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CARLO DOROFATTI Qual è il senso reale della mia esistenza? Incontri di meditazione, tra dialoghi, silenzi e intuizioni verso una nuova consapevolezza SELEZIONE ESTRATTI DAGLI INCONTRI 2010-2012 www.accademiaacos.it

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CARLO DOROFATTI

Qual è il senso reale della mia esistenza?

Incontri di meditazione,

tra dialoghi, silenzi e intuizioni verso una nuova consapevolezza

SELEZIONE ESTRATTI DAGLI INCONTRI 2010-2012

www.accademiaacos.it

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DOMANDA: Faccio meditazione da diversi anni. Ho vissuto alcune esperienze (brevissime) fuori dal mio corpo fisico. Sono alla ricerca di un istruttore di buon livello che mi insegni a controllare tali uscite ovvero ad avere coscienza astrale. Mi hanno insegnato diversi mantra ma non sembrano funzionare. Ci sarà pure qualcuno in grado di insegnare queste cose o devo andare a cercare lo sciamano in Messico? CARLO:

Sicuramente la meditazione che fai da diversi anni può costituire un valido aiuto e supporto per "oliare" tutti quei meccanismi interiori che ti permetteranno di avere esperienza della tue facoltà latenti, dapprima in modo spontaneo e poi in modo sempre più direttamente gestibile. Tutto questo di solito semplicemente "accade", senza che tu debba praticare alcuna tecnica precisa per ottenerlo: è un effetto indiretto del lavoro che fai su te stessa, da collocarsi nel più ampio scenario della ricerca spirituale.

Prima di di indagare tecniche più specifiche, e rischiare di forzare i tempi, esplora dentro di te quali sono le motivazioni reali alla base della tua richiesta. Perchè vuoi poter eseguire il viaggio astrale? Perchè vuoi controllarlo e averne coscienza? (rispondi a te stessa, no a me).

Una volta che hai collocato questo desiderio nel quadro di motivazioni mature e volte verso una ricerca superiore rispetto ai fenomeni di per sè, sappi che non esistono "istruttori del fine settimana" con i quali fare un corso che ti risolvano il problema. Sicuramente ci sono tanti libri e tante persone che possono condividere la loro esperienza diretta (alla quale va sempre fatta una bella tara!), le quali ti possono di certo dare degli spunti, dei suggerimenti, ti possono aiutare a comprendere il significato e i risvolti di questa esperienza e magari ti possono dare delle tecniche che tu stessa, con tanta pazienza e impiegandoci il giusto tempo, potrai far fruttare.

Anch'io, ad esempio, ho scritto di viaggio astrale nei miei libri, ho tenuto e, talvolta, tengo conferenze e corsi sull'argomento, figurati. Però voglio essere sempre onesto: l'esperienza del viaggio astrale, per essere reale, sicura e significativa sul piano evolutivo, è l'esperienza collaterale di un percorso molto più ampio, dalle motivazioni molto più profonde rispetto alla mera indagine delle proprie possibilità latenti e dei fenomeni che possono produrre. È un'esperienza che si incontra e si impara a vivere durante fasi piuttosto avanzate del "lavoro" su se stessi e quelle scuole o "istruttori" che pensano di proporla come prodotto a se stante e a portata di mano, sul loro banchetto da mercanti, o sono dei pagliacci o sono in malafede e la cosa migliore che ti può accadere, frequentandoli assecondando le loro modalità di approccio, è quella per cui non accade proprio nulla, perchè se ti dovessero sbloccare qualcosa, al di là della suggestione, in tempi brevi e con effetti speciali, potrebbero bruciarti la strada verso una consapevolezza superiore oltre che provocare una serie di danni collaterali.

Quindi, riassumendo: leggi i libri, fai i corsi che vuoi, ma fai la tara e tempera dentro di te l'ansia di tale aspirazione. Eléva le tue motivazioni, il tono della tua ricerca e non pensarci più. Quello che dovrà e potrà accadere verrà da sè.

Oppure... trova lo sciamano in Messico e stacci per una decina d'anni…

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Cosa ci puoi consigliare di fare o di non fare a proposito della nostra ricerca? Ma, soprattutto, da dove si comincia percorrere una via di risveglio?

Il punto di partenza è l’avvertire quel senso di frustrazione, inquietudine e insopportabilità rispetto a quella pseudo-vita che caratterizza la nostra realtà attuale. Orrore che va vissuto fino in fondo, prendendo piena coscienza della propria inadeguatezza rispetto ad un sentire superiore. Da lì si possono cominciare ad intuire delle cose, ad agire diversamente e ad incontrare situazioni sincroniche. La vita stessa ci viene incontro. A quel punto bisogna seguire in modo molto pratico e pragmatico questo flusso, e questo implica impegno, sforzo ed energia. Nulla viene regalato e ci vuole tanta volontà, proprio come quella di un atleta ad altissimi livelli. Questo intento deve prendere forma attraverso pratiche precise: meditazione, ricapitolazione, esercizio fisico, dieta di un certo tipo, disintossicare il corpo e la mente, uscire dal proprio solito personaggio e dalle proprie tendenze abituali, respirare, trasmutare le energie sessuali ecc... Bisogna mettersi all’Opera perché il proprio potenziale possa esplicarsi, ovvero “svolgersi”: immaginate che in quel punto di assoluto dentro di voi, convergano tutte le dimensioni possibili, fuori dallo spazio e dal tempo. Queste stringhe ipercompresse (il TUTTO contenuto) vanno “svolte”, attraverso di noi, in ogni cosa. Questo punto dentro di noi è l’occhio del ciclone. Quello è il luogo eterno dentro di noi. Solo da quel silenzio, da quella eternità, possiamo udire la musica delle sfere superiori, scorgere il regno dei cieli (celato).

Bisogna liberarsi “dentro”: non è una questione di emancipazione sociale. Non è un liberarsi dalle pressioni della vita, che invece possono essere delle benedizioni, ma un moto interiore.

Se uno ha commesso degli errori, diciamo che è incappato in alcuni incidenti di percorso, facendo scelte sbagliate oppure accostandosi a certi gruppi, può recuperare il “bandolo” della propria matassa?

Se vi dicessi di non fare qualcosa, che alcune cose sono giuste ed altre sbagliate, di non indugiare in certe scelte o ricerche, di lasciar stare delle cose per preferirne altre, sarei un ipocrita: io stesso sono passato da vie assurde, ho commesso tantissimi errori, ma quella è stata la mia strada e quindi voi farete la vostra, non c’è verso. Certo, ci sono cose più utili e cose meno utili, cose più adatte e altre decisamente fuorvianti, ma magari dovete passarci proprio per rendervi conto. Quello che posso fare io è al massimo farvi risparmiare tempo perché alcune cose le ho già fatte, molti errori li ho già commessi io, ma purtroppo serve che forse li facciate anche voi. Posso darvi qualche parere, ma non posso certo dire che una cosa va bene e l’altra no, che una cosa potete farla e da quell’altra dovete starci lontano. Posso dirvi di non mangiare carne, di non fumare, di non esagerare con i farmaci, di non guardare la tv, di non sprecare il vostro tempo dietro ai libri di magia nera o ai grimori medievali, di fare attenzione a come gestite le vostre pulsioni sessuali, a non tradire voi stessi per cercare l’approvazione di qualcun altro o del guru che vi siete scelti in quel dato momento, di non abbandonarvi alla prigrizia, di non ragionare con la pancia, ma neanche troppo con il cervello e men che meno con le palle, eppure non vi dirò niente di tutto questo. Ognuno parta da se stesso e si regoli, accettando e perdonando il proprio passato e cercando di intuire dei percorsi più saggi, senza l’ansia di non sbagliare, perché cadrà ancora mille volte: eppure non è mai un cadere, è un fare esperienza, però anche in questo caso attenti a non giustificarvi troppo perché la mente sa mentire molto bene. In tempi recenti ho lentamente maturato l’idea che i mezzi per svilupparsi ed evolvere risiedano da qualche parte dentro al proprio sé e che non dovremmo dimenticare questo fatto nemmeno per un

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momento. Difatti ci potrebbero essere dei maestri che hanno molte più conoscenze e che in qualunque tempo hanno svolto delle opere di pregio nel mondo; ma ciascuno richiede un prezzo. E ogni prezzo che include vendere una parte della propria libertà di crescere naturalmente per aprire i propri centri di consapevolezza a lungo termine si dimostrerà troppo alto. Joyce Collin-Smith1 Ci sono tantissimi precetti in tutte le religioni e le regole di tutto il mondo: anche i comandamenti dell’antico testamento, per fare un esempio estremo, sono validissimi se interpretati nel vero giusto. Non avere altro Dio al di fuori di me si riferisce alla fondamentale capacità di discernere ciò che sei da ciò che non sei: la tua vera missione dai desideri passeggeri dei tuoi ego illusori. Quel Dio sei tu, ovviamente! Non nominare il nome di Dio invano si riferisce all’altrettanto fondamentale capacità di coltivare se stessi nel silenzio, senza ostentazione, senza ambizioni né arroganza, protetti dalle interferenze di ciò che non sei e non ti appartiene. Come mai ritieni il lavoro sul corpo così importante per lo scopo spirituale? Perchè il corpo è il nostro tempio, il nostro laboratorio alchemico perfetto. Non è solo il veicolo della coscienza ma ne è un'emanazione. È la sede delle nostre energie e il punto di partenza per la costruzione dei nostri "corpi solari". Inoltre, oggi la neuroscienza spiega come automatismi e re-azioni non sono solo riferibili ad abitudini o a condizionamenti consolidati nella mente. Infatti, i neurotrasmettitori cerebrali abituano il corpo (le cellule) ad un certo tipo di sostanze associate a specifici umori e stati d'animo che danno assuefazione: alla lunga il corpo ne ha bisogno, a prescindere che tali sostanze implichino stati emotivi spiacevoli. In questo modo il corpo condizionerà la mente affinchè riproduca quei comportamenti grazie ai quali potrà ottenere un certo nutrimento. Tale complesso psico-fisico provocherà stati cronici di stress fino all'emergere di patologie. Per questo motivo, il percorso di ristrutturazione del comportamento non può passare unicamente da un approccio psicoterapico, ma necessita di esercizi corporei di disintossicazione e drenaggio tensionale quali il respiro, il rilassamento guidato, la meditazione dinamica o tecniche più mirate quali lo yoga o pratiche di bioenergetica. Questo per fare esperienza diretta di ciò che siamo, ovvero “conoscere ciò che è consistente”2. Quel non essere che attraverso il corpo, e non la mente, possiamo sentire che siamo, è ciò che siamo più di qualsiasi altra cosa, ed è ciò che ci fa essere. La mente - quella mente che crede di dirci chi siamo - non siamo noi. Crede di dirci quali sono i nostri bisogni: che non sono reali. E che si ammala quando cominciamo a capire e a sentire qualcosa di diverso. E che ci fa credere di essere noi ad ammalarci, a nascere e a morire... Ecco i conflitti, le frustrazioni e i turbamenti. I Tarocchi lo spiegano bene: gli arcani maggiori hanno a che

1 Joyce Collin-Smith, Nessun Uomo è un Maestro (2013, Spazio Interiore). A questo proposito consiglio anche

L’Oscura Luce dei Guru, di Shanti (2013, Editoriale Programma). Di solito queste analisi, sul fenomeno dei maestri e

delle “sette”, vengono svolte dall’esterno, mentre è interessante considerare la testimonianza diretta, e più serena, di chi

ha vissuto il percorso di emancipazione sulla propria pelle. 2 Questo è uno dei passi per cui il Vangelo di Filippo è stato scartato: "I nomi dati alle cose terrestri racchiudono una

grande illusione: infatti distolgono il cuore da ciò che è consistente per volgerlo a ciò che non è consistente. Così, chi

ode ‘Dio’ non afferra ciò che è consistente, ma afferra ciò che non è consistente. Allo stesso modo è con ‘il Padre", ‘il

Figlio’, e ‘lo Spirito Santo’, con ‘la vita’ e ‘la lucÈ, e ‘la risurrezionÈ, con ‘la Chiesa’ e con tutte le altre cose, non si

afferra ciò che è consistente ma ciò che non è consistente, a meno che si sia arrivati a conoscere ciò che è consistente."

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fare con l’anima e la sua storia. I minori con la mente e le sue storie. Se non siamo riempiti dall’anima e dalla sua Storia, saremo riempiti da tutte le altre “storie”, alle quali ci piace tanto credere. L’approccio psicoterapico non riguarda noi e la nostra essenza, ma i nostri conflitti, la nostra mente superficiale, lo “sfidante”, ovvero lo spirito di opposizione. È questa la parte di noi che ha bisogno della psicoterapia, del counseling, delle costellazioni familiari, della PNL e di quant’altro che abbia a che fare col mentale. Così come con la medicina farmacologica blocchiamo il corpo che si sta curando, allo stesso modo con la psicoterapia aiutiamo il nostro spirito di opposizione quando va in crisi! Paradossalmente andiamo a bloccare la fonte della nostra evoluzione (il corpo e l’anima quando innescano certi processi) e a curare la fonte dei nostri mali: la zona di comfort e la mente che mente. Questo per poter continuare a rassicurarci e a raccontarcela. Per continuare a dormire. Gli attuali stimoli che vengono divulgati da molti conferenzieri e venditori di “spiritualità” sono molto psicologici (o pseudo-psicologici): la legge dell'attrazione, il non giudizio, lo specchio, il ricordo di sè, la sublimazione delle emozioni con tutti gli annessi e connessi, posso essere anche informazioni utili e interessanti, tuttavia mancano di alcuni presupposti di base, oltre che essere, alla lunga, fuorvianti nel modo in cui vengono proposte dopo essere state scopiazzate e mal rimaneggiate da concetti e tradizioni profonde ed importanti. Se mai la psicoterapia può essere utile per conoscere le dinamiche dell’avversario interiore, di cui comunque abbiamo bisogno per crescere!, ma non per curarne le fisime quando invece lo stiamo finalmente mettendo in crisi, quando dentro di noi si muove un po’ di “anima”. Pertanto, al contrario di come vengono propagandate, queste “terapie” non hanno automaticamente a che fare con l'esoterismo o con l'alchimia, che adombrano la Gnosi dietro simboli e archetipi non evidenti alla mente psicologica e “razionale” per procedere verso motivazioni molto diverse, che possono essere sentite a livello fisico. Nel corpo l’energia sentita muove forza, calore, crea attriti e sviluppa moti di coscienza. Se, nel momento in cui vengono associate ad una vaga pretesa di "risveglio", non sono accompagnate da precise indicazioni sull'impiego delle energie del corpo e, conseguentemente, da scelte di vita coerenti, tutte le nostre belle conoscenze e trovate esistenziali non portano a nessun risultato reale: nè come terapie, perchè in quanto tali sono comunque abborracciate, nè come percorsi di consapevolezza o di "risveglio" spirituale, visto che, da una parte, educano a motivazioni e ad intenti piuttosto superficiali e consumistiche - quindi egoiche e non spirituali (anche se vengono vendute come tali) -, dall'altra mancano di una reale base operativa per orientare correttamente le proprie facoltà psico-fisiche. Le "belle parole" non bastano: creano suggestioni e appagamenti illusori. Sono palliativi. Magari fanno stare bene, per qualcuno possono costituire un punto di partenza. Ma possono anche essere solo dei sedativi... delle droghe sofisticate. Il lavoro su di sè, quello reale e che ci riguarda come “anime in crescita”, è complesso, impegnativo, richiede sforzo, autodisciplina, determinazione, capacità di mettersi in gioco e in discussione. È sofferenza. O, meglio, può implicare sofferenza e dolore non in quanto tale, ma per i nostri difetti di prospettiva, le nostre resistenze. Ecco perchè non basta la mente per ragionarci sopra e trovare una via, ma serve energia concreta per bruciare queste resistenze: ecco perchè si

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parla di "Fuoco" spirituale. La sofferenza, questa "seconda morte", va affrontata, non temuta. Certo non cercata, non ostentata, tuttavia non va temuta. Vedete? Sembra che sappiamo tutto. Invece, evidentemente, non sappiamo. La Via del Fuoco non è fatta di parole e ragionamenti, di dialettica, percorsi e consolazioni: zittisce, scansa e mette tutti al loro posto. Tempo fa hai accennato ad una novità in merito alla pratica della meditazione che hai descritto nel Percorsi di Alchimia Personale3 e che insegni durante i seminari: mi riferisco all’indirizzare il flusso energetico, dal coccige così come dal capo, verso il cuore, per evitare appunto di alimentare un certo mentalismo. In cosa consiste questa pratica?4 Il cuore è il centro attrattivo delle energie dal basso e proiettivo delle stesse energie verso l’alto. Ben lungi dall’essere semplicemente una pompa (e questo pure i medici lo sanno bene!) è il motore, intelligente e pensante, della nostra vita umana e trans-umana. Le ghiandole endocrine, nell'ordine della loro distanza dal cuore, vibrano sulle stesse frequenze dei pianeti, e ne rispecchiano i caratteri e le dinamiche nell'ordine della loro distanza dal Sole. Ecco perché quello che andiamo a costruire sul piano magico-alchemico prende il nome di “corpo solare”. Nell’anatomia esoterica, come dice Rodney Collin5, “… ogni ghiandola si rivela essere uno strumento sensibile che non solo trasforma l'energia umana alla tensione richiesta dalla sua funzione corrispondente, ma che è anche sintonizzata con uno strumento simile su scala cosmica". Ancora una volta capiamo in che senso… “ogni uomo, ogni donna è una Stella”6. Riferendomi alla pratica di meditazione descritta nel Percorsi di Alchimia Personale, in base agli sviluppi della mia ricerca, direi che è abbastanza efficace regolarsi in questo modo. Prima di procedere con la vocalizzazione dalla A alla I, pronunciate lentamente il mantra IAO, intonando la vibrazione usata per la lettera O, abbastanza aperta. Immaginando contemporaneamente una salita di energia dall’osso sacro al cuore, e una discesa dal capo, sempre verso il cuore; raccoglietevi poi profondamente in silenzio per qualche momento, proprio per fa scendere in profondità ciò che altrimenti rimane nel mentale, cioè nella mente di superficie. Dopo di che, procedere dalla vocale A in poi, normalmente. Sperimentate… Oggi il termine esoterismo è piuttosto equivocato, a volte abusato altre volte non lo si usa proprio per evitare fraintendimenti. Ho notato che tu usi spesso questo termine, ma cosa intendi tu per esoterismo? Voglio darti una risposta attuale, piuttosto che una tipica risposta che di solito può essere data per definire l’esoterismo. Vediamo di tratteggiare uno scenario generale. Facciamo l’esempio delle cure con le cellule staminali. La lobby delle case farmaceutiche emette l’ordine di scuderia che queste cure non vanno sviluppate né proposte, perché il loro profitto ne verrebbe danneggiato. Starà ai governi assicurarsi che tale ordine venga rispettato. La lobby del

3 Percorsi di Alchimia Personale, di Carlo Dorofatti, Erica Holland, Giovanni Gnecchi (2012, Anima Edizioni).

4 Il cenno cui fa riferimento la domanda è presente nel mio Essere ciò che siamo, a pag. 38.

5 Rodney Collin, Le Influenze Celesti (2005, Mediterranee).

6 Liber Al vel Legis I, 3.

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petrolio, per lo stesso motivo, decide di neutralizzare tutte le scoperte sulle auto ad acqua, ad aria compressa, elettriche, a costo di comprare tutti i brevetti. Tutto viene deciso per salvaguardare interessi particolari. Tutto per il profitto. Così come le guerre, che oggi si chiamano “esportazione della democrazia” o “missioni di pace”, sono tutte pilotate in funzione delle necessità di profitto legate allo sfruttamento delle risorse. Stessa cosa per le cure del cancro, l’energia pulita e così via. Esistono quindi piani globali per il controllo delle risorse e della ricchezza, messe in opera dai sistemi bancari, politici, militari, scolastici, mediatici e così via. A favore di chi? A favore di quelle grandi famiglie, più o meno corrispondenti alle famiglie monarchiche o di potere economico, che da lungo tempo si sono affermate con l’uso della forza, prima, e della strategia ad altri livelli, dopo. Homo omini lupus è la legge della giungla che ha permesso a tali famiglie o a certi popoli di affermarsi sul mondo. È la legge del cervello rettile e ha un suo senso. Ecco perché questi “potenti della terra” possono essere definiti “rettilliani”. E tutto il sistema che ne consegue, regolato dal gioco delle vittime e dei carnefici, e dell’affermazione della forza (sia essa fisica sia essa strategica), è un sistema “rettilliano”. È un sistema funzionale e profondamente materialistico. I grandi business si basano sulla malattia, sulla morte, sull’inquinamento, sulla criminalità: tutte cose necessarie al sistema e ai suoi meccanismi di mantenimento economico e che mai potranno essere veramente risolte, anzi sono pianificate a dovere, attraverso le più diverse strategie di pressione sociale, in modo che non manchino mai! Che questi istinti, identificati in queste forze, facciano poi capo a meccanismi ancora “a monte”, ovvero costituiti da altre entità in gioco, extraterrestri, aliene, sottili, poco importa: il concetto, che sia terrestre o cosmico, non cambia. Ovviamente la forza e le posizioni di potere vanno conservate, quindi anche tutte le ideologie che permetterebbero di individuare vie di uscita vanno bloccate. Gli individui devono essere carne da macello: sudditi, clienti, consumatori… in pratica energia da sfruttare, da dominare e basta. Le religioni, così come le ideologie politiche o le concezioni scientifiche, devono garantire che qualsiasi via di fuga sia prontamente intercettata e ricondotta al sistema di dominio, usando le leve – di paura o di motivazione - che di volta in volta servono meglio allo scopo. Anche dentro di noi, il sistema rettilliano garantisce lo stesso equilibrio, affinchè una certa “mente” possa affermarsi, conservare il suo potere e quindi lo status quo funzionale ad un certo equilibrio, per quanto questo equilibrio risulti basato su di una percezione molto limitata e miope della vita e del suo sviluppo (ma questa consapevolezza non può far parte del limitato mondo del cervello rettile, estremamente egoistico e poco lungimirante). Per cui tali sedi di potere sono destinate ad estinguere la loro realtà e ad estinguersi con essa: una nuova realtà prevarrà e il meccanismo si riprodurrà in base allo stesso sistema di mantenimento, finchè si giungerà ad una situazione estrema di irriproducibilità: la “morte fredda” dell’universo. Eppure, anche in tali circostanze, l’essere umano può avvertire in sé una pulsione differente, che sia disposto (o ancora in grado) di darvi ascolto o meno, ovvero cogliere una certa intuizione oppure abbandonarsi ai meccanismi della mera lotta per la sopravvivenza (= oblio di sé). Abbiamo già detto che questi impulsi vengono combattuti o, per lo meno, intercettati e sedati dalla mente e dal sistema rettile e dai suoi sotto-programmi, che funziona molto bene per garantirsi la sopravvivenza, secondo le sue percezioni e le sue logiche, approfittandosi puntualmente della

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nostra paura, che alimenta questo circolo vizioso. Paura di cosa? Fondamentalmente della morte, e persino del pensarci!7 La paura è lo strumento del controllo. Io non credo in un equilibrio armonico del sé, della vita e delle cose: la natura è ben diversa. Se mai possiamo intuire un equilibrio complesso e dinamico. Quindi il conflitto, la tensione, il caos sono cose necessarie, connaturate. Tuttavia credo che l’avventura, la sfida, non debba sfogarsi nel conflitto tra gli uomini, per il cibo, per il territorio, per la paura della morte, insomma a causa del suo smarrimento dal quale deriva un’ormai grave e reiterato difetto di percezione. Credo anzi che la grande sfida sia da giocarsi nei confronti della complessità della vita, per comprenderne e assimilarne i misteri, le possibilità, le forze. Non uomini in conflitto tra loro, ma uniti ed esaltati nella loro diversità, che è ricchezza, che non si percepiscono come concorrenti e nemici tra di loro, ma che accettano, ognuno con la propria peculiare visione e unicità, la sfida dell’esistenza, nel pieno rispetto del creato eppure svelando le sue energie e la sua verità. In questo momento, entro i confini del piano di esistenza che creiamo e percepiamo e che, volenti o non volenti, bene o male, accettiamo, alimentiamo e condividiamo, ancora prevale l’istinto rettile; saremo anche andati sulla Luna, ma non ci siamo mai mossi da lì: dal sentirci soli, dalla paura, dal conflitto, dall’attacco-fuga. Tutti noi, dentro di noi e partecipi di quanto manifestato fuori di noi, siamo all’interno di tali circostanze: infatti siamo qui, in questa realtà tridimensionale, con questo corpo, questa mente, questi sensi, queste percezioni e, volenti o nolenti, con queste logiche, attive nel profondo. L’esoterismo riguarda l’indagine di quell’impulso interiore misterioso e anomalo, ovvero estraneo a questo sistema rettilliano e, in linea più generale, anomalo anche ai sistemi più o meno evoluti della Natura in quanto tale e dei suoi meccanismi di mantenimento e riproduzione ciclica. Quell’impulso anomalo possiamo definirlo, con Gurdjieff, come “impulso esserico”. Sottrarsi all’impulso rettiliano significa intuire una nostra identità differente rispetto a quella materiale e psichica attuale e accedere ad una percezione differente di noi stessi, della realtà e, di conseguenza, sviluppare obbiettivi e sistemi ben diversi rispetto a quelli rettilliani, dentro e fuori di noi su tutti i livelli, inclusa la rielaborazione della nostra vita, della nostra socialità, politica, economia in funzione di una consapevolezza ecologica e olistica che può tenere conto di una maggiore ampiezza di vedute, ovvero trascendente. Trascendente cosa? Trascendente la percezione meramente sensoriale/materiale, le logiche dualistiche tipiche rettilliane (tipo legge della giungla, vincitore/perdente, lotta/fuga), ecc… Questo è l’esoterismo. E può partire da dentro di noi: di ognuno di noi. Com’è possibile che un individuo possa fare la differenza?

7 Vedi la riflessione di Rocco Bruno nel suo Matrix – Una parabola moderna (Libro I) a pag. 192 (Ed. 2010), dove tra

l’altro l’Autore riporta e commenta una conferenza di G. I. Gurdjieff del 1924 davvero significativa.

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Perché l’impulso esserico – e qui entriamo nelle ipotesi, in ciò che possiamo sentire o possiamo intuire, anche attraverso quei miti che sembrano contenere una sapienza antica e perduta – corrisponderebbe ad un potere di gran lunga superiore a quello dei sistemi materialistici naturali e animali, essendo esso stesso fonte e sorgente, nonché superiore termine di risoluzione, del mondo e della vita. Nel tuo Nient’Altro che Sé Stessi8, così come nel sito del Centro Studi Ascensione 93, descrivi una serie di scenari che hanno a che fare con eventi ed enti non solo di questo mondo: parli di Atlantide, di Lemuria, di alieni e, pur senza indugiare nel complottismo, lasci comunque intendere una situazione mondiale, collettiva e individuale, assolutamente mortificata rispetto a quello che siamo veramente, e alla vita che dovremmo manifestare e vivere. Conosciamo il tuo scetticismo rispetto a soluzioni politiche, comunitarie, o di attivismo di alcun genere, ma allora come possiamo risollevare finalmente la testa, riprenderci quello che di diritto dovrebbe essere la nostra vita vera? Per commentare, non dico rispondere, la tua domanda dobbiamo ricorrere al mito, alla meta-storia. Quello che possiamo osservare e dire è una piccola parte di un grande mito. Il mito ci permette di tratteggiare una rappresentazione della realtà. E può essere letto in diversi modi per descrivere la realtà così come le nostre dinamiche interiori e tutte le sfumature intermedie tra queste due prospettive, entrambe vere e misteriosamente interconnesse. Un’interpretazione oggi tanto di moda parla degli alieni. L’umanità terrestre, nel contesto del nostro piano di esistenza, è sottoposta ad un’agenda, chiamiamola pure “aliena”, di totale sfruttamento: di risorse, di energie, di tutto quanto. Al di là delle possibili argomentazioni spirituali e metafisiche, per le quali va sempre tutto bene (ed è così!), per quanto ci riguarda assistiamo ad una storia drammatica, un programma alieno, cioè alienante, che conta la connivenza di un tot di umani che si sono venduti a una certa tale tendenza, percepita come “autorità”, per motivazioni altrettanto complicate da discutere, ma facenti capo alla natura dell’illusione. Nel mezzo ci stanno tutte le ibridazioni e le manipolazioni che potete immaginare, gruppi occulti, programmi militari, quello che vi pare. Ci sta anche tutta quell’impressionante propaganda che nasce dalle nostre stesse debolezze, dalle nostre paure, che alimenta e, anzi, rende tutto questo ancora più impressionante e vero. Ecco il circolo vizioso della paura: le teorie complottiste, gli scenari apocalittici, le sciocchezze più sfrenate, come se non bastasse la realtà così com’è e, dall’altra parte, come se la realtà fosse tutta e solo così! Non è vero! Là fuori c’è ancora una vita meravigliosa! Un mondo meraviglioso! Eppure non possiamo più crederci… un mondo meraviglioso? Ma dove? Come sarebbe possibile? Non fatevi fregare dal predatore-psicopatico9. Il predatore-psicopatico è in guerra da sempre. Una guerra contro la bellezza che lo circonda. Sa che non potrà mai raggiungere lo stato di grazia in cui esiste un senso di apprezzamento e di gratitudine quindi cerca di distruggere questa bellezza. Mentre gli umani possono avere

8 Nient’Altro che Sé Stessi, di Carlo Dorofatti (2010, Nexus Edizioni).

9 Vedi il post “Il predatore-psicopatico e la sua guerra contro l’Essere Umano”, sito:

http://essereumanoinarmonia.blogspot.it/2012/12/il-predatore-psicopatico-e-la-sua.html. Vedi anche il post-scriptum

“Papillon” di Alberto Medici, alla fine del suo libro “Ingannati fin dai tempi della scuola” (2011, La Cassandra

Edizioni).

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l'esperienza della bellezza della loro anima, il predatore è in cerca solo di mezzi energetici da "sottrarre", menti da torturare e disturbare e ancora corpi da pervertire ed inquinare. I predatori creano uguaglianza, portando tutti quelli intorno a sé al loro livello di non-vita. Impongono il loro odio verso lo spirito umano nel mondo intorno a loro e avvelenano ogni cosa che toccano...la vita in sé è la loro più grande psicosi! Eternamente affamati, sempre vuoti, non smettono mai di cercare quella cosa che ci rende umani e che ai predatori-psicopatici mancherà sempre: l'Anima.

Thomas Sheridan È una faccenda molto antica, che possiamo però intuire, lasciare emergere dal passato così come dal profondo di noi. Le due direzioni coincidono. La realtà non si limita a quello che percepiamo, alla manifestazione alla quale siamo abituati, e anzi si distribuisce su numerosi livelli possibili, tra i quali questa nostra manifestazione non è che uno dei tanti. Anche l’essere umano, per tutta una serie di ragioni, naturali, artificiali e quant’altro, è ben più complesso di come siamo abituati a pensarlo, anche se non ce ne rendiamo conto. Cerchiamo di portare il discorso su un piano esoterico e non friggiamoci il cervello con gli UFO, gli elenchi delle razze extraterrestri e le loro descrizioni e rispettive agende… i bravi e i cattivi… Si, certo, va bene, diciamo che ci sono anche quelle robe lì, ma a noi – qui, adesso – non ci interessano. Non è quello il punto. Il punto non è se gli alieni esistano: il punto è: quanto esistiamo noi? Il “sistema” che ci siamo confezionati è complesso, si distribuisce su più piani e coinvolge manifestazioni diversificate dello spirito, dell’energia e della materia, o meglio, della percezione. Questo sistema si compone di molteplici ingranaggi, alcuni evidenti, altri decisamente meno. Alcuni vicini a noi, al nostro piano, quindi intuibili, altri, quelli fondamentali, meno intuibili, più sottili, dietro le quinte, quasi inimmaginabili nella loro realtà. E tuttavia sono le basi dei meccanismi successivi. Tutto origina dall’energia assoluta che siamo, che si evolve o si disperde tra le sfide dell’esistenza. Da questa energia originano mondi e forme di coscienza e di esistenza tutte coinvolte nella grande avventura dell’essere. A queste dinamiche si sono date connotazioni spiritualistiche e religiose, anche se oggi vanno di moda le reinterpretazioni in chiave ufologica, che però non dovrebbero ridurre la portata ultra-umana di tali scenari. Le religioni, e in particolare le religioni monoteistiche, dal punto di vista antropologico, costituiscono un tentativo di comprensione e di interazione, anche se il più delle volte, anzi sempre, generano i presupposti di un asservimento fuorviante, come sappiamo bene. Eppure le religioni sono effettivamente a contatto con forze “dietro le quinte”, più o meno grandi e potenti, vicine alle fondamenta dei sistemi vitali e, nel nostro caso, di quel sistema di controllo e manipolazione sviluppatosi per garantire determinati equilibri.

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Sembra incredibile ma se ci pensiamo bene dalla religione – quindi da una certa connessione energetica identificabile nel concetto deviato di Dio e nell’autorità (potere ecclesiastico) ad esso riconducibile – conseguono la politica, l’economia, in pratica la vita di tutti noi, fino al nostro piano quotidiano, con tutti i suoi meccanismi più evidenti. Da sempre. Anche oggi è così. Il potere che imbriglia la nostra essenza energetica, la nostra anima, diventa, attraverso meccanismi successivi, il potere temporale che imbriglia la nostra vita. Si tenga presente che tutta la nostra società (la politica, l’economia, tutto quanto al quale ognuno di noi è sottoposto con precisione chirurgica: leggi, regolamenti, codici, obblighi amministrativi, fiscali, il lavoro ecc…) si basa su di una giurisprudenza riconosciuta ed efficace a livello mondiale, le cui origini e fondamenta sono da ricercarsi in quella pretesa di diritto divino che costituisce il nesso tra determinate forme di energia, dietro le quinte, e il nostro piano di realtà. Questo nesso è molto antico, possiamo farlo risalire all’Alleanza tra quell’entità che poi siamo stati abituati a chiamare Dio, e l’umanità, mediata da una élite definita. Da lì, passando per il diritto romano e precisi sistemi di perfezionamento che risalgono al nostro medioevo, si è stabilizzato un sistema di potere che è uno degli assi principali di tutti i meccanismi. Tutte le considerazioni che possiamo fare sul “nuovo ordine mondiale”, con i suoi governi ombra, il potere delle lobby, le multinazionali, le banche, il problema delle sovranità nazionali, della sovranità monetaria, non sono altro che dinamiche successive rispetto a cause che stanno a monte, senza prendere in considerazione le quali siamo comunque radicalmente e ineludibilmente schiavi. Il fondamento giuridico riconosciuto ed efficace a livello mondiale è costituito da una serie di “codici” promulgati dall’autorità papale della Chiesa di Roma e resi operativi, mai abrogati, grazie al nostro tacito consenso, come sempre accade nella nostra quotidianità amministrativa. Attraverso queste leggi, che, ripeto, stanno alla base di tutti i sistemi giuridici del mondo, noi rinunciamo di fatto alla nostra sovranità individuale: questo è il punto. La questione non è solo “sociale”, è “spirituale”, proprio perché tali manovre corrispondono ad altre dinamiche che, a monte, hanno a che fare con la nostra anima e non solo con la nostra vita materiale. Prendendo atto di questa situazione, informandosi adeguatamente10, è possibile tentare due strade: la prima è quella di comprendere profondamente queste regole e volgerle a nostro vantaggio, per recuperare il possesso di noi stessi, attraverso procedure legali. Oggi sono molte le persone che stanno percorrendo questa strada per recuperare il loro status di individui sovrani. L’altra strada è quella di vedersela direttamente con quelle dinamiche che, a monte e sui piani sottili, manovrano tutto il meccanismo, in virtù della nostra, imprescindibile e altrettanto

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Partite dalle informazioni che trovate qui: “Il sistema delle Bolle papali” - http://www.iconicon.it/blog/2013/02/il-

sistema-delle-bolle-papali/

(Reblogged da: http://hearthaware.wordpress.com/2012/09/26/le-bolle-papali-che-hanno-cambiato-il-mondo/).

Senza perdervi nelle derive complottiste e nelle meno rilevanti interpretazioni spiritualistiche ed esoteriche, più o meno

condivisibili, proseguite poi con gli episodi 8, 9 e 12, in particolare, del ciclo che trovate qui:

http://blog.miglioriamo.it/1704/tempodicambiare-08/

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ineludibile, autorità divina. Ovvero, ridiscutere i termini del consenso alla fonte. Non so quale delle due strade sia la più efficace e, soprattutto, la più difficile! Io suppongo, in questo momento, che la soluzione più totale – e forse effettivamente praticabile – sia la seconda. La via d’uscita da questa situazione di manipolazione e sfruttamento, umana e aliena (propria di quelle parti di noi che non sanno più riconoscersi nell’umano), si trova, a parer mio, a vibrare su altri livelli rispetto a quello esistenziale attuale, ed è da là che si può trovare una risoluzione, contando sulla nostra stessa multidimensionalità. Tutto il resto è vano, perché è parte di una precisa proiezione corrispondente al livello che insistiamo ad alimentare, nel quale ci ostiniamo e che siamo ormai abituati a credere come reale, l’unico vero e possibile. Possiamo quindi solo subire tale realtà di fatto, a meno che non ci spostiamo di livello, non solleviamo il capo, non guardiamo, non vediamo le cose in modo diverso, non ci accorgiamo della verità, ed è ciò che per prima cosa ci è stata resa inimmaginabile, perché non ammettiamo neanche, nel profondo di noi, che questa possibilità abbia un senso e sia reale… Se ci credessimo davvero, saremmo davvero molto diversi! E faremmo cose diverse! Faremmo scelte che invece al solo pensiero ci fanno paura… e poi chissà cosa penserebbero gli altri! Questo è parte di una sfida, di una serie di conseguenze, di un grande gioco, che si mescola con le leggi della natura, quelle divine e metafisiche, con le dinamiche giustissime di un universo che ha i suoi equilibri e la sua intelligenza globale. Quello che qui vediamo e “subiamo” è specchio dei nostri errori interiori, è il riflesso che da altre dimensioni del possibile precipita su questa realtà apparendo in questo modo, attraverso la storia collettiva. La risoluzione è interiore, dietro le quinte, ed è altrettanto “aliena” rispetto a come oggi siamo abituati a pensare e a percepire noi stessi e le cose. In che senso hanno reso inimmaginabile ciò che siamo? Noi siamo proprio qui perché “sentiamo”, immaginiamo quindi un potenziale… Hanno reso, anzi no!, abbiamo reso a noi stessi inconcepibile la verità. La verità su di noi, sull’universo, la vita e tutto quanto. E quindi non siamo altro che i bit del programma che qualcun altro, nel bene e nel male, userà per la sua propria avventura di coscienza. Che poi, alla fine, siamo sempre e ancora noi… ma questa nostra storia non sarà più… non sarà mai stata. L’unica via è rendersi conto, realizzare, mettere a fuoco la questione e… essere. Niente e nessuno può impedirlo. Potrebbe andarsene quando vuole. Se fosse qualcosa di più di una vaga aspirazione, se fosse assolutamente determinato a scoprire la verità, noi non potremmo fermarlo. [...] Truman preferisce la sua cella!

Dal film: The Truman Show, di Peter Weir

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Tu dici che il riferimento siamo noi stessi. Ma, nella pratica mistico-magica, così come nella definizione di una filosofia, di una metafisica, ci saranno dei riferimenti assoluti, certi e immutabili, ovvero “tradizionali”, cui rifarsi e verso i quali orientare lo sguardo? Non c'è un "centro certo" cui affidarsi. Oppure, se preferisci, c’è ma dobbiamo dimenticarcene e rifare i conti liberamente, senza paura; oppure ancora, forse, quel “centro certo” non è quello che pensiamo essere. Ecco perché, secondo me, è importante restare nel vago, sfidare la mente razionale, scrollarsi di dosso dogmi e schemi, rinunciare a centri fermi ed indiscutibili, per poi magari riscoprirli, arrivarci nuovamente, ma per presa di coscienza e attraverso un rinnovato livello di consapevolezza. Nei tuoi libri introduci e sviluppi progressivamente il discorso sulle energie sessuali, parlando di via umida e via secca, di via della mano sinistra e di via della mano destra. Si avverte la tua vicinanza al Tantra eppure parli spesso di Tradizione, di auto-disciplina, cose, mi sembra, lontane dalla via della mano sinistra, spesso condannata dalla tradizione… come conciliare disciplina e libertà? L’auto-disciplina, se ci pensiamo bene, è una via verso la libertà, anzi è già espressione di libertà: libertà di concederti la possibilità di essere ciò che sei veramente, di conoscere la tua vera natura e la tua vera volontà al di là dei condizionamenti e delle illusioni che propinano invece libertà apparenti. Però, attenzione a non fare confusione. Mi capita di notare che spesso vengono associati concetti che tra loro hanno poco o nulla a che fare. Spesso sento assimilare la via secca con la via della mano destra e quest’ultima con la Tradizione, quella cara a Guénon, piuttosto che a Evola, per intenderci, i cui fans condannano la Teosofia, Crowley piuttosto che Osho e che, alcuni di essi poco informati, sono portati a condannare allo stesso modo la via della mano sinistra, chissà per quale strana ragione. Facciamo un po’ di ordine. La via della mano destra si chiama così perché la sua tradizione si consolida nel sud dell’India: tale corrente giunge da sud, quindi, per l’indiano che volge lo sguardo al sorgere del sole come punto di riferimento, giunge dalla sua destra. I Tantra, molto più recenti rispetto alla dottrina induista ortodossa, giungono dal nord dell’India, quindi dalla sua sinistra. Ecco perché si chiama “via della mano sinistra”, un motivo che non ha nulla di sinistro. La via della mano sinistra è una via attiva, esplorativa, esoterica, non-dualista e vede la vita non già come mera sofferenza e la materia non come una degradazione, ma parte dal presupposto che tutto questo sia funzionale non solo alla nostra reintegrazione divina ma all’evoluzione stessa della divinità in noi. Per la serie, già che siamo qui, facciamone qualcosa, godiamone, esploriamo, appassioniamoci: facciamo di necessità virtù, o buon viso a cattivo gioco… Sia la vita pura gioia! Dati questi presupposti la via della mano sinistra si distingue dalla via della mano destra, che invece è essoterica, religiosa, dogmatica, fideistica, quindi passiva, basata sulla devozione e dualista. Nella sua ortodossia vede la gioia e il piacere con sospetto e induce a pensare il sesso

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come a un qualcosa da reprimere e da negare piuttosto che da esplorare e impiegare; questo anche nella sua gestione contenitiva, che è il risultato di una repressione. Tale negazione non dico che sia insita nelle dottrine di mano destra in quanto tali, ma è il frutto di un certo moralismo che queste dottrine religiose e devozionali producono. Tuttavia, la via della mano destra non va confusa con la via secca che invece attiene comunque alla via della mano sinistra dove l’energia sessuale è liberamente esplorata e protagonista del processo di risveglio pur nella castità (di coppia o in celibato) come scelta consapevole, molto diversa dalla mera obbedienza alle prescrizioni religiose. Quindi non associate la via secca con la via della mano destra: anche se la pratica, in fin dei conti, può sembrare la medesima, la concezione che sta a monte è diversa perché non c’è repressione, ma comunque una forza attiva che viene proiettata. La cosiddetta Tradizione si riferisce a quel corpo di conoscenze e di dottrine che compongono quella gnosi ancestrale e universale, cioè quella filosofia perenne, che starebbe alla base dell’esoterismo così come delle religioni del mondo. Questo tra storia e meta-storia. La Tradizione non va confusa con la via della mano destra, anzi, è molto più vicina alla via della mano sinistra. La Tradizione è esoterica, attiva, sebbene voglia rifarsi ad una Gnosi codificata, ad una verità che deve essere quella, ed è immutabile. Si distingue dalla via della mano sinistra perché per la Tradizione, che è fortemente dualista, la via è una ed unica, la verità è solo una ed è quella della nostra origina divina: la vita, la materia, rappresentano un degrado del quale disfarsi il più presto possibile. La reintegrazione significa tornare al passato, all’origine: non vi è progresso possibile dal quale trarre evoluzione, dato che la modernità non fa che allontanarci dalla saggezza dei primordi. Ovviamente questi elementi, sul piano filosofico, sono lontani dalla via della mano sinistra, che invece vede la vita come qualcosa di costruttivo, di bello e di utile alla stessa coscienza divina nel suo percorso di reintegrazione. Non per questo la Tradizione può dirsi di mano destra o anti-tantrica, anzi, era molto più anti-tantrica la Blavatsky (che i tradizionalisti avversano violentemente) che non un Evola, grande conoscitore delle tradizioni tantriche e di mano sinistra. Certamente la Tradizione avversa quell’atteggiamento sincretistico e liberal tipico di un Crowley o di un Osho. Al di là delle disquisizioni accademiche (che tra l’altro non rientrano nelle mie competenze specifiche, per cui ho potuto solo riportare quelle che sono le conclusioni di un’analisi personale), ribadisco la non conflittualità sul piano operativo, nel senso che gli approcci, vissuti con serietà e consapevolezza, portano al medesimo risultato finale11; lasciamo andare tutte queste classificazioni e andiamo oltre: pensiamo a noi e procediamo. Hai detto che i sogni possono costituire una porta verso altre dimensioni di sé e quindi della realtà. Come si può utilizzarli in questo senso? Prima di arrivare a quel livello dobbiamo capire che i sogni che normalmente facciamo sono semplicemente una sorta di sfogo dell’inconscio, uno scarico. Finchè siamo in quel livello possiamo fare molto poco: anzi, tutta questa mania di interpretare i sogni, che da una parte certamente può essere utile e può avere un risvolto psicoterapico significativo, è forse fuorviante: lasciate andare. I

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Cfr. Essere ciò che siamo, pag. 81.

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sogni, al nostro livello medio di esperienza, sono la “cacca” dell’inconscio: quando andate in bagno, una volta fatto quello che dovevate fare, tirate lo sciacquone e non ci pensate più. Allo stesso modo, non state ad arrovellarvi troppo con i sogni… lasciate andare. È un altro il livello che se mai potrebbe interessarci, ma non lo raggiungiamo finchè siamo attaccati alle nostre pastoie. Una volta che la coscienza è fluida, allora i sogni potranno finalmente costituire qualcosa di diverso, se abbiamo la continuità di essere ciò che siamo al di là dell’identificazione con il corpo e la mente cosiddetta conscia. Cos’è la felicità? La felicità è la capacità di essere felici. Sento spesso dare, dai moderni predicatori e imbonitori, formule per essere ricchi, sani, di successo, senza ansie, paure o problemi, in armonia, amicizia e pace con tutti, oltre i dualismi ecc… ecc… Tante belle cose… Essere in quel tal modo dentro per far corrispondere quella data realtà fuori… Ebbene: dal punto di vista di quanto stiamo discutendo in questa sede, tutto ciò non è altro che un sofisticato sottoprogramma del solito sistema, del solito incantesimo. È droga un po’ più raffinata… Psicologia da quattro soldi, che, peggio ancora, si spaccia per spiritualità e che ancora una volta manca completamente il punto della questione. Che è tutt’altro. Dobbiamo uscire da questi “bisogni”, da questo gioco perverso: il bisogno di essere sicuri, il bisogno di essere felici, il bisogno di essere ricchi (dentro o fuori che sia), il bisogno di essere sani, belli e vincenti e di saperla tanto lunga. E quindi il bisogno di essere prosperi, nell’abbondanza, nel successo, di realizzare i sogni, di cambiare il mondo… alla fin fine è sempre in tutto questo che si va a parare. Sono larve, agganci, “pendoli”, come li chiama Zeland. Fintanto che siamo lì dentro, su quella giostra, per quanto impariamo a gestirci al meglio, applicando The Secret, l’attrazione, l’entusiasmo, le affermazioni positive e quant’altro… siamo sempre lì dentro! E alimentiamo, ancora meglio, quel sistema. E chi vi passa queste cose, magari in modo molto seduttivo e convincente, contribuisce tuttavia a farvi restare in quei condizionamenti, in quei bisogni. Ovvero in quelle illusioni assurde e ridicole, infantili. E lo fa pure in modo sofisticato; e lo fa per mestiere! Questo è il lavoro su di sé?! Dove state collocando tutto questo? Con quali ingredienti vecchi e stantii pensate di accedere al nuovo? Ma poi, veramente… Di cosa stiamo parlando? Di che sicurezza? Di che ricchezza interiore? Di quale abbondanza e prosperità? Ma, cosa volete “attrarre”? Da dove? Chi? Per cosa? Cosa state alimentando? A quale giostra continuate a dare energia? A quali apparenze continuate a dare credito? Di quante droghe vi dovete ancora fare? Non ti sembra di chiudere alle domande che ti vengono fatte? Spero di no… anzi domande e risposte sono il modo migliore per rendere questi incontri veri, vitali… è pure vero che la domanda - che ovviamente non dovete rivolgere a me, ma che deve “tormentare” ognuno di noi - è una sola:

Qual è il senso reale della mia esistenza?

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La magia non è una via per essere felici. Secondo me il mago non è “felice”: non si pone proprio il problema. Il mago vuole imparare. Questa della felicità – di un certo tipo di felicità, molto mentale e sofisticata - è un’ansia molto recente… molto moderna, tipica di una mentalità decadente, squallida e insipida. Adesso è un momento buono: siamo davvero entrati in una nuova era di possibilità, non possiamo lasciare che il sistema ci soffochi ancora, ci spenga come al solito, con i suoi sottoprogrammi e i suoi sedativi ipnotici. Possiamo rifiutare tutto questo, ma possiamo farlo da dentro di noi: il rifiuto, la rivoluzione, è interiore. Finalmente la nostra psiche può allinearsi con il nostro centro, con l’impulso di essere, non permettiamo al sistema di intercettarci ancora. Riconoscete i pensieri e gli umori che non siete voi, che non vi appartengono. Ora possiamo farlo. Tutto il resto, se non è illuminato da questa chiarezza, è fuffa. Tuttavia, con questa chiarezza, potete fare tutto: il punto non è nelle tecniche, l’una piuttosto che l’altra, siete voi il punto. È quello che voi portate che fa la differenza: la vostra presenza, la vostra vibrazione. Il veicolo può essere qualsiasi cosa. Se ogni cosa è veicolo della nostra energia divina possiamo fare tutto, superare ogni limite, bruciare ogni virus. La ricerca e le aspirazioni di cui stiamo parlando qui non hanno niente a che fare con la “felicità”. È una questione ampiamente superata, ancora strumentalizzata solo da chi vi vuole tenere legati alle illusioni di una mente indolente, che vuole abbassare il livello e ridurre la vostra identità e le vostre motivazioni a qualcosa di molto ristretto, banale, manipolabile. Per questo non voglio avere a che fare con i mercanti mitomani che ci sono in giro, ma voglio al massimo creare un gruppo di esperienza, magari anche di formazione, va bene, ma solo con certe persone e sicuramente non con altre. E non stressatemi con il non-giudizio: un altro concetto molto importante oggi puntualmente strumentalizzato per non farvi pensare, per inibire il vostro senso critico e il vostro discernimento. Chiamate pure le cose con il loro nome, non fatevi troppi problemi. Non fatevi fregare. Aleister Crowley scriveva: Di tutte le Grazie che si stringono intorno al trono di Venere, la più timida ed elusiva è quella fanciulla che i mortali chiamano Felicità. Nessuna è così bramosamente inseguita; nessuna è così difficile da conquistare. In verità, solo i santi e i martiri, normalmente sconosciuti ai loro simili, l’hanno fatta loro; ed essi l’hanno raggiunta estinguendo in se stessi il senso dell’Ego, in quel divino oceano della Coscienza la cui schiuma è imperturbabile e gioia perfetta. Agli altri, la Felicità giunge solo come per caso; quando meno cercata, forse lei è là. Cercatela, e non la troverete; chiedetela, e non la riceverete; bussate, e non vi verrà aperto. La Felicità è sempre un divino incidente. Non è una qualità definita; è la fioritura delle circostanze. È inutile mescolare i suoi ingredienti; gli esperimenti nella vita che nel passato l’hanno prodotta, possono essere ripetuti incessantemente, e con infinita abilità e varietà — invano. Se siete incerti, dubbiosi, depressi, in una situazione di vita instabile, precaria, per mille motivi, vi consiglio di dare priorità al rimettervi in sesto, al ricentrarvi, piuttosto che di pensare alla magia e all’esoterismo. Sia quella la vostra meditazione, la vostra magia. Piuttosto cercate chi vi possa

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eventualmente aiutare in modo mirato, magari un terapeuta. Altrimenti rischiate di confondervi ancora di più e di imbattervi in situazioni inopportune o trovare chi potrebbe approfittarsi di tutto questo, magari proprio dandovi corda nella vostra autocommiserazione e nel vostro inconsapevole vampirismo, o incappare nello pseudo-terapeuta-guru di turno. Non tormentate chi va ha teso la mano o chi fa al caso vostro perché così potete nascondervi dietro alle “alte cose”. Rimboccatevi le maniche, aggiustate la vostra vita, prendetevi cura di voi. Lo so… è un discorso duro. Ci si deve rendere conto di dove si è! Quella è la prima, scomodissima, illuminazione. Spesso ti sento fare una distinzione tra la “new age” originale e una certa piega che questa new age avrebbe preso, diventando un fenomeno di moda e di business. Ti scagli contro l’idea di questa “salute e benessere”, di questa “prosperità e abbondanza” e dei suoi guru. Puoi specificare meglio la tua posizione e questa particolare distinzione tra quello che intendi per new age e questa modalità attuale al centro della tua denuncia? Inoltre, non è forse spirituale accettare profondamente se stessi, migliorarsi, volgersi verso una vita solare, luminosa, rivolta al bene di sé e degli altri, con serenità intima e senza porsi necessariamente altri “grilli per la testa”, che in fondo sono forse solo delle illusioni? Oggi più che una new age, che non ha niente a che fare con quella mitica new age degli annti Settanta, quella di Timothy Leary, di Aldous Huxley o di Terence McKenna, per intenderci, ci troviamo di fronte ad una next age (anche i sociologi si esprimono in tal senso). Mentre la new age propriamente detta si pone il problema di una società, addirittura di una civiltà, nuova - ovvero da rifondare su presupposti diversi, olistici e spirituali -, dopo la grande delusione, negli anni ’80 e ’90 il fenomeno cambia e diventa “next age”: la new age diventa qualcosa di diverso, cioè punta tutto sul benessere dell’individuo. La persona, il singolo, ha il diritto di incazzarsi, di mandare tutti a quel paese, di essere libero ad oltranza, di prevaricare gli altri eventualmente (perché alla fine è così!), perché ha diritto di dire di no, di dire di sì quando e se gli pare, di porsi prima di tutto e di tutti, finalmente. Questo è l’obbiettivo: assolutamente individuale. Non c’è ideologia se non quella del benessere individuale, dei sacrosanti diritti individuali. A parer mio, si è decisamente passati all’estremo opposto: alla religione dell’ego a oltranza, che infatti ben si presta per essere la religione del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, proprio perché in questo modo gli individui, tutti belli separati ognuno a pensare al proprio ego e al proprio benessere senza troppe complicazioni e possibilmente senza impegnarsi neanche più di tanto, sono perfettamente manipolabili. Questo per quanto riguarda l’intercettazione di una certa ricerca, di un certo sentire. Perfettamente riuscita. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, il discorso è ancora diverso e riguarda quel modello della “persona normale” che spesso andiamo ad invidiare. La rivoluzione spirituale è qualcosa di molto diverso dal conseguire una visione ed un comportamento etico. Cerco di spiegarmi. Facciamo l’esempio di una persona buona, gentile, in equilibrio con se stessa, che ama la natura, che rispetta gli altri: è generosa, fa il suo lavoro, porta avanti la sua vita osservando un comportamento onesto, integro, senza per questo essere religiosa, ma semplicemente perché ne comprende il valore. Fa del bene, aiuta gli altri, educa i propri figli, gode della vita, svolge bene la sua professione, ha senso civico, fa le sue belle gite domenicali durante le quali si commuove davanti ad un bel tramonto. Magari fa volontariato e cerca di dare alla sua vita un’espressione gioiosa, bella e creativa. Probabilmente una persona così avrà anche successo, starà bene e farà stare bene chi gli è vicino. È questo spirituale? Secondo me

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no. Non perché non sia apprezzabilissimo e bellissimo, intendiamoci, ma perchè non ha necessariamente a che fare con la spiritualità, la conoscenza, il percorso verso una consapevolezza superiore. Ed è qui il punto. Quella persona, sicuramente serena e con meno problemi della seconda tipologia che andrò a citare tra poco, è un’ottima persona, probabilmente saggia, “migliore” di altre e di grande spessore etico. Ma, per quella persona la vita è questa. Punto. Cercherà di trarne il meglio, di comportarsi bene, di rispettarla, di viverla con passione ed entusiasmo, magari con poesia, con amore e rispetto di sé e degli altri. Ma per questa persona la vita è questa. Proprio questa qui. Per il ricercatore spirituale, persona probabilmente più inquieta e meno solare della prima, semplicemente la vita NON è questa qui. O, meglio, non è SOLO questa qui. È un aspetto, ma la spiritualità non è (o per lo meno non si esaurisce in) questo. Ecco la differenza. Con tutte le sue conseguenze. Al di là dell’essere in un certo modo e di tendere a migliorare se stessi e questa realtà, e/o goderne con serenità, ma anche con generosità, altruismo, amore e tutte le virtù che ci possono venire in mente, la ricerca spirituale e del divino, che certamente non nega quanto detto finora, comincia tuttavia da quella intuizione profonda, da quel sentire che… non è quello! Se mai tutti quegli aspetti , certamente di valore e frutto di una certa maturità, possono – non è detto – fare da base per una comprensione ancora diversa. Da quella sensazione in poi comincia l’avventura spirituale. Quali sono le conseguenze di questo “salto percettivo”? Si esce dai parametri. Se si vive davvero l’avventura della coscienza non si percepisce, non si interpreta e non si può vivere più questa realtà, con i suoi confini e i suoi schemi, con i suoi concetti “giustissimi” di bene e di male, in questo modo “normale”, secondo l’idea comune di “normalità”, anche se questo essere normali può significare essere le persone migliori del mondo e questa vita possa essere la migliore del mondo. Non si può più essere così: normali. Del resto la storia, proprio quella dei personaggi che gli ipocriti portano sempre a modello durante le loro messe o i loro corsi new age, lo dimostra chiaramente, no? Prova a metterla in pratica: prova a fare come un Cristo, un Buddha o un Francesco. O come un Gurdjieff, un Aurobindo, prendete pure qualunque di questi personaggi appesi al muro12. Perché è di questo che stiamo parlando: non di brave persone… ma di rivoluzionari della coscienza, della vita e della realtà. Quello che dico sembrerà pazzesco (per forza!), ma al di sotto di quel livello non stiamo veramente parlando di Coscienza, di Illuminazione e di tutte quelle belle cose di cui ci riempiamo solo la bocca e la testa. Certo possiamo trarre insegnamenti, possibilità, strumenti per vivere meglio ed essere persone migliori. Ma l’esperienza spirituale non è una questione di virtuosismi. È una questione di… svegliarsi.

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La conferenza da cui è stata ripresa questa trascrizione si svolgeva in un Centro con alcune foto di Maestri appese al

muro.

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Qual è il senso della realtà? Come possiamo interagire attivamente con gli eventi e cosa pensi della “legge di attrazione”? Parto dall’ultima domanda. Sulla legge di attrazione si è fatta molta confusione ultimamente. Di solito la si confonde con la legge dello specchio, per la quale quello che vediamo non è come sono fatte le cose, ma come siamo fatti noi. C’è una relazione precisa tra come ci poniamo e quello che la vita manifesta. Più profondamente, è la nostra stessa coscienza in evoluzione che manifesta la realtà, che la proietta proprio per come le serve: che ne siamo consapevoli o meno, questo meccanismo funziona perfettamente. Così come noi siamo estranei a noi stessi, non ci conosciamo e abbiamo paura delle nostre parti più nascoste e misteriose, allo stesso modo temiamo quanto queste parti proiettano sulla realtà, che ci appare come qualcosa di indipendente da noi, di altrettanto estraneo, di fatale. Eppure tutto questo siamo sempre noi, in cammino. La legge di attrazione attiene ad un principio ermetico importantissimo, ma non ha niente a che fare con l’idea per cui tu devi poter attrarre ciò di cui hai bisogno: si tratta esattamente del contrario! Il concetto ermetico dice che il tuo ruolo divino nel mondo è quella di attrarre gli esseri, le cose, gli eventi e le circostanze per cui tu puoi essere al servizio nel migliore dei modi: attrai ciò che ha bisogno di te! Questo era il concetto, nobile e di ben altra levatura, stravolto dalla solita brama opportunista e consumista che ha trasformato la spiritualità in un kit di sopravvivenza. Secondo un autore a me molto simpatico, “lo scopo e il senso della vita di un qualsiasi essere vivente consistono nella gestione della realtà”13. Penso di capire cosa intenda l’autore, tuttavia io preferirei piuttosto parlare di una spontanea, divertita, naturale e consapevole partecipazione allo sviluppo della realtà. Non c’è bisogno di gestire alcunché. C’è solo da essere: è questo il senso secondo me più preciso con il quale intendere queste “istruzioni” sulla legge d’attrazione che oggi vanno tanto di moda. Pertanto, va bene considerare questi meccanismi e persino tentare di imbrigliarli, ma alla fine la chiave di lettura sta in quel concetto di lavoro su di sé per cui la realtà non può che giustapporsi per via naturale alla coscienza che siamo e che proiettiamo, secondo le possibilità e le esigenze della nostra vera natura. Se le cose cambiano perché noi cambiamo, è tutto armonico e naturale: l’universo è intelligente. Quando invece tentiamo delle forzature, allora o siamo in grado di gestire le dovute compensazioni per mantenere gli equilibri armonici dell’universo (ma se sappiamo fare questo non sentiremo minimamente il bisogno di modificare alcunché!), oppure subiremo delle conseguenze inaspettate e fuori controllo, naturali conseguenze alla nostra interferenza. Oppure ancora, e qui entriamo nei meandri meno nobili di quella che tuttavia è stata chiamata magia, affidiamo tali compensazioni, che interesseranno sincronismi e piani fuori dalla nostra portata, a “forze” che, più o meno in simbiosi con noi, più o meno ingannevoli e predatorie, avranno comunque il loro percorso e faranno comunque i loro comodi al loro livello. Tali forze sono specchio del nostro stesso psichismo, della nostra stessa coscienza: non sono qualcosa di diverso. E proprio come siamo vittime dei nostri pensieri, ossessioni e condizionamenti, allo stesso modo siamo vittime di queste “forze” là fuori specularmente proiettate, siano essi demoni o dèi, angeli, spiriti o quel Dio in cui le religioni (grandi beneficiarie di tali meccanismi di potere) ci insegnano a credere e a temere. Tutte queste “forze” sono così:

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Cfr. Vadim Zeland, Reality Transurfing - La gestione della realtà (2012, Macro Edizioni).

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fintanto che pensiamo esistano significa che non abbiamo la piena coscienza di noi stessi. E ciò a cui diamo energia, ci possiede. Nel momento in cui queste forze, anche quelle che ci sembrano buone e care, accettano tali patti (o Alleanze nel caso delle grandi eggregore religiose), dobbiamo capire che siamo già fuori strada e dunque, anche con le migliori intenzioni e proiezioni, dobbiamo fare molta attenzione a dove andrà a parare tale sodalizio. Abbiamo bisogno di un’analisi radicale per rivedere le nostre prospettive e sintonizzarci con un universo sempre e comunque perfetto… a disposizione della nostra genialità così come della nostra follia. In ogni caso noi non siamo (solo) questo: dobbiamo respirare un concetto della vita ancora molto più ampio! Questo concetto può fiorire solo da dentro di noi. Diverse volte mi vengono chieste indicazioni precise, oggettive: non funziona così. Le cose esistono e si sviluppano quando le cerchi. Noi dobbiamo partire solo da quell’impulso ad essere, che ci fa dire: “… ci deve essere di più!”. Ma quel “di più” non è che ci sia di per sé: siamo noi a crearlo, a inventarlo! Questo è il nostro potere. Se qualcuno, o una religione, o un Dio, ti dice che possiede quel “di più” e te lo vuole dare o vendere, non ha senso proprio il principio di base: il punto non è cercare quel Graal, perché non esiste nessun significato, nessuna verità, nessun Dio e nessun Graal di per sé. Il nostro potere straordinario è quello di “sentire”, percepire possibilità ulteriori e crearle dando così alla nostra esperienza umana un valore aggiunto divino, eterno, che siamo sempre stati, eppure in quel momento, nel momento in cui lo creiamo da questa nostra situazione umana, lo siamo in modo nuovo. L’esperienza di Dio, se così la vogliamo chiamare, non può quindi che essere diretta e sempre nuova. Non ha niente a che fare con l’avere fede, sperare in una salvezza, stemperare le proprie paure. Se mai la fede è dare credito a quell’impulso che ti porterà a creare e a percepire “altro”, quel qualcosa che, per approssimazione, lungo un cammino piastrellato di errori – che non sono mai errori, ovviamente - ci svincola dalle esperienze in sé, dalla materia, dalle identificazioni, dal corpo, per risolverne il distillato “oltre”. È una cosa irripetibile e personale, secondo le possibilità di ciascuno, scelte da ciascuno. Il problema se mai è la mancanza di stabilità interiore, la discontinuità dei nostri stati emotivi perfettamente coerente con un certo sistema di condizionamento che ci siamo creati. Il condizionamento mentale diventa emotivo e blocca la nostra energia vitale, quell’energia che ci permetterebbe di essere centrati. Nel nostro centro, il nostro plesso, si accumulano le tensioni dell’energia che non fluisce come dovrebbe. Siamo instabili perché non c’è orientamento consapevole, c’è solo lo sfogo verso desideri e condizionamenti variabili e inesauribili. Ci sfugge, di conseguenza, lo scopo reale: perché non siamo reali. L’impulso della coscienza viene disperso. È un discorso che riguarda il nostro spirito, ma anche la nostra mente e il nostro corpo: questo circuito ci costringe entro la natura di mantenimento, ovvero una sorta di mera sopravvivenza

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funzionale alla manifestazione di qualcosa che non viene indirizzato ma che, eppure, deve esistere, perché è comunque una possibilità dell’essere. Ecco perché, anche nel discorso magico-rituale, si parte sempre da una scomposizione delle proprie parti (il solve) per riscoprirsi e rielaborarsi e, infine, una volta riconnessi con ciò che siamo davvero, ricomporsi ad un livello nuovo (il coagula). Al di là degli schemi teorici, si parte da quello che siamo adesso, nel quotidiano, dalle piccole cose, usando tuttavia degli accorgimenti che ci aiutino a non avere paura di cambiare, quello è il punto. Altrimenti non ci sono le condizioni per fare alcunché. Certo che siamo inadeguati, certo che c’è di che avere paura… e allora? Possiamo trasformare tutto questo, perché “tutto questo” non siamo noi, non ha a che fare con noi. Questo moto interiore, come può essere innescato? Deve essere un atto semplice, che però richiede coraggio. Anzi no! Richiede umiltà: l’umiltà di accettare che non siamo ciò che ora crediamo di essere, quei desideri, quelle identità, quelle personalità, ovvero tutti quegli aggregati che ci bloccano l’energia e che costringono alla dispersione. L’umiltà è lasciar fluire, ovvero lasciare andare, e allora cominceremo ad attivare altre parti, altri circuiti interiori, nella mente come nel corpo, che corrispondono alla nostra vera natura, che comunque è ancora qualcosa di diverso, oltre ogni circuito, oltre ogni schema. Ma si parte da lì, dallo spostarsi su linee diverse del tempo e del possibile. Dal vibrare altrove. Dobbiamo recuperare la “visione magica della vita”, proprio in un’epoca in cui abbiamo perso ogni visione! Leggere i segni, concederci nuovi margini, nuove possibilità, ammettere che è possibile quello che adesso ci sembra impossibile. Essere totali, mettersi in gioco, completamente, senza paura: non succede niente! Non muore nessuno! Abbiamo paura di essere licenziati, di fare arrabbiare o soffrire i genitori, o i figli, o i mariti o le mogli, di perdere la faccia, di sembrare pazzi: non c’è problema. Non muore nessuno! Anzi. Si parte di notte, insieme, senza preavviso, magari fa pure brutto tempo: non si ammala nessuno! Domani devi andare al lavoro? Ci andrai con il triplo delle energie. Oppure verrai licenziato. E allora? Magari è la cosa più meravigliosa che ti può capitare. Usciamo da queste gabbie: è tutto illusorio. Le leggi sociali, umane, ma anche quelle fisiche, chimiche, biologiche, tutte convenzioni, non è così! La realtà è magica, ed è un’altra cosa. Funziona diversamente solo che con la nostra mente ristretta la riduciamo in una sequenza schematica di cause ed effetti puramente arbitrari: non esiste la razionalità, la logica, la causa-effetto. Tutte giustificazioni per una mente pigra, impaurita e manipolata. Dobbiamo e possiamo reincarnarci: ma non in un’altra vita. In questa! Possiamo rinascere, rinnovarci radicalmente. Trasformarci. Abbiamo paura? Ci sembrano discorsi folli ed impossibili? Non sei tu ad avere paura. Non sei tu a non crederci, a non volerci credere: è il tuo ego, sono le tue maschere, le tue identificazioni, la tua mente di superficie, il tuo sfidante, il tuo spirito di opposizione. Lui ha paura. Lui ha bisogno di rassicurazioni, di solidi schemi fissi. Lui va fuori di testa quando la nostra anima inquieta gli muove guerra ed è pronta e capace di distruggere la sua realtà

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fittizia e meschina, ma così convincente. Ormai le cosa vanno così? Ormai la realtà è questa? Questa è la vita? Non è vero. Paura? Bene! Vuol dire che hai capito di cosa sto parlando. L’energia non è un’opinione, dice sempre una mia cara amica; non puoi comprendere il senso della vita finchè non ti connetti all’energia che l’ha generata. Cercate di “sentire” quello che cerco di trasmettervi, oltre alle parole. È difficile da spiegare e le parole confondono, velano. Ecco perché facciamo la meditazione prima di iniziare a fare queste “chiacchiere”: perché si possa creare un canale diverso, ulteriore, di comunicazione. Durante questi incontri dobbiamo riuscire a muovere una certa energia, cioè qualcosa che vada oltre le parole e la mente e che non saprei neanche definire, per cui usiamo la parola energia, vibrazione… In effetti le parole sono la parte superflua: il mio sogno sarebbe fare degli incontri in silenzio, ma se non vibriamo su un certo livello saremmo anestetizzati, refrattari a certe dinamiche… quindi parliamo, ma cerchiamo almeno di parlare e di ascoltare unitamente ad una certa disponibilità intuitiva, per cui dopo un po’ ogni domanda, così come ogni possibile spiegazione, risulta superata, perché ci siamo già capiti, è bastato poco… ma questo accade se cominciamo ad aprirci. Ecco allora che l’incontro diventa qualcosa che avviene su più piani, ovvero “rituale”. In tal caso è l’energia che passa, che nutre lo spirito. Non le parole, che comunque pagano sempre il dazio alla mente. Per ottenere questo non solo chi ascolta deve essere in un certo modo, ma anche chi pretende di parlare, di trasmettere. Qui, lo sapete, siamo tutti contemporaneamente maestri e allievi, ma in questo momento, in questa specifica circostanza, io sono quello che sta parlando e che si è messo nella condizione di proporsi come qualcuno che ha un’esperienza da condividere, da trasmettere. Da diversi anni ho capito che mettersi in una tale posizione, per il tipo di discorso che stiamo facendo qui, non è affatto qualcosa di semplice, perché non ha niente a che fare con il sapere, con l’avere più informazioni su questa o quell’altra cosa, con l’aver letto libri o frequentato scuole, o viaggiato. Per rendere efficace, anzi per rendere vero quello che qui stiamo cercando di individuare non serve essere dei buoni comunicatori o dei sapientoni… Non porterebbe a niente, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore creerebbe solo ego, per me e per voi, oppure diventeremmo una dottrina, una setta… oppure, ancora, entreremmo nella dialettica… tutta energia e tempo perso. Ecco perché esorto ad incontrarci in modo diverso, cioè ad esserci in modo diverso, non come atto del momento, ma come status da ricercare e coltivare in ogni istante della nostra vita, vissuta in un certo modo. Essere è la chiave di una condivisione che può portarci ad un livello reale di comunicazione, che può aprire all’ispirazione, ad un sapere che non è mai stato studiato o letto o appreso da qualche parte, ma che ci sorprendiamo essere parte di noi, cioè di avere in funzione di un qualche meccanismo misterioso.

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Se abbiamo poi l’energia per orientare, cioè per applicare questo sapere misterioso, allora cominciamo veramente a capire la grandiosità di ciò che siamo. Ecco che cos’è il Nagual. Badate bene che l’energia non serve ad ascendere: l’energia ci serve proprio per poter imboccare una strada di affermazione di questa realtà ad un livello superiore, cioè divino. L’energia deve fluire attraverso il nostro asse, che ci fa “pontefici” tra il basso e l’alto, il dentro e il fuori, il noumeno e il fenomeno, l’eternità e la storia. Noi non dobbiamo andare da nessuna parte: l’energia non serve per andarsene… ma per stare (anche) qui ad un livello diverso di coscienza. A quello serve l’energia: naturalmente non sto parlando solo di energia psichica, comunque puntualmente dispersa nei labirinti dei nostri processi mentali ed emotivi, ma soprattutto di energia vitale, cioè corporea: sessuale. Quindi non bastano il potere della conoscenza e quello ancora più meraviglioso della volontà se non sappiamo come accedere alla nostra energia. Queste tre sorgenti devono fluire assieme. Provate a pensare a quali distorsioni e scompensi comporti la mancanza anche solo di uno di questi tre elementi. Tuttavia adesso, visto che la conoscenza tutto sommato può essere acquisita e la volontà educata, è necessario non solo rendere autentiche tali potenziali acquisizioni affinchè corrispondano e siano riconducibili alla nostra essenza reale, ma attivarle e rifletterle in un processo concreto di Coscienza. Perché non ci riusciamo? Perché facciamo mille corsi, leggiamo mille libri, la sappiamo lunghissima, ma rimane tutto in teoria? Perché non siamo costanti e coerenti e ci disperdiamo nei mille rivoli di volontà irreali e desideri alterni? Perché restiamo sempre quello che siamo? Perché siamo pigri e indolenti e non mettiamo in pratica le cose che possiamo imparare? Semplice: perché non sappiamo estrarre, conservare, gestire e orientare l’energia. E se lo sappiamo, non lo facciamo perché alla fine ci siamo abbandonati a quei condizionamenti, a quegli schemi, che garantiscono il mantenimento di questo sistema naturale, animale, che funziona, esiste e difende se stesso, anche grazie a noi animali umani. Abbandonati all’oblio di noi stessi, assecondiamo un circuito, peraltro molto basso, di riciclo, che si conserva grazie alle nostre energie disperse e che quindi ci porta a disperdere continuamente. Senza quelle energie non possiamo né essere, né fare, né riconnetterci alla nostra memoria, e non solo neghiamo a questa stessa realtà la possibilità di esprimere dei significati superiori e quindi di affermarsi ad un livello reale di esistenza – tanto da destinarla prima o poi all’esaurimento – ma neppure pretendere di andare altrove. Ecco perché l’energia sessuale14 è la pietra angolare, il Grande Arcano: perché è la benzina per far funzionare tutti gli altri motori e svegliare il

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Non mi riferisco all’energia dell’atto sessuale di per sé, ma ad un aspetto molto più ampio che ha a che fare con il

nostro potere vitale e creativo: quindi non si sentano esclusi coloro che, per ragioni di età o altro, potrebbero reputare di

non sentirsi coinvolti o nelle condizioni per attingere a tali forze.

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conducente perché possa andare da qualche parte, anzi, perché possa vedere e quindi andare dove, finalmente sveglio, saprebbe di dover andare. Mi sembra di capire che, se da un parte tutto è già come deve essere dobbiamo stare calmi e coltivare una certa quiete della mente per lasciar che il “reale” si manifesti ai nostri occhi e dentro di noi, dall’altra avverto che la direzione che possiamo prendere implica scelte precise, tempi precisi, insomma una certa fretta. Io sento dentro di me l’urgenza di portare avanti un certo sviluppo, sento che è necessario, che è la strada, eppure, alla luce di quello che mi dici, non riesco a sentire l’utilità delle cose che faccio… le pratiche, gli incontri… Certo, capisco, e hai ragione perché non è quello il fine, le cose non sono così semplici: non basta fare le pratiche, partecipare agli incontri e leggere qualche libro. Non so cosa bisogna fare: ognuno deve capirlo per sé, ma sicuramente c’è ben altro, ma non posso essere io a dirlo; o forse dovrei, ma i tempi sono davvero strani. Cerco di spiegarmi… Analizziamo le parole che hai usato. Fretta: la fretta non ha molto senso. È qualcosa che mi rimanda all’idea dell’ansia, dell’attività, della frenesia controproducente, tutti segni di insicurezza profonda, di paura. Non serve avere fretta. Urgenza: parola difficile da usare perché si riconduce alla fretta, anche se il senso dell’urgenza in risposta alla nostra inquietudine interiore – che è un segno del nostro impulso esserico – deve esse avvertito perché possa guidarci nello stabilire le nostre priorità, sempre più vicine al reale e sempre più lontane dalle illusioni. È un aspetto molto impegnativo perché ostacolato dal modo di pensare, dai condizionamenti, dall’istinto, dalla paura di perdere, dal senso di incertezza perché ci allontaniamo da quello che possiamo ora percepire e misurare con certezza, preferibile, anche se triste, al senso di ignoto che possiamo provare dando spazio e credito ad altre parti di noi e della vita possibile. Ci manca la fede, sostanzialmente (altra parola che è stata violentata dalle religioni). Necessità: parola più facile da usare rispetto ad urgenza. Se acquisiamo determinate conoscenze e ne facciamo pian piano esperienza, pure al nostro livello, possiamo capire determinate necessità, anche solo razionalmente. Anche in questo caso la difficoltà sta nel rielaborare le priorità e quelle che vengono percepite come necessità della vita “ordinaria” (lavoro, famiglia ecc…) nelle quali comunque ci sentiamo sicuri, pur nella loro problematicità. Ci è stato inculcato un certo paradigma della sopravvivenza, molto preciso e vincolante. Oggi molti hanno modo di rendersi conto di certe cose, di certe possibilità, anche di certe opportunità da cogliere: capiscono come potrebbe essere, come dovrebbe essere. Tutto in teoria. E l’equilibrio è difficile perché da un lato se gli parte i pallino dell’urgenza, della necessità, magari cambiano anche le loro priorità, ma finiscono nel fanatismo: lasciano famiglia e figli, lavoro e studi e finiscono in una setta. Dall’altra parte, quelli prudenti e di poca fede, sanno tutto ma non fanno niente: non sentono né necessità, né urgenza reale; magari la sanno anche lunga, fanno studi e ricerche bellissime, ma non si sposta niente di reale e la loro vita non cambia di una virgola oppure per quelle piccole cose che gli faranno da alibi, senza uscire dalla propria zona di comfort. Non vedono le opportunità, non colgono alcuna possibilità. Non c’è consapevolezza. Tutto perfetto nella loro mente, tanti bei discorsi ma non c’è alcuna disponibilità all’impegno, al sacrificio, allo sforzo per quello in cui però dicono di credere.

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Nei due casi, capite bene, non si va da nessuna parte. Ultimamente sto assistendo più al secondo caso: forse il primo ha fatto il suo tempo e la gente è un po’ più attenta. I tempi delle comuni anni ’70 sono anche finiti e l’attuale revival magico è un trip molto adolescenziale, circoscritto e meno significativo, sebbene possa causare tragedie. Oggi c’è molta diffidenza, e va bene. Però questo sospetto, anche giustificato, diventa inerzia, insensibilità e soprattutto rafforza la paura di perdere quel poco che abbiamo conquistato coi denti e con le unghie. Per cui può presentarsi Gesù Cristo in persona e, dopo i salamelecchi del caso, ognuno tornerà alla propria vita senza troppi “grilli per la testa”. Quindi è dura creare un certo tipo di contesto: siamo davvero separati, ognuno per sé. Peccato che in questa “autonomia” che tanto ci fa sentire indipendenti e sicuri, se non ci prende qualche trip come via di sfogo, non solo siamo un po’ tutti “spiritualisti della domenica”, ma purtroppo rischiamo di non vedere… di perderci per strada… di non cogliere delle occasioni: non solo quando queste ci vengono offerte da qualcuno (che appunto facciamo bene a soppesare per non che ci imbrigli nella sua menata), ma anche se certe intuizioni giungono da dentro di noi. Diventiamo sordi anche a quello. Quindi non si cambia strada comunque. L’altra possibilità è che siamo certi che quello che facciamo sia già perfetto. Va bene… possibile… non sarò certo io a mettere in dubbio questa certezza. Fai tu… Altrimenti, fatevi - anzi facciamoci - pure un esame di coscienza: dove siamo? O siamo presi in qualche trip inconcludente, o, in fondo, non ce ne frega niente. Nel primo caso sentiamo ma non vediamo dove stiamo andando. Nel secondo caso vediamo dove potremmo andare, ma dall’orecchio del prendere davvero sul serio la cosa non ci sentiamo proprio. Ecco come ci siamo inibiti udito e vista. Cosa ci rimane? La parola. Parliamo un sacco… anche quando stiamo zitti… Oppure ancora abbiamo altri fini: usiamo l’idea spirituale per altri scopi, per cui tutto il discorso cade fin dall’inizio. Fatto sta che nessuna rivoluzione può accadere se non siamo totali. E forse è meglio essere totali e prendersi qualche cantonata, piuttosto che quello che vedo accadere la maggior parte delle volte… Cosa può stimolarci e stimolare davvero al cambiamento? Non tanto le belle parole, che ipnotizzano o annoiano oppure provocano reazioni infine sterili e solo mentali. È l’esempio. Solo l’esempio da prendere e da dare può smuovere qualcosa, forse. È l’unica strada che vedo praticabile ed efficace: ecco perché sto mettendo in dubbio l’attività divulgativa dell’Accademia, le mi conferenze, i miei incontri, i gruppi, l’insegnamento… le parole… le pratiche consolatorie… Se posso permettermi di confidarvi qualcosa di molto personale, penso che l’unica possibilità di portare qualcosa agli altri, oltre che a me stesso, sia semplicemente essere vero. Semplice no? E quindi il contesto attorno non potrà che essere toccato non tanto dalle parole, dai libri, dai corsi, ma da una certa presenza… dalla forza dell’esempio. Ecco il senso del “sacro-ufficio”. Impegnativo certo, ma reale: per me e per voi. È sempre stato così, niente di nuovo, ma oggi che si parla tanto, va bene recuperare questi “archetipi”. Quindi: non avere fretta, sentire l’urgenza, avere il coraggio di cambiare le proprie priorità in funzione di una certa consapevolezza, essere totali piuttosto che “tiepidi”. Anzi, essere. Punto. Dobbiamo metterci in gioco davvero. Essere integri. Per dirla con Castaneda, dobbiamo fare sul serio: superare il bisogno di considerazione, il senso di colpa, i condizionamenti nostri e le

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aspettative degli altri, cancellare la nostra storia personale, renderci inaccessibili. Fare scelte precise, di vita, con le giuste priorità, con coerenza. Tutto questo non può essere un hobby. Se no ce la raccontiamo e basta. Non c’è verso: con tutta la quiete mentale che volete, bisogna muovere il culo. E ognuno sa questo cosa vuol dire per se stesso. Non si tratta di un atteggiamento mentale, di tirarsela e fare i misteriosi o i magnetici… Quello che posso dirvi adesso è che per rendersi inaccessibili bisogna essere integri nel corpo vitale, in modo tale da essere e irradiare Luce: è questa la fonte della nostra inaccessibilità. E non solo: è la nostra presenza che porta guarigione, che trasmette un messaggio, l’energia di un messaggio, al di là delle parole e delle conferenze. Se non c’è questa presenza non passa niente di reale, anzi ci sono solo tanti bravi comunicatori in giro, che dico cose bellissime, ma non passa niente, perché non c’è la presenza, l’integrità, la luce: tutto diventa quindi vano, anzi anche controproducente perché si innescano meccanismi di illusione e di vampirismo, con tutte le buone intenzioni. Le pratiche, i rituali che qui vi propongo, vanno fatti affinchè siano efficaci e servano a qualcosa. E vanno portati avanti con costanza: sono un addestramento della volontà. Quello è il loro scopo. Vanno fatti: non bisogna neanche pensare di doverli fare e di fare troppi programmi. Bisogna solo fare. È un gatto che si morde la coda: sappiamo, ma non facciamo e non facciamo perché non abbiamo l’energia a disposizione in quanto restiamo invischiati nei condizionamenti… come uscirne? A questo proposito cito volentieri l’amico Rocco Bruno: Le porte si stanno richiudendo su di noi, le pecore devono ritornare all'ovile, dobbiamo proprio "restare in allerta come vedette in tempo di guerra", non lasciar passare nessuna "emozione", non un atomo di inferno nel nostro paradiso (interiore), in quella "luce" di speranza di poter cambiare: noi, non gli altri. Se vi sentite abbandonati è perché avete ancora una volta investito in una persona, in una scuola o in chissà cos'altro che non foste voi. Non indugiate sulla soglia, per attraversarla devi lasciare tutto, ma dentro, è necessario sgombrare la mente da attaccamenti, da ogni schieramento, ogni "illusione", ogni speranza di risoluzione della partita, ogni speranza di riaggiustare tutto, uno che dorme non si sveglia neanche a cannonate Il risveglio è un processo personale, gli altri possono solo essere da coadiuvo, ci vuole un "evaso" che ti mostri come fare per evadere, ma poi sei tu che deve fare tutto, non puoi delegare nessuno al tuo posto, altrimenti resti al palo. Come ho già avuto modo di dire non ci sono mediazioni, le mediazioni non hanno mai chiarito, mai aiutato, mai accelerato il processo di consapevolezza, ma l'hanno sempre ritardato, sempre offuscato, sempre e solo confuso. La fase di normalizzazione è in atto. Come Ulisse dobbiamo uscire dalla caverna di Polifemo, nascondendoci tra le pecore. Polifemo è l'occhio che guarda, un solo unico occhio che tiene l'umanità schiava, ridotta a un gregge di pecore. 7 Miliardi di persone che vivono inconsapevolmente: cerchiamo di realizzare la nostra piccola “fuga”, il mondo non cambierà così alla svelta, come ci mostra questo dialogo di "matrix - revolution"; dobbiamo solo riuscire a conquistarci la "possibilità", per quelli che lo vorranno, di uscire da questa condizione umana deleteria ed inconcludente. Se si creerà una massa critica, e credo che stia già accadendo, i risultati verranno da soli, ma bisogna partire dal singolo.

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Capite? È un atto eroico. Eppure possiamo compierlo. Possiamo anche aiutarci tra di noi, certo, ma vi assicuro che in ognuno c’è quel momento, quella particolare circostanza o disposizione, per cui è possibile, sebbene difficilissimo, sgattaiolare via. Implica una certa strategia, chiamatelo intento, agguato, grazia, come volete… è un momento possibile, da non limitarsi alla veglia: ci sono tradizioni che reputano il sonno o la morte come i momenti migliori per attraversare i binari e trovarsi sull’altra banchina… Il sogno, l’estasi e il rito possono costituire gli strumenti per attirare questo momento. Questo momento storico, nelle sue profonde contraddizioni, è eccezionale per credere in questa possibilità, in questa seconda nascita, che non è una riedizione di quello che siamo e di questa realtà sensoriale, ma una nascita nello e dello spirito. Come uscirne? Non lo so. Non possiamo essere davvero alla ricerca di qualcosa sapendo già cosa stiamo cercando. Anche la domanda è già viziata, perché questo che noi crediamo di essere, questa sorta di realtà, non è: non c’è niente da cui uscire, è proprio un salto di logica che dobbiamo fare. L’oca è fuori!15 In alcune tue conferenze e anche nell’ultima parte del tuo Metamorfosi16, sembra che proponi un progetto di vita, come la creazione di un gruppo umano o di una comunità spirituale. Non ho capito esattamente di cosa parli, puoi meglio descrivere questo progetto? “Borgo Spirituale”: non saprei come altrimenti definirlo. L’idea alla quale stiamo lavorando concretamente – luogo e condizioni generali sono già abbastanza definite da me e da alcuni amici – non nasce per creare una comunità o un ecovillaggio. Certo, gli aspetti del biologico e dell’autosufficienza sono inclusi, ma senza fanatismi e con la dovuta gradualità. L’idea forza che ci muove è creare quel contesto umano (naturale, solidale e creativo) – residenziale, ma anche di incontro/ritiro occasionale – che ci permetta di dedicarci al risveglio della Coscienza. Una volta soddisfatte pienamente e gioiosamente le necessità di base, desideriamo dedicarci allo sviluppo del nostro potenziale, o comunque vogliate intendere la vocazione spirituale. Individualmente, ma anche condividendo alcune esperienze in modo spontaneo e non invadente (ognuno a casa sua per intenderci, ma potendo godere di momenti e spazi condivisi, tra di noi, con amici e “compagni di viaggio”). Senza bandiere, né scuole, né maestri (tutti lo siamo e tutti possiamo imparare sempre e comunque), senza guru o primi tra pari, senza risvolti politici o dogmatici. L’obbiettivo, giusto per ribadirlo, non è “biologico” o “naturalistico”. Per lo meno, non solo quello: il focus è sul progetto di uno stile di vita sostenibile in funzione del “lavoro” spirituale, per avere il tempo, anche grazie al sostegno reciproco e alla forza del gruppo e di un contesto di valori umani

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Riferimento al koan zen ripreso dall’omonimo libro di Bhagwan Shree Rajneesh L’oca è fuori, 1988, ECIG, che

invito caldamente a meditare. 16

Metamorfosi, di Carlo Dorofatti (2012, Anima Edizioni).

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recuperati, di dedicarsi compiutamente a quelle pratiche, discipline e scelte di vita volte alla Rinascita. C’è bisogno di soldi, tempo e tante belle cose: ma non è questo il punto. Quello che deve arrivare arriva o arriverà. Servono piuttosto buona volontà, intenti puri e coraggio delle proprie scelte. Se ci siamo, il resto viene da sé. Il progetto è ampio. Sappiamo quello che non vogliamo. Ci sono molti dettagli già esaminati. Molti sogni condivisi e già sul piatto… Moltissime cose che si possono fare. E comunque vedremo: l’importante non è cosa fare, ma come farlo. Non c’è fretta, né la necessità di fare – altra trappola – se prima non si è. Se prima non si aprono quei canali che ci portino a vibrare su quel piano dove è possibile aprirsi ad una certa intuizione, ad una visione corretta delle cose: se no si mette il carro davanti a buoi e si pensa di fare qualcosa di nuovo però sempre con la solita mente, non facendo altro che sbagliare. Prima si lavora su di sé per rendersi canali puliti ad una visione reale, comprendendo cosa può significare cavalcare l’onda del cambiamento, l’onda del nostro potenziale interiore e poi, forti di questa consapevolezza, si muoveranno i passi nella direzione migliore, con occhi e sensi nuovi, verso una realtà davvero rinnovata, che adesso non possiamo neanche immaginare. È una piantina delicata, che va coltivata in serra. Nel silenzio. Hai un progetto preciso in cantiere? Non c’è un “io” e un “voi”, un “fare parte di”, un accettare o meno un progetto o una proposta, o l’idea mia o di qualcuno. Non c’è un rispondere “sì, mi va” oppure “no, non mi va” a qualcuno. Nulla da temere, nulla da poter perdere, nulla che venga dall’esterno da soppesare passivamente. Non è neanche giusto. Nulla per cui sentirsi in dovere, o sfruttati, o da giudicare. Non ci devono essere soggetti attivi che “vendono” qualcosa e soggetti passivi che valutano se comprarla o meno, che la giudicano, che la debbano accettare o meno, magari aspettandosi qualcosa, facendosi idee o temendo chissà che. Non ci devono essere istituzioni, entità, bandiere, guru, né scuole o appartenenze. Semplicemente, la mia opinione, se mi viene chiesta, è che uno sbocco possibile idoneo per favorire la propria ricerca, vocazione e opera spirituale - intesa come “lavoro su di sé” - sia quello di poter disporre di un contesto spazio-temporale ove potersi raccogliere e dedicarsi adeguatamente al proprio sentire. Un contesto anche umano favorevole, per condividere, eventualmente e non necessariamente, momenti di dialogo, di confronto, di meditazione o di collaborazione. Ognuno può crearsi questo spazio-tempo, senza aspettare altri. Può anche sperimentare contesti già esistenti. Oppure, laddove vi sia una certa comunione di intenti e di vedute, creare insieme ad altri, mettendoci del proprio, qualcosa di adatto, potendo così disporre di una maggiore forza data da un gruppo sufficientemente affiatato, affiatamento che va opportunamente costruito e verificato con calma prima di condividere progetti di questo tipo. Il contesto di cui parlo può anche essere pensato come esperienza per il fine settimana o per periodi di ritiro spirituale, come una sorta di laboratorio, fino all’idea di una scelta di vita più radicale, residenziale e di autosufficienza. L’importante è tenere sempre presente la centralità dell’individuo, cioè la propria presenza attiva, volontaria e concreta, nel fare e non nell’aspettarsi di soppesare quello che propongono gli altri, magari poi con la paura che ti vogliano fregare, oppure con in testa la furbata di poter sfruttare gli altri, peggio ancora…

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Bisogna essere concreti e presenti a se stessi, al proprio sentire, alle proprie aspirazioni reali e fare, ovvero regolarsi di conseguenza verso una direzione piuttosto che altre. Bisogna essere molto sinceri con se stessi, prima ancora che con gli altri. Io non propongo niente: secondo me quella è una possibilità interessante da considerare, viste le circostanze sociali nelle quali ci troviamo, per individuare delle vie concrete non solo per sperimentare nel quotidiano le proprie intuizioni e conquiste spirituali, ma per poter ricavare il tempo e l’energia necessaria ad un lavoro che, visto da dove partiamo, è piuttosto complesso e richiede di potersi dedicare a cose precise, potendo sviluppare un certo stile di vita che faccia da contenitore possibile. Fare da soli questo può non essere facile e, quindi, penso che vibrare insieme ad altri verso questa direzione potrebbe essere più fattibile, bello e divertente. Ma, è un qualcosa di magico: non si può ragionarci troppo con la testa, fatta di aspettative e di paure, di calcoli e di causa-effetto. Per questo dico che prima si fa un lavoro individuale interiore di un certo tipo, poi ci si sente con gli altri, e intanto la realtà attorno comincia a muoversi, a cambiare, a rispondere sincronicamente. E, se non c’è l’ego di mezzo, si può fluire intuitivamente verso certe possibilità e realizzazioni, spostarsi di piano, fare miracoli. Se invece si cede alle trappole della mente e dell’ego, del calcolo e della paura, bom… si è già finito e anzi, meglio accorgersene subito e mollare la presa, altrimenti, con tutte le buone intenzioni che siamo capaci ad inventarci, si creeranno mostruosità. Qual è l’elemento nuovo che renderebbe questa idea di comunità spirituale diversa da altri tentativi? Il concetto di base che cerco di esprimere è quello per cui se una volta l’esperienza quotidiana, il proprio lavoro, la propria famiglia, il contesto sociale, le relazioni, potevano essere la tua meditazione, il tuo rito, la tua palestra di esperienza per imparare, crescere, nutrire il tuo divino, oggi forse non è più così semplice, nonostante alcuni insistano e ripetano, quasi a pappagallo, che la vita deve essere la tua meditazione e cose di questo genere. Sì, è vero, in linea di principio, a livello ideale, ma io credo anche, per essere pragmatici, che oggi non sia più tanto vero. Oggi il sistema – sto parlando nel nostro contesto, non sto parlando dei nativi dell’Amazzonia o dei monaci del Tibet – è fatto per premere moltissimo sulla vita di ognuno di noi, a tal punto che lo spazio “vitale” è davvero angusto. Dire che la tua vita quotidiana è la tua meditazione, è un’ingenuità. Certo che noi possiamo imparare, crescere, capire le cose, iniziare persino un certo “lavoro”, una certa Opera, ma per compierla nella sua completezza, pienamente, non basta l’esperienza di questa nostra quotidianità. Per lo meno, diciamo, non ci basta per realizzare in modo compiuto un certo tipo di “lavoro”, che non è mentale, ma molto pratico, coinvolgente e totalizzante. La cosa fondamentale in tutto questo, il centro di tutto questo, è l’individuo, con la sua sensibilità, la sua percezione, la sua dimensione spirituale, la sua ricerca personale e i suoi metodi. Ogni individuo. Il contesto sociale di cui parlo, questa idea di “borgo spirituale”, quindi, ha la sola funzione strategica di metterci nelle condizioni di, ognuno per sé, dare fiato alla propria dimensione spirituale. È solo un mezzo, una vera e propria strategia per riuscire, insieme, a creare delle condizioni migliori dal punto di vista organizzativo, economico, esistenziale, sociale, ovvero di maggiore indipendenza e libertà perché ognuno, senza vincoli né scuole cui rendere conto, possa dedicarsi alla “coltivazione di Sé”. Non penso ad una comunità o ad un contesto, che sia un villaggio, un borgo o altro, che includano una direzione etica, dottrinale e metodologica definita per tutti. Questo è un discorso piuttosto nuovo. Parlo di un contesto prima di tutto squisitamente

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“spirituale”, che va costruito e sviluppato solo se esiste e si conserva questa base fondamentale, eppure non parlo di una scuola di pensiero. Parlo di una strategia condivisa affinchè il singolo possa beneficiare di condizioni esistenziali migliori, per potersi dedicare al fine superiore che sente dentro di sé. Ecco, se mai l’elemento spirituale comune è sufficiente che sia questo: questo percepire e credere che l’essere umano sia qui per altro rispetto al sopravvivere e morire. Basta questa sensazione fortemente sentita come elemento spirituale condiviso: è questa l’iniziazione, la solenne promessa fatta a se stessi. Sapere, capire, comprendere fino a giungere alla piena consapevolezza di quello che davvero siamo e quindi… regolarsi di conseguenza, ovvero consacrare tutta la propria vita, le proprie priorità, le proprie percezioni, istante per istante, alla piena espressione di questa convinzione profonda, ovvero del nostro essere trascendente. Questo è l’anelito che deve esserci. L’anelito che deve essere condiviso tra coloro che vorranno creare una cosa del genere. Poi che ognuno sperimenti se stesso e trovi la propria via e i propri metodi in piena libertà. Il “gruppo”, e la strategia sociale che sarà in grado di esplorare e di sperimentare, è meramente funzionale a tale obiettivo: che ognuno abbia più tempo, più spazio fisico, mentale ed energetico, più libertà, ma anche il confronto, il conforto, la solidarietà, l’amicizia, l’amore di coloro che come lui sentono questo anelito, per coltivare la propria dimensione umana e divina. La nostra vita, grazie ad un ritrovato equilibrio di esperienze più autentiche, può tornare ad essere la meditazione, il rito, la preghiera e la via verso la rinascita. Perchè pensi che si debba farlo insieme? Non penso che si debba farlo insieme: il gruppo è, eventualmente, un mezzo non il fine. Se un individuo realizza da solo le circostanze che ho descritto, può beneficiare già di queste migliori condizioni. Se riesce o può emanciparsi dal sistema quel tanto che basta per potersi dedicare all’espressione della sua dimensione spirituale, artistica, celebrativa, realizzativa, ad un livello consistente e reale, non solo mentale o filosofico, ben venga! Anche se vince al superenalotto può sicuramente fare molte cose, sempre che ci stia ancora con la testa. Tuttavia, credo che tali circostanze non rappresentino la media e quindi penso proprio che insieme si possano escogitare soluzioni più realistiche, ci si possa aiutare, si possano trovare delle formule basate sull’amicizia, sulla solidarietà, sulla cooperazione, sul confronto ecc… grazie alle quali ognuno riesca poi ad esprimere pienamente e liberamente se stesso. Soprattutto basate sulla condivisione di quell’anelito, di quella convinzione profonda di cui parlavo prima. Senza quello non può reggersi nulla. È quello l’elemento che fa la differenza tra il “reale” e il “non-reale”, che uno ci provi da solo o con altri. Sei piuttosto critico rispetto a molti divulgatori contemporanei: evidenzi il fatto che lo facciano di mestiere, ma al di là di questo mi sembra che ne critichi il messaggio, le modalità, ecc… Accetto l’idea che il non-giudizio non significhi non esprimere opinioni o rinunciare al proprio senso critico, ma cosa dovrebbe distinguere la tua divulgazione, le cose che tu dici e proponi, rispetto a quello che molti altri dicono e fanno? La questione non è cosa distingue me da altri, o le cose che dico e raccomando io dalle cose che dicono e raccomandano altri. Siamo tutti in cammino. La questione sta nel sentire cosa distingue un messaggio reale, quindi vero, sacro, potente e in grado davvero di trasmettere forza, coraggio, energia, speranza, in grado di cambiarti dentro, di cambiarti la vita, di smuovere e muovere la tua

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consapevolezza, di guarire, di ridare la vista, di bruciare le resistenze e le illusioni, da un messaggio ancora una volta illusorio, morto, fasullo e mentaloide. Non sono le parole, le cose dette, fatte o fatte fare che fanno questo differenza: la differenza la fa solo e unicamente la persona. Da una parte sicuramente tu stesso, come sei disposto, la tua pulizia d’animo e di pensiero, questo sicuramente fa già una bella differenza, tuttavia ora sto parlando di chi pretende di portare un messaggio, di condividere la sua esperienza pensando di farne un consiglio per gli altri, un insegnamento, purtroppo un prodotto! L’aspirazione verso la conoscenza è stata sostituita dall’ansia del sapere, una cosa ben diversa: l’aprirsi all’intuizione interiore, all’energia della trasmissione autentica, si sostituisce con l’appagamento intellettuale, che sazia ma non nutre. L’Alchimista Grillot de Givry scriveva: Ora ti trovi, come l’uomo universale nel Pardes, davanti a due alberi: l’albero della Vita e l’albero della Scienza. Il primo è la Via spirituale della contemplazione mistica; è l’anagogia, l’estasi. L’altro è la via del raziocinio, dell’obiezione, del dubbio, il cammino dei sofisti e dei giochi di parole. Scegli quello dal quale vuoi cogliere i frutti, evita ogni possibile errore. A questo punto l’abbandono della Via dell’Assoluto è pericoloso in maniera particolare; sappi, perché la tua scelta sia chiara, che tutto ciò che la scienza insegna in migliaia di libri lo puoi acquisire in pochi secondi con l’illuminazione mistica, perché il tuo spirito trovandosi faccia a faccia con l’Assoluto afferra la Chiave dell’armonia universale. Chiave che i libri non ti daranno mai! Inutilmente leggerai tutto quello che i Maestri hanno scritto. Se non possiedi la Chiave non capirai niente del loro linguaggio. Riuscirai a superare la prova del dubbio? Sii vigilante! Il tuo futuro eterno vi è del tutto impegnato. Se cedi, non vedrai mai lo splendore; ricorda che l’occasione di essere iniziato è unica nella vita. Se la lasci sfuggire, non ti verrà mai più offerta. Domanda la Luce alla Luce stessa, Luce da Luce. Non c’è altra via per ottenerla.17 Le chiacchiere stanno a zero. Non è cosa ascoltiamo o cosa leggiamo che fa la differenza, ma cosa accade dentro di noi mentre ascoltiamo e mentre leggiamo. Non è cosa dici o non dici, ma cosa passa attraverso ciò che sei. O sei davvero un canale di vita, di energia, di forza, perché sei vero, coerente, autentico, reale, sei una “presenza”, o niente può essere passato, nulla può essere innescato se non suggestioni, illusioni, compravendita di palliativi… E non dico che io sia così, sto solo dicendo come si dovrebbe essere e verso quale ideale bisognerebbe puntare prima di pensare di dare degli insegnamenti, e nel frattempo limitarsi, eventualmente ma non necessariamente - anzi a volte è più utile proseguire silenziosi il proprio viaggio - ad una condivisione onesta, sincera, appassionata certo, ma non con tutto questo ego, tutta questa presunzione e questo mercato di cui, come dici, critico i mercanti di illusioni e i venditori di nulla. Che vi fanno stare lì, perché né loro né voi potete mai andare da nessuna parte.

17

Grillot de Givry, Le Grande Oeuvre – Haui-Nan-Tze, La Grande Luce, 1998, Ed. Mediterranee.

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Non sto parlando di essere contenti, felici e magari di aver risolto dei problemi, io sto parlando di ANDARE DA QUALCHE PARTE! Cioè verso la Vita Vera. Secondo te come si fa ad andarci? Intanto essendo coerenti con questa aspirazione; pensieri, parole, opere… ovvero scelte di vita, cercando di essere consapevoli al proprio livello, di informarsi, di sentire dentro di sé, di intuire al di là dei programmi mentali e dei condizionamenti, senza fanatismi, ma con integrità. Scelte di vita salubri per il corpo, la mente e lo spirito. Scelte che avranno a che fare con quello che fai o non fai, come sei con gli altri e il tuo prossimo, cosa mangi, come curi il tuo corpo e alimenti i tuoi pensieri. Quindi la meditazione, questa stessa ritualità personale di cui stiamo parlando durante questi incontri, che possa scandire un percorso di disintossicazione e di presa di coscienza. Tutto questo lo si può fare da subito, eppure non è mai così immediato perché dobbiamo lavorare su molte parti di noi, in tanti modi diversi contemporaneamente, in modo da accerchiare il più possibile tutti i nostri “demoni” e far sì che la diverse pratiche possano sostenersi a vicenda e, giocando di sponda, rendere naturale un certo riorientamento dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, della fisiologia del nostro corpo e quant’altro. Tutto questo abbracciando la vita, avvicinandoci alla vita più vera, più semplice e diretta. In tutto questo il rapporto con la Terra vi accorgerete essere un grande balsamo. E vi accorgerete come da tutto questo scaturiranno energie nuove, nuove possibilità e circostanze che si paleseranno a voi: la realtà cambia! Però per far nascere il nuovo, bisogna rompere l’uovo! Che significa rompere schemi, abitudini, paradigmi, equilibri, tutto! Da soli non è facile, per questo dico che sicuramente, al di là delle scelte, delle ispirazioni, degli sforzi e delle pratiche personali, il contesto sia molto importante: un contesto ambientale e umano favorevole può davvero rendere questa realizzazione, purchè sia un contesto altrettanto reale e autentico, grazie al quale possiamo unire le forze, provvedere ad una certa sopravvivenza e a certi bisogni di base (in modo intelligente! Orti, energie rinnovabili, elaborando nuove soluzioni economiche, terapeutiche e quant’altro – ma veramente!), per poi dedicarci alle possibilità della Coscienza. Non sto parlando di monasteri, comunità, ecovillaggi, perché quella roba è tutta vecchia e abbiamo già visto dove porta. Qualsiasi cambiamento del comportamento umano che derivi da paura, coercizione, disciplina, conformismo, imitazione e propaganda, non rappresenta un vero cambiamento nella sua coscienza. Sto ammettendo solo l’idea che un certo “contesto” possa essere utile e possa essere inventato. Nella “consacrazione di sé” verso una nuova nascita, potremmo dire di iniziazione, o auto-iniziazione, il concetto fondamentale da tenere presente, tutti i giorni, giorno dopo giorno, istante per istante, è che l’essere umano oggi vive una vita embrionale, funzionale solo al perpetuarsi di se stessa all’interno di questo ciclo continuo e, in ultima analisi, inconcludente se non risolta ad un livello superiore con il tramite del nostro potenziale reale, ovvero della nostra presenza divina. Cosa resta quando si muore? Cosa ne è del nostro corpo, delle nostre emozioni, dei pensieri, dei nostri ricordi, delle emozioni che abbiamo fatto provare agli altri? Viene tutto re-immesso nel medesimo circuito: gli atomi si riciclano, dato che nulla si crea e nulla si distrugge, così come le nostre memorie e i nostri pensieri; tutto viene riconfigurato nel medesimo sistema, attraverso i cicli della vita e quella che normalmente viene definita come reincarnazione, di cui non abbiamo alcuna coscienza, né senso di continuità. Tutto questo può risultare bello o terribile, in ogni caso è

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tutto piuttosto vano. “Vanità delle vanità”18. Perché? Perché non è vita. Non è la vita alla quale dobbiamo nascere come esseri reali e oltre la quale possiamo evolvere nel nostro cammino verso l’Assoluto. Evolvere non significa reiterare se stessi nei cicli di mantenimento di un piano di esistenza, ma passare di piano in piano attraverso un processo di nascite superiori, ovvero di trasfigurazione e metamorfosi, durante la vita stessa. Significa, durante questa vita, trasferire il baricentro della propria consapevolezza verso un livello di identità di sé che vada oltre il corpo e la mente attuale, per, con continuità, spostarsi di piano, proprio come avviene in un salto quantico. Non solo e non più identificati in questo corpo, entro i confini di questa natura e di questa mente temporale, ci si “sposta”: si nasce nuovamente in un mondo superiore, risolvendo l’esperienza precedente in un nuovo livello di coscienza più vicina all’Assoluto verso il quale tendiamo a reintegrarci. È questo il pensiero costante che va tenuto a mente nel momento in cui vogliamo orientarci verso un cammino di risveglio spirituale: è qualcosa di molto pratico, che coinvolge il corpo, la mente e il significato che sentiamo e cerchiamo di dare a noi stessi e alla nostra esperienza materiale e spirituale. Tenendo presente questo, ecco che ci si può avventurare alla ricerca di soluzioni esistenziali, individuali e nel contesto di un gruppo che possa costituire una sorta di “serra”, ovvero di Arca, adatte a questo scopo. Per farlo dovremo imparare a disidentificarci dal corpo materiale e da questo livello di pensieri e di emozioni. Pensare a questa realtà come ad una sorta di uovo entro il quale sta avvenendo una nostra gestazione. Una volta esplorata l’esperienza di questo transito, possiamo andare oltre questo nostro attaccamento al corpo e ai suoi bisogni, così come oltre la mente e i suoi condizionamenti, istintivi o sovra-strutturati, per trasferire la nostra coscienza verso “corpi” di un più elevato livello di vibrazione. Significa educarci ad un livello di esistenza che prescinde dal cibo, dal sonno, dal sesso, cioè da tutti quegli aspetti che di fatto ci legano all’appartenenza animale e materiale, per traslarci verso un sistema esistenziale diverso, più raffinato e consistente. Ecco allora che potremo distillare la nostra esperienza, la nostra personalità e tutta quanta questa vita vissuta in un compendio sottile che continuerà (continueremo) ad essere su altri piani, senza dispersione, senza morte. Ecco perché coloro che tentarono, sentirono, questa Via sceglievano inevitabilmente una vita nuova, diversa, eremitica, fatta di rinuncia che però non era rinuncia ai sensi e all’esperienza del mondo, ma un trascendimento, ovvero la santificazione dell’esperienza umana verso una continuità di esistenza reale, non per rinascere continuamente, ma per nascere in mondi via via più reali, passando di dimensione in dimensione, di gestazione in gestazione, di piano in piano, con continuità di coscienza, in una ri-evoluta e rinnovata consapevolezza dell’Essere. È il mistero della resurrezione dai morti, della trasfigurazione. Non sappiamo se ora qui noi siamo in un abisso senza uscita, cioè ormai senza speranza, oppure se tutto questo è già accaduto a qualcuno o se accade continuamente: chi “passa” va altrove ed esce dal nostro campo percettivo e mentale. Però sentiamo, per lo meno alcuni di noi sentono ancora, la verità di questo scenario: la possibilità di questa vera nascita che corrisponde alla nostra vera natura. Non è una magra consolazione o la voglia di fuggire da questa realtà che abbiamo reso così assurda, ma una sensazione che sta a monte. La sentiamo.

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Consiglio di leggere e meditare Nella crisi della sapienza – Lettura spirituale del Libro di Qohelet di Pino Stancar

S.I. (2012, AdP).

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E non è un discorso teorico. Le direzioni sono queste: uno sforzo reale, una vita reale, sbocchi concreti, molto pratici e quindi, se ispirati da questa luce, altrettanto reali. Le chiacchiere stanno a zero. O si fa, o non si fa. O si È, o non si è. Quando non si è, lo si sa, e gli altri lo sanno, lo sentono, solo che spesso preferiamo non essere e preferiamo chi non è, perché essere è molto impegnativo. Il non-essere è terrorizzato dall’essere. Quindi capite come nella “spiritualità della domenica” potete trovare tutti gli alibi e le scuse che vi servono.

Avere il coraggio di cambiare modo di vivere è difficile: dire ok, mi metto a posto, corpo, mente e spirito; in silenzio disciplino le mie energie e le mie scelte di vita, con il supporto delle pratiche che faccio costantemente tutti i giorni. Esco dall’idea che mi servano i soldi per fare questo e quello: lascio che la vita costruisca la mia strada. Perché so che così sarà, perché io sono quello e la realtà delle cose non potrà che rendere merito alla mia autenticità ritrovata. Magari incontrerò persone come me. Magari cambio lavoro, casa, con grande amore e gratitudine mollo legami e zavorre. Si compra un terreno, si installano le yurte, si piantano orti, alberi da frutta, erbe officinali, pannelli solari sul tetto e ci si regola in modo da sganciarsi dagli schemi e dalle necessità di una civiltà morente per dedicarsi al risveglio della Coscienza, alla manifestazione di una realtà e di una specie nuova. Non dico che debba essere precisamente quella la strada, ma l’esempio è valido e utile per darci la misura di cosa può significare essere totali, essere pronti a cambiare. Ma se la rivoluzione non avviene dentro, anche tutte queste scelte, magari per qualcuno più facili che per altri, diventano l’ennesima finta, l’ennesimo alibi. Il contesto da creare è prima di tutto quello interiore. E poi ci si mette all’Opera.

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Mi consacrerò a questa visione. Sarò nuovamente Iniziato. Sarò Sacerdote, Profeta e Testimone di una Possibilità che non andrà perduta! Quando un aspirante è stimolato a incamminarsi lungo la Via della Realizzazione del Sé, quando ha finito di leggere le cose più svariate e cessato di parlare confusamente di cose spirituali, la sua Coscienza gli impone un'azione più incisiva, operativa, tale da sospingerlo alla soluzione delle sue istanze.

Raphael, "Oltre l'illusione dell'Io"

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L’AUTORE

Carlo Dorofatti (Milano, 1970) esplora da oltre vent'anni le tradizioni spirituali d’Oriente e Occidente, le facoltà sottili dell’essere umano e le cosiddette discipline di frontiera. Con la casa editrice Nexus ha pubblicato Nient’Altro che Sé Stessi e Anima e Realtà; con Anima Edizioni ha pubblicato Metamorfosi e, come co-autore, Percorsi di Alchimia Personale; con Spazio Interiore ha recentemente pubblicato Essere ciò che siamo. Vive e lavora a Todi (PG).

Sito Personale: www.carlodorofatti.com Centro Studi A93: www.ascensione93.org Accademia A.Co.S.: www.accademiaacos.it Calendario eventi: http://www.accademiaacos.it/index.php/calendario-eventi.html Email: [email protected]