Cass.Sez. III n. 6621 del 12 febbraio 2014

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DEPOSITI- A IN CANCELLERAI 791'$ LLIERE 6621/14 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta da Aldo Fiale Renato Grillo Luigi marini Vito Di Nicola Alessandro Maria Andronio - Presidente - - Relatore - Sent. n. 3454 sez. UP - 04/12/2013 R.G.N. 38415/2013 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da SICCARDI GIOVANNI, nato a Mondovì il 16/09/1955 avverso la sentenza del 07/01/2013 del Tribunale di Mondovì visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola Lettieri, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente ai concessi benefici; rigetta nel resto. udito per l'imputato l'avv.

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L’alimento contaminato è ancora in stagionatura? Per la Cassazione è reato. La sentenza di Cassazione Sez. III n. 6621 del 12 febbraio 2014 interviene in materia di alimenti segnando ad ampio raggio i contorni di una frode tossica riconducibile alla presenza di tossine stafilococciche in un formaggio di malga ancora in fase di stagionatura.

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DEPOSITI-A IN CANCELLERAI

791'$

LLIERE

6621/14 REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Aldo Fiale

Renato Grillo

Luigi marini

Vito Di Nicola

Alessandro Maria Andronio

- Presidente -

- Relatore -

Sent. n. 3454 sez.

UP - 04/12/2013

R.G.N. 38415/2013

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

SICCARDI GIOVANNI, nato a Mondovì il 16/09/1955

avverso la sentenza del 07/01/2013 del Tribunale di Mondovì

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola

Lettieri, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza

impugnata limitatamente ai concessi benefici; rigetta nel resto.

udito per l'imputato l'avv.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 7 gennaio 2013, il Tribunale di Mondovì

ha condannato Siccardi Giovanni alla pena, condizionalmente sospesa, di

5.000,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per

il reato di cui agli artt. 5 lett. d) e 6, comma 3, legge 30 aprile 1962, n. 283

per avere, nella qualità di legale rappresentante del caseificio "Cooperativa

Frabosa soprana", detenuto per la vendita sostanze alimentari insudiciate,

invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive (partita di

formaggio Raschera di alpeggio nel quale era rilevata la presenza di

ente rotossina stafilococcica).

Il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità

dell'imputato sulla base della documentazione amministrativa in atti e

dell'esame dei testi, essendo risultato che, nel corso di un controllo ordinario

eseguito in via amministrativa dal personale della A.S.L. presso il caseificio

della "cooperativa Frabosa Soprana" venne trovata una partita di formaggio

Raschera di alpeggio (una forma di formaggio, dalla quale vennero prelevate

cinque unità campionarie) risultata a seguito delle analisi effettuate

dall'Istituto zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, contaminata

da enterotossine stafilococciche.

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza ha proposto ricorso per

cassazione il difensore dell'imputato, affidando le doglianze a sette specifici

motivi di gravame.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione degli

articoli 42 e 43 cod. peri. (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.)

nonché mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione (art. 606,

comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).

Si sostiene che l'imputato svolgesse, all'epoca del controllo effettuato

dai vigili sanitari dell'ASL, esclusivamente le funzioni di presidente della

cooperativa, occupandosi delle sole attività di rappresentanza e delle attività

amministrative senza alcuna ingerenza, come emerso dalla testimonianza

resa dalla dipendente Almini, nelle attività di produzione, affidate ad una

persona specificamente preposta allo svolgimento di tali mansioni, ed a nulla

rilevando dunque la circostanza, pure valorizzata dalla sentenza impugnata,

per la quale, in mancanza di prova del conferimento della delega a terze

persone e in mancanza di prova circa la complessità della struttura

aziendale, dovesse comunque ritenersi provata la responsabilità penale del

ricorrente.

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A tale proposito, deduce come nei reati a soggettività ristretta, quale

quello contestato all'imputato, la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito

che il compito del pubblico ministero, prima, e del giudice, poi, sia quello di

identificare colui che abbia effettivamente svolto l'attività incriminata, in

ossequio al principio di effettività, in base al quale si riconosce la

responsabilità penale di colui che nell'ambito dell'azienda svolga realmente

ed in piena autonomia (decisionale e finanziaria) le funzioni che possono

mettere in pericolo i beni tutelati dal legislatore, gravando pertanto su dette

persone gli obblighi imposti dalla norma incriminatrice.

2.2. Con il secondo motivo di gravame il ricorrente, denunciando

violazione dell'art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., lamenta

l'erronea applicazione del Reg. U.E. 2073/05 nonché mancanza e/o

manifesta illogicità della motivazione.

Assume come erroneamente il Giudice di prime cure abbia riconosciuto

la penale responsabilità dell'imputato, ritenendo che il prodotto fosse già

pronto per la commercializzazione, laddove la normativa europea in ambito

di controlli microbiologici prescrive che la ricerca delle enterotossine

stafilococciche sul formaggio debba essere fatta sui prodotti immessi sul

mercato nel loro periodo di conservabilità.

Precisa come il requisito della "immissione sul mercato", o immissione in

commercio, sia integrato, come da un consolidato indirizzo giurisprudenziale,

anche di merito, soltanto nel momento in cui il prodotto sia uscito dalla sfera

di disponibilità del produttore e sia disponibile sul mercato, al di fuori del suo

diretto controllo, con la conseguenza che, nel caso di specie, il Raschera

sottoposto alle analisi, trovandosi ancora all'interno dello stabilimento di

produzione e sotto il diretto controllo dell'operatore, non poteva qualificarsi

come prodotto "immesso sul commercio durante il suo periodo di

conservabilità" così come richiesto dal Reg. U.E. 2073/05 e pertanto non

poteva essere sottoposto alle analisi volte alla ricerca di enterotossine

stafilococciche.

In ogni caso, si osserva che, non essendo all'epoca del campionamento

terminata la stagionatura, ben poteva il prodotto essere ancora sottoposto a

verifiche da parte della cooperativa in sede di autocontrollo.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia il vizio di mancanza di motivazione

(art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), avendo il primo giudice

inspiegabilmente ritenuto irrilevante il fatto che le cinque aliquote

campionarie fossero state prelevate da un'unica forma di formaggio e non da

più forme diverse, come invece implicitamente richiederebbe il regolamento

U.E. 2073/05 il quale postula che il campione, rappresentato da cinque

unità, sia rappresentativo, cioè sia in grado di rispecchiare adeguatamente

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tutta la partita del prodotto, tant'è che l'art. 2 lett. k) del citato regolamento,

in consonanza con altre fonti normative - citate nel ricorso, che regolano la

materia degli alimenti - definisce il campione rappresentativo come "un

campione nel quale sono mantenute le caratteristiche della partita dalla

quale è prelevato, in particolare nel caso di un campionamento casuale

semplice, dove ciascun componente o aliquota della partita ha la stessa

probabilità di figurare nel campione", con la conseguenza che non sarebbe

dato comprendere sulla base di quali evidenze il Giudice abbia ritenuto

irrilevante la provenienza delle unità campionarie da una unica forma di

formaggio.

2.4. Con il quarto motivo di gravame il ricorrente lamenta mancanza e/o

manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.

pen.) in ordine alla attendibilità del rapporto di prova, con particolare

riguardo alla fondatezza scientifica e tecnica del giudizio espresso in primo

grado, essendo il Giudice partito, ad avviso del ricorrente, dal discutibile

presupposto secondo cui eventuali irregolarità in tema di prelevamento e

analisi non determinerebbero alcuna nullità e neppure incertezza in relazione

all'approdo conseguito.

Rileva il ricorrente come le evidenze dibattimentali abbiano invece fatto

emergere la circostanza che il laboratorio avesse utilizzato per la sua analisi

la "revisione 3", laddove già era operativa la "revisione 5", ossia una

metodologia analitica migliorativa delle tecniche volte a rendere più precisi e

completi i risultati delle analisi.

A fronte di una tale evenienza, deduce il ricorrente come il giudice abbia

ritenuto di superare l'incertezza e la non univocità sui metodi di laboratorio

utilizzati attraverso l'esame testimoniale, cui aveva dato ingresso ex art. 507

cod. proc. pen., pervenendo alla conclusione che il rapporto di prova fosse

fondato sull'utilizzazione della metodologia più avanzata di revisione

("revisione 5"), attribuendo ad un errore del sistema informatico, secondo

quanto dichiarato in dibattimento dalla teste Adriano, la circostanza che il

rapporto delle analisi recasse invece l'indicazione della "revisione 3",

omettendo tuttavia di motivare perché, pur in presenza di un tale errore, il

rapporto di prova fosse attendibile o privo di altre eventuali irregolarità.

2.5. Con il quinto motivo si deduce erronea applicazione della legge

penale (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'art. 5,

lett. d), legge n. 283 del 1962) e mancanza di motivazione (art. 606, comma

1, lett. e), cod. proc. pen.).

Sostiene il ricorrente, anche alla luce di ampi riferimenti

giurisprudenziali indicati nel ricorso, come il primo giudice, avendo

condannato l'imputato per il titolo di reato relativo alla detenzione di

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sostanze alimentari nocive, abbia ritenuto integrata la fattispecie

incriminatrice sul rilievo che la presenza non consentita di enterotossine

stafilococciche negli alimenti fosse da reputarsi potenzialmente nociva, con

ciò incorrendo nel vizio denunciato di erronea interpretazione della norma

penale, in quanto la nocività di un alimento non può essere valutata, ad

avviso del ricorrente, solo astrattamente o potenzialmente, essendo invece

necessario, per l'integrazione della fattispecie, che l'alimento abbia una reale

e concreta idoneità a porre in pericolo la salute pubblica.

Sotto altro profilo, rileva il ricorrente come sussista assoluta carenza

della motivazione dell'impugnata sentenza in ordine al requisito della

nocività dell'alimento, essendosi proceduto ad effettuare solo analisi di tipo

qualitativo con la conseguenza che, in totale assenza di analisi di tipo

quantitativo, non è dato sapere di quale portata fosse l'eventuale presenza

del batterio.

2.6. Con il sesto motivo si denuncia mancanza e/o manifesta illogicità

della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo (art.

606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).

Deduce il ricorrente come la sentenza impugnata, senza individuare gli

elementi fattuali integranti il comportamento colposo asseritamente tenuto

dall'imputato, abbia fatto discendere il giudizio di colpevolezza sulla base

della mera verificazione dell'evento, laddove il giudizio di rimproverabilità

avrebbe richiesto un aggancio a comportamenti colposi specificamente

individuati, tenuto anche conto del fatto che, qualora il soggetto agente

avesse posto in essere tutti gli accorgimenti necessari, senza che fossero

state individuate eventuali manchevolezze, e ciò nonostante si fosse

verificato l'evento, non avrebbe potuto che applicarsi l'esimente della buona

fede.

Nel caso di specie, la cooperativa era dotata di un idoneo sistema di

autocontrollo e dunque era fornita di misure precauzionali volte a prevenire

e ad evitare il rischio di contaminazione, con la conseguenza che la sentenza

impugnata sarebbe carente di motivazione, anche per illogicità, laddove non

individua i comportamenti ulteriori che l'imputato avrebbe dovuto tenere per

andare esente da colpa.

2.7. Con il settimo ed ultimo motivo di gravame, sviluppato sotto

plurimi profili, il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale

(art. 163 cod. pen. e art. 6, comma 5, legge n. 283 del 1962, art. 606,

comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) nonché mancanza e/o manifesta

illogicità della motivazione (art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).

Rileva il ricorrente come, con la sentenza impugnata, sia stato concesso

il beneficio della sospensione condizionale della pena che, nel caso di specie,

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non avrebbe potuto trovare riconoscimento stante l'espresso divieto posto

dall'art. 6, comma 5 (ora comma 4) della legge n. 283 del 1986 ove viene

stabilito che in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla

salute non si applicano le disposizioni degli artt. 163 e 175 cod. pen.,

rientrando nella nozione di "frode tossica" qualsiasi fatto contravvenzionale

previsto negli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962, insidioso per se stesso

o produttivo di effetti insidiosi, da cui derivi un'attitudine della sostanza a

produrre effetti intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute

del consumatore da accertarsi in concreto.

Oltre che per i suddetti motivi, il ricorrente comunque chiede la revoca

della sospensione condizionale della pena, in considerazione della lesione

degli interessi e dei diritti che dalla concessione a lui deriverebbero, tanto sul

rilievo che, essendo intervenuta condanna alla sola pena pecuniaria della

ammenda, la concessione del beneficio costituisce per l'imputato motivo

ostativo o comunque di significativo ritardo nell'ottenere l'eliminazione della

condanna dal casellario giudiziale.

Infine, in evidente connessione con il precedente profilo, si invoca la

revoca del citato beneficio anche sul presupposto che l'imputato non

potrebbe partecipare a gare di appalto in forza dell'art. 38, co. 1, lett. c), del

d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato sulla base del settimo motivo di impugnazione e

va rigettato nel resto per le ragioni di seguito indicate.

2. Quanto al primo motivo di gravame, la giurisprudenza di questa Corte

ha recentemente chiarito che la delega di funzioni nell'esercizio di un'attività

di impresa esonera il titolare dalla responsabilità penale connessa alla

posizione di garanzia se è conferita per iscritto al delegato, essendo inidonea

l'attribuzione in forma orale (Sez. 3, n. 16452 del 17/10/2012,dep.

11/04/2013, Rv. 255394; Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011,dep. 23/02/2011,

Rv. 249536).

Il Collegio non ignora l'esistenza di un diverso orientamento, pure

richiamato nel ricorso, secondo cui la delega può anche essere conferita

oralmente dal titolare dell'impresa, non essendo richiesta per la sua validità

la forma scritta né "ad substantiam" né "ad probationem", posto che

l'efficacia devolutiva dell'atto di delega è subordinata all'esistenza di un atto

traslativo delle funzioni delegate connotato unicamente dal requisito della

certezza che prescinde dalla forma impiegata, salvo che per il settore

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pubblico in cui è invece richiesto l'atto scritto di delega (Sez. 3, n. 32014 del

06/06/2007, Cavallo, Rv. 237141).

Nondimeno il primo orientamento esclude l'idoneità di una delega orale

nella misura in cui difetti adeguata prova, il cui onere rigorosamente

incombe a chi ne alleghi l'esistenza, circa il trasferimento dal delegante al

delegato delle funzioni di garanzia da esercitare all'interno delle strutture

aziendali.

Il secondo orientamento, pur scartando la possibilità del conferimento di

una delega necessariamente scritta anche nel settore privato, esclude, a sua

volta, che il titolare della posizione di garanzia possa ritenersi esonerato da

responsabilità per il semplice fatto di aver conferito ad altri una delega orale

delle funzioni.

Altro indirizzo di questa Corte, che coniuga i due orientamenti, è nel

senso che gli obblighi gravanti su un soggetto che svolga attività

imprenditoriale possono essere delegati, con conseguente sostituzione e

subentro del delegato nella posizione di garanzia, ma il relativo atto di

delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire

persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e

dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico

incarico, fermo restando l'obbligo per il delegante di vigilare e controllare

che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge

prescrive (Sez. 4, n. 9343 del 22/06/2000, Archetti, Rv. 216727).

La delega quindi è in linea generale ed astratta consentita, a

prescindere dalla forma con la quale, nel settore privato, sia corredata, ma

per essere rilevante ai fini dell'esonero da responsabilità del delegante, deve

possedere specifici requisiti ( Sez. 3, n. 26122 del 12/04/2005, Capone, Rv.

231956). Sul punto, la dottrina più attenta ha segnalato come in questa

materia occorra trovare il necessario bilanciamento tra il principio di legalità,

fissato dall'art. 25 Cost., in modo da vanificare il tentativo di spostare la

responsabilità penale verso altri soggetti, spesso verso i dipendenti

dell'imprenditore, ed il principio di personalità della responsabilità penale, di

cui all'art. 27 Cost., rifuggendo da concezioni arcaiche del diritto penale

fondate su ipotesi di responsabilità oggettiva o, peggio, per fatto altrui.

Si tratta, da un lato, di rendere effettiva la posizione di garanzia come

rafforzamento della tutela dei diritti e, dall'altro, di dare corpo al principio di

effettività, nel senso di attribuire la responsabilità penale a colui che

realmente svolga le funzioni di garanzia e sul quale gravino gli obblighi la cui

inosservanza è presidiata dalla leva penale attraverso le specifiche

fattispecie incriminatrici predisposte per la tutela degli interessi penalmente

rilevanti.

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La giurisprudenza di legittimità ha fornito, a più riprese, precise

indicazioni al fine di individuare i requisiti necessari per operare il

bilanciamento tra il principio di legalità e quello di effettività, in modo che la

delega possa ritenersi validamente conferita, richiedendo:

a) che la delega debba essere puntuale ed espressa (requisito della

certezza e della precisione), senza che siano trattenuti in capo al delegante

poteri residuali di tipo discrezionale (Sez. 3, n. 32014 del 2007 cit.; Sez. 3,

n. 6420 del 07/11/2007, (dep. 11/02/2008), Girolimetto, Rv. 238980);

b) che vi sia l'accettazione della delega da parte del delegato (Sez. 4, n.

12413 del 08/10/1999, Massarenti, Rv. 215009), trattandosi di atto

recettizio del quale occorre fornire la prova (requisito del consenso);

c) che il conferimento debba avvenire a favore di soggetto

professionalmente idoneo e qualificato (requisito della idoneità) per lo

svolgimento del compito affidatogli (Sez. 4, Sentenza n. 5780 del

28/02/1997, Angelucci, Rv. 208701; Sez. 3, Sentenza n. 6420 del

07/11/2007 cit., nonché Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011, cit.);

d) che il delegato goda di poteri decisionali e di organizzazione autonomi

(requisito dell'autonomia), possa cioè esercitare non solo le funzioni ma, se

del caso, anche i correlativi poteri decisionali e di spesa, dovendo la

effettività dei poteri riverberare anche sotto il profilo economico (Sez. 3, n.

9160 del 01/07/1998, Botarelli, Rv. 211814; Sez. 3, Sentenza n. 6420 del

07/11/2007, cit.; nonché Sez. 3, n. 6872 del 19/01/2011, cit.) ;

e) che il trasferimento delle funzioni debba essere giustificato (requisito

della giusta causa della delega) in base alle esigenze organizzative

dell'impresa (Sez. 3, Sentenza n. 6420 del 07/11/2007 cit., nonché Sez. 3,

n. 6872 del 19/01/2011, cit.);

f) la specificità dei compiti delegati (requisito della specificità della

delega), in quanto se la delega non si riferisce alla esecuzione di atti

specifici, rispetto ai quali viene al delegato trasferita non la competenza, ma

la legittimazione al compimento dei singoli atti rientranti nella competenza

del delegante, riemergono i poteri - doveri di intervento dello stesso

delegante, senza la necessità di una previa revoca delle attribuzioni del

delegato (Sez. 3, n. 4003 del 19/02/1999, Tilocca, Rv. 213271), con

l'ulteriore conseguenza, quale aspetto simmetrico a quello illustrato al punto

d), che il delegato non deve essere utilizzato per compiti diversi da quelli

commessi e che da questi lo distolgano;

g) che l'esistenza della delega (e dei suoi contenuti) debba essere

(requisito dell'onere della prova) giudizialmente provata in modo certo (Sez.

3, Sentenza n. 6420 del 07/11/2007 cit., nonché Sez. 3, n. 6872 del

19/01/2011, cit.)/.

:

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Il Tribunale ha dunque correttamente ritenuto che non vi fosse prova di

una delega delle funzioni, deducendo ciò sia dalla mancanza di una struttura

aziendale particolarmente complessa, che ne giustificasse il conferimento, e

sia dal fatto che non vi fosse traccia dell'esistenza di una tale delega.

Difatti, tenuto conto dei requisiti, sopra enunciati, di validità di un atto

traslativo del genere, va osservato come la stessa natura delle doglianze non

dia conto del vizio denunciato, non essendo sufficiente per provare

l'esistenza di una valida delega delle funzioni né che l'imputato non avesse

mansioni specifiche sulla produzione, né che un ragazzo dell'azienda si

occupasse delle fasi di autocontrollo e di gestione del prodotto, né che

all'interno della cooperativa vi fosse una suddivisione specifica delle funzioni.

Infatti non è emerso in modo certo e preciso quali specifici atti siano

stati in concreto delegati; non è emerso che il delegato abbia prestato il

consenso all'assolvimento di specifici compiti; non è emerso che il delegato

fosse idoneo all'assolvimento di detti compiti e che fosse autonomo

nell'esecuzione di essi; né che vi fosse una giusta causa nel conferimento

della delega, con la conseguenza che l'onere della prova circa l'esistenza di

un valido atto traslativo delle funzioni di garanzia deve ritenersi non assolto,

derivando da ciò l'infondatezza della censura.

3. Quanto al secondo motivo di gravame, con il quale viene in sostanza

denunciata la violazione delle prescrizioni contenute nel regolamento

2073/2005 U.E., va premesso come il ricorrente offra una interpretazione

della normativa comunitaria del tutto non condivisibile.

Portando alle estreme conseguenze il suo assunto, la normativa

nazionale, che punisce chi detiene per la vendita sostanze alimentari con la

presenza non consentita di enterotossine stafilococciche e quindi nocive per

la salute (tale è il rimprovero che viene, tra l'altro, mosso al Siccardi),

apprestando gli strumenti ed i controlli per prevenire il commercio illecito di

alimenti dannosi, sarebbe in contrasto con il diritto comunitario che invece

imporrebbe determinati controlli se ed in quanto il prodotto sia messo in

vendita, ossia in commercio o nel mercato, e nel periodo della sua

conservabilità.

Tuttavia il regolamento 2073/2005 U.E., come peraltro modificato dal

regolamento 1441/2007 U.E., espressamente richiede (par.5 del preambolo)

che la sicurezza dei prodotti alimentari sia «garantita principalmente da

misure di prevenzione, quali la messa in atto di pratiche corrette in materia

di igiene e di procedure basate sui principi dell'analisi dei rischi e dei punti

critici di controllo ...» e (par.7 del preambolo) che a norma del regolamento

(CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile

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2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla

normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul

benessere degli animali, «gli Stati membri provvedono a che siano eseguiti

periodicamente controlli ufficiali, in base ad una valutazione dei rischi e con

frequenza appropriata; tali controlli devono essere eseguiti in fasi opportune

della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti,

per garantire che gli operatori del settore rispettino i criteri stabiliti dal

presente regolamento».

Tant'è che l'art. 1 del regolamento, che disciplina l'oggetto ed il campo

di applicazione di esso, stabilisce, tra l'altro, che «l'autorità competente

verifica il rispetto delle norme e dei criteri di cui al presente regolamento

conformemente al regolamento (CE) n. 882/2004, senza pregiudizio del suo

diritto di procedere a ulteriori campionamenti ed analisi per la rilevazione e

la misura della presenza di altri microrganismi, delle loro tossine o dei loro

metaboliti, o come verifica dei processi, per i prodotti alimentari sospetti, o

nel contesto dell'analisi del rischio».

Ne consegue come siano imposte agli Stati membri misure di

prevenzione adottabili anche nella fase di produzione e di trasformazione del

prodotto, oltre naturalmente che nella fase della distribuzione, per una

maggiore ed anticipata tutela della salute del consumatore, con la

conseguenza che gli Stati membri possono predisporre controlli ulteriori

senza che le verifiche previste dal regolamento esauriscano i possibili modelli

di tutela, derivando da ciò l'infondatezza anche della seconda censura.

La cui inconsistenza deve essere ribadita anche esaminando la

conclusiva circostanza, pure articolata come motivo del ricorso, secondo cui,

non essendo all'epoca del campionamento terminata la stagionatura, ben

poteva il prodotto essere ancora sottoposto a verifiche da parte della

cooperativa in sede di autocontrollo. Sul punto va ricordato come il Tribunale

abbia esaurientemente motivato nel senso di ritenere come non si potesse

validamente affermare che il prodotto campionato fosse ancora in fase di

stagionatura e che il decorso del tempo (neppure desunto in modo certo

all'esito dell'istruttoria dibattimentale) avrebbe determinato l'abbattimento

delle tossine riscontrate; tanto sul fondamentale rilievo della totale

mancanza di prova circa il fatto che la forma di Raschera fosse all'inizio della

stagionatura e non già pronta, come è stato correttamente considerato, per

la commercializzazione, sul presupposto che, in concreto, il formaggio era

stato già trattato e prodotto.

4. Con il terzo ed il quarto motivo di gravame, che possono essere

congiuntamente esaminati, il ricorrente, denunciando mancanza e/o illogicità

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della motivazione, sottopone alla cognizione della Corte di cassazione

censure non consentite, sollevando questioni relative alla valutazione del

materiale probatorio, il cui apprezzamento rientra nella esclusiva

competenza del giudice di merito, cercando, in tal modo, di ottenere una

interpretazione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base

del provvedimento impugnato.

Quanto infatti al prelievo delle aliquote campionarie, il Tribunale, con

adeguata e logica motivazione, ha stimato irrilevante la circostanza che le

cinque unità campionarie fossero state prelevate da un'unica forma di

formaggio, e non da più forme diverse, sul condivisibile rilievo che una

forma di Raschera, per peso e dimensioni, può considerarsi certamente

rappresentativa di una partita.

Quanto poi all'attendibilità del rapporto di prova, il Tribunale, con

motivazione completa ed immune da vizi logici, a fronte di un errore

materiale nella stesura dei referti, ha chiarito, anche all'esito del

supplemento istruttorio cui ha dato ingresso ex art. 507 cod. proc. pen. e

dunque in conseguenza di uno scrupoloso accertamento, come le analisi sui

campioni repertati fossero state eseguite con il ricorso alla metodologia più

avanzata, conseguendo da ciò l'attendibilità degli esiti delle analisi ed

attribuendo ad un mancato aggiornamento del sistema informatico, che

stampava in automatico i referti, l'errore che era comparso sul rapporto di

prova, aggiungendo che i risultati delle ulteriori analisi effettuate a Parigi

presso il laboratorio "ANSES" avevano convalidato i precedenti risultati

comprovando ulteriormente la contaminazione del formaggio.

5. Il quinto motivo è parimenti infondato.

Con esso si rimprovera al Tribunale di avere erroneamente interpretato

l'art. 5, lett. d), legge n. 283 del 1962 per aver ritenuto integrato il reato

sulla base della potenziale ed astratta nocività dell'alimento e non invece

sulla base della presenza di una reale e concreta idoneità di esso a porre in

pericolo la salute pubblica.

Il Tribunale invece ha, sul presupposto della riscontrata presenza di

enterotossine stafilococciche, osservato puntualmente il criterio che il

ricorrente invece denuncia e che avrebbe potuto trovare corpo e sostanza

solo qualora l'agente patogeno non fosse stato rilevato nel campione e se ne

fosse pronosticata una futura e probabile comparsa.

In presenza della riscontrata contaminazione dell'alimento, invece, il

Tribunale si è correttamente attenuto al principio di diritto secondo il quale la

detenzione a scopo di vendita di sostanze alimentari «comunque nocive»,

costituisce un reato di pericolo concreto, con la conseguenza che, affinché

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una sostanza alimentare possa qualificarsi nociva, è sufficiente la riscontrata

presenza di agenti patogeni, come nella specie le enterotossine

stafilococciche, che abbiano l'attitudine a cagionare danni o porre a rischio la

salute umana.

Va peraltro evidenziato che se i delitti di cui agli artt. 439 ss. cod. pen.

mirano a proteggere il bene «salute» da attacchi diretti e concreti,

viceversa la legge 30 aprile 1962, n. 283 appresta una tutela «anticipata» di

quel medesimo bene (Corte cost. sent. n. 1 del 1982).

Un siffatto approdo spiega l'infondatezza anche dell'ulteriore profilo della

censura con il quale è stato denunciato il vizio di motivazione per l'assenza

di analisi di tipo qualitativo che avrebbero dovuto indicare, secondo il

ricorrente, quale fosse la reale portata del batterio per ritenere configurabile

l'addebito.

Va osservato che all'imputato è stata contestata, e ritenuta in sentenza,

la detenzione per la vendita di formaggio contaminato dalla presenza di

enterotossine stafilococciche, quindi di alimento comunque nocivo per la

salute, fattispecie che rientra nella previsione di cui all'art.5 lett. d) della

legge n.283 del 1962 - e non in quella di cui alla lettera c) della stessa

norma che vieta la vendita di sostanze alimentari con cariche microbiotiche

superiori «ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da

ordinanze ministeriali».

Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la previsione

di cui all'art.5 lett. d) della legge n.283 del 1962 rappresenta una norma di

chiusura con la quale il legislatore ricomprende le sostanze "comunque"

nocive, non inquadrabili nelle ipotesi specifiche contemplate nella stessa

lettera nonché in quelle precedenti, nell'ambito di operatività dell'art.5

succitato. Ne consegue che l'eventuale osservanza dei limiti di cui all'art.5

lett. c) ed a maggior ragione l'omessa previsione degli stessi non equivale ad

un giudizio di assoluta innocuità del prodotto alimentare che, invece, può

rivelarsi "comunque" nocivo in virtù di un accertamento in fatto, non

censurabile in sede di legittimità e, quindi, rientrare nella previsione di cui

all'art.5 lett. d) della legge n.283 del 1962 (Sez. 3, n. 15998 del

12/02/2003, Scovenna, Rv. 224248).

Il Tribunale, rilevando la presenza non consentita di enterotossine

stafilococciche, ha adeguatamente motivato, per ciò solo, circa la nocività

dell'alimento, la cui ricerca, ai fini della tutela della salute dei consumatori, è

specificamente prescritta, proprio per la sua nocività, dal regolamento

comunitario 2073/2005 U.E. e succ. mod., avendo la concreta attitudine a

cagionare danni o porre a rischio la salute umana.

L'enterotossina non è altro che una proteina tossica prodotta da alcuni

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particolari ceppi batterici, tra cui gli stafilococchi, ed è perciò molto dannosa,

in concreto, per la salute degli uomini.

6. Con il sesto motivo il ricorrente, contraddicendo peraltro la sostanza

del primo aspetto del successivo motivo di censura, si duole del fatto che il

Tribunale abbia ritenuto l'elemento soggettivo del reato sulla sola base della

verificazione dell'evento senza individuare i comportamenti colposi

specificamente addebitabili all'imputato, avendo peraltro la cooperativa

previsto una serie di accorgimenti necessari per evitare i rischi di

contaminazione del prodotto.

Anche tale motivo è infondato.

Il Tribunale, nella valutazione dell'elemento soggettivo, ha spiegato

come al produttore incomba l'onere di eseguire tutti i controlli che possano

condurre a verificare ed eliminare eventuali pericoli per la salute del

consumatore senza che, in mancanza, possa invocare a sua discolpa il

semplice affidamento sui controlli effettuati a monte o eseguiti dall'autorità.

Si tratta di un accertamento immune da censure, quanto alla ritenuta

sussistenza dell'elemento psicologico del reato, giacché, trattandosi di

contravvenzione, è sufficiente la mera colpa ai sensi dell'art. 43 cod. pen.

che può consistere anche in mera negligenza nelle dovute verifiche sulla

conformità alla normativa del prodotto alimentare preparato o detenuto per

la vendita (Sez. 3, n. 14285 del 12/01/2010, Montella, Rv. 246810),

dovendosi al tempo stesso sottolineare come, con il successivo motivo, si

prospetti da parte dello stesso ricorrente la commissione del fatto per frode

e con ciò depotenziando e rendendo ulteriormente infondata la presente

doglianza.

7. E' invece fondato, sotto il primo profilo della censura, il settimo ed

ultimo motivo di gravame con il quale il ricorrente lamenta che siano stati

concessi i benefici della sospensione condizionale della pena e della non

menzione (pag. 24 del ricorso).

Si assume che, nel caso di specie, i benefici della sospensione

condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato

penale richiesto da privati non avrebbero potuto trovare riconoscimento

stante l'espresso divieto posto dall'art. 6, quinto comma (ora quarto comma)

della L. 283 del 1962 ove viene stabilito che in caso di condanna per frode

tossica o comunque dannosa alla salute non si applicano le disposizioni degli

artt. 163 e 175 c.p.

Questa Corte, come lo stesso ricorrente sottolinea, ha precisato che, in

tema di tutela penale degli alimenti, per "frode tossica o comunque dannosa

13

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alla salute" deve intendersi qualsiasi fatto contravvenzionale previsto negli

artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962, insidioso per se stesso o produttivo di

effetti insidiosi, da cui derivi un'attitudine della sostanza a produrre effetti

intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute del consumatore

da accertarsi in concreto (Sez. 3, n. 13535 del 05/02/2009, Mascagni, Rv.

243388). La dottrina ha chiarito che la nozione di «frode tossica o comunque

dannosa» si compone di due profili, uno soggettivo (normalmente riportato

alla nozione di frode che racchiude anche la messa in commercio, come nella

specie, di un aliud pro alio senza che sia necessariamente richiesto un

comportamento strictu sensu fraudolento, rimanendo estranea alla

configurazione della fattispecie il requisito dell'inganno) l'altro oggettivo

(tendenzialmente coincidente con la dannosità), profili che peraltro sono

strettamente collegati. Né occorre, ai fini della esclusione dei benefici di

legge (artt. 163, 175 cod. pen.) prevista dall'art. 6, quinto comma, legge 30

aprile 1962, n. 283, una previa contestazione della "frode dannosa alla

salute"( Sez. 3, n. 10801 del 23/09/1994,Ballarino, Rv. 200385).

Come lo stesso ricorrente prospetta nel motivo di ricorso, gli elementi

della frode (nel senso innanzi chiarito) e del pericolo di danno sono infatti

immanenti nella fattispecie contestata «tanto che è lo stesso Giudice di

prime cure che ha considerato l'alimento tossico e pericoloso per il

consumatore (a pag. 5 della Sentenza si afferma che: "non vi sia prova che

un congruo periodo di tempo... avrebbe portato ad un abbattimento della

carica tossica"; "la presenza non consentita di enterotossine stafilococciche

negli alimenti è potenzialmente nociva"; "addossando al produttore (come al

commerciante) l'onere di eseguire tutti i controlli che possano condurre a

verificare ed eliminare eventuali pericoli per la salute del consumatore)"

(pag. 25 del ricorso)». Pertanto, assorbiti gli altri profili della doglianza, il

ricorso va accolto, limitatamente al primo aspetto, e quindi la sentenza

impugnata va, in tale parte, annullata senza rinvio con eliminazione dei

benefici di legge concessi.

Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai concessi benefici

della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna,

benefici che elimina.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso il 04/12/2013 Il Presidente

Il Consigliere estensore

Vito Di Nicola Aldo Fiale

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