Col Tempo Sai

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1 COL TEMPO SAI di DAVIDE DEL DUCA “non so dirti come e quando ma vedrai che cambierà.” L. Tenco, Vedrai vedrai Mio nonno diceva:«Se una canzone ti fa sussultare il cuore vuol dire che avete qualcosa in comune. La melodia, le parole, qualcosa che ti ritornerà in mente quando meno te lo aspetti, facendoti sentire soltanto un attore in un progetto più grande». Talvolta una canzone può diventare il sottofondo alle nostre azioni e senza accorgercene può spingerci a seguire sentieri per ritrovare noi stessi. Ma così come finisce una canzone finisce un racconto, quello che segue è un breve tratto di silenzio per poi passare ad un'altra traccia o a girare pagina. BUON COMPLEANNO DELIA «Dai, apri il regalo.» Delia afferra la busta lucida sul tavolino in vetro e mi guarda con un sorriso. «Cosa fai, non lo apri?» Fruscio di carte e un cofanetto nero poggiato sulla tovaglia accanto ai piatti sporchi della cena. Delia lo apre chinandosi con la testa come se volesse guardare meglio. «Grazie Leo, sono stupendi.» Due anelli sottili colore argento. «Avevo pensato che dopo un anno che stiamo insieme potevano, non so… renderci speciali». «Speciali…» Delia mi bacia, si siede sulle mie gambe e mi sussurra all'orecchio: «Lo sai che un anello è una cosa seria? Sembra stupido ma è un grande gesto d’amore». Sono avvolto nei suoi capelli poggiati tra i miei mentre lei guarda fuori dalla finestra. Abbassa lo sguardo. Sta pensando. «Dove saremo tra dieci anni?» mi chiede. «Non lo so. Forse saremo i ricchi proprietari di una villa dell’Arizona, forse non arriveremo a fine mese o semplicemente saremo così, come siamo ora». «Dai, lo so che è presto, ma non immagini dei bambini, il futuro; il nostro futuro come te lo immagini?» «Non so rispondere, sul serio, non ci riesco. Vorrei dirti tante cose ma tu lo sai che bisogna prima trovare un lavoro per fare progetti». «Leo, questi non sono progetti ma solo speranze». «Si può sperare solo quando hai una base solida su cui puoi contare». Delia mi guarda irrigidendo la schiena. «Cosa intendi per “base solida” Leo?» «Se si parla di trovare lavoro, una base solida è una buona laurea o una buona raccomandazione». «Tu hai una raccomandazione?» «No» «Hai una buona laurea?» Non rispondo. Evito il suo sguardo. Stavolta sono io che guardo fuori. «Allora non hai progetti e neanche speranze».

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COL TEMPO SAI

di DAVIDE DEL DUCA

“non so dirti come e quandoma vedrai che cambierà.”

L. Tenco, Vedrai vedrai

Mio nonno diceva:«Se una canzone ti fa sussultare il cuore vuol dire che avete qualcosa in comune. La melodia, le parole, qualcosa che ti ritornerà in mente quando meno te lo aspetti, facendoti sentire soltanto un attore in un progetto più grande».

Talvolta una canzone può diventare il sottofondo alle nostre azioni e senza accorgercene può spingerci a seguire sentieri per ritrovare noi stessi. Ma così come finisce una canzone finisce un racconto, quello che segue è un breve tratto di silenzio per poi passare ad un'altra traccia o a girare pagina.

BUON COMPLEANNO DELIA

«Dai, apri il regalo.» Delia afferra la busta lucida sul tavolino in vetro e mi guarda con un sorriso. «Cosa fai, non lo apri?» Fruscio di carte e un cofanetto nero poggiato sulla tovaglia accanto ai piatti sporchi della cena. Delia lo apre chinandosi con la testa come se volesse guardare meglio.

«Grazie Leo, sono stupendi.» Due anelli sottili colore argento.«Avevo pensato che dopo un anno che stiamo insieme potevano, non so… renderci

speciali».«Speciali…» Delia mi bacia, si siede sulle mie gambe e mi sussurra all'orecchio: «Lo sai che

un anello è una cosa seria? Sembra stupido ma è un grande gesto d’amore». Sono avvolto nei suoi capelli poggiati tra i miei mentre lei guarda fuori dalla finestra. Abbassa lo sguardo. Sta pensando. «Dove saremo tra dieci anni?» mi chiede. «Non lo so. Forse saremo i ricchi proprietari di una villa dell’Arizona, forse non arriveremo a fine mese o semplicemente saremo così, come siamo ora».

«Dai, lo so che è presto, ma non immagini dei bambini, il futuro; il nostro futuro come te lo immagini?»

«Non so rispondere, sul serio, non ci riesco. Vorrei dirti tante cose ma tu lo sai che bisogna prima trovare un lavoro per fare progetti».

«Leo, questi non sono progetti ma solo speranze».«Si può sperare solo quando hai una base solida su cui puoi contare». Delia mi guarda

irrigidendo la schiena. «Cosa intendi per “base solida” Leo?»«Se si parla di trovare lavoro, una base solida è una buona laurea o una buona

raccomandazione».«Tu hai una raccomandazione?»«No»«Hai una buona laurea?»Non rispondo. Evito il suo sguardo. Stavolta sono io che guardo fuori.«Allora non hai progetti e neanche speranze».

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«Non dire così… A novembre mi laureo. Poi si vedrà».«Certo con una laurea in lettere…»«Lettere moderne»«…farai strada nella vita. Graduatorie infinite, supplenze saltuarie e stipendio da fame.

Guarda tua sorella! Io ancora non capisco perché non hai preso Economia o Giurisprudenza. Avresti potuto almeno provarci».

Sussurro annoiato: «Ricominciamo…» «Eh, ricominciamo! Rispondi almeno! Perché non hai scelto altro?»Silenzio. Continuo a guardare fuori.«Non sai neanche rispondere. Sei troppo insicuro, Leo, troppo…» Delia abbassa lo sguardo,

toglie piatti e tovaglia. È vicino alla cucina e mi dà le spalle. Io mi alzo e mi avvicino a lei.«Non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene» l’accarezzo sul viso «poi non serve

lamentarsi del passato. Guarda al futuro…»«Leo ti devi svegliare, trova qualcosa, un lavoro. Io non voglio un uomo insicuro ma

qualcuno su cui poter contare. E poi, rovini sempre tutto...» Porto un braccio sulla sua spalla ma lei si divincola, accende la TV ed incomincia a

sciacquare i piatti.«Su, non fare così» Delia con il telecomando alza il volume.«Delia!» Rumore di piatti che sbattono più forte.È brutto sentirsi messo da parte. Nell’universo quotidiano ogni cosa ha un proprio spazio e

ricopre un ruolo ben preciso: i piatti, il telecomando, il televisore, le luci della strada. Sono inutile. Sento un vortice indefinito, come se un processo di autodistruzione stesse partendo dal centro dello stomaco per propagarsi verso gli arti e divorare tutta la stanza, la periferia, la serata estiva. La volontà di annullarsi.

Faccio un passo indietro e dico: «Ho capito. Scusami». Seguo il corridoio buio, apro la porta di casa ed esco mentre il suono del televisore d'un tratto si ferma. Scendo le scale del condominio nel suono dei miei passi. Buon compleanno, Delia. Domani sarà acqua passata, soltanto uno dei tanti litigi e niente più.

Mi immergo nel buio delle scalinate.Col tempo sai, tutto scompare.

CENTODIECI E LODE

«Tanti e tanti auguri! Centodieci e lode. Che nipote che ho!» zio Franco mi stringe il braccio intorno al collo e mi dà un bacio sulla guancia. «Grazie, zio»

«Senti un poco… ma se con la triennale sei dottore, con la specialistica che diventi ‘primario’?»

«Ah ah.» In ogni famiglia che si rispetti c’è almeno uno zio addetto alle battute idiote.«A parte gli scherzi, ma con la laurea in Lettere puoi almeno lavorare alle poste?»«Ah ah.» Stavolta si è superato. Fuori dall’università c’è tanta gente e molti parenti. Le mie cugine si avvicinano, mi danno

gli auguri e i regali. Le mie zie sono pronte con i bacetti. Zia Lina tra uno schiocco e l’altro dice: «Ti auguro tanta fortuna perché con i tempi che

corrono ne hai bisogno.» Anche zio Paolo contribuisce agli auguri: «Hai sentito? In Europa il tasso della disoccupazione è cresciuto del sette per cento. Come dovete fare voi giovani?» Zia

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Lina rincara la dose:«Mi raccomando, non restare indietro sennò ti fregano il posto. Tanto lo sai come funziona… le raccomandazioni».

È una congiura. Non ci credo. Ad una laurea nel duemilaotto non si dovrebbe mai parlare di lavoro. Non sono uno scansafatiche ma c’è bisogno di tirare il respiro. Come parlare di malaria nella zona nido di un ospedale del Burundi: sai che non ce la faranno tutti. Tra l’altro devo studiare per altri due anni di specialistica. Se è bene non fare i conti senza l’oste, qui mi pare che l’hanno pagato senza consumare.

Le pugnalate non sono terminate. Al richiamo non resiste mio cugino Renato: «Quella è colpa dei sindacati! Chi è che ha permesso il precariato? Qua dobbiamo reagire e spaccare il muso a qualcuno! Pure voi universitari non fate niente mentre vi trattano come pezze».

Un attimo. Precario… La parola "precario", dicono certi vocabolari etimologici, viene dal latino e significa “ottenuto con la preghiera”. Questo vuol dire che se non sei credente, non sai pregare o non te l’hanno insegnato, non lavori. La preghiera fatta per convincere. Il lavoro come un favore. Io non sono un bravo oratore né tantomeno un giornalista televisivo, perciò dovrei imparare a salmodiare o a vivere in povertà evangelica, con la fede che un giorno ritorni il lavoro sulla terra ad annunciare la fine della schiavitù e il suo regno non avrà fine.

Arriva mio padre con la macchina fotografica. È il momento delle foto. Cerco Delia con lo sguardo, la vedo parlare con le mie sorelle. Sorride. Sembra felice. Le faccio segno di raggiungermi. Ci mettiamo in posa per la foto mentre sento i parenti parlare in disparte.

Certi momenti arrivano e vanno via senza neanche darti il tempo di rendertene conto. Ora tocca ai cugini e al resto della famiglia. Arriva anche il piccolo gruppo di amici

dell’università che rivedrò più o meno tutti alla specialistica di Filologia. Abbracci, baci. Sono in un mare di gente e inizio a perdermi. Mal di testa da folla. D’un tratto sbuca mia sorella con dei fiori gialli, una macchia tra abiti autunnali. «La corona d’alloro non l’ho trovata. Mi dispiace, Leo».

«Non fa niente. Tanto non sono un generale, non sono un saggio, non sono un poeta e non ho la laurea completa. Vanno benissimo. Grazie».

«Leo, mai dire mai. In una famiglia di letterati almeno uno scrittore deve esserci» dice mia sorella.

Guardo aldilà della calca di gente che mi opprime. Se ora ci fosse nonno Tobia, lui avrebbe capito. Aveva sempre qualcosa da dire, una frase giusta, una parola ma anche solo un bigliettino di auguri con una calorosa stretta di mano. Lui mi avrebbe capito. I veri scrittori sanno sempre cosa dire. Io…

Non vedo Delia.«Che belli!» Delia sbuca dalla folla venendomi incontro.Rispondo:«Si ma non quanto te».Girasoli in regalo e Delia vicino: un impeto di felicità.Col tempo sai, tutto va bene.

LA VIGILIA DI CARNEVALE

Sono sotto casa di Delia, l’aspetto in auto. Tra qualche minuto dobbiamo incontrare alcuninostri amici per festeggiare la vigilia dell’ultimo giorno di Carnevale. Festa in maschera ed ionon avendo trovato altri abiti a casa, ho dovuto noleggiare uno splendido vestito da pagliaccio. Clown, proprio quelli dei circhi con il calzone a righe e la ciambella intorno alla vita. La punizione per il ritardo. L’unica maschera che mi stava.

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Fa un freddo maledetto. Faccio uno squillo a Delia perché siamo in ritardo. Nell’attesa seguo con lo sguardo i bambini in maschera accompagnati dai genitori a passeggio per le strade.

La portiera si apre. Entra Delia e le dico:«Lo so, sono ridicolo. La parrucca non l’ho messa. Il naso rosso può bastare». Delia non è in maschera e le chiedo: «Stai poco bene?»

«Senti Leo…»«Se non ti va possiamo chiamare e avvisarli che…»«No, devo dirti una cosa.» Fa un respiro profondo, guarda in un angolo.«Si». Delia ha un’espressione diversa.«Io e Mario… l’avvocato del tirocinio» gesticola troppo «io…» chiude gli occhi «stiamo

insieme da due mesi. Ecco». I miei occhi puntano il suo volto basso. Non guardo lei ma quello che c’è oltre. Sono

incantato dal forte battito del cuore. Un tamburo, un peso che impedisce di tirare il fiato. In apnea sul fondo dell’oceano.

Delia resta ferma per un po’, apre lo sportello, lentamente, in silenzio, come quando si lascia una camera ardente, se ne va muta.

Un battito più forte mi fa riemergere. Sono non del tutto padrone del mio respiro. Delia se ne è andata e non ho fatto niente, non ho detto niente. Ormai è già salita a casa e non ho neanche cercato di fermarla per… niente, non ho fatto niente.

Forse aveva ragione: l’insicurezza rende l’uomo spettatore. Io non agisco. Agire per cambiare l’esistenza degli altri o la propria, diventare protagonista. Non agire e restare sedutia guardare nella fila di mezzo; in un immenso teatro c’è un unico spettatore. Metto in moto l’auto.

Un vuoto di pensieri.Accendo lo stereo, c’è un cd inserito. Un tappeto lineare e delicato di pianoforte. Una mano

che accarezza i tasti, una voce lenta quasi un fremito. Mi sento leggero.Un vuoto di pensieri.Proseguo lungo la strada che sembra trasformarsi già in un ricordo, un vecchio filmato dalla

pellicola rovinata con macchie più scure, volti conosciuti che perdono fattezze.Un vuoto di pensieri.Il cielo che diventa bianco, il cielo che diventa grigio come se la tonalità dominante di

febbraio nuvoloso avesse oltrepassato il confine, e come un morbo, aggredito ed infettato il resto delle sfumature: è l’inverno, è l’inverno nel cuore.

Col tempo sai tu non ami più.

HO INCONTRATO NONNO TOBIA

Non so dove andare, torno a casa. Nessuno, sono usciti tutti. Mi cambio e torno nei miei vestiti. La maschera da clown sembra lo scherzo di una mano invisibile, di qualcuno che mi osserva. Giro per la stanza, perdo spesso il senso del mio corpo, i pensieri altrove ed è quasi sera.

Delia...Se ora ci fosse nonno Tobia, lui avrebbe capito. Nonno, l’uomo che preferiva gli orologi a

lancette perché il tempo si deve vedere e non leggere. Lui mi avrebbe capito.Vado nello studio di mio padre dove nella libreria ci sono libri scritti da nonno: storia locale,

poesie, saggi. Sono stati sempre in quel luogo, non toccati da nessuno, impolverati; perché i libri anche senza aprirli ci insegnano l’arte della pazienza, abituati a sguardi che passano

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oltre, stare senza muoversi aspettando una mano che li apra e gli accordi il permesso di parlare. Ho attraversato molte volte questa stanza ma non ho mai fermato l’attenzione.

Squilla il cellulare, lo spengo e afferro un libro più sporgente degli altri. Un piccolo saggio, se non sbaglio, stampato solo per gli amici stretti del nonno. Non fu mai inviato a nessunacasa editrice. Leggo le ultime pagine dell’introduzione:

“Si dice che la scrittura sia un dono divino ma solo il ricordo ci rende immortali. Questo mio breve saggio vuole essere testimonianza della malattia di scrivere di uno tra i più grandi pensatori dell’antichità: Seneca il giovane, estenuante ricercatore di saggezza. Dai miei studi sulle ‘lettere a Lucilio’ credo di aver capito che la regola basilare per scorgere anche solo un barlume di felicità, sia quella di non preoccuparsi del futuro: un insegnamento protratto nei secoli e racchiuso in alcuni detti popolari. La saggezza è accessibile a tutti.”

Esiste un manuale pratico per seguire la via giusta? Non preoccuparsi del futuro. Noi corriamo verso il futuro, una sola direzione: come guidare in auto bendati. Sospiro.

Guardo negli scaffali in alto tra quaderni e fogli sparsi. Prendo un'agenda in cuoio: appunti scritti a mano. Ne leggo alcuni scorrendo le dita tra poesie, riflessioni sul senso del vivere osemplici ricordi. Tra le tante uno scritto su un foglio più chiaro:

“La maggior parte degli scrittori sono degli eterni indecisi. Si mostrano insicuri con gli altri e soprattutto con sé stessi con cui passano la maggior parte della giornata a pensare sul giusto o sbagliato. Ma cos’è l’indecisione se non il bisogno di ricercare sicurezze? Il vero scrittore è innanzitutto un pensatore. Le insicurezze sono come una calma pioggia estiva su piante agonizzanti; un concime indispensabile per crescere. Perché se sono insicuro, vuol dire che so che c’è di meglio. È un’insicurezza coscienziosa non accompagnata da travagli negativi, solol’accettare serenamente la dinamicità dell’essere.

E prima o poi la farò la mia scelta ma lo stato di certezza durerà ben poco perché ci sarà sempre qualcosa su cui riflettere nuovamente. Un uomo sempre sicuro di sé è un uomo che non pensa e che non esiste.”

Lo rileggo. Sfoglio avanti e dietro cercando un rimando, ma nulla. Lo rileggo. Non credo alle coincidenze.

Faccio un respiro profondo e giro intorno con imbarazzo. Forse nonno è in questa stanza e ha guidato la mia mano alla ricerca della risposta. Nonno Tobia diceva che se una risposta fa nascere almeno cinque domande allora è una vera risposta. Infatti ho la testa in subbuglio.Quanto si può capire di un uomo leggendo solo i suoi appunti…

Ho una sensazione diversa; sono completamente rilassato come se fossi stato in raccoglimento da anni o secoli sotto una montagna e ora uscire e restare abbagliato dai riflessi della luce e stupirmi dell’immensità di un lago. Una nuova percezione che si stabilizza ogni minuto in più restando immobile. Annullo ogni inquietudine e prendo coscienza di me. Allora il senso è questo…

Io non sono un debole e la scrittura è un dialogo con i morti che non vogliono tacere.

COME FAR RIVIVERE QUALCUNO

È una delle poche notti che riesco a dormire senza interruzioni. L’insonnia che mi ha tormentato per mesi si è presa una giornata di svago: è l’ultimo giorno di Carnevale. Ripenso alle letture di ieri e sento il bisogno di andarlo a trovare.

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È quasi mezzogiorno. Sto per entrare nel cancello sovrastato dalla scritta “expecto donec veniat immutatio mea” quando mi rendo conto che oggi è un giorno festivo. Sto per tornare indietro ma il cancello è aperto. C’è un volontario del servizio civile.

Nonno Tobia riposa sottoterra al fianco di mia nonna in un piccolo campo erboso dietro un grande edificio di loculi. È da un molto tempo che non venivo a trovarlo: lo scorso novembre non venni per non so quale motivo. Sto per posare i fiori sulla lapide. L’epigrafe porta una citazione incisa ormai da tre anni: “Solo l’amare, solo il conoscere conta. P.Pasolini.” In quella frase riemergono le tante voci del ricordo d’un tratto più chiare.

Nonno, una volta mi disse, a proposito di mia sorella innamorata di un certo Gianni, che l’amore non è eterno e non potrà mai esserlo, poiché è troppo legato a questa vita passeggera, ma i frutti dall’amore possono resistere perché godono di una vita nuova.

Ho le mani strette nelle tasche per il freddo e gli occhi nella foto di nonno sorridente.A diciotto anni partecipai al concorso di poesia della scuola, prima del giorno della

premiazione non feci vedere a nessuno quella poesia. Non vinsi però nonno, venendo a sapere del mio vano tentativo, volle leggerla comunque e con un commento esagerato e un abbraccio m’incitò a continuare a scrivere perché così potrò essere ricordato, non importa se sono in pochi, è un tentativo ad essere immortali. Mi scappa un sorriso.

Solo io so quanto fu felice dopo aver saputo della mia iscrizione alla facoltà di lettere e filosofia. Non mi sono mai accorto che quell’abbraccio fu il suo modo di farmi capire che era con me. Ora è al mio fianco e sento il suo sguardo di fiducia; impressione quasi indicibile che cerco di tenere ferma in gola.

C’è una donna anziana ricurva su una lapide che ripulisce il marmo dai fiori caduti.Nonno amava scrivere e il frutto del suo amare sono le pagine dei suoi libri ed io sono il suo

prosecutore. Spero di esserlo. Riprenderò a scrivere perché mi piace illudermi di tornare indietro. Scriverò, se non l’ho fatto prima con impegno è perché mi hanno detto che i libri non danno da mangiare e se non hai il pane non hai la forza di tenere in mano una penna. Ma che importa. L’incertezza positiva è il punto di partenza dello scrivere. L’amore autentico per la scrittura dona eternità e una frase può cambiare il mondo così come può alterare i palpiti di un uomo anche solo per un istante. Vale la pena rischiare.

C’è solo un modo per cambiare le cose o far rivivere qualcuno.

ETERNA MERAVIGLIA

Ormai l’intera città è in preda al carnevale. Sono costretto a seguire la strada più lunga per giungere con l’auto a casa. Non mi dispiace, il rumore ovattato nell’abitacolo mi rassicuratenendomi al riparo dal vento gelato che investe gli spazi più aperti alla campagna.

Giunto sotto casa, prendo le chiavi per aprire il portone.«Leo, ciao»Alle spalle una voce, la sua voce. Mi volto.«Ciao Delia.» Risposta secca quasi mormorata.«Non rispondi al cellulare. Davvero, ho pensato il peggio». Faccio un gesto con la testa

socchiudendo gli occhi. Resto zitto.«Poi non hai detto niente… lo so che non c’è da dire niente però non volevo che andasse

così». Delia si passa una ciocca dei capelli neri dietro l’orecchio. Faccio un sospiro e le dico parlando con lentezza: «Guarda, non è necessario, tu non devi…»

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«Non sono scuse. Volevo solo che tu capissi». Distende le mani aperte. «Io… tutti dobbiamo avere delle sicurezze. Soprattutto oggi che viviamo tempi difficili. Chi non ha le idee chiare viene tagliato fuori. Non voglio che accada a te. E… con te non mi sentivo al sicuro».

Giro la testa in senso di disapprovazione.Lei continua parlandomi negli occhi:«Ti auguro di trovare la tua strada. Sul serio, Leo, sei

una brava persona». Mi appoggio con le spalle al muro, la testa abbassata.«Perché non parli? Cosa pensi? Leo…»Tiro un respiro profondo; come tirare un grande sasso:«Ho riflettuto su alcune cose. Non

l’ho capito subito ma la risposta che cercavo già la conoscevo, è maturata col tempo. Per quanto possa essere inutile la mia laurea, per quanto sappia che il mio futuro non è dei migliori... Io scrivo, Delia, si. Al giorno d’oggi sembra una malattia ma è così. Ho davvero tanto da imparare, forse tutto ma è l’unico modo per cambiare il tempo. Corre troppo ed ho una gamba sola ma non importa. Io, sto a guardare».

«Ma cosa dici….»«Stare con te era troppo reale. Non posso vivere con il pensiero ossessivo della ricerca del

denaro, del futuro. M’impegno nel costruirlo ma ricordarmi sempre l’inutilità del mio percorso… Ogni cosa ha bisogno del suo tempo. Tu sei sicura di te perché hai trovato il tuo posto; ogni cosa ha un ruolo nel mondo ed io descrivo quello che vedo forse per cambiarlo, forse per dargli nuova vita o forse per dimenticarlo. Che ne so… Non mi hai mai capito».

Delia mi fissa con le labbra socchiuse.«E ora, Delia, non cerco scuse.»Entro nel portone. Le porte dell’ascensore si aprono per poi richiudersi lasciandomi allo

specchio, sotto la bianca luce del neon. Non rivedrò più Delia, lo so.E così finisce una canzone, cercando in questi luoghi un po’ di poesia, qualcosa a cui

appendersi quando si torna col ricordo a questi istanti. Così come finisce una canzone finisce un racconto, quello che segue è un breve tratto di silenzio per poi passare ad un'altra traccia o a girare pagina. Quel vuoto rimane, un segno inciso sul legno che col tempo sbiadirà e perderà i contorni ma resterà in memoria di qualcuno che ha calpestato per un attimo la nostra stessa strada.

Non so se era amore con Delia, so soltanto che se c’è stato, scomparirà... Ma io vogliosmettere di dimenticare tutto.

La canzone preferita dal nonno di Leo Ferré diceva “col tempo tutto se ne va”: la costante emozione di un anniversario, il ritorno di un vecchio amico, la delicata neve di marzo, la prima volta, l’odore della casa al mare, non possono andare via perdendo col tempo la loro carica emotiva.

Certe cose non si devono dimenticare.L’amore ha molte forme, per questo ogni volta che qualcosa o qualcuno dona un’emozione

buona, ha il merito di durare in eterno nella scrittura. Chi scrive in fondo ama la vita, non vuole dimenticare niente o desidera che una storia abbia un finale diverso, solo per cercare di avere un qualche potere su una vita andata male. Anche un pensiero, nel momento in cui è pensato, fa parte del passato, quindi, del ricordo.

Forse siamo davvero immortali e la scrittura è qui per risvegliarci dalle dimenticanze che affliggono costantemente la nostra memoria.

C’è qualcuno, magari in questo preciso momento proprio nella stanza accanto, che prova a riportare in vita un ricordo tracciandolo timidamente sulla carta. Quella carta si fa ricordo, il ricordo prende forma alla fine di una frase, ritorna per fare compagnia pochi minuti prima di

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dormire, perché c’è sempre qualcosa che acquista col tempo un nuovo incanto, una nuova vita.

Bisogna scrivere per scoprirsi il cuore pieno di meraviglie.