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Numero 2 Marzo 2018 Gratis 2019, VIA STALINGRADO: DAI FATISCENTI CAPANNONI DELL’EX MANIFATTURA TABACCHI PRENDERÀ VITA IL TECNOPOLO, L’ULTIMA OPERA STRATEGICA PER LO SVILUPPO DI BOLOGNA. CASSANDRA L’impegno è quello di fare della città un polo di riferimento per lo sviluppo tecnologico in Italia e possibilmente in Europa. Ma cos’è questo Tecnopolo? In breve, il Tecnopolo di Bologna sarà il più importante della rete dei dieci tecnopoli (alcuni già attivi) dell’Emilia-Romagna. Queste strutture si collocano all’interno della Rete Alta Tecnologia promossa dalla Regione Emilia-Romagna che ha lo scopo di mettere a sistema il mondo della ricerca industriale, dandogli la visibilità e la collocazione adatte per entrare in contatto con i capitali e risolvere i problemi delle imprese in tema di innovazione. I tecnopoli ospiteranno dunque laboratori e uffici di agenzie scientifiche accreditate in una sede unica. In fase di avvio infatti vi si accaseranno i laboratori dei Centri Interdipartimentali di Ricerca Industriale dell’Unibo (CIRI), quelli di biomedicina dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, di ingegneria energetica dell’Ente Nazionale Energia Atomica (ENEA), di elettronica, informatica e visione sensoristica del consorzio T3Lab, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA), la Protezione Civile e l’apoteosi dei big data, il Data Center Europeo per le previsioni Meteo a medio termine. E poi svariati uffici che si dedicheranno a promuovere start-up, collegare impresa e ricerca, fare propaganda. L’auspicio è quello che strutture come queste portino le aziende emiliane a investire di più in ricerca e sviluppo, per vendere meglio merci inutili e saper meglio sfruttare il loro personale. Non è poi un caso il luogo dove sorgerà una tale opera, il quartiere Bolognina, coi suoi ampi terreni industriali in disuso su cui speculare. Tutta l’area nord del quartiere è coinvolta da una ristrutturazione che sta collocando lì i poli della ricerca scientifica. La Cittadella della Scienza Unibo, il Centro Nazionale della Ricerca (CNR), il CREA, l’ENEA, l’INGV e adesso il Tecnopolo. La Bolognina dovrà così adattarsi per accogliere i 1200-1400 ricercatori e creativi previsti. Dovrà essere un quartiere a loro misura e dunque dallo spirito autentico, ma alternativo, culturalmente frizzante, ma senza degrado e devianza, un quartiere tollerante (se si hanno i soldi per esser tollerati), dai prezzi popolari, ma non certo per poveri, un quartiere gentrificato? Sì, esatto ecco la parola! Un quartiere in cui il giovane e creativo ricercatore possa essere a suo agio nel lavorare al mondo futuro. Il capitalismo è oggi vorace di tecnologia, innovarsi è l’unico modo di sopravvivere e comunicare con la ricerca è essenziale per competere. I tecnopoli creano questo collegamento e lo accelerano. Se quindi il Tecnopolo è strategico per il capitale, sarebbe strategico per chi si oppone al dominio del profitto e della merce che non venga costruito. Non venga costruito innanzitutto perché i suoi prodotti saranno solo a misura di chi già comanda: nuovi modi Meglio dir folle chi parla della fine dell'ordine sociale e detestare chi annuncia un mondo nuovo, radicalmente diverso. Ma se un domani veramente la citta' fosse distrutta, i palazzi crollassero e questo mondo avesse fine, se insomma la liberta' avesse ragione? per sfruttarci, per venderci cose inutili e strumenti perché questo sistema di sfruttamento e prevaricazione possa superare le crisi che provoca (sociali, ambientali, economiche), senza mai mettere in discussione le basi dell’ingiustizia. Se la metropoli è invivibile saranno il design e l’urbanistica a farci accettare l’affollamento, le telecamere che scansionano le strade e le piazze ormai vuote. Se viviamo vite infelici sarà la dipendenza dall’informatica a dar senso alle nostre esistenze. Se il lavoro ci disgusta saranno la robotica, l’automazione e l’intelligenza artificiale a dirci come eseguirlo al meglio, individualizzandolo e facendone una questione fra noi e il nostro palmare, rendendo i posti di lavoro ancora più frenetici e alienanti, evitando il contatto fra sfruttati e la possibilità di organizzarsi contro i padroni. Se non sappiamo più prenderci cura dei nostri corpi, bio e nanotecnologie lo faranno al posto nostro, trasformandoli se non ci piacciono, riempiendoli di farmaci quando ci parlano col dolore e cambiandone i pezzi quando non funzionano più, tutto al prezzo di milioni di vite animali che crepano nei laboratori per garantirci i sogni sintetici. E l’energia poi, che ce ne sia in abbondanza! Affinché lo sfruttamento, la produzione di merci inutili e il capitalismo siano eterni. Dati e analisi che usciranno dai tecnopoli non offriranno soluzioni ai nostri problemi, non ci diranno infatti che il problema sono le metropoli e che la soluzione è disfarsene, rimpiazzandole con spazi a misura di essere umano; che è nei rapporti reali, e non nelle connessioni digitali, che le relazioni assumono senso; che è a partire dall’incontro fra esclusi e sfruttati, dalla lotta, che le nostre vite prendono valore; e soprattutto che il lavoro al servizio del capitale è di per sé una miseria e che dovremmo sbarazzarcene, così come dei padroni e di ogni diavoleria che si inventano per spremerci ancora di più! Nei tecnopoli non si pensa il mondo di domani, ma solo la ripetizione di quello di oggi. Il mondo di domani sta altrove, nella distruzione del presente tanto per cominciare. TECNOPOLIS

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Numero 2 Marzo 2018 Gratis

2019, VIA STALINGRADO: DAI FATISCENTI CAPANNONI DELL’EX MANIFATTURA TABACCHI PRENDERÀ VITA IL TECNOPOLO, L’ULTIMA OPERA STRATEGICA PER LO SVILUPPO DI BOLOGNA.

CASSANDRA

L’impegno è quello di fare della città un polo di riferimento per lo sviluppo tecnologico in Italia e possibilmente in Europa. Ma cos’è questo Tecnopolo?In breve, il Tecnopolo di Bologna sarà il più importante della rete dei dieci tecnopoli (alcuni già attivi) dell’Emilia-Romagna. Queste strutture si collocano all’interno della Rete Alta Tecnologia promossa dalla Regione Emilia-Romagna che ha lo scopo di mettere a sistema il mondo della ricerca industriale, dandogli la visibilità e la collocazione adatte per entrare in contatto con i capitali e risolvere i problemi delle imprese in tema di innovazione. I tecnopoli ospiteranno dunque laboratori e uffici di agenzie scientifiche accreditate in una sede unica. In fase di avvio infatti vi si accaseranno i laboratori dei Centri Interdipartimentali di Ricerca Industriale dell’Unibo (CIRI), quelli di biomedicina dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, di ingegneria energetica dell’Ente Nazionale Energia Atomica (ENEA), di elettronica, informatica e visione sensoristica del consorzio T3Lab, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA), la Protezione Civile e l’apoteosi dei big data, il Data Center Europeo per le previsioni Meteo a medio termine. E poi svariati uffici che si dedicheranno a promuovere start-up, collegare impresa e ricerca, fare propaganda. L’auspicio è quello che strutture come queste portino le aziende emiliane a investire di più in ricerca e sviluppo, per vendere meglio merci inutili e saper meglio sfruttare il loro personale.Non è poi un caso il luogo dove sorgerà una tale opera, il quartiere Bolognina, coi suoi ampi terreni industriali in disuso su cui speculare. Tutta l’area nord del quartiere è coinvolta da una ristrutturazione che sta collocando lì i poli della ricerca scientifica. La Cittadella della Scienza Unibo, il Centro Nazionale della Ricerca (CNR), il CREA, l’ENEA, l’INGV e adesso il Tecnopolo. La Bolognina dovrà così adattarsi per accogliere i 1200-1400 ricercatori e creativi previsti. Dovrà essere un quartiere a loro misura e dunque dallo spirito autentico, ma alternativo, culturalmente frizzante, ma senza degrado e devianza, un quartiere tollerante (se si hanno i soldi per esser tollerati), dai prezzi popolari, ma non certo per poveri, un quartiere gentrificato? Sì, esatto ecco la parola! Un quartiere in cui il giovane e creativo ricercatore possa essere a suo agio nel lavorare al mondo futuro.Il capitalismo è oggi vorace di tecnologia, innovarsi è l’unico modo di sopravvivere e comunicare con la ricerca è essenziale per competere. I tecnopoli creano questo collegamento e lo accelerano. Se quindi il Tecnopolo è strategico per il capitale, sarebbe strategico per chi si oppone al dominio del profitto e della merce che non venga costruito.Non venga costruito innanzitutto perché i suoi prodotti saranno solo a misura di chi già comanda: nuovi modi

Meglio dir folle chi parla della fine dell'ordine sociale e detestare chi annuncia un mondo nuovo, radicalmente diverso. Ma se un domani veramente la citta'à fosse

distrutta, i palazzi crollassero e questo mondo avesse fine, se insomma la libertààa' avesse ragione?

per sfruttarci, per venderci cose inutili e strumenti perché questo sistema di sfruttamento e prevaricazione possa superare le crisi che provoca (sociali, ambientali, economiche), senza mai mettere in discussione le basi dell’ingiustizia.Se la metropoli è invivibile saranno il design e l’urbanistica a farci accettare l’affollamento, le telecamere che scansionano le strade e le piazze ormai vuote. Se viviamo vite infelici sarà la dipendenza dall’informatica a dar senso alle nostre esistenze. Se il lavoro ci disgusta saranno la robotica, l’automazione e l’intelligenza artificiale a dirci come eseguirlo al meglio, individualizzandolo e facendone una questione fra noi e il nostro palmare, rendendo i posti di lavoro ancora più frenetici e alienanti, evitando il contatto fra sfruttati e la possibilità di organizzarsi contro i padroni. Se non sappiamo più prenderci cura dei nostri corpi, bio e nanotecnologie lo faranno al posto nostro, trasformandoli se non ci piacciono, riempiendoli di farmaci quando ci parlano col dolore e cambiandone i pezzi quando non funzionano più, tutto al prezzo di milioni di vite animali che crepano nei laboratori per garantirci i sogni sintetici. E l’energia poi, che ce ne sia in abbondanza! Affinché lo sfruttamento, la produzione di merci inutili e il capitalismo siano eterni.Dati e analisi che usciranno dai tecnopoli non offriranno soluzioni ai nostri problemi, non ci diranno infatti che il problema sono le metropoli e che la soluzione è disfarsene, rimpiazzandole con spazi a misura di essere umano; che è nei rapporti reali, e non nelle connessioni digitali, che le relazioni assumono senso; che è a partire dall’incontro fra esclusi e sfruttati, dalla lotta, che le nostre vite prendono valore; e soprattutto che il lavoro al servizio del capitale è di per sé una miseria e che dovremmo sbarazzarcene, così come dei padroni e di ogni diavoleria che si inventano per spremerci ancora di più!Nei tecnopoli non si pensa il mondo di domani, ma solo la ripetizione di quello di oggi. Il mondo di domani sta altrove, nella distruzione del presente tanto per cominciare.

TECNOPOLIS

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Ci è capitato di leggere un articolo pubblicato sul “Corriere” di Bologna in cui si dice che, tra il 2015 e il 2017, sono aumentate del 30% le richieste di installazione di impianti di sicurezza per esercizi e case private. A parte la chiara e insistita finalità pubblicitaria a favore dell’azienda citata dal giornalista - che si ritiene fornisca il servizio migliore, se non l’unico, in grado di rispondere alla richiesta - colpisce l’intensità della corsa alla protezione dei propri beni. L’ansia di controllo non è quindi prerogativa degli enti preposti alla gestione dei possibili conflitti, delle forze di polizia e giudiziarie che si impegnano a monitorare con attrezzatura tecnologica di spionaggio gli individui reputati a vario titolo pericolosi per l’ordine costituito, ma ha dilagato fino a raggiungere l’intero tessuto sociale. Si legge nell’articolo: «Case, negozi ma anche parchi e strade, tutti “blindati” dagli occhi elettronici diventati i guardiani della città sia per le richieste dei privati ma anche per gli investimenti della pubblica amministrazione.» Segue una grande profusione di termini in inglese che rendono più “trendy” la costruzione di uno spazio anti intrusione come il far diventare “smart” la propria “home” e controllarla via “tablet” o “smartphone”.Il cruccio che sorge rendendosi conto del livello a cui è arrivata la mania securitaria riguarda le conseguenze nella qualità delle relazioni tra umani, con particolare riferimento al genere di rapporto che si può venire a creare tra individui prima di tutto preoccupati di proteggersi gli uni dagli altri. Il mettere sotto controllo costante ogni cosa che ci appartiene, l’avere la possibilità di “dialogare” con l’interno della propria abitazione facendola illuminare od oscurare premendo un tasto a distanza, fa maturare un atteggiamento paranoico in cui l’attaccamento alle cose materiali diventa un’ossessione che si esprime considerando il resto del mondo “nemico”. Conduce a una modalità di relazione con l’altro da sé fondata sulla diffidenza reciproca portatrice di chiusura. Difficile pensare che da un’ansia di controllo così estrema possano nascere relazioni di reciproco aiuto e solidarietà o di condivisione di momenti e spazi nella quotidianità. Chiudendo i propri luoghi, circondandoli con il filo spinato delle telecamere e dei sensori azionabili pure a distanza, non pare che si possa arrivare a costruire relazioni di vicinato fondate sul reciproco interesse a conoscersi ed eventualmente ad affrontare insieme problemi e valutare risoluzioni possibili. Ciò che emerge è ancora l’importanza di salvaguardare la proprietà raggiunta, che può essere anche - o niente più che - il parcheggio sotto casa. La proprietà privata, è sempre a partire da essa che si procede per dividere anche i poveracci tra loro. La proprietà privata, in nome della quale ogni atto di difesa è considerato legittimo, come sparare a morte su un ladro. É quella istanza di mantenere stretto il possesso del poco che si ha che fa nascere nei nativi italiani il razzismo verso chi arriva da paesi sventurati, che li porta a credere che il difendere quella miseria da chi è ancor più indietro nella scala sociale sia il modo appropriato per rendere la propria esistenza meno precaria. È impressionante

CHIUSI IN UNA

TORRETTA DI VETRO

CASSANDRA - lo puoi trovare presso IL TRIBOLO via Donato Creti 69/2c Bologna, sui muri e per le strade

vedere come ci si attrezza gli uni contro gli altri per difendere le briciole che i ricchi lasciano sul selciato, come ci si azzanna per assicurarsele. Intanto si perdono di vista le cause reali della insicurezza che viviamo e i veri responsabili delle mancanze che patiamo. Difficile affermare, avendoci riflettuto, che sia un ladro o un immigrato che rendono le nostre vite così profondamente insicure. Qualche esempio immediato, se ci si ferma un attimo a pensare, dovrebbe raggiungere i nostri cervelli facendoci aprire gli occhi. Domandarsi quanta insicurezza ci viene dai veleni nell’aria e nei posti di lavori, dal rischio di essere o rimanere senza entrate per vivere, dalla mancanza di protezione dal rischio di morire lavorando, dallo scempio operato dalla grandi multinazionali nei territori da depredare nei quali diventa impossibile vivere e sopravvivere, dalla violenza di genere così tanto spesso esercitata proprio tra quelle mura domestiche protette dagli impianti anti intrusione o agite da chi è investito di un ruolo educativo, da chi è preposto alla tutela dell’ordine pubblico o ancora da chi ha il compito di “operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza” in giro per il mondo con o senza divisa. Pare piuttosto evidente che si tratti di rischi tali da non poter essere evitati circondandosi di telecamere. Sono rischi attribuibili a come è organizzato il sistema in cui viviamo, a chi governa il mondo, a chi ne tiene le redini e in fondo a noi che come pecore ci facciamo condizionare a credere che l’insicurezza stia nella carenza di controllo sulle nostre proprietà. La propaganda che vuole il cittadino al fianco delle forze dell’ordine nell’individuazione dei crimini è una costante ripetuta nelle annuali relazioni governative sulla sicurezza e nelle proposte di possibili rimedi. La reale motivazione però sta nel fatto che, mettendo i cittadini gli uni contro gli altri e invitandoli alla delazione reciproca, si raggiunge l’obiettivo di evitare che si uniscano. Si uniscano per porre le questioni che realmente metterebbero in crisi di risposta il sistema. Chi potrebbe garantire loro lavoro, casa e una vita meno precaria, per esempio? Nessuno allo stato attuale delle cose. E quindi il rischio di emersione del conflitto è un dato reale e preoccupante per chi è addetto al mantenimento in essere dei privilegi sotto la cui dittatura siamo governati.Il passaggio necessario sarebbe di tornare a capire ciò che ingenera veramente insicurezza. Avere chiaro a che genere di rapporti induce il farsi portatori di questa forma di ansia securitaria. Valutare come venga riproposta la divisione di classe con relative collocazioni nello spazio socialmente condivisibile: chi è più povero deve restare fuori e sotto controllo, chi ha qualcosa da perdere si chiude dentro con sistemi di protezione a seconda delle possibilità e con sconti fiscali, chi è più ricco accederà alla tecnologia più avanzata.

La campana di vetro in cui ci si chiudeva un tempo per prendere distanze di sicurezza dal mondo è diventata una torretta con funzione aggiunta di controllo.Agli occhi elettronici che servono per non vedere più nulla di ciò che ci circonda contrapponiamo i nostri occhi aperti sulla realtà.

fip. via Zamboni,18 Bologna

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