiusa nei limiti della ragione econo-

mica — la stessa di chi sceglie gli op-tional per ottenere in tempo reale la suamacchina personalizzata. La scuola èdestinata così a trasformarsi in una ne-bulosa di materie e corsi variabili alvariare della domanda, equiparandosidi fatto a un’agenzia formativa privata.Il suo cuore sarà il Pof, dove in basealle scelte didattiche si dettano le rego-le della flessibilità, con trasmigrazionidi docenti da una materia all’altra,scambi fra scuole, ricorso a esterni.

«Non credere di avere dei diritti»

Donne e uomini sottoposti alla volubi-lità del mercato; promossi a incarichipiù retribuiti per la loro adesione al-l’ideologia ministeriale o per il capric-cio di un superiore; domani — chissà— superflui nella propria scuola, per-ché la materia è eliminata dal Pof (otti-mo modo, fra l’altro, per liberarsi d’in-segnanti scomodi): nel turbine delle tra-sformazioni, dobbiamo ripensare radi-calmente il nostro essere insegnanti. Lascuola delle regole e dei diritti è al tra-monto; pessima scuola, dimentica deisoggetti viventi in favore delle proce-dure, che dava però tutela giuridica enon colonizzava del tutto i territori del-la didattica. Ora normazione e control-lo restano, anzi penetrano più capillar-mente nella relazione educativa, ma legaranzie si fanno evanescenti. È unatendenza che attraversa tutto il mondodel lavoro, dove il ritorno a forme didominio sulla persona sta mettendo incrisi l’universalismo dei diritti. Bisognaprenderne atto e spostarsi su un altroterreno.Il rischio è che si deleghi tutto all’uni-co contropotere riconosciuto, le Rsu,entrando nella logica dello specialismo:l’addetto al conflitto (quando non co-gestione), come ci sono addetti al-l’orientamento o al Cic. «Buono il tuointervento in collegio», mi ha detto ungiorno una collega, «ma forse era me-glio se lo faceva X. Lui è sindacalista,avrebbe potuto parlare con maggioreautorevolezza». La partita è chiusa, seanche nelle nostre menti si fa stradal’idea di affidare all’“esperto” ciò che èaffare pubblico. Se mai l’ordine rifor-matore si può scompigliare, è soltantoagendo liberamente dove si è. Ed es-sendo dappertutto, nei luoghi menoprevedibili, oltre i ruoli e fuori dallegerarchie, dentro reti di relazioni forticon altri, altre, insegnanti e studenti.È difficile. Ma quando riesce, si scopreche il presente ha già un altro respiro. ●

Sullastrada dellanon violenzaL’associazione Resistenza e pacedi Reggio Emilia promuove Inricerca sulla strada della nonvio-lenza, un percorso collettivo di in-troduzione alla lettura e alla spe-rimentazione della teoria e pra-tica della nonviolenza. Le lettu-re (Giuliano Pontara “La nonvio-lenza” e Nanni Salio “L’econo-mia”, in AA.VV. L’insegnamentodi Gandhi per un futuro equo esostenibile, ASSEFA, 1999; M. K.Gandhi, “Che cos’è la non-vio-lenza?”, in Teoria e pratica dellanon-violenza, Einaudi, 1996 eAldo Capitini, La nonviolenza inItalia; Rocco Altieri, La rivoluzio-ne nonviolenta, BFS edizioni,1998; La nonviolenza come terzavia e Il metodo nonviolento; AldoCapitini, Teoria della nonviolen-za, Quaderni di Azione nonvio-lenta, 1980; Johan Galtung, Latrasformazione nonviolenta deiconflitti, EGA, 2000; GeneSharp, “Potere e lotta”, “Caratte-ristiche dell’azione nonviolenta”,“La dinamica”, “Effetti sul grup-po nonviolento”, in Politica del-l’azione nonviolenta, EGA, 1997)forniranno ai partecipanti alcunielementi teorici di base per inda-gare la forza e l’attualità della pro-posta nonviolenta di fronte allaviolenza della globalizzazione edalla globalizzazione della violen-za.La sperimentazione della prati-ca della nonviolenza avverrà at-traverso due fine settimana di trai-ning (La nonviolenza gandhiananell’epoca della globalizzazione;La trasformazione nonviolenta delconflitto nel passaggio dall’io alnoi; Andare oltre il conflitto: l’ap-proccio di Galtung, Sharp e lastrategia nonviolenta la trasfor-mazione nonviolenta del conflit-to nell’azione per il cambiamen-to sociale) condotti in collabora-zione con il gruppo di Educazio-ne alla Pace “Marilena Cardone”di Torino.(Associazione Resistenza e Pace,c/o MAG6, via Vittorangeli 7/d,42100 Reggio Emilia, tel./ fax.0522.454832, e-mail: [email protected])

La scuola delle regole edei diritti è altramonto; pessimascuola, dimentica deisoggetti viventi infavore delle procedure,che dava però tutelagiuridica e noncolonizzava del tutto iterritori della didattica

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È stata buffa la discussione nella mia scuola sulla possibilità di passare alle32 ore subito, dall’anno prossimo. Si tratta dell’autorizzazione offerta dalla diretti-va del Parlamento nel dicembre scorso, di anticipare nelle scuole questa parte dellariforma, con la garanzia della conservazione del posto di lavoro pur tagliando sen-sibilmente l’orario complessivo di ragazzi e ragazze: nel mio istituto tecnico, da 36ore settimanali appunto a 32.Dunque per gli insegnanti, pensavo, non dovrebbe essere male: anche semplicemente evitando discussionidifficili su quali discipline tagliare, riducendole più o meno tutte (magari su base annuale) del dieci percento, potrebbe venire fuori la possibilità di lavorare meno e meglio. A parità di salario.Uno si aspetterebbe anche che il dirigente scolastico di sinistra e in carriera che domina la mia scuola, fossedisponibile ad anticipare la riforma: l’essere all’avanguardia dovrebbe dargli lustro e prestigio. E soprattuttola singola scuola potrebbe risolvere, in modo “ravvicinato” e dunque ragionevole, un po’ delle questioni cheil cambiamento propone (in particolare, sempre incasinatissimo, l’aspetto dell’orario).Invece nei primi incontri di commissione succede di tutto.Il preside manda a dire tramite ennesima “raccomandata a mano” (scripta ormai volant), che le ore liberatedalla riduzione d’orario dovranno tassativamente essere utilizzate in lezioni frontali (cioè, sembra di capire,di compresenza obbligatoria o supplenza tappabuchi); inoltre si dovrebbe passare alle lezioni di 60-minuti-60, col che anche la riduzione d’orario per ragazze e ragazzi sarebbe assai limitata, pur diminuendo lediscipline. Dice che tutta la normativa pattizia e generale lo richiede – vai a capire quale normativa frequen-tano i nuovi manager, molto più burocrati della vecchia burocrazia, almeno lontana.Alla fine la proposta è lavorare di più (le ore di compresenza infatti chiedono d’essere decentemente pensa-te, a meno che uno non si limiti proprio alla presenza), peggio dunque, senza una lira in più e come sceltavolontaria: la legge ancora non c’è infatti. È anche (coscientemente?) un progetto suicida: quale collegiomai deciderà di anticipare un disastro del genere…Allora uno si aspetterebbe da parte docente una contestazione di quella lettura – in fondo malgrado laparità, il dirigente non è ancora dio. Invece qualcuno sostiene che ridurre la quantità di scuola è sempremandare un messaggio di svalorizzazione del sapere; qualcun altro dice che ogni cambiamento di ritmo èdisorientante per i ragazzi. E alla fine passa la linea: lo faremo quando ce loimporranno – magari cercando qualche via di fuga o di aggiramento. Che èl’atteggiamento tipico di un fare impiegatizio, che finisce per attribuire sem-pre all’amministrazione la definizione del quadro onnicomprensivo di ordina-mento. Anzi di ordine.Chissà se poi sarebbe stato tanto complicato il cambiamento: togliere agliinsegnanti una quota di orario e chiedere che sia “a disposizione”, non del-l’istituto per sorvegliare e punire (o fare da baby sitter) nelle classi scoperte— poi chi l’ha detto che non si può risolvere diversamente il problema delleassenze brevi? Basterebbero spazi attrezzati in cui ospitare ragazzi e ragazze,dando loro anche più libertà in cambio di responsabilizzazione — bensì del-l’insegnante per la preparazione del lavoro e per eventuali attività di classe inpiccoli gruppi o compresenza (sensata e flessibile: connotata dal nascere frapersone che si scelgono per fare qualcosa che hanno scelto, nel momento eper il tempo che ritengono necessario). In fondo tempi e metodi potrebberoogni tanto anche modellarsi sulla soggettività degli attori, su bisogni, desi-deri, tentativi ecologici d’innovazione (cioè reversibili, limitati, umani: noncon tutte le classi, non per tutto l’anno, non tutti gli anni…).Invece si determina una curiosa alleanza fra innovatori assoluti, talmenteottusi da mettere in piedi meccanismi auto bloccanti, e conservatori pureassoluti che preferiscono non provare nemmeno a migliorare le condizioni dilavoro (e di vita) nella scuola, per paura che questo apra varchi al male, allapura ingegneria o pura socializzazione. Alla fine il famoso sapere resta nellagabbia della meccanica data, noiosa ma in fondo così domestica.Per chi non ama gran che la scuola disegnata dalle riforme (così tecnocratica)né quella attuale (così burocratica), non è tanto facile trovare dove stare. ●

Trovare dove stareANDREA BAGNI

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le culture

▼L’iter della Carta dei diritti fondamen-tali dell’Unione Europea è stato tuttointerno al dibattito tra addetti ai lavori.Soltanto in vista del vertice di Biarritz(13-14 ottobre 2000) era cominciata acircolare qualche informazione ed era-no emerse prese di posizione contra-stanti all’interno della sinistra (il fortedissenso di Rifondazione Comunista,dei movimenti di cittadinanza, delledonne, dei sindacati di base, dei giuri-sti italiani e francesi).L’incontro di Nizza — contrariamentea quanto si attendeva un’opinione pub-blica tardivamente galvanizzata dal“Charta day” — ha avuto per quantoriguarda la proclamazione dei dirittifondamentali un carattere puramentesimbolico. Si è trattato di varare un te-sto dal difficile equilibrio, frutto di me-diazioni irrinunciabili, poiché la Con-venzione incaricata dal Consiglio Eu-ropeo (Colonia, 1999) di redigere laCarta aveva avuto mandato che «il te-sto avrebbe dovuto essere sottoscritto datutte le parti».A Nizza non sarebbe dunque stato pos-sibile presentare alcun emendamentoa un testo che esisteva nella sua formadefinitiva già prima di Biarritz, senza

alcun coinvolgimento popolare. Lostesso Comitato economico e socialedell’Unione ha rilevato che «nel pro-cesso di elaborazione della Carta, i rap-presentanti della società civile organiz-zata sono stati coinvolti in modo moltoinformale e ad hoc (…) mentre taleCarta doveva essere anche strumentoper consentire ai cittadini europei dipartecipare più apertamente all’Euro-pa e renderli maggiormente consape-voli dei loro diritti…».

La natura della Carta

Per i parlamentari europei che hannofatto parte della Convenzione (e chenel corso del dibattito conclusivo ave-vano espresso non di rado tra i compia-cimenti di rito anche perplessità e qual-che dissenso nei confronti delle formu-lazioni raggiunte), la Carta rappresen-ta «una novità istituzionale: il catalogodei diritti fondamentali riconosciuti daun’Europa che accetta di non qualifi-carsi solo come “comunità economica”.Per l’Associazione dei giuristi italiani efrancesi, presente a Nizza con un se-minario nei giorni del vertice, la Carta

— al contrario — conferma «la naturatecnocratica e neoliberista dell’Europae rappresenta un passo indietro rispet-to a precedenti documenti dello stessotenore…».Verificare quanta forza avrà la procla-mazione retorica dei “valori comuni”nei confronti dei trattati e degli inte-ressi economici dei singoli Stati saràimportante anche per capire quali ri-schi incombono su una Costituzioneeuropea, cui questa Carta — attual-mente priva di effetti giuridici — è inqualche modo propedeutica. Il ripetu-to richiamo al rispetto per i principi ri-tenuti inalienabili nelle Costituzionidei singoli Stati non rassicura, infatti,circa le ambiguità, i silenzi, gli emen-damenti in corso d’opera sotto la pres-sione delle rappresentanze europee piùretrive o più asservite all’ideologia delmercato, che non mancherebbero dipesare negativamente su di un’Assem-blea Costituente internazionale.

Laicità

A questo proposito si rivela di grandeinteresse la lettura del verbale dell’ulti-ma riunione della Convenzione (Bru-xelles, 26 settembre 2000) in cui ven-gono illustrati gli emendamenti porta-ti al testo pressoché definitivo dal “pre-sidium”. Si tratta di un numero assairistretto di modifiche, poiché il princi-pio seguito è stato quello di “toccare ilmeno possibile la Carta” proprio per“non creare difficoltà” al voto unanime.L’emendamento più rilevante riguardail preambolo 1 dove una prima formu-lazione che recitava «L’Unione è fon-data sui principi indivisibili e universa-li di dignità degli uomini e delle don-ne…» era stata successivamente sosti-tuita con l’espressione «ispirandosi alsuo retaggio culturale, umanistico ereligioso, l’Unione…». Tale formula-zione aveva dato luogo a “polemiche edifficoltà”, sicché — comunica il rela-tore — è stato necessario adottareun’espressione «più neutra, poiché laparola religioso ha una connotazioneche avrebbe reso la sua accettazioneimpossibile per la Francia dal punto divista costituzionale, e non solamenteper la Francia — tengo a sottolinearlo

Diritti di cartaANTONIA SANI

Senza alcun coinvolgimento popolare, al vertice diNizza è stata varata la Carta dei diritti fondamentalidell’Unione Europea. Quanta forza avrà laproclamazione retorica dei “valori comuni” nei confrontidei trattati e degli interessi economici dei singoli Stati?Uno sguardo critico su come nella Carta si parla diistruzione, laicità, pluralismo. E su come viene menol’idea di “pubblico”, condizione indispensabile percostruire una società solidale e laica

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—: non è un match tra Francia e il re-sto dell’Europa, è un match tra alcuniPaesi europei contro altri». La soluzio-ne adottata, proposta dal gruppo deiparlamentari europei, è la seguente:«Consapevole del suo patrimonio spiri-tuale e morale…».L’operazione — soft nel linguaggio di-plomatico delle istituzioni internazio-nali — rappresenta in realtà una rea-zione alle pressioni delle Conferenzeepiscopali sui parlamentari cattolici(segnatamente di Austria e Baviera)che avevano in un sol colpo cancella-to il valore della laicità e la differenzadi genere per la prima volta introdottain un preambolo di così grande rilie-vo. La formulazione definitiva sconfig-ge in parte l’attentato alla laicità, maessa non riafferma la differenza di ge-nere e risulta nel suo complesso do-minata da una visione eurocentrica-chiusa, da cui era del tutto esente laprima formulazione assai vicina allospirito laico e universale della Decla-ration des droits.Non mancano altre perle disseminatenel verbale, come la sostituzione deltermine “rispettati” al termine “garan-titi”. Nell’articolo su “Libertà d’espres-sione e d’informazione”, esso diviene:«Le libertà dei media e il loro plurali-smo sono rispettati». «Non credo checiò comporti molte difficoltà» com-menta il relatore. Difficoltà, invece,sono state sollevate in alcuni interven-ti che hanno contestato «l’indeboli-mento del termine» e quindi «dellaprotezione del pluralismo che è unbene non dei proprietari dei mediabensì dei cittadini». Ma la formulazio-ne indicata dal presidium è rimasta.

Istruzione

Un’analoga sostituzione, questa voltadi segno opposto, si riscontra nell’arti-

colo sul “Diritto all’istruzione”2. Anchein questo caso il termine “garantiti” èstato sostituito — lo si evince dal me-desimo verbale — con il termine “ri-spettati”. «Si tratta — spiega il relato-re — della sostituzione di una parolacon un’altra, relativamente a delle li-bertà connesse al diritto all’istruzione».Poiché “rispettati” è meno vincolantedi “garantiti”, in questo caso apprez-ziamo l’emendamento (sconosciuto atutti l’iter di questo articolo, sul qualenon c’è stato dibattito neppure nel “po-polo di Nizza”).La nostra concezione di un’istruzioneintesa come precondizione della de-mocrazia auspicava il riconoscimentodi ben altre garanzie pubbliche a livel-lo europeo che non quel semplice rin-vio alle normative nazionali e quellaprecipitosa dichiarazione di rispetto perla libertà di istituire scuole private e peril diritto dei genitori di educare e istru-ire i figli «secondo le loro convinzionireligiose, filosofiche e pedagogiche».L’articolo appare ispirato alle parti piùretrive delle Carte internazionali diquest’ultimo cinquantennio che conti-nuano a considerare il figlio — conbuona pace di tanti proclami sui dirittidel bambino — un’appendice dei ge-nitori, un fatto “privato”.Esso fotografa esemplarmente i requi-siti dell’istruzione ritenuti qualificantiin un’Europa percorsa da un familismodiffuso che affonda le sue radici in que-st’epoca di integralismi religiosi e di fon-damentalismi del mercato.L’istruzione vi è considerata non comeformazione critica della personalità —alla quale concorre in maniera deter-minante il pluralismo delle posizioni—, ma come strumento propedeuticoa un’attività lavorativa, di livello altoper i più fortunati, di tipo professiona-le (ma in Europa la formazione pro-fessionale è altra cosa rispetto ai nostricorsi regionali!) per i più svantaggiati;in quest’ottica il diritto alla “formazio-ne continua” è da intendersi non come“educazione permanente”, ma comeaggiornamento professionale.Mentre per gli istituti privati si accen-na al rispetto dei principi democratici,ai genitori è riconosciuta carta bian-ca: possono educare e istruire i figli «se-condo le loro convinzioni”. Si parlacon insistenza in questi ultimi tempidelle scuole “fai da te”, un po’ model-lo don Milani, molto più modello Usa,dove piccoli gruppi omogenei di fami-glie temendo i pericoli del degrado,della promiscuità, della violenza prov-vedono direttamente nelle loro abita-zioni allo svolgimento dei programmi

scolastici modellandoli — appunto —sulle proprie convinzioni.D’altronde anche in Italia, nonostan-te l’articolo 33 della Costituzione e no-nostante l’articolo 30, che limita il «do-vere e diritto dei genitori a mantenere,istruire ed educare i figli anche se natifuori del matrimonio» senza altre spe-cificazioni, si sono compiuti in que-st’ultimo decennio molti passi in dire-zione della disarticolazione della scuo-la pubblica (port-foglio di crediti per-sonali, libretto dello studente, percor-si personalizzati, passerelle individua-li, esaltazione delle scuole privatecome il massimo della libertà…). Ciòche viene meno un po’ dovunque èl’idea di “pubblico” come condizioneindispensabile per costruire una societàsolidale, laica.Questa dimensione è assente nellaCarta. Sintomatico l’articolo sulla li-bertà religiosa 3. Al riconoscimento —certamente laico e importante — del-l’uguaglianza di tutte le fedi religiose,non corrisponde una pari garanzia ditutela della laicità dello spazio pubbli-co europeo. Quali spazi inviolabili peri non credenti? La scuola pubblica, ilservizio pubblico radiotelevisivo posso-no sperare di essere preservati dal di-venire luoghi di manifestazioni «di cul-to, di insegnamento, di pratiche reli-giose» in presenza di un articolo 10 cheafferma «la libertà di manifestare lapropria religione o il proprio credo (…)in privato e in pubblico… mediante ilculto, l’insegnamento, ecc.»? ●

NOTE1. Preambolo: «Consapevole del suo patrimo-nio spirituale e morale l’Unione si fonda suivalori indivisibili e universali di dignità uma-na, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà;l’Unione si basa sui principi di democrazia edello Stato di diritto. Essa pone la persona alcentro della sua azione istituendo la cittadi-nanza dell’Unione e creando uno spazio dilibertà, sicurezza e giustizia».2. “Diritto all’istruzione”: «Ogni individuo hadiritto all’istruzione e all’accesso alla forma-zione professionale continua.» (14.3.1);«Questo diritto comporta la facoltà di acce-dere gratuitamente all’istruzione obbligato-ria.» (14.3.2); «La libertà di creare istituti diinsegnamento nel rispetto dei principi demo-cratici, così come il diritto dei genitori di prov-vedere all’educazione e all’istruzione dei lorofigli secondo le loro convinzioni religiose, fi-losofiche e pedagogiche, sono rispettati secon-do le leggi nazionali che ne disciplinanol’esercizio.» (14.3.3).3. Articolo 10.1: «Ogni individuo ha dirittoalla libertà di pensiero, di coscienza e di reli-gione. Tale diritto include la libertà di cam-biare religione o credo, così come la libertàdi manifestare la propria religione o il pro-prio credo individualmente o collettivamen-te, in pubblico o in privato, mediante il cul-to, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanzadei riti».

L’istruzione èconsiderata non comeformazione criticadella personalità, allaquale concorre inmaniera determinanteil pluralismo delleposizioni, ma comestrumento perun’attività lavorativa

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P erché non c’era nessun insegnan-te — o forse meglio — nessun insegnanteha parlato al Cantiere di Pescara, il 10 e 11febbraio?Mi riferisco a uno dei Cantieri Sociali orga-nizzati da “Carta”, la rivista in edicola ognimese dal dicembre ’98 come supplemento deil manifesto e oggi strumento dell’omonimacooperativa, che in uno dei suoi primi numeri si è presentatacome «un giornale che racconterà molte persone, specialmentequelle che non si vedono. Del tipo dei passeggeri degli auto-bus».Eppure i temi del lavoro e della disoccupazione, delle nuoveoccupazioni, del lavoro immateriale, del reddito di cittadinan-za/salario sociale, e infine della nuova concezione del lavoro,riguardano strettamente da vicino sia l’insegnante-lavoratoresia l’insegnante-educatore, e certamente lo studente, futurosoggetto/oggetto del mondo del lavoro.Sia pure all’interno di un dibattito che difende il ruolo dellascuola in quanto luogo di produzione di cultura dalla tendenzaad una sua “aziendalizzazione”, al servizio di una società strut-turata sulle esigenze produttive del mercato, gli studenti do-vranno comunque confrontarsi prima o poi con “il mondo dellavoro”. Quali strumenti di consapevolezza offre loro l’insegnan-te? Quali possibilità presenta? E soprattutto quale concezionedel lavoro prospetta loro, quando “fuori” si discute tanto “su diloro”, sull’incertezza del loro futuro lavorativo, sulle nuove for-me di lavoro, e ogni tanto qualche disoccupato si toglie la vita,privata non tanto e non solo dei mezzi di sussistenza, ma an-che di “senso”?Credo sarebbe importante che anche nella scuola si discutesse di“identità della persona” in relazione alle forme di espressioneche il mondo del lavoro ad essa consente, o forse per le qualioccorre lottare, acquisendone coscienza il più presto possibile,prima di essere travolti dai meccanismi legati alla necessità chenegano il tempo della riflessione sul proprio esistere.E gli insegnanti in quanto soggetti lavoratori, ritengono cam-biato oggi il proprio lavoro? Viene loro richiesta, almeno for-malmente se pur fuori da ogni controllo, una prestazione diver-sa, più di prima “una vita” al servizio del lavoro? Perché anchedi questo si discute, dentro e fuori il Cantiere di Pescara: dellavoro “immateriale”, della messa al lavoro dell’intera persona,con la sua cultura, la sua socialità, la sua affettività, il suopatrimonio di relazioni che si sviluppano al di fuori dell’“orariodi lavoro” e tuttavia vanno a formare ciò che nel linguaggiocapitalistico si chiama “produzione”. Questo che ieri era consi-derato patrimonio del lavoro intellettuale oggi è richiesto aqualunque tipo e livello di prestazione lavorativa, dalla centra-linista al dirigente, e non è quantificabile in termini di “tempolavorato”, non è quindi retribuito ma va a formare quel Pil(Prodotto interno lordo) che sembra magicamente in crescita,mentre cresce la disoccupazione e diminuiscono i salari.

Anche da queste riflessioni, supportate dainchieste nel mondo del lavoro e da studi dieconomisti, nasce la richiesta di un “redditodi cittadinanza” o di un “salario sociale mini-mo”; etichette diverse e in parte concezionidiverse delle “ragioni” della richiesta e delleforme concrete in cui tradurla, ma sostanzialeconvergenza di opinioni: sull’iniquità a livel-

lo mondiale della distribuzione delle risorse e sulla necessitàurgente di intervenire su questo meccanismo che mantiene eaggrava situazioni di povertà diffusa, sulla rivendicazione di“pari dignità lavorativa” — e quindi retribuita — a professio-nalità oggi non riconosciute in quanto tali (ad esempio le atti-vità artistiche), sull’esigenza quindi della liberazione del e dallavoro salariato tradizionalmente inteso, sul diritto all’esisten-za — e quindi ai mezzi necessari per condurre una vita “con-forme alla dignità umana” (art. 23 della Dichiarazione Univer-sale dei Diritti Umani) — per tutti, occupati, disoccupati, in-termittenti, “cittadini del mondo”.Molti di coloro che hanno parlato al Cantiere di Pescara eranoappena rientrati da Porto Alegre, in Brasile, dove si era riunitoil “popolo di Seattle”, questa volta con intenzioni di dare so-stanza anche propositiva alla contestazione del mondo dei po-tenti che gestisce le sorti dell’umanità secondo logiche esclusi-vamente di profitto legate ai mercati globali. Sono rientrati conla parola d’ordine che ha animato costantemente l’incontro: “unnuovo mondo è possibile”, ricca di tutta l’energia vitale che ani-ma realtà così lontane da noi come il movimento dei Sem terrabrasiliani che ancora lottano per la conquista della terra, la lorounica risorsa di vita. Questo ha contribuito a mantenere costan-temente aperta su un fronte internazionale la discussione sulleproblematiche del lavoro, ponendo più volte l’accento sull’esigen-za inderogabile di portare avanti rivendicazioni “globali” , se purcon modalità specifiche legate ai diversi contesti nel Nord e nelSud del mondo: se le società occidentali chiedono un “reddito dicittadinanza” e i Sem terra chiedono la proprietà della terra chelavorano, deve essere chiaro che li accomuna una stessa logica dilotta contro l’iniqua distribuzione delle ricchezze. Da qui uno deinodi importanti della discussione, e del contrasto tra posizionidiverse, perché «non si può dire nel I mondo mangi perché esisti,e nel III mondo mangi perché lavori».Ma nemmeno gli studenti, e pochi giovani si sono visti a Pesca-ra; il Cantiere di Napoli del giugno scorso, del quale questetematiche hanno fatto parte pur se non al centro della riflessio-ne, si era svolto nell’aula magna dell’Università, eppure gli stu-denti non c’erano, quasi il problema non li riguardasse. Credoche ci si debba porre qualche domanda su queste assenze, comeproponenti queste iniziative ma anche come educatori che for-se contribuiscono a mantenere la scuola come “un mondo aparte”, raramente attraversato dalle tensioni che agitano lasocietà che la circonda, messaggeri di una cultura che forsedovrebbe allargare i suoi confini. ●

Mondi a parte… e nuovi mondi possibiliBIANCA DACOMO ANNONI

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de rerum natura▼

Nobel o non-nobel?ANDREA ROSSO

I surriscaldati primi mesi del secolo parlano di scienza.Grandi scoperte (sequenziamento del genoma umano,nuova datazione della vita, batteri su Marte, nuovefrontiere della clonazione), inchieste (la “mucca pazza”,l’“uranio impoverito”, le conferme definitivesull’alterazione del clima globale), ma anche riflessionisulle relazioni tra scienza, tecnologia, politica, mercato,etica. Con appelli, petizioni, prese di posizione di premiNobel, tecnologi, manager, preti, sottosegretari e,naturalmente, telesignorine

Partiamo dal sequenziamento delgenoma. Registriamo che le modalità del-la scoperta sono state assai più dibattutedella scoperta in sé, nonostante essa fossedavvero di portata storica, anche sul pianoteorico. La realizzazione della mappa for-nisce infatti nuovi e buoni argomenti con-tro il riduzionismo genetico: il numero ina-spettatamente basso dei geni umani dà ra-gione a chi pensava a una maggiore com-plessità di azione del patrimonio eredita-rio, a un comportamento reticolare e di-namico della determinazione e in definiti-va a una maggiore interferenza dell’am-biente nelle cose umane di quanto si pen-sasse finora. Inoltre, sottrae definitivamen-te fondamento scientifico al concetto di raz-za, dato che le diversità geniche sono irri-levanti tra le diverse popolazioni umane1.Al di là di questi risultati (immediatamen-te trasformati dalla stampa italiana in unalotta uomo-moscerino a chi ha il cromo-soma più lungo), l’“affare genoma” è sta-ta una vera e propria esercitazione di eco-logia politica: in nessun’altra occasione siera visto con tanta chiarezza quanto sianostretti, multipli e complessi i legami tra ri-cerca scientifica, mercato e sistema media-tico. A cominciare dai tempi della scoper-ta2, passando per la fragilità dei controlli(con reciproche accuse di brogli nei con-teggi), fino alle ambigue trattative sui bre-vetti, ai conseguenti gemiti di Wall Street,alle controversie sulla pubblicità dei dati,alla rincorsa bio-informatica, a colpi di opa,sul seguito della ricerca. Il cittadino comu-ne (non-nobel) ha insomma avuto confer-ma suonata e cantata dello scenario essen-zialmente commerciale nel quale si pro-getta e si realizza la scoperta scientifica nelnostro tempo. Non gli serve il nobel percapire che il contesto sociale nel quale lascienza opera fa la differenza tra una spe-ranza e un incubo, né per distinguere lascienza dagli scienziati. Né per capire chela scienza non è un fine, né una fede3.

Negli stessi giorni, in Italia, durantel’“insurrezione” di un gruppo di ricercato-ri italiani contro i limiti alla sperimenta-zione in campo aperto degli organismi ge-neticamente modificati, Rita Levi Montal-

cini (nobel) va in tv e dice qualcosa vera-mente di destra: «Gli scienziati hanno laloro moralità, sanno quello che fanno, la-sciateli lavorare». I 93.000 ricercatori ita-liani hanno bisogno di fondi, la ricerca ita-liana è a pezzi, non si possono mettere “luc-chetti alla scienza”. La stampa, nei giorniseguenti, incalza: basta con i fondamenta-lismi, nuovo oscurantismo, fuga di cervel-li... Inutilmente si obietta (in microscopicibox nei giornali): «ma quale oscurantismo,gli scienziati sono persone che sbaglianocome noi, guardate la ricerca nucleare,guardate la deriva climatica, guardate lamucca pazza». Ma dai titoli grossi i ricer-catori “ribelli” sparano a pallettoni: «Die-tro di noi non ci sono multinazionali»4. Edai box, sempre più piccoli: «ma come?Guardate la ricerca medica: l’aids si puòsconfiggere, ma milioni di africani muoio-no perché Big Pharma deve recuperare icosti dei suoi brevetti; guardate la ricercaagricola, che vende debiti ai poveracci ditutto il mondo; guardate la ricerca energe-tica, che lavora consapevolmente nella di-rezione del suicidio del pianeta... La scien-za non c’entra: è proprio di voi che non cifidiamo più».È bello sapere che, unici al mondo, i ri-cercatori italiani sono indifferenti al mer-cato. Quello che fanno, esattamente come

Berlusconi, lo fanno per il nostro bene.Cinguettano le telesignorine rai-mediaset:«Rita dice no ai lucchetti...».Alla fine si strappa, a fatica, un risultatoche avrebbe fatto sorridere di tenerezzaGalileo Galilei (non-nobel): prima di spe-rimentare gli ogm in campo aperto, nonsarebbe il caso di analizzare gli effetti del-la sperimentazione? ●

NOTE1. «Il 12 febbraio è un bel giorno per la scienzama un brutto giorno per xenofobi e razzisti»,ha sintetizzato Gerald Dschwartzenberg, mini-stro francese della ricerca scientifica.2. Tempi imposti dalla competizione tra un con-sorzio pubblico (Human Genome Project) eun’azienda privata (Celera Genomics). La pub-blicazione dei risultati del consorzio pubblicoè stata affidata a una rivista profit come Nature(che obbliga i suoi autori a rendere pubblici idati delle ricerche), mentre quelli della CeleraGenomics a una rivista non profit come Scien-ce, che non pratica questo saggio vincolo.3. «Le letture frettolose della genetica non ciconducono soltanto verso crescenti possibilitàdi cura delle malattie, verso una medicina pre-dittiva che consenta di costruire un “antidesti-no”: fanno nascere una mistica del dna, sostitu-iscono la biologia alla biografia» (Stefano Ro-dotà, relazione introduttiva al convegno Glo-balizzazione, culture e religioni. L’impatto delmercato e delle nuove tecnologie, Venezia, 11 feb-braio 2001).4. La Repubblica, 14 febbraio 2001.

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▼Tra i corsi di aggiornamento or-

ganizzati dalla sezione torinese dellaFnism, particolare continuità di lavoro edi presenze ha registrato, da più di diecianni, il Laboratorio di didattica della fi-losofia, che venne iniziato da GiulianoGliozzi, del quale ricorre quest’anno ildecennale della prematura scomparsa.Negli ultimi sei anni l’attenzione e gliapprofondimenti si sono concentrati sul-le tematiche etiche contemporanee,nell’intento di offrire agli studenti al-cuni strumenti di riflessione critica suiproblemi del nostro tempo. Inoltre conla trattazione della storia del ‘900 nel-l’ultimo anno della secondaria risultaormai fondamentale l’esame delle cor-renti della filosofia contemporanea,anche se è impensabile, per vari moti-vi, affrontare sistematicamente la sto-ria della filosofia dell’ultimo secolo. Aipartecipanti al corso di aggiornamen-to è parso opportuno, pertanto, opera-re delle scelte: privilegiare alcune pro-

Laresponsabilitàumana versola naturanon umanaMIRELLA BERT *

Un percorso didatticocon indicazionibibliografiche discussonel Laboratorio dididattica della filosofiadella sezione torinesedella Fnism

3.Procedereall’inquadramento storicodel dibattito

A. Leopold nel 1949 presenta la sua“etica della terra”, comprendente i rap-porti tra l’uomo e gli esseri non umani.Tra il 1960 e il 1970 iniziano le discus-sioni sul problema dell’ambiente, nel1972 la crisi ecologica è denunciata dalClub di Roma e l’ONU organizza laprima conferenza mondiale sull’am-biente a Stoccolma. Nel 1987 la Com-missione Bruntland propone la formu-la dello “sviluppo sostenibile”. Nel2000 la Carta della terra è ratificatapresso l’Unesco di Parigi.

2.Esaminare due tentatividi risposta ai nuoviinterrogativi

Lettura in classe di opere molto faciliquali H. Jonas, Sull’orlo dell’abisso, Ei-naudi, Torino 2000 e L. Boff, Ethosmondiale, EGA, Torino 2000, metten-do in rilievo la differenza di prospetti-ve: per Jonas l’antropocentrismo debo-le e l’etica della responsabilità, per Boffl’ecocentrismo e l’etica della cura.

blematiche particolarmente importan-ti e analizzarne i diversi aspetti, senzaessere rigidamente vincolati da una im-postazione storicistica.Il percorso didattico proposto prevededi iniziare dall’esame di un problemaattuale, per considerare, poi, varie pre-se di posizioni, approfondendo lo stu-dio delle teorie etiche contemporaneecon la lettura di testi significativi. Ladimensione storica non viene trascu-rata: la disamina di aspetti controversidel dibattito consente una rivisitazio-ne, a grandi linee, del pensiero di varifilosofi anche del passato. Il lavoro, in-fine, richiedendo necessariamente lacollaborazione degli insegnanti di sto-ria, fisica e scienze, offre la possibilitàdi rendere chiara agli studenti la di-mensione pluridisciplinare del saperecontemporaneo.

* Insegnante di Storia e Filosofia, Liceo scien-tifico “Carlo Cattaneo”, Torino.

1.Si può partire da alcuneriflessioni sulla pauradovuta allo sfruttamentoincontrollato della naturae all’applicazione delletecnologie, leggendoarticoli di giornali ericollegandosi ai dibattitiattuali

Molto efficace ad esempio l’articolo diIgnacio Ramonet, “Le paure dell’anno2000”, Le Monde diplomatique, dicem-bre 2000.

il percorso▼

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Altre letture consigliate

L. Battaglia, Etica e diritti degli anima-li, Laterza 1997; AA. VV. (a cura di L.Battaglia), Etica e animali, Liguori1998; S. Bartolommei, Etica e ambien-te, Guerini 1989; S. Bartolommei, Eti-ca e natura, Laterza 1995; Birch Vi-scher, Vivere con gli animali, Claudia-na 1999; B. Commoner, Il cerchio sichiude, Garzanti 1972; B. Devall - G.Sessions, Ecologia profonda, EGA1989; E. C. Hargrove, Fondamenti dietica ambientale, F. Muzzio 1990; B.Latour, Politiche della natura, Cortina2000; C. Merchant, La morte della na-tura, Garzanti 1988; S. Maffettone, Leragioni degli altri, Il Saggiatore 1992;S. Maffettone, Il valore della vita, Mon-dadori 1998; E. Morin, Il pensiero eco-logico, Hopefulmonster 1988;V. Pocar, Gli animali non umani, La-terza 1998; S. Stefani, Gli animali e laBibbia, Garamond 1994; A. Touraine,Ecologia politica, Feltrinelli 1987.

7.Porsi gli interrogativiemersi da questo percorso,come spunto diapprofondimenti ediscussioni

La considerazione della natura comerealtà modificabile e adoperabile dal-l’uomo ha favorito l’affermazione del-la scienza e il predominio dell’Occiden-te? I concetti di uomo, di natura e delloro rapporto devono essere ridefiniti?La scienza e le applicazioni tecnologi-che devono essere totalmente libere?Le teorie etiche esaminate possono re-almente essere applicate, tenendo con-to dei condizionamenti economici epolitici delle società attuali?

6.Analizzare i fondamentidell’antropocentrismo nelpensiero occidentalereligioso e filosofico

La concezione dell’uomo nel pensieroebraico, cristiano e greco, in Tommasod’Aquino, in Cartesio e Kant. Filosoficontrari alla riduzioni degli animali adoggetti: Montaigne, Voltaire, Bentham,Schopenhauer, ecc. Sottolineare la ri-levanza della teoria evoluzionistica nelsuperamento della netta distinzione traanimali umani e non umani.

5.Presentare alcune teorieetiche sugli animali

• Liberazione animale e diritti deglianimali: utilitarismo e principio diuguaglianza di P. Singer (Liberazioneanimale [1976], Mondadori, Milano1991; In difesa degli animali 1987 Lu-carini, Roma 1987; Etica pratica[1979], Liguori, Napoli 1989; Ripensa-re la vita, Il Saggiatore, Milano 1996);teoria dei diritti animali e del valoreinerente, indipendente dall’uomo, di T.Regan (I diritti animali [1983], Garzan-ti, Milano 1990; T. Regan - P. SingerDiritti animali, obblighi umani, EGA,Torino 1987).• Etica della responsabilità di J. Passmo-re (vedere sopra) e di M. Midgley (Per-ché gli animali, Feltrinelli, Milano1985).• Etica contrattualistica di D. Van deVeer (Animal Suffering, «CanadianJournal of Philosophy», 1977).

4.Presentare alcune teorieetiche riguardo allanatura

4.1 L’uomo è considerato separato dallanatura e superiore agli altri esseri:• antropocentrismo forte: la naturacome oggetto di sfruttamento;antropocentrismo debole:• conservazione della natura per il be-nessere dell’uomo: J. Passmore (La no-stra responsabilità per la natura [1974],Feltrinelli, Milano 1986).• protezione della natura per il suo va-lore simbolico, estetico ed educativo.

4.2 L’uomo è parte della natura: si pre-sentano etiche rinnovate o nuove, an-tiantropocentriche.• Etica ecologica forte: ecologia profon-da di A. Naess (Ecosofia [1976], Red,Como 1994), ipotesi Gaia di J. Love-lock (Gaia. Nuove idee sull’ecologia[1979], Bollati Boringhieri, Torino1981): l’ecosfera è una totalità viventeavente valore di per sé, indipendente-mente dagli scopi umani.• Etica ecologica debole: etica della ter-ra di A. Leopold (Almanacco di unmondo semplice [1949], Red ed., Como1998); biocentrismo di P. Taylor: la bio-sfera deve essere difesa come bene co-mune.• Etica del valore inerente alla vita edei diritti di T. Regan (vedere le operecitate più avanti).• Etica della sacralità della natura edella vita: A. Schweitzer (Rispetto perla vita [1966], Claudiana, Torino1994).

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scienza

Cambiamento climatico globale, uranio impoverito, morbo BSE (o della “mucca pazza”),organismi geneticamente modificati (OGM), fine del petrolio a basso prezzo: l’elenco delle con-troversie scientifiche si allunga di giorno in giorno e con esso crescono le polemiche, che soventesuperano il fair play tipico dell’ambiente scientifico, scendendo al livello grossolano degli insulti.Un esempio classico di mediocre polemica è l’articolo di Tullio Regge, “La scienza salverà il ragù”(La Stampa, 9.2.01). In un passo del suo intervento, l’autore sostiene che «Il principio di pre-cauzione è un trucco retorico con cui il ministro vorrebbe riportarci al Medioevo, trasformando ildivieto agli OGM in un precetto ideologico e metafisico». Chi voglia documentarsi in modo «nonretorico né metafisico» su che cosa si intende oggi per principio di precauzione, può esplorare ilsito www.biotech-info.net/precautionary.html dedicato interamente allo stato del dibattito suquesta controversa e importantissima problematica. Ho scoperto casualmente l’esistenza di que-sto sito collegandomi a quello della rivista Scientific American, mentre cercavo un articolo sullameccanica quantistica pubblicato nel febbraio 2001. Questo articolo non è disponibile in rete,ma in compenso si trova, nel numero di gennaio, “The New Uncertainty Principle”, di DavidAppell il quale paragona il principio di precauzione a un «nuovo principio di indeterminazione».L’autore sintetizza lo stato dell’arte su questo tema, rinviando per gli approfondimenti all’indiriz-zo segnalato più sopra, citando tra gli altri il parere di due autori, membri del Science Environ-mental Health Network (SEHN), un consorzio di gruppi ambientali del Nord America. Secondo TedSchettler, direttore scientifico del SEHN, quando si esamina la questione delle biotecnologie sidev’essere consapevoli che «si sta parlando di interazioni enormemente complesse tra un grannumero di sistemi. Ci stiamo cominciando a rendere conto che molte di queste interazioni sonoprobabilmente sconosciute e indeterminate». E Carolyn Raffensperger, dello stesso consorzio,aggiunge: «Negli ultimi 10 o 15 anni abbiamo creato una scienza che ha come scopo quello dellacompetitività economica globale». È quanto sostengono anche altri autori (Piero Greco, “Lascienza imprenditrice”, Rocca, febbraio 2001; Paul Rabinow, Fare scienza oggi, Feltrinelli, Milano1999): dopo la militarizzazione di ampi settori della scienza operata dal progetto Manhattan, staavvenendo una seconda mutazione. Lo scienziato si trasforma in imprenditore. La conoscenzaviene brevettata per trarne il massimo profitto nel minor tempo possibile, senza quelle necessariecautele che le nuove tecnologie richiedono, ancor più di quelle già note. Il principio di precau-zione non ci dice cosa dobbiamo fare, ma dove guardare prima di applicare le nostre conoscenzesu larga scala, onde evitare di commettere errori non correggibili, irreversibili. In mancanza diuna razionalità globale che non possediamo ancora, occorre procedere con cautela, con pruden-za, senza fretta. L’unica vera urgenza è semmai un’altra: far fronte per tempo alla concomitanzadi eventi potenzialmente catastrofici come quelli del cambiamento climatico globale e del rag-giungimento del picco geofisico di produzione del petrolio. Non siamo in presenza di velleitàmetafisiche, ma di fatti concreti che impongono un diverso ordine del giorno nelle priorità dellaricerca scientifica e della politica. ●

Un po’ di precauzione, per favoreNANNI SALIO

Il principio di precauzione non ci dice cosa dobbiamo fare,ma dove guardare prima di applicare le nostre conoscenzesu larga scala, onde evitare di commettere errori noncorreggibili, irreversibili

VerdeacquaVerdeacqua è un progettopromosso dall’Assessorato alSistema Educativo (Pianoterritoriale per la promozio-ne dei diritti dei minori,Legge 285/97) nell’ambitodi “Torino città sostenibiledelle bambine e dei bambi-ni” e di “Torino città edu-cativa”.L’iniziativa, coordinata daiCemea del Piemonte, preve-de una serie di incontri peri bambini e le loro famiglie.Il primo percorso, intitola-to Giocare in cascina, è de-dicato alla scoperta, attra-verso il gioco, del piacere divivere l’ambiente, conosce-re i suoi elementi, gli ani-mali, le attività agricole, lepersone. Si tiene alla Casci-na Falchera (Strada Cuor-gnè 109, Torino, Rosa Altie-ri, tel. 011.2621996) e pre-vede quattro incontri (14.30- 18.30): 1 aprile, Percorsinaturalistici; 5 maggioGrande Caccia al Tesoro; 16giugno, Il Rally della Casci-na; 6 ottobre, Giochi dellatradizione contadinaIl secondo percorso, intito-lato Il fiume e la città, si ri-volge a bambini dai 6 ai 12anni e ai loro genitori, conl’obiettivo di scoprire lacomplessità degli ambientifluviali, le curiosità dellaloro fauna ed il sorprenden-te intreccio di funzioni del-la vegetazione presente, laricchezza dei paesaggi citta-dini, grazie a una serie diescursioni (14.30 - 18.30)presso le aree fluviali attrez-zate: 19 maggio e 9 giugno,ritrovo Cascina Vallere, Par-co Vallere – Moncalieri; 26maggio e 2 giugno 2001, ri-trovo ingresso piscina, Par-co Colletta.(Cemea del Piemonte, viaAvogadro 26, 10121 Torino,tel. 011.541225,fax 011.541339,e-mail [email protected],www.piemonte.cemea.it)

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Ambiente

Quanto pesa sull’am-biente urbano l’andare a scuo-la? Non poco sembra. E a dir-lo è innanzitutto l’esperienzadiretta degli automobilisti cheben conoscono il crescere e ilridursi dei flussi del trafficostradale cittadino con la finee l’inizio dei vari periodi divacanze scolastiche. Le mam-me, ma anche i papà, trafela-te e/o stremate che, due vol-te al giorno, compiono il tra-gitto casa-scuola costituisco-no ormai una componente fa-cilmente distinguibile (e spes-so anche temibile quando al-l’interno dell’abitacolo divam-pa la dialettica genitori-figli),della fauna automobilisticache quotidianamente s’aggro-viglia nella jungla stradale.Aldilà di queste impressionisoggettive, c’è chi ha decisoche il fenomeno merita nonsolo molta attenzione, ma an-che e soprattutto un interven-to da parte del governo. Se-condo infatti un rapporto pub-blicato nel mese di gennaio inGran Bretagna, dal Ministerodell’Ambiente, Trasporti e Re-gioni, la percentuale di stu-denti, delle scuole elementarie superiori, che vanno e tor-nano da scuola in macchina è,negli ultimi dieci anni, quasiraddoppiata, crescendo dal16% al 29%. Ciò fa sì che giàoggi nelle ore di punta deltraffico urbano inglese, manegli altri Paesi europei nondovrebbe essere molto diver-so, una macchina su cinquerisulta in movimento a talescopo, con in più l’aggravan-te che la lunghezza del tra-gitto casa-scuola è risultatamediamente aumentata, sem-pre negli ultimi dieci anni, dioltre un terzo. Considerato checomplessivamente gli studentiinglesi sono circa nove milio-ni, gli estensori del Rapportoprevedono che, in assenza diadeguati provvedimenti, que-sto specifico flusso di trafficostradale è destinato ad espan-dersi ulteriormente, con ine-vitabili, pesanti ripercussioni,

Andarea scuolaANGELO CHIATTELLA

Cresce lapercentuale distudenti chevanno e tornanoda scuola inmacchina. Inassenza diadeguatiprovvedimenti,questo specificoflusso di trafficostradale èdestinato aespandersiulteriormente,con inevitabili,pesantiripercussioni,come ormai ben sisa, sulla salute,sulla capacità dimovimento e sullaqualità della vitadella popolazioneurbana

come ormai ben si sa, sullasalute, sulla capacità di mo-vimento e sulla qualità dellavita della popolazione urbana.

Le cause del fenomeno

Il Rapporto ne individua alcu-ne come l’inadeguatezza del-la rete dei mezzi pubblici, glielevati costi delle tariffe, i ti-mori dei genitori per la sicu-rezza personale dei figli, lapossibilità di scegliere scuolediverse da quelle vicine all’abi-tazione, e ne trascura altrecome, ad esempio, la rarefa-zione sul territorio delle scuolesecondarie determinata dallapolitica liberista degli ultimigoverni inglesi; ma nel com-plesso il quadro delineato ri-sulta del tutto convincente.Come, d’altra parte, assai ap-prezzabile appare la decisio-ne del governo inglese di af-frontare questo problema, conl’obbiettivo di riuscire, neiprossimi dieci anni, a modifi-care radicalmente la situazio-ne esistente non solo arre-standone la crescita, ma in-centivando le famiglie inglesia far si che il numero deglistudenti che va a scuola a pie-di, o con i mezzi pubblici o inbicicletta cresca, ritornandoalmeno ai più salutari livellidegli anni Ottanta.A tale scopo il Ministero del-l’Ambiente inglese, d’intesacon altri ministeri, ha varatoun progetto pilota, riguardan-te 37 scuole, che, attraversoil coinvolgimento e l’azionecongiunta delle famiglie, del-le scuole, delle autorità localie nazionali e dei gestori deiservizi pubblici, dovrebbe per-venire alla formulazione, si-tuazione per situazione, dispecifici ed articolati piani ditrasporto scolastico in gradodi garantire condizioni di si-curezza, di comfort e di rapi-dità tali da disincentivare,quanto più possibile, il ricor-so all’automobile da parte del-le famiglie. L’iniziativa sembraben avviata, e i primi positivi

risultati, che già si stanno re-gistrando, hanno stimolato lacomparsa e la circolazione dispecifiche guide per le auto-rità scolastiche e locali chehanno deciso estendere la spe-rimentazione alle propriescuole ed aree. A ciò si ag-giunga che, sempre per inizia-tiva del Ministero, il proble-ma del trasporto scolastico èdiventato parte integrante ditutti i progetti governativi ri-guardanti i nuovi piani di tra-sporto locale, di tutela dellasalute collettiva e di riorga-nizzazione scolastica.Ma cosa ne pensano i direttiinteressati, ovvero gli studen-ti? Un’indagine, svolta sempredal Ministero dell’Ambienteinglese, su un campione distudenti di età compresa tra isette e gli undici anni ha ri-scontrato che il 40% di quelliabitualmente accompagnati ascuola in macchina, nonostan-te la vicinanza della scuola allaloro abitazione, preferirebbecompiere il tragitto a piedi o,meglio ancora, in bicicletta,e preferibilmente accompa-gnato dalla madre. Tra le prin-cipali motivazioni di questapreferenza: la noia ed il sensodi isolamento indotti dal viag-gio in auto e il desiderio distare maggiormente insiemecon i compagni e con gli stessigenitori. Motivazioni che sicommentano da sole, anche sea questo punto sorgono spon-tanei alcuni interrogativi sul-l’altro 60%. La macchina è peressi la soluzione più comodae soddisfacente, oppure sitratta di una scelta obbligataper la distanza, o per altreragioni ancora? I resocontisull’indagine non lo dicono, edè questo l’unico disappuntoche può nascere dalla loro let-tura, a parte beninteso quelloben più profondo e sconfor-tante che colpisce molti am-bientalisti nostrani quandosono costretti confrontarequeste iniziative con quantoavviene, o meglio non avvie-ne, nel nostro Paese. ●

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Due anni or sono è stato apertoun cantiere a dieci metri dal cancellodella nostra scuola e, interrogando gli ope-rai, abbiamo appreso che l’oggetto dacostruire era una cabina Enel di trasfor-mazione ad alto voltaggio. L’idea chequella concessione avesse completamen-te ignorato la nostra esistenza è stata l’uni-ca ipotesi che ci è venuta alla mente: «Macome? All’interno dei Giardini Marghe-rita, la più grande area verde della città?A ridosso di una scuola elementare a tem-po pieno?». Ovviamente la preoccupazio-ne di genitori e personale della scuola eralegata alle emissioni elettromagneticheche un impianto di quelle dimensioni (unedificio interrato di 4 piani) avrebbe com-portato. Progressivamente quindi è inizia-ta una mobilitazione che nel tempo ècresciuta in consapevolezza e determina-zione.Gli studi sulla pericolosità delle emissio-ni elettromagnetiche non sono a tutt’og-gi in grado di fornire risposte definitive. Iricercatori sono divisi, soprattutto nelladeterminazione di quale livello di emis-sioni possa risultare pericoloso per la sa-lute. Una cosa però unifica le opinionidelle diverse scuole di pensiero: i sogget-ti a maggior rischio sono i bambini espo-sti ad emissioni prolungate nel tempo.Questa è anche la ragione per cui le nor-mative che faticosamente si fanno stradaprescrivono puntualmente la distanzaminima dalle scuole che questi impiantidevono rispettare. Il principio di precau-zione quindi andrebbe rispettato almenoin questa direzione… E invece questoimpianto sta sorgendo a dieci metri dallascuola Fortuzzi, dove i bambini vivonocinque anni della loro vita dalle 8 alle 11ore al giorno.La nostra lotta di resistenza ha imbocca-to due strade diverse e parallele. Da unaparte i rappresentanti dei genitori hannoiniziato a raccogliere contributi per unricorso al Tar e in breve tempo la sommanecessaria è stata raggiunta: segno che

tato; i bambini delle prime impegnava-no in lunghe discussioni sul destino cheli attendeva se fosse stata spostata la loroscuola: «Ci divideranno dai compagni?Cambieremo le maestre? Potremo porta-re con noi le piante di fagioli e la lava-gna?». Tenerli al di fuori significava fin-gere la loro estraneità. Così, progressiva-mente, studiare ecologia e costruire stru-menti musicali per la manifestazionesono divenute le attività più partecipatedella scuola.La scommessa è riuscita. Circa mille per-sone travestite e truccate si sono trovatein piazza Maggiore con tamburi di lattae maracas. La presenza di suonatori, tea-tranti e animatori ha contribuito a poten-ziare il tono di festa. Per oltre tre ore lun-go le vie della città e fino alla scuola ab-biamo gridato a squarciagola le canzoniinventate in classe: «Via la cabina, voglia-mo la piscina!», «Lo sai che le Fortuzzison alte alte alte e tu sei una cabina e tene devi andar»… L’immagine di unascuola aperta al territorio, che spesso vie-ne sventolata da politici ambiziosi di sot-tomettere la funzionalità della scuola allecompatibilità del mercato, questa volta hapreso corpo al contrario, catalizzando l’in-contro dei soggetti che non credono chel’interesse economico sia l’unico princi-pio capace di guidare le scelte urbanisti-che.Adesso attendiamo il Tar e pensiamo alleprossime iniziative utili a non disperderei fili di solidarietà e consapevolezza checi sono cresciuti attorno. Convinti che lanostra iniziativa possa essere vissuta comeun esempio incoraggiante anche per al-tri e non come un’iniziativa corporativae localista… ●

* Maestro, scuola elementare “Fortuzzi”.

Il 14 febbraio scorso, la Camera dei deputati haapprovato il disegno di Legge quadro sullaprotezione dalle esposizioni a campi elettrici,magnetici ed elettromagnetici. L’approvazione diquesta legge pone l’Italia tra i primi paesi chehanno affrontato il problema, ma a noi sembra,comunque, tardivamente. Nella legge sistabilisce che entro 60 giorni dovrà essereindicato il limite del valore di attenzione cioèdel valore di campo elettrico, magnetico edelettromagnetico, che non deve essere superatonegli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghiadibiti a permanenze prolungate. Tra i comitatidi cittadini che hanno contribuito a porre laquestione dell’elettrosmog nell’agendaparlamentare, anche molti coordinamentiformati da insegnanti, studenti e dai lorogenitori, convinti che la scuola deve essere unambiente modello e che i soggetti più a rischiosono i bambini esposti ad emissioni prolungatenel tempo. L’auspicio è che nell’elaborazionedei piani di risanamento sia data alle scuolepriorità di intervento. Riportiamo la festosaesperienza di difesa dell’ambiente scuola alleelementari Fortuzzi di Bologna.

VIA LA CABINA,VOGLIAMO LA PISCINA!GIANLUCA GABRIELLI *

Una scuola aperta al territorio,che spesso viene sventolata dapolitici ambiziosi disottomettere la funzionalitàdella scuola alle compatibilitàdel mercato, questa volta hapreso corpo al contrario,catalizzando l’incontro deisoggetti che non credono chel’interesse economico sial’unico principio capace diguidare le scelte urbanistiche.Circa mille persone travestite etruccate si sono trovate inpiazza Maggiore, a Bologna,con tamburi di latta e maracasper dire no alla costruzione diuna cabina Enel ditrasformazione ad altovoltaggio a 10 metridall’edificio scolastico delleelementari Fortuzzi

ormai la maggioranza dei genitori consi-dera giusto impegnarsi in prima personaper la difesa di una scuola pubblica cheviene sentita come la loro. Nello stessomomento anche gli insegnanti hannodeciso si mobilitarsi insieme ai numerosisoggetti che costituiscono la dimensioneallargata della scuola pubblica: dai geni-tori ai bambini, dai collaboratori scolasti-ci agli ex alunni, dal personale di segrete-ria alle altre scuole della città e alle asso-ciazioni ambientaliste. La scommessa erache il caso si presentasse così sempliceed emblematico che sarebbe stato possi-bile mobilitare attorno ad esso anche sem-plici cittadini, tanto da trasformarlo — perun giorno — in una battaglia simbolicaper una città più vivibile e pulita.

Idee cantate

Per questo abbiamo indetto una manife-stazione pubblica cittadina (20 gennaio2001). Nel volantino di indizione si leg-ge che «nonostante la viva preoccupazio-ne la manifestazione avrà carattere festo-so, circense, colorato». In pratica la scel-ta era di non escludere i bambini, ma dicoinvolgerli in prima persona, permetten-do loro così di esorcizzare le paure. Ne-gli ultimi tempi infatti sempre più spessogli alunni facevano domande sui perico-li che l’elettromagnetismo avrebbe por-

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media

lettori

che nascevano sicuramente danobili intenzioni ma il cui spes-sore non giustificava in alcunmodo il fatto che se ne parlassea scapito del parlare di librimagari meno direttamente ri-conducibili alla pedagogia e allascuola ma infinitamente più pre-gnanti a tutto campo, e quindianche relativamente alla peda-gogia e alla scuola. In altre pa-role, mi sembra veramente pocosensato che non si sia riflettu-to a proposito di quali implica-zioni potessero (e possano) ave-re sul nostro essere educatori,trasmettitori di sapere, intellet-tuali, opere come quelle conte-nute nei libri di Carlo Ginzburgo di George Steiner, di Leslie Fie-dler o di Sandro Portelli — masiamo ancora in tempo a rime-diare, essendo essi di importan-za non certo circoscrivibile airistretti dintorni della loro pub-blicazione.Si tratterà, insomma, di punta-re maggiormente alla riflessio-ne su quel che dura anche a lun-ga distanza, e un po’ meno allapuntualità nella segnalazionedelle novità, anche perché itempi della rivista permettonotutto tranne la tempestività.Fortunatamente però succedeanche che vengano edite novi-tà di notevole rilievo. In que-ste settimane, per esempio,sono usciti alcuni ottimi libri diestrema utilità anche sul versan-

veglia all’alba (SE) di JamesAgee, racconto poetico di pec-cato e redenzione, di desiderioe rimozione del sesso, di cimen-to con la morte attraverso lamorte di Cristo e quella del pa-dre, di ricerca del corpo e dellasantità, romanzo-poema di pre-ghiera e blasfemia, di sensi e disimboli, di nevrosi e catarsi, ro-manzo di formazione. Dalla ri-proposta, presso Adelphi, delbellissimo Tragedia dell’infanzia(1945) di Alberto Savinio agliultimi racconti di Gianni Celati,autore del non dimenticabile“romanzo d’infanzia” La bandadei sospiri (Einaudi, 1976; orain Parlamenti buffi, Feltrinelli,1989). Il nuovo libro di Celati,tra l’altro, fin dal titolo (Cine-ma naturale, Feltrinelli) potreb-be essere utile anche per coloroche non trovano il tempo di leg-gere, e magari appunto perchéil loro tempo è occupato dallalamentazione circa gli studentiche non leggono o perché si tro-vano in una sala buia a vedereun film. Dice inoltre Celati nel-la Notizia introduttiva: «scriven-do o leggendo dei racconti si ve-dono paesaggi, si vedono figu-re, si sentono voci: è un cinemanaturale della mente, e doponon c’è più bisogno di andare avedere i film di Hollywood».Buon appetito. ●

Chi legge queste pagine faparte abbastanza inevitabilmen-te di quella minoranza di citta-dini italiani cui non è estraneala pratica della lettura. Non solo,ma chi legge queste pagine saanche quanto minoritaria sia inquesto paese tale pratica, equanto singolarmente lo sia al-l’interno di quella categoria cheinvece si supporrebbe dovesseaverla incorporata in sé, all’in-circa costitutivamente, come ilrespiro: gli insegnanti. Però,appunto, come tutti ben san-no, come categoria, gli inse-gnanti non sono propriamente“lettori forti”, anche se sonoproprio rari coloro che riesconoad evitare di affermare contritiche scolari e studenti non leg-gono. Peter Bichsel, in un sag-gio pubblicato in quel bellissi-mo libro che è Il lettore, il nar-rare (Marcos y Marcos, 1989),però afferma di conoscere «ad-dirittura alcuni professori chenon sono dei lettori»: non losono proprio, altro che “lettoriforti”; e, a evitare equivoci, pre-cisa anche che «li si riconoscedal fatto che si lamentano fintroppo dei loro studenti che nonleggono». Credo che ne cono-sciamo tutti. A volte, poi, fre-quentandone, e anche leggen-do questa rivista, viene persinoda pensare che gli insegnantivadano abbastanza al cinema,ma che alla lettura, ai libri de-dichino uno spazio decisamen-te marginale.Nel passato, in queste pagine,a volte si sono segnalati libri

Cinema naturaleGIUSEPPE PONTREMOLI

te della dimensione educativa eformativa, utilità tanto maggio-re quanto (apparentemente) tor-tuosamente lontana. Dalla nuo-va edizione accresciuta di Infan-zia e storia (Einaudi) di GiorgioAgamben a Requiem per Harlem(Garzanti), quarto e conclusivovolume dell’autobiografia diHenry Roth, autore di Chiamalosonno, libro che, vincendo latentazione di definirlo tout court“il più bel romanzo”, non esitoa ritenere il più bel romanzo sulrapporto tra madre e figlio; daNon siamo capaci di ascoltarli.Riflessioni sull’infanzia e l’ado-lescenza (Einaudi) di Paolo Cre-pet alle “domande e risposte edomande” di Che cos’è l’antise-mitismo? Per Favore Rispondete(Mondadori) di Lia Levi, con inappendice una sintetica ma uti-lissima Nota storica di LucianoTas; dalle Nuove storie dalla cortedi mio padre (Longanesi) delgrande Isaac Bashevis Singeralla riedizione del bellissimo La

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riviste

È veramente da temerarioggi, sotto l’occhio vigile dei ma-nifesti del cavaliere Berlusconi —impresa, internet, inglese — mi-surarsi con la comunicazione suInternet; da temerari, perché noidella redazione di Le Culture an-cora frequentiamo le praterie delcomunismo bruciate dalla storia,aspettando che appaiano fili d’er-ba verdi che diano speranza e checi facciano pensare che il nostrofuturo debba essere qualcosa dipiù e di meglio che le tre I. Ab-biamo comunque voglia di inda-gare questo strumento comunica-tivo, con l’idea che, così come siera tecnicamente formato nellecomunità scientifiche, dopo un’in-venzione tutta militare, Internete soprattutto la coppia sito Webe posta elettronica possano pre-starsi alla sperimentazione di unlaboratorio culturale in cui si fac-cia scrittura circolare. La nostraprima regola è un’edizione sobriae molto somigliante alla sempli-cità della carta. Sappiamo che larete, moltiplicando smisuratamen-te la quantità di messaggi, crearumore di fondo invece che infor-mazione, determinando un nuovosottile analfabetismo. Le paginedel sito, frutto di una redazionecooperante, sono da leggere, piut-tosto che da guardare, perciò van-no accompagnate dalla stampa sucarta. La natura riflessiva di unoscritto non dipende dalla sua bre-vità o lunghezza, ma dalla frui-zione distesa nel tempo, dalla len-tezza della lettura. Siamo consa-pevoli che le strutture ipertestualitipiche di una pubblicazione su In-ternet seguono l’andamento velo-ce del nostro associare idee, in-dagare percorsi: spesso chiedonoun assaggio piuttosto che un ap-profondimento. Noi pensiamo chesi possa piegare la struttura iper-

testuale a un quaderno di note edi informazioni collettive per laconoscenza e la riflessione.

Passato, presente, possibile

La “rivista” può essere percorsain senso tematico: Conoscenze,Società, Linguaggi oppure secon-do una dimensione e prospettivatemporale: Passato, Presente, Pos-sibile. Nella sezione Conoscenze in-daghiamo le Storie, le Scienze, leVisioni. Nella sezione Società in-daghiamo istituzioni, tendenze esoggetti: progettualmente è la se-zione dell’inchiesta. La sezioneLinguaggi è il lessico della comu-nicazione sociale e intellettualeprevalente. Come per la testata,Le culture, decliniamo ogni sezio-ne al plurale. La dimensione tem-porale riorganizza la lettura secon-da la traccia diacronica; Visione ePossibile costituiscono lo scenariodell’invenzione e della speranza.Anche noi quindi tentiamo con tre

P. Siamo però debitori di questasuggestione al pensiero di Bruner:ci sembra che il presente risulti in-comprensibile e immodificabilesenza che se ne sappia la genealo-gia, il processo di formazione. Ilpassato e la memoria non sono unluogo da rivisitare con nostalgia,ma la memoria intende essere unricordare, un’azione che, attivan-dosi, seleziona e utilizza. Il possi-bile non è solo un’indagine sul fu-turo, ma uno scandaglio sulle vi-sioni, sui progetti che si sono fat-ti e si fanno per mutare lo statodi cose presenti.Intendiamo la “rivista” come stru-mento degli attrezzi per personeche fanno attività culturale, per-sone che lasciano traccia delle loroletture in uno zibaldone e si met-tono a disposizione. Molti sosten-gono che la comunicazione vieneagevolata da una tecnica che de-scrive il tavolo di lavoro dei sin-goli soggetti in relazione. La pre-comprensione del contesto di co-noscenza dei miei interlocutori meli rende più comprensibili. L’ideaci convince. La “rivista” poi inten-zionalmente intreccia i linguaggie le discipline. Certo incorre, puòincorrere, nella banalizzazione, mapuò contare anche su un positivoe ricorrente decentramento lingui-stico. La politica e il suo linguag-gio, nel senso nobile di conversa-zioni nella città per muovere leazioni, finisce per essere lo scopoprimario della rivista. Quindi unostrumento per la cultura e per lapolitica. Uno strumento chiaramen-te collocato ma aperto e voluta-mente pensato in una dimensionecooperativa.école prende, tra l’altro, ispirazio-ne dal lavoro pedagogico e teoricodi Freinet. Un’indagine per riattua-lizzare quel metodo è un punto diriferimento per noi assai fecon-do. ●

[email protected]

Cooperare per la conoscenzaSCIPIONE SEMERARO

Le Culture è una rivista telematica che esplora le modalitàcomunicative di Internet con l’idea che questo strumento esoprattutto la coppia sito Web e posta elettronica possanoprestarsi alla sperimentazione di un laboratorio culturale incui si faccia scrittura circolare

Il rischio,la solitudinee i ritidi passaggioSi tengono a Reggio Emilia(22 - 23 aprile, 12 - 13maggio, 2 - 3 giugno) trestage di approfondimentoper interrogarsi sulledinamiche, le difficoltà, iproblemi di relazione degliadolescenti utilizzandostrumenti del Teatrodell’Oppresso.Gli operatori di Giollimetteranno in scena conflittie disagi esplorandoimmagini mentali e progettidi lavoro. Gli stage sonorivolti a insegnanti di ogniordine di scuola, animatoriteatrali, volontari diassociazioni, operatori socialidei servizi.(Giolli - Centro di ricerca suTeatro dell’Oppresso ecoscientizzazione, vialeCarducci 113, 57121Livorno, tel./fax 0586-424311, MassimilianoFiloni, 0349-2179729,e-mail: [email protected],www.peacelink.it/users/giolli/)

MusicheriaAl sito di Musicheria(www.csmdb.it/Musicheria)si possono trovare leproposte per la primavera2001, della “Bottegadell’educazione musicale”:un progetto per valorizzarele esperienze musicali deigiovani, un’esperienza didanza a scuola, attività dilavoro su “Musica eimmagine” e sulla ritmica,nuove segnalazioni di libri edi siti web, uno studio su“Gianni Rodari e la musica”.E nella pagina “Ripostiglio”si può rovistare tra imateriali finora pubblicatidalla rivista telematica.(e-mail: [email protected])

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Scrivere di séMARIA LETIZIA GROSSI

Scripta

«Certe volte miguardo allo specchio e ho l’im-pressione di vedere un’altrapersona, oppure me da picco-la. Certe volte ricordo all’im-provviso cose che avevo di-menticato da tanto. Adessoche sto scrivendo, tornanofuori tanti momenti insieme emi sembra che abbiano frettadi essere fermati sul foglio.»,Elisa, 16 anni, II D, IstituoTecnico del Turismo.La scrittura espressiva, centra-ta sul sé e sulla manifestazio-ne dei rapporti affettivi con ilmondo e le persone, corrispon-de alla prima fase nell’evolu-zione psicologica dei ragazzi,infatti nei primi componimen-ti i piccoli scriventi sono sem-pre al centro, anche quandodescrivono un oggetto o unfatto esterni. Ugualmente neilavori d’esordio di giovani chepervengono alle case editricila tendenza autobiografica èquasi assoluta1.A scuola viene chiesto aglistudenti di scrivere di sé? Alleelementari spesso lo si fa sug-gerendo argomenti vicini almondo emotivo degli alunni,come le paure, i desideri; laproposta del tema personaleè ancora abbastanza frequen-te alle medie, un po’ meno nelbiennio delle superiori, dovetalvolta s’intrufola sotto levesti del tema “libero”, men-tre è quasi assente nel trien-nio finale, quando gli elabo-rati in classe sono spesso pre-paratori ed esemplificatividella prima prova dell’esamedi stato. Quanto al modo incui la richiesta viene accolta,ci sono due posizioni diame-tralmente opposte: chi rifiutain toto, volendo mantenere se-parata la sfera personale daquella scolastica e chi invece,più spesso le ragazze, ne ap-profitta appieno, buttandofuori tutto quello che prova in

maniera torrenziale. La scrit-tura autobiografica nell’adul-to è quasi sempre una speciedi rendiconto e spesso è in-trapresa verso la metà dellavita, anche per progettare unmutamento2. Nell’infanzia enell’adolescenza raccontarsirisponde al bisogno di esplo-rarsi, di collegare momenti di-versi della propria ancora bre-ve ma mutevole esperienza,fermare i ricordi, è quello chesi coglie dalle frasi estrapola-te dal tema di Elisa. O anche,come dice bell hooks3, è con-nessione tra gli anni appenatrascorsi e la voglia di cam-biare, di superare il proprio ioinfantile, di costruire un pro-getto nuovo in modo più con-sapevole4. O ancora di lancia-re un richiamo a un insegnan-te disponibile e, attraverso lui,al mondo adulto: «La mattinami alzo ed è come se mi sen-tissi ancora addormentata,forse perché penso al lettoche in questo periodo è la miabara per sfuggire alla realtàche mi circonda e a me stes-sa...» Antonella, III C, Istitu-to Tecnico Commerciale.Quasi sempre chi scrive di sépresume di poterlo fare senzaalcuna regola, in nome del-l’espressione immediata, in ciòtalvolta incoraggiato anchedall’insegnante che chiede laspontaneità. Tuttavia ciò rica-de in un duplice errore: for-male, per gli esiti spesso noncomunicanti di una scritturairriflessa, ma anche sostanzia-le, scrivere di sé è comunqueun portare a coscienza, quin-di necessita di una mediazio-ne formale, di una re-visione.Memoria e scrittura modifica-no gli eventi e le emozioni,perciò un’autobiografia è sem-pre una “biografia imperfet-ta”5 e in qualche modo inven-tata. D’altronde abbandonar-si allo spontaneismo di soli-

to non significa adoperaremodalità originali di espri-mersi, ma lasciarsi andare astereotipi abituali, che più fa-cilmente affiorano quandonon si sceglie la propria for-ma. E’ difficile, nei primi annidi scuola, trovare il giustoequilibrio tra guidare i picco-li scriventi ad acquisire lacapacità di esprimere un mon-do di per sè molto fluttuan-te, quello della psiche infan-tile, ed evitare la proposi-zione di schemi rigidi. Anchenelle tappe successive permolti ragazzi e ragazze è piùfacile e meno faticoso utiliz-zare frasi stereotipate che sisostituiscono alla descrizione,piuttosto che imparare l’arte,o l’artigianato, di osservare sestessi e la realtà e tradurreciò che si percepisce in paro-le e frasi adeguate. La scrit-tura autobiografica, comeogni scrittura, va insegnatae appresa. ●

NOTE1. Enrico Brizzi in Tuttestorie,“Scrivere di sé”, aprile-giugno1999;2. Lavinia Oddi Baglioni, Scriverela propria vita. Manuale di scrittu-ra autobiogrfica, Seam, Roma 2000(si tratta di esperienze che han-no anche finalità terapeutiche,nell’ambito del lavoro della Libe-ra Università dell’Autobiografia diAnghiari e del suo fondatore Duc-cio Demetrio, alla cui ricca pro-duzione si può far riferimento,anche cliccando il sito http://utenti.tripod.it/unianghi.);3. In Tuttestorie già citato. bellhooks è lo pseudonimo di GloriaJean Watkins.4. Parte dalle storie di vita rac-contate dai ragazzi il progetto “Igiovani e il terzo Millennio”, co-ordinato da Alberto L’Abate, in col-laborazione con scuole fiorentine,centri sociali e Facoltà di Scienzedell’Educazione. Si può richiederemateriale al Punto Giovani - Co-mune di Firenze, che lo ha pro-mosso.5. Ernestina Pellegrini in Tutte-storie, cit.

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Cd-rom

Diversamente dalla scuoladi altri paesi (per esempio dei pa-esi anglosassoni), la scuola ita-liana è strutturalmente fondatasui saperi. Le tecniche di trasmis-sione dei saperi sono demandatealle acquisizioni effettuate sulcampo dai docenti, che si costru-iscono nel tempo il cosiddetto“mestiere” dell’insegnamento.Soltanto da poco la normativaconcernente il reclutamento delpersonale insegnante ha apertoqualche spazio, ma per la veritàmolto limitato, alla formazionein servizio.Dunque che nella scuola italianail problema della didattica esistaè fuori discussione. Tuttavia laquantificazione della sua rilevan-za rispetto ad altri problemi del-la nostra scuola merita qualcheriflessione, se è vero che anchedove la didattica ha trovato lepiù ampie applicazioni (peresempio nei paesi anglosassoni)essa non ha certo dimostratopoteri taumaturgici. In ogni casoqualunque intervento che vogliaessere davvero operativo sullarealtà scolastica (e non carta-ceo…) deve commisurarsi atten-tamente all’esistente su cui si ri-promette di incidere e che inten-de appunto modificare.Emergono però ragionevoli dubbiche queste fondamentali premes-se siano tenute nel debito contonella proposta di innovazione del-la didattica della Storia avanzatadal Ministero della Pubblica Istru-zione e dall’Università di Bologna(dipartimento di Storia) attraver-so un progetto scientifico curatoMattozzi e da un gruppo di coor-

dinatori composto da ispettori epresidi 1 che punta al superamen-to della tradizionale didattica deicontenuti per passare a procedi-menti rivolti alla costruzione/ri-costruzione dell’indagine storio-grafica ricorrendo ad operazionidi autentica ingegneria.I dubbi diventano perplessitàquando si vanno ad esaminare al-tri aspetti del cd-rom di autoag-giornamento distribuito ai do-centi della materia nelle scuolesecondarie. Senza dichiararloesplicitamente e senza indicaremotivazioni, gli autori del Corsoforniscono come modello episte-mologico quello annalistico del-la terza generazione che diffidadelle generalizzazioni e frantu-ma l’indagine in approfondimen-ti specifici settoriali o locali dilungo periodo, dando quindi im-plicitamente per obsoleti gli al-tri indirizzi della ricerca storio-grafica. Ma se Berlusconi o Sto-race (da un punto di vista noncertamente “esperto”, per usarela terminologia degli autori) pos-sono considerare superato l’indi-rizzo storicistico che in Italia haradici fortissime e che ha prodot-to scuole storiografiche non di-sprezzabili come quella di ispi-razione liberale e crociana (conla variante liberaldemocratica esalveminiana) o quella di ispira-zione marxista, chi si pone sulterreno degli addetti ai lavori nonpuò ignorarne la persistente am-piezza e vitalità nella intera areaculturale occidentale. Per nondire che lo stesso annalista LeGoff (in una conferenza tenuta aFirenze) alcuni anni fa prendeva

Internet

L’introduzione di computer e multimedialità nella scuolanon è sufficiente per migliorare la qualità dell’educazione. È ne-cessaria una preparazione specifica degli insegnanti per non ba-nalizzare e vanificare l’uso di sofisticate tecnologie didattiche.Nelle scuole del Regno Unito si utilizzano al massimo queste tec-nologie grazie alla cooperazione del governo centrale delle co-munità locali e degli istituti, impegnati a creare entro il 2002una “società dell’apprendimento”.In Finlandia la sperimentazione sulla teledidattica sta dando giàdei risultati grazie anche alla tradizionale predisposizione all’usodi tecnologie moderne.In India, dove ogni mille abitanti ci sono dieci linee telefoniche,sembra un’impresa impossibile parlare di telecomunicazioni, mal’arrivo di capitali esteri potrebbe modificare radicalmente lo sce-nario e dare nuovi impulsi alla telefonia, a Internet.E in Italia?Facendo dei conti veloci, possiamo sommare più di seicento sititra scuole dell’obbligo, scuole superiori e scuole speciali, mentrele pagine universitarie sono più di millecinquecento. Tra tuttiquesti luoghi i principali motori di ricerca ne selezionano unaquarantina di quelli a carattere più generale.L’offerta è quindi varia con diversi contributi dedicati monografi-camente a scuole, insegnanti e studenti.Iniziando dagli immancabili portali (www.garamond.it,www.portalescuola.it) che forniscono un discreto punto di par-tenza per chi non ha le idee chiare su come muoversi, anche seper ragioni evidenti restringono la scelta rispetto a chi navigasenza bussola, si passa ai siti istituzionali (www.istruzione.it,www.educational.rai.it/scuolaindiretta, webscuola.tin.it).Dalla parte degli studenti troviamo www.icompiti.com,www.iss.stthomas.edu/italian con preziosi consigli su come af-frontare gli esami universitari, www.studenti.it, www.icicampus.it,www.mercatouniversitario.it.Una segnalazione a parte meritano siti come Il libro verdewww.mondointernet.it/libroverde dove i ragazzi di una scuola me-dia della provincia di Lecce descrivono le bellezze naturali dellaloro terra con un’analisi delle problematiche ecologiche ad essiconnesse e il racconto del percorso che li ha portati a realizzareun ipertesto come laboratorio didattico, o come il progetto Po-schiavo www.progetto-poschiavo.ch che conduce una ricerca par-ticolarmente interessante inserendo le proposte pedagogiche inun contesto di “ecologia umana” dove si rivolge particolare at-tenzione quei «fattori che possono favorire lo sviluppo sociale,culturale, tecnologico e ambientale nel rispetto del processo disviluppo sostenibile». ●

La didattica nella reteFRANCESCO DE LUCA

I paesi stranieri fanno passi da gigante perpromuovere la didattica attraverso la tecnologia. El’Italia a che punto è? Fortunatamente non esisteun indirizzo unico ovvero vincolante per ilpanorama didattico italiano, ma un universoeterogeneo dove con un po’ di attenzione èpossibile trovare gli spunti necessari per insegnareed imparare con metodi e criteri più attuali

Ideologia del “didattichese” e altro…MARCELLO GIAPPICHELLI, VITO NANNI

Insegnare Storia, un cd-rom ministeriale, che punta alsuperamento della tradizionale didattica dei contenutiper passare a procedimenti rivolti alla costruzione/ricostruzione dell’indagine storiografica ricorrendo adoperazioni di autentica ingegneria e che elude ancorauna volta il nesso fondamentale che esiste traformazione della cittadinanza e apprendimento dellaStoria

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le distanze dall’esempio dellaFrancia e del Belgio, dove neglianni ’70 la burocrazia ministeria-le aveva fatto «passare senza ri-flettere e senza adattarli i metodidelle Annales e della Nuova storianei programmi delle scuole secon-darie e perfino in quelli delle scuo-le primarie, producendo effettinon di rado disastrosi»2. Inoltrese una Storia antropologico-socio-logica sul modello delle Annalesha indubbie potenzialità di arric-chimento del lavoro didatticocome finestra sulla storia locale ocome percorso di approfondimen-to all’interno di coordinate com-plessive, essa, una volta privatadi conoscenze-competenze di or-dine generale, produce ben poco.Ne sanno qualcosa i docenti degliIstituti professionali, dove daqualche anno è passata questa im-postazione e dove è possibile cheuno studente dell’indirizzo alber-ghiero che segua i corsi di cucinaapprenda molto sulla cucina diApicio o su quella medievale e ri-nascimentale, ma non sappia nien-te della rivoluzione inglese, ame-ricana o francese e neppure delmondo islamico.Che dire poi della proposta meto-dologica in senso stretto, per cuila disciplina viene parcellizzata,frazionata in pillole, “modulizza-ta”, ridotta ad una serie di ope-razioni pre-ordinate, dove tuttoè previsto e calcolato meno chel’individualità del docente o del-l’allievo e la dialettica pedago-gica viva? C’è infatti una prepon-deranza dell’aspetto della verifi-ca su tutte le altre operazioni chepresupporrebbe non solo un in-segnante onnisciente che non faaltro, ma anche una dilatazionedel tempo scuola dedicato a que-sta materia che non pare affattoall’ordine del giorno. Anche laproposta del laboratorio di Sto-ria, esperienza già provata sulcampo più volte, così come vie-ne avanzata, con la trasformazio-ne degli studenti in piccoli sto-riografi, non si sa dove collocar-la concretamente se non in ora-rio extra-curricolare.Il “pedagogismo” del corso èdunque la nuova ideologia chedovrebbe sostituirsi a quella verao presunta dei manuali. La paro-la d’ordine del lavoro è riassumi-bile nello slogan della “moder-nizzazione” della didattica. Finqui niente da dire perché c’è dav-vero bisogno di un grosso rinno-vamento nel modo di insegnarequesta disciplina: il guaio è che

la proposta viene avanzata conpiglio perentorio e con un ap-proccio non sempre condivisibi-le. Gli autori ,cioè, non si fannoprendere da alcun dubbio e pro-cedono per categorizzazioni apo-dittiche a cominciare dalla con-trapposizione tra tradizione e mo-dernizzazione didattica. La tra-dizione viene identificata nellasequenza spiegazione frontale/uso del manuale/ ripetizione daparte dell’alunno, come se gli in-segnanti italiani di fine millen-nio lavorassero ancora come quel-li dell’800. Gli autori d’un colpocancellano le pratiche didatticheche si sono faticosamente fattelargo in questi anni difficili e di-menticano che i docenti hannoaffollato i numerosi corsi di ag-giornamento tenuti sia dalle as-sociazioni professionali (pensia-mo al Cidi), sia dalla stessa Am-ministrazione.Eluso dai compilatori del cd è in-fine il nesso fondamentale cheesiste tra formazione della citta-dinanza e apprendimento dellaStoria. Come e da chi apprendo-no i giovani a diventare cittadi-ni in un momento in cui, tra l’al-tro, la società italiana si fa mul-tietnica? In un’epoca come quellaattuale in cui assistiamo al tra-monto della trasmissione orale egenerazionale della memoria,come fanno gli studenti a cono-scere gli eventi fondamentali del-la storia? Ci si deve affidare almercato, oppure alla Tv e a In-ternet? Sembra che i ragazzi dioggi siano più informati di quel-li di ieri. Invece è drammatica-mente vero il contrario.Forse il problema principaledell’insegnamento della Storia nelnostro paese è proprio che essonon ha quasi mai puntato alla for-mazione della cittadinanza e del-l’immagine sociale del sé, prepa-rando coscientemente e critica-mente l’individuo all’inserimentonella realtà politico-sociale. ●

NOTE1. Insegnare Storia, progetto scien-tifico di Ivo Mattozzi, Ministerodella Pubblica Istruzione, Gruppodi Coordinamento presieduto dal-l’Ispettrice Anna Sgherri, respon-sabile del Progetto Nazionale Sto-ria del Novecento, Università de-gli Studi di Bologna, Dipartimen-to di Scienze Storiche. Il cd-romè stato distribuito gratuitamentealle scuole.2. J. Le Goff, Ricerca e insegna-mento della Storia, Manzuoli Edi-tore, pp. 38-39, Firenze 1988.

Una donna ormai anziana tesse, incorniciata da una finestra, ilmanto rosso che dovrà accompagnare il funerale dello sposo, maestroda sempre del villaggio, che lei vorrebbe portato a spalla dall’interacomunità (ma è difficile, sono rimasti solo vecchi e bambini). Ha ad-dosso la grandezza di una grande storia ? che è anche una tradizione euna cultura. Alle spalle della donna, il manifesto-mito del Titanic: don-ne diverse dalle norme, altre rispetto alla modernizzazione e più forti,si raccontano. In La strada verso casa è lei che s’innamora del maestroventenne istruito, di rango sociale più elevato, irraggiungibile secondola tradizione (che dunque lei viola).Indietro nella simmetria della memoria, la ragazza diciottenne tesse,incorniciata da una finestra, un drappo rosso, da esporre sulla trave alcentro della nuova scuola: segno simbolico, colore dell’anima, che at-traversa tutta la storia (come il cuore dell’oceano nel Titanic). Sopra esotto il livello della Storia. E l’orizzontalità del film di Zhang Yimou èuno splendido oceano ondoso di grano e colline, infinito nella festaorientale dei colori, cartoline di uno spazio-tempo perduto. Inattraver-sabile. Tutto il film è una specie di on the road immobile. Si cammina ecammina, lei sempre ingolfata in giacche-pantaloni-fagotti (l’esattoopposto di Domenica, un’altra ragazzina del sud del mondo dal corpomitico e leggero, fuori della storia); lei che va a prendere l’acqua lonta-no per passare vicina alla sua scuola, lei che soffre se manca l’appunta-mento. Le strade segnano il paesaggio, lo attraversano in andate eritorni che sono attese appostamenti fughe disperazioni, in uno spazioinsieme infinito e chiuso. Si esce solo per l’altrove assoluto della gran-de città. Magari chiamati dall’aldilà onnipotente del partito (il maestrocosì dolce e timido, forse non è abbastanza ubbidiente). Oppure per lamorte — ma proprio per questo il funerale dovrà ripercorrere tutte lestrade del villaggio, per ricordare all’amato la strada di casa e parlareintanto di lui, mentre si cammina insieme per la via della sua vita.Non ha problemi di “crisi del canone” la scuola del villaggio. Sette ootto precetti fondamentali vengono mandati a memoria e recitati incoro da bambine e bambini allegri e sorridenti — il sorriso è un altrodei miracolosi luoghi comuni del film: una collezione di cartoline cinesiche Zhang Yimou incornicia dall’inizio alla fine, in un pittura di senti-menti così esplicita e ingenua da diventare lingua e stile, salvati dalsentimentalismo.E poi Di non s’interessa gran che delle lezioni del maestro: s’innamoradella sua voce, fisicità del messaggio, corpo musicale docente. E lo spiacamminare in coro, accompagnando i bambini più lontani a casa, in untempo pieno che sembra diventare tempo assoluto, quasi cancellazionedel tempo nel rito: la stessa ripetizione corale delle regole, sembraavere l’effetto di addomesticarlo il tempo o addormentarlo fra le morbi-de colorate colline, così come l’andare e venire, camminare e cammina-re, quasi accarezza lo spazio, vi inscrive la quotidianità.Perché poi, dopo leggere scrivere fare di conto, quarto comandamentoè tenere un diario.Per i bambini e le bambine del maestro di Di, scrivere deve essere sapere— oppure sapere è scrivere, raccontare. Forse dare ordine e senso almondo, lasciando segni per ritrovare la strada di casa. Magari nella glo-balizzazione piena di iceberg (oppure spaventosamente priva). ●

Quarto: tenere un diarioANDREA BAGNI

Tenere un diario. Scrivere, raccontare, a qualcuno o anessuno; scrivere per sé, di sé, del mondo. Dare nome,conoscere e riconoscere. Mi sembra che in questo fareproprio — di bambini e bambine, occhi come carte as-sorbenti — e poi restituire in parole, sia una specie dicuore della scuola. Oceanico.Penso a quante volte trovo “temi” che usano la formadiario. Mi domando se non sia diventato un genere tipi-camente scolastico, una forma comoda per la scritturafinto-intima ufficiale, ammessa (e addirittura prevista —forse incautamente — nei prossimi esami di stato: comesi corregge e “misura” un diario?)

Cinema

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libriil libro

Il problema del rapporto ge-nitori e figli è universale: «…igiovani, i vostri figli, non viappartengono perché abitanocase future che neppure in so-gno potrete visitare», dicevaGibran, il profeta, nel libro diKahlil. A forza di non capire,abbiamo inventato modelli didifesa. Ciò è la visione dell’ado-lescenza quale periodo di svi-luppo deviante, crisi profondache va superata. Negli anni Ot-tanta hanno spazio studi sul-l’adolescenza come fase norma-le della vita. Qui emergono mo-delli sistemici che consideranol’interdipendenza di fattori co-gnitivo-emotivi, di famiglia eadolescente. Il rischio è disper-dere l’originalità ed unicità del-l’esperienza adolescenziale nel-la complessità confusa dellanostra società in cerca di alibi.Ed allora ci si deve mettere allavoro, cioè all’ascolto. PerGustavo Pietropolli Charmet tretemi sono centrali: il processodi separazione dalla rete di re-lazioni infantili e dai suoi va-lori di riferimento; la costru-zione di una nuova identitàpersonale a partire dal corpo;la definizione di nuovi legamiaffettivi e sociali. «Il nostroadolescente è soprattutto in-seguito dalla necessità di tra-sformare il corpo e il suo pro-gramma genetico in pensieri e

parole, soprattutto in rappre-sentazioni: è un animale pro-duttore di segni a cavallo dellepulsioni e alla ricerca dell’og-getto che lo aiuti a realizzareancor meglio il proprio compi-to evolutivo». Il concetto chia-ve del libro è “rappresentazio-ne di sé”, lo scenario è quellodel mondo interno dell’adole-scente che riflette sul mondoesterno, popolato da adulti nonsempre adeguati e pienamenteresponsabili. Il pensiero è chel’attuale società presenta unaquantità di modelli, per lo piùin conflitto tra loro, non ob-bligatori ed allora tocca gliadolescenti agire. Non ci sononovità sconvolgenti: la veranovità è che si parla di adole-scenti in termini di vissuti eproiezioni d’esperienze e digenitori in termini di “padri emadri” non di famiglia socio-logicamente predefinita. Quista la qualità del libro: sapercogliere le novità dello sfondosociale e dei comportamentiattraverso il mondo internodegli adolescenti, dei padri,delle madri. I nuovi adolescentinon devono più combatterecontro un padre-padrone, madifendersi da “bravi genitori”,attenti alla loro socializzazio-ne sin da piccoli, preoccupatidell’espressività dei figli; dispo-nibili a concedere libertà; coin-

volti dalle nuove tecnologie.Meno cultura e più natura,meno regole e più tensione perla crescita affettiva. Ne vienefuori un adolescente in bilicotra narcisistica ricerca di sé edepressione per la separazionedalla felice condizione infanti-le. Qui ogni conquista è accom-pagnata dalla partecipazionelegittimante dei genitori (nonci sono più i cortili dove ciòavveniva anche senza di essi),ora l’adolescente ha bisogno diammirazione proprio per allon-tanarsi «sputando nel piatto incui ha mangiato». Ne viene fuo-ri un adolescente che «deveuccidere la madre senza sen-tirsi in colpa» per la sua ag-gressione, che non è più tra-volto dal complessi di Ediposemplicemente perché il pa-dre e la madre sono così in-daffarati nella propria realiz-zazione che ben poco tempohanno da perdere «in giochierotici coi figli». Per l’autorenon è un caso se gli adole-scenti cerchino con maggiorinsistenza di prima un rappor-to con “adulti competenti”(insegnanti, educatori, psico-logi…): hanno bisogno di unrilevante sostegno nella cre-scita che non può essere de-legato né a compagni, né allacoppia provvisoria dei suoiprimi rapporti amorosi. Il nuo-

vo adolescente alla normalefatica di mentalizzare il corpoaggiunge poi quella di illudersiche il compito sia facilitatomanipolazione del corpo qua-le luogo e modalità elettivadella comunicazione apparen-te. Preda della sottoculturamassmediologica ciò che pro-muove comportamenti audacie trasgressivi non è tanto unarelazione oggettuale (hannotutto, potenzialmente) quan-to rappresentazioni narcisisti-che del sé. Il gruppo ha anco-ra un ruolo cardine, l’amiciziaun valore centrale ed i leadersono inaspettatamente messialla porta. Prevale la coesio-ne del gruppo piuttosto che ildecisionismo ed è meglio lanoia del far niente piuttostoche rischiare il conflitto nelgruppo (forse da ciò deriva l’in-differenza degli adolescenti,l’assenza di passioni e interes-si denunciata da Sandro Onofriin Registro di classe). L’autorepassa in rassegna la ricca fe-nomenologia dei loro legamisociali ed infine si sofferma sulgruppo classe. L’unico che lacultura degli adulti propone,che non esaurisce la fame diruoli e d’investimento affetti-vo, ma che permette la condi-visione di rappresentazioni co-muni, esalta la funzione tra-sgressiva antidattica dell’ami-cizia, permette d’usare la pro-testa politica per finalità affet-tive e allena i giovani alla plu-ralità dell’identità. Complessi-vamente, un quadro sorpren-dente: possiamo amarli e sti-marli proprio perché la loro nor-malità non coincide con fret-tolose definizioni adultocentri-che e ci rinvia tutta la nostrainadeguatezza di padri deboli(categoria alla quale apparten-gono in realtà anche i padri pa-lazzinari e mafiosi che trasmet-tono ai figli l’idea che la scuo-la non serve per far soldi), ca-lamità peggiore di aver avutoun padre forte. ●

A forza di non capireSTEFANO VITALE

A forza di non capire, abbiamo inventato modelli didifesa. Ciò è la visione dell’adolescenza quale periododi sviluppo deviante, crisi profonda che va superata. Laposizione di Gustavo Pietropolli Charmet è diversa.L’adolescenza è un fatto sistemico che va incluso nelletrasformazioni familiari e sociali. Ma è ancheun’esperienza psichica specifica che non devenaufragare né in una vaga psicologia della vita, né inuna fobica visione crisiologica

Gustavo PietropolliCharmet,I nuovi adolescenti.Padri e madri di frontead una sfida,Raffaello CortinaEditore, Milano, 2001,pp. 298, L. 35.000

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libriDomenico Massaro,Anselmo Grotti,Il filo di SofiaEtica, comunicazione estrategie conoscitivenell’epoca di Internet,Bollati Boringhieri,Torino 2000,pp. 287, L. 35.000

In gioco c’è la “mission” dellascuola e della formazione. I dueautori hanno il merito di cercareuna via d’uscita nel tentativo digiustificare la necessità della fi-losofia (che diventa una metafo-ra della formazione), intesa comeforma di riflessione dell’uomo suipropri problemi fondamentali estruttura cognitiva e comunicati-va che ha nella tradizione del dia-logo (e nella centralità del lin-guaggio e del testo) il suo trattocaratteristico. Il carattere storicodella filosofia ed il suo sguardoattento ai grandi pensatori delpassato che sanno ancora porredomande legittime e non banali;si lega al sapere bruciante ma fe-condo della Rete che vive nel con-sumo di un eterno presente. Giàper Platone era chiaro che le tra-sformazioni nel modo di trasmet-tere le informazioni determinanomodificazioni nel modo di perce-pire e definire il mondo. le corni-ci all’interno delle quali tali con-tenuti acquistano senso e diffu-sione. Non a caso il libro sviluppaun interessante parallelismo tra laRete come metafora della nostracondizione socio-esistenziale po-stmoderna priva di un centro diriferimento, le teorie della com-plessità nei vari campi dell’espe-rienza umana che hanno destitu-ito di significato ogni procedi-mento lineare e meccanicistico ela filosofia del linguaggio attentaalle cornici della comunicazione,alla storicità dei testi. Resta ilproblema della profondità del sa-pere. Bateson diceva che la co-municazione ha luogo quando chicomunica ha da dire qualcosa,provocando interesse e attenzio-ne in chi ascolta. La comunica-zione avviene se si determina una“differenza”. La forma informatiz-zata è affascinante, ma esauriscequesta differenza? Internet ècome una madre che promettemolto, ma risponde poco, che siguarda, ma non in cui si guarda.Allora, buttiamo via il bambino

con l’acqua sporca? Gli autori cidicono che le tecnologie informa-tiche hanno comunque il meritodi proporre un’etica della comu-nicazione. Prima di tutto nel sen-so interculturale e democratico deltermine: «la rete può essere usa-ta per aggregare le persone intor-no a interessi futili o per un con-fronto serio sui temi centrali del-l’esistenza». La comunicazionemultimediale permette un con-fronto a distanza, non violentocapace di raggiungere intese par-ziali e sia pure circoscritte, ma si-gnificative. In secondo luogo,l’etica della comunicazione siesprime in termini di prassi (ri-prendendo le suggestioni di Ha-bermas e Apel) e di netetiquette:usare l’informazione per non re-care danno ad altri; informazionecome occasione di crescita; pre-supporre il rispetto della dignitàumana degli interlocutori; segui-re le buone regole della “buonaeducazione conversazionale”. E poisenza il computer non si può sta-re: come strumento tecnico chefacilita i circuiti sociali, ma an-che come mezzo per fissare, do-cumentare il sapere. Ma è su quelsapere che occorre puntare i ri-flettori. La scuola deve fare i conticon l’uso tecnologico dei mezzimultimediali, senza feticismi.

[S. V.]

Daniele Novara, LorellaBoccalini,Tutti i grandi sono statibambini, Edizioni GruppoAbele, Torino 2000,pp. 252, L. 22.000

Come afferma Furio Colombo nel-la prefazione, «il diritto dei bam-bini nasce e muore nel pensiero,nella cultura, nella pratica, nelleistituzioni (degli adulti) e nellavita quotidiana». La Convenzione,approvata dall’Onu nel 1989 e ra-tificata da quasi tutti gli Stati(esclusi Usa e Somalia!), stabili-sce gli standard minimi di vita perl’infanzia del mondo. Riuscirà maia diventare operativa ed effica-ce? È una sfida da vincere anchesul piano culturale, sensibilizzan-do a1 tema gli stessi bambini.Il libro si rivolge agli educatori,ma suggerisce itinerari ed attivi-tà che coinvolgono direttamentei bambini. Nell’appendice infatti,oltre al testo ufficiale della Con-venzione, c’è anche una sua rifor-mulazione semplificata, realizza-ta da un gruppo di bambini in-glesi. Molto interessante l’elencodi “nuovi diritti” individuati daGianfranco Zavalloni: diritto al-l’ozio, all’uso delle mani, agli odo-ri, a sporcarsi, a un buon inizio(cibo, aria, acqua puliti), alla stra-da, alla vita selvaggia, al silenzio

ed alle sfumature. Sono dirittinegati soprattutto nelle nostre so-cietà tecnologiche, urbane, arti-ficiose ed efficientiste, dalle fa-miglie iperprotettive e dallo stu-dio troppo faticoso e verbalisti-co. Speriamo che le pagine ad essidedicati aiutino a prendere co-scienza della loro importanza!Gli otto capitoli principali riguar-dano temi più drammatici, conmaggiori implicazioni politiche:istruzione, fame e miseria, sfrut-tamento minorile, abuso sessua-le, trascuratezza e abbandono,partecipazione alle decisioni col-lettive, rispetto delle minoranze,guerra. In quest’ultimo capitolo,da segnalare la bella poesia dellapoetessa polacca W. Szymberska,premio Nobel per la letteratura nel1996. Si intitola “Inizio e fine” ela prima strofa recita: «Dopo ogniguerra/ c’è chi deve ripulire./ L’or-dine, seppur approssimato, certonon viene da solo». È un’amaradenuncia dell’estrema arroganza diogni guerra, resa ancor più attualeoggi, ma nello stesso tempo su-perata, dalla svolta epocale rap-presentata dall’uso dei proiettiliall’uranio impoverito: la guerramoderna, con la sua contamina-zione chimica e nucleare è tale chele zone colpite non potranno es-sere davvero ripulite forse per mi-gliaia di anni.Riguardo a certi fenomeni non sipossono attendere i tempi lunghidella crescita culturale; occorreagire subito per eliminarli, basan-dosi anche su un elementare sen-so di umanità e sul semplice buonsenso.

MINNY CAVALLONE

Gabriella Seveso,Fumette,Edizioni Unicopli, Milano2000, pp. 201, L. 20.000

Non più solo topoline, paperine,ragazze sbiadite, fidanzate o spal-le di eroici protagonisti maschi,si affacciano dalle pagine dei co-mics: sono arrivate le “fumette”.Donne spaziali, investigatrici dalfisico sinuoso, eroine dotate disuperpoteri fanno la loro appari-zione accanto a bambine ribellie troppo sagge rispetto agli adul-ti. Il mondo dell’editoria a fumet-ti si è accorto che le ragazze han-no cominciato a leggere ancheloro le strips e che pure il pub-blico dei lettori maschi apprezzaprotagoniste femminili intrapren-denti, capaci di tutto e vittorio-se. Così oggi nei comics c’è unacompresenza di vari tipi femmi-nili, che rispecchia le contraddi-zioni di una società in rapidomutamento, in cui i rapporti trai sessi sono in via di ridefinizio-ne. Restano molto stereotipate le

figure di donnine (o animalette)dei comics rivolti ai più piccoli,addirittura più tradizionali deiruoli persistenti all’interno dellefamiglie dalle quali i lettori inerba sono molto influenzati; e,quando le femminucce disneyaneottengono albi tutti per sé, lecose vanno ancora peggio, per-ché i luoghi comuni di leziositàe melensaggine in rosa si espan-dono a tutto campo (si veda ilfamigerato Minny). Al contrariole protagoniste dei comics peradolescenti propongono unamaggior varietà di tipi e più ca-pacità di trasgressione. Talvoltac’è, è vero, un semplice rovescia-mento di ruoli e il potere acqui-sito dalle donne resta uguale aquello maschile, altre volte leeroine si impongono conservan-do e esaltando caratteristichefemminili vincenti. Alcune di essesono create e disegnate per unpubblico di maschi, tanto dotatedi sex-appeal e super-accessoria-te di tutto da proporre un mo-dello femminile inarrivabile eperciò frustrante per le ragazze,ma forse rassicurante per i gio-vani maschi che possono incon-trare e amare una tale superdon-na all’interno della tranquillizzan-te cornice della pagina e nondoverci fare i conti nella realtà.Altre però sono più caratterizza-te psicologicamente, più calatein situazioni particolari, più con-traddittorie e umane e nate nel-la penna dei disegnatori e neiprogetti editoriali proprio per leragazze. Comunque, dove le pri-me attrici sono donne ci sono piùinterrogativi e meno situazioniscontate sulle identità di generee sui rapporti tra donne e uomi-ni. Anche nelle avventure piùconnotate in senso commercia-le, sottesi o espliciti, appaiono itemi della società tecnologica delfuturo (già presente), della ma-nipolazione dei corpi e della ma-ternità tecnologizzata, dei rap-porti tra generazioni (l’adole-scente Gea, non a caso orfana,alla ricerca di un modello adultodi cui però teme l’invadenza),delle relazioni tra donne, del con-fronto con i portatori e le porta-trici di diversità. Tutto questo emolto altro che c’è dietro le don-ne di carta e le loro storie è ana-lizzato con grande attenzione inquesto libro, che spazia da ap-profondimenti sociologici e psi-cologici alle tematiche degli studidi genere, alla storia dell’educa-zione, ai rapporti dei comics concinema, televisione e videogiochi.L’analisi è molto precisa, informa-ta, interessante, e dà luogo a deiveri mini-saggi sulle protagonistee sugli spunti che le storie offro-no.

M. L. G.

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leggere negli anni verdi

Naftali il narratoreGIUSEPPE PONTREMOLI

Sono passati quasi dieci anni, edecco che finalmente ritorna in libreria ungrande libro. Un grande libro del gran-dissimo Isaac Bashevis Singer. Si trattadi Naftali il narratore e il suo cavallo Suse altre storie, che la Salani rimette ora incircolazione con l’aggiunta, rispetto allaprima edizione del 1992, di una ulterioreleccornia: una inedita bellissima sovra-coperta di Fabian Negrin.Questo libro è semplicemente una mera-viglia, giacché contiene otto racconti fe-licemente riassuntivi dei registri di Sin-ger: dalle buffe, divertentissime storiedegli sciocchi di Chelm alle memorie d’in-fanzia, tra cheder e shtetl; dal cimento conl’attesa del Messia alle inquietanti inter-ferenze di folletti e demoni; dagli echibiblici allo snodarsi del quotidiano; dallamaterialità del sentire alla magia del rac-contare.Sono tutte storie già conosciute, e nonsolo perché qui solo ristampate, ma ancheperché tutte contenute nei due splendidivolumi di Storie per bambini pubblicatinella collana “Contemporanea” di Monda-dori per l’ottima traduzione di RiccardoDuranti. Niente di nuovo, insomma, eppu-re questo libro ha un merito in più, quellodi porre in evidenza una storia speciale,quella che dà il titolo all’intero libro, Naftali il nar-ratore e il suo cavallo Sus.La storia è molto semplice, e narra nulla più che ilpercorso di Naftali, bambino ragazzo giovane adul-to. Un percorso semplice, senza eventi speciali, con-trassegnato da una sola passione, la passione per lestorie, per il leggere e il raccontare. A Naftali piace-vano molto le storie, e non voleva mai dormire sen-za che la madre gliene avesse raccontata almenouna. I genitori si lamentavano di questa sua pas-sione, ma entrambi in qualche modo sapevano sod-disfarla. Quando ebbe imparato a leggere affrontòavidamente i pochi libri incontrati a scuola, ma so-prattutto fu colpito da quelli che portava Reb Ze-bulun, un libraio ambulante che arrivava in paesedue volte all’anno. E così, una volta cresciuto, deci-se di non intraprendere il mestiere di vetturino delpadre, ma di utilizzare gli apprendimenti comunqueconseguiti nella cura del cavallo per andare in giroa raccontare.La storia è tutta qui, senonché almeno un paio dielementi ne fanno una storia straordinaria. Prima ditutto la lingua che la racconta e la centralità delle

storie. Una lingua asciutta, essenziale, al dilà di ogni tempo e di ogni luogo. «Quandoun giorno è passato, non c’è più. Che cosane rimane? Niente più di una storia. (...) Ilmondo intero, l’intera vita dell’uomo, sonoun’unica, lunga storia».Il secondo elemento è il rifiuto dell’antropo-centrismo, con una connotazione specificache fa di questo racconto, compiutamente“singeriano”, un racconto tolstoiano. Ognivolta che lo rileggo non riesco a non asso-ciarlo a Tre morti di Tolstoj, quel prodigiosoracconto in cui le tre morti, di eguale impor-tanza, sono quelle di un uomo, di una donnae di un albero.«Quella primavera accadde un evento cheNaftali aspettava e al tempo stesso temeva.Sus si ammalò e smise di brucare. Fuori splen-deva il sole, e Naftali lo aveva condotto apascolare là dov’era spuntata una fresca er-betta verde, punteggiata di fiori. Sus s’eraaccucciato nel sole e aveva osservato erba efiori, ma senza mettersi a brucare. Dai suoiocchi traspariva una certa immobilità, la tran-quillità della creatura che ha compiuto i suoianni ed è pronta a concludere la propria vi-cenda terrena. E un pomeriggio, uscito a dareun’occhiata all’amato Sus, Naftali vide cheera morto. Non riuscì a trattenere le lacrime.Quell’animale era stato parte della sua vita.

Gli scavò una tomba non lontano dalla quercia do-v’era morto, e lo seppellì. A segnalare la tomba,piantò nel terreno la frusta che non aveva mai usa-to, dal manico di quercia. E, stranamente, qualchesettimana più tardi Naftali si accorse che la frustasi era trasformata in un arboscello. Il manico avevamesso radici nella terra dove giaceva Sus e avevacominciato a mettere foglie. Sopra Sus crebbe unalbero, una nuova quercia, che traeva alimento dalcorpo del cavallo».Quando anche Naftali morì, venne sepolto, asse-condando il suo desiderio, sotto la giovane querciacresciuta sulla tomba di Sus e i cui rami già tocca-vano quella vecchia. E sulla lapide vennero incise leparole «Amabili e piacevoli, in vita come in mortenon furono divisi», le parole che nel biblico secon-do libro di Samuele sono riservate a Davide e Gio-nata.«Sì, le singole creature muoiono, ma ciò non ponefine alla storia del mondo. Tutta la terra, tutte lestelle, tutti i pianeti e tutte le comete rappresenta-no un’unica storia divina, una fonte di vita, un rac-conto infinito e meraviglioso». ●