Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio

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Ideogramma cinese “fáng” = “prevenzione” Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro di Gian Piero Scilio

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La metafora è quella dell’hockey sul ghiaccio.Il ghiaccio, con la sua durezza e la sua instabilità, rappresenta benissimo l’ambiente nel quale ci si trova a muoversi: velocissimo, duro, senza possibilità di tempi morti, di pause, incapace di perdonare passi falsi, disattenzioni, errori.Mi sembra il modo migliore per rappresentare quello che sta accadendo alle carriere, al rapporto delle persone con il lavoro.

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防 Ideogramma cinese “fáng” = “prevenzione”

Career Swot Analysis:

ripensare il proprio futuro

di Gian Piero Scilio

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Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, in-tese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori traggono

dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio pecu-

liare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

Career Swot Analysis:

ripensare il proprio futuro

di Gian Piero Scilio

Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio 1

La metafora è quella dell’hockey sul ghiaccio.

Mi sembra il modo migliore per rappresentare quello che sta

accadendo alle carriere, al rapporto delle persone con il la-

voro.

Il ghiaccio, con la sua durezza e la sua instabilità, rappre-

senta benissimo l’ambiente nel quale ci si trova a muoversi:

velocissimo, duro, senza possibilità di tempi morti, di pause,

incapace di perdonare passi falsi, disattenzioni, errori.

E poi il tondino con il quale si gioca mi sembra proprio il bu-

siness: piccolo, imprevedibile, velocissimo! Bisogna essere

capaci di seguirlo con gli occhi e con il corpo, di capirne in

anticipo i movimenti, di stopparlo e poi rilanciarlo. Infine i

giocatori: mi ricordano le persone giornalmente impegnate

nella “battaglia del lavoro”. Persone capaci di prendere, e

dare, “colpi” e subito dopo rialzarsi e proporsi per mete suc-

cessive.

Naturalmente non voglio dire che 10 anni fa le cose fossero

semplici e che ora, negli ultimi 5 anni, tutto sia improvvisa-

mente diventato difficile, impervio, estremo. Anche prima il

lavoro aveva le sue complessità, le sue imprevedibilità, le

sue fatiche; certo è che negli ultimi 5 anni tutto è diventato

più complicato, difficile, duro.

In una parola, il livello di complessità si è elevato in maniera

esponenziale.

Le parole con le quali le persone descrivono la propria attua-

le situazione professionale sono del tipo: “E' un periodo di

grandissima incertezza … sono al bivio … ho bisogno di un

pit stop … sto giocando una partita di poker”. Sono espres-

sioni che raccontano benissimo un certo modo di rappresen-

tarsi la realtà del lavoro di questi anni, che narrano chiara-

mente quello che le persone stanno vivendo sulla propria

pelle.

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Lo scopo di queste pagine è descrivere un possibile modo

per fare un check up, per verificare l’andamento del proprio

percorso professionale e, conseguentemente, lo stato di sa-

lute della propria carriera. Con l’idea, tipica della medicina,

che è molto meglio prevenire che aspettare la manifestazio-

ne evidente di una difficoltà.

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Impiegabilità

Uno primo concetto, a mio parere importante, è quello di

impiegabilità.

Per renderlo subito chiaro, ricorro ad una frase di una inter-

vista pubblicata sull’Impresa a Claudio Meyer, senior advisor

di Egon Zehnder: “Il vero problema non è avere un lavoro,

ma essere appetibile sul mercato del lavoro. C’è gente che

oggi lavora, ma non è impiegabile nel futuro”.

Questo è uno dei passaggi chiave per progettare o riproget-

tare il proprio futuro: passare dall’obiettivo “impiego” a

quello di “impiegabilità”.

La domanda chiave su questo versante è: quali elementi

prendere in considerazione per verificare e migliorare la

propria employability?

Vi propongo di riflettere su due dimensioni, una interna alla

persona ed una esterna.

Quella interna ha a che fare con se stessi: la propria storia

professionale, i propri valori, i propri interessi, le proprie ca-

pacità, il network.

La dimensione esterna si riferisce al mercato del lavoro: pro-

fessioni emergenti, settori in sviluppo, trend economici, atti-

vità in declino.

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Dimensione interna

Inizio dal network: moltissime persone con le quali ho avuto

modo di lavorare in aula e in percorsi di coaching, mi hanno

fatto capire che questo è un aspetto delicatissimo. Quasi

tutte erano persone con un bel network interno alle aziende

presso le quali stavano lavorando. Professionisti molto ben

inseriti, con tante relazioni, con tanti contatti interni.

Peccato che nel momento in cui si è fuori dall’azienda il valo-

re di quel network si dimezzi all’istante! Pochissime avevano

curato il network esterno, quello - ad esempio - della comu-

nità professionale di appartenenza. E in Italia, si sa, il prin-

cipale motore di cambiamento di lavoro è la conoscenza di-

retta, il passa-parola: per l’appunto il network.

Se dovessi scegliere quale consiglio dare prioritariamente ad

un mio cliente, direi proprio questo: mettere energia e me-

todo nella costruzione costante, quasi certosina, di un net-

work importante, interno ed esterno! I modi per sviluppare

quello esterno sono tantissimi; il vero punto di svolta è

prendere la decisione di farlo, di dedicare 5 minuti al giorno

a questa attività. Una modalità che mi sembra funzionare

bene, e con un minimo investimento di tempo, è quella di

scegliere su Linkedin un paio di gruppi di discussione, se-

guirne i confronti e, di tanto in tanto, quando si pensa di

avere da dire qualcosa di sensato, scrivere dei piccoli com-

menti. Questa semplice attenzione procura quasi automati-

camente, naturalmente se quanto scritto risulta interessan-

te, un incremento dei contatti su Linkedin. La decisione più

importante è la scelta dei gruppi cui iscriversi (non più di

tre). L’operazione funziona bene se si aderisce a gruppi i cui

ambiti di discussione daranno la possibilità di intervenire, di

esprimere punti di vista, idee interessanti.

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Naturalmente mai trascurare o sottovalutare il network che

può essere generato da parenti ed amici, quello degli ex col-

leghi di lavoro, quelli dell’Università e/o delle scuole di busi-

ness da cui si proviene.

Negli ultimi anni ho ascoltato tanti manager “in carriera” che

hanno sperimentato, anche loro, qualche disavventura pro-

fessionale dalla quale si sono poi risollevati.

Tutti raccomandano di curare il proprio aggiornamento pro-

fessionale, di rimanere “fit” e al passo con i tempi.

Il presupposto è la capacità di leggere, ascoltare i segnali

che arrivano dall’esterno. Un esempio per tutti: in questa fa-

se tutto ciò che è digitale sembra essere particolarmente

“cool”, richiesto dal mercato del lavoro. Ancor più richiesto,

rimanendo all’esempio nel mondo del digitale, tutto ciò che

ha a che fare con il cloud e la dimensione social.

Se pensiamo al marketing (che come tutte le funzioni di

staff sta soffrendo, particolarmente nelle multinazionali, a

causa di un accentramento delle decisioni presso gli head-

quarter europei), è evidente che curare l’aggiornamento del-

la propria “cassetta degli attrezzi”, integrando le proprie co-

noscenze “classiche” con quelle del digitale e/o del social, è

proprio un bel modo di prendersi cura della propria em-

ployability. La stessa cosa mi sento di dire per chi lavora, o

ahimè lavorava, nelle grandi agenzie di pubblicità; è noto

che lì è proprio cambiato il mondo, il business model,

l’approccio. Non integrare le proprie abilità con quelle del

mondo digital/social è il modo migliore per mettersi fuori dal

mercato del lavoro!

Naturalmente tutti raccomandano la cura delle lingue: scon-

tata la conoscenza dell’inglese, sta assumendo sempre più

importanza la conoscenza di una seconda lingua, possibil-

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mente il tedesco (apre grandi possibilità in Alto Adige, Au-

stria e in tutti i paesi dell’Est europeo sotto la forte influenza

tedesca). Sfortunatamente ancora oggi solo una piccola per-

centuale di manager italiani da me incontrati ha una cono-

scenza dell’inglese davvero eccellente. Tutti sono d’accordo

nel ritenerla una competenza essenziale; pochi sono quelli

disposti ad investirci sul serio tempo e soldi. Eppure tante

volte mi sono sentito raccontare che non essere stati capaci

di cogliere sfumature, sottintesi, di dire le cose in un certo

modo, ha impedito di sviluppare alleanze, di cogliere occa-

sioni, di sviluppare network all’interno di contesti multina-

zionali!

Uno “snodo” della riflessione sul proprio posizionamento

professionale è quello in cui le persone ragionano sulla pro-

pria storia professionale:

1. individuare i principali “lavori” svolti, nella stessa

azienda o in aziende diverse;

2. riassumere le principali attività, responsabilità del pe-

riodo;

3. focalizzare gli apprendimenti significativi di ciascuna

fase;

4. riscoprire i momenti di maggior soddisfazione, le cose

che è stato proprio bello fare;

5. pensare una metafora che sia una buona espressione

di ciascun periodo.

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Periodo

1

Periodo

2

Periodo

3

Periodo

4

Periodo

5

Durata periodo,

ruolo e motivi di

chiusura del pe-

riodo

Quali sono state

le attività/ re-

sponsabilità

principali del pe-

riodo?

Che cosa hai

imparato di si-

gnificativo in

questo periodo?

Cosa ti è piaciu-

to fare?

Quali sono stati i

momenti di

maggior soddi-

sfazione?

Quale metafora

è una buona

espressione di

questo periodo?

Lo scopo di questa riflessione è quello di individuare dei “fill-

rouge” del proprio percorso che possano essere utili rispetto

alla propria occupabilità. A solo titolo esemplificativo: indivi-

duare quali sono state le attività, le responsabilità verso cui

si è provato piacere, soddisfazione, può fornire delle utili in-

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dicazioni sull’indirizzo da dare ad un ripensamento del posi-

zionamento professionale. Riflettere su quali sono state le

motivazioni che hanno portato a chiudere delle esperienze

professionali e ad intraprenderne delle altre, racconta molto

del come si “funziona” e magari può dare anche qualche in-

dicazione su precauzioni da prendere per il futuro. Spesso

riscrivere la propria storia professionale, rivederla dispiegar-

si su carta, fornisce delle informazioni preziose su quanto si

sia stati “protagonisti” delle proprie scelte o, viceversa, su

quanto si sia stati più propensi a subire le scelte di altri, il

caso, le situazioni improvvise.

Contribuisce alla riflessione sulla propria dimensione interna

la seguente domanda: “Cosa avete di unico, speciale, che

rende di valore il vostro posizionamento professionale?”

L’implicito è che se le persone non trovano niente di partico-

lare faranno bene, da subito, a cercare di costruirsi uno spe-

cifico posizionamento professionale.

Cosa significa farlo in concreto? Le possibilità sono moltepli-

ci, ne indico a solo titolo esemplificativo alcune:

– sviluppare un expertise tecnico o gestionale “certo”,

in linea con i tempi, richiesto dal mercato, che renda

indispensabili e appetibili dall’organizzazione;

– conoscere profondamente un settore, cioè le sue re-

gole del gioco, i protagonisti importanti ed esserne ri-

conosciuto come un player importante;

– sviluppare relazioni forti con la propria rete commer-

ciale, diretta o indiretta;

– conservare la gestione di alcuni clienti direzionali.

La riflessione sulla opportunità di individuare un posiziona-

mento professionale specifico, e percepito di valore, genera

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ulteriori domande: è meglio essere dei generalisti o degli

specialisti? Sono più utili le competenze tecniche o quelle

gestionali?

La mia impressione è che oggi le competenze tecnico-

professionali, se debitamente aggiornate, possano essere

più spendibili rispetto a quelle gestionali, che rischiano di

essere più diffuse (almeno a parole) e meno specifiche.

La “grande contrazione” in atto dal 2007 ha fatto sì che oggi

le aziende ricerchino persone in grado di fare “delivery”, di

ottenere risultati tangibili, immediatamente misurabili. In

qualche modo c’è stato un ritorno ai “basic”, alle cose es-

senziali: vale di più, sempre in termini generalissimi, la co-

noscenza approfondita di un settore (ad esempio le banche)

che la capacità di strutturare un processo commerciale. Non

voglio dire che questa capacità, tipicamente manageriale,

non sia più importante; penso però che vada coniugata con

la capacità di “alzare il telefono” e parlare con i player im-

portanti di un settore o di un canale.

Più volte ho toccato con mano la maggiore difficoltà di cam-

biare lavoro per chi, magari a causa del livello manageriale

raggiunto, veniva (a torto o ragione) considerato incapace di

produrre immediatamente risultati “tangibili”. Mi vengono in

mente anche tanti bravi gestori di progetti, ad esempio nel

settore dell’IT, che oggi faticano a ricollocarsi perché ten-

denzialmente vissuti come professionisti capaci di “portare

ordine”, cioè di dare struttura e organizzazione nelle “crisi di

crescita”. Sfortunatamente in Italia, e particolarmente in

quel settore, le aziende attualmente in crisi di crescita si

contano sulle dita di una mano!

Questa impressione, che naturalmente non vale sempre e

con tutti, mi viene confermata da amici head hunter ai quali

ho sottoposto il quesito. Ne ricordo in particolare uno che mi

raccontava come le sue aziende clienti ricerchino sempre di

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più “competenze certe”, immediatamente spendibili: sapere

tutto di sicurezza aziendale, saper controllare e tagliare i co-

sti, saper sviluppare un settore, un canale, avere i contatti

giusti in una determinata area geografica.

La ragione di questo orientamento è molto semplice: nessu-

no vuole rischiare più del necessario. In questa fase si cer-

cano sicurezze, certezze. Forse è una grande illusione,

un’idea un po’ semplicistica delle cose, poco lungimirante.

Però bisogna tenerne conto!

Un altro momento di riflessione è quello in cui si ragiona sul-

la propria employability. Tre domande-chiave:

1. Da cosa dipende, per settore e per famiglia profes-

sionale, il valore sul mercato del lavoro?

2. Come viene considerato, al momento, il valore sul

mercato del lavoro, e perché?

3. Negli ultimi tre anni, è diminuito o aumentato, e per-

ché?

E’ sempre interessante scoprire che sono domande che più o

meno le persone hanno in testa, che erano lì da qualche

parte, ma che in realtà non sono mai state formulate e per

le quali non ci si è mai preso il tempo di riflettere e rispon-

dere.

La prima domanda, in particolare, aiuta a fare chiarezza sul-

la propria situazione e sugli eventuali aggiustamenti da rea-

lizzare. Ricordo una volta che stavo facendo coaching ad un

manager della consulenza direzionale un po’ in difficoltà.

Quando gli proposi di fare questa riflessione mi guardò un

filo stranito, poi si mise a riflettere per dieci lunghi minuti

per dirmi alla fine: “Nel mio mestiere contano tre cose: la

notorietà, le relazioni, una competenza profonda e ricono-

Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio 11

sciuta su qualche argomento. Ora che ci penso capisco di

essere abbastanza noto, con buone relazioni, ma con una

competenza molto trasversale su tanti aspetti. Su nessuno

di essi però faccio ancora la differenza, come avveniva 10

anni fa!”.

La sua percezione di declino, la sensazione di aver perso

employability, erano legate ad uno dei tre fattori che, nel

suo mestiere, fanno la differenza. Il suo successivo piano

d’azione è partito proprio dalla presa d’atto di questa diffi-

coltà e dalla necessità di tornare ad essere “speciale” su

qualcosa di importante per i suoi clienti.

In una riflessione sullo “stato di salute” della propria em-

ployability non può mancare un accenno alle più frequenti

cause di perdita del lavoro, in particolare di tipo manageria-

le. Certamente ci sono delle motivazioni legate agli anni che

stiamo vivendo, alla contrazione in corso, al cambiamento in

atto di paradigmi consolidati: acquisizioni (specialmente se

si è dalla parte … sbagliata!), ristrutturazioni, riduzioni costi,

sono le prime cause di perdita del lavoro che vengono citate.

Rispetto ad esse qualcosa può essere fatto; penso, ad

esempio, al rendersi importanti, indispensabili, al di là di

qualsiasi cambiamento aziendale. In molti casi però, almeno

in apparenza, c’è veramente poco da fare e sembrerebbe

che non rimanga altro che subire gli eventi, molti dei quali

non dipendono certamente dalle persone che si trovano in

mezzo a questi grandi cambiamenti.

In realtà, quando mi capita di fare coaching in percorsi di

riattivazione professionale, quello che prima o poi emerge è

che sì c’è stata la fusione, oppure la riorganizzazione lacrime

e sangue, ma che in fondo in fondo una certa dose di re-

sponsabilità individuale ha contribuito, talvolta in maniera

determinante, alla perdita del lavoro. Mi tornano in mente

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persone che mi hanno confessato di essersi sentite “arriva-

te”, non più interessate ad apprendere, a migliorarsi, capaci

di fare l’ordinaria amministrazione senza nessuno sforzo.

Con il rischio evidente di essere diventate velocemente ob-

solete. Oppure altre che mi hanno raccontato delle difficoltà

relazionali avute con il nuovo capo, la nuova proprietà,

l’headquarter della multinazionale. Persone che magari era-

no sempre state capaci di costruire alleanze con i precedenti

capi e che, per svariate ragioni, non ci sono più riuscite o

non ne hanno più avuto l’energia.

Dovessi scegliere due aree di attenzione da segnalare ai

manager direi proprio: mai fermarsi, mai “sedersi” e curare

sempre al meglio le capacità relazionali, in particolare verso

l’alto.

Una riflessione interessante, in particolare per persone over

55, mette insieme lo stato d’animo che le persone stanno

vivendo con tre diverse possibili scelte.

Le domande sono1:

– Ti senti in rilancio oppure ti senti in declino?

– Vuoi fare una scelta di continuità, di adattamento op-

pure di cesura?

E’ evidente che un conto è fare, ad esempio, una scelta di

continuità perché si sente che continuare a fare la cosa che

si è sempre fatto è una scelta bella, piena, appagante; altra

cosa è farla perché ci si sente al tramonto e la si vive come

l’unica scelta possibile. Rimanendo sugli estremi della deci-

sione, anche la cesura, cioè il cambiamento forte e deciso,

assume una dimensione completamente diversa a seconda

1 Ringrazio Enrico Oggioni e il suo libro “Ragazzi di sessant’anni”, Mondadori Editore.

Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio 13

che lo si faccia sentendosi in rilancio oppure in declino. Un

conto è cambiare completamente vita facendosi coinvolgere

in un progetto a cui magari si è pensato per tanti anni,

un’idea collegata ad una propria passione o ad un proprio

valore, nella quale mettere desiderio, talento, voglia di fare

e riuscire. Altra cosa è “aprire la gelateria” perché … qualco-

sa bisognerà pure farla!

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Dimensione esterna

Una abilità importante per sviluppare la propria employabili-

ty è quella di osservare attentamente le trasformazioni del

mercato del lavoro.

Gli elementi da considerare sono tantissimi, spesso collegati

strettamente con il proprio settore di appartenenza o la pro-

pria famiglia professionale.

Un dato generale è quello che indica che durante i periodi

recessivi le start up investono e assumono, le grandi aziende

licenziano. Un dato per tutti: Google impiegava nel 2013 cir-

ca 36.000 persone. Questo significa che ha assunto una me-

dia di 4 persone al giorno, tutti i giorni, per più di 15 anni2!

Probabilmente avere un occhio attento alle aziende giovani e

di successo del proprio settore si rivela, in termini di occu-

pabilità futura, proprio un buon investimento!

Un altro dato interessante è quello che riguarda Internet:

sempre secondo Riccardo Luna, internet è stato ovunque il

più grande creatore di posti di lavoro degli ultimi 15 anni,

anche in Italia. La morale è semplice: tanti lavori sono

scomparsi per effetto della digitalizzazione dei processi e dei

mercati ma, al tempo stesso, tanti altri ne sono stati creati

proprio grazie allo stesso fenomeno.

Il terzo trend interessante fa riferimento al dato geografico.

In buona sostanza nel panorama economico attuale conta

sempre di più, oltre a quello che si sa fare e alle relazioni del

network, il luogo dove si vive. In un interessantissimo libro,

“La nuova geografia del lavoro”, il Professor Enrico Moretti,

italiano che vive e insegna negli Stati Uniti, sostiene che cit-

tà e regioni in grado di attirare lavoratori qualificati e impre-

2 Fonte: Riccardo Luna, “Cambiamo tutto”, Editori Laterza.

Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio 15

se innovative tendono ad attirarne sempre di più. Viceversa

le comunità che non ci riescono perdono sempre più terreno.

Saranno vincenti, a suo dire, i grandi hub dell’innovazione:

anche per i lavoratori che non ci lavoreranno direttamente!

Non tutti possono lavorare in Google, Apple o Twitter ov-

viamente. Ma le comunità nelle quali questa tipologia di

aziende si insediano finiscono per offrire migliori opportunità

professionali anche a medici, avvocati, commercialisti, inse-

gnanti, fisioterapisti, tassisti, ecc.

Sfortunatamente nessuna città italiana sembra al momento

avere queste caratteristiche; in Europa alcune tra le città più

vive in questo senso mi sembrano essere Berlino, Londra e

Barcellona.

16 Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio

Swot Analysis

Il titolo di questa riflessione è “Career Swot Analysis”: si

possono tirare le somme sulla propria situazione professio-

nale utilizzando un tool manageriale che molto spesso viene

usato per prendere decisioni strategiche di business. Alla lu-

ce delle pensate fatte fino ad ora si possono sintetizzare:

– i propri punti di forza e quelli di debolezza (i fattori

interni);

– le opportunità e le minacce derivanti dal contesto

(i fattori esterni).

Riporto un esempio che ricordo bene di un percorso di coa-

ching. Il cliente era un serissimo manager di una nota mul-

tinazionale operante nei servizi, un po’ preoccupato per

Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio 17

l’età (52 anni) in relazione alle giornate passate all’estero.

La sua swot era, più o meno, la seguente:

– punti di forza interni: esperienza, professionalità for-

te, leadership personale, profilo internazionale

– punti di debolezza interni: poco contatto diretto con i

clienti finali, età che iniziava ad essere “impegnativa”

(52 anni)

– opportunità esterne: settore in fermento, in forte

evoluzione tecnologica

– minacce esterne: brand un po’ “vecchio”.

Mettere insieme questi diversi elementi gli ha permesso di

decidere le azioni da intraprendere nel futuro prossimo. In

particolare ricordo la decisione di reinvestire nuovamente in

un refresh del suo aggiornamento tecnologico, da utilizzare

per preparare un rientro nella country italiana della sua

azienda, a contatto diretto con i clienti.

Sono arrivato alla conclusione di queste riflessioni. Nei giorni

in cui scrivo stanno prendendo forma i primi provvedimenti

del Jobs Act. Mi chiedo come influiranno sui ragionamenti

che vi ho proposto.

La mia impressione è che assicurarsi un percorso di longevi-

tà professionale passerà sempre più dalla capacità di co-

struire nell’arco degli anni un certo numero di “segmenti di

vita professionale”. Non solo aziende diverse, ma anche con-

tratti psicologici diversi: alcuni da lavoratore dipendente, al-

tri di natura più spiccatamente libero-professionale. Avendo

ben chiaro in mente che il lavoro “sicuro” non esiste più (se

mai è esistito) e che la superficie ghiacciata dell’hockey ri-

chiede di mantenersi costantemente in forma. Agilità di pen-

siero e di azione, lungimiranza nelle vedute, una dose ade-

18 Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, di Gian Piero Scilio

guata di protagonismo mi sembrano essere dei buoni ingre-

dienti di partenza.

Buon gioco!

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Gian Piero Scilio

Consulente, formatore, coach. Partner Mida dal 2003.

Ho collaborato presso diverse società di consulenza, nazionali ed

internazionali, quali Praxi, Ambrosetti, Impact.

Nella seconda parte degli anni ’90 ho appreso in Inghilterra la me-

todologia esperienziale dell’outdoor training e ho contribuito a svi-

lupparla e renderla nota in Italia.

In Mida dal 1999, nel 2009 ho conseguito presso il Centro Berne di

Milano il diploma di counselor ad indirizzo Analitico-Transazionale.

Mi occupo spesso di leadership ed efficacia personale. Tratto questi

temi con capi, venditori, negoziatori e private banker.

Negli ultimi anni ho sviluppato approcci integrati di consulenza,

formazione e coaching per dare supporto ai manager in situazioni

di transition professionale.

Nel 2013 ho ideato e sviluppato l’approccio Mida agli over 55 “Long

Life Opportunity“, realizzando un convegno e gestendo il piano edi-

toriale di un sito dedicato sia al tema degli over55, che a temi lega-

ti all’apprendimento, alla diversity and inclusion, alla multiculturali-

tà e interculturaltà.

Sempre nel 2013 ho pubblicato, con Massimo del Monte e Carlo

Romanelli, un libro edito da Franco Angeli dal titolo “Out of office.

Storie di manager che si sono reinventati il futuro.”

Sono uno dei Soci fondatori dell’Osservatorio Senior.

Considero un privilegio potermi occupare di persone, delle loro

passioni, fragilità, emozioni, aspirazioni.

[email protected]

Career Swot Analysis: ripensare il proprio futuro, by Gian Piero Scilio is licensed

under a Creative Commons 3.0 Italia License, marzo 2015.

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In copertina

L’ideogramma 防 significa “prevenzione”.