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CAPITOLO PRIMO Dalle crociate alla fine dell'Ordine dei Templari 1. Le origini dell'ordine Nella seconda metà dell'XI secolo l'Europa era devastata da un'ondata di violenza, portata avanti da gruppi di aristocratici, pressoché giovani, che distruggevano le coltivazioni, depredavano villaggi, uccidevano uomini inermi. Da un lato vi erano le famiglie aristocratiche in declino, il cui l'obiettivo era quello di recuperare con la forza ricchezze e rispettabilità per poter risalire la scala sociale. Dall'altro lato c'erano i figli cadetti appartenenti ad aristocrazie non floridissime, per i quali il saccheggio era l'unico strumento di arricchimento, soprattutto in zone come la Francia, dove la legge salica favoriva esclusivamente i primogeniti nella consegna dell'eredità. Invano i vescovi avevano cercato di arginare queste violenze, organizzando periodicamente grandi assemblee e impegnando i cavalieri in solenni giuramenti di pace, affinché venissero risparmiati i poveri e le fondazioni religiose. Queste <<tregue di Dio>> non duravano a lungo e a nulla servivano le maledizioni della Chiesa rivolte agli assassini. Tanto la Chiesa quanto i titolari dei diritti di signoria auspicavano una facile risoluzione per questi disordini sociali, anche attraverso l'umanizzazione e la cristianizzazione dei costumi dei guerrieri feudali. Nei sinodi proclamati dai vescovi , infatti, si cercava di delineare una nuova figura di cavaliere, il miles Christi, fedelmente al servizio della libertas Ecclesiae. Nel complesso, il movimento della <<Pax Dei>> può essere visto come una componente della radicale riforma della Chiesa portata avanti da Gregorio VII. In particolare si cercava di creare una nuova etica cavalleresca, pienamente fedele alla Chiesa e alla morale cristiana, quindi distante dalla strumentalizzazione dei laici e dalla brutale ostentazione della forza. 1

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CAPITOLO PRIMO

Dalle crociate alla fine dell'Ordine dei Templari

1. Le origini dell'ordine

Nella seconda metà dell'XI secolo l'Europa era devastata da un'ondata di

violenza, portata avanti da gruppi di aristocratici, pressoché giovani, che

distruggevano le coltivazioni, depredavano villaggi, uccidevano uomini inermi.

Da un lato vi erano le famiglie aristocratiche in declino, il cui l'obiettivo era

quello di recuperare con la forza ricchezze e rispettabilità per poter risalire la scala

sociale. Dall'altro lato c'erano i figli cadetti appartenenti ad aristocrazie non

floridissime, per i quali il saccheggio era l'unico strumento di arricchimento,

soprattutto in zone come la Francia, dove la legge salica favoriva esclusivamente i

primogeniti nella consegna dell'eredità.

Invano i vescovi avevano cercato di arginare queste violenze, organizzando

periodicamente grandi assemblee e impegnando i cavalieri in solenni giuramenti

di pace, affinché venissero risparmiati i poveri e le fondazioni religiose. Queste

<<tregue di Dio>> non duravano a lungo e a nulla servivano le maledizioni della

Chiesa rivolte agli assassini.

Tanto la Chiesa quanto i titolari dei diritti di signoria auspicavano una facile

risoluzione per questi disordini sociali, anche attraverso l'umanizzazione e la

cristianizzazione dei costumi dei guerrieri feudali. Nei sinodi proclamati dai

vescovi , infatti, si cercava di delineare una nuova figura di cavaliere, il miles

Christi, fedelmente al servizio della libertas Ecclesiae. Nel complesso, il

movimento della <<Pax Dei>> può essere visto come una componente della

radicale riforma della Chiesa portata avanti da Gregorio VII. In particolare si

cercava di creare una nuova etica cavalleresca, pienamente fedele alla Chiesa e

alla morale cristiana, quindi distante dalla strumentalizzazione dei laici e dalla

brutale ostentazione della forza.

1

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Inoltre, le continue richieste di aiuto all'occidente da parte dell'imperatore

bizantino per arginare l'avanzata dei turchi in oriente suggerivano alla Chiesa una

valida opportunità per mettere alla prova i nuovi milites Christi, dando la

possibilità a tutti i cavalieri, desiderosi di emergere tramite l'utilizzo delle armi, di

aiutare concretamente la Chiesa e i suoi fedeli.

Così si espresse S. Bernardo nei riguardi di una cavalleria troppo degradata:

<<È una vera soddisfazione sapere che nella vasta moltitudine che si

accalca verso la Terra Santa sono ben pochi coloro che non siano stati degli

incredibili malfattori, saccheggiatori sacrileghi, omicidi, spergiuri, adulteri, la cui

partenza dall'Europa costituisce senz'altro un doppio vantaggio: gli europei sono ben

contenti di vederli andar via, e coloro in aiuto dei quali essi accorrono in Terra Santa

sono deliziati di vederli arrivare! È senz'altro vantaggioso per quanti vivono su

entrambe le sponde del mare, dato che essi ne proteggono una, e cessano di

molestare l'altra.>>.1

Il pensiero cristiano è passato, così, dal condannare ogni tipo di guerra,

sempre cattiva e illecita, al condannare soltanto quella privata, combattuta con il

solo scopo di accrescere ricchezza e onore. Tutte quelle guerre che hanno una

funzione punitiva e di rimedio alle ingiustizie diventano guerre giuste. Quando poi

essa viene combattuta per difendere il vero Dio, la vera fede e la vera Chiesa, la

guerra diventa anche santa e ha come presupposto una vera e propria conversione

interiore. Ce ne dà una testimonianza il monaco Guiberto de Nogent:

<<Ai nostri tempi Dio ha istituito la guerra santa, di modo che l'ordine dei

cavalieri e la moltitudine instabile che avevano l'abitudine di impegnarsi in reciproci

massacri, come gli antichi pagani, possano trovare una nuova via per la salvezza>>.2

All'inizio del 1095 papa Urbano II, al secolo Oddone di Lagery, invitò tutti i

capi della cristianità occidentale a raggiungerlo a Piacenza, dove si sarebbe tenuto

il primo grande concilio del suo pontificato. Urbano intendeva risolvere molte

1 Citato in P. PARTNER, I Templari, Torino, Einaudi, 2005, p. 8, nota n. 2.

2 Citato in A. DEMURGER, Vita e morte dell'ordine dei templari, Milano, Garzanti, 2005,

p. 31.

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gravi questioni che affliggevano la Chiesa, tra le quali la simonia, il nicolaismo e

il difficile rapporto con il re di Francia, Filippo I, dopo lo scandalo dell'adulterio

con la terza moglie del conte Folco d'Angiò. Oltre ai diversi prelati arrivarono a

Piacenza anche gli ambasciatori di Alessio I Comneno, imperatore bizantino, con

l'obiettivo di chiedere al papa di inviare cavalieri in sostegno di un impero sempre

più minacciato dai turchi. Il papa non poteva sottovalutare questa richiesta d'aiuto

perché, come aveva fatto capire lo stesso imperatore, i rapporti tra la Santa Sede e

la Chiesa di Costantinopoli, creatasi dopo lo scisma del Patriarca Michele

Cerulario (1054), ne avrebbero tratto grandi benefici.

Urbano II si ricordò della richiesta di Alessio I qualche mese dopo, quando

nel novembre dello stesso anno a Clermont si tenne in concilio generale. In

quest'assemblea i Padri conciliari rinnovarono il divieto ai principi e ai signori

castellani di procedere all'investitura dei chierici e vietarono ai chierici, vescovi in

particolar modo, di omaggiare i laici. In questo modo la separazione tra laici e

chierici si faceva più netta. Tuttavia il concilio è rimasto alla storia per l'appello

lanciato del papa a partire verso la Terra Santa per difendere i luoghi sacri.

<<È necessario che vi affrettiate a soccorrere i vostri fratelli orientali, che

hanno bisogno del vostro aiuto e lo hanno spesso richiesto. [...] Per la qual cosa

insistentemente vi esorto – anzi, non sono io a farlo, ma il Signore – affinché voi

persuadiate con continui incitamenti, come araldi del Cristo, tutti, di qualunque

ordine (cavalieri e pedoni, ricchi e poveri), ad accorrere subito in aiuto dei cristiani

per spazzare dalle nostre terre quella stirpe malvagia. Lo dico ai presenti e lo

comando agli assenti; a quelli poi di voi che dovessero venir a morte in viaggio o

durante la traversata o in battaglia contro i fedeli, sarà concessa l'immediata

remissione dei peccati. Ciò io concedo ai parenti, per l'autorità che Dio mi accorda.

[...] E quante accuse il Signore stesso vi muoverà, se non avrete aiutato chi al pari di

voi fa parte nel novero dei cristiani! Si affrettino dunque alla battaglia contro gli

infedeli, che avrebbe già dovuto incominciare a essere portata felicemente a termine,

coloro che fin qui sono stati solito combattere illecitamente contro altri cristiani le

loro guerre private! Diventino cavalieri del Cristo quelli che fino a ieri sono stati

briganti! Combattano a buon diritto contro i barbari coloro che finora han

combattuto contro fratelli e consanguinei! Conseguano un premio eterno quanti han

fatto i mercenari per pochi soldi! [...] Né indugino a muoversi: ma passato

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quest'inverno, mettano a frutto o impegnino i propri beni per procurarsi il necessario

al viaggio e si mettano risolutamente in cammino>>.3

Nelle parole di Urbano si percepisce chiaramente la volontà di ridurre gli

episodi di violenza gratuita tramite l'impegno a difendere i pellegrini nelle Terre

Sante, dopo il fallimento delle tregue di Dio. Il papa non aveva, forse, l'intenzione

di far partire una vera e propria missione di conquista e <<colonizzazione>> della

Terra Santa. Il pellegrinaggio, se pur armato, resta la principale chiave di lettura

del suo appello. Infatti i crociati, o crucesignati, furono affidati alla guida del

vescovo di Puy, Adhemar de Monteil. Il termine crociata, utilizzata per definire la

guerra degli europei cattolici contro gli infedeli musulmani nelle terre dei Vangeli,

inizia ad essere utilizzato solo più avanti.

Durante il suo discorso, Urbano II fu interrotto più volte dall'entusiasmo

della gente che urlava <<Dio lo vuole!>>. Successivamente il papa tenne diversi

sinodi a Limoges, Poitiers, Bordeaux, Tolosa, Nimes, ma il suo appello travalica i

confini francesi e infiamma tutta l'Europa. Subito, popolo e cavalieri di modesta

levatura si mettono in viaggio, mentre i grandi signori e i nobili partiranno

soltanto dopo aver preso provvedimenti per tutelare il loro patrimonio familiare.

La storiografia si è a lungo interrogata sul forte impatto che l'appello del

papa ha avuto nell'animo del popolo di quegli anni. Ridurre la crociata a una mera

strategia politica, si è rivelato un fallimento, per cui le ragioni profonde di questo

successo devono essere ricercate altrove. Dal 1085 al 1095 l'Europa fu attraversata

da carestie e calamità naturali, che indussero moltissime persone a credere che

fosse prossima la fine dei tempi. La diffusa credenza che tali calamità avessero

una funzione provvidenziale spinse molti ad attuare opere di penitenza e

redenzione. Inoltre, i decenni centrali dell'XI secolo furono attraversati da un

profondo risveglio della pietà popolare, strettamente connesso alla riforma della

Chiesa, promosso da forti personalità come ad esempio Pier Damiani e Giovanni

Gualberto. Molti cavalieri percepirono l'impegno in difesa dei fratelli cristiani

come una spedizione guerresca a termine (tempus militiae), ma ce ne furono altri

che, invece, furono fortemente intenzionati a stringere un legame indissolubile

3 Citato in F. CARDINI, La tradizione templare, Firenze, Vallecchi, 2007, p. 53, nota n. 9.

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con la Terra Santa. Tra questi ci fu un cavaliere al seguito del conte di

Champagne, chiamato Hugues de Payns, del quale parleremo in dettaglio più

avanti.

Si formarono schiere di <<poveri pellegrini>>, sommariamente armati e per

niente disciplinati, che lungo la strada verso Oriente si macchiarono di molti

delitti e stragi, soprattutto contro le comunità ebraiche delle vallate del Reno e del

Danubio. Queste <<crociate dei poveri>> si risolsero comunque in grandi

fallimenti. Le colonne dei principali signori feudali e dei loro vassalli si

incontrarono a Costantinopoli nel 1096. Erano presenti Raimondo di Saint-Gilles,

conte di Tolosa, a capo dei provenzali; Goffredo di Buglione, duca della bassa

Lorena, alla testa dei tedeschi; Roberto conte di Fiandra e Roberto conte di

Normandia rispettivamente a capo dei fiamminghi e dei normanni; Boemondo

d'Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo, alla guida dei normanno-italici. Gli

scopi non erano tuttavia ben chiari e l'idea di arrivare in Terra Santa e di liberare

Gerusalemme maturò pian piano.

Nel 1098 i <<franchi>> (così erano chiamati sommariamente gli occidentali

dai bizantini e dai saraceni) conquistarono Antiochia, avvalendosi del fattore

sorpresa e sfruttando la divisione interna tra arabi e turchi, tra sciiti e sunniti.

Gerusalemme fu raggiunta tra la primavera e l'estate del 1099 ed espugnata il 15

luglio, con successivo massacro per tutti i musulmani ed ebrei che l'abitavano, ai

quali fu anche proibito di soggiornarvi, almeno per un primo momento. Negli anni

successivi i crociati riuscirono a conquistare anche la regione circostante, fino a

gestire la fascia che andava dal mar di Levante al corso del Giordano, dalla Siria

al Mar Rosso.

La regione fu organizzata in diversi principati indipendenti tra loro,

seguendo i principi del sistema feudale: contea di Edessa, contea di Tripoli, contea

di Giaffa e di Ascalona, principato di Antiochia, principato di Tiberiade e di

Transgiordania, e vari feudi minori da essi dipendenti. Sul piano formale, però,

tutti erano obbedienti a un sovrano che risiedeva a Gerusalemme. Come primo re

fu scelto il fratello di Goffredo di Buglione, Baldovino.4 Il duca della bassa

Lorena aveva ottenuto questo feudo da Enrico IV come premio per il suo

4 Ibidem p. 57.

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appoggio incondizionato e intransigente durante lo scontro con la Chiesa, per

questo il papato fu molto contento di vederlo allontanarsi dall'Europa. La lingua

più diffusa era il francese, ma si mescolavano anche inflessioni del dialetto

veneziano e altri elementi dovuti alla presenza delle due città marinare: Genova e

Venezia. Il difficile equilibrio che le due rivali non riuscirono a mantenere fu una

delle cause che contribuì a dissestare i regni d'outremer.

Pur mantenendo gran parte della Palestina, il controllo dei territori

conquistati fu sempre molto precario. A nulla servì una ulteriore spedizione partita

dall'Occidente nel 1101, visto che quattordici anni più tardi Baldovino I fu

costretto a lanciare un appello a tutti i cristiani d'Oriente, affinché popolassero

quei territori. Gran parte delle preoccupazioni per i nuovi signori proveniva dalle

insidie che si nascondevano nelle strade, laddove si incamminavano i pellegrini.

Daniele, un abate russo che visitò i luoghi sacri dal 1106 al 1107, descrisse i

pericoli e le sofferenze sperimentate con queste parole:

<<Vi sono qui molte fonti; i viandanti si avvicinano all'acqua ma con

grande timore, poiché è un luogo deserto prossimo alla città di Ascalona, dalla quale

i Saraceni giungono per uccidere chi viaggia lungo queste strade. Una paura

altrettanto grande insorge spostandosi da quel luogo verso le colline.[...] è questa

una via estremamente difficile, perigliosa e priva d'acqua, poiché le alture sono

elevate e rocciose e molti briganti vi si annidano, così come nelle terribili valli. [...]

una strada attraversa la terribile montagna, ma è difficile percorrerla poiché i

Saraceni posseggono una grande fortezza lì nei pressi, dalla quale muovono i loro

attacchi>>.5

Per ovviare a questi problemi iniziarono a nascere dei sodalizi (fraternitates)

di cavalieri, che per un certo periodo o per sempre si dedicavano ad un vita in

comune e all'assistenza dei poveri, dei pellegrini e degli ammalati, seguendo il

modello dei canonici regolari o dei monaci. Nacquero così ordini religiosi nuovi,

costituiti principalmente da laici che, non abbandonando le armi, facevano della

difesa dei cristiani un valore fondamentale della loro esperienza di conversione.

Nel centro di Gerusalemme un gruppo di questi convertiti si insediò in un ospizio

attorno alla chiesa di San Giovanni, prendendone il nome: è l'Ordo Hospitalis

5 Citato in M. BARBER, La storia dei Templari, Milano, Piemme, 2005, p. 13.

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sancti Johannis Ierosolimitani, meglio conosciuto come l'ordine degli ospitalieri e

divenuto poi <<di Rodi>> e infine <<di Malta>>. Il suo compito era quello di

ospitare, proteggere, guidare i pellegrini e curare quanti si ammalavano.

Le cronache del tempo si soffermarono anche su un altro ordine, la cui

nascita venne molto sottovalutata dai contemporanei. Soltanto dopo la diffusione

dell'ordine e l'ampliarsi del suo prestigio, i cronisti successivi posero l'attenzione

sui Pauperes commilitones Christi templique salomonici, in Francia meglio

conosciuti come Povre chevalerie du Temple, in Italia come Cavalieri del Tempio

o Templari.

Guglielmo, arcivescovo di Tiro (1130 ca. - 1186 ca.), nella sua Historia

rerum in patribus transmarinis gestarum scrive che durante l'anno 1118 <<alcuni

nobiluomini di stirpe cavalleresca, devoti, pii e timorati di Dio>>6 fecero voto di

povertà, castità e obbedienza davanti a Varmondo di Picquigny, patriarca di

Gerusalemme. Tra questi vi erano Ugo de Payns, cavaliere al seguito del conte di

Champagne, e Goffredo di Saint-Omer, cavaliere originario della Picardia.

Promisero di consacrarsi a Dio come i canonici regolari e il re, Baldovino II,

concesse loro l'area attorno alla moschea di al-Aqsa, là dove anticamente vi era

l'ala sud del Tempio di Salomone. Guglielmo, inoltre, scrive che il compito

<<assegnatole dal patriarca e dagli altri vescovi per la remissione dei peccati>>

consisteva nel <<difendere per quanto possibile i percorsi e le strade maestre dalle

imboscate dei ladri e assalitori, con particolare riguardo per la sicurezza dei

pellegrini>>.7 L'arcivescovo non ci dice chi ebbe l'idea di impiegare questi uomini

a tale scopo.

Michele il Siriano, patriarca giacobita di Antiochia (morto nel 1199)

sostiene che fu il re a persuadere Ugo di Payns e trenta suoi compagni <<a servire

nella cavalleria anziché farsi monaci, agendo per la salvezza delle proprie anime e

proteggendo quei luoghi dai predoni>>.8 Nel XIII secolo Giacomo de Vitry,

storico e vescovo di Acri, nella sua Historia orientalis seu Hierosolymitana

6 Ibidem p. 15.

7 Ibidem.

8 Ibidem p.16.

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afferma che l'iniziativa partì dai cavalieri e solo in seguito il re e il patriarca

diedero il loro sostegno.

Se la paternità della nascita dell'ordine non può essere definita in maniera

più chiara, data la discordanza delle fonti, neanche sul suo anno di nascita

possiamo citare una data univocamente accettata da tutti gli storici. Il concilio di

Troyes, grazie al quale i Templari ottennero l'ufficializzazione dell'ordine da parte

del papa, avvenne nel nono anno della loro istituzione. Infatti gli atti del concilio,

redatti dal notaio Jean Michel, riportano la data della festa di Sant'Ilario (13

Gennaio) del 1128, <<il nono anno dalla nascita della suddetta milizia>>.9 Tra le

prime donazioni in favore dell'ordine figura quella di Thierry, conte delle Fiandre,

datata 13 Settembre 1128, esplicitamente indicato come nono anno dalla

fondazione dell'ordine.10 Secondo queste informazioni siamo tenuti a considerare

il 1119 come anno della fondazione dell'ordine. C'è, però, un articolo pubblicato

nel 198811 dallo storico tedesco Rudolf Hiestand che propone un'altra datazione

del Concilio di Troyes e quindi della nascita dell'ordine. Le carte della Francia del

nord-est erano datate allora nello stile dell'Annunciazione, perciò l'anno non

iniziava il 1 Gennaio ma bensì il 25 Marzo. Secondo i calcoli di Hiestand il

concilio si è quindi tenuto il 13 Gennaio del 1129, pertanto la nascita dell'ordine,

spostata indietro di nove anni, va collocata tra il 14 Gennaio 1120 e il 13 Gennaio

1121. Seguendo i calcoli dello storico tedesco, spostiamo la donazione di Thierry

dal 1128 al 1129, e sapendo che anche la donazione è avvenuta nel nono anno

della nascita dell'ordine, possiamo concludere che l'arco temporale nel quale si

inserisce tale fondazione va dal 14 Gennaio 1120 al 13 Settembre 1120.12

Secondo Guglielmo di Tiro, dalla loro fondazione al concilio di Troyes per

nove anni i templari riuscirono a reclutare solo nove membri, vivendo uno stato di

estrema povertà che li obbligava ad indossare solo gli abiti che ricevevano in dono

da persone pie. L'immagine dei <<nove cavalieri per nove anni>> è molto

9 Ibidem p. 17.

10 Ibidem p. 17, nota n. 10.

11 R. HIESTAND, Kardinalbischof Matthaus von Albano, das Konsil von Troyes und die

Enstenbung des Templer ordens, in <<Zeitschrift fur Kirchengeschichte>> 99 (1988).12 DEMURGER, Vita e morte, p. 22.

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stereotipata e, come vedremo successivamente, poco affidabile. Di opinione

diversa è invece Michele il Siriano che ci narra di ben trenta templari, arruolati

dalla nascita dell'ordine al concilio.13

Guglielmo ci assicura che il re Baldovino II fu un convinto sostenitore del

nuovo ordine, tanto da inviare Ugo in Occidente per reclutare forze nuove per una

campagna contro Damasco. Il concilio di Troyes fu anticipato da una forte

campagna volta a sollecitare donazioni da parte dei nobili e ad attrarre novizi e

nuovi crociati per la causa militare. Per circa tre anni, dal 1127 al 1130, Ugo de

Payns, insieme ad altri cinque dei suoi cavalieri,14 viaggia e prende molti contatti

con i personaggi più importanti d'Europa. Si ferma nella Champagne, sua

probabile terra d'origine, nell'Angiò e nel Maine, dove stringe ottimi rapporti con

il conte Folco, futuro genero di Baldovino II, nel Pitou e in Normandia, In

Inghilterra e in Scozia, e prima di ritornare in Francia visiterà anche le Fiandre.

Nelle terre d'outremer, però, la vita non è iniziata sotto i migliori auspici.

Nel 1129 i templari combattono per la prima volta come soldati veri e propri ma

vengono sconfitti. L'esito dei combattimenti mette a dura prova l'animo dei

cavalieri, non meno delle critiche che sin da subito molti ambienti muovevano

contro di loro.

Contro queste accuse Ugo reagisce attaccando su due fronti: da un lato

invitando i suoi confratelli-cavalieri a purificarsi dai vizi, a perseguire il loro

obiettivo senza esitazioni, convinti della propria missione di difesa della

cristianità; dall'altro rivolgendosi ad un'autorevole personalità del mondo

ecclesiastico affinché lo aiuti a legittimare la causa e la missione del suo ordine.

In un manoscritto conservato a Nimes (Bibliotheque municipale, 37)15 un

certo Hugo Peccator rivolge una lettera indirizzata ai suoi fratelli (Christi

militibus) nella quale si fa riferimento alle critiche relative all'attività perniciosa,

qual è la loro professione militare, che non può portare alla salvezza. Hugo esorta

i templari a non dar credito a questi rimproveri perché astuzia dello spirito del

13 BARBER, La storia dei Templari, p. 19.

14 DEMURGER, Vita e morte, p. 287 nota n. 11.

15 Per un'analisi del contenuto di questo manoscritto vedi S. CERRINI, La rivoluzione dei

Templari. Una storia perduta del dodicesimo secolo, Milano, Mondolibri, 2009, cap. I.

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male, dubbi da respingere. In passato Hugo Peccator era stato identificato con il

teologo Ugo di San Vittore, ipotesi confermata dagli studi di Joseph Fleckenstein,

il quale aveva riconosciuto il teologo tramite le dotte conoscenze palesate

nell'ambito del diritto canonico. Nel suo libro La Rivoluzione dei templari,16 la

storica Simonetta Cerrini ipotizza, invece, che l'autore di questa lettera possa

essere lo stesso fondatore dell'ordine del Tempio, Ugo de Payns (magister Hugo

secondo i Padri del concilio di Troyes). Secondo la Cerrini è ipotizzabile che il

termine <<magister>> abbia tratto in inganno il copista del manoscritto, il quale

ha poi aggiunto sua sponte l'attributo <<de Sancto Victore>>,17 secondo un

processo che i filologi chiamano lectio facilior. Era indubbio, infatti, che all'epoca

il teologo Ugo di San Vittore avesse una fama e un'autorità maggiore rispetto a

quella dell'ancora sconosciuto Ugo de Payns. Per cui l'unico magister al quale lo

sventurato copista poteva far riferimento non poteva non essere che il teologo.

C'era però un'altra grande personalità a quel tempo, il cui ascendente né

Baldovino II né Ugo de Payns potevano sottovalutare, se volevano essere

riconosciuti facilmente sino alle più alte sfere della Chiesa. Quella personalità era

Bernardo, abate di Chiaravalle, teologo mistico e sicuramente la personalità

ecclesiastica più autorevole del suo tempo. L'abate aveva ben presente la difficile

situazione nella quale versava l'aristocrazia occidentale, ma sapeva anche quale

era la realtà che fratelli cristiani in Oriente stavano vivendo. Forse inizialmente,

Bernardo non aveva ben chiaro i piani di Ugo, ma la ferma volontà di riformare la

cavalleria cristianamente lo spinse ad appoggiare la causa del fondatore

dell'ordine. Per il suo ordine scrisse il De laude novae militiae, la cui datazione è

ancora incerta ma lo scopo e gli effetti che ha avuto sono ben chiari. Sul rapporto

tra il pensiero di Bernardo e la missione dei Templari ritorneremo più avanti.

Ritorniamo al concilio di Troyes.

2. Il riconoscimento ufficiale e le prime accuse

Il concilio di Troyes fu uno dei tanti che si tennero in quegli anni per fare il

punto sulla riforma della Chiesa dopo la fine della lotta per le investiture.

16 CERRINI, La rivoluzione dei Templari, pp. 27-30.

17 Ibidem p. 28, nota n. 42.

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Simonetta Cerrini ci offre un elenco dettagliato delle personalità che

parteciparono il concilio.18

Durante il concilio venne approvata la regola dell'ordine che in maniera

molto anomala non venne redatta dal fondatore dell'ordine. Chi fu quindi l'autore

della regola? In molti hanno pensato subito a Bernardo di Chiaravalle, ma non ci

sono fonti che possano attestarlo con chiarezza. Sappiamo che a redigere gli atti

del concilio fu un certo Giovanni Michaelensis, che ha <<meritato per grazia

divina di essere l'umile copista di questa pagina, secondo il comando del concilio

e del venerabile abate di Clairvaux Bernardo, a cui ciò era stato affidato come

dovere e come onore>>.19 La regola appartiene al genere degli atti del concilio e

quindi non poteva che essere il risultato dei dibattiti conciliari. La Cerrini

conclude affermando che <<la regola non ha dunque un solo autore, ma molti:

tutti quelli che hanno partecipato al concilio di Troyes hanno avuto un ruolo più o

meno importante nella redazione del testo della regola primitiva dell'ordine>>.20

Anche Demurger ritiene che Bernardo non sia l'autore della regola perché <<se

fosse stato san Bernardo il redattore della regola, i templari se ne sarebbero

certamente fatto un vanto>>.

Qualche anno dopo il concilio di Troyes arriva un altro importante

riconoscimento per il nuovo ordine. Bernardo da Chiaravalle scrive il <<De laude

de novae militiae>>.21 Il santo cistercense aveva provato a dare una legittimazione

teorica e teologica al connubio tra vita monastica e vita militare e alla possibilità

di commettere un omicidio senza incorrere nella punizione divina. La

rivoluzionaria soluzione dettata da Bernardo <<conobbe subito un certo successo

editoriale, soprattutto negli ambienti monastici e canonicali più innovatori>>,

scrive Simonetta Cerrini.22 Le forti parole di Bernardo descrivono la missione che

18 Ibidem pp. 70-84.

19 Ibidem p. 72.

20 Ibidem.

21 La datazione dell'opera è molto incerta. FRALE (2007) p. 35: 1135-1137; CERRINI

(2009) p. 185: 1128-1129; DEMURGER (2005) p. 288 nota n.11: 1130-1131; CARDINI (2007) p.

66: 1132-1136; BARBER (2005) p. 58: 1136.22 CERRINI, La rivoluzione dei Templari, p. 66.

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incombe sui cavalieri templari, contrapponendo la loro cavalleria (militia) a quella

secolare (malitia). I templari conducono <<un duplice combattimento, al

contempo contro la carne e contro gli spiriti maligni diffusi nell'aria.[...]. Il corpo

[del cavaliere] è ricoperto da un'armatura di ferro e l'anima da un'armatura di

fede>>.23 Indubbiamente, l'innovazione più forte del trattato di Bernardo è la

giustificazione teologica dell'uccisione dei nemici.

Egli scrive così:

<<Per altro, quando [un templare] uccide un malfattore, non deve essere

reputato un omicida, ma, come dire, un malicida, e cioè vindice di Cristo nei

confronti di coloro che compiono il male e difensore dei cristiani>>.24

La regola dell'ordine, la lettera di Hugo peccator (Christi militibus) e il De

laude novae militiae sono i tre testi fondamentali sui quali si fonda la teoria della

<<creatura>> di Ugo de Payns. Nel 1139 papa Innocenzo II concesse

ufficialmente molti benefici ai cavalieri protetti da S. Bernardo. Infatti venne

pubblicata la bolla Omne datum optimum, con la quale per la prima volta un testo

pontificio parla della missione dei Templari. Ai monaci-cavalieri veniva concessa

la completa autonomia dalle autorità ecclesiastiche, regolari e secolari, oltre a

numerosi privilegi economici che libereranno i Templari dalla tassazione feudale

e lanceranno la cavalleria verso una forte espansione territoriale.

Parallelamente alla loro larga diffusione in Occidente, i Templari ricevettero

molte accuse dai loro contemporanei. Il più attivo in questo senso fu l'arcivescovo

di Tiro e cancelliere del regno di Gerusalemme, Guglielmo. Uno dei pochi

scrittori colti e abili nati nella Siria cristiana, l'arcivescovo di Tiro si scagliò

fortemente contro l'ordine a causa dei privilegi del loro status. Il fatto di essere

prevenuto nei confronti dell'ordine non ne fa un loro affidabile cronista. Egli ci

offre molti aneddoti riguardo l'egocentrismo e la cupidigia dei Templari, per un

arco di tempo che va dalla loro nascita fino agli anni ottanta del XII secolo.25 Nella

23 DEMURGER, Vita e morte, p. 41.

24 Citato in CERRINI, La rivoluzione dei Templari, p. 69.

25 PARTNER, I Templari, p. 29.

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sua cronaca, Guglielmo critica le ricchezze dei templari e ama ricordare la loro

povertà originaria, non tollera la piena indipendenza dalle autorità ecclesiastiche,

ricordando che senza di queste i templari non avrebbero potuto vivere, date le loro

precarie condizioni iniziali (nove cavalieri per nove anni).

Alcune vicende narrate da Guglielmo vennero raccolte successivamente

anche da altri cronisti: Walter Map, scrittore inglese del XII secolo autore del De

nugis curialium (Facezie di cortigiani), e Matthew Paris, cronista del XIII secolo

di St. Albans autore della Chronica maior. L'inaffidabilità di alcuni cronisti ci

viene offerta proprio dalla testimonianza diretta di alcuni di essi. Matthew Paris,

molto attento ai vizi e ai difetti di ciascun ordine, autore delle peggiori critiche

addossate fino ad allora ai Templari alla fine della sua vita si accorse di essere

stato ingiusto nei confronti dei cavalieri e a margine delle sue considerazioni più

sfacciatamente improbabili annotò che il brano andava soppresso per l'offesa che

avrebbe potuto arrecare.26 Altre accuse provenivano direttamente dal papato, in

merito all'abuso del privilegio loro concesso di esenzione dal pagamento delle

decime. Fin dal Concilio Laterano del 1179 si condannò questo atteggiamento, ma

fu Innocenzo III a manifestare il più duro rimprovero all'ordine in una bolla datata

13 settembre 1207.27

Dopo alcuni anni di discredito, l'ipotesi dell'influenza del ribat musulmano

nella struttura degli ordini monastico-cavallereschi viene ripresa oggi su basi

differenti. Il ribat era un centro militare fortificato ma allo stesso tempo religioso,

posto ai confini del mondo musulmano. Chi vi entrava era consapevole dell'atto di

ascesi che il gihad (guerra santa) implicava. Si poteva prestare servizio solo

volontariamente e per un periodo determinato. Questi centri erano abbastanza

numerosi in Spagna.

3. La rete e la quotidianità templare

Nel 1120 re Baldovino consegnò la moschea di al-Aqsà a Ugo di Payns,

occupando lui stesso il nuovo palazzo reale, collocato accanto alla torre di David.

Davanti alla moschea si apre una spianata sulla quale sorge la Cupola della

26 Ibidem p. 31, nota n. 4.

27 Ibidem p. 34, nota n. 6.

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Roccia, divenuta proprietà dei canonici del Tempio del Signore (Templum

Domini), che ne avevano fatto una loro chiesa consacrata nel 1142.

Inizialmente il patrimonio dell'ordine constava essenzialmente delle

ricchezze dei primi cavalieri. Ugo cedette i suoi beni di Payns; Goffredo di Sant-

Omer concesse la sua dimora di Ypres, nelle Fiandre; Pagano di Montdidier diede

la sua signoria di Fontaine. Alcuni partecipanti del concilio di Troyes non furono

da meno, come ad esempio l'arcivescovo di Sens che donò loro due case, a Joigny

e a Coulaines. Fiandre, Piccardia, Borgogna e Champagne sono i luoghi in cui i

Templari iniziarono a creare i primi insediamenti, e ciò non ci deve stupire data

l'origine della gran parte dei fondatori. In Portogallo la prima donazione non

avviene prima del 1128, quando la contessa Teresa dona loro il castello di Soure.

Contemporaneamente si ebbe una <<prodigiosa proliferazione>> di donazioni in

Linguadoca e Provenza, il cui benefattore era un certo Ugo Rigaud. L'archivio dei

templari nella magione di Douzens, nell'Aude, riporta sedici donazioni effettuate

in quel piccolo territorio tra il 28 novembre 1129 e il 1134.28

Sin dagli inizi l'ordine fu organizzato su base provinciale, considerando

attentamente l'aspetto geopolitico. Tra il 1139 e il 1150 furono istituiti precettori

a Marmoutier, vicino Tours; ad Orleans, risalendo il corso della Loira; a Rodez,

nella contea di Tolosa; a Novillas, in Aragona; a Richerenches e Roaix, in

Provenza; a Palau, vicino Barcellona e a Braga in Portogallo. Ci sono segni

analoghi della presenza templare in Italia nei dintorni di Albenga, sulla costa

ligure (1143-45), a Siena (1148) e a Roma (1138).29 Le donazioni, però, non

riguardano soltanto uomini, case, castelli o appezzamenti di terreno. Nel 1141

Conan, duca di Bretagna, <<donò all'ordine l'isola di Lannia, un'entrata di 100

soldi proveniente dalle sue rendite nelle città di Nantes e un'area dove poter

costruire la magione.>>.30 Eleonora d'Aquitania, moglie di Luigi VII, creò la base

per l'importantissima magione templare di La Rochelle, porto in notevole

sviluppo. La regina donò anche alcuni mulini, edifici e consentì ai templari di

trasportare qualsiasi merce di loro proprietà attraverso i suoi domini

28 Ibidem p. 50, nota n. 6.

29 BARBER, La storia dei Templari, p. 32.

30 Ibidem p. 35.

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<<liberamente ed in piena sicurezza, senza dazi ed esazioni per via di terra o

d'acqua.>>.31

Tra le tante c'è una donazione dal carattere unico, che non può essere

paragonata a nessun'altra, data l'enormità della sua concessione. Nell'ottobre del

1131 re Alfonso I d'Aragona così scrive nel suo testamento:

<<Lascio dunque i miei eredi e successori dopo la mia morte il Sepolcro

del Signore che si trova a Gerusalemme e quanti lì rispettano e servono Dio

difendendone la causa, l'Ospedale del povero sito in Gerusalemme e il Tempio di

Salomone con i cavalieri che vigilano in quei luoghi per tutelare il nome della

cristianità. Ai tre concedo l'intero mio regno. [Concedo] inoltre la signoria che

esercito su tutte le terre del mi regno, sui chierici come sui laici, vescovi, abati,

canonici, monaci, notabili, cavalieri, borghesi, villici e mercanti, sopra uomini e

donne, il piccolo ed il grande, il ricco ed il povero, così come su ebrei e saraceni,

con quelle leggi che mio padre e io abbiamo finora rispettato e che si è tenuti a

rispettare>>.32

Sebbene fosse vero che Alfonso I non avesse eredi, è molto azzardato

affermare che le sue reali intenzioni coincidevano perfettamente con ciò che egli

stesso aveva scritto. Molti in passato avevano visto in questo documento la prova

della mancanza di senso politico da parte del sovrano oppure come <<indice di

una pronunciata tendenza all'utopia>>, come scrive Alain Demurger.33 In un

articolo del 1975, che ha scatenato una bella polemica con lo storico inglese

Forey, la storica Elena Lourie porta avanti un'interpretazione del tutto opposta a

quella che vuole re Alfonso un sovrano politicamente ingenuo. Riportiamo la sua

tesi.

Re Alfonso non ha eredi, forse perché sterile, però ha un fratello, Ramiro,

che è monaco, abate, vescovo eletto ma non è ancora ordinato prete. Alfonso

vorrebbe domandare al papa l'autorizzazione per far tornare il fratello allo stato

laicale per affidargli la corona, ma non è certo della collaborazione del pontefice.

31 Ibidem p. 37, nota n. 80.

32 Ibidem p. 39, nota n. 85

33 DEMURGER, Vita e morte, p. 51.

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Il regno d'Aragona è però vassallo della Santa Sede e, in mancanza di eredi, il

papa potrebbe facilmente insediarvi un sovrano di suo gradimento. La scelta a

questo punto cadrebbe sul sovrano di Castiglio e Leon, Alfonso VII, che ha anche

mire espansionistiche su tutta la Spagna cristiana. La designazione dei tre ordini

come eredi di Alfonso I è stata voluta appositamente per creare un forte

imbarazzo e notevoli problemi di carattere politico, risolvibili solo a lungo

termine, in maniera tale da rendere possibile l'allontanamento di Ramiro dal

convento, il suo matrimonio e la nascita di un erede.

In effetti le cose andarono realmente così: nel 1137 Ramiro divenne re e unì

l'Aragona e la Catalogna, lasciando poi la corona al conte Raimondo Berengario

IV. Il testamento restò lettera morta, ma ciò non nascose il fatto che esistesse

realmente, infatti i tre ordini rifiutarono volentieri di adempiere le precise volontà

di Alfonso in cambio di denaro. Il testo, però, può anche essere considerato come

la volontà del sovrano di voler inserire i tre ordini, Templari specialmente, nella

politica della reconquista. Le trattative furono condotte dal maestro degli

Ospitalieri. Ugo di Payns morì prima della fine di queste trattative e il suo

successore, Roberto di Craon, ebbe un notevole interesse per le vicende

spagnole.34

Per tutta la seconda metà del XII secolo continuarono le donazioni all'ordine

da parte delle famiglie reali di Spagna, nei regni di Aragona-Catalogna e Navarra,

e di Portogallo. Le donazioni avevano un duplice aspetto: da un lato, come si

legge in molti documenti, il donatore era molto preoccupato per la salvezza della

propria anima e, come condizione per la remissione dei peccati, concedeva

volentieri edifici o terreni; dall'altro vi era un aspetto più politico e riguardava la

volontà di contribuire all'insediamento di questi ordini nei propri territori per poter

portare avanti la campagna di riconquista cristiana della penisola. L'attaccamento

di questi sovrani all'ordine del Tempio è così grande che con molta riluttanza

all'epoca del processo obbedirono alle direttive del pontefice. Infatti dopo la

soppressione dei Templari, il re portoghese Diniz favorì la creazione di un nuovo

ordine, fondato in larga misura su proprietà e funzionari di origine templare.

34 Ibidem pp. 51-52.

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In origine il Tempio non si diede un ordine gerarchico: Ugo di Payns era il

maestro e gli altri era frati. Con il successivo sviluppo dell'ordine si decise di

andare oltre e sotto la guida del secondo maestro, Roberto di Craon,

l'organizzazione acquisì le sue caratteristiche più durature. Il templare, per un

semplice motivo pratico (cioè militare), non poteva che provenire dai ranghi

dell'aristocrazia militare, ma una volta entrato nell'ordine diveniva un frate a tutti

gli effetti, facendo fede ai tre voti di castità, povertà e obbedienza. L'ideale

templare pensato da san Bernardo e proposto durante il concilio del 1129 era

concepito in forma molto elitaria.

L'aspetto esteriore doveva essere curato per dare un'immagine di ordine e di

pulizia; armi e vestiti non dovevano essere minimamente decorati, così come non

doveva essere smodata la cura del proprio volto o dei propri capelli; era proibito

accettare bambini, come accadeva invece nell'ordine benedettino, poiché la

mentalità infantile e adolescenziale non si armonizzava con l'aspirazione

all'equilibrio interiore del cavaliere; si doveva mangiare tutti insieme, due volte al

giorno, e la carne era ammessa soltanto per tre giorni alla settimana; secondo

Demurger, fu Bernardo a indicare il colore degli abiti, facendo riferimento agli

ordini di Cluny e a Citeaux: ai soli cavalieri spettava l'abito bianco, mentre ai

coniugati, ai servi e ai protetti che facevano parte stabilmente della comunità

spettava l'abito nero; la consegna del mantello certifica l'entrata nell'ordine, perciò

la punizione maggiore che poteva spettare a un templare era la perdita del proprio

mantello; era proibito l'uso di dare la fratellanza templare alle donne, così come

era severamente vietato baciare persino le proprie parenti più strette; la regola,

però, prevedeva che, qualora il frate non riusciva a stare lontano dalle donne,

facesse almeno in modo di non farlo sapere agli altri fratelli; ai templari era

ridotta, ma non vietata, la partecipazione alla caccia, con forti restrizioni su ciò

che riguardava le intemperanze della voce e dei gesti, e l'utilizzo di armi

particolari; non si fa nessun riferimento al divieto di gareggiare in tornei che,

sebbene fosse un atteggiamento disprezzato da san Bernardo, risultava pur sempre

un buono strumento di addestramento in tempi di pace; l'educazione era anche

basata sul disprezzo per la propria vita che implicava la capacità di non

risparmiarsi durante lo scontro; ogni templare aveva il dovere di vigilare sui

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propri compagni; ogni slancio individualista era frenato; la venerazione per gli

anziani, il culto per i confratelli caduti e il rispetto per i malati erano presentati

come cardini dell'ideologia templare. Tutti questi precetti sono contenuti nella

regola dell'ordine.

Recentemente Simonetta Cerrini ha lavorato ad una nuova edizione critica

della regola, rispetto a quella di Gustav Schnurer del 1908, e ipotizza che il

prologo sia stato redatto da due diverse mani: inizialmente dallo stesso Bernardo,

successivamente da Giovanni Michaelensis, che lo ha completato nel 1130, dopo

la morte del patriarca Stefano e del papa Onorio II.35 Molti decenni dopo la bolla

di Innocenzo II del 1139, Omne datum optimum, la regola del Tempio venne

tradotta in francese in maniera non proprio letterale, intorno agli ultimi due

decenni del XII secolo. Le due versioni <<obbediscono a due logiche

differenti>>, come suggerisce Demurger.36 La versione latina impedisce ogni

contatto con gli scomunicati e dà al vescovo un ruolo attivo; la versione francese

rifiuta il ruolo attivo del vescovo nel reclutamento dei cavalieri per affidare al

maestro ogni responsabilità. La regola originaria scritta in latino constava di circa

70 norme relative alla vita religiosa e amministrativa. Solo successivamente

vennero fatte delle aggiunte tramite degli <<statuti>> chiamati retrais, redatti in

lingua d'oil, che regolavano la pratica liturgica, la vita militare e altri aspetti

dell'ordine come ad esempio l'ordine gerarchico.

L'ordine dei <<poveri cavalieri di Cristo>> possedeva una struttura

piramidale al cui vertice c'era il Maestro (verso la fine del Duecento veniva

chiamato anche Gran Maestro). La sua autorità era mitigata dal couvent,

un'<<adunata>> di templari scelti che fungeva da consiglio privato, che il Maestro

consultava sulle decisioni più importanti. Facevano parte di questo couvent un

gruppo di anziani templari, i veterani, e alcuni frati, ai quali il Maestro si sentiva

più legato per particolari rapporti di amicizia e di fiducia. Essi venivano chiamati

compagnons du mestre. Il Maestro insieme ai componenti del couvent e dello

Stato Maggiore formavano il Consiglio ristretto del Tempio. Chi erano i

componenti di questo Stato Maggiore? A loro spettavano le cariche più importanti

35 CERRINI, La rivoluzione dei Templari, pp. 85-90.

36 Ibidem p. 62.

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dell'ordine gerarchico, divise in vari gruppi a seconda della sfera di competenza.

Nel settore militare il controllo delle azioni spettava al Maresciallo e al Siniscalco;

sul piano logistico e amministrativo la carica principale era quella del

Comandante della Terra di Gerusalemme, seguita dal Comandante della città di

Gerusalemme; il settore patrimoniale era gestito dal Tesoriere, che in genere era

un sergente.

A mano a mano che l'ordine cresceva in possedimenti e ricchezze, si decise

di organizzare i territori in province, affidate a un Comandante o Precettore.

Queste erano divise a loro volta in balivie, affidate a balivi, che raccoglievano le

diverse commende di un territorio: era questa l'organizzazione a rete del territorio

templare.

Questa è la struttura che regola i dignitari dell'ordine, ma anche il popolo dei

templari è organizzato seguendo una struttura gerarchica. Al suo interno si ritrova

lo schema delle tre funzioni della società feudale: cavalieri e sergenti (bellatores),

cappellani (oratores) e frati lavoratori (laboratores). Inoltre, cavalieri, sergenti e

cappellani rispecchiano il ruolo di frati conventuali al contrario dei frati lavoratori,

seguendo la divisione cistercense di monaci da un lato e conversi dall'altro. Era

netta anche la differenza tra cavalieri e sergenti (chiamati anche serventi), che

rispecchiava la posizione nella scala sociale di provenienza. Anche i sergenti

possono combattere a cavallo, ma non in prima linea, hanno armi più leggere,

sono meno ben equipaggiati e hanno un addestramento diverso. Con loro sul

campo di battaglia si uniscono i milites ad terminum, i quali prestano servizio per

un periodo determinato (come accadeva nel ribat musulmano). Una volta finito il

<<contratto>>, i cavalieri lasciavano la metà del prezzo del loro cavallo. Come

suggerisce Demurger <<La posizione sociale nella vita del secolo determina

quindi il posto nella gerarchia del Tempio. L'ordine non è un mezzo di

promozione sociale>>.37

Per poter trasferire denaro in Oriente, i Templari svilupparono una notevole

abilità bancaria e finanziaria, giovandosi dell'esperienza dei mercanti, con i quali

entravano spesso in contatto. I Templari prestavano denaro a interessi moderati,

spesso dissimulati sotto la formula del pegno. Nel corso del Duecento i papi

37 Ibidem p. 77.

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affidarono all'ordine la custodia di tutto il denaro che arrivava alla Santa Sede con

lo scopo di finanziare la crociata.

A causa della loro posizione di frontiera tra due culture e istituzioni diverse,

i Templari riuscirono a sviluppare una grande capacità diplomatica. Per questo i

papi, i sovrani europei e gli imperatori bizantini utilizzarono i dignitari templari

per le loro missioni diplomatiche. Anche nei confronti del nemico musulmano

riuscirono ad adottare spesso un atteggiamento più diplomatico che strettamente

militare. Questa loro capacità di dialogo, resa possibile solo grazie ad una

sviluppata elasticità mentale, sarà un facile strumento utilizzato dagli uomini di

Filippo IV per infangare l'immagine dei crucesignati.

4. Ascesa e caduta del regno d'Outremer

Nel 1144 il governatore di Mosul, l'atabeg 'Imad ad-Din Zangi, attaccò la

contea di Edessa e ne conquistò la capitale. L'eco di questa disfatta, giunto in

Occidente, alimentò la volontà del nuovo papa per una nuova crociata. Nel 1147

dopo aver attraversato l'impero bizantino, l'esercito di crociati più grande che

l'Occidente abbia mai mosso verso oriente si trovò in forti difficoltà dopo aver

subito forti perdite ad Antiochia. L'espansionismo messo in atto dal governatore di

Mosul e da suo figlio, Nur ad-Din, preoccupava anche l'emiro di Damasco, che a

questo punto vedeva di buon occhio un'alleanza con i cristiani in funzione anti-

islamica. Ma l'assemblea dei grandi capi crociati avvenuta ad Acri nel giugno del

1148, mossa da interessi personali, decise di attaccare Damasco e di impossessarsi

di tutte le sue ricchezze. Naturalmente, l'emiro di Damasco si avvicinò a Nur ad-

Din dopo l'assedio cristiano, andando a rinforzare il fronte anti-cristiano e

segnando il fallimento della spedizione dei crociati.

Dopo la seconda spedizione dei crociati la situazione politica dei regni che

circondavano l'Outremer cristiana non presentava una forte unità. L'Egitto

fatimida era diventato un regno molto corrotto al suo interno, tanto da indurre uno

dei generali di Nur ad-Din, Shirkuh, ad intraprendere una sorta di crociata interna

per riportare il Cairo sotto la giuda dell'emiro di Baghdad. Nel frattempo anche il

re di Gerusalemme, Amalrico, stava progettando di attaccare l'Egitto, mossa che

preoccupò non poco il Cairo che subito provò a riavvicinarsi a Damasco. Da

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questa alleanza trasse forti vantaggi il nipote di Shirkuh, Saladino, che nel giugno

1183 dopo diverse campagne poté rientrare a Damasco con in mano le immense

ricchezze dell'Egitto. Il nuovo sovrano incontrò subito l'appoggio del califfo di

Baghdad, del sultano di Anatolia e degli altri principi islamici.

Contemporaneamente la corona di Gerusalemme si trovava fortemente indebolita

dopo la morte del giovane re Baldovino IV (1161-1185) e del nipote, suo

successore, Baldovino V (1177-1186). Mentre nel regno ci si scontrava duramente

su chi avrebbe dovuto prendere la corona, Saladino marciava indisturbato in

direzione di Gerusalemme. Nel luglio del 1187 le truppe del sultano si

accamparono nel villaggio di Hattin e furono subito raggiunte dalle truppe

cristiane, accampate su una collina con due cime, soprannominata <<i Corni>>. I

soldati musulmani, abituati alla guerriglia in quei territori irregolari, riuscirono ad

accerchiare i cristiani e centinai di Templari e Ospitalieri caddero in quella che è

stata la più grave sconfitta dei crociati in Terra Santa. Il 20 ottobre del 1187, dopo

meno di un secolo dalla vittoriosa conclusione della prima crociata, Gerusalemme

tornò in mano islamica. La clemenza del sultano nei confronti della popolazione

di Gerusalemme non venne riservata anche ai cavalieri del Tempio e

dell'Ospedale, che subirono violenze di inaudita ferocia.

Questa epocale disfatta rappresentò per i due ordini un evento che aumentò

l'insicurezza e fece abbassare notevolmente il morale di chi era partito

volontariamente per difendere e curare i pellegrini cristiani, e che solo

successivamente si era ritrovato con le armi in mano a dar mano forte alla causa

crociata.

Fondamentale per la ripresa dell'ordine furono gli anni del pontificato di

Innocenzo III (1198-1216), che fece delle casseforti templari il luogo più sicuro

nel quale far convergere tutto il denaro che arrivava a Roma per la causa crociata.

Inoltre, rese meno elitaria la procedura per l'accesso al Tempio, in maniera tale da

ampliare le forze destinate a difendere Outremer. Fu probabilmente sotto il

pontificato di Innocenzo III, inoltre, che venne redatta la traduzione francese della

regola, che modificava i limiti imposti nella regola latina per quanto riguarda

l'avvicinamento dei templari agli scomunicati.

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La terza crociata, che nacque dalla voglia di rivalsa dopo la perdita di

Gerusalemme, fu una vera e propria parata dei sovrani europei. Alla spedizione,

caldeggiata nella bolla papale di Gregorio VIII Audita tremendi, vi parteciparono

il sovrano inglese Riccardo Cuor di Leone, quello francese Filippo II Augusto e

l'imperatore Federico I Barbarossa. Quest'ultimo morì in Anatolia durante il

viaggio del 1090 in circostanze sconosciute, che l'abile penna di Umberto Eco ha

reso molto più misteriose di quanto non lo siano state realmente.38 L'unico sovrano

ad ottenere un risultato utile fu il re inglese che riconquistò la città costiera di

Acri, divenuta nuova capitale del regno, e strappò ai bizantini l'isola di Cipro. Nel

giudizio che ne dà Malcolm Barber, <<avviata come tentativo di limitare i danni,

la Terza Crociata, aveva conseguito risultati superiori a quelli di ogni altra

spedizione compiuta dalla fine dell'undicesimo secolo, e alla morte di Saladino nel

1193, cui seguì una lotta fra gli ayubiti, la sopravvivenza degli insediamenti

continentali era assicurata per lo meno nell'immediato futuro>>.39

Nell'estate del 1202, bandito un nuovo tentativo di recuperare Gerusalemme,

i crociati si riunirono a Venezia, ma il loro numero fu molto inferiore a quello

necessario per far fronte agli islamici. Gli interessi economici, in primo luogo dei

veneziani, risaltarono subito agli occhi dei crociati, che trasformarono la quarta

crociata in un vero e proprio assedio non ai danni dei musulmani e degli infedeli,

ma degli stessi cristiani d'Oriente. Costantinopoli venne attaccata e derubata, e

l'Impero Romano d'Oriente venne ridimensionato al suo interno. Il nuovo

imperatore fu Baldovino IX di Fiandra di sangue francese, dinastia che mantenne

il trono dal 1204 al 1261. Inizialmente il papa scomunicò i crociati per l'assedio di

Zara, salvo poi ritirare la scomunica a tutti tranne che ai veneziani, ritenuti i veri

responsabili. Nonostante la crociata si sia sviluppata in modalità diverse dai

progetti papali, Innocenzo riconobbe senza troppa ostilità in nuovo sovrano

dell'Impero latino, con la speranza di porre fine allo scisma e di diffondere il rito

latino nelle terre orientali.

Se la crociata del 1217-21, indirizzata verso l'Egitto, si risolse con un nulla

di fatto, quella del 1228 (la sesta) vide Federico II portare qualche buon risultato,

38 U. ECO, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000.

39 BARBER, La storia dei Templari, p. 143.

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senza dover ricorrere all'impegno militare. Infatti, in accordo con il sultano

d'Egitto al-Kamil riuscì ad ottenere una tregua decennale e ad <<affittare>> una

Città Santa smantellata e indifendibile, lasciando peraltro piena libertà d'accesso

alla città ai musulmani. Federico si incoronò re di Gerusalemme, senza

preoccuparsi che la sua figura fosse accettata dalla Chiesa e dagli ordini militari. I

rapporti tra Federico e i Templari non furono mai eccelsi: i Templari lo

accusavano di scarso interesse per la difesa dei territori sacri; Federico rispondeva

accusandoli di fanatismo.

Nel 1239 partì una nuova missione per cercare di riconquistare

Gerusalemme. Sia il re di Navarra, Tebaldo I, che il fratello di re Enrico III

d'Inghilterra, Riccardo di Cornovaglia, cercarono la via diplomatica per accedere a

Gerusalemme, proprio come aveva fatto Federico un decennio prima. Gli sforzi

vennero vanificati dalla dura sconfitta subita ad opera dei turchi al servizio del

sultano d'Egitto presso La Forbie (1244).

Nel concilio ecumenico di Lione del 1245 papa Innocenzo IV mantenne la

linea politica dei predecessori e incoraggiò una nuova crociata. L'impegno venne

raccolto dal volenteroso e giovane re di Francia, Luigi IX, di indole ascetica e

incline al misticismo. Venne canonizzato nel 1297 grazie ad un'abile ma inutile

mossa politica di Bonifacio VIII. La settima crociata (1248) vide il sovrano

francese in prima linea, ma l'attacco portato ai danni degli egiziani finì in un nulla

di fatto. Lo stesso Luigi venne catturato e rilasciato dopo il pagamento di un

riscatto nel 1254. Negli anni Sessanta il carismatico sultano Baibars ridusse i

territori d'Outremer ad un minuscolo pezzo di terra attorno ad Acri. Nel 1266

cadde anche il principato di Antiochia, primo regno ad essere stato fondato in

Terrasanta. L'ottava crociata (1270) vide ancora Luigi il Santo alla guida dei

crociati, insieme ai figli del re Giacomo I d'Aragona e al re di Sicilia Carlo I

d'Angiò, fratello del re francese. La spedizione finì con la tragica morte del

sovrano francese il 25 agosto del 1270, a causa di un'epidemia scoppiata dopo lo

sbarco sulle coste tunisine.

La progressiva perdita dei regni cristiani d'Oriente e l'inefficacia delle truppe

templari ed ospedaliere subì una vasta eco in tutto l'Occidente. I due ordini

vennero messi fortemente sotto accusa, accusati di ozio, nato dalla continua

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inattività bellica. In un concilio tenutosi a Lione nel 1274 per la prima volta si

avanzò l'ipotesi di fondere i due ordini in un unico organo monastico-cavalleresco.

La proposta divenne subito un affare internazionale, ma i due Maestri rifiutarono

subito tale progetto. Della stessa opinione era anche il re d'Aragona Giacomo I

che, dovendo preoccuparsi già dei Saraceni nel sud della penisola iberica, vedeva

nella nascita di un unico ordine cavalleresco, che riuniva tutte le proprietà dei due

ordini esistenti, un'ulteriore minaccia per il proprio regno.

Il sogno crociato fallì miseramente nel 1291 con la caduta dell'ultimo

baluardo d'Outremer, la città costiera di Acri. Il Gran Maestro del Tempio

Guillaume Beaujeu morì eroicamente sul campo di battaglia, nel tentativo

disperato di salvare la città. <<Ormai era tutto perduto>>, scrive il Templare di

Tiro, <<e ai cristiani non rimaneva più nemmeno un palmo di terra in Siria>>.40

5. La caduta del Tempio

Dopo la perdita di Acri i Templari e gli Ospitalieri si rifugiarono a Cipro,

facendone il loro quartier generale, data la sua posizione strategica di avamposto

sui territori siriano-palestinesi. In Occidente, però, si faceva sempre più pressante

la discussione sulla fusione dei due maggiori ordini. Papa Niccolò IV nel concilio

di Arles del 1292 decretò l'unione dei due ordini, ma la sua morte prematura

insieme alle molte difficoltà materiali resero inattuata la disposizione.

Nel 1294 salì al soglio pontificio Benedetto Caetani, eletto col nome di Bonifacio

VIII, dopo il <<gran rifiuto>> di Celestino V, il <<papa angelico>>, al secolo

Pietro Morrone.

Bonifacio fu costantemente sotto il bersaglio delle critiche, sia di esponenti

laici come Dante Alighieri, sia di esponenti del clero come Jacopone da Todi e

come i cardinali della famiglia Colonna, Pietro e Giacomo Colonna. Ma l'ostilità

maggiore fu quella di Filippo IV <<il Bello>> re di Francia, che si considerava

svincolato e indipendente da ogni altro potere: un superiorem non recognoscens.41

La visione teocratica di papa Caetani non si adattava assolutamente alla

visione centralista ed autonomista di Filippo IV, per questo Bonifacio VIII andava

40 Ibidem p. 208, nota n. 111.

41 FRALE, I Templari, p. 111.

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<<eliminato>>. Bonifacio venne perciò presentato dal Consiglio di Francia come

un usurpatore del trono di Pietro, ma anche come un <<papa-stregone>>,

posseduto da un demonio particolare che invocava per interrogarlo e dal quale

riceveva la capacità di non sbagliare mai.42 La risposta di Bonifacio arrivò nel

1303 con la bolla Super Petri solio, che portava la scomunica contro il re. Tale

bolla, però, non fu mai pubblicata. Infatti, il 7 settembre, il giorno prima della data

della pubblicazione, una spedizione di soldati francesi guidata da Giullaume

Nogaret, il più abile dei giuristi reali, in accordo con una banda di uomini guidata

da Sciarra Colonna giunse ad Anagni, dove si trovava il pontefice, col tentativo di

imprigionarlo e condurlo a Parigi dove sarebbe stato deposto e dichiarato eretico.

Nel palazzo papale la situazione sembrò precipitare: Sciarra Colonna secondo la

leggenda schiaffeggiò il pontefice, Nogaret temeva che Bonifacio non uscisse

vivo da quelle stanze e quindi la sua missione sarebbe fallita, gli uomini dei

Colonna saccheggiavano la città dovunque mettessero piede. Ad aiutare il papa fu

una sommossa del popolo che, stanco dei continui saccheggi, liberò il pontefice e

lo riportò a Roma. La missione del Nogaret fallì, ma Benedetto Caetani non

sopravvisse oltre l'11 ottobre del 1303. Il <<papa-stregone>> era morto e il re

poteva esultare.

Il 27 ottobre 1303 fu eletto papa Benedetto XI, al secolo Niccolò Boccasini,

Maestro generale dell'ordine dei Domenicani, nominato cardinale da Bonifacio nel

1298 e a lui sempre vicino. Per questo ereditò anche i suoi nemici, i Colonna e la

Corona francese. Il pontificato di Benedetto XI si concluse in meno di un anno,

quando il 7 luglio del 1304 morì per dissenteria provocata dal consumo di fichi.

Sulla sua morte, com'era facilmente ipotizzabile, sono state anche fatte voci di un

possibile avvelenamento voluto dai Colonna e dal Nogaret. La disputa sul

successore venne risolta con l'elezione del francese Bertrand de Got, arcivescovo

di Bordeaux, la cui personalità molto discussa sarà importante per gli eventi che

vedranno la caduta del Tempio.

Nel secondo Duecento, quando la crisi dei regni cristiani d'oriente era già su

un binario avanzato, l'ordine del Tempio si riorganizzò al proprio interno,

valorizzando sempre di più il settore finanziario. Fu così che, insieme all'attività di

42 FRALE, I Templari, p. 115.

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milites, i templari divennero abilissimi banchieri. Un'importanza centrale

l'assunsero anche alcune cariche quali quella di Tesoriere centrale,

l'amministratore che risiedeva nella fortezza della Torre del Tempio di Parigi e

aveva un ruolo centrale nella finanza del regno francese, e il Recettore della

Champagne, che faceva fruttare le imposte regie di quella ricchissima contea.

La Cronaca del Templare di Tiro ci narra che agli inizi del 1307 il Gran

Maestro Jacques de Molay, chiedendo di vedere i libri contabili custoditi dal

tesoriere, scoprì un prestito di circa 3.000 fiorini d'oro in favore di Filippo IV,

senza che egli ne fosse mai venuto a conoscenza. Adirato con il tesoriere, Molay

espulse il frate dall'ordine e a nulla valse l'intermediazione del re per far

recuperare l'abito al cavaliere. Alla pressione del papa, però, Molay non poteva

tirarsi indietro e così Jean de la Tour poté recuperare il suo posto come Tesoriere

centrale. Il cronista usa parole molto dure nei confronti del Gran Maestro e

attribuisce a lui tutte le colpe per la frattura con il papato e con la corona francese,

sebbene ogni suo atto risponda perfettamente alla normativa templare.

Lo storico inglese Malcolm Barber ha ben evidenziato43 come l'intero regno

di Filippo IV fu gravato da continue crisi finanziarie con una forte punta nel 1306,

che scatenò una rivolta a Parigi e costrinse il re a rifugiarsi nel Tempio e a

chiedere un sussidio economico all'ordine, senza preoccuparsi di far sapere nulla

al Gran Maestro. La rottura fu inevitabile quando Filippo capì dall'ostilità di

Molay che non poteva attingere liberamente dalle casse dl Tempio ogni qualvolta

ne aveva bisogno, sopratutto in periodi di forte crisi come quello che stava

attraversando agli inizi del XIV secolo.

Per quanto riguarda l'elezione al soglio pontificio di Clemente V esiste un

curioso resoconto tramandato da Giovanni Villani nella sua Cronica.44 Per

superare i contrasti tra i fedeli della politica di Bonifacio VIII e i fedeli della

corona francese, dopo la morte di Benedetto XI venne compilata una lista di tre

nominativi, composta da personaggi non italiani graditi alla corona francese. Tale

lista sarebbe dovuta finire nelle mani di Filippo il Bello ad opera dei cardinali

43 EAD., L'ultima battaglia dei Templari. Dal codice ombra d'obbedienza militare alla

costruzione del processo per eresia, Roma, Viella, 2007, p. 56, nota n. 50.44 Ibidem p. 59, nota n. 55.

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francesi. La lista fu arricchita di diverse note sulla figura di Bertrand de Got,

arcivescovo di Bordeaux. Il sovrano volle subito incontrare in segreto

l'arcivescovo e fissò un appuntamento in un bosco della zona della Saintonge nel

maggio del 1305. Filippo avrebbe promesso il suo appoggio affinché Bertrand

divenisse papa a patto di ricevere cinque favori e una <<condizione particolare>>

che il futuro pontefice avrebbe dovuto concedere al re.45 Sebbene non si ha la

certezza delle fonti circa il luogo preciso dell'incontro, dal registro delle visite

pastorali dell'arcivescovado di Bordeaux e dalla deposizione del sergente Jean de

Taillefer46 siamo portati a concludere che un incontro tra Filippo e Bertrand ci sia

effettivamente stato, prima che quest'ultimo divenisse pontefice. Esiste anche un

carteggio segreto47 tra Clemente V e Filippo IV negli anni immediatamente

precedenti all'arresto dei Templari, nei quali si fa riferimento a <<questioni

strettamente riguardanti la cristianità>>. Non è del tutto da escludere, come

suggerisce la Frale, che suddette <<questioni>> siano relative alla volontà di

Filippo di sopprimere l'Ordine dei Templari.

Dal carteggio tra il papa e il sovrano si nota come il primo sia più propenso

per una linea di dialogo, contrariamente alla linea dura del secondo. È inesatto

però pensare che Clemente V sia completamente fedele a Filippo IV, come una

sorta di burattino che non vuole opporsi a chi gli ha concesso la possibilità di

assumere il ruolo di pontefice.

Il Gran Maestro, venuto a conoscenza delle diffamazioni contro il suo

ordine che Filippo stava diffondendo in Europa e nella Chiesa, chiese subito al

pontefice di aprire un'inchiesta ecclesiastica sullo stato del suo ordine. Clemente

V aveva, inoltre, chiesto a Filippo di fornirgli prove certe delle accuse che stava

lanciando nei confronti dell'ordine. Il sovrano francese non si lascia sfuggire

l'opportunità di dimostrare le sue accuse, e per far ciò utilizza un uomo dell'ordine

che aveva diverse ragioni per diffamare Molay: la seconda carica più importante

dell'ordine, il Visitatore Perraud. Barbara Frale parla di tradimento di quest'uomo

nei confronti di Molay e dell'intero ordine, asserendo che Perraud, in un incontro

45 Ibidem p. 59.

46 Ibidem p. 60, nota n. 57.

47 Ibidem p. 60, nota n. 60.

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segreto con il papa, abbia confessato la strana procedura che prevedeva il

rinnegamento del Cristo e l'oltraggio contro la croce.48 Filippo, probabilmente,

spinse il Visitatore a confessare questi crimini al papa, auspicando un cambio al

vertice dell'ordine, una sostituzione di Molay con lo stesso Perraud, più propenso

a seguire le direttive politiche di Filippo.

All'alba del 13 ottobre del 1307 un contingente di militari armati arrestò tutti

i membri dell'ordine templare della magione del Tempio di Parigi.

Contemporaneamente in tutto il territorio francese gli ufficiali del sovrano

imprigionarono i frati delle commende. Filippo e i suoi consiglieri si erano mossi

privatamente, senza nessun accordo con il papa, sebbene fosse nota la sua volontà

di procedere con un'inchiesta pontificia. Il re aveva affidato il compito di

procedere con le indagini all'inquisitore di Francia, il domenicano Guillaume de

Paris. Il pontefice, però, colto alla sprovvista, non aveva nessuna intenzione di

lasciare all'Inquisizione il compito di interrogare i Templari, ma voleva svolgere

in piena autonomia, consapevole della propria autorità, l'indagine che il Gran

Maestro in persona gli aveva chiesto. Inizia così una lunga opposizione tra la

direttive del sovrano e quelle del pontefice, subita a caro prezzo dai frati

dell'ordine.

Riassumiamo in alcuni punti le accuse che vennero mosse all'ordine del

Tempio:

1. i Templari rinnegano Gesù Cristo, falso profeta, morto sulla croce

non per riscattare l'umanità ma per le sue colpe; sputano e calpestano la

croce, urinandovi sopra durante le cerimonie;

2. non credono ai sacramenti e i sacerdoti templari dimenticano le

formule di consacrazione durante la messa;

3. in sostituzione del Salvatore adorano strani idoli, come gatti o teste

a tre facce;

4. i dignitari laici dell'ordine assolvono i peccati dei confratelli;

5. esercitano pratiche oscene e omosessualità;

48 Ibidem pp. 77-79.

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6. si riuniscono in segreto di notte, punendo anche con la morte chi

faceva rivelazioni sui capitoli tenuti.

Filippo si servì di due uomini esperti ed astuti per abbattere il Tempio: il

guardasigilli Guillaume de Nogaret e l'inquisitore di Tolosa Bernard Guy. Il primo

lavorò sulla normativa dell'ordine per trovarne deficienze e punti deboli, il

secondo filtrò la realtà attraverso le maglie dell'immaginario comune. La storica

Barbara Frale definisce la tecnica con la quale procedeva Nogaret con il termine

di <<mezza bugia>>,49 che faceva leva sull'ignoranza dei frati su alcuni punti

della regola.

L'accusa principale, però, portata dagli uomini di Filippo IV era quella

relativa all'ingresso nell'ordine. Leggiamo quanto venne scritto dall'accusa:

<<Coloro che sono ricevuti chiedono innanzitutto che gli vengano concessi

il pane e l'acqua dell'ordine; poi il commendatore, oppure il maestro che li riceve, li

conduce dietro l'altare, nella sacrestia o in un altro luogo in privato, e lì, senza che

alcuno lo sappia, gli mostra la croce e l'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo: gli

impone di rinnegare il profeta [...] per tre volte, e di sputare per tre volte sulla croce;

poi gli ordina di spogliarsi di tutte le sue vesti; colui che lo ha accolto nell'ordine lo

bacia sulla parte finale della schiena, sotto la cintola delle brache, poi sull'ombelico

ed infine in bocca, e gli dice che se uno dei confratelli volesse congiungersi a lui

carnalmente dovrà sopportarlo, poiché è tenuto a questo ed è suo dovere farlo

secondo gli statuti dell'ordine [...]>>.50

La Frale sostiene che <<gli atti illeciti imputati ai Templari non

costituiscono il nucleo di una cerimonia d'ingresso blasfema ma sono piuttosto

degli intrusi che si vanno a giustapporre, o meglio ad annidare, alla fine di un rito

tradizionale e perfettamente "lecito" attestato dalla normativa scritta>>.51 La

finalità dei gesti è quella di mettere alla prova il nuovo templare, che era stato

avvisato delle durezze che l'aspettavano, poiché aveva giurato di diventare

49 Ibidem p. 213.

50 Ibidem p. 170.

51 Ibidem p. 174.

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schiavo e servo del Tempio. Qual era l'origine di questo codice d'obbedienza

militare o <<codice ombra>> (come lo chiama la Frale) e quando esso penetrò per

la prima volta nel cerimoniale d'ingresso non possiamo accertarlo, tuttavia gli

studi che la dottoressa Frale sta conducendo sembrano portare nuovi soddisfacenti

risultati.52

Per molto tempo, erroneamente, si è pensato alla figura di Clemente V come

un papa incapace di agire autonomamente e per questo strettamente legato alle

politiche di Filippo il Bello. Si è anche pensato che Clemente fosse pienamente

d'accordo col sovrano per porre fine all'Ordine dei Templari. Niente di più

inesatto. La strategia di Clemente fu quella di temporeggiare, senza mostrarsi

particolarmente ostile nei confronti del re francese, onde evitare ulteriori colpi di

mano come quello dell'arresto immediati di tutti i templari. La sua strategia era

astuta, ma più astuto di lui fu Filippo, che lo mise di fronte ad una dura scelta:

salvare i Templari o salvare la Chiesa.

Nel gennaio del 1308, Clemente emanò una bolla, nella quale sospendeva i

poteri delegati di Guillaume de Paris e dell'intero Tribunale di Francia, motivata

dalle gravi irregolarità procedurali nelle inquisizioni sui templari.53 Finalmente,

alla fine del giugno 1308 il papa poté aprire la sua inchiesta sul Tempio

direttamente in Curia Romana, ovvero nella sede del Sacro Collegio che con

Clemente si era trasferita a Poitiers. Tra il 17 e il 20 agosto 1308,54 con le due

bolle Faciens misericordiam (destinata ai vescovi) e Regnans in coeli (destinata ai

sovrani), avviene anche l'assoluzione per i maggiori dignitari del Tempio. La

pergamena contenente l'assoluzione è stata scoperta nel 2001 da Barbara Frale

presso l'Archivio Segreto Vaticano e testimonia che l'inchiesta, più che un atto

giudiziario vero e proprio, <<sembra il frutto di una negoziazione politica diretta

dal pontefice e finalizzata a creare i presupposti giuridici per procedere alla

52 Ibidem p. 192, nota n. 90.

53 Ibidem p. 104, nota n. 14.

54 Per approfondimenti sul problema della datazione delle due bolle vedi FRALE, Il

Papato e il processo, pp. 144-156.

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riforma dell'ordine templare, in un momento storico in cui Clemente V credeva

ancora possibile tutelarne la sopravvivenza.>>.55

La volontà del papa di redigere un nuovo statuto per l'ordine sembra, però,

svanire nell'agosto del 1309.56 Cosa portò a questo ripensamento? Già nel luglio

del 1308, gli avvocati regi incalzavano la Curia per ottenere la damnatio

memoriae di Bonifacio VIII. Clemente non poteva sottrarsi al baratto di Filippo,

perché se l'illegittimità dell'elezione di Bonifacio VIII fosse stata dichiarata, tutti

gli atti successivi alla sua elezione erano da considerarsi illegittimi, tra i quali

l'elezione stessa di Clemente V.

Il concilio di Vienne, che doveva esprimersi sulla sorte dell'ordine dei

Templari, si aprì il 16 ottobre 1311 e il 22 marzo 1312 Clemente V promulgò la

bolla Vox in excelso, nella quale si dichiarava che il Tempio non poteva essere

condannato per via canonica dalla Chiesa ma poteva essere solo sciolto a causa

delle colpe di alcuni suoi membri. I dignitari del Tempio, invece, dovevano essere

giudicati da una speciale commissione di nomina pontificia, presieduta

dall'arcivescovo di Sens. Il Gran Maestro Jacques de Molay e il Precettore di

Normandia Geoffroy de Charny proclamarono l'innocenza dell'ordine, lasciando

ancora una volta interdetti i cardinali che sospesero il concilio. Filippo IV, irritato

da quel gesto, strappò i due templari al concilio e li condusse quello stesso giorno

su un'isoletta della Senna, dove furono messi al rogo all'insaputa del pontefice.57

Dopo aver subito per anni i ricatti di Filippo il Bello e gli abusi del suo

potere, Clemente V riuscì ad imporre fermamente la propria volontà nella bolla

Ad Providam, nella quale trasferiva le proprietà dei Templari agli Ospitalieri e

non alla corona francese, contrariamente ai desideri del re.58

Malgrado la triste sorte dell'ordine, causata dalla cupidigia di un sovrano,

non ostacolata efficacemente da un pontefice stretto dalla morsa del ricatto, va

sottolineato l'aspetto <<rivoluzionario>> dei Templari. Essi non erano né monaci

né canonici, però riuscirono ad unire due dei tre ordini della società medievale

55 FRALE, Il Papato e il processo, p. 7.

56 Ibidem p. 275, nota n. 20.

57 Ibidem p. 293.

58 BARBER, La storia dei Templari, p. 349.

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(oratores e bellatores), aspirando ad una <<via laica alla santità>>,59 mantenendo

un'autonomia rispetto al clero. Frati secondo una regola <<antiascetica>> e

cavalieri secondo una regola <<antieroica>>60 hanno riformato la moralità

cavalleresca e le aspirazioni religiose, proponendo una loro fusione in un diverso

modello di società, <<esportabile>> magari in un nuovo contesto cristiano, quale

poteva essere Outremer. Abili nel confrontarsi diplomaticamente con i sovrani di

tutta Europa, cristiani e musulmani, vengono considerati dalla Cerrini <<i

precursori realistici di una via del dialogo e della convivenza>>,61 piuttosto che il

simbolo dello scontro tra civiltà e religione cristiana e musulmana tra XII e XIV

secolo.

59 CERRINI, La rivoluzione dei Templari, p. 177.

60 Ibidem.

61 Ibidem p. 179.

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CAPITOLO SECONDO

Massoneria, leggende e verità occulte a prezzi stracciati.

1. <<I Templari c'entrano sempre>>

Nonostante la sospensione dell'ordine avvenuta nel 1312 con la bolla papale

Vox in excelso, il fascino dei Templari non ha mai smesso di incantare uomini e

donne negli ultimi seicento anni. Il mondo rinascimentale, distante ormai due

secoli dalla caduta dei regni d'Outremer, guardò con molto interesse il mondo dei

cavalieri, delle crociate e della contrapposizione tra Occidente e Oriente. Ne è una

testimonianza la produzione letteraria nella penisola italiana con il Morgante di

Luigi Pulci, l'Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, l'Orlando Furioso di

Ludovico Ariosto e la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso.

All'interno del mondo cavalleresco e crociato non esiste nessun ordine

monastico-militare che abbia suscitato tanta curiosità come l'Ordine dei Templari.

È facile ipotizzare che il <<successo>>, soprattutto editoriale, dei cavalieri di Ugo

de Payns sia dovuto più alla triste fine dell'ordine che alla sua nascita e alla sua

storia. Nell'ultimo decennio è tornato di moda scrivere libri, saggi, trasmissioni

televisive che raccontassero dei vari miti che circolano intorno ai Templari: il

mistero del ricco tesoro scomparso, la custodia del Santo Graal e delle Sacre

Reliquie, il rapporto con l'esoterismo e i Catari, la magia templare, l'alchimia e le

conoscenze mistiche. Tutto ciò prende il nome di <<Templarismo>>. Moltissimi

autori, provenienti dai più diversi settori della cultura, si sono affannati nel

dimostrare la veridicità di tutte queste leggende, portando avanti improbabili

prove storiche pur di dimostrare <<verità>>, che non sono neanche lontanamente

imparentate con la Storia. È abbastanza scontato biasimare chi crede di poter

rivelare all'umanità verità occulte, esoteriche e <<pericolose>>, rimaste nascoste

per diversi secoli, attraverso libri o romanzi venduti sul mercato a poche decine di

euro. In questa sede ci interessa capire quali siano le ragioni per le quali queste

<<verità>> trovano un terreno fertile ancora oggi e da dove esse siano nate. Marc

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Bloch affermava che: <<constatare l'inganno non basta. Occorre anche svelarne i

motivi. Non fosse altro che per scoprirlo meglio. Finché potrà sussistere un

dubbio sulle origini, rimarrà in esso qualcosa di ribelle all'analisi; e quindi di

provato solo a metà. Soprattutto, una menzogna, in quanto tale, è, a suo modo, una

testimonianza.>>.62

Già nel Trecento, quando la notizia dello scioglimento dell'ordine divenne di

dominio pubblico, si formarono due schiere di critici: da un lato c'era chi

sosteneva la colpevolezza dei frati e la giusta condotta del sovrano francese,

dall'altro c'era chi vedeva dietro l'attacco di Filippo il Bello la volontà di

soddisfare la propria cupidigia incamerando i ricchi beni dei Templari. Di

quest'ultima opinione era Dante Alighieri che nel XX canto del Purgatorio accusa

Filippo IV di cupidigia per bocca di Ugo Capeto. Sull'innocenza dei Templari si

espressero anche Giovanni Boccaccio, lo storico Villani e il teologo

sant'Antonino. Il catalano e visionario Raimondo Lullo (1235-1316), invece,

nonostante fosse un propagandista delle crociate si scaglia contro l'Ordine del

Tempio e nel 1308, influenzato dalla corona francese, assodò la colpevolezza

dell'ordine. Sulla stregua di Lullo si pose anche l'alchimista catalano Arnau di

Vilanova.63

Per tutto il Quattrocento fu comune l'indifferenza verso questi eventi lontani

più di un secolo e il giudizio storico sui Templari fu generalmente molto critico,

dato il fallimento della loro missione: difendere la Terra Santa. Durante il

Rinascimento a ridestare l'attenzione nei confronti del Tempio fu un manuale

scritto dal dotto umanista tedesco Henry Cornelius Agrippa di Nottesheim: il De

occulta philosophia (1531). Nel manuale Agrippa cerca di spiegare come fosse

possibile ottenere particolari poteri dai demoni e dagli spiriti e come l'utilizzo di

tali poteri poteva essere benigno o maligno. Tramite l'intermediazione dei numeri

o delle immagini i maghi abusivi, che utilizzavano questi poteri in maniera

maligna, <<solevano espletare abominevoli e immondi rituali, non dissimili da

quelli precedentemente usati nel culto di Priapo e nell'adorazione dell'idolo

62 MARC BLOCH, Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino, Einaudi, 2009, p.

72.63 PARTNER, I Templari, p. 103-104.

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chiamato Panor [...]. Né tali pratiche dovevano essere molto diverse dalla

detestabile eresia dei Templari, se ciò che leggiamo è verità e non fantasia; come

dello stesso genere dovevano anche essere le trasgressioni cui notoriamente si

abbandonavano le streghe nella loro senile follia>>.64

Pur non avendo mai affermato che i Templari avessero praticato la magia

nera, l'accostamento dei Templari ai rituali <<abominevoli e immondi>> e alle

<<trasgressioni>> delle streghe Agrippa ha suscitato nei suoi lettori l'idea che i

cavalieri fossero realmente responsabili di tali pratiche. Possiamo pertanto ritenere

Agrippa l'iniziatore inconsapevole dell'accostamento Templari-Stregoneria.

Pur non parlando affatto dei possibili rapporti dei Templari con la magia, il

teorico politico del Rinascimento Jean Bodin opera un accostamento, che negli

anni dell'Illuminismo venne molto sfruttato dai templaristi. Bodin vede nell'ordine

una delle tante vittime dell'ingiustizia della politica, così come lo furono i primi

cristiani, gli gnostici e gli ebrei. Tale paragone venne abilmente sfruttato nel

XVIII secolo, come vedremo più avanti.

In Francia l'apparato di propaganda politica controllato dal cardinale

Richelieu e gestito dagli storici Pierre e Jacques Dupuy, responsabili della

Biblioteca Reale, pubblicarono alcuni documenti che giustificarono l'operato di

Filippo il Bello. Pierre Dupuy raccolse tutti i documenti che aveva a disposizione

sul processo ai Templari, esclusi i documenti contenuti negli archivi papali,

cosicché la sua descrizione fu la più completa mai tentata ai suoi tempi e nessuno

tentò di ribattere le sue dure accuse ai cavalieri del Tempio.

Il XVIII secolo fu caratterizzato dalla Rivoluzione Illuminista, che ha

portato profondi rovesciamenti per quanto riguarda l'organizzazione del sapere.

Durante il Settecento ritornò in auge la nostalgia nei confronti del mondo

cavalleresco, non tanto per i meriti militari che ne hanno caratterizzato l'ascesa tra

XI e XII secolo, quanto più per l'insieme dei privilegi di cui godeva la casta

cavalleresca e aristocratica. L'idea della nobiltà affascinava molto gli uomini di

questo secolo, soprattutto gli appartenenti al ceto medio-borghese, che in quegli

anni stava risalendo pian piano la scala sociale, grazie ad un settore

amministrativo sempre più tecnico e burocratizzato e ad una lenta crescita del

64 Ibidem p. 106 nota 6.

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sistema capitalistico. Avvocati, mercanti, funzionari civili fecero il loro ingresso

in massa negli Ordini cavallereschi esistenti in tutta Europa. Su questa spinta si

diffuse con forza esplosiva la Massoneria, la cui nascita convenzionalmente viene

fatta risalire al 24 giugno 1717 nella Taverna dell'Oca e della Graticola a Londra.

Questa <<corporazione>> di uomini, che sostenevano la ragione il deismo, era

anche caratterizzata dall'ambiguità con la quale volgevano una parte dei propri

interessi razionali verso il mistero.

Ad inserire nell'impianto simbolico della Massoneria elementi relativi agli

ordini cavallereschi fu il cavaliere cattolico giacobita Ramsay. Secondo la sua

ricostruzione, i crociati erano dovuti ricorrere all'utilizzo di segreti segni di

riconoscimento per paura che gli infedeli potessero insinuarsi tra le loro fila. I

crociati, inoltre, avrebbero purificato e legittimato la trasmissione dell'antica

saggezza biblica, connessa ai patriarchi dell'Antico Testamento e ai costruttori del

Tempio, e dei misteri egizi, greci e del mondo pagano.65

L'opera di Ramsay di giustificazione storica della Massoneria non si

esaurisce solo nel simbolismo, ma arriva anche a tracciare una presunta storia

delle logge durante il Medioevo. I sovrani europei di ritorno dalle crociate

avrebbero fondato delle logge, tra le quali sarebbero sopravvissute solo quelle

d'Inghilterra e di Scozia. L'intento di Ramsay era quello di far accettare la

Massoneria alle più alte sfere del governo francese come un possibile strumento

politico, ma il piano fallì. Ramsay a questo punto preferì giocare sul fascino che

gli ordini cavallereschi stavano avendo all'epoca. Asserì, infatti, che ci fu una

forte intimità tra i massoni crociati e i cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme

(Ospitalieri). Il cavaliere giacobita preferiva non parlare dei Templari, data la

scarsa reputazione che l'ordine godeva nella cultura francese.66

La connessione tra la massoneria e la cavalleria dell'epoca delle crociate

portò ad una riformulazione dei gradi massonici. Originariamente ne erano tre,

desunti dalle attività reali o presunte tali dei veri tagliapietre del primo periodo:

<<Apprendista associato>>, <<Compagno di mestiere>> e <<Maestro

massone>>. I nuovi gradi proposti da Ramsay, ciascuno associato ad un livello

65 Ibidem p. 119.

66 Ibidem p. 121-122.

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più alto della conoscenza esoterica, vennero chiamati <<scozzesi>>, in virtù della

sua ricostruzione pseudo-storica sulle logge medievali. Alle <<logge rosse>>, che

seguivano il sistema scozzese, si contrapponevano le <<logge azzurre>>, che

seguivano il sistema dei tre gradi originali del mestieri.67

La vera patria del Templarismo fu, però, la Germania, la cui società era

ancora dominata dalle divisioni sociali. L'egualitarismo e la spinta razionalista

dell'Illuminismo esigeva una nuova corporazione massonica capace di adattarsi

alla società dell'impero tedesco. Dopo la Guerra dei Sette Anni (1756-1763)

diverse personalità contribuirono a creare un mito templare che soddisfacesse i

bisogni rituali delle logge massoniche.68 Il pastore Samuel Rosa e un tale George

Frederick Johnson sostennero che i Gran Maestri del Tempio avrebbero avuto

particolari conoscenze spirituali, derivanti dalla setta ebraica degli Esseni. Dopo il

rogo del 1314 la conoscenza segreta era stata portata <<in esilio>> in Scozia e

George Frederick Johnson ne rivendicò il possesso in qualità di <<cavaliere del

Grande Leone dell'Alto Ordine dei Signori el Tempio di Gerusalemme>>, e

<<prevosto generale dell'Ordine templare dei Signori di Scozia>>.69 Su tali

credenze nacque il Templarismo, che vide una proliferazione di nuovi titoli

nobiliari e di complicate gerarchie con centinaia di titoli cavallereschi. Dalle tasse

pretese da Johnson e da Rosa per i banchetti e per la vendita dei titoli nobiliari i

due Capi riuscirono a ricavare una gran quantità di denaro.70

Queste mode illuministiche sembrano decisamente fuori luogo per tutti

quelli che pensano al XVIII secolo come l'Età della Ragione. Lo storico francese

Viatte afferma che <<anziché attenersi alla realtà, accettandone gli angusti limiti,

l'uomo del tardo secolo XVIII si rifugiò tra i fantasmi; soddisfacendo la propria

nostalgia con le meraviglie offerte da impostori e negromanti, rifuggì dalla

materia fino a negarne l'esistenza... Un'intera cultura stava crollando>>.71 Il

Templarismo stava ormai influenzando i rituali massonici in tutta Europa, ma non 67 Ibidem p. 124-125.

68 Ibidem p. 127.

69 Ibidem p. 128-129.

70 Ibidem p. 129.

71 Ibidem p. 133 nota 1.

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solo. Nel 1769 si diffusero logge templariste negli Stati Uniti, seguite nel 1778

anche in Inghilterra.72

In Germania il ricco proprietario terriero Karl Gotthelf von Hund arrivò a

controllare quasi tutto l'apparato massonico tedesco. La sua più grande eredità fu

il sistema organizzativo che riuscì a creare: divisione del territorio in nove

province templari, rette da un <<Maestro>> e da un <<Rettore Supremo>>; scala

massonica formata da sette gradi di fratellanza; ingresso riservato ai nobili o a

persone di condizione agiata; al vertice dell'organizzazione vi era l'autorità dei

<<Superiori Ignoti>>, persone forse mai esistite, dalle quale Hund richiedeva

massima obbedienza.73 Il fascino del Templarismo di Hund è dato dalla sete della

conoscenza divina nascosta tra le maglie dei rituali, dalla ricerca di informazioni

riguardanti l'alchimia, le panacee, gli elisir di lunga vita. Al grande massone della

Sassonia va anche riconosciuto il <<merito>> di aver riportato alla luce dopo

quattro secoli l'antica speranza di Filippo il Bello: raccogliere nelle sue mani

l'immenso tesoro templare.

Accanto alla <<Stretta Osservanza templare>> di Hund nel panorama

templarista tedesco troviamo un'altra importante figura, l'erudito Johann August

Starck, studioso di lingue orientali. Volendo rivaleggiare con il ben più conosciuto

Hund, decise di creare un nuovo rito massonico templare, non di cavalieri ma

bensì di chierici. Egli partì dal presupposto storico (sbagliato) che accanto

all'organizzazione di cavalieri templari esistesse anche un'organizzazione di

chierici templari, che (naturalmente) era custode dell'antica conoscenza trasmessa

dagli Esseni. Secondo Starck l'antica conoscenza segreta andava ricercata in

Oriente: Egitto, Assiria, Persia. Egli fu la prima persona che riportò alla luce il

culto del <<Bafometto>> nei rituali massonici, credendo fermamente nelle

proprietà magiche che tale idolo aveva conservato nel corso dei secoli. Grazie alla

sua loggia dei <<Canonici templari>> Starck riuscì a risalire la scala sociale e ad

accumulare diverse cariche prestigiose nelle accademie di Konigsberg e Mitau,

fino a diventare predicatore di corte presso Giorgio duca di Mecklenburg-Strelitz.

72 Ibidem p. 134 nota 4.

73 Ibidem p. 135-136 nota 5.

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Questa ascesa sociale fu possibile perché la massoneria tedesca fu da sempre

sostenuta dal mondo aristocratico.74

Dopo la scomparsa di Hund e Starck le due logge massoniche iniziarono a

sfaldarsi e a perdere adepti. Alcuni iniziati si affannavano a scovare i <<Superiori

Ignoti>> di Hund errando per tutta l'Europa ,mentre altri passavano il proprio

tempo evocando spiriti orrendi nelle grotte di un monastero in Toscana, magari

aiutati dal buon vino toscano.75 Si formarono un po' dappertutto nuove logge

massoniche, tra queste ci furono gli <<Illuminati Bavaresi>> di Adam Weishaupt,

professore dell'Università di Ingolstadt che intendeva modernizzare la società

tedesca. Il suo progetto non durò a lungo, venne infatti identificato e soppresso

dalle autorità nel 1785.

Uomini politici dalle ideologie radicali come Nicholas de Bonneville e

Louis Cadet de Gassicourt scrissero libelli che attaccavano la massoneria templare

e quella di rito scozzese, identificando i templari come i responsabili di una lunga

serie di cospirazioni anarchiche che partiva dalle vicende del Vecchio delle

Montagne fino ad arrivare all'assalto della Bastiglia. Ci fu anche una abate,

Augustin Barruel, che scrisse un libro che divenne subito un classico delle tesi

complottistiche. Egli sosteneva che tutti mali erano dovuti a Mani, fondatore del

Manicheismo, e di periodo in periodo, di gruppo in gruppo tali aberrazioni si sono

diffuse arrivando fino ai massoni giacobini, passando per i vari Cola di Rienzo,

l'inglese Cromwell, l'assassino di Enrico IV, il napoletano Masaniello,

Robespierre e Danton. È grazie al libello di Barruel che i Templari entrarono nelle

coscienze comuni come un gruppo di cospiratori massonici.76

La mentalità romantica e nostalgica del XIX secolo fece si che dal

Templarismo di impostazione massonica si distinse una nuova idea: il Neo-

Templarismo, con una forte matrice religiosa, che però non riuscì a separarsi del

tutto dalla massoneria e restò soltanto una setta di breve durata. Ideatori di questa

nuova corrente furono due dottori francesi, Ledru e Bernard Raymond Fabrè-

Palaprat. La nuova scuola massonica aveva diverse caratteristiche in comune con

74 Ibidem p. 138-142.

75 Ibidem p. 143.

76 Ibidem p. 150-151.

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il templarismo di origine tedesca, tra le tante vi era la capacità di fantasticare e di

falsificare gli eventi storici a proprio piacimento. Infatti, Ledru nel 1804 fabbricò

un nuovo statuto medievale, datato 1324 e redatto dall'allora Gran Maestro

dell'Ordine templare, un tale <<John-Mark Larmenius>>, che doveva la sua carica

al suo predecessore Jacques de Molay, morto sul rogo dieci anni prima. Il

documento riporta una lunga serie di Gran Maestri che si sono succeduti nel

tempo, con tanto di firma <<autografa>>. Si accenna anche all'esistenza di una

scrittura segreta, attraverso la quale i cavalieri hanno comunicato segretamente tra

di loro per molti secoli. Un elemento fortemente distintivo tra il nuovo e il

vecchio Templarismo è l'ostentazione pubblica tipica dei massoni del XIX secolo.

Tale ostentazione era così radicata che nel marzo del 1808, nell'anniversario della

morte di Molay, il nuovo ordine templare celebrò un pubblico requiem per il Gran

Maestro martirizzato.77

Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento si approfondì anche il mito

dello strano idolo adorato dai Templari, conosciuto come <<Bafometto>>.

L'autore più conosciuto riguardo allo strano idolo resta l'orientalista austriaco

Joseph von Hammer-Purgstall. Nel 1818 pubblicò Mystery of Baphomet Revealed,

nel quale denunciava i Templari di apostasia, idolatria impurità, gnosticismo e

ofitismo. Hammer aveva seguito alla linea l'abate Barruel nella sua critica al

Templarismo e anche in questo caso le ragioni erano esclusivamente politiche.

L'abile orientalista lavorava presso la cancelleria austriaca a Vienna, la principale

città europea che in quel tempo si stava prodigando per <<restaurare>> gli antichi

regimi e porre fine alle istanze radicali che avevano caratterizzato il periodo

rivoluzionario e napoleonico. Prendendo spunto dai conservatori francesi che

avevano visto nella massoneria templarista l'unica responsabile della spinta

rivoluzionaria, Hammer si spinse fortemente contro gli eredi dei templari, con

l'obiettivo di infangarne l'immagine e ridurre l'influenza che essi avevano negli

ambienti radicali.78

La natura dei miti templari delle società segrete era talmente plasmabile a

proprio piacimento che poteva adattarsi a qualsiasi esigenza politica. Se Hammer

77 Ibidem p. 156-157.

78 Ibidem p. 161.

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e Barruel individuano nei massoni templari i responsabili della rivoluzione

francese e dell'odio verso le monarchia, verso la fine dell'Ottocento le dottrine

magiche dell'abate francese Alphonse-Louis Constant si unirono alle idee

dell'inglese Buwler Lytton che predicava la dissoluzione della democrazia

decadente e l'ascesa di una classe dominante illuminata chiamata Vril.79 Sulla

stessa scia si trovava anche il <<mago>> inglese Aleister Crowley, personaggio

molto noto e influente nel panorama culturale inglese della prima metà del XX

secolo.80 Anche il regime nazista di Hitler non fu particolarmente contrario al

mondo esoterico e gnostico. Il capo delle SS Heinrich Himmler, molto attratto

dall'occultismo e ossessionato dalla ricerca del Santo Graal, fu interessato alle

opere dello storico Otto Rahn, ricercatore medievale anche lui molto ossessionato

dalla ricerca del Graal. Rahn entrò nelle SS nel 1936 ma le prime persecuzioni

antisemitiche e l'accusa di omosessualità, che gli causò l'internamento in un

campo di concentramento, lo fecero disilludere molto presto.

2. I Templari e i Catari

Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo il catarismo era considerata

l'eresia per antonomasia. Dal greco katharòi, cioè <<puri>>, i Catari venivano

chiamati anche <<buoni cristiani>> oppure <<albigesi>>, dal nome della città di

Albi dove erano maggiormente concentrati. Essi erano presenti soprattutto nella

Francia meridionale e nell'Italia nord-occidentale, ma una piccola parte era

concentrata anche a Est in Bulgaria e in Bosnia, dove i membri erano chiamati

<<bogomili>>.81 Essi univano ad una matrice cristiana alcune antiche credenze

manichee di origine orientale. Credevano nell'esistenza di due entità eterne e

opposte, il Bene e il Male, in continua lotta tra di loro. Il Bene, fonte di Luce,

coincideva con il puro spirito, proprio di una dimensione celeste, mentre il Male,

principio delle Tenebre, risiedeva nel mondo creato e nello stesso corpo umano,

prigione dell'anima e pertanto doveva essere mortificato. I Catari avevano inserito

queste credenze all'interno del sistema teologico cristiano ed erano portati ad

79 Ibidem p. 191.

80 Ibidem p. 197.

81 C. AZZARA, Le civiltà del Medioevo, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 184.

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identificare il Male nel Dio del Vecchio Testamento, e a vedere in Cristo uno

spirito sceso sulla Terra per combattere le tenebre e svelare la verità. Rifiutavano

la proprietà privata, l'ostentazione della ricchezza, l'eucarestia, il battesimo,

l'esercizio del potere, tra cui quello della Chiesa di Roma, alla quale opponevano

una propria Chiesa con tanto di sacerdoti e strutture particolari. Nel 1179 ci fu una

dura condanna del catarismo nel concilio lateranense III, nel 1184 papa Lucio III

li accusò nella bolla Ad abolendam. Nel 1208, però, papa Innocenzo III decise di

adottare il pugno di ferro, preparando una vera e propria crociata interna al

cristianesimo, passata alla storia come la <<crociata contro gli albigesi>>, che

durò per circa un ventennio. La violenza utilizzata dagli aristocratici francesi fu

così devastante da poter essere riassunta nella leggendaria frase: <<Uccideteli

tutti, Dio riconoscerà i suoi!>>. Forse questa frase non venne mai pronunciata né

scritta da nessuna parte, ma sta di fatto che dopo questa crociata l'eresia catara

sembrò spegnersi lentamente fino a scomparire.

Michael Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln nel loro best-seller Il

Santo Graal. Una catena di misteri lunga duemila anni, stampato a Londra nel

1984 presso la Jonathan Cape Ltd, accennano ad un <<leggendario tesoro>> che i

Catari custodivano presso Montsegur.82 Nonostante la teologia catara disprezzasse

la proprietà privata, la ricchezza e tutto ciò che avesse a che fare con il mondo

terreno, la leggenda vuole che essi riuscirono ad accumulare un enorme tesoro e a

custodirlo in qualche luogo misterioso. I tre autori inglesi millantano ricerche

scrupolose, che sostengono di aver effettuato prima di trarre le loro conclusioni,

ma non si trova in nessuna parte del libro un riferimento alle fonti consultate.

Gli autori, facendo riferimento alla <<tradizione>>, sostengono che tre mesi

dopo la capitolazione di Montsegur quattro parfaits, scampati al rogo dei loro

fratelli, riuscirono a scappare e a portare con sé il <<vero>> tesoro dei Catari:

qualcosa di molto misterioso, che non aveva niente a che fare con oro, argento e

ricchezze materiali varie. Gli autori del best-seller che ha ispirato il Codice da

Vinci lasciano intendere che i Catari avessero custodito il Santo Graal e, prima

della loro fine, lo avessero portato altrove, magari nei dintorni di Rennes-le-

82 M. BAIGENT - R. LEIGH - H. LINCOLN, Il Santo Graal. Una catena di misteri lunga

duemila anni, Milano, Mondadori, 2003, p. 56.

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Chateau. A questo punto parte un altro filone della leggenda, che analizzeremo

successivamente. I tre scrittori sostengono che durante le loro ricerche trovarono

diversi punti in comune tra la teologia catara e le accuse che i Templari ricevettero

durante il processo. Uno tra i tanti la scarsa importanza che entrambi i gruppi

davano alla Croce. Sappiamo che l'Ordine del Tempio aveva diversi possedimenti

sia nei Pirenei che in Provenza, laddove l'eresia catara si era radicata

maggiormente.83 Ma è davvero possibile affermare che l'eresia catara abbia

influenzato il modo di pensare e di agire dei Templari, a tal punto da ritenere vere

le accuse mosse contro di loro dagli uomini di Filippo il Bello? Dopo aver

analizzato i mezzi con i quali il Nogaret estorceva le confessioni ai cavalieri, dalla

tortura al metodo della <<mezza bugia>>, non ci sembra opportuno rispondere

affermativamente alla domanda. Esiste però una particolare inchiesta condotta

dagli inquisitori, che analizzeremo per capire le ragioni che consentito la

diffusione della credenza che Catari e Templari fossero strettamente legati tra di

loro.

Il registro avignonese 305 dell'Archivio Segreto Vaticano contiene gli atti di

un'inchiesta molto particolare contro i Templari originari della Provenza. Barbara

Frale ipotizza che l'inchiesta risalga alla primavera del 1308, mentre Malcolm

Barber la situa esattamente due anni dopo.84 Nel documento compaiono undici

capi d'accusa, ovvero quattro in più rispetto ai sette elencati dal re al momento

dell'arresto e tutti afferenti alla sfera della stregoneria: la presenza di un gatto che

compariva misteriosamente durante la cerimonia d'ingresso; l'atto di devozione al

gatto compiuto baciandolo sull'ano; la comparizione di streghe o esseri diabolici

sotto forma di donne; la fornicazione dei frati con esse.85 Non esistono altre

inchieste, se non quelle effettuate nella Francia meridionale, che presentano capi

d'accusa <<satanici>>, pertanto la Frale ipotizza che queste accuse siano frutto di

una mano diversa da quella di Giullaume de Paris, l'inquisitore di Francia che

83 BARBER, La storia dei Templari, p. 290-291.

84 FRALE, L'ultima battaglia dei Templari, p. 240.

85 Ibidem.

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collaborò con Filippo IV.86 L'uomo che organizzò le inchieste nella Linguadoca,

principalmente a Tolosa e a Carcassonne, fu Bernard Guy.87

È ipotizzabile che l'accostamento dei Templari ai Catari per quanto riguarda

il tema dell'Eucarestia abbia fatto credere che i due gruppi fossero profondamente

in relazione tra loro. Da qui l'origine della leggenda. È opportuno, però,

soffermarsi sulle molte differenze che esistono tra i due gruppi di religiosi. I

Catari ritenevano che la Chiesa fosse un prodotto di Satana, mentre i Templari

erano fedelmente legati all'autorità papale; l'accusa affermava che i Templari

consideravano Gesù come un uomo qualunque, crocifisso per le sue colpe e non

per la remissione dei peccati, mentre i Catari ritenevano che Gesù fosse un'entità

spirituale e che non fu mai crocifisso; ai Catari era proibito giurare, mentre i

Templari facevano del giuramento il momento saliente del loro impegno

nell'ordine.88

Nel libro di Henry Lincoln si fa anche riferimento al legame tra Templari,

Catari e il paesino di Rennes-le-Chateau. A questo punto dobbiamo spiegare la

presenza di questo paesino all'interno della mitologia templare.

3. I Templari a Rennes-le-Chateau

Dalle <<ricerche>> dei tre scrittori inglesi sappiamo che il 1 giugno del

1885 a Rennes-le-Chateau, paesino di duecento anime a soli quaranta chilometri

da Carcassonne, giunse un nuovo curato: Berenger Sauniere, conoscitore di

diverse lingue antiche, tra cui il latino, il greco e l'ebraico. Nel 1891 il nuovo

parroco iniziò a restaurare la chiesa e, dopo aver rimosso la mensa dell'altare,

scoprì nell'incavo di un pilastro quattro pergamene, due delle quali contenevano

delle genealogie. Sauniere fu invitato ad andare a Parigi per parlare con importanti

autorità ecclesiastiche sulla scoperta che aveva fatto. Ritornato a Rennes, il

parroco iniziò misteriosamente a spendere innumerevoli quantità di denaro,

effettuando transazioni bancarie, costruendo una torre, chiamata <<di Magdala>>,

e una ricca casa di campagna, <<Villa Bethania>>. Nessuno all'epoca seppe

86 Ibidem, p. 245.

87 Ibidem, p. 248.

88 Ibidem, p. 252.

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spiegare l'origine della grande quantità di denaro di cui disponeva Sauniere. Il 17

gennaio del 1917 il parroco ebbe un attacco cardiaco e morì cinque giorni dopo. Il

suo confessore, dopo averlo ascoltato in privato, rifiutò di concedergli l'estrema

unzione. Il mistero sulla sua persona si infittisce quando Lincoln & co., secondo

una ricevuta in loro possesso,89 scoprono che dieci giorni prima del decesso,

sebbene godesse di un'ottima salute, tramite la sua governante Marie Denarnaud si

fece recapitare a casa una bara. L'intero patrimonio finanziario di Sauniere passò

quindi alla governante e amica Marie.

Lincoln sostiene che alla base delle fortune di Sauniere ci fosse la scoperta

di un tesoro durante le attività di restauro della Chiesa. Oltre al tesoro, però,

Sauniere trovò anche qualcos'altro, forse un segreto, grazie al quale riuscì a

ricattare persino il Vaticano.90

L'ipotesi91 dei tre inglesi è che Berenger Saunier nella chiesetta di Rennes-

le-Chateau aveva scoperto dei documenti che testimoniavano l'esistenza di una

dinastia molto particolare: quella nata dall'unione di Gesù Cristo e di Maria

Maddalena. Unendo in un unico calderone i romanzi medievali del Graal, le

leggende popolari riguardanti la sacra reliquia, la figura di Maria Maddalena e

alcuni vangeli gnostici, Lincoln, Baigent e Leigh hanno dedotto che Gesù e la

Maddalena avessero avuto una relazione e, dopo la crocifissione, la donna sarebbe

sbarcata sulle coste della Francia meridionale, precisamente a Marsiglia, portando

con sé il frutto dell'unione con il figlio di Dio. Il Santo Graal in realtà sarebbe la

discendenza di Gesù, il <<sangue reale>>, sang real, san graal. La stirpe

<<divina>> unendosi con le diverse tribù locali avrebbe costituito il nucleo

originario della dinastia dei Merovingi. Nell'albero cronologico pervenuto da

Sauniere è inserito anche Goffredo di Buglione, il quale con la conquista di

Gerusalemme durante la prima crociata <<avrebbe riacquistato l'eredità che gli

spettava>>.92 I tre scrittori ritengono il loro ipotetico scenario <<coerente dal

89 Ibidem, p. 28.

90 Ibidem, p. 35.

91 Ibidem, p. 410-413.

92 Ibidem, p. 412.

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punto di vista logico e affascinante>>.93 Con un incredibile tasso di autocritica si

accorgono che lo scenario <<era ancora troppo approssimativo e aveva basi

troppo fragili>>.94 Per questo motivo decidono di spulciare le sacre scritture,

riuscendo a sfruttare al massimo la loro fantasiosa creatività storica.

I tre scrittori prendono come punto di riferimento esclusivamente il quarto

Vangelo, quello attribuito a Giovanni e scritto intorno al 100 dopo Cristo. La

prima sensazionale scoperta riguarda lo stato civile di Gesù. Esso, secondo la

tradizione e la cultura ebraica del tempo, non poteva non essere sposato e la prova

inconfutabile del suo matrimonio è racchiusa in un episodio del Vangelo di

Giovanni: le nozze di Cana, nel cui racconto i tre autori colgono la metafora delle

vere nozze di Gesù con Maria Maddalena.95

Un'altra incredibile scoperta riguarda la figura di Lazzaro, cognato di Gesù

e scrittore del quarto Vangelo, quello di Giovanni. Lincoln richiama l'ipotesi del

professor Morton Smith, secondo la quale Lazzaro non sarebbe realmente morto e

l'intera vicenda della resurrezione si configurerebbe come un rito iniziatico tipico

di una scuola misterica. Gesù amava particolarmente Lazzaro, come Giovanni

spesso scrive nel suo vangelo, ma amava molto anche un suo discepolo chiamato

Giovanni, che la tradizione identifica con lo stesso autore del quarto vangelo. A

questo punto l'identificazione di Lazzaro con il Giovanni apostolo ed evangelista è

naturale.96 E a convalidare la loro ipotesi, i tre autori richiamano le parole del

filologo biblico William Brownlee: <<in base all'evidenza interna contenuta nel

Quarto Vangelo ... la conclusione è che il discepolo prediletto è Lazzaro di

Betania>>.97

Ma la scoperta più sconvolgente che i tre autori hanno rinvenuto, spulciando

ogni singola parola dei Vangeli alla ricerca di prove sulle quali costruire il loro

<<teorema>>, riguarda la figura di Barabba, identificato come il figlio di Gesù.98

93 Ibidem.

94 Ibidem.

95 Ibidem, p. 435-436.

96 M. BAIGENT - R. LEIGH - H. LINCOLN, Il Santo Graal, p. 443-447.

97 Ibidem, p. 447.

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Quest'ultima ipotesi, sostenuta dai nostri tre autori è confermata dall'opera di un

autore inglese, alla quale i tre fanno riferimento: Jesus Scroll di D. Joyce.

Secondo una lettera non meglio specificata, pervenuta ai tre ricercatori,99 i

documenti che Sauniere aveva trovato nella chiesetta a Rennes contenevano la

<<prova incontrovertibile>> che Gesù fosse ancora vivo nel 45 d. C.. Così il

cerchio si chiude.

4. I Templari e il Priorato di Sion

Il primo a parlare delle scoperte del parroco Berenger Sauniere fu l'inventore

del personaggio di Arsene Lupin, il francese Maurice Leblanc, tra gli anni Dieci e

gli anni Trenta del Novecento. Negli anni cinquanta l'intero racconto raccolse una

folta schiera di creduloni, tra i quali un certo Pierre Plantard (1920-2000), da

sempre appassionato di esoterismo e fondatore nel 1956 di una società esoterica

che asseriva esistere da secoli: il Priorato di Sion. Nel 1967 l'appassionato d'arte

Philippe de Cherisay (1925-1985) fabbricò falsi documenti, che avrebbero dovuto

provare l'esistenza del priorato fin dalla notte dei tempi, e insieme al Plantard li

introdusse nella Bibliotheque Nationale di Rue Richelieu, a Parigi. Nello stesso

anno il giornalista anticlericale Gerard de Sède (1921-2004) pubblica L’Or de

Rennes ou la Vie insolite de Bérenger Saunière, curé de Rennes-le-Château, nel

quale mischia abilmente le carte.100 Cerchiamo di capire qual è il rapporto tra il

Priorato di Sion e l'ordine dei Templari nel <<teorema>> creato da Licoln & co.,

che ha ispirato molti scrittori degli ultimi decenni.

De Sède scrive che intorno al 1070 un gruppo di cavalieri provenienti dalla

Calabria giunse nei territori francesi di Goffredo di Buglione. Dopo una breve

permanenza in quei territori, i monaci calabresi spariscono misteriosamente.

Questo gruppo di monaci calabresi fondò nel 1090 il Priorato di Sion, arroccato

nel monastero del monte Sion, e dopo la conquista di Gerusalemme fece pressioni

su Baldovino I, fratello di Goffredo, affinché riconoscesse l'esistenza di un gruppo

di monaci-cavalieri che fungeva da braccio militare del priorato: i cavalieri

98 Ibidem, p. 459.

99 Ibidem, p. 470.

100 CARDINI, La tradizione templare, p. 172.

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Templari. Secondo questo racconto, quindi, l'Ordine del Tempio fu creato dal

Priorato di Sion come proprio braccio armato.100

Nel 1188, un anno dopo la caduta di Gerusalemme ad opera di Saladino, i

rapporti tra Templari e ordine di Sion si rompono, forse a causa dell'inettitudine

del Gran Maestro dei Templari, Gerard de Ridefort. I <<documenti del Priorato>>

consultati da de Sède riportano che fino al 1188 Templari e Priorato hanno avuto

lo stesso Gran Maestro. Scorrendo l'elenco e le biografie dei Gran Maestri del

Priorato dal 1188 in poi, secondo quanto scrive Lincoln,101 ci troviamo di fronte

alcune personalità che destano un forte imbarazzo: i pittori Sandro Botticelli102 e

Leonardo da Vinci;103 gli scienziati Robert Boyle e Isaac Newton;104 lo scrittore

Victor Hugo;105 il musicista Claude Debussy e il poeta Jean Cocteau.106 L'elenco,

che si interrompe nel 1919, anno in cui Jean Cocteau diventa Gran Maestro,

comprende diversi rampolli delle famiglie aristocratiche che hanno segnato la

storia dell'Europa nei diversi secoli dell'età medievale e moderna. Dagli Angiò

agli Stuart,107 dai Borbone ai Gonzaga108 fino ad arrivare agli Asburgo-Lorena.109

Lincoln riporta tutto ciò che de Sède scrive nella sua opera, ovvero tutto ciò

che Pierre Plantard e Philippe de Cherisey falsificarono e inserirono nella

Bibliotheque Nationale di Rue Richelieu. Questi Dossiers secrets portano la data

del 1956, ma Lincoln, Baigent e Leigh vanno oltre e ci riportano altre fantasiose

rivelazioni. Tutti i Gran Maestri del Priorato assumevano il nome di Jean o Jeanne

nel momento in cui venivano eletti. Secondo quanto riportano i dossiers Jean

100 M. BAIGENT - R. LEIGH - H. LINCOLN, Il Santo Graal, p. 137-138.

101 Ibidem, p. 548-577.

102 Ibidem, p. 558.

103 Ibidem, p. 558-559.

104 Ibidem, p. 563-569.

105 Ibidem, p. 573-575.

106 Ibidem, p. 575-577.

107 Ibidem, p. 168-186.

108 Ibidem, p. 559-561.

109 Ibidem, p. 569-572.

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Cocteau sarebbe stato il ventitreesimo Gran Maestro a partire dal 1188, quindi

Jean XXIII.110 Il poeta francese morì nel 1963, esattamente nello stesso anno in

cui morì un altro personaggio che, una volta salito sul gradino più alto della

propria istituzione, scelse anch'egli il nome di Giovanni XXIII. Ovviamente

stiamo parlando del papa che successe Pio XII al soglio pontificio, cioè il

cardinale Angelo Roncalli, conosciuto da tutti come il <<Papa buono>>. Lincoln

richiama un libro pubblicato nel 1976 da Pier Carpi, Le profezie di papa

Giovanni, nel quale sono raccolte tutte le profezie che Angelo Roncalli, allora

legato apostolico in Turchia, avrebbe scritto dopo esser stato introdotto in una

società segreta iniziatica. Si tratta del Priorato di Sion? Perché Roncalli scelse

proprio il nome di Giovanni XXIII? Forse per far sì che un Giovanni XXIII

presiedesse contemporaneamente il soglio pontificio e il Priorato di Sion? Non si

può rispondere a queste domande portando avanti prove storiche seriamente

documentate e non contraffatte, per questo motivo ognuno è libero di dire tutto e

il contrario di tutto, spacciandolo per vero.

Già da qualche decennio si è venuti a scoprire che tutti i racconti intorno al

Priorato di Sion, ai Templari e al Graal, che hanno riempito librerie, programmi

televisivi e radiofonici sono una <<bufala>>. A spiegarcelo è uno dei massimi

esperti italiani in tema di nuove religioni: Massimo Introvigne. Autore di diverse

opere sulle minoranze religiose, attualmente Introvigne è direttore del CESNUR,

Centro Studi sulle Nuove Religioni, fondato a Torino nel 1988 da un gruppo di

accademici e di studiosi delle scienze religiose provenienti dall'Europa e dagli

Stati Uniti. In Gli Illuminati e il Priorato di Sion. La verità sulle due società

segrete del Codice da Vinci e di Angeli e demoni, edito da PIEMME nel 2005,

Massimo Introvigne ci spiega quali siano le verità e quali le menzogne celate

dietro i capolavori di Dan Brown e di Lincoln.

Les Dossiers secrets de Henri Lobineau sono stati depositati nel 1967 presso

la Bibliothèque Nationale di Parigi. Si tratta di testi che indicano il modo di

interpretare le pergamene che erano state consegnate da Pierre Plantard all'autore

di libri popolari sui misteri della Francia, Gérard de Sède (1921-2004), che

110 Ibidem, p. 198.

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avrebbe poi rielaborato e pubblicato il manoscritto come L’Or de Rennes ou la

Vie insolite de Bérenger Saunière, curé de Rennes-le-Château.

È assolutamente certo che sia Les Dossiers secrets sia le pergamene sono

documenti falsi compilati nello stesso anno 1967. A testimoniarlo è lo stesso

Gérard de Sède, il quale vent'anni dopo L’Or de Rennes in un’opera intitolata

Rennes-le-Château. Le dossier, les impostures, les phantasmes, les hypothèses li

definiva apocrifi ispirati da un <<sensazionalismo mercantile>>111 e sosteneva

perfino di avere disseminato ne L’Or de Rennes sufficienti indizi perché un lettore

attento potesse leggere tra le righe che si trattava di falsi.112 Secondo Gérard de

Sède le pergamene erano state fabbricate da Philippe de Chérisey, un marchese

attore di sceneggiati televisivi e appassionato di arte e di enigmistica. Lo stesso de

Chérisey ha ammesso di aver confezionato queste pergamene, sia in lettere sia in

testi pubblicati a stampa.113 Nell’aprile del 1989 anche Pierre Plantard ammette la

creazione dei falsi. Sul primo numero della seconda serie della sua rivista,

Vaincre, Plantard si fa intervistare e dichiara che Les Dossier secrets sono

documenti falsi fabbricati da Philippe de Chérisey e da un certo Philippe Toscan

du Plantier, che sarebbe stato un suo giovane discepolo che agiva però sotto

l’influsso dell’LSD.114 Abbiamo molti dubbi sull'esistenza di tale Philippe Toscan

du Plantier, data la naturale attitudine del Plantard a fabbricare falsità, ma quello

che è certo è che tutti e tre i moschettieri responsabili della nascita del Priorato di

Sion hanno confermato che si trattava di un falso bello e buono.

Nel 2004 i tre autori de Il Santo Graal querelarono Dan Brown con l'accusa

di aver plagiato la loro opera nel best-seller Il Codice da Vinci, ma sia in primo

grado che in appello uscirono sconfitti, perché sia loro che l'autore statunitense

non avevano mai rinunciato a proclamare per vero ciò che era contenuto nelle loro 111 G. DE SÈDE, Rennes-le-Château. Le dossier, les impostures, les phantasmes, les

hypothèses, Parigi, Robert Laffont, 1988, p. 107, in http://www.cesnur.org/2005/mi_02_03.htm.112 Ibidem, p. 108.

113 P. DE CHERISEY, Circuit, Liegi, presso l’Autore, 1968; L’Or de Rennes pour un

Napoléon, Parigi, presso l’Autore, 1975; L’Énigme de Rennes, Parigi, presso l’Autore, 1978, in

http://www.cesnur.org/2005/mi_02_03.htm.114 N. PINOT, L’Interview de M. Pierre Plantard de Saint-Clair, <<Vaincre>>, 1 (1989),

pp. 5-6, in http://www.cesnur.org/2005/mi_02_03.htm.

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opere. Se Marc Bloch avesse trovato in un'opera di Lucien Febvre alcune proprie

considerazioni riguardo ad un argomento di storia medievale, non si sarebbe mai

azzardato di querelare il collega per plagio, perché - si sa - la storia parte dalle

ricerche che studiosi prima di noi hanno portato a termine. Se Lincoln, Baigent e

Leigh avessero ritenuto veramente che il contenuto della loro opera fosse veritiero

e storicamente valido, non avrebbero mai querelato Dan Brown.

5. I Templari e il Santo Graal

Il termine Graal indica in francese antico un vaso o una coppa, che la

tradizione popolare identifica con il calice dell'Ultima cena di Gesù, coppa poi

utilizzata da Giuseppe d'Arimatea per raccogliere il sangue del Cristo sulla croce.

La fonte di questa tradizione è Jacopo da Varagine (1228 ca.-1298), che nella sua

raccolta di vite di santi intitolata Legenda aurea narra di un condottiero della

Repubblica di Genova, Guglielmo Embriaco Testadimaglio, che al fianco di

Goffredo di Buglione contribuì alla presa di Gerusalemme.115 Il condottiero

avrebbe portato a Genova il piatto o il calice dell'Ultima cena nel 1101 ed è

tutt'ora custodito al Museo del Tesoro della cattedrale di San Lorenzo a Genova. È

grazie a Jacopo da Varagine che dobbiamo la nascita e la diffusione della

leggenda secondo la quale Maria Maddalena, dopo la morte di Gesù, sia sbarcata

in Francia.

Sotto la forma letteraria il Graal appare per la prima volta con il Perceval

ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes, scritto nel XII secolo, nel quale

l'autore non fa nessun riferimento alla coppa dell'Ultima cena. Anche Wolfram

von Eschenbach, poeta tedesco vissuto tra il 1170 e il 1220 circa, parla del Graal

in maniera del tutto diversa dal calice di Gesù. Secondo Wolfram la sacra reliquia

sarebbe una pietra magica (lapis exillis), che produce ogni cosa che si possa

desiderare in virtù della sua sola presenza. Il primo ad identificare il Graal con la

coppa dell'Ultima cena fu Robert de Boron, poeta francese vissuto tra XII e XIII

secolo, nel suo Roman dou l'Estoire de Graal ou Joseph d'Arimathie. Secondo

115 Per un approfondimento sul testo di Jacopo da Varagine si consiglia la lettura di

JACOPO DA VARAGINE, Legenda aurea, a cura di Vitale Brovarone A. e Vitale Brovarone L.,

Torino, Einaudi, 2007.

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Robert fu Giuseppe a raccogliere il sangue del Cristo morto sulla croce e a portare

il calice sulle isole britanniche e a fondare le prime chiese cristiane.

In un articolo del 1996 intitolato Joseph of Arimathea, the Holy Grail and

the Turin Shroud, lo storico americano Daniel Scavone ha ipotizzato che il Santo

Graal fosse in realtà la Sacra Sindone.116 Egli ipotizza che la leggenda del Graal

sia stata ispirata da alcune notizie giunte in Occidente di un oggetto legato alla

sepoltura di Gesù e che ne conteneva il sangue. A supporto di questa teoria

Scavone nota che, secondo alcune fonti, il Graal offriva una particolare

<<visione>> di Cristo, nella quale egli appariva prima come bambino, poi più

grande e infine come adulto. Lo storico ipotizza che queste fonti riportassero in

modo impreciso il rituale secondo il quale la Sindone veniva dispiegata

gradualmente e la sua immagine era resa visibile, man mano che il rito procedeva,

in misura sempre maggiore, fino ad essere mostrata nella sua interezza. Infine,

secondo le sue ricerche, la notizia secondo la quale Giuseppe d'Arimatea avrebbe

raggiunto la Britannia deriverebbe da un'errata lettura della parola Britio, nome

del palazzo reale di Edessa, dove secondo molti storici la Sindone si trovava tra il

VI e il X secolo. Sul rapporto tra i Templari e la Sindone si è soffermata di recente

anche la storica Barbara Frale, le cui ricerche analizzeremo più avanti.

Nel caso in cui il Graal fosse veramente il lino noto come la Sacra Sindone,

ammesso che esso sia l'autentico lenzuolo nel quale fu avvolto il corpo di Gesù,

attualmente il Graal si troverebbe in Italia nel Duomo di Torino. Nel corso dei

secoli, però, il Santo Graal è stato identificato con una molteplicità di oggetti,

ognuno situato in un luogo diverso dall'altro: a Castel del Monte in Puglia; nel

castello di Gisors in Francia; a Takht-I-Sulaiman in Iran; nella cattedrale di Bari;

nella Cappella di Rosslyn in Scozia; a Glastonbury in Inghilterra; in Britannia,

sull'isoletta di San Patrizio, poco distante dall'Isola di Man dove sarebbe stato

sepolto Giuseppe di Arimatea; a Oak Island negli Stati Uniti; a Valona in Albania;

nel castello di Montsegur in Francia, dove lo avrebbero custodito i Catari; nella

Chiesa di Rennes-le-Château in Francia; disperso in val Codera in Lombardia;

all'interno della Sagrada Família, in Spagna; sepolto in un profondo pozzo nei

dintorni di Aquileia; nella Chiesa della Gran Madre di Torino; nei sotterranei del

116 http://www.shroud.com/scavone2.htm.

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Convento di Cristo a Tomar; nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura in Roma;

nella Cappella di San Galgano a Montesiepi in Toscana; nella Cappella di San

Francesco d'Assisi della Chiesa di San Panfilo in Villagrande di Tornimparte

(L'Aquila); nella Cattedrale della Virgen del Carmen in Valencia; sotto la Chiesa

di Naantali in Finlandia.

Tra le tante leggende che circolano intorno ai cavalieri templari ce ne sono

alcune che hanno dell'incredibile. Alcuni ipotizzano che se Cristoforo Colombo è

arrivato nelle Americhe è solo grazie al merito dei Templari, che gli avrebbero

fornito le carte geografiche adeguate. A sostenere una tesi simile c'è anche la

fondazione Delphos.117

Forse non sapremo mai la vera realtà di ciò che la leggenda chiama Santo

Graal, né tanto meno dove esso possa essere. Esiste, invece, una reliquia la cui

genesi affascina da decenni studiosi di tutto il mondo. È considerata la reliquia più

importante della cristianità, la sola che potrebbe testimoniare in maniera tangibile

e visibile i segni della passione e della resurrezione di Gesù Cristo: stiamo

parlando della Sacra Sindone. Molti oggi ipotizzano che sia essa il misterioso

volto barbuto che adoravano i templari nelle loro commende e non il

<<Bafometto>> tanto amato da Joseph von Hammer-Purgstall. La storia della

Sindone di Torino è strettamente legata alla storia dell'ordine dei Templari, come

spiega la storica italiana Barbara Frale in due libri di recente uscita. Vediamo i

particolari nel dettaglio.

6. I Templari e la Sacra Sindone

Nel 2009 escono in Italia presso la casa editrice Il Mulino due libri della

storica e ufficiale dell'Archivio Segreto Vaticano Barbara Frale, uno intitolato I

Templari e la Sindone di Cristo l'altro La sindone di Gesù Nazareno. Il primo

libro ci offre un breve riassunto sulle diverse tappe che hanno visto la Sindone

arrivare fino al Duomo di Torino, partendo dal misterioso idolo che adoravano i

cavalieri del Tempio. Con la tecnica della <<mezza bugia>>, come abbiamo visto,

gli uomini del Nogaret riuscirono a far dire ciò che volevano ai poveri frati messi

117 Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito ufficiale della fondazione:

http://www.delphos.com.ar/index.htm.

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sotto torchio. Alcuni di essi affermavano che lo strano idolo fosse in relazione con

qualche ritratto sacro per l'islam. Alcuni frati lo chiamavano Magometum, altri

Maguineth e Mandaguorra ma anche Yalla.118 Sappiamo che la cultura

musulmana proibisce rigorosamente di raffigurare il dio Allah, mentre il suo

profeta, Maometto, poteva essere raffigurato solo nel corpo e non nel volto,

altrimenti il pittore musulmano sarebbe stato accusato di idolatria. Per questi

motivi non possiamo identificare l'idolo dei Templari come un ritratto

musulmano, ma dobbiamo pensare ad altro.

Le chiese dovevano essere arredate in maniera tale da diventare le <<Bibbie

dei poveri>>, secondo quanto aveva richiesto espressamente anche papa Gregorio

Magno tra VI e VII secolo.119 Per questo motivo san Pietro doveva avere sempre

in mano una grossa chiave e sant'Antonio abate doveva essere sempre

accompagnato dal maialino. Pertanto l'idolo dei Templari non poteva appartenere

alla classica iconografia cristiana medievale, altrimenti i frati avrebbero

facilmente riconosciuto il soggetto.

Nell'inchiesta tenuta dal papa a Poitiers nel giugno 1308 il frate sergente

Etienne de Troyes raccontò che <<sentì dire da qualcuno che quel cranio

apparteneva al primo Gran Maestro dell'ordine, frate Hugues de Payns: dal pomo

di Adamo fino agli omeri era rivestito d'oro e d'argento incrostato di pietre

preziose>>.120

Nel 1978 lo storico Ian Wilson pubblicò un saggio di quindici pagine

intitolato La sindone di Torino. Il lenzuolo funebre di Gesù Cristo. Nel saggio

Wilson riteneva che nella storia della sindone ci fosse uno spazio di circa un

secolo e mezzo (dal 1204 al 1353) durante il quale non si sa che fine abbia fatto il

sacro lino. Lo storico ipotizza che tale <<scomparsa>> coincida con la sua

custodia presso l'ordine dei Templari, i quali l'avrebbero avvolta su se stessa fino

a lasciar intravedere solo il volto.121 A corroborare questa tesi ci sono le

testimonianze di molti frati interrogati dal 1308 in poi che parlano di un reliquario

118 FRALE, I Templari e la Sindone di Cristo, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 54-55, nota 43.

119 Ibidem, p. 58, nota 47.

120 Ibidem, p. 73, nota 3.

121 Ibidem, p. 76.

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<<mostruoso>> con due facce e con la barba.122 Al frate templare Guillaume Bos,

ricevuto nella commenda di Narbona nel 1297, viene mostrato un idolo molto

particolare. Come è accaduto per Guillaume anche per i frati Jean Taylafer e

Arnaut Sabbatier si presentò l'occasione di ammirare lo strano idolo che sembrava

un dipinto su un panno di lino (signum fustanium).123 Il documento che prova che

alcuni templari del sud della Francia venerassero un idolo del tutto simile alla

Sindone di Torino è una copia su carta di un interrogatorio tenuto a Carcassonne

nell'inverno del 1307. Attualmente il documento è conservato presso gli Archivi

Nazionali di Parigi. Dopo le difficoltà incontrate dallo storico tedesco Heinrich

Finke di pubblicare integralmente del testo, Barbara Frale durante gli anni del suo

dottorato presso l'Università di Venezia (1996-1999) ha avuto modo di analizzare

il testo e ha concluso che signum fustanium fosse proprio il telo della Sacra

Sindone, che appariva ai frati che un dipinto.

Recentemente l'interpretazione della Frale, dopo un fortunato riscontro negli

ambienti specializzati di sindonologia, è diventata un argomento di forte

imbarazzo da parte della storica ufficiale dell'Archivio Segreto Vaticano.

Dapprima Gaetano Ciccone e Gian Marco Rinaldi in un articolo intitolato Sindone

e Templari: quali prove?,124 successivamente anche Massimo Vallerani e Julien

Théry nell'articolo I templari e la Sindone: l’ “ipotetica della falsità” e

l’invenzione della storia125 dimostrarono come in realtà la trascrizione della Frale,

che sta alla base delle sue deduzioni, sia scorretta. Andrea Nicolotti nell'articolo

Quale l’antigrafo e quale l’apografo? Giovanni Aquilanti e Barbara Frale,

Mysterium Baphometis revelatum126 ci mostra le diverse falle contenute nelle

122 Ibidem, p. 78-79.

123 Ibidem, p. 81.

124 Articolo apparso la prima volta il 29/06/2009 sul sito

http://sindone.weebly.com/frale1.html e poi riveduto l'11/11/2009.125 M. VALLERANI – J. THERY, I templari e la Sindone: l’ “ipotetica della falsità” e

l’invenzione della storia, in «Historia Magistra» 2 (2009), pp. 10-17.126 A. NICOLOTTI, Quale l’antigrafo e quale l’apografo? Giovanni Aquilanti e Barbara

Frale, Mysterium Baphometis revelatum, articolo pubblicato il 30/04/2010 sul sito

www.giornaledistoria.net.

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analisi della storica viterbese. In realtà, guardando bene anche solo una fotografia

del testo originale, si riconosce facilmente che la trascrizione corretta è signum

fusteum e non signum fustanium, ovvero <<immagine di legno>>, pertanto non di

stoffa come la Sacra Sindone. A sostenere la Frale, però, c'è l'articolo di un certo

Giovanni Aquilanti pubblicato nel 2009 sulla rivista Felix, che sostiene tra l'altro

che sul lino di Torino sia visibile anche l'impronta lasciata da un sigillo notarile

bizantino, che attesterebbe il possesso della sacra reliquia da parte dell’imperatore

e di conseguenza la sua presenza a Costantinopoli prima di comparire in Francia

nella seconda metà del XIV secolo.

Il dibattito viene tenuto su due fronti: da una lato ci sono Giovanni Aquilanti

e Barbara Frale che sostengono la correttezza della lettura signum fustanium

all'interno del documento dell'interrogatorio tenuto a Carcassonne nel 1307,

dall'altro ci sono Gaetano Ciccone, Gian Marco Rinaldi, Antonio Lombatti e

Andrea Nicolotti che sostengono, invece, la diversa lettura signum fusteum. C'è un

unico dato di fatto, però: Barbara Frale non ha mai ammesso di aver trascritto una

parola per un'altra, mandando in fumo tutta la sua tesi. Nicolotti corregge anche

alcuni errori di trascrizione dall'ebraico, che la Frale avrebbe commesso insieme

al professor Aldo Marastoni, esperto di letteratura antica.127 Le trascrizioni

riguardano alcuni caratteri che compaiono sulla sindone, che secondo la storica

viterbese aiuterebbero ad identificare l'uomo che fu avvolto nel lenzuolo dopo il

suo decesso.

Nicolotti cerca di capirne di più su questo Giovanni Aquilanti, che tanto si

affanna per svelare l'ignoranza in latino di Lombatti ma non si pone minimamente

il problema di correggere gli errori della Frale. Nicolotti nota che in alcuni suoi

scritti Aquilanti cita alcuni personaggi storici che non si trovano in nessun

documento, se non in alcuni scritti della Frale, oltre ad inserire la stessa

bibliografia, a commettere gli stessi errori e a formulare periodi esattamente

identici a quelli della Frale! A questo punto, conclude Nicolotti, o la Frale ha

plagiato Aquilanti (dato che l'articolo uscito sulla rivista Felix è antecedente

all'uscita del libro della Frale) o la Frale è Aquilanti.

127 FRALE, La sindone di Gesù Nazareno, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 100-119.

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In attesa di scoprire l'evoluzione del dibattito, seguiamo il quadro presentato

dalla Frale sui vari spostamenti della Sindone nella storia. Nell'antica città di

Edessa, l'attuale Urfa in Turchia, veniva custodita una particolare reliquia

chiamata mandylion, che in greco significava <<asciugamano>>. Tale reliquia

presentava il volto di Gesù Cristo non sotto forma di dipinto, ma sotto forma di

impronta che il Cristo avrebbe lasciato sull'asciugamano, una volta poggiato il suo

volto. La reliquia era scampata alla moda iconoclasta che vedeva i monofisiti

distruggere ogni tipo di rappresentazione grafica di Gesù, in quanto esso aveva

esclusivamente una natura divina.

Le testimonianze più antiche della leggenda riguardo al mandylion parlano

di un re chiamato Abgar, identificato con il re Abgar V il Nero, il quale, venuto a

conoscenza dei poteri divini di Gesù e delle persecuzioni che stava subendo, volle

offrirgli ospitalità nella propria città, Edessa. Una versione della leggenda

risalente al 400 d. C. narra di un pittore mandato dal re Abgar a Gesù per farne un

ritratto fedelissimo.128 Dopo la conquista di Edessa da parte dei persiani si parla

del mandylion non come dipinto ma come immagine <<acherotipa>>, cioè fatta

non da mani d'uomo ma prodottasi per miracolo. Soltanto con il trasferimento

della reliquia a Costantinopoli nel 943 d. C. al mandylion saranno accostati tutti

quei dettagli che ritroviamo nella Sindone conservata nel Duomo di Torino.129

Grazie alla testimonianza di uno scrittore arabo chiamato Abu Nasr Yahya e alla

cronaca di Guglielmo di Tiro sappiamo che il mandylion era ancora presente a

Costantinopoli nel 1058 e nel 1171.130

Ian Wilson crede che il telo sia rimasto nella capitale dell'Impero romano

d'Oriente fino al grande sacco del 1204, prima di comparire misteriosamente a

Lirey, nella Francia centro-settentrionale, nel 1353. A donarla alla chiesa di Lirey

fu un cavaliere chiamato Geoffroy de Charny, omonimo del Precettore di

Normandia morto nel 1314 sul rogo di Pont Neuf con l'ultimo Gran Maestro del

Tempio, Jacques de Molay. Tale omonimia ha suggerito a Ian Wilson un possibile

128 Ibidem, p. 103.

129 Ibidem, p. 107-108.

130 Ibidem, p. 110.

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legame tra i Templari e la Sindone per tutto il periodo che va dal 1204 al 1353.131

La Frale ipotizza che il de Charny morto nel 1314 e il cavaliere omonimo

possessore della Sindone nel 1353 appartenessero alla stessa famiglia, <<anche se

le fonti non ci permettono di vedere in dettaglio quale fosse l'esatto legame di

parentela>>.132 Sappiamo anche che a partecipare al sacco di Costantinopoli ci fu

il conte Guillaume de Champlitte, che successivamente chiese in moglie Elisabeth

di Mont Saint-Jean, appartenente alla famiglia dei signori di Charny. Le fonti note

ci dicono che la famiglia de Charny entrò in possesso del mandylion soltanto

qualche secolo dopo la fine della quarta crociata.133 Dopo varie vicissitudini il telo

passò nelle mani dei Savoia, che la custodirono nel palazzo ducale a Chambery,

nella Saint-Chapelle delle suore clarisse. Dopo l'incendio scoppiato nel 1532 nel

palazzo ducale, il lino venne trasferito a Torino dove è conservato tutt'ora.

Gli studi sulla sacra Sindone continuano tutt'oggi nei settori più diversi: si

rianalizza il tessuto alla luce dei nuovi progressi compiuti dalla scienza nella

tecnica di analisi del 14C, dopo che un primo esame compiuto nel 1988 aveva

datato il reperto tra il 1260 e il 1390d.C.; si studiano attentamente le scritte

presenti sul telo; si analizzano le macchie di sangue sparse sul telo e si desumono

tutte le possibili violenze subite dalla persona che è stata avvolta nel lino; si

analizzano i fenomeni fisico-chimici che hanno consentito la raffigurazione dei

lineamenti della persona sul telo.

Gli studi che si susseguono anno dopo anno sembrano portare alla luce

risultati sempre nuovi, con la speranza che essi contribuiscano a portare anche

nuovi elementi di analisi per tracciare un quadro storico della reliquia

complessivamente più ricco.

7. Il fascino del complotto

Una frase divenuta ormai nota di Umberto Eco afferma che <<L'unico modo

per riconoscere se un libro sui Templari è serio è controllare se finisce col 1314,

data in cui il loro Gran Maestro viene bruciato sul rogo>>. La ragione per la quale

131 Ibidem, p. 114.

132 Ibidem, p. 117.

133 Ibidem, p. 118.

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nel XXI secolo, a quasi sette secoli dallo scioglimento dell'ordine, i cavalieri

rossocrociati mostrano un fascino ancora vivo è che la maggior parte dei libri che

raccontano dei Templari iniziano proprio dove dovrebbero finire.

Marc Bloch affermava che l'unica differenza tra lo storico autentico e il

lettore di un Alexandre Dumas (o di un Dan Brown) <<è che il primo trova molta

maggiore soddisfazione nella verità che nella contraffazione. [...]. Infatti ogni

storia “romanzata” è forzatamente redatta a colpi di anacronismi, dal momento

che il “romanziere”, volente o nolente, ricava dalle proprie personali esperienze le

fantastiche tinte con cui scarabocchia la “realtà”>>.134

La storia è piena di complotti riusciti, falliti, nascosti e dimenticati: dalla

congiura di Catilina a quella delle idi di marzo, dalla congiura dei Pazzi alla strage

di san Bartolomeo, dai complotti carbonari fino all'Operazione Valchiria. Bisogna,

però, saper distinguere il complotto dal <<complottismo>>. Con questo termine si

identifica quella scuola di pensiero i cui sostenitori credono che alla base dei

grandi eventi della storia ci sia una regia occulta, formata da un gruppo di persone

che detengono un particolare potere sacrale, politico o economico e puntano ad

accrescerlo fino dominare la realtà e a condizionare le cose umane. Il

Templarismo è forse il filone complottistico più diffuso e, da un punto di vista

editoriale, sicuramente il più remunerativo.

Nell'intervista del 25 novembre del 2007 pubblicata sul quotidiano La

Repubblica Umberto Eco risponde alla giornalista Deborah Solomon affermando

che <<Dan Brown è uno dei personaggi del mio romanzo Il pendolo di Foucault,

in cui si parla di gente che incomincia a credere nel ciarpame occultista. [...]. Dan

Brown è una delle mie creature>>.

Se la Storia come la conosciamo, o per lo meno come la dovremmo

conoscere, attraverso gli studi scolastici è una <<farsa>> o una <<maschera>>,

ciò che vi è dietro assume il fascino del mistero, del segreto tramandato in

sordina, presso il quale siamo tutti inconsciamente attratti. Esiste però una forte

differenza tra l'interesse verso tutto ciò che è misterioso e la pretesa di considerare

veritiera una storia palesemente <<inventata>>, collegando insieme due eventi

134 BLOCH, Apologia della storia, p. LXVII.

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che non hanno nulla in comune tramite un terzo che funge da collante. Questa è

credulità.

Nella mitologia templare, però, non rientrano soltanto le accuse di

complotto, ma molto altro ancora. Recuperando una famosa battuta dell'onorevole

Giulio Andreotti, si potrebbe dire che a parte le guerre puniche, i Templari sono

stati accusati di tutto!

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CAPITOLO TERZO

Ugo de Payns: cavaliere italiano?

1. Ugo de Payns e la storiografia <<ufficiale>>

Da tutte le fonti che abbiamo a disposizione non vi è una traccia ben

definibile del luogo di origine del fondatore dell'ordine dei Templari. I manoscritti

latini del concilio di Troyes lo definiscono semplicemente magister Hugo o

magister militiae Hugo.135 È la traduzione francese di questi manoscritti, redatta

più in là del 1129, ad aggiungere anche il nome di famiglia o del luogo d'origine

del cavaliere Hugo. Esso viene nominato come maistre Hugue de Paiens, frere

Hugue de Paiens, maistre de la chavalerie.136 La forma latinizzata di Paiens, in

alcuni manoscritti anche Paens, si può trovare all'interno di documenti tratti dal

Cartulaire general de l'ordre du Temple, edito a Parigi nel 1913 a cura di Marquis

d'Albon. In questi documenti il fondatore dei Templari viene indicato come Hugo

de Pagano, Hugo de Paganis, Hugo de Paianis, Hugoni de Paganis Vivariensisi.

Il grande storico della Terra Santa, Guglielmo di Tiro, indica il fondatore del

Tempio come Hugo de Paganis. Secondo Walter Map il fondatore sarebbe un

cavaliere proveniente dalla Borgogna e viene chiamato Paganus.137

Attualmente, la maggior parte degli studiosi che si occupano di questo

ambito non esita a collocare in Francia il suolo natio di magister Hugo, lasciando

aperto il dibattito relativo alla regione precisa: Borgogna, terra natia di Bernardo

di Chiaravalle, o Paiens (l'attuale Payns), paesino presso Troyes nell'attuale

Champagne-Ardenne. Ma c'è anche una diversa direzione lungo la quale sta

marciando la ricerca, che invece colloca la patria di Hugo in Italia.

Nel 2005 l'architetto Mario Moiraghi, appassionato di storia medievale,

pubblica un libro intitolato L' italiano che fondò i templari. Hugo de Paganis

135 S. CERRINI, La rivoluzione dei Templari, p. 21.

136 Ibidem.

137 Ibidem, pp. 21-22.

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cavaliere di Campania,138 che riporta alla luce una tesi già cavalcata diversi secoli

fa, secondo la quale il fondatore dei Templari è originario di Nocera de' Pagani,

paesino campano in provincia di Salerno.

2. Critiche alla storiografia <<ufficiale>>

2.1 La datazione

Nel suo libro e in un'intervista rilasciata al Sole 24 ore, intitolata Il

fondatore dei Templari? Era un lucano e pubblicata il 30 agosto del 2008,

Moiraghi muove diverse critiche a quanti sostengono l'origine francese di Hugo

de Paganis. L'architetto sostiene innanzitutto che l'ordine dei Templari sia stato

fondato intorno al 1100 e non intorno al 1118 come vorrebbe la storiografia

ufficiale.

La conferma di questa diversa datazione viene da alcune lettere scritte

direttamente dal fondatore dell'ordine, come sostiene Moiraghi nell'intervista al

quotidiano finanziario. In una lettera Ugo informerebbe il re di Gerusalemme,

Baldovino I, circa la presenza e l'attività dell'ordine da lui fondato già intorno al

1106. Inoltre, esisterebbe una lettera scritta da Ugo a suo zio, tale Leonardo

Amarelli, nella quale il cavaliere lo informa della morte del cugino Alessandro

durante una battaglia in Terra Santa. Questa lettera datata 1103, a detta di

Moiraghi, confermerebbe sia l'esistenza dei Templari ben prima del 1118 sia

l'origine campana del fondatore dell'ordine. Sulla <<lettera Amarelli>> torneremo

più avanti, anche perché esiste un altro <<documento nuovo e inconfutabile>>,

come dice lo stesso Moiraghi nell'intervista, che attesta la <<vera>> data della

fondazione del Tempio.

Durante le sue ricerche, infatti, l'architetto afferma di essere stato informato

da una professoressa inglese circa l'esistenza di un monaco inglese, Simone di

Saint Bertin, che dal 1100 al 1145 scrisse le Gesta abbatum Sancti Bertini.139 Il 138 M. MOIRAGHI, L' italiano che fondò i templari. Hugo de Paganis cavaliere di

Campania, Milano, Ancora, 2005.139 S. DI SAN BERTINO, Gesta abbatum Sancti Bertini Sithiensium, O. Holder-Egger

(ed.), in Monumenta Germaniae Historica Scriptores, vol 13, p. 600. Simone riceve l'incarico di

scrivere le gesta degli abati dell'Abbazia di San Bertino direttamente dal suo abate Lamberto, che

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testo, scritto ben prima dell'Historia di Guglielmo di Tiro, narra le vicende legate

alla Terra Santa dopo la prima crociata e del tentativo di portare Goffredo di

Buglione sul trono di Gerusalemme. Il testo che ci interessa è il seguente:

<<Quo magnifice regnante, dum nonnulli non amplius ad seculi illecebras

post tanta pericula, quae pro Deo sunt perpessi, deliberassent redire, consilio

principum exercitus Dei templo Dei se sub hac regula devoverunt, ut seculo

abrenunciantes, proprietate carentes, castimoniae vacantes, communem sub

paupere habitu ducerent vitam, armis tantum contra insurgentium paganorum

impetus ad terram defendendam uterentur, quando necessitas exigeret>>.140

[Durante il suo splendido regno alcuni decisero di non tornare tra le ombre

del mondo, dopo aver così intensamente sofferto per la gloria di Dio. Di fronte ai

principi dell'armata di Dio essi si votarono al Tempio del Signore, con questa regola:

avrebbero rinunciato al mondo, donato i beni personali, rendendosi liberi di

perseguire la purità e conducendo una vita comunitaria, con abiti dimessi, usando le

armi solo per difendere le terre dagli attacchi incalzanti dei pagani, quando la

necessità lo richiedeva].

Il regno di cui parla Simone è quello di Goffredo di Buglione, nominato

Advocatus Sancti Sepulchri nel 1099 dopo aver rifiutato il titolo di re. Goffredo

morirà l'anno successivo la sua incoronazione, per questo la cronaca del monaco

inglese getterebbe una nuova luce sulla data della fondazione dell'ordine: non più

1118 o 1119, ma già al tempo del <<regno>> di Goffredo di Buglione (1099-

1110). Sicuramente i cavalieri non potevano già chiamarsi Templari, perché non

avevano ancora avuto la concessione di Baldovino II di utilizzare gli spazi del

Tempio, ma è probabile che il nucleo originario avesse già le idee abbastanza

chiare.

governò il monastero dal 1095 al 1123. Simone visse fino al 1148, anno in cui Guglielmo di Tiro

aveva sicuramente meno di vent'anni.140 Ibidem, p. 649.

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2.2 La città di Payns

Negli anni settanta due grandi storici hanno approfondito il problema delle

origini di Hugo de Paganis, Maria-Luisa Bulst-Thiele e Malcolm Barber,141 ed

entrambi hanno confermato che Ugo era originario di un paesino della

Champagne, ovvero l'attuale Payns. Ugo era signore di Montigny142 e aveva

possedimenti anche dalle parti di Tonnerre. Era sposato e aveva un figlio,

Tebaldo, che sarebbe poi diventato abate del monastero di Sainte-Colombe di

Troyes. Il nome di Ugo appare anche in alcuni atti privati del 1100, accanto al

conte di Bar-sur-Seine e a quello di Ramerupt.143 Demurger ipotizza che Ugo

appartenesse alla media aristocrazia francese, imparentato con la famiglia di

Montbard, la famiglia della madre di san Bernardo. Questo potrebbe spiegare lo

stretto rapporto che il fondatore dell'ordine aveva con il monaco cistercense.144

Ma c'è anche un altro elemento che convince gran parte degli storici

sull'origine francese di Ugo: il suo viaggio in Occidente prima del concilio di

Troyes. La prima tappa del suo viaggio fu proprio la Champagne, prima di

dirigersi verso l'Angiò e il Maine. In questi territori compie un lavoro di

mediazione, convincendo il conte Folco V d'Angiò a succedere a Baldovino II

come re di Gerusalemme. Ugo riuscirà anche a placare la sete di avidità di un

feudatario del conte Folco, Ugo d'Amboise, autore di innumerevoli estorsioni ai

danni della celebre abbazia di Marmoutier in Turenna. Ritornerà ancora nella

Champagne dopo esser stato in Normandia, Inghilterra e nelle Fiandre. La

141 Vedi M. L. BULST-THIELE, Sacrae domus militiae Templi Hierolymitani magistri.

Untersuchungen zur Geschichte des Templer-ordens, Gottingen, 1974 e M. BARBER, The

Origins of the Order of the Temple, in <<Studia Monastica>> 12 (1970).142 Nel Cartolario di Molesme c'è un riferimento a <<Hugo de Pedano, Montiniaci

dominus>>. Moiraghi non crede che Pedano sia riconducibile in qualche modo a Payens.143 A. DEMURGER, Vita e morte, pp. 20-21. Gli atti delle donazioni sono stati pubblicati

da A. Lalore in Cartulaire de l'Abbaye de Saint-Loup de Troyes, Paris, Ernest Thorin, 1875 e in

Cartulaire de l'Abbaye de Montieramey, Paris, Ernest Thorin, 1890. Nei due cartolari il nome del

fondatore è indicato con <<Hugo de Paenciis>> e con <<Hugo de Peanz>>. La netta discordanza

tra i due nomi ha fatto pensare che la loro associazione con il nostro Hugo de Paganis fosse

impropria.144 Ibidem, p. 21.

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continua presenza di Ugo in queste terre, unita agli incarichi diplomatici che re

Baldovino II gli aveva affidato, ci lascia pensare che il fondatore del Tempio fosse

molto legato a questi territori e ai suoi signori.

Moiraghi elenca tutte le varianti con le quali è stato trascritto in volgare il

nome di Hugo de Paganis, e nota che molte tra queste variazioni non possono

minimamente essere associate alla località di Payns. Pertanto tutte le trascrizioni

rimandano esclusivamente alla famiglia de Paganis e non ad una località

geografica francese. Le varie forme con le quali è stato indicato il fondatore

dell'ordine sono le seguenti:

1. Pedano, Carte dell'Abbazia di Molesme, 1090;

2. Peanz, Carte dell'Abbazia di Montieramey, 1100;

3. Paenciis, Carte dell'Abbazia di Saint-Loup de Troyes, 1100;

4. Pazence, Cartolario del Santo Sepolcro, 1120;

5. Peans, Carte dell'Abbazia di Notre-Dame de Josaphat, 1123;

6. Sagano, Cartolario del Santo Sepolcro, 1125. 145

I sostenitori dell'origine italiana hanno però molti dubbi sul paesino di

Payens, l'attuale Payns. Il termine francese <<payen>> viene tradotto in italiano

con il termine <<pagano>>. Tale aggettivo trova la sua origine nel sostantivo

latino pagus, -i, ovvero il villaggio lontano dalle grandi città e pertanto non ancora

influenzato dalla religione cristiana. Gli abitanti di queste piccole comunità

restarono a lungo legati alle proprie religioni primitive, che vennero subito

chiamate <<pagane>>. In epoca medievale questo termine passò ad indicare non

soltanto gli abitanti di questi villaggi o le loro religioni, ma anche i villaggi stessi.

Per questo motivo di località chiamate Pagani, dei Pagani o Pagano ve ne sono

molte, sparse un po' dappertutto. Così come vi sono molti centri chiamati

145 MOIRAGHI, L’italiano che fondò i Templari, p. 98 nota 27. Moiraghi sostiene che

queste varianti del cognome del fondatore dei Templari non possono essere versioni volgari o

varianti di Payens. Anche la storica e filologa Simonetta Cerrini ha notato che le occorrenze di

Ugo di Payns, signore del villaggio presso Troyes, non corrispondono mai a quelle che si

riferiscono al maestro del Tempio, cfr. CERRINI, La rivoluzione dei Templari, p. 23.

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Villanova o Francavilla, il cui termine deriva dai nuovi villaggi creatisi nel

medioevo, dopo l'affrancamento di un terreno da un signore locale.

Moiraghi critica la scelta di identificare Payens con il paesino nei pressi di

Troyes, affermando che, stando all'etimologia del nome, si potevano scegliere

anche altre località.146 Se si considera, oltre alla vastità dei toponimi relativi ed

affini a Payens, anche la diffusione del nome Hugo o Hugues nei territori francesi

dell'epoca,147 l'accostamento di un Hugues de Payens al fondatore dei Templari

sembrerebbe molto sommaria a detta di Moiraghi.

L'architetto, poi, sostiene che la ricerca archeologica nell'odierna Payns non

attesta nulla che confermi la presenza di un castello o di un borgo appartenente ad

eventuali signori di Payens. Un documento dell'aprile 820, citato da A. Giry in

Etudes carolingiennes,148 attesterebbe l'esistenza di Payns già all'epoca sotto il

nome di <<villa Pedenaggio>>, ma Moiraghi vede in questa interpretazione una

lettura arbitraria e forzata.149

Sappiamo, di certo, che la zona dove sorge l'attuale Payns presentava un

nucleo abitativo già intorno al XI-XII secolo. A testimoniarlo sono le ricerche

archeologiche portate avanti da Michel Bur, riportate in Vestiges d'habitat

seigneural fortifie en Champagne meridionale. Inventaires des sites

archeologiques non monumentaux de Champagne.150

146 Nel 1620, infatti, il gesuita Odon de Gissey nei suoi Discours Historiques de Notre

Dame du Puy sostenne che il fondatore dei Templari fosse nativo di Vivarai, nell' Ardeche

(Francia del sud).147 Il nome "Ugo" era assai diffuso all'epoca e molti personaggi importanti avevano quel

nome: il teologo Ugo di San Vittore, il principe di Galilea Ugo di Saint-Omer, il Gran Maestro

dell'Ospedale Ugo Revel, il re di Cipro Ugo III, il conte di La Marche Ugo VIII di Lusignano e

altri. Anche molti cavalieri templari che avevano ricoperto ruoli importanti portavano quel nome:

Ugo di Bourbouton, precettore del Tempio di Richerenches; Ugo di Dampierre, commendatore;

Ugo di Jouy, maresciallo; Ugo di Piraud, visitatore del Tempio in Occidente; Ugo di Rigaud,

procuratore; Ugo Normanno, missus del Tempio.148 A. GIRY, Etudes carolingiennes, Parigi, 1823.

149 MOIRAGHI, L'italiano che fondò i Templari, pp. 25-28.

150 M. BUR, Vestiges d'habitat seigneural fortifie en Champagne meridionale. Inventaires

des sites archeologiques non monumentaux de Champagne, vol. IV, Cahier des Lettres et Sciences

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Ma lo scetticismo di Moiraghi nei confronti di coloro che sostengono

l'origine francese di Hugo de Paganis, in particolar modo nei confronti di Thierry

Leroy,151 è basato soprattutto sulla traduzione della cronaca di Guglielmo di Tiro

ad opera di Paulis Paris. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta.

2.3 La traduzione <<faziosa>>

Tra il 1879 e il 1880 il francese Paulin Paris traduce nella propria lingua

l'Historia di Guglielmo di Tiro, dal titolo Guillaume de Tyr et ses continuateurs.152

Leggendo l'originale in latino e la sua traduzione in francese notiamo subito che

non si tratta di una traduzione letterale. Infatti, il titolo latino recita:

<<Ordo militie Tepmpli Ierosolomis instituintur>>.153

[Viene istituito l'Ordine della milizia del Tempio di Gerusalemme].

Mentre Paris scrive così:

<<Coment li ordres du Temple comenca>>.154

[Come iniziò l'ordine del Tempio].

Leggendo i due testi, Moiraghi sostiene che la traduzione francese

arricchisca e innovi l'originale testo latino. Ecco un esempio:

<<Eodem anno quidam nobiles viri de equestri ordine, deo devoti, religiosi

et timentes deum, in manu domini patriarche Christi servicio se mancipantes, more

canonicorum regularium in castitate et obedientia et sine proprio velle perpetuo

vivere professi sunt>>155

humaines de l'Université de Reims, Reims, ARERS, 1997.151 T. LEROY, Hugues de Payns, chevalier champenois, fondateur du Temple, Troyes,

Editions de la Maison du Boulanger, 2000.152 P. PARIS, Guillaume de Tyr et ses continuateurs, texte francais du XIII siecle, revu et

annotè par M. Paulin Paris, Paris, Firmin Didot et Cie, 1879-80.153 MOIRAGHI, L'italiano che fondò i Templari, pp. 55.

154 Ibidem.

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[In quello stesso anno alcuni nobili uomini della classe di cavalieri, devoti,

religiosi e timorati, affidandosi nelle mani del Patriarca di Cristo, giurarono di voler

vivere per sempre secondo la regola dei canonici regolari, in castità, obbedienza e

povertà],

tradotto con:

<<Si come Dame Dieu envoise ses graces la ou lui plest chevalier

preudome qui estoient de la terre doutremer orent talent et proposement de

remanoir a touzjors eu servise Nostre Seigneur et avoir commune vie si come

chanoine rigle. En la main au Patriarche voerent chastée et obedience et

renoncierent a toute proprieté>>156

[Poiché il Signore Dio invia le sue grazie là dove a lui piace, cavalieri prodi

che venivano dalla terra d'oltremare manifestarono disposizione e proposito di

rimanere per sempre al servizio di Nostro Signore e condurre vita comune secondo

la Regola dei canonici. Nelle mani del Patriarca fecero voto di castità e obbedienza e

rinunciarono a ogni proprietà].

Nel suo testo Guglielmo di Tiro non specifica che i cavalieri provengono

dalle terre d'oltremare (che secondo il punto di vista dell'arcivescovo era

l'Europa), non perché non fosse vero, ma semplicemente perché, essendo nato

dopo la prima crociata, la cultura del suo tempo aveva già fatto proprio il processo

di costituzione dei regni d'Outremer (che dal nostro punto di vista erano i territori

della Terra Santa), e quindi la provenienza dei primi crociati era un dato

sicuramente sottinteso. A nostro avviso Paulin Paris non può essere accusato di

aver <<aggiunto>> nuovi significati al testo di Guglielmo, in quanto egli ha solo

specificato alcuni concetti che per l'arcivescovo di Tiro erano scontati.

La critica maggiore, però, Moiraghi la muove quando Paris traduce questo

frammento:

<<Inter quos primi et precipui fuerunt viri venerabiles Hugo de Paganis et

Gaufridus de Sancto Aldemaro>>157

155 Ibidem, p.56.

156 Ibidem.

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[Fra loro i primi e più importanti furono due uomini venerabili, Ugo dei

Pagani e Goffredo di Santo Audemaro],

così:

<<Cil qui plus maintindrent ceste chose et le firent endroit eus et les autres

amonesterent de fere ce meismes furent dui chevalier. Li uns ot non Hues de Paiens

delez Troies; li autres Giefroiz de Saint Omer>>158

[Coloro che più tennero fede a queste cose, praticandole e coinvolgendo

altri nel medesimo impegno, furono due cavalieri. L'uno ha nome Hues de Paiens

presso Troyes, l'altro Giefroiz di Saint'Omer].

L'aggiunta di “delez Troies”, secondo Moiraghi, sarebbe la <<prova del

crimine>>,159 cioè una mistificazione che travisa completamente il testo, proprio

perché l'originale latino non cita in nessun passo questa probabile collocazione

geografica. In questo modo il nome di famiglia (Paganis) sarebbe diventato nome

di villaggio (Paiens). Paris avrebbe, quindi, modificato volutamente il testo

originale soltanto per dimostrare ai posteri che il fondatore del Tempio avesse

origini francesi? In realtà il medievista e paleografo francese, padre del noto

filologo Gaston Paris, mentre traduceva l'opera di Guglielmo di Tiro, avrebbe

commesso l'<<errore>> che i filologi chiamano lectio facilior, cioè trovandosi di

fronte ad un'espressione non meglio specificata l'avrebbe trascritta in base alle

influenze culturali della sua epoca, che da secoli ritenevano che il fondatore fosse

originario della Champagne, e che sapevano che in questa regione vi era un

paesino, che morfologicamente poteva richiamare il termine utilizzato da

Guglielmo. Paris avrebbe così giustificato la sua scelta, mettendo per inciso una

verità già ben nota ai suoi tempi.

Se è vero che Guglielmo di Tiro non afferma che Paganis debba essere

collegato in qualche modo con il paesino di Paiens, è anche vero che il cronista

non afferma nemmeno il contrario. Non è da escludere che Guglielmo di Tiro non

157 Ibidem.

158 Ibidem, pp.56-57.

159 Ibidem, p. 54.

69

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abbia specificato meglio la provenienza di Ugo perché non era a conoscenza delle

coordinate geografiche del paesino in questione. Il che ci porta a non escludere a

priori la <<via francese>>.

Moiraghi, inoltre, critica anche la traduzione di Gaufridus de Sancto

Aldemaro in <<Giefroiz de Saint Omer>>, poiché secondo lui il Sancto Aldemaro

è riconducibile più al santo Audemaro da San Gallo in Svizzera che a Saint-Omer

nelle Fiandre.160

3. Ugo <<campano>>

3.1 Il problema delle fonti genealogiche

L'ipotesi dell'origine italiana di Ugo de' Pagani non è del tutto recente e

nuova, dato che apparve già molti secoli fa proprio in Italia. Nel suo libro

Moiraghi passa in rassegna diversi documenti araldici e genealogici, nei quali è

attestata l'origine italiana del fondatore dei Templari. Si tratta di testi di diversa

origine, che avevano lo scopo comune di attestare la nobiltà e l'antica tradizione

delle casate o degli Ordini di appartenenza di alcune famiglie. Prima di analizzare

nel dettaglio i documenti relativi al fondatore del Tempio, è opportuno soffermarsi

sul genere al quale appartengono tali documenti.

Le genealogie come espressioni della storiografia sono da sempre

appartenute al genere umano, tanto è vero che sono attestate già ai tempi dei

Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi. Anche la Bibbia, ad esempio, inizia con un

quello che può essere definito un trattato genealogico, ovvero il Genesi. Anche al

tempo di Greci e Romani questo genere era abbastanza diffuso, e nel medioevo

signori e principi legittimavano la loro sovranità avvalendosi di genealogie ad

usum Delphini. Ma è in età moderna che ci troviamo di fronte ad una progressiva

diffusione degli scritti genealogici.. Le genealogie hanno sempre destato molte

perplessità, in passato come in presente, a causa del carattere <<incredibile>> e

spesso <<favoloso>> di alcune di esse. Nella prima parte del suo libro,

Genealogie incredibili,161 lo storico Roberto Bizzocchi ci offre un'adeguata

panoramica di come questa espressione della storiografia si sia sviluppata in età

160 Ibidem, p. 100.

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moderna, prestando molta attenzione ai diversi autori, molto spesso falsari, che

hanno contribuito a diffondere testimonianze genealogiche al di là dal vero.

Un nome su tutti è quello del frate domenicano Giovanni Nanni, più noto

come Annio da Viterbo, vissuto tra Quattrocento e Cinquecento, il quale con le

sue Antiquitates162 ha dato origine ad un settore molto interessante degli scritti

genealogici moderni, partendo dal decimo capitolo del Genesi. Annio, infatti,

correggendo gli errori degli autori classici greci, ci mostra la vera storia universale

degli uomini partendo dalla stirpe Noachica, ovvero i discendenti di Noè.

Il frate sostiene che il popolamento del mondo abbia preso origine dalla

Tuscia e da Viterbo, la cui lingua, l'etrusco, era una forma di aramaico ben più

antica dell'ebraico.163 Vi è però un intento patriottico e reverenziale negli scritti di

Annio. Oltre a identificare la culla dell'umanità nei pressi della sua Viterbo, il

frate rende omaggio ai <<cristianissimi>> sovrani spagnoli, Ferdinando ed

Isabella, attestando l'origine della Spagna ad opera di un tale Iubal o Tubal,

discendente di Noè.164 Il suo particolare legame con la Spagna è giustificato dal

fatto che nel 1499, intorno ai sessant'anni, ricevette la carica di Maestro del Sacro

Palazzo, ovvero teologo ufficiale della Curia Romana, dal papa spagnolo

Alessandro VI Borgia. Inoltre, il frate ha ricevuto proprio dall'ambasciatore

spagnolo il finanziamento per la stampa delle sue Antiquitates.165 Le <<ricerche>>

di Annio si basano su documenti da lui fabbricati e attribuiti ad autori antichi,

come nel caso di Beroso, attivo intorno al 290 a. C. e a detta del frate autore di

un'opera intitolata Deforatio.

161 R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili. Scritti di storia nell'Europa moderna,

Bologna, Il Mulino, 2009. Il libro è da intendere più come un saggio che come un trattato

sistematico, come affermato dallo stesso Bizzocchi nella sua postfazione. Per avere un'idea precisa

su come questo genere si sia sviluppato in tutta l'Europa moderna è opportuno soffermarsi sul

primo capitolo del libro (pp. 9-89).162 Per un approfondimento sulla figura del frate domenicano consigliamo la lettura di R.

WEISS, Traccia per una bibliografia di Annio da Viterbo, in <<Italia Medievale e Umanistica>>,

5, 1962, pp. 425-441.163 R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili, p. 26.

164 Ibidem, p. 27-28.

165 Ibidem, p. 26.

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Le storie noachiche di Annio hanno trovato molti seguaci in tutta Europa dal

francese Guillaume Postel,166 vissuto nel Cinquecento, al frate spagnolo del

Seicento Prudencio de Sandoval,167 dall'umanista alsaziano Hieronymus

Gebweiler168 al tedesco suo contemporaneo Volfango Lazio.169 Tutti questi autori

seguono, senza distaccarsene mai, il principio anniano secondo cui l'origine della

storia non si può ottenere se non tramite genealogie.170

Accostandoci ai testi genealogici, non possiamo limitarci a biasimare quanti

scrivono, soltanto perché sono presenti sul libro paga di qualche potente, così

come ci suggeriva Lenglet Du Fresnoy nel suo monumentale Methode pour

etudier l'histoire,171 tradotto in Italia nel 1726 presso Sebastiano Coleti di Venezia.

Lenglet individuava quattro tipi differenti si genealogie: quelle <<delle case

sovrane>>, <<delle famiglie antiche estinte>>, <<delle famiglie antiche

esistenti>> e <<delle famiglie moderne>>. L'abate francese dava anche importanti

indicazioni di metodo, avvertendo i lettori sul pericolo di andare incontro a

presupposizioni fantastiche quando si risaliva troppo indietro nel tempo. Un altro

francese, Claude François Menestrier, invece dava dignità alle ricostruzioni

genealogiche fantastiche, sia che fossero tratte dal romanzo o dalla leggenda. In

Diverses especes de noblesse, et les manieres d'en dresser les Preuves, inoltre,

affermava che per provare la nobiltà della propria famiglia bisognava innanzitutto

portare atti e documenti da sottoporre a verifica.

166 Ibidem, p. 31.

167 Ibidem, p. 38.

168 Ibidem, p. 42.

169 Ibidem, p. 45.

170 Ibidem, p. 26-27: <<quia origo haberi non potest nisi per genealogias>>.

171 N. LENGLET DU FRESNOY, Methode pour etudier l'Histoire, avec un Catalogue des

principaux Historiens, et des Remarques sur la bonté de leurs Ouvrages, et sur le choix des

meilleures Editions. Par M. L'Abbé lenglet Du Fresnoy. Nouvelle Edition, Augumentée de Cartes

Géographiques, Parigi, presso Pierre Gandouin, 1729. La prima edizione risale al 1713, mentre

l'aggiunta di due Supplements risale al 1741, stampato a Parigi presso Rollin fils et de Buré l'aisné

Libraires.

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Non possiamo capire a fondo il significato delle genealogie moderne se non

analizziamo i loro debiti con la produzione genealogica dell'antichità, greca,

romana e cristiana che sia.

L'uomo è solito associare al termine <<mitologia>> un insieme di credenze

e di racconti inverosimili, che nulla hanno a che fare con la realtà. Ma riguardo

alle genealogie eroiche di Omero, che pur rientrano nel settore mitologico, gli

storici sono sempre più insoliti a classificarle come pura fantasia poetica.172 Da un

lato si rigetta la scuola di pensiero dell'antropologo Levi-Bruhl, che considerava il

pensiero <<primitivo>> completamente dominato dalle emozioni e dalle

rappresentazioni mistiche. Dall'altro si mette da parte la scuola funzionalistica di

Malinowski, il quale riteneva che il pensiero dei popoli <<primitivi>> fosse

condizionato dai bisogni primari dell'esistenza (procurarsi i mezzi di sussistenza,

soddisfare le esigenze sessuali, ecc.).

L'antropologo francese Claude Levi-Strauss ci ha mostrato come in realtà i

popoli primitivi siano in grado di produrre un pensiero disinteressato e

intellettuale al tempo stesso, senza che esso sia legato al soddisfacimento dei

bisogni primitivi o dominato esclusivamente dalle emozioni. Questi popoli,

quindi, sono <<mossi dal bisogno o dal desiderio di capire il mondo intorno a

loro, la natura o la società>>.173 È così che nasce il mito, come un tentativo di

comprendere l'universo in maniera totalizzante. Il mito greco, nato in età arcaica,

venne poi sfruttato dai greci dell'età classica, i quali usavano le genealogie eroiche

di Omero per spiegare le diverse realtà del loro tempo: famiglie, dinastie, città,

culti, istituti politici.

Due erano le tipologie genealogiche che venivano seguite dai greci: quella

dell'autoctonia e quella dell'eroe fondatore. Alla prima tipologia appartiene, ad

esempio, il mito dell'origine di Atene e dei suoi cittadini.174 La seconda tipologia,

172 Per approfondire l'argomento si può leggere anche M.J. FINLEY, Il mondo di Odisseo,

Bari, 1978.173 C. LEVI-STRAUSS, Mito e significato. Cinque conversazioni radiofoniche, Milano, Il

Saggiatore, 2010, p. 30.174 Un'accurata sintesi degli sviluppi dei diversi miti che circolarono intorno all'origine di

Atene si trova in P. ELLINGER, Il mito: riscritture e riusi, in Storia Einaudi dei Greci e dei

Romani, a cura di S. SETTIS, Torino, Einaudi, 2008, vol. VI, pp-841-850.

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invece, ottenne una notevole diffusione nelle genealogie di epoca romana. Infatti,

l'origine dei futuri padroni d'Europa, presentato da Virgilio, Plutarco e Tito Livio

(soltanto per citarne alcuni), trae spunto dal mito dello sbarco di Enea nel Lazio,

dalla fondazione di Alba Longa e dalla discendenza di Rea Silvia, madre di

Romolo e Remo, da Ascanio, figlio di Enea e Creusa.

Le genealogie romane, però, presentano una caratteristica che le differenzia

notevolmente da quelle greche. Più che dalle divinità o da personaggi mitologici,

ai romani piaceva discendere dai consoli, quasi a voler legare la propria famiglia

alle importanti vicende che hanno caratterizzato la storia dell'Urbe. L'utilizzo così

marcatamente civico delle genealogie romane porta gli annalisti a costruire la

storia della città tramite la storia delle famiglie gentilizie, il che significa andare in

contro a facili manipolazioni. Ci ammonisce anche Tito Livio di questa

conseguenza quando scrive:

<<Credo che la storia sia stata alterata dagli elogi funebri e dalla falsità

delle iscrizioni poste sotto i ritratti, impegnata com'è ciascuna famiglia ad attribuire

a sé la fama delle imprese compiute e delle cariche ricoperte, per il fascino che

esercita la menzogna; da ciò certamente deriva la confusione che regna nelle gesta

dei singoli e nei documenti ufficiali. Né esiste alcuno scrittore contemporaneo a

quegli avvenimenti, sulla cui autorità ci si possa abbastanza sicuramente

fondare>>.175

Livio non fu l'unico uomo antico ad avere una certa avversione nei confronti

delle ricostruzioni genealogiche. Anche Platone e Seneca mostrarono tutto il loro

scetticismo contro la vanagloria della nobiltà, a causa del continuo mutare della

Fortuna. Così scriveva Seneca:

<<Platone afferma che non c'è nessun re che non tragga le sue origini da

schiavi, e nessuno schiavo che non derivi da un re. Un lungo alternarsi di vicende ha

mischiato queste condizioni sociali, e la fortuna le ha capovolte a suo capriccio. Chi

è nobile? Colui che è stato ben disposto dalla natura alla virtù>>.176

175 T. LIVIO, Ab Urbe condita, VIII, 40, 4-5 (trad. M. Scandola), citato in R.

BIZZOCCHI, Genealogie incredibili, p. 112.

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A criticare questo settore della storiografia troviamo anche i cristiani, i quali

contrapponevano alla nobiltà e alle differenze di sangue la comune discendenza da

Adamo ed Eva, la comune fratellanza con il Messia e la redenzione eterna

promessa a ogni singolo uomo della Terra, senza alcuna distinzione. Col passare

dei secoli, però, l'atteggiamento della Chiesa è mutato. Infatti, uno dei tanti topoi

dell'agiografia medievale era il binomio nobiltà-santità, secondo il quale <<la

perfezione morale e spirituale difficilmente potesse essere raggiunta da persone

che non provenissero da una stirpe illustre>>.177

Le genealogie romane, quindi, ci hanno fatto capire che patriziato e

nobilitas non sono sinonimi, poiché la nobiltà non è data soltanto dalla

<<purezza>> del sangue ma anche, soprattutto, dal contributo che il singolo

cittadino ha dato allo Stato nelle sue maggiori magistrature. Il dibattito tra

nobilitas e virtù non si sopisce con l'avvento dell'età moderna, anzi trova nuova

linfa. Lo scrittore di storia e di politica Scipione Ammirato, colui che ha dato una

dignità scientifica agli scritti genealogici, sosteneva che, per quanto un nobile

cattivo fosse degno di biasimo e un uomo comune degno di lode, mai un

<<ignobil>> potesse precedere un nobile.178

Nella Napoli cinquecentesca e seicentesca l'antica nobiltà andava ricercata

nei rapporti con le vicende legate alle diverse dinastie straniere che hanno segnato

la storia del Regno. Venezia, invece, era molto legata alla storia della propria

Repubblica e dei nobili che avevano contribuito a darle lustro. Nella città

lagunare, così come nell'antica Roma, la produzione di opere genealogiche era

perciò caratterizzata da un forte uso civico, per questo gli alberi genealogici erano

meno bizzarri rispetto a quelli di altre regioni italiane.179

176 SENECA, Ad Lucilium, V, 44, 1, 4-6 (trad. G. Monti), citato in R. BIZZOCCHI,

Genealogie incredibili, p. 96.177 A. VAUCHEZ, La sainteté en Occident aux derniers siécles du Moyen Age, Roma,

Ecole française de Rome, 1981 (trad. it. La santità nel Medioevo, Bologna, il Mulino, 1989), p.

129.178 R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili, p. 241.

179 Ibidem, p. 243-244. Per una panoramica sugli sviluppi delle genealogie

cinquecentesche e seicentesche del Regno di Napoli leggere anche A. SANNINO, Le storie

genealogiche, in Il libro e la piazza. Le storie locali dei Regni di Napoli e di Sicilia in età

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Nel complesso quadro dell'Europa moderna è la Francia a vantarsi di avere

il primato assoluto in materia di genealogia. Nel regno dei Borbone, infatti,

assistiamo ad una sempre più progressiva diffusione del materiale genealogico.

Riflettendo sulle ragioni che hanno portato a questo sviluppo, notiamo che tra la

fine del XVI e l'inizio del XVII secolo il primato della nobiltà antica, detta anche

nobiltà di spada e derivante dalle antiche famiglie aristocratiche e cavalleresche

medievali, venne scalfito in favore di una nuova classe di nobili, i cosiddetti nobili

di toga.180 Questi altro non erano che funzionari della pubblica amministrazione e

del governo, che avevano acquistato tali incarichi direttamente dal sovrano.

Questa prassi fu tipica della monarchia francese, prima della caduta dell'Ancien

régime. I sovrani, in effetti, avevano continuo bisogno di arricchire le proprie

finanze e per questo motivo creavano nuovi incarichi amministrativi, che poi

venivano venduti ad esperti del settore giuridico (giuristi, notai, docenti

universitari, ecc.). Tali funzionari, una volta entrati nel complesso sistema della

gestione del potere, tendevano a tramandare ereditariamente il loro incarico.181 Il

passaggio delle cariche da padre in figlio favorì la nascita di una coscienza di

gruppo molto forte e causò contrasti non solo con i membri della nobiltà di spada

ma anche tra i membri stessi della nobiltà di toga.

Accadeva sempre spesso che il sovrano istituisse nuove cariche, che poi

venivano vendute a quanti aspiravano entrare nella cerchia dei nobili di toga.

Questa prassi col passare del tempo causò un forte astio tra coloro che

appartenevano alla nobiltà togata già da tempo, perché in questo modo si rendeva

il gruppo sempre meno elitario e sempre più aperto alla plebe. Contro la massiccia

espansione della nobiltà di toga molte famiglie aristocratiche cercarono di

recuperare il prestigio perduto dando lustro al proprio casato grazie alla

compilazione di dettagliate genealogie familiari, all'interno delle quali venivano

moderna, a cura di A. Lerra, Manduria-Bari-Roma, Lacaita ed., 2004, pp. 109-155. 180 Il termine nobiltà di toga deriva dall'obbligo che avevano i laureandi di indossare la

toga nel momento della discussione della tesi. I cosiddetti nobili di toga, infatti, godevano tutti di

una preparazione universitaria.181 Questa prassi fu istituzionalizzata nel 1604 da Enrico IV con l'editto della

<<Paulette>>.

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inseriti illustri personaggi storici (grandi condottieri, sovrani, papi, santi, ecc.),

nella maggior parte dei casi del tutto estranei alla reale genealogia della famiglia.

L'invadenza delle genealogie nell'ambiente aristocratico costrinse molti

antichi nobili a effettuare una rapida carrellata sulla cultura genealogica

nell'Antico Regime. Uno di essi è Louis Rouvroy, duca di Saint-Simon,

discendente dei conti di Vermandois, a loro volta discendenti di Carlo Magno

tramite il nipote Bernardo.182

Nelle sue Memoires, Rouvroy racconta di aver fatto visita al vescovo di

Noyon, appartenente alla famiglia di Clermont-Tonnerre. In casa del prelato il

duca di Saint-Simon racconta di aver visto un'immagine raffigurante i santi e le

sante della famiglia, e due altre grandi tavole genealogiche, una intitolata

Discendenza dell'augustissima casa di Clermont-Tonnerre dagli imperatori

d'Oriente, l'altra Discendenza dell'augustissima casa di Clermont-Tonnerre dagli

imperatori d'Occidente.183

Nell'ambito di una ricostruzione storica affidabile i documenti genealogici e

araldici vanno studiati con particolare attenzione, perché non sempre contengono

informazioni storicamente esatte. Come aveva già individuato l'abate francese

Lenglet più ci si allontanava dalla contemporaneità e più ci si avvicinava a

resoconti fantastici, i quali erano però raccontati <<con un'intenzionalità e una

logica precisa e ricca di significati non appariscenti che occorre volta a volta

disoccultare tenendo conto della singola famiglia e della situazione politica>>.184

Per questo motivo la presenza del fondatore dei Templari all'interno degli

alberi genealogici della famiglia campana de Paganis va studiato con occhio

critico.

3.2 Il fondatore del Tempio negli alberi genealogici italiani

Nel XVII secolo il genealogista e araldista Filiberto Campanile nel libro

L'armi, overo insegne de' nobili, stampato a Napoli nel 1610 nella stamperia di

182 R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili, p. 67.

183 Ibidem, p. 68.

184 M. A. VISCEGLIA, Il bisogno di eternità: I comportamenti aristocratici a Napoli

nell'età moderna, Napoli, Guida ed., 1988, p. 165.

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Tarquinio Longo, tratta della nobile famiglia Pagani o de Paganis in relazione alla

località campana di Nocera dei Pagani. Questo il testo di Campanile:

<<L'armi della casa Pagana sono uno scudo partito nel mezo, nella cui

parte di su è il campo d'argento seminato di code d'Armelino nere, e sopra di quelle

pende un rastrello a tre denti di color vermiglio, e nella parte di giu' vi sono tre

bande d'oro accompagnate da tre altre azure, & attorno a tutta l'arme, cioè nell'orlo

dello scudo compartite, e e raddoppiate più volte l'insegne reali di Francia, che sono

i gigi d'oro in campo azuro col rastrello vermiglio, e quelle del Regno di

Gierusalemme, ch'è la croce d'oro in campo d'argento, le quali armi reali furono dal

Re Lodovico II, concedute al Cavalier Galeotto Pagano, & a tutta la sua famiglia,

come più adentro dimostreremo.

Trahe origine questa famiglia (per quanto habbiam veduto da una cronica

scritta ad instantia dalla Reina Giovanna) da Albertino antico Cavalier di Bertagna,

il quale hauendo tolta per moglie la nipote del suo Duca, tolse anche nello scudo

delle sue armi l'insegne di quel Signore. Costui accompagnandosi con Tancredi

Normanno venne da queste parti, & edificate alcune case ne' tenimenti di Nocera, &

indi discacciando i Saracini, che vi haueuano antica stanza, diede per tal ragione

nome al luogo Pagani, onde fur anche poscia denominati i suoi descendenti.[...].

Et per una scrittura185 della Trinità di Venosa appare, che Pagano de' Pagani

insieme con Emma sua moglie essendo Signor della Forenza in Basilicata nell'anno

1084 dona a quel Monasterio due Chiese, ch'erano nel suo territorio della Forenza,

chiamata l'una S. Giovanni di Sala, e l'altra Santa Costantina, riceuendone la

possessione un abate detto Berengario, che se ne fè publico instrumento. Nacquero

di Pagano due figliuoli, che furono Ugone, e Disigio.

Ugone nell'anno 1117, sotto il Pontificato di Gelasio II, passando in

Gierusalem ivi con Goffredo di Santo Ademaro, & altri (che dall'Arcivescovo di

Tiro, il qual di quella historia fa lungo discorso ne' suoi libri della guerra sacra

vengon chiamati nobilissimi, & altri Cavalieri) istituì l'ordine de' Templari, e ne fu

egli il primier Gran Maestro, com'anche confirmano Carlo Sigonio, Paulo Emilio,

Volaterano, & altri.>>.186

Campanile può essere considerato come la fonte araldica più importante

riguardo alla famiglia di Ugo dei Pagani, poiché contiene l'elenco dettagliato dei

principali avi di Ugo e dei discendenti più vicini. Moiraghi, inoltre, identifica in

185 Il testo della donazione è contenuto nel ms. Brindisi, Bibl. De Leo, B 5, fol. 100v .

186 F. CAMPANILE, L'armi, overo insegne de' nobili, Napoli, stampato presso i tipi di

Tarquinio Longo, 1610, pp. 252-53.

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Pagano, figlio di Disigio e nipote di Ugo, il Paganus de Montdidier, uno dei

fondatori dell'ordine, presente anche al concilio di Troyes.187 Tale cavaliere

compare nella donazione fatta da Thierry di Fiandra nel 1128 e in un'altra fatta

poco dopo il concilio di Troyes. Nel 1130 viene nominato Siniscalco e Ugo gli

affida la gestione dei suoi beni in Francia.

Da Napoli passiamo a Palermo, dove Antonino d'Amico nel 1636 compone

l'opera Brevis et exacta noticia originis Sacrae Domus Templi. Il testo relativo al

fondatore del Tempio, come riportato da Moiraghi, è il seguente:

<<Hugo de Paganis e Goffredo di santo Ademaro, il primo italiano e

originario di Nocera, presso Salerno, il secondo gallo di provincia francese, diedero

inizio all'Ordine dei Militi Templari di Gerusalemme, sotto Baldovino II, nell'anno

MCXVIII>>.188

Se il testo di Campanile offre all'architetto lo spunto di tracciare un

sommario albero genealogico della famiglia di Ugo, il testo di d'Amico non può

essere utilizzato come documento provante l'origine del fondatore, perché lo

stesso Moiraghi afferma in una nota di non essere riuscito a trovare e a consultare

direttamente il testo, perciò egli riporta la citazione <<con beneficio di inventario,

come si trova menzionata in altre opere araldiche>>.189 L'architetto rimprovera

Paulin Paris di non tradurre fedelmente il testo di Guglielmo di Tiro, ma egli

stesso compie l'errore grossolano di inserire, tra i documenti che proverebbero

l'origine campana di Ugo, alcuni testi che non è riuscito a consultare.

Da Palermo risaliamo fino a Venezia, dove l'ambasciatore veneziano in

Boemia Bernardo Giustinian pubblica le Historie Cronologiche dell'Origine

degl'Ordini Militari e di tutte le religioni Cavalleresche Infino ad hora instituite

nel Mondo, nel 1692. Di seguito il testo del Giustinian come riportato da

Moiraghi:

187 CERRINI, La rivoluzione dei Templari, p. 82.

188 Ibidem, pp. 63-64.

189 Ibidem, p. 64.

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<<Restarono instigati più e più Masnadieri d'invadere li poveri passagieri

che s'inviavano al divoto pellegrinaggio. Non sofferse l'incompresa clemenza del

Rettore dei Cieli, che chi nulla stimava la propria vita nei perigli per adorare il di lui

Santo Sepolcro, rimanesse sepolto nei propri eccidij; onde stillò con larga destra

zelo di vera divozione nel cuore di Gottifredo di Sant'Aldemano Francese, ed Ugo

de' Pagani della Famiglia Pagani di Nocera, nella Provincia di Basilicata nel Regno

di Napoli, quivi capitati alla visita del Santo Sepolcro. Questi come sprezzarono il

perigli degl'Assassini, così non curarono né meno la propria vita nel cimento della

desolazione di quei perfidi ladroni; fermatisi dunque in quelle parti, formarono di

nove compagni, e d'altri seguaci ben armata squadra, resa più numerosa da' pensieri

divoti nodriti da' Cavalieri. Eglino prima ricorsero a' piedi del Santo Patriarca di

Gerosolima Wormondo, ò Guarimondo, ed al ginocchio del Rè Baldovino giurarono

voto solenne, di purgare quei paesi dagl'assassini, difender la santa Fede di Cristo,

osservare Castità coniugale, povertà, ed obbedienza; render sicuri, ed albergati quei

Peregrini, che all'adorazione del Santo Monumento facevano divoto passaggio,

ottenendo da quel Prelato la Regola di San Basilio, [...] perciò Baldovino fece

edificare lodabile Hospizio appresso il Tempio del Santo Sepolcro, chiamato il

Palazzo, nel piano alla porta di mezzo giorno, ceduto dai Canonici dello stesso

Tempio, assegnandolo a' Cavalieri difensori de' viandanti, da cui poscia furono

denominati Cavalieri Templari>>.190

L'opera del Giustinian, non appartenendo al genere araldico, potrebbe

godere di un’attenzione maggiore rispetto ai testi di Campanile e di d'Amico, se

non fosse per alcuni vistosi errori, che macchiano la veridicità dei fatti da lui

narrati. Il Giustinian, infatti, afferma che i cavalieri templari ottennero dal

patriarca di Gerusalemme la regola di san Basilio, mentre sappiamo per certo che

i cavalieri di Hugo, prima che il concilio di Troyes stabilisse la loro regola,

entrarono nella comunità dei Canonici del Santo Sepolcro, che seguiva invece la

regola di sant’Agostino.191

Ritornando alle fonti araldiche, circa due secoli dopo il commendatore

pisano Giovanni Battista di Crollalanza pubblica a Pisa il Dizionario storico

190 Ibidem, p. 65.

191 FRALE, I Templari, p. 20.

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blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, nel 1886.192

Nella descrizione della famiglia Pagano egli scrive:

<<PAGANO di Napoli, di Lucera, di Nocera de' Pagani. – Derivata da un

Albertino, cavaliere di Bretagna, il quale, avendo sposato la nipote del suo duca

sovrano, per cui adottò nel suo scudo l’armellino, insegna di quel principe, seguì

Tancredi il Normanno per conquistare le contrade napoletane occupate dai Saraceni.

Edificate alcune case in quel di Nocera, e discacciatine gl'infedeli, a perpetuare il

ricordo, il detto Albertino die' il nome di Nocera de' Pagani a quella città, ed i suoi

posteri assunsero il nome di Pagano. Nel napoletano questa famiglia è stata una delle

più illustri, avendo goduto nobiltà a Napoli nei sedili di Porto, di Portanova e di

Montagna, in Lucera, in Crotone, in Nocera, in Caserta e in Reggio. [...] Grande

illustrazione di questa famiglia fu Ugone Pagano uno dei fondatori e primo gran

maestro dell'Ordine de' Templari nel 1119. […] – ARMA: Partito; nel 1° d'armellino

col lambello di tre pendenti di rosso; nel 2° bandato d'oro e d'azzurro; con la bordura

raddoppiata ed alternata dieci volte, all'armi d'Angiò e di Gerusalemme>>.193

Confrontando il testo di Giovanni Battista di Crollalanza con quello di

Filiberto Campanile si può notare come la descrizione dell'origine della città di

Nocera dei Pagani sia pressoché identica. Entrambi gli scrittori utilizzano la stessa

sequenza di nomi, di eventi e anche il periodare è pressoché identico. L'unica

vistosa differenza è che in Campanile la descrizione del blasone viene fatta prima

della descrizione della nascita di Nocera dei Pagani, in Giovanni Battista dopo.

Queste vistose somiglianze sono causate dal fatto che il Crollalanza ha

utilizzato il testo del Campanile come una delle fonti principali per la redazione

della sua opera.194

4. La <<lettera Amarelli>>

La chiave di volta della tesi di Moiraghi è racchiusa in una lettera che Ugo

dei Pagani avrebbe inviato a un suo zio, tale Leonardo Amarelli di Rossano

192 Il testo è stato anche riedito da Arnaldo Forni nel 1990.

193 G. B. DI CROLLALANZA, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e

notabili italiane estinte e fiorenti, Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1990, vol. II, p. 253.194 Ibidem, vol. III, p. 315.

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Calabro. Questa lettera, oltre a fornirci ulteriori dettagli sui legami di parentela di

Ugo dei Pagani con membri della nobiltà italiana, testimonierebbe l'esistenza

dell'ordine dei Templari già nei primissimi anni del XII secolo.

In sintesi, il fondatore dell'ordine inviò la lettera allo zio Leonardo per

informarlo della morte del figlio Alessandro, avvenuta durante uno scontro in

Terra Santa.

Secondo Moiraghi la lettera sarebbe autentica, ed è stata menzionata in

precedenza anche da Domenico Rotundo in Templari, Misteri e Cattedrali195 e da

Alfredo Gradilone in Storia di Rossano.196 Riportiamo di seguito il testo della

lettera così come l'architetto l'ha riportato nel suo libro, dopo aver esaminato il

documento per gentile concessione di Giorgio Amarelli.

Molto magnifico signor zio padre osservantíssimo.

Dopo che gionsimo qua in Hierusalem io et Alessandro vostro figlio e mio

cordialissimo fratello con li altri Gentilhomini nostri compagni, tra dieci ch'eramo

io et Alessandro fummo eletti che andassimo a baciar la mano et far riverenza alla

Maestà del Re Balduino, con condolerci della morte del sig. Duca Goffredo suo

fratello et avendoli raggionato della nostra ferma deliberatione di havere a

guardare et far sicuri tutti quelli passi per dove li fedeli Christiani veneno a visitare

lo Santo Sepolchro, et che sempre da assassini infedeli molestati et che da noi

gentilhomini d'honore per l'amore di Nostro Signore Gesù promettemo d'osservare

con voto di voler morire in ogni modo che mancare di farlo e tanto più che molti

altri dei nostri concorrono a detta difesa. Da Sua Maestà fummo assai lodati et con

abbracciamenti come veri figliuoli licentiati. Onde essendo noi quasi ogni dì a

crudel battaglia con nemici della Santa Fede, Alessandro, essendo andato ad un

aguaito con due suoi servitori e venticinque soldati se trovò di tal maniera intrigato

che con havere usato lo suo valore de animoso gentilhomo contro cento infedeli

assassini di passo, ottenne la vittoria di tutti fandoli passare per il fil di spada. Però

dei nostri morsero li due suoi servidori et cinque soldati, et Alessandro fu ferito in

testa malamente che hoggi è passato da questa vita con infinito mio scontento. Però

considerato che se ne è andato in Paradiso, resto assai consolato; è stato pianto da

tutti per il suo valore, in specie dalla Maestà di Re Balduino; è stato sepolto in un

tumulo di marmo con honore grande accompagnato dal Re et infiniti Gentilhomini

195 D. ROTUNDO, Templari, Misteri e Cattedrali, Roma, Ed. Templari, 1983.

196 A. GRADILONE, Storia di Rossano, Cosenza, MIT, 1967.

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et soldati; mi comandò all'ultimo di sua vita che scrivesse a Vostra Signoria che

restasse consolato con il volere di Dio Benedecto; però, signor zio, la prego ad,

havere pacienza et stia sicurissimo che l'havemo in Cielo, dove prega per tutti noi;

ho scritto a mio padre in Nocera che mi faccia gratia venire a Rossano per

consolare V.S. et a Madama Zia Hippolita, e a tutti nostri parenti et che tutti stiamo

allegramente che Alessandro è vivo in Paradiso, e che trattando che mio padre non

venerà le mandi questa lettera acciocchè V.S. Madama Zia Hippolita vostra moglie

et il signor fratello mio carissimo Anzoise, et tutti li parenti preghino Iddio per me,

che se haverò vita venerò a starmi in Rossano per l'amore che porto a tutti. Sono

restati in mio potere tre suoi vestiti et un altro di scarlato guarnito d'oro et veluto,

le arme et un bellissimo cavallo che lo comperò cento et diece scuti; mi sono rimasti

ancora in potere ottocento et quaranta scuri d'oro contanti che li cambiò da Roma.

A suo tempo spero di soddisfare ogni cosa; tra questo mezzo me ne servirò, et mio

padre quando verrà a Rossano porterà tutta la moneta perché cosi l'ho scritto che

soddisfacci. Mi disse ancora che V.S. non manchi de consolare alli parenti di suoi

servidori perché l'hanno servuto fedelmente fino alla morte et che per amor suo V.S.

non manchi di aggiutargli et massime alli loro padri et madri, se saranno vivi. Non

altro Nostro Signore ce liberi da ogni male.

Da Hierusalemme a 18 ottobre MCIII

De Vostra Signoria Figlio et Nepote Ubbidientissimo

Ugo dei Pagani.197

La trasmissione di questa lettera è molto curiosa. L'originale in latino è

andato perduto ma l'antica famiglia Amarelli di Rossano Calabro avrebbe fatto

tradurre la missiva in volgare nel XV secolo e l'avrebbe inserita nel manoscritto

Libro nel quale si dimostra la nobiltà dell'antica fameglia Amarelli Della

Nobilissima Città di Rossano, datato 1469.198 Tale manoscritto sarebbe stato

autenticato dal notaio Johannes Bernardinus Frecentesius il 4 agosto 1617, il quale

avrebbe certificato che la traduzione era conforme all'originale latino. Si dovrebbe

pensare, quindi, che al 1617 esisteva sia l'originale in latino che la traduzione del

XV secolo.199

197 Ibidem, pp. 73-74.

198 Ibidem, p. 76.

199 Ibidem, p. 77.

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Lo storico Franco Cardini, però, critica coloro che ritengono autentica e

veritiera la <<Lettera Amarelli>> perché il manoscritto datato 1469 presenta non

soltanto la grafia ma anche il tono e lo stile tipici del Seicento, mentre il contenuto

viene giudicato ampolloso e ridicolo.200 Si tratterebbe quindi di un falso creato ad

arte soltanto per dare un antenato illustre alla nobile famiglia Amarelli? Nella

storia dei manoscritti italiani non è raro che un editore indichi sul frontespizio una

data anteriore rispetto a quella vera, così come il luogo di stampa può essere

falsificato per rendere il testo più <<appetibile>>. Prendiamo ad esempio una

dichiarazione fatta dal filosofo Giordano Bruno al tribunale dell'Inquisizione il 2

giugno 1592. Alla domanda <<se li libri stampati sono in effetto stati stampati

nelle città e luochi secondo l'impressione loro o pure altrove>>, il filosofo rispose:

<<Tutti quelli che dicon nella impression loro che sono stati stampati in

Venezia, sono stati stampati in Inghilterra; e fu il stampator che volse metterve che

erano stampati in Venezia, per venderli più facilmente ed acciò avessero maggio

esito, perché quando s'avesse detto che fossero stampati in Inghilterra, più

difficilmente se averiano venduti; in quelle parti; e quasi tutti li altri ancora sono

stampati in Inghilterra, ancor che dicano Parisi o altrove>>.201

Lo studio dei documenti storici andrebbe effettuato da esperti in materia e

non soltanto da appassionati, dotati di pazienza e buona volontà. La storia ci offre

una vastissima quantità di documenti falsi. Uno su tutti il Constitutum

Constantini, meglio conosciuto come la <<donazione di Costantino>>.

Non si sa se questo documento sia stato fabbricato in Francia o nella corte

papale nella seconda metà del VIII secolo o più tardi, quello che è certo è che tale

documento serviva a giustificare il <<diritto>> della Chiesa sui domini bizantini

in Italia e nell’Europa occidentale. Il documento è datato 313 d. C., quando

l’imperatore Costantino dona a papa Silvestro l’occidentale regnum, dopo esser

stato guarito dalla lebbra. Il Constitutum ha giustificato la formazione del potere

temporale dei papi e ha posto le basi per la successiva formazione delle teorie di

200 CARDINI, La tradizione templare, p. 60 nota 10.

201 G. BRUNO, Le deposizioni davanti al tribunale dell'Inquisizione, a cura di A.

GARGANO, Napoli, La Città del Sole, 2007, p. 20.

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supremazia della Chiesa sull’Impero. Il documento non venne citato per molti

secoli fino al XI secolo, infatti né il pactum tra Ludovico il Pio e Pasquale I

dell’817, né il pactum Othonis tra Ottone I e Giovanni XII del 962, né i canonisti

Reginone di Pruum, Graziano di Bologna e Stefano di Tournai citano mai la

donazione di Costantino.202 Anzi, già nel 1001 Ottone III lo considerava

un’impostura ad opera di tale Giovanni Diacone dalle Dita Mozze. Nel 1152, il

tedesco Wezel, seguace delle idee di Arnaldo da Brescia, attaccava la presunta

donazione costantiniana, come fece anche Manfredi nell’Epistola ad Romanos del

1265.203 La definitiva prova della falsità del Constitutum ce la fornì il filologo

umanista Lorenzo Valla nella De falso credita et ementita Constantini donatione

declamatio, scritta nel 1440 e pubblicata nel 1517.

Come ci suggeriva Marc Bloch nella sua Apologia della storia: <<[Ma]

constatare l’inganno non basta. Occorre anche svelarne i motivi. Non foss’altro,

anzitutto, che per scoprirlo meglio>>,204 ovvero cercare l’impostore dietro

l’impostura. Per questo lo studio dei documenti storici andrebbe effettuato da

esperti in materia e non soltanto da appassionati, dotati di pazienza e buona

volontà.

Sarebbe stato di grande aiuto avere l'originale latino della <<Lettera

Amarelli>> per poter operare un'approfondita analisi filologica, confrontando ad

esempio la grafia, lo stile e il lessico di questa lettera con quella che magister

Hugo inviò ai soldati di Cristo, la lettera <<Christi militibus>>. Ma la perdita

dell'originale non ci concede di trarre conclusioni certe.

Per quanto riguarda i contenuti, il testo sembra indicare che l'attività di

protezione dei pellegrini da parte di Ugo e dei suoi compagni sia iniziata già agli

inizi del XII secolo. Essi ebbero anche un colloquio con il re di Gerusalemme

Baldovino, al quale parlarono del loro progetto di salvaguardare la sicurezza dei

pellegrini che visitavano la Terra Santa. Nella lettera, Ugo (o chi per lui) non

afferma l'esistenza dell'ordine e la sua ufficializzazione da parte del re già al

202 B. NARDI, La donazione di Costantino, in D. ALIGHIERI, Inferno, la Divina

Commedia annotata e commentata da Tommaso di Salvo, Bologna, Zanichelli, 2003, p. 380.203 Ibidem, p. 381.

204 BLOCH, Apologia della storia, p.72.

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tempo in cui venne redatta la lettera (1103), pertanto non possiamo dire se l'ordine

sia stato creato prima del 1118-1119, come invece sostiene Moiraghi.

Sulla storia della famiglia Amarelli vediamo cosa riporta il testo del

Crollalanza:

AMARELLI di Rossano in Calabria. (Baroni). – Discendente da Ansoise

Amarelli, uno dei trenta Duchi venuti dal settentrione in Italia, esiste ancora in

Rossano. Fu celebre un Alessandro Amarelli, crociato sotto il re Balduino. Giovan-

Leonardo su aggregato alla nobiltà dell'ordine senatorio di Messina, e dichiarato

Conte Palatino. Il Barone Giuseppe Amarelli ebbe la conferma della nobiltà

messinese nel 1835 per sé e per i suoi discendenti in perpetuo. – ARMA: D'azzurro,

al leone d'argento, lampassato di rosso, impungnante con le branche anteriori un

mazzetto di fiori del secondo.

Crollalanza non fa alcun riferimento al legame di parentela tra il

<<celebre>> crociato Alessandro Amarelli e la famiglia de' Pagani. Ma

nell'archivio della famiglia Amarelli Moiraghi afferma di aver trovato anche un

libro datato 1600 e intitolato Sulle famiglie illustri del Regno di Napoli, edito in

Napoli presso Nicola Gervasi, nel quale alla voce “Alessandro Amarelli” si può

leggere:

<<Alessandro Amarelli nacque verso l'anno 1071 nella città di Rossano in

Calabria Citeriore da Leonardo e da Ippolita de' Pagani de' Signori della città di

Nocera. [...] Insieme con Anzoise suo fratello maggiore fu nobilmente educato e

nutrito né sentimenti della Cavalleria di quel tempo, e sin dagli anni più teneri si

manifestò in lui il genio militare, accompagnato dal disprezzo de' perigli e dal

confronto con grandi ed eroiche azioni. Egli in età di anni venti, per secondare i

sentimenti generosi del padre, vedendo che da tutti i paesi d'Europa, i giovani delle

più nobili famiglie prendevano le armi, per andare a combattere gli infedeli, che con

guerra ostinata tentavano ogni giorno di riacquistare i luoghi Santi di Gerusalemme,

lasciando ad Anzoise tutta la cura e l'amministrazione della famiglia, unitosi con suo

fratello e cugino Ugone de' Pagani, giovane ugualmente valoroso e ardente, levando

soldati a loro spese, e messisi alla loro testa, come Capitani, si portaron con essi

nell'anno 1101 in Gerusalemme, ove si presentarono a re Balduino>>.205

205 MOIRAGHI, L'italiano che fondò i Templari, p. 78.

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Un'ulteriore prova dell'autenticità della <<lettera Amarelli>> e dell'effettiva

parentela tra la famiglia calabrese e il fondatore del Tempio verrebbe dal libro di

Alfredo Gradilone, Storia di Rossano, nel quale l'autore evidenzia la presenza di

esponenti della famiglia Amarelli nelle vicende legate alle crociate. Gradilone,

raccontando di Alessandro Amarelli e del suo impegno in Terra Santa, cita l'opera

di uno scrittore seicentesco crotonese, G. B. Scuro, che in una sua opera206

racconta proprio la vicenda legata al giovane cavaliere calabrese.207

Da tutti i documenti che ha avuto modo di consultare, Moiraghi ha tracciato

un albero genealogico,208 molto approssimativo, in base al quale si dovrebbe

evincere l'origine italiana di Ugo dei Pagani.

206 G. B. SCURO, Expositio aurea, Messina, 1629.

207 MOIRAGHI, L'italiano che fondò i Templari, p. 88.

208 Ibidem, p.68.

87

Ippolita

Abelardo de' PaganiProtettore dei Tempio

Pagano de' PaganiSiniscalco

Sigilberto de' Pagani

Guglilelmo de' PaganiDuca di Calabria

Giovanni de' PaganiProtettore dei Templari

Disigio de' Pagani Ugone de' PaganiNasce a Nocera ca.1080

Alessandro Amarelli

Pagano de' PaganiSignore di Forenza (Calabria)

AlbertinoCavalier di Bretagna

Sposa la nipote del suo Duca

Libera Nocera dai pagani

Scende in Sicilia (1080)con Guglielmo

Sposa LeonardoAmarelli

Sposa Emma

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5. Possedimenti templari in Basilicata

Per una piccola comunità locale, come ve ne sono tante in Basilicata,

scoprire di essere la terra natia del fondatore dell'Ordine dei Poveri Cavalieri del

Tempio è sicuramente un vantaggio, che può portare forti riscontri a livello

turistico. Nell'articolo già citato de Il Sole 24 Ore, risalente al 2004, in seguito alla

tesi di Moiraghi l'allora assessore alla Cultura del Comune di Forenza dichiarò di

volersi impegnare a fondo <<per avere nel nostro borgo una “presenza Templare”

esclusiva, certificata dagli storici, in modo da incrementare pure i flussi

turistici.>>.

In realtà, una forte <<presenza templare>> a Forenza e in altri comuni

lucani c'è sempre stata, a prescindere dall'italianità o meno del fondatore

dell'ordine. Questo è stato possibile a causa della particolare collocazione

geografica, che faceva dell'attuale Basilicata una terra di passaggio per tutti coloro

che volevano imbarcarsi per le terre d'oltremare o per quanti volessero

raggiungere la Sicilia.

Spesso, i cavalieri che avevano percorso la Via Francigena, che collegava

Roma con la Francia e l'Inghilterra, facevano tappa anche nei territori lucani,

spesso allestendo dimore permanenti. Molti personaggi importanti dell'epoca

hanno risieduto in queste terre.

Infatti, Bernardo di Chiaravalle ha soggiornato per qualche mese tra Forenza

e Lagopesole, nella primavera del 1137. In quel periodo la Chiesa di Roma era

divisa tra due papi, Innocenzo II e Anacleto II (riconosciuto come antipapa),

quest'ultimo appoggiato da Ruggero II d'Altavilla, duca di Calabria Puglia e conte

di Sicilia. L'appoggio offerto ad Anacleto gli valse il titolo di Re di Sicilia,

istituito appositamente per lui da Anacleto II, ma gli procurò anche l'ostilità di

Lotario II, re di Germania, che aspirava a diventare Imperatore del Sacro Romano

Impero. Lo scontro tra Lotario II, sostenuto da Innocenzo II, e Ruggero II,

sostenuto da Anacleto II, avvenne nel maggio del 1137 nei pressi Lagopesole,

dove si pensa abbia soggiornato anche Bernardo di Chiaravalle, che aveva già

seguito e sostenuto Innocenzo II in varie parti d'Europa.

Prima ancora, nel 1090, papa Urbano II convocò un concilio a Melfi, al

quale parteciparono 70 vescovi, emanando sedici importanti canoni per

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contrastare la simonia, proibire le investiture laiche, obbligare i chierici al celibato

e riformare la disciplina monastica.

La presenza dei templari in diverse comunità lucane è testimoniata in un

manoscritto209 conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli e risalente al 1268.

A Melfi i Templari erano proprietari di <<staciones tres posite in loco qui

dicitur albana eiusdem terre que site sunt iuxta viam puplicam ex una parte>>;210

di cinque vigneti211 e della <<Ecclesia Sancti Nicolai cum domibus et ortis sitis in

territorio eiusdem terre ante terram eamdem que site sunt iuxta eamdem

Ecclesiam et ex alia pate site sunt iuxta viam publicam>>.212

A Lavello vi era un <<Magnum tenimentum terrarum situm in loco qui

dicitur Gironus ubi dicta domus Templi habet massariam suam>>.213

Una forte punto di riferimento era la città di Venosa, con i molti terreni

coltivabili e i vigneti, ubicati nel vallone sottostante la cittadina. Oltre a tre case

poste nella parrocchia di Santa Barbara, in quella di San Biagio e in quella di San

Nicola, i Templari possedevano un <<Palatium [...] magnum existens in platea

Venusij quod fiut dopni bisancij et situm est iuxta domum heredis Magistri

Riccardi fabij>>.214

L'altro paese che insieme alla città di Orazio può vantare una forte presenza

dei cavalieri di magister Hugo è proprio Forenza. Il manoscritto conservato nella

Biblioteca Nazionale di Napoli elenca i seguenti possedimenti:

<<Ecclesia Sancti Martini sita extra terram eandem et dicitur Sanctus

Martinus de pauperibus cum dominibus furno molendino uno aque vineis et terris

ipsi Ecclesie coniuctis in eadem loco constructum est de novo post adventum domini

209 Il manoscritto che elenca tutti i possedimenti dell'Ordine dei Poveri cavalieri del

Tempio di Salomone in Basilicata è il Ms. XV, D, 15, ff. 22v-27v.

210 Ms. XV, D, 15, f. 23r.

211 Ibidem.

212 Ibidem.

213 Ibidem, f. 23v.

214 Ibidem, ff. 23v-24v.

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Regis Karoli quoddam Casale de focularibus triginta et digitur Casale Sancti Martini

que postea sunt iuxta vineam Guillelmi de fulcone.

Item vinea una sita in fluminis iuxta vineam Riccardi de dorabili ex una

parte ex alia iuxta vineam Guillelmi de Venusio.

[…].

Item petia terra una alia que fuit Judicis bernardi sita in plano de meste

iuxta terrram panis et vini.

[…].

Item petia una alia de terra sita in Valle Fellicle.

[…].

Item yscla de terra que fuit Rogerij de aytardo sita est prope eadem

massariam et dictam Ecclesiam et iuxta viam puplicam>>.215

Questo documento ci lascia capire che il casale di San Martino venne

costruito nei pressi di Forenza da re Carlo I d'Angiò, quindi dopo il 1266.

Sappiamo anche che l'8 gennaio 1306 Carlo II d'Angiò ordinava di non vessare

con le tasse gli abitanti del luogo, poiché molto poveri. Il re aggiunge anche che il

casale apparteneva ad sacram domum Militiae Templi, facendoci capire che in

quella data i Templari erano già lontani da Forenza.216

6. Ugo <<lucano>>

Filiberto Campanile ha aperto una nuova strada a tutti coloro che

sostengono l'italianità di Hugo de Paganis. Nel testo, infatti, si afferma che i

genitori di Ugo, Pagano ed Emma, erano signori di Forenza, già nell'anno 1084. Il

paesino di Forenza si trova nel nord della Basilicata e non in Calabria, così come

riportato nell'albero genealogico tracciato da Moiraghi. Non essendoci nessun

documento che attesti la nascita di Ugo de' Pagani a Nocera e non altrove, molti

hanno pensato che, se i genitori di Ugo erano i signori di Forenza, anche il

fondatore del Tempio potrebbe essere nato in quel paesino. Si sposta così di un

centinaio di chilometri il luogo natio del nostro cavaliere.

215 Ibidem, ff. 24v-26r.

216 A. PELLETTIERI, I Cavalieri del Tempio e la Basilicata, p. 20, in Normanni e

Templari tra nord Europa e sud Italia, Atti del convegno Normanni in terra di Lucania (Forenza 5

giugno 2008), Potenza, EditricErmes, 2008.

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Già nell'Ottocento si fece strada questa tesi, infatti lo storico napoletano

Francesco Capecelatro nel 1850 scrisse Diario di F.C. contenente la storia delle

cose avvenute nel reame di Napoli negli anni 1647-1650, all'interno del quale

sosteneva che il fondatore dei Templari fosse originario non di Nocera de' Pagani

ma di Forenza, paesino lucano della provincia di Potenza. Tale ipotesi è

fortemente sostenuta da alcuni storici locali, tra i quali figura il lucano Renato

Mancino, che in un'intervista217 rilasciata alla rivista LiberoReporter conferma

l'esistenza di altri documenti che attesterebbero la presenza della famiglia dei

Pagani nel feudo di Forenza.

La biblioteca “Annibale De Leo” a Brindisi, infatti, conserva l'atto di una

donazione fatta da Pagano dei Pagani e da sua moglie Emma alla <<Trinità di

Venosa>>. Ecco il testo:

<<In nomine sanctae et individuae Trinitatis. Ego Paganus pro salute

animae meae et remissione peccatorum meorum et pro salute parentum et uxoris

meae Emmae do ecclesiae S. Trinitatis Venusiae terram a Vado Milleresio sicut

vadit via de Venusia usque in vallem Persualt et vadit vallis de Persualt et redit ad

Criptam oscuram et redit ad Vadum Millensium et in fine totam partem de abere

meo; testes cuius donationis nostrae Hugo filius Aschittilli, Guillelmus, Robertus,

Gualterius et Malescardus, paganus frater Guillelmi, Guillelmus de Orbo et

Robertus Ansillus>>.218

Questo documento, che attesta la donazione di alcune terre alla S. Trinità di

Venosa da parte dei coniugi Pagano ed Emma, presunti genitori di Hugo de

Paganis, non può essere considerato come prova a favore dell’origine italiana del

217 Il testo integrale dell'intervista si può anche trovare sul sito internet

http://6oredeitemplari.blogspot.com/2009/12/forenza-patria-natia-di-ugo-dei-pagani.html.218 Il testo della donazione è presente anche in H. HOUBEN, Il “libro del capitolo” del

monastero della SS. Trinità di Venosa (Cod. Casin. 334): una testimonianza del Mezzogiorno

normanno, Lecce, Congedo Editore, 1984, p. 33; Id., Die Abtei Venosa und das Mönchtum im

normannisch-staufischen Süditalien (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 80)

Tübingen 1995, pp.274-275. Un estratto di questa donazione è riportato anche in L. R.

MENAGER, Les fondations monastiques de Robert Giuscard. Duc de Pouille et de Calabre, app.

nr. 18 p. 94, in <<Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken>>, 39

(1959).

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fondatore del Tempio. Dal testo, infatti, non si evince alcun legame di parentela

che leghi il primo templare con Pagano ed Emma, perché anche se uno dei

testimoni della donazione è un certo Hugo, costui viene però indicato come figlio

di un tale Aschittillus.

Se l'ipotesi dell'origine campana è presente in diversi testi genealogici,

l'ipotesi di un Hugo lucano non è supportata da nessun documento. La donazione

di Pagano ed Emma, signori di Forenza, conservata a Brindisi, attesta la presenza

di questa famiglia a Forenza, ma soltanto Campanile parla dei signori di questo

feudo come i genitori del fondatore dei Templari. Nessun altro testo che abbiamo

analizzato presenta questa associazione.

7. Conclusioni

Nell'Apologia della storia Marc Bloch scriveva che <<affinché il lavoro

dello storico funzioni e affinché la storia si faccia occorre che lo storico ponga

delle domande alle testimonianze>>.219 Il fondatore delle <<Annales d'histoire

économique et sociale>>ci ha insegnato che il compito dello storico è quello di

porre continue domande ai documenti che ha davanti, piuttosto che cercare di dare

una risposta definitiva ad un interrogativo, che altri prima di lui si sono posti.

Ciò che caratterizza un vero storico da un appassionato di storia è l'abilità

con la quale ci si deve inserire nei luoghi bui della storia, dei quali si sa poco o

nulla e intorno ai quali esistono pochi e scarsi documenti, senza avere la pretesa di

spiegare nulla con precisione e certezza. Una volta individuato il <<buco>>, del

quale non sappiamo nulla, il primo passo che attende lo storico è quello

dell'individuazione delle fonti. Ma <<le testimonianze non contano nulla senza

l'interpretazione dello storico>>,220 ecco allora che si deve interrogare il

documento ponendo quante più domande possibili, per cercare di capire ciò che

esso viglia dire.

Non ci si deve meravigliare, se è impossibile rispondere a tutte le domande

che lo storico si pone. Questo accade perché, propriamente parlando, non esistono

fonti, o meglio, tutto può essere considerato come un testimonianza. Non esistono

219 M. BLOCH, Apologia della storia, p. XI.

220 Ibidem.

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da un lato fonti di storia economica, da un altro fonti di storia religiosa e via

dicendo. Perché, a seconda della domanda che ci poniamo, quello stesso testo può

darci risposte di tipo economico, di tipo religioso o non ci può dare risposta

alcuna.

Se è vero che i fatti storici si trasformano in storia solo mediante la loro

spiegazione da parte dello storico, è altrettanto vero che in alcune occasioni lo

storico è costretto a dedurre più che a spiegare. E a volte la deduzione ci può

portare risposte che a lungo andare si rivelano inesatte. Per questo è più

importante saper domandare, piuttosto che saper affermare.

Il problema dell'origine del fondatore dei Templari, l'ordine monastico-

cavalleresco più conosciuto della storia, è sicuramente un quesito molto attraente,

perché attraente è la storia dell'ordine stesso. Hugo de Paganis non è certo un

cavaliere di alto lignaggio come Goffredo di Buglione e altri nobili, per cui la

storia ha avuto molto poco da dire su di lui, prima che nascesse l'Ordine dei

Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone.

La vita di magister Hugo prima della fondazione dell'ordine è sicuramente

uno dei tanti luoghi bui della storia, e su di essa è necessario porsi alcune

domande. Come abbiamo visto, però, non sono molti i documenti che possiamo

interrogare. È importante confrontare i documenti che abbiamo a disposizione per

capire meglio quali sono le domande che dobbiamo porci. Maria-Luisa Bulst-

Thiele e Malcolm Barber hanno confermato che Hugo era originario di un paesino

della Champagne, l'attuale Payns, era signore di Montigny e aveva possedimenti

anche dalle parti di Tonnerre. I due studiosi hanno riscontrato il nome di Hugo in

alcuni atti privati del 1100, accanto al conte di Bar-sur-Seine e a quello di

Ramerupt.

Non esistono solo questi documenti riguardo alla biografia di Hugo.

Esistono anche diversi documenti araldici e genealogici scritti in Italia dal XVII,

XVIII e XVIII secolo, che invece attestano l'origine italiana di magister Hugo.

Sono documenti antitetici, ovviamente, ma a quali dobbiamo credere

realmente? Siccome è impossibile dare una risposta certa a queste domande, ci

limitiamo ad aggiungere ancora altre domande. Lo scopo è quello di delimitare

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con dei paletti il terreno scivoloso sul quale ci siamo imbattuti, lasciando al di

fuori del recinto tutto ciò che potrebbe distrarci.

Tutti i documenti genealogici o araldici possono distrarci dalla verità storica,

perché spesso nascono con l'intento di celebrare i fasti e la nobiltà di una famiglia,

narrando una storia non rispondente al vero. Saremmo ingiusti se affermassimo

che ogni testo genealogico non è veritiero, però saremmo eccessivamente generosi

se considerassimo veri tutti questi documenti, scritti dal XVI secolo in poi. Ci si è

spesso imbattuti in genealogie bizzarre, che nulla avevano a che fare con la verità

storica. Pertanto è giusto interrogarsi meglio sul concreto aiuto che tali testi

possono portare alla ricerca storica.

Un testo come la <<lettera Amarelli>>, ad esempio deve essere interrogato a

fondo prima di trarre ogni tipo di conclusione. Di questo documento non abbiamo

né l'originale scritto in latino, qualora sia mai esistito, ma solo la presunta copia

quattrocentesca, autenticata nel 1617. Cardini ha mostrato i suoi dubbi circa

l'autenticità della lettera quattrocentesca e in assenza dell'originale testo in latino

non possiamo esprimerci con certezza sulla veridicità dei contenuti del testo.

Possiamo, alla luce di quanto abbiamo, considerare la <<lettera Amarelli>> come

una testimonianza affidabile? La risposta può essere con discreta sicurezza

negativa. Allo stesso tempo però le critiche degli avversari della tesi dell’origine

francese (con Moiraghi come ultimo esponente) hanno comunque il merito di aver

rilevato i punti deboli della tesi dell’origine francese, se non di Troyes, dello

stesso Ugo de Paganis.

L'argomento relativo alla prima parte della vita di magister Hugo è ancora

lontano dall'essere chiarito definitivamente. Se non si può fare pieno affidamento

sui documenti genealogici e sulla <<lettera Amarelli>>, non è escluso che

possano trovare la luce ulteriori argomenti, magari più affidabili, sui quali la

<<via italiana>> può trovare una solida base.

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(Cod. Casin. 334): una testimonianza del Mezzogiorno normanno, Lecce,

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Fonti inedite

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Napoli

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Siti internet consultati

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http://www.cesnur.org;

http://www.shroud.com;

http://www.delphos.com.ar;

http://sindone.weebly.com;

www.giornaledistoria.net;

http://6oredeitemplari.blogspot.com.

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RINGRAZIAMENTI

Al termine di questo lavoro desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno

accompagnato in questi tre gli anni di vita universitaria, dentro e fuori le mura

dell'Ateneo. Dagli amici, che non hanno mai esitato a distrarmi piacevolmente

dallo studio, ai parenti che volevano tenersi costantemente aggiornati

sull'andamento degli esami e soprattutto sulla conclusione del persorso.

Ovviamente il io ringraziamento più grande non può che andare ai miei

genitori che hanno speso non poche risorse economiche per far sì che il cammino

universitario non incontrasse ostacoli di ogni sorta. Senza il loro sostegno sarebbe

stato impossibile farcela.

Desidero ringraziare, inoltre, il prof. Panarelli e la prof.ssa Sannino per i

consigli che mi hanno offerto nella realizzazione di questo lavoro; la prof.ssa

Ellero, che sarà sempre esempio di come debba essere la figura dell'insegnante,

sia dal punto di vista didattico, sia dal punto di vista umano; il prof. Di Giovine, la

prof.ssa Del Puente e la prof.ssa Lucifora per la professionalità grazie alla quale

contribuiscono a mantenere alto il livello della nostra piccola Università.

La strada, però, non finisce qui: ci sarà ancora molto da studiare e da

aspettare, prima di poter trovare un'occupazione. Se poi alcuni esponenti del

governo e delle amministrazioni locali, talmente legati ai propri territori da

provare un odio quasi razziale nei confronti di noi meridionali, riuscissero

nell'intento di impedire il libero insegnamento sul territorio nazionale, allora sì

che ci sarà ancora molto da aspettare!

<<Senza la mafia la disoccupazione sarebbe più alta!>> (Fabrizio de André)

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INDICE

CAPITOLO PRIMO: Dalle crociate alla fine dell'Ordine dei Templari...............1

1. Le origini dell'ordine....................................................................................1

2. Il riconoscimento ufficiale e le prime accuse.............................................10

3. La rete e la quotidianità templare...............................................................13

4. Ascesi e caduta del regno d'Outremer........................................................20

5. La caduta del Tempio.................................................................................24

CAPITOLO SECONDO: Massoneria, leggende e verità occulte a prezzi

stracciati.................................................................................................................33

1. <<I Templari c'entrano sempre>>..............................................................33

2. I Templari e i Catari...................................................................................41

3. I Templari a Rennes-le-Chateau.................................................................44

4. I Templari e il Priorato di Sion..................................................................47

5. I Templari e il Santo Graal.........................................................................51

6. I Templari e la Sacra Sindone....................................................................53

7. Il fascino del complotto..............................................................................58

CAPITOLO TERZO: Ugo de Payns cavaliere italiano?.....................................61

1. Ugo de Payns e la storiografia <<ufficiale>>............................................61

2. Critiche alla storiografia <<ufficiale>>.....................................................62

2.1 La datazione ................................................................................62

2.2 La città di Payns …......................................................................64

2.3 La traduzione <<faziosa>> ….....................................................67

3. Ugo <<campano>>....................................................................................70

3.1 Il problema delle fonti genealogiche ….......................................70

3.2 Il fondatore del Tempio negli alberi genealogici italiani …........77

4. La <<lettera Amarelli>> ..........................................................................81

5. Possedimenti templari in Basilicata ….....................................................88

6. Ugo <<lucano>>.......................................................................................90

7. Conclusioni …..........................................................................................92

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BIBLIOGRAFIA..................................................................................................95

RINGRAZIAMENTI...........................................................................................98

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