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  • i Robinson / Letture

    Barbara Frale

    La leggenda nera dei Templari

    Editori Laterza

  • © 2016, Gius. Laterza & Figli

    Edizione digitale: ottobre 2016

    www.laterza.it

    Proprietà letteraria riservataGius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma

    Realizzato da Graphiservice s.r.l. - Bari (Italy)per conto dellaGius. Laterza & Figli Spa

    ISBN 9788858127179

    È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata

    http://www.laterza.it

  • Sommario

    Capitolo primo. In principio era il TempioE furono chiamati TemplariUna spada contro i nemici della fedeDal Tempio del Signore al Santo SepolcroHiram, Boaz e JachinPer custodire l’Arca dell’AlleanzaUn sacrario immortaleAlla ricerca del Tempio perdutoGesù nel TempioDeus Sabaoth. I Templari e la guerra santa

    Capitolo secondo. Tradizioni apocrifeLa cavalleria di re SalomoneSalomone il magoSalomone, immagine di CristoIl signore dell’anelloPietre preziose e prodigioseGli «spiriti maligni vaganti nell’aria»Sacri cavalieri in armi contro il Male«Abraxas»Un oggetto suggestivoLa Cabbala e i nomi di DioL’alfabeto segreto del TempioParole piene di magiaL’anello di Salomone o il «sigillo di Satana»?Dal Corano ai poemi del Santo Graal

    Capitolo terzo. Nelle mani dell’InquisizioneI Templari, una spina nel fianco della FranciaL’impatto distruttivo della diffamazioneFilippo il Bello e Ponzio PilatoIl primo dei papi avignonesiIl fallimento delle crociatePovero ma bello (e per giunta consacrato)

  • La debolezza di Clemente VUn’arma di cartaColpevoli o innocenti?Le inchieste nei vari regni cristiani e il concilio di VienneLa morte eroica del Gran MaestroPerché uccidere Jacques de Molay?

    Capitolo quarto. Dalla storia alla leggendaIl cofano verdePlatina e i filosofi dell’occultoLe ragioni della storiaUn lunghissimo esilioQuando la ricerca taceDi nuovo in Francia!Il fascino irresistibile del segretoIn cerca delle proprie radiciLa Carta di Larmenius, un «falso onesto»Una moda per l’alta societàIl segreto dei cospiratoriIl tenebroso BaphometIdoli, magia e politica«diventa leggenda ciò che è necessario far credere»

    Cartine

  • Quando il Re gettò le fondamenta del Tempio,in terra molto profonda,

    il materiale era pietra viva e possente,capace di resistere al logorio del tempo.

    Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, VIII, III, 2, 63

  • Capitolo primo. In principio era il Tempio

    E furono chiamati Templari

    Alcuni cavalieri amati da Dio e ordinati a suo servizio rinunciarono al mondo e siconsacrarono a Cristo. Con voti solenni, pronunciati davanti al patriarca diGerusalemme, si impegnarono a difendere i pellegrini contro briganti e predatori, aproteggere le strade e a fungere da cavalleria del Re Sovrano. Essi osservano la povertà,la castità e l’obbedienza, secondo la regola dei canonici regolari.

    [...]E poiché non avevano chiese o dimore di loro proprietà, il re li alloggiò nel suo

    palazzo, vicino al Tempio del Signore. L’abate e i canonici regolari del Tempio diederoloro, per le esigenze del loro servizio, un terreno non lontano dal palazzo; e per questaragione, furono chiamati più tardi Templari1.

    Così lo storico Jacques de Vitry, vescovo di Acri dal 31 luglio 1216 al1245, descriveva la fondazione dell’ordine militare e religioso del Tempio.Era un’esperienza di vita consacrata che aveva avuto origine inGerusalemme agli inizi del secolo XII, quando, all’indomani della primacrociata (1099), la Città Santa tornò in mano ai cristiani2.

    Intorno ai principali siti che avevano un ruolo centrale nel raccontoevangelico era stato costituito un regno cristiano formato da quattropotentati maggiori: la contea di Edessa, che nel momento della suamassima estensione andava dalla città di Antiochia verso ovest fin oltre ilcorso dell’Eufrate; il principato di Antiochia, posto nel territoriosettentrionale delle attuali Siria e Turchia; la contea di Tripoli,corrispondente alla parte settentrionale dell’attuale Libano, e il principatodi Galilea, esteso intorno al lago di Tiberiade e lungo la valle del fiumeGiordano. Nonostante la vittoria cristiana, il nemico islamico accerchiavail regno, guardingo e incombente; premeva lungo i confini con atticontinui di guerriglia, aggrediva le carovane di pellegrini diretti in visita ai

  • Luoghi Santi e, in breve, teneva i cristiani di Terrasanta sotto il tirocostante della sua minaccia.

    Nel 1104 o 1105 un cavaliere di nome Hugues, capo del feudo di Paynsvicino Troyes e vassallo del conte di Champagne, si recò pellegrino alSanto Sepolcro insieme al suo signore. Questo flusso di militari francesiverso la Terrasanta è forse legato al viaggio compiuto in Occidente daBoemondo principe di Antiochia nello stesso periodo (1105-1106).Caduto prigioniero dei musulmani nell’agosto 1100 e rilasciato dopo treanni, partì verso la Francia deciso a sciogliere un voto a san Leonardo, perintercessione del quale aveva riconquistato la libertà; in quell’occasionechiese la mano di Costanza, figlia del re di Francia Filippo I, e sollecitòl’invio di rinforzi per la difesa del regno cristiano. Sbarcato in Puglia, cercòed ottenne il sostegno di papa Pasquale II e del suo legato Bruno di Segniper recarsi oltralpe a predicare una nuova crociata. Boemondo, per come lodescrive la principessa bizantina Anna Comnena, era un uomo di aspettomagnifico, dotato di una parlantina affascinante. Le sue capacitàsicuramente influirono nel muovere le coscienze dei signori occidentali,ma lo fecero anche altri aspetti di carattere pragmatico; non ultimo il fattoche Boemondo era partito dall’Europa in qualità di duca di Taranto, eadesso vi tornava come principe d’Antiochia, ovvero capo di uno Statocrociato3.

    Adempiuto dunque il lodevole proposito di pregare in ginocchio davantial Santo Sepolcro, il signore di Payns decise di restare a Gerusalemme. Alpari di altri cavalieri, che le fonti chiamano milites ad terminum, volevaoffrire un servizio gratuito al santuario della Resurrezione per un certonumero di anni; o forse per tutta la vita4. La scelta rispondeva a unprofondo bisogno religioso, innanzitutto; in secondo luogo, assecondavauna tendenza culturale.

    Gli intellettuali che sostennero la crociata erano imbevuti di culturabiblica; e naturalmente attingevano alla Scrittura per esortare i fedeli allapartenza. Soprattutto in Roberto il Monaco e Baldrico di Dol, che fra il1107 e il 1108 composero entrambi una cronaca intitolata HistoriaHierosolymitana, abbondano i riferimenti alla Bibbia: la Terrasanta deicrociati si identifica con la Terra Promessa d’Israele, e i cristiani sanno cheDio combatterà con il suo popolo contro i nemici, com’è descritto neiSalmi (67, 22). Il papa è immagine di Mosè, che nel libro dell’Esodo (17,

  • 11) tiene le mani alzate mentre gli ebrei combattono contro gli Amaleciti.Il culmine di questa assimilazione è una scena di gloria e di vittoria trattadal Salmo 78: il compimento delle profezie diverrà visibile con l’ingressodelle Nazioni nel Tempio5.

    Dal Libro di Gioele (4, 1-2) veniva la certezza che proprio laggiù, aGerusalemme, sarebbe risuonata la tromba dell’Ultimo Giorno:

    Poiché ecco, in quei giorni e in quel tempo,quando avrò fatto tornare i prigionieri di Giuda e Gerusalemme,riunirò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Giosafat,e là verrò a giudizio con loroper il mio popolo Israele, mia eredità, che essi hanno disperso fra le gentidividendosi poi la mia terra.

    Morire nella Città Santa poteva garantire al fedele lì sepolto un privilegiospeciale, quando il Signore avrebbe resuscitato i morti cominciando daquelli giacenti laggiù, nella valle di Giosafat, che in ebraico significaesattamente «Dio giudica»6.

    Quest’idea aveva condotto a Gerusalemme un lungo flusso di pellegrinicristiani sin dalla tarda antichità, dunque molti secoli prima che – in virtùdi complesse ragioni non solo religiose – cominciasse il cosiddetto«pellegrinaggio in armi», più tardi denominato «crociata». Dalla celebrematrona Egeria, che nella seconda metà del IV secolo lasciò la sua nativaAquitania per visitare i Luoghi Santi sfruttando la buona viabilitàdell’impero romano, al vescovo franco Arculfo che viaggiò verso l’anno670, quando la rete viaria d’Europa era sicuramente più scomoda emalridotta, fino ai signori feudali che vi si recarono con gli uomini del loroseguito alla vigilia della prima crociata, il viavai di pellegrini fupraticamente ininterrotto. Un fatto sorprendente per l’uomo moderno èche non cessò mai, nonostante tutti i rischi e le difficoltà, nemmenoquando il fanatismo di alcuni dominatori islamici contro i cristiani rese lavisita talmente pericolosa che l’ipotesi di morire martiri non era unaremota possibilità7.

    Fra gli altri devoti in attesa del transito verso la vita ulteriore, anche ilcavaliere Hues de Paiens delez Troies, com’è chiamato in antico francese,decise con alcuni compagni di rendersi utile alla Terrasanta e agli altricristiani. Lo fece nell’unico modo in cui probabilmente poteva, ovvero

  • usando le armi per scortare i pellegrini itineranti lungo le insidiose stradedella Terrasanta. I Templari delle origini, o «prototemplari», come a voltesono chiamati dagli storici, avevano la fisionomia di una milizia privatacomposta essenzialmente da volontari8.

    Una spada contro i nemici della fede

    Nel quadro sociale del secolo XII, la guerra consisteva soprattutto inscontri di cavalieri, tanto che la parola più frequente per indicare uncontingente bellico, cioè militia, si traduceva correntemente «cavalleria». Ifanti, una presenza comunque importante, avevano più che altro mansionidi supporto, ed erano chiamati servientes proprio perché la loro attività siponeva al servizio dei cavalieri.

    Ricoperto da capo a piedi dal pesantissimo usbergo fatto di maglia diferro, con lo scudo, gli schinieri e l’elmo, il guerriero a cavallo dovevaessere necessariamente un professionista del combattimento, e mantenersiin allenamento costante per riuscire a muoversi agilmente con indossotutto quel carico. Miles era però una parola ambivalente nella cultura deltempo: accanto al volto violento, fatto di scorrerie, spargimento di sanguee conquista, si era affermato durante i secoli dell’alto medioevo un aspettoconcorrente, etico e morale, con forti sfumature religiose.

    A partire dall’età carolingia, le gerarchie ecclesiastiche avevano lavoratoper moralizzare la guerra, cercando di convogliarla entro argini delimitati,perché non fosse violenza indiscriminata ma invece uno strumento di pacee di ordine sociale. Si era consolidata l’usanza di conferire le armi al nuovocavaliere seguendo una cerimonia religiosa dotata di una liturgia propria,durante la quale il nuovo miles avrebbe atteso la sua «consacrazione» dopouna notte di veglia in preghiera, e un bagno rituale che richiamavasimbolicamente il battesimo. Proprio come il sacramento, indicava lapurificazione del nuovo combattente; rappresentava una rinascita rispettoall’uomo vecchio, contagiato dal male, dal gusto di spargere sangue eannientare il nemico, dalla ferinità. La cavalleria era dunque un corposociale preposto alla guerra, ma era anche un insieme di persone cheavevano un orizzonte religioso comune e, almeno in linea teorica, certenorme etiche da osservare9.

    Invalse l’uso di recitare una benedizione sulla spada che veniva consegnata

  • al nuovo miles; essendo quell’arma lo strumento della violenza e il simbolostesso della condizione di cavaliere, il gesto era quasi un voler esorcizzare isuoi aspetti diabolici. La formula si ispirava (con molte varianti) a quellerecitate durante le cerimonie di incoronazione dei sovrani e degliimperatori, poiché, come ricordava l’arcivescovo Ildeberto a Ottone I, redi Germania nell’anno 936, con quella spada bisognava combattere tutti inemici di Cristo, fossero essi pagani o anche cristiani malvagi. Dall’anno950 circa, si praticava anche la benedictio vexilli bellici, cioè la consacrazionedello stendardo militare che la schiera porta in guerra come propriainsegna, per chiedere a Dio la vittoria sui nemici del popolo cristiano10.Guerra e santità non erano dunque incompatibili, almeno per gran partedei teologi e degli intellettuali cristiani.

    Una lunga tradizione esegetica traeva dalla Sacra Scrittura la convinzioneche la vita stessa dell’uomo, sempre alla ricerca di Dio ma costantementeinsidiato dal diavolo, doveva considerarsi una battaglia ininterrotta controil male; militia est vita hominis super terram, dice il Libro di Giobbe (7, 1).Naturale pertanto che la cultura ecclesiastica attribuisse il ruolo di militesChristi anche ai monaci; essi vivevano ritirati dal mondo, ma pregando efacendo penitenza a beneficio dell’intero corpo sociale, e dovevanoritenersi con ogni diritto buoni combattenti di Cristo, perché lottavanocostantemente contro il peccato11.

    Durante i primi secoli dell’era cristiana, in realtà gli scrittori ecclesiasticiavevano condannato severamente ogni tipo di attività militare,giudicandola comunque incompatibile con la fede cristiana. Questa lineadi pensiero non era tuttavia l’unica, e la storia della Chiesa annoveravaesemplari figure di guerrieri divenuti campioni della fede: fra i più noti eamati dalla gente c’erano san Teodoro e san Maurizio, san Giorgio e sanMartino di Tours12.

    Alla vigilia della prima crociata, quando giunsero in Europa le notizieallarmanti dei massacri di cristiani perpetrati in Siria-Palestina dai turchiselgiuchidi che avevano occupato Gerusalemme, i due volti della miliziacristiana, quello socio-politico e quello spirituale-contemplativo, inqualche modo finirono per fondersi. Il grande mistico e teologo Bernardodi Chiaravalle, invitato dal re di Gerusalemme Baldovino II, ideò unmodello di vita consacrata capace di armonizzare questi due aspetti che sipresentavano in antitesi alla luce del messaggio evangelico, pervaso dal

  • comandamento della non violenza. Bernardo attinse all’insegnamento disant’Agostino da Ippona, una fonte antichissima e molto illustre. Nel corsodei secoli, la teologia agostiniana aveva ispirato in modo così ampio ladottrina della Chiesa che difficilmente il papa avrebbe potuto negare lavalidità etica del progetto.

    Sant’Agostino tracciava il profilo del bellum iustum, cioè una specialequalità di combattimento solo difensivo, attuato a tutela di persone inermiche non hanno la possibilità di difendersi per conto proprio, e sonopertanto destinate a soccombere. Nell’epistola a Bonifacio, il santo giudicacomplementari l’opera buona di chi prega nel silenzio dellacontemplazione, attirando la benevolenza divina e la scelta di chi difendegli altri combattendo con le armi in pugno. Questi diversi combattenticollaborano a uno stesso piano di salvezza, entrambi svolgono un ruoloessenziale a vantaggio del popolo cristiano13.

    In breve, secondo Agostino colui che salva un innocente dalla violenzaingiustificata non commette peccato, anche se uccide l’aggressore; sanBernardo tradusse questo concetto in quello di malicidio, ovveroeliminazione del male. Indicava in tal modo l’azione del cavaliere che salvaaltri cristiani inermi dalla violenza dei saraceni.

    Il malicidio, un’opera meritoria per la quale il cavaliere mette in pericolola propria vita, sarà la missione specifica affidata dalla Chiesa ai Templari,quando, nel gennaio 1129, papa Onorio II ratificherà ufficialmente lacostituzione dell’ordine nel concilio di Troyes per tramite del legatoapostolico cardinale Matteo di Albano. Come a ragione sottolinea RudolfHiestand, i Templari, al pari degli altri ordini militari del secolo XII,furono essenzialmente un prodotto del papato14.

    Dal Tempio del Signore al Santo Sepolcro

    Questa singolarissima categoria di religiosi combattenti formava unesperimento mai visto prima nella millenaria storia della Chiesa; la storica efilologa Simonetta Cerrini, che ha studiato a lungo la tradizione dellaregola templare, parla di una vera e propria «rivoluzione». La portatainnovativa del progetto era infatti tale che sollevò anche diverse critiche nelmondo monastico, contrario a che uomini consacrati dai tre voti dipovertà, obbedienza e castità spargessero il sangue di altri uomini15.

  • Ai Templari era affidata una doppia missione: combattere e pregare.Avevano perciò una duplice fisionomia, come spiega san Bernardo neltrattato In lode della nuova cavalleria, composto per promuovere la crescitadell’ordine templare:

    È una cosa degna di ammirazione e oltremodo singolare vedere come essi siano piùmiti degli agnelli e, nel contempo, più feroci dei leoni, sì che quasi dubito se sia megliochiamarli monaci oppure soldati, a meno che non sia forse opportuno chiamarli inentrambi i modi, in quanto in loro non manca né la mitezza del monaco né il coraggiodel guerriero16.

    La radice della loro particolare spiritualità risiedeva proprio nella SacraScrittura, dove numerosi inni esaltavano le gesta belliche del popolo elettocontro i suoi nemici. Una guerra sicuramente santa, perché combattutacontro i cultori degli idoli; un’ideologia che la società cristiana al tempodelle crociate trovò adeguata alle sue esigenze, mentre i documentipontifici attingevano a piene mani a quei passi della Bibbia che celebravanoDio come Sabaoth, il Signore degli Eserciti17.

    Biblica era anche la sensibilità di quei cavalieri – nove secondo Guglielmodi Tiro, trenta invece per Michele Siriano – che scelsero di legare leproprie esistenze alla città di Gerusalemme, consapevoli di abitare nelluogo più sacro. Il cuore autentico della Città Santa, il suo simboloprincipale da quando il popolo d’Israele era giunto nella terra di Canaan.Un posto carico di reminiscenze scritturali, e circondato da un alone dimito.

    Il nome originario che Hugues de Payns aveva dato ai suoi compagnirichiamava l’idea del loro combattere in spirito e in armi insieme a Gesù:pauperes commilitones Christi, cioè «i poveri commilitoni di Cristo». Il testolatino della loro regola, quello approvato nel 1129, li chiama proprio così:Incipiunt capitula regule commilitonum Christi, o commilitonum Sancte Civitatis.Eppure in una fase molto precoce, tanto da comparire nella regola stessa,c’è un’altra denominazione concorrente che si afferma e li lega al Tempiodi Salomone, la casa di Dio: la vediamo emergere in certi passi comequesto, in domo Dei Templique Salomonis18.

    Si trattava di un’associazione vincolante. Il fascino e la carica evocativadell’antico santuario erano così forti nell’immaginario religioso dei cristianida sopraffare il nome primitivo imposto dal fondatore; più volte nella

  • regola ricorre l’abitudine di identificare questi guerrieri come connessiindissolubilmente al celebre edificio, almeno in modo ideale (cum militesTempli dicamini, e ancora dicentes se esse de Templo)19.

    Generalmente, si ritiene che Bernardo scrisse il De laude verso il 1136,subito dopo il concilio di Pisa, cui prese parte al fianco di papa InnocenzoII; ma Simonetta Cerrini ha motivo di credere che il trattato sia più antico,cioè prodotto mentre si preparava il concilio di Troyes. In quanto sermoexhortatorius, il testo doveva al tempo stesso spiegare ed esaltare il progetto,illustrandone l’idealità ai Padri del concilio, al legato apostolico, ai signorilaici presenti e a quanti, dopo la fondazione, sarebbero stati chiamati adentrare nella nuova milizia religiosa. Il De laude costituiva il «manifesto» deiTemplari, immaginati nel loro profilo concreto e ideale dal loro piùstrenuo sostenitore20.

    Nel trattato di san Bernardo, al Tempio salomonico spetta un ruolocruciale. Oltre che dimora per i frati, è soprattutto il simbolo di un’eredità,di una continuità nella fede e nello spirito di sacrificio che accomunal’antico popolo di Israele ai nuovi guerrieri consacrati:

    Il Tempio di Gerusalemme, nel quale abitano tutti insieme, è un edificio certo menoimponente rispetto a quello antico e celeberrimo di Salomone, ma non gli è inferiorequanto alla gloria. Infatti, tutta la magnificenza di quello constava negli ornamenti d’oroe d’argento, che sono cose corruttibili, nella perfetta squadratura delle pietre e nellavarietà dei legnami impiegati; nel nuovo, il principale motivo di vanto e la più splendidadelle decorazioni sono la fede dei suoi abitanti, e la loro vita disciplinata, scandita daregole religiose.

    Il primo Tempio lasciava stupiti per la varietà dei suoi colori, quest’altro invece èvenerabile per le diverse virtù che vi coltivano e le sante azioni che vi si compiono. Lasantità infatti si addice alla dimora di Dio, poiché Egli non si compiace tanto dei marmilucidati a specchio, quanto dei costumi morigerati, e preferisce la purezza della mentepiù che le pareti ricoperte d’oro. La facciata di questo nuovo Tempio è comunqueadornata, ma di armi, non di pietre preziose. Al posto delle antiche corone auree, lepareti tutt’intorno sono ricoperte da scudi appesi; invece dei candelabri, dei turiboli perl’incenso, dei vasi rituali, nella dimora si trovano dappertutto freni per i cavalli, selle elance.

    Ciò dimostra con chiarezza come i cavalieri siano accesi dallo zelo per la casa di Dio, lostesso veemente fervore che un giorno infiammò il Condottiero di questi cavalieri[Gesù], che armando la sua mano santissima non di ferro ma di una frusta di funicelle,entrò nel Tempio per scacciare i mercanti, sparse il denaro dei cambiavalute, rovesciò ibanchi dei venditori di colombe, giudicando sommamente indegno che una casa dipreghiera fosse contaminata dalla pratica dei mercanti.

  • Così dunque questo esercito di uomini devoti, trascinati dall’esempio del loro Re,vedendo i Luoghi Santi profanati dagli infedeli, e giudicandolo un fatto ancora più graverispetto alla contaminazione che possono dare i mercanti, decisero di vivere nella sacradimora con armi e cavalli. Ed avendola purificata da ogni vestigia degli infedeli, comepure accadde agli altri santi luoghi, vi trascorrono il tempo di giorno e di nottetenendosi impegnati in occupazioni utili ed oneste.

    Fanno a gara tra di loro per onorare il Tempio di Dio con un omaggio continuo esincero, immolando al Signore con eterna devozione non carni di agnelli come usaval’antico rituale, bensì offerte incruente: l’affetto fraterno che vige tra di loro,l’ubbidienza devota, la povertà come scelta volontaria21.

    Il parallelo è diretto, esplicito, evocativo.I Templari alloggiavano i loro numerosi cavalli nel sotterraneo che i

    crociati chiamavano le Stalle di Salomone, il quale, come vedremo, avevain realtà scarsi legami storici con il figlio di Davide; la memoria del sito, e lasua incredibile suggestione, facevano sì che la gente vedesse nei Templarigli eredi di quel personaggio così illustre e speciale che duemila anni primaaveva pregato il Signore e celebrato olocausti in quello stesso luogo.

    Non era poi tanto audace, Bernardo, quando considerava i Templariquali eredi per così dire naturali dei guerrieri scelti di Israele; quando lidefinisce addirittura «ministri» del Signore, poiché svolgono al suo serviziouna santa missione. E non lo era quando trasferiva al Santo Sepolcro lecaratteristiche che un giorno, e per tradizione, erano state quelle del grandesantuario di Yahwè:

    Dio stesso ha scelto per sé tali uomini ed ha raccolto dai confini estremi del mondoquesti Suoi ministri [ministri della Sua giustizia] tra i più valorosi d’Israele, per custodirecon fedeltà e vigilmente il letto del vero Salomone – cioè il Santo Sepolcro – tutti armatidi spada ed esperti quant’altri mai nell’arte della guerra (Sal 117, 23).

    Il Tempio di Salomone, in tutta la sua immane portata storica esimbolica, viveva dunque nel nome stesso dei Templari. E in qualchemodo, come vedremo, li predestinava a entrare nella leggenda. Ma qual erala forma di questo santuario?

    Hiram, Boaz e Jachin

    Perciò Davide disse: «Questa è la casa del Signore Dio, e questo è l’altare per gliolocausti di Israele».

    Allora Davide ordinò di radunare gli stranieri che si trovavano nel paese di Israele e

  • diede incarico agli scalpellini di squadrare pietre per la costruzione della casa di Dio.Davide preparò ferro in abbondanza per i chiodi dei battenti delle porte e per le grappedi ferro, bronzo in tale abbondanza da non potersi pesare. Il legname di cedro non sicontava, giacché quelli di Sidone e di Tiro avevano inviato a Davide legname di cedro inabbondanza.

    (I Cronache 22, 1-5)

    Narra il Primo Libro delle Cronache che Davide, conquistata Gerusalemme efattane la sua capitale, edificò per se stesso un palazzo; poi decise dicostruirvi un Tempio, per custodire l’Arca dell’Alleanza in un luogo chefosse adeguato alla gloria del Signore.

    Il prezioso reliquiario di legno, segno visibile della presenza di Yahwè,fino ad allora era stato alloggiato sotto una tenda. Per bocca del profetaNatan, Dio fece tuttavia sapere a Davide che l’opera sarebbe stata compiutasoltanto da suo figlio; troppe guerre aveva combattuto l’Unto di Dio,troppo sangue aveva versato, mentre suo figlio sarebbe stato un sovrano dipace, come indicava anche il suo nome: Salomone. Così il sovrano preparòi materiali che il successore avrebbe utilizzato e incaricò 24.000 persone frai capi, i sacerdoti e i leviti perché sovrintendessero alla costruzione22.

    L’area prescelta era il monte Moria, il luogo dove un giorno era statopreparato il sacrificio di Isacco (Gen 22, 2). L’altare degli olocausti nelnuovo Tempio, secondo la volontà di Davide, doveva restare quello che luistesso aveva innalzato sull’aia acquistata da Ornan il Gebuseo.

    La descrizione presente nel Libro dei Re lascia capire che lo splendore diquesta dimora sacra non dipendeva tanto dall’imponenza delle dimensioni,quanto dal fasto straordinario del suo apparato decorativo. Dagli studiarcheologici emerge che in effetti l’edificio non era molto grande,misurando circa trenta metri di lunghezza per nove o dieci di larghezza;quanto allo splendore dell’opera, Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche(VIII, III, 68, 74-75) ne ha lasciato una descrizione inequivocabile:

    Sotto ai troni aveva fatto un soffitto diviso a intagli d’oro. Ricoprì le pareti di tavolatidi cedro ricoperti d’oro, sicché tutto il Tempio scintillava da ogni parte e, dallosplendore dell’oro, tutte le parti risplendevano abbagliando gli occhi di quantientravano.

    [...]Egli lastricò il pavimento del Tempio con lamine d’oro, e alla porta del tempio mise

    degli usci proporzionati all’altezza dei muri: venti cubiti di larghezza, e anche questi

  • ricopre d’oro.In una parola, non lasciò parte alcuna del Tempio, sia dentro che fuori, che non fosse

    d’oro.

    Per realizzare l’impresa, Salomone chiese l’aiuto del re di Tiro Chiram,un nome che si trova in diverse varianti con suoni similari: in ebraico èhiram, forma che si ritiene una delle traslitterazioni più vicine alla foneticadell’originale nome fenicio. Dietro un compenso non proprio modico(olio e cereali, oltre alla cessione di ben venti villaggi della Galilea), gli fornìil legname proveniente dalle foreste del Libano, essenzialmente legno dicedro23.

    Nella cultura dell’Antico Testamento, il cedro non è un legno qualunquema piuttosto l’essenza che caratterizza l’edilizia dei santuari e dei palazzireali o aristocratici; la stessa imponenza del fusto, che raggiungevaun’altezza di trenta metri, ne faceva un simbolo di grandezza e di maestà.Questo albero possedeva nell’antica cultura del Medio Oriente anche unvalore simbolico oggi difficile da definire, ma sappiamo dal Levitico (14, 1-9, 48-53) che le sue ceneri erano impiegate in certi rituali per purificare ilebbrosi e le case, mentre secondo Isaia (44, 14) questo legname si usavaper intagliare gli idoli24.

    Dal re di Tiro vennero offerte anche le maestranze qualificate, inparticolare l’architetto Curam, detto anche Curam-Abi, che era figlio diun uomo fenicio e di una donna ebrea, della tribù di Dan o di Neftali. Lemoderne ricostruzioni archeologiche, che hanno cercato per quantopossibile di sondarne l’aspetto, confermano i dati biblici in questo senso: ilprogetto e la decorazione del Tempio erano chiaramente ispirati a quellifenici25.

    Dopo, Salomone mandò la richiesta ad Eirom affinché inviasse un artigiano da Tiro,chiamato Cheiròm che da parte di madre era Neftalita – lei veniva, infatti, da quellatribù –, e il padre di lei si chiamava Uria di stirpe israelita. Costui era espertissimo inogni mestiere, e particolarmente valente nella lavorazione dell’oro, dell’argento e delbronzo: e fu lui che eseguì ogni cosa riguardante il Tempio secondo il volere del re.

    (Antichità giudaiche, VIII, III, 76)

    Ai lati dell’entrata sorgevano due colonne, che non avevano alcunafunzione architettonica; nell’immaginario dei secoli a venire conoscerannouna fortuna e una longevità che forse il loro costruttore non avrebbe

  • immaginato.Quella a nord, cioè a destra guardando l’ingresso, aveva il nome di Jachin

    (in ebraico yākîn, che significa probabilmente «Dio renderà solido»); l’altra,quella a sud, di Boaz (da bō’az, «con forza»). Dovevano rappresentaresimbolicamente la durata che il Tempio e il suo culto avrebbero avuto neisecoli? Sembrerebbe di sì, a giudicare dai nomi. Erano fatte entrambe dibronzo – o, come si crede oggi, con un fusto di legno rivestito da placchebronzee –, avevano dimensioni imponenti (18 cubiti di altezza, cioè circa 8metri) ed erano sormontate da capitelli alti 5 cubiti (circa 2,25 metri),decorati un fregio raffinatissimo26.

    Fu questo Cheiròm che innalzò le due colonne di bronzo dello spessore di quattrodita, l’altezza era di diciotto cubiti, e dodici di circonferenza; sul capitello di ognuna viera un giglio di metallo fuso che si elevava all’altezza di cinque cubiti, attorno stava unareticella intrecciata a fogliame di bronzo che copriva i gigli: e da questa pendevanoduecento melograne disposte in due file. Una di queste colonne la collocò allo stipitedestro del vestibolo, e la chiamò Jachein, collocò l’altra allo stipite sinistro e la chiamòAbaiz.

    (Antichità giudaiche, VIII, IV, 77-78)

    Il loro senso esatto sfugge tuttora agli studiosi, che hanno riscontrato lapresenza di simili colonne nel tempio di Kamid el-Loz (in Libano),costruito nell’età del Bronzo recente. Si suppone che fossero inserite nellastruttura del Tempio per continuare la tradizione dei grandi betili presentinei santuari cananei, cioè imponenti pietre erette in onore della divinitàche indicavano la presenza fisica del dio stesso e l’installazione del suoculto. Se così fosse, si tratterebbe di una chiara sopravvivenza di abitudinipagane, ma l’ipotesi non ha mai trovato riscontro in prove sicure27.

    Per custodire l’Arca dell’Alleanza

    Nei suoi tratti fisici, il Tempio era un edificio a pianta rettangolareorientato da est a ovest, con l’ingresso a oriente. Già entrando nel cortile,l’occhio umano poteva scorgere una presenza grandiosa, un enorme catinolustrale fatto interamente di bronzo, che doveva risplendere come se fossed’oro:

    Fuse ancora il Mare di bronzo a foggia di emisfero: questo vaso di bronzo fu chiamatomare a motivo della sua capacità. Era, infatti, un catino fuso del diametro di dieci cubiti

  • e dello spessore di un palmo; era sostenuto da una spirale innestata nel cuore del vaso,che girava in dieci volute, e aveva il diametro di un cubito.

    Attorno al mare stavano dodici buoi con la faccia rivolta ai quattro venti, tre per ognidirezione, e tenevano la parte posteriore abbassata di modo che l’emisfero poggiassesopra di essi a mano a mano che tutto attorno si stringeva. Il mare poteva conteneretremila bath.

    [...]Riempito il Mare di acqua, lo destinò ai sacerdoti affinché potessero lavarsi mani e

    piedi quando entravano nel tempio e dovevano salire all’altare, mentre i catini eranodestinati alla pulizia delle interiora e dei piedi degli animali offerti in olocausto.

    (Antichità giudaiche, VIII, IV, 79-80, 87)

    Del resto, voleva la tradizione biblica che il sovrano avesse inviato unaspedizione nel paese chiamato Sofeir, o «terra dell’oro»; il luogocorrisponde alla misteriosa terra di Ofir citata nei Salmi (45, 10), nel Librodi Giobbe (22, 24) e in Isaia (13, 12), dalla quale arrivarono a Gerusalemmeanche pietre preziose e legni esotici usati per fare i pilastri del santuario28.

    La planimetria del Tempio era composta da tre stanze poste in fila l’unadopo l’altra. La prima aveva il nome di Ulam, e costituiva il vestibolo oportico. Era larga circa nove metri e profonda quattro metri e mezzo29. Dalvestibolo si accedeva alla seconda stanza, chiamata Hekal, da un termine diorigine sumerica (egal, «grande casa») che indicava un santuario o unpalazzo. Era propriamente la sala del culto, e in seguito riceverà il nome diSanto. Vi si trovavano l’altare dei profumi, detto anche altare di cedro oaltare d’oro (fatto a forma di pilastro quadrangolare con i due angoli informa di corno), la tavola con i pani dell’oblazione (un’offerta vegetale cheaccompagnava quella cruenta degli animali immolati) e dieci candelieri30.

    Dall’Hekal si accedeva all’ultima stanza, i veri penetrali del Tempio,attraverso una porta che dopo l’esilio, forse per influsso dovuto alla visionedei templi babilonesi, fu sostituita da un velo finemente ricamato. Era ilDebir («camera posteriore»), o Santo dei Santi, il luogo più sacro, dove erariposta l’Arca dell’Alleanza. Questa era un cofano fatto di legnosormontato da una possente struttura detta propiziatorio (in ebraicokapporet), un monumentale coperchio grande quanto l’Arca stessa, decoratoalle estremità da due figure di cherubini (da kerûb, benedicente») forgiate inoro massiccio, una di fronte all’altra; intrecciando fra loro le punte delle ali,dice Giuseppe Flavio, coprivano l’Arca come una specie di tenda o

  • cupola31.Lo scrigno era il segno tangibile e il luogo stesso della presenza divina,

    poiché secondo il Primo Libro di Samuele (4, 4) «Yahwè siede sui cherubini».Prima che Salomone realizzasse il Tempio, l’Arca era ospitata sotto laTenda del Convegno, un santuario mobile fatto da pelli di montone tintedi rosso; secondo il Primo Libro dei Re, dentro l’Arca non c’era niente, masuccessive redazioni scrivono che conteneva le due tavole di pietra sullequali Mosè aveva scritto i dieci comandamenti, l’urna d’oro cheracchiudeva la manna con cui Dio aveva nutrito il suo popolo durante latraversata del deserto e il bastone di Aronne che era prodigiosamentegermogliato32.

    Il Santo dei Santi era un luogo inviolabile in cui entrava soltanto ilsommo sacerdote, dopo aver compiuto un lungo ed elaborato rituale dipurificazione. Vi entrava una sola volta all’anno per compiere il ritodell’Espiazione, forse la solennità maggiore del culto di Yahwè, che avevauna sua ritualità particolare, dettagliata e molto complessa. Dopo averimmolato un giovenco per sé e la sua famiglia, il sommo sacerdote entravanel santuario e bruciava incenso fino a formare una nube così densa dacoprire il propiziatorio posto sull’Arca: in tal modo Dio era presente enascosto al tempo stesso. Con il sangue del giovenco aspergeva l’Arcadell’Alleanza e il propiziatorio, poi lo mischiava a quello del caproimmolato a Yahwè per lavare i peccati del popolo e con la misturaaspergeva i corni dell’altare, che l’Esodo (30, 10) dice «di una santitàeminente»33.

    Nell’anno 598 le truppe babilonesi di re Nabucodonosor saccheggiaronoGerusalemme, e il Tempio fu depredato dei suoi arredi:

    Il re di Babilonia portò via tutti i tesori del Tempio e i tesori della reggia [...] Deportòtutta Gerusalemme, tutti i funzionari di palazzo e tutti i soldati di carriera in numero didiecimila, tutti gli artigiani; rimasero soltanto i poveracci.

    (II Re 24, 13-14)

    Il numero delle persone deportate non è certo, ma sembra chiaro che futrasferita la parte più ricca della società locale, i maggiorenti, mentre glistrati inferiori della popolazione rimasero in loco; le funzioni religiose nelTempio proseguirono, anche se il santuario aveva perduto i suoi arredi piùpreziosi.

  • Dodici anni dopo, Gerusalemme fu di nuovo occupata e stavolta lapunizione dei babilonesi fu più dura, anche contro il santuario cherappresentava per il popolo un simbolo insostituibile di identità etnica epolitica. Boaz e Jachin, le due colonne che avevano addirittura un nome equindi una specie di personalità, vennero brutalmente prese di mira dallafuria degli invasori:

    I babilonesi fecero a pezzi le colonne di bronzo [...] presero inoltre tutti gli arredi sacri[...] quanto era d’oro e quanto era d’argento.

    (II Re 25, 13-16)

    Evidentemente, durante il primo saccheggio non era stato portato viaproprio tutto ciò che aveva valore; o, forse, questa seconda spoliazione siriferisce al fatto che stavolta furono staccate anche le placche d’oro cherivestivano diversi punti del santuario.

    Seriamente danneggiato, il santuario venne anche dato alle fiamme;secondo Giuseppe Flavio, questo accadde 470 anni, sei mesi e dieci giornidopo la sua erezione.

    Un sacrario immortale

    Benché distrutto, il santuario salomonico non scomparve e, seppurdevastato, rimase il cuore ideale dell’ebraismo. L’area sacra continuava aospitare un culto che non venne mai interrotto, e restò in città anche unaclasse di sacerdoti che officiavano i sacrifici a Yahwè: il Libro di Geremia (41,5) narra infatti di un pellegrinaggio al Tempio poco dopo questi eventi34.

    I libri della Scrittura redatti durante l’esilio sono colmi del rimpianto peril Tempio perduto, ne celebrano la grandezza e lasciano ai posteri il monitosolenne di ricostruirlo. Il profeta Ezechiele fu trasportato in trance dallapotenza divina e vide il grande santuario celeste, immagine ideale di quelloterreno:

    Al principio dell’anno venticinquesimo della nostra deportazione, il dieci del mese,quattordici anni da quando era stata presa la città, in quel medesimo giorno, la mano delSignore fu sopra di me ed egli mi condusse là. In visione divina mi condusse nella terrad’Israele e mi pose sopra un monte altissimo sul quale sembrava costruita una città, dallato di mezzogiorno. Egli mi condusse là: ed ecco un uomo, il cui aspetto era come dibronzo, in piedi sulla porta, con una cordicella di lino in mano e una canna permisurare. Quell’uomo mi disse: «Figlio dell’uomo: osserva e ascolta attentamente e fa’

  • attenzione a quanto io sto per mostrarti, perché tu sei stato condotto qui perché io te lomostri e tu manifesti alla casa d’Israele quello che avrai visto».

    [...]Lo spirito mi prese e mi condusse nell’atrio interno: ecco, la gloria del Signore

    riempiva il tempio. Mentre quell’uomo stava in piedi accanto a me, sentii che qualcunoentro il tempio mi parlava e mi diceva: «Figlio dell’uomo, questo è il luogo del miotrono e il luogo dove posano i miei piedi, dove io abiterò in mezzo agli Israeliti, persempre».

    (Ez 40, 1-4; 43, 5-7)

    Nell’anno 539 a.C. Ciro il Grande occupò Babilonia, e all’imperobabilonese si sostituì quello persiano. Molto più liberale degli antichidominatori, aveva in sé un’idea monoteistica della divinità, e anche se ilsuo dio non era quello degli ebrei, fu generoso con loro. Ebbero ilpermesso di tornare in patria e di riportare nel Tempio gli arredi sacri untempo depredati:

    Il re Ciro fece trarre fuori gli arredi del Tempio di Yahwè, che Nabucodonosor avevaportato via da Gerusalemme e aveva deposto nel tempio del suo dio. Ciro, re di Persia,dette ordine di tirarli fuori al tesoriere Mitridate, il quale li consegnò a Sheshbassar, revassallo di Giudea.

    (Ezra I, 7-8)

    Sheshbassar, che non era un sovrano ma piuttosto un delegato dellamonarchia persiana, si incaricò di ristrutturare il santuario, e i lavori furonoterminati da suo nipote Zorobabele. Come la mitica fenice, simboloantichissimo di rinascita, il Tempio sembrava avere un destino di continuaresurrezione. Segni celesti molto evidenti mostravano che la sua santità eraimmortale. L’edificio poteva essere devastato e incendiato, persino raso alsuolo; ma il Tempio non era mai stato soltanto un’opera muraria. Dentrola scatola preziosa di pietre finemente intagliate, di legni pregiati rivestiti daplacche d’oro, esisteva un santuario inestinguibile, perché fatto di sostanzaspirituale; il Secondo Libro dei Maccabei lo descrive dietro il simbolo del fuocosacro che ardeva sull’altare delle offerte al Signore:

    Infatti quando i nostri padri furono deportati in Persia, i sacerdoti fedeli di allora, presoil fuoco dall’altare, lo nascosero con cautela nella cavità di un pozzo che aveva il fondoasciutto e là lo misero al sicuro, in modo che il luogo rimanesse ignoto a tutti. Dopo unbuon numero di anni, quando piacque a Dio, Neemia, rimandato dal re di Persia, inviòi discendenti di quei sacerdoti che avevano nascosto il fuoco a farne ricerca; quando essi

  • ci riferirono che non avevano trovato il fuoco ma acqua grassa, comandò loro diattingerne e portarne. Poi furono portate le offerte per i sacrifici e Neemia comandò chevenisse aspersa con quell’acqua la legna e quanto vi era sopra. Così fu fatto e dopo un po’di tempo il sole, che prima era coperto di nubi, cominciò a risplendere e si accese ungran rogo, con grande meraviglia di tutti.

    (II Maccabei 1, 19-22)

    Nell’anno 167 Antioco IV Epifane volle profanarlo, e fece celebraresacrifici a Zeus sull’altare degli olocausti. L’azione rientrava in un progettoche voleva togliere agli ebrei le loro rigide abitudini culturali e religiose,per ellenizzarli e renderli così più integrati nel quadro politico della nuovamonarchia nata dalle conquiste di Alessandro Magno e dei suoi generali.Nello stesso periodo storico la Bibbia venne tradotta in greco nella città diAlessandria d’Egitto, e questo nuovo testo, detto dei Settanta perchésecondo la tradizione vi lavorarono settanta sapienti, si diffuse tanto daessere letto in tutte le sinagoghe, facendo praticamente cadere in disusoquello originale in lingua ebraica, ormai diventato un idioma di usoerudito e sacerdotale35.

    Gli ebrei accettarono senza drammi il fatto di non ascoltare più la Torahnella loro lingua nativa, anche se era quella con cui Dio aveva parlato aiprofeti, quella in cui erano stati scritti i dieci comandamenti. Leprofanazioni del santuario scatenarono invece un violento moto di rivoltache culminò nella guerra dei Maccabei. Il Tempio ne fu l’epicentro:

    Giuda intanto e i suoi fratelli dissero: «Ecco, sono stati sconfitti i nostri nemici:andiamo a purificare il santuario e a riconsacrarlo». Così si radunò tutto l’esercito esalirono al monte Sion. Trovarono il santuario desolato, l’altare profanato, le porte arse ecresciute le erbe nei cortili come in un luogo selvatico o montuoso, e gli appartamentisacri in rovina. Allora si stracciarono le vesti, fecero grande pianto, si cosparsero dicenere, si prostrarono con la faccia a terra, fecero dare i segnali con le trombe e alzaronogrida al Cielo. Giuda ordinò ai suoi uomini di tenere impegnati quelli dell’Acra, finchénon avesse purificato il santuario. Poi scelse sacerdoti incensurati, osservanti della legge,i quali purificarono il santuario e portarono le pietre profanate in luogo immondo36.

    Pare che la sensibilità popolare non amasse molto questo secondosantuario, sia perché era più piccolo e modesto di quello edificato daSalomone, sia perché aveva una forma quadrata, ben radicata nella culturadella Mesopotamia ma estranea alla tradizione ebraica37. Più tardi Erode ilGrande fece smantellare il secondo Tempio per sostituirlo con un’opera

  • grandiosa, capace di reggere il confronto con ciò che nell’immaginariodegli ebrei, e negli scritti dei profeti, era stato il santuario di Salomone.L’opera richiese oltre un secolo per essere portata a compimento, ed eraconcepita per ricordare la maestà del Tempio edificato quasi mille anniprima. Attento alle esigenze del suo popolo e volendo compiere unapotente manovra demagogica, Erode ordinò ai suoi architetti di studiareminuziosamente le profezie di Ezechiele, affinché si vedesse realizzato ciòche Israele aveva tanto a lungo sognato e atteso.

    Fu addirittura raddoppiata l’area sacra del Moria, l’altopiano nordorientaledella città dove sorgeva il santuario, con un’ardita opera di terrazzamentisostenuti da costruzioni gigantesche; poi vennero stabilite basi di pietrafatte di blocchi enormi, alcuni dei quali giungevano addirittura a due metridi altezza e dodici di lunghezza.

    Il santuario vero e proprio, che mantenne la sua struttura tradizionaleincentrata sulle tre stanze (Ulam, Hekal e Debir), si vedeva sorgere altoverso il cielo, a sormontare una struttura progressiva fatta di cortiliconcentrici, sempre più stretti e più elevati via via che il senso dellasacralità si faceva più denso e diminuiva il numero delle persone ammessead entrare. Il primo grandissimo recinto inquadrava uno spazio aperto diforma rettangolare che sul lato maggiore misurava benduecentotrentacinque metri. L’intero perimetro era circondato da grandiportici con colonne alte undici metri, con il tetto in legno di cedro e ilpavimento abbellito da pietre colorate. Lungo il lato meridionalel’impressionante Portico Reale, fatto di tre navate di cui la centralegiungeva a misurare ventotto metri d’altezza, aveva colonne così grandi chetre uomini non riuscivano, unendosi, ad abbracciarne il fusto. Questoluogo era accessibile a tutti, e vi si andava anche per discutere di affari,politica e cultura, come si faceva nei Fori romani.

    Nel centro del grande piazzale sorgeva il santuario vero e proprio,inquadrato da un secondo recinto. Quindici gradini guidavano versol’ingresso del muro esterno, mentre alcune scritte sulle colonneammonivano i pagani a non oltrepassare la soglia, perché quel cammino,scandito da ben tredici porte, era riservato alla sola gente del popolo eletto.L’effetto generale era quello di una magnificenza capace di impressionaregli stranieri:

  • All’esterno del Tempio non mancava nulla per impressionare né la mente né la vista;infatti essendo ricoperto dappertutto di massicce piastre di oro, fin dal primo sorgere delsole era tutto un riflesso di bagliori, e a chi si sforzava di fissarlo faceva abbassare losguardo come per i raggi solari. Agli stranieri in viaggio verso Gerusalemme essoappariva da lontano simile a un monte coperto di neve, perché dove non era ricopertod’oro era bianchissimo.

    (Guerra giudaica, V, 5, 222-223)

    Le donne entravano nel primo recinto senza procedere oltre, mentreun’altra scala, fatta di quindici gradini bassi, conduceva al cortile degliuomini; qui dominava lo scenario la magnifica porta di bronzo donatacome ex voto da Nicanore, un ricco ebreo di Alessandria d’Egitto, grato aDio per essere scampato a un naufragio. Era talmente imponente e pesanteche per manovrarla, secondo Giuseppe Flavio, serviva la forza di ventiuomini. Al di sopra, separato da una balaustra dopo tre gradini, stava ilcortile dei sacerdoti, dall’alto del quale era impartita la benedizione alpopolo; infine si incontrava l’ultimo recinto, grande circa sessanta metriper ottanta, dove si immolavano gli animali per i sacrifici.

    Ma ancora oltre, più in alto delle grida miserevoli delle vittime sgozzate edel fumo acre proveniente dalle viscere bruciate, sorgeva il Tempio vero eproprio. Entrando nel vestibolo, passato il colonnato alto trenta metri elargo quarantacinque, un profondo silenzio sacrale faceva dimenticare lescene cruente del recinto più interno, come pure la calca dei mercanti edella varia umanità che affollava quello inferiore, dove Gesù si adirò controi mercanti e i cambiavalute38. La porta era di cedro placcata d’oro,sovrastata da una vite anch’essa in oro, simbolo della Creazione, dellasaggezza e del popolo d’Israele. Un magnifico velo ricamato secondol’usanza babilonese la chiudeva, molto prezioso anche se più piccolo diquello esterno, lungo addirittura ventotto metri39.

    Circondato da un labirinto di trentotto stanze e una galleria dai muritappezzati di legni incorruttibili, con un sistema di veli disposti in modo dacelarlo allo sguardo umano, stava il Santo dei Santi. Era il Kadosh kadoshim:completamente vuoto, ora che l’Arca era stata deportata, accessibile alsommo sacerdote unicamente per un giorno l’anno, abitato soltantodall’Invisibile Presenza.

    Alla ricerca del Tempio perduto

  • Il Tempio prende forma nella mente degli uomini. [...]Il Tempio non è mai semplicemente un edificio distrutto. È diventato il più potente

    simbolo della ricerca umana di un ideale perduto, un’immagine della grandezza antica edi quella a venire40.

    Il mattino del 28 agosto dell’anno 70 il generale Tito, figlio di Vespasianoe comandante in capo dell’esercito di Roma, si preparava all’assalto finalecontro Gerusalemme, dopo tre anni di guerra combattuta per sedare larivolta degli ebrei nella provincia della Giudea. Durante la battaglia, unsoldato romano lanciò un tizzone ardente dentro una delle basse portedorate del Tempio: gli antichi arredi di legno di cedro divamparonoall’istante. Finito il combattimento, i romani rasero completamente alsuolo ciò che dell’edificio era rimasto41.

    Una specie di sinistra fatalità incombeva sul mistico edificio. Descrivendola sua distruzione ad opera delle legioni di Tito, durante la guerra giudaica,Giuseppe Flavio sembra quasi evocare la predestinazione di questo luogosacro alla rovina. Una rovina causata dagli stessi ebrei, che vi si eranoasserragliati dentro, mettendo i romani nella necessità di distruggerlo perstanare la radice della rivolta. Una rovina scritta in qualche modo neldestino, perché cadde esattamente lo stesso giorno in cui, secoli prima, erastato dato alle fiamme dalle truppe di Nabucodonosor:

    Tito si ritirava dalla [fortezza] Antonia deciso a scatenare all’alba del giorno dopo unassalto con tutte le forze per investire da ogni parte il tempio. Questo già da parecchiotempo era stato dal dio condannato alle fiamme, e col volger degli evi ritornò il giornofatale, il dieci del mese di Loos, quello in cui una volta esso era già stato incendiato dal redei babilonesi42.

    Gli ebrei furono severamente colpiti da una nuova, umiliantedeportazione; e quelli che abitavano sparsi nei vari territori dell’imperoromano dovettero subire un’altra punizione che li colpivaeconomicamente, ma soprattutto feriva il loro senso di identità: una tassapro capite molto onerosa (fiscus giudaicus), imposta persino alle donne e aibambini dai tre anni in poi. Anche in passato i giudei pagavano una quotada inviare a Gerusalemme per celebrare il sacrificio del Tempio, cherestava il cuore fisico e l’orizzonte ideale del loro culto; Vespasiano usòinvece questo importo per ricostruire il sacrario di Giove sul Campidoglio.Un simile intento punitivo offendeva profondamente la sensibilità religiosa

  • degli ebrei: il loro denaro veniva usato per il culto degli idoli43. Al Tempiofisico, distrutto, si sommava anche il Tempio spirituale, profanato dalleazioni impure e vessatorie di Vespasiano.

    Nell’anno 132 il rivoluzionario Shimon Bar Kochba (in ebraico, «figliodella stella») si proclamò Messia; enfatizzando gli aspetti politici di questoruolo, che a quel tempo possedeva molti significati diversi, animò l’ultimarivolta giudaica contro la dominazione romana. Il Tempio distrutto vennericostruito, benché in modo sommario; poco dopo, nel 135, l’imperatoreAdriano sgominò la rivolta e fece radere al suolo l’intera città diGerusalemme, facendo erigere al suo posto una metropoli concepitasecondo i canoni dell’urbanistica imperiale, e dandole un nome derivatodal suo gentilizio: Aelia Capitolina.

    Il grande santuario dunque non esisteva più. Era perduto, dimenticatosotto il lastricato della nuova città romana, mentre gli ebrei se ne andavanoin esilio e i rabbini, nella città di Jamnia, si riunivano per assicurare unacontinuità alla loro tradizione culturale e religiosa. Il Tempio del resto nonera mai stato semplicemente un edificio, un mero cumulo di materialiinerti, per quanto preziosi e raffinati; prima di ogni altra cosa, era il mezzodel contatto fra l’uomo e Dio. Una comunicazione che in effetti potevaavvenire comunque, senza che necessariamente vi fossero intorno porticienormi ed arredi d’oro massiccio.

    Per gli ebrei continuava ad essere il simbolo più forte della loro identitàreligiosa e culturale, dunque continuarono a rappresentarlo seguendoquanto dicevano la Scrittura e la tradizione. La porta del vestibolo, quellaaffiancata dalle due colonne di bronzo con un nome proprio dal sensomisterioso, sembra aver giocato un ruolo importante nell’iconografia delsantuario, quasi una specie di identikit della struttura.

    A Dura Europos (nella Siria sudoccidentale) è stato rinvenuto il sito diun’antica sinagoga edificata verso il 160-170, e poi ingrandita intorno al250; ha la particolarità di possedere i muri decorati da trenta bellissimiaffreschi disposti su tre file che ritraggono molte figure, anche umane(l’Arca, i patriarchi e diversi profeti). La mentalità cosmopolita affermatasiin Medio Oriente durante la tarda antichità rendeva possibile in certi casitransigere sul rigido divieto biblico di fare ritratti per non caderenell’idolatria44.

    Negli affreschi di questa sinagoga è riprodotto anche il Tempio, accanto

  • al candelabro a sette bracci e ad altri oggetti ebraici riservati al culto; è unaraffigurazione frontale e schematica che mostra una porta chiusa a duebattenti, affiancata da quattro colonne, non quindi solo due, come nelsantuario salomonico. Qualcosa di molto simile compare su una monetaconiata al tempo della rivolta giudaica di Bar Kochba; possiamoragionevolmente presumere che fosse quella, almeno ai tempi dell’imperoromano, l’immagine in qualche modo canonica per ritrarre il leggendarioTempio.

    Siamo ormai in epoca pienamente cristiana. E per i cristiani, d’altrocanto, non era un luogo meno importante né meno carico di significatispirituali.

    Gesù nel Tempio

    La separazione rispetto agli ebrei si era consumata dopo l’anno 90, quandoi rabbini emisero delle norme che miravano ad escludere gli eretici dallecomunità ebraiche, misure che colpivano in primo luogo i giudeo-cristiani. Il Talmud di Babilonia e quello di Gerusalemme, duecompilazioni successive, riportano la sostanza di una preghiera (la birkathammînîm) che si rivolge al Signore affinché sradichi l’apostasia, e nellaparola che indica i settari (mînîm) sono inclusi i cristiani, cioè quantiidentificavano il Messia d’Israele con Gesù di Nazareth45. Nondimeno, iseguaci del Nazareno rimasero per molto tempo legati alla loro culturad’origine, ereditandone alcune pratiche di culto, e anche le tradizioni. Per igiudeo-cristiani il Tempio restava comunque un luogo speciale; giàvenerabile per quanto narrato nell’Antico Testamento, lo divenne ancoradi più grazie a ciò che in esso aveva fatto e insegnato il Nazareno46.

    Nel Tempio il vangelo di Luca pone la preistoria del cristianesimo.Zaccaria era un sacerdote della classe di Abia, l’ottava fra quelle istituite daDavide per regolare i turni di servizio settimanale nel santuario; in visione,l’arcangelo Gabriele gli parlò mentre era il suo turno di offrire l’incensosull’altare del santo, e gli annunciò la futura nascita del Battista47. Semprenel Tempio avvennero le più precoci manifestazioni della natura eletta diGesù: al momento in cui viene presentato dai genitori con l’offerta ritualedei colombi, Simeone, un uomo giusto cui era stato predetto che nonsarebbe morto prima di aver visto con i suoi occhi il Messia, indotto dallo

  • Spirito salì al Tempio e riconobbe l’Unto del Signore nel bambino.Nel santuario abitava la profetessa Anna, figlia di Fanuele della tribù di

    Aser; sopraggiunta in mezzo a loro, anche lei riconobbe la messianicità delbambino. All’età di dodici anni, durante il pellegrinaggio che ogni annocompivano Maria e Giuseppe in occasione della Pasqua, Gesù dimostra dipossedere la Parola divina come un dono innato, tanto da poter discuteredi cose sacre con i dottori della Legge48.

    Durante la sua missione, il Nazareno era salito al Tempio per svolgervi leproprie devozioni, da buon ebreo, e anche per insegnare. Condotto sulpinnacolo più alto, era stato tentato da Satana; aveva irritato la potenteclasse dei sacerdoti sadducei proprio perché criticava il culto tradizionalebasato sull’offerta di sacrifici e invitava alla conversione dell’anima, a unnuovo tipo di culto soprattutto spirituale. Nel cortile esterno affollato digente, Gesù aveva rovesciato i banchi dei cambiavalute accusando isacerdoti di tollerare che una casa di preghiera fosse ignobilmentetrasformata in un mercato.

    Nel vangelo di Giovanni, dove il misticismo è più intenso rispetto ai tresinottici, il Tempio distrutto e ricostruito in tre giorni serve comeimmagine a Gesù per indicare il proprio corpo, predicendo ai discepoli lamorte in croce e la futura resurrezione. Di conseguenza, Paolo di Tarsoadotta l’idea del Tempio per indicare i cristiani, che formano tutti insiemeil corpo mistico di Cristo, mentre nella Lettera agli Ebrei si parla di unTempio celeste nel quale Cristo entrò con il dono del proprio sangue. È ilsantuario «non fatto da mani d’uomo», che si contrappone a quello antico einferiore, benché venerabile, che restava comunque un prodotto dellatecnica umana, e perciò deperibile49.

    Alla fine del racconto della Passione, è il santuario stesso che sembraurlare contro il delitto commesso da coloro che hanno crocifisso Gesù: ilvelo del Tempio si squarciò a metà, un evento riportato da tutti e tre isinottici (Mc 15, 38; Mt 27, 51; Lc 23, 44). Fisicamente, quell’oggetto erauno dei due preziosi teli sacri posti nel santuario, e si ritiene che la sualacerazione sia dovuta al terremoto che si verificò in quello stessomomento; ma la tradizione evangelica menziona e discute il fatto concretosolo se riflette un senso ulteriore, spirituale50.

    Era inevitabile che gli scrittori cristiani attribuissero al santuario diGerusalemme il ruolo di scenario ideale nel quale, forse più che altrove, la

  • natura divina di Cristo si era manifestata agli uomini. Ai loro occhi, lamissione e il ministero del Nazareno si erano svolti entro questo spaziospeciale, fulcro del culto giudaico, proprio per indicare come ilcristianesimo nascesse dalla radice più autentica del giudaismo, peròlacerandolo, in un certo senso, e superandolo.

    Ma c’erano tradizioni parallele, confluite soprattutto negli scritti apocrifi,che legavano al Tempio anche la figura della madre Maria: nelProtovangelo di Giacomo si racconta di come Maria fosse stata allevataproprio nel santuario fino all’età di dodici anni, momento in cui la leggeebraica consentiva alle donne di sposarsi. Nel Tempio filava la porpora, unmateriale prezioso usato per gli arredi sacri, ad esempio i velami, lacopertura della Tenda del Convegno, le vesti del sommo sacerdote e altrioggetti liturgici; ciò ne faceva una donna consacrata alla sua futuramissione, predestinata51.

    Il Testamento di Beniamino, che è parte di una raccolta di apocrifi notacome Testamenti dei Dodici Patriarchi, presenta una suggestiva mescolanza dielementi che rispecchia la sensibilità religiosa e le idee di questa culturacristiana in formazione. Composto verso l’anno 200 a partire da testianteriori, i testamenti di Levi e di Neftali, contiene anche elementiprovenienti dai romanzi ellenistici, allora molto in voga; in esso, il Tempiodiventa un luogo metafisico, trascendente, interno all’anima, la partedell’uomo dove si compiono i misteri della salvezza:

    Solo in una parte di voi resterà il tempio di Dio e sarà anche più glorioso del primo, elà si raduneranno le dodici tribù e tutti i pagani, fino a quando l’Altissimo invierà la suasalvezza con la visita del suo unigenito. Ed egli entrerà nel primo tempio, dove ilSignore sarà insultato e sollevato sul legno. E la tenda del tempio sarà lacerata, e lospirito di Dio discenderà sui pagani come fuoco che si diffonde52.

    Nell’esegesi cristiana, il grande santuario divenne un luogo metafisico,intorno al quale si affollavano tradizioni antichissime e intensi ricordi delculto, ma anche echi di guerra.

    Deus Sabaoth. I Templari e la guerra santa

    I due libri dei Maccabei, considerati canonici sin dai tempi più antichi,contengono molti passi che sono propriamente inni militari. Venneroscritti per implorare Dio di dare la vittoria ai suoi combattenti, che lottano

  • per una causa giusta e santa; durante l’età delle crociate, i Maccabeifornivano materiale prezioso per i sermoni e le omelie, ed erano una fontedi ispirazione tanto più autorevole perché proveniente da un testo sacroispirato direttamente da Dio.

    San Bernardo di Chiaravalle conosceva profondamente la Bibbia, esull’interpretazione della Sacra Scrittura si fondava la cultura teologica delsuo tempo, che non aveva ancora conosciuto la filosofia scolastica e lariscoperta di Aristotele. Il trattato composto per sostenere l’ordine deiTemplari trabocca letteralmente di passi della Scrittura, ed è un veropeccato che non sia mai stato compiuto un esame esauriente di questaintensa matrice biblica con cui l’abate forgiò l’etica del primo ordinereligioso e militare. A ben vedere, si trattava di una scelta obbligata. Se ilteologo voleva spiegare la sua idea del malicidio, se voleva non soloscagionare ma addirittura esaltare il ruolo di chi versa sangue umano per ladifesa di una causa religiosa, doveva cercare riferimenti nei libri dell’AnticoTestamento, perché quelli del Nuovo erano interamente pervasi da unmessaggio di non violenza.

    Nella predicazione religiosa che animò la prima crociata, l’interventomilitare in Terrasanta era giustificato dalle stragi e dalle profanazionioperate dai saraceni invasori, ovvero dai Turchi di etnia selgiuchide cheavevano occupato la Siria-Palestina, più aggressivi e intolleranti rispettoagli arabi che l’avevano tenuta per secoli. L’eco delle violenze era giunta inOccidente, dove la cultura ecclesiastica rievocava certi delitti e certisacrilegi nel Primo Libro dei Maccabei:

    Versarono sangue innocente intorno al santuario e profanarono il luogo santo.Fuggirono gli abitanti di Gerusalemme a causa loro e la città divenne abitazione distranieri; divenne straniera alla sua gente e i suoi figli l’abbandonarono. [...] Il suosantuario fu desolato come il deserto, le sue feste si mutarono in lutto, i suoi sabati invergogna, il suo onore in disprezzo. Quanta era stata la sua gloria altrettanto fu il suodisonore e il suo splendore si cambiò in lutto.

    (I Maccabei 4, 12-13; 37-40)

    Il testo sacro autorizzava a pensare che la resistenza fosse una cosa graditaa Dio, e che anzi il Signore potesse ispirare coraggiosi difensori pronti amorire per il riscatto del suo popolo e del suo santuario:

    In quel tempo si unì con loro un gruppo degli Asidei, i forti d’Israele, e quanti

  • volevano mettersi a disposizione della legge; inoltre quanti fuggivano davanti allesventure si univano a loro e divenivano loro rinforzo. Così organizzarono uncontingente di forze e percossero con ira i peccatori e gli uomini empi con furore; gliscampati fuggirono tra i pagani per salvarsi.

    (I Maccabei 4, 42-44)

    Dai Salmi Bernardo trae un’ampia sezione del De laude (III, 5, 6) in cuiafferma che uccidere può diventare addirittura un’opera meritoria, se lo sifa per schiacciare i nemici della fede che opprimono i cristiani e profananoi loro luoghi sacri:

    Siano dunque disperse senza timore le nazioni che vogliono la guerra (Sal 67, 31);siano estirpati coloro che ci minacciano, e siano scacciati dalla città del Signore tutti imalfattori che tentano di portar via da Gerusalemme le inestimabili ricchezze del popolocristiano ivi riposte, che contaminano i luoghi santi, che si trasmettono di padre in figlioil santuario di Dio. Sia sguainata la doppia spada dei fedeli sulle teste dei nemici perdistruggere qualunque superbia [ad destruendam omnem altitudinem] che osi ergersi controla conoscenza di Dio, che è la fede cristiana, affinché le nazioni non dicano: Dov’ è illoro Dio? (Sal 114, 2).

    L’attività dei Templari, eccellenza bellica e morale nell’esercito cristiano,nasce all’interno di questo contesto teologico. Con un’operazione audace einteressante, Bernardo riesce addirittura a inserire i suoi commilitoni diCristo nel quadro delle profezie di Isaia che annunciano il riscatto di Sion:

    Rallegrati, Gerusalemme, e riconosci il tempo in cui sei stata visitata. Godete e lodateanche voi, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, hariscattato Gerusalemme; Dio ha mostrato la sua santa potenza al cospetto di tutte lenazioni (Is 52, 9-10). Tu eri caduta, o Vergine d’Israele, e non c’era chi ti risollevasse:sorgi, dunque, o vergine, scuoti la polvere, o sventurata figlia di Sion! Alzati, ti dico, etieniti eretta nello splendore (Is 52, 2), e vedi la gioia che ti viene dal tuo Dio. Non tichiameranno più derelitta, e la tua terra non sarà più a lungo detta desolata. Poiché ilSignore si è compiaciuto di te (Is 62, 64), ed il tuo territorio sarà ripopolato. Alza gliocchi attorno e guarda: tutti costoro si sono riuniti e sono venuti a te (Is 49, 18).Dall’alto ti è stato inviato questo aiuto. Per mezzo di questi [cavalieri] perfettamente sicompie l’antica promessa: Io ti conferirò una gloria che durerà nei secoli e la tua gioiasarà di generazione in generazione; tu berrai il latte delle nazioni, ti nutrirai allemammelle riservate ai re (Is 60, 15).

    Poco prima (III, 4-6) aveva detto in modo esplicito che i Templarimilitano per il Signore esattamente come un tempo fecero i guerrieri diIsraele, sicché sono giustificati come lo erano quanti prima di loro

  • combatterono per un’identica causa. In breve, li presenta come i lorosuccessori, coloro che in qualche modo hanno ereditato la stessa nobilemissione:

    Dalla morte dell’infedele il cristiano trae gloria poiché il Cristo viene glorificato: nellamorte del cristiano si manifesta la generosità del suo Re che chiama a sé il suo cavaliereper donargli la ricompensa. Pertanto sul nemico ucciso il giusto si rallegrerà vedendo lavendetta (Sal 57, 11). Ma sul cavaliere ucciso si dirà: – Il giusto guadagna ad essere tale?Sì, perché Dio gli rende giustizia sulla terra (Sal 57, 12).

    Non vedete, dunque, quanta abbondante testimonianza la nuova cavalleria ha ricevutodai tempi antichi, e che quanto abbiamo udito lo vedremo compiersi nella città delSignore degli eserciti? (Sal 49, 7)

    Il messaggio biblico, per Bernardo, va adattato al momento presente erisulta quanto mai attuale. I Templari sono gli eredi dei Maccabei, i figlidel nuovo Israele (IV, 8):

    Pertanto non turbolenti ed impetuosi, senza precipitarsi con leggerezza, si ordinanoponderatamente e con ogni cautela e prudenza si dispongono in assetto di guerra, cosìcome è stato scritto dai nostri padri, come veri figli del [nuovo] Israele pieni di paces’avanzano per la battaglia.

    [...]Hanno imparato a non confidare nelle proprie forze, ma ad attendere la vittoria dal

    volere del Dio degli eserciti, al quale, secondo quanto è scritto nel Libro dei Maccabei,pensano sia molto agevole mettere molti nelle mani di pochi; e che per il Dio dei cielinon fa differenza salvare i molti o i pochi, poiché la vittoria non sta nel numero deicombattenti, ma nella forza che vien dall’alto (I Mc 3, 18-19). E di ciò hanno fattomolto spesso esperienza, così che generalmente uno solo ne incalza quasi mille e due nehanno messi in fuga diecimila (cfr. Sal 90).

    Questa era l’immagine dei Templari come appariva alla società cristiananei primi decenni del secolo XII, cioè filtrata alla luce di quanto insegnavala Bibbia, fonte di ogni sapere sacro e affidabile.

    Esistevano però altri saperi, certo meno autorevoli della Scrittura, ma nonper questo meno noti e apprezzati. Erano tradizioni rimaste escluse dalcanone dei testi sacri, quelli ispirati direttamente da Dio, ma in ogni casocircolanti fra la gente comune e studiate anche dagli intellettuali.Costituivano leggende così antiche da assurgere alla dignità di convinzioniampiamente diffuse, dalle quali scaturivano usi devozionali guardati consospetto dalle autorità ecclesiastiche, forme di sincretismo religioso e,talvolta, persino pratiche di magia. In una parola, tradizioni apocrife.

  • 1 Jacques de Vitry, Historia Hierosolymitana, in A. Demurger, Vita e morte dell’Ordinedei Templari, Milano 1987 (nuova ed. 2005), pp. 15-16.2 C. Eubel, Hierarchia Catholica medii aevii, vol. I, Münster 1913, p. 68 e nota 2.Jacques de Vitry, in seguito cardinale del titolo di Tuscolo, fu un personaggiocentrale nella storia religiosa e intellettuale della Terrasanta, attivamente impegnatonel contesto della quinta crociata. La sua Historia Hierosolymitana è una delle fonti piùpreziose per ricostruire la vita degli occidentali nel regno cristiano di Terrasanta e levicende degli ordini militari. Cfr. S. Runciman, Storia delle crociate, trad. it. di A. e F.Comba, 2 voll., Torino 1966, vol. I, pp. 229-248; F. Cardini, Le crociate fra il mito e lastoria, Roma 1984, pp. 51-82; A. Demurger, Chevaliers du Christ. Les ordres religieux-militaires au Moyen Âge (XIe-XVIe siècle), Paris 2002, pp. 37-38, 147, 199.3 Runciman, Storia delle crociate, cit., vol. I, pp. 303-323; J. Flori, Bohémond, croisémodèle?, in «Come l’orco della fiaba». Studi per Franco Cardini, a cura di M. Montesano,Firenze 2010, pp. 123-132.4 S. Cerrini, La rivoluzione dei Templari. Una storia perduta del dodicesimo secolo, Milano2008, pp. 21-23; G. Ligato, Fra Ordini cavallereschi e crociata: «milites ad terminum» e«confraternitates armate», in «Militia Christi» e crociata nei secoli XI-XIII. Atti dellaundecima Settimana internazionale di studio, Mendola, 28 agosto-1° settembre 1989, Milano1992, pp. 645-697. Sulla presenza e il ruolo dei volontari che servivano a temponegli ordini militari, cfr. anche A. Forey, ‘Milites ad terminum’ in the Military OrdersDuring the Twelfth and Thirteenth Centuries, in The Military Orders, vol. IV, On Landand by Sea, a cura di J. Upton-Ward, Aldershot 2008, pp. 5-11; per il caso specificodel Tempio, cfr. J. Schenk, Templar Families: Landowning Families and the Order of theTemple in France, Cambridge 2012, pp. 70-74.5 Cardini, Le crociate fra il mito e la storia, cit., p. 36; L. Russo, Le fonti della «primacrociata», in Mediterraneo medievale: cristiani, musulmani ed eretici tra Europa e Oriente, acura di M. Meschini, Milano 2001, pp. 51-65. Sulla percezione della gente comunee la spiritualità che animò il movimento, è datato ma sempre valido il lavoro di P.Alphandéry, A. Dupront, La cristianità e l’idea di crociata, trad. it. di B. Foschi Martini,Bologna 1974, pp. 19-45. Ricco per la ricostruzione degli aspetti materiali dellecrociate (politica, colonizzazione, indulgenze papali) è il recente volume di A.Demurger, Crociate e crociati nel medioevo, trad. it. di E. Lana, Milano 2010, anche sel’autore riserva uno spazio forse troppo esiguo alle componenti emotive e spiritualidel movimento, che furono determinanti, specie nella fase iniziale.6 M. Defossez, Giosafat, valle di, in Dizionario Enciclopedico della Bibbia (d’ora in poiDEB), Roma 20022, p. 633.7 Il pellegrinaggio era di certo favorito dall’abitudine di fornire ospitalità gratuita achi viaggiava per fini religiosi, mentre sembra che la pratica di far pagare vitto ealloggio sia entrata in uso più tardi, dopo l’anno Mille. Singolare è il racconto delmonaco francese Richerio, che nel 991 viaggiò da Reims a Chartres coprendo unadistanza di 250 km nell’arco di una settimana, munito soltanto di un servo e di una

  • bestia da soma concessi dall’abate di Reims, ma senza né denaro né vestiti; cfr. H.C.Peyer, Viaggiare nel medioevo. Dall’ospitalità alla locanda, trad. it. di N. Antonacci,Roma-Bari 2009, pp. 31-61, alla p. 53.8 Hues de Paiens delez Troies si trova nell’antica traduzione in francese (1220-1223circa) della Historia di Guglielmo, arcivescovo di Tiro (morto dopo il 1186); nel testodella regola templare approvato dal concilio di Troyes (gennaio 1129) è chiamatosemplicemente magister militie Hugo, mentre un documento datato al 20 maggio 1130lo definisce Hugo de Paianis. Altri testi leggermente più tardi concorrono apresentarlo come nativo del territorio di Troyes, ma è stato anche ipotizzato chefosse di origine italiana (presso Nocera dei Pagani), benché con prove ancora troppofragili. Per una visione generale sul fondatore dei Templari cfr. M.C. Barber, TheOrigins of the Order of the Temple, in «Studia monastica», XII (1970), pp. 219-240;M.L. Bulst-Thiele, Sacrae Domus Militiae Templi Hierosolymitani Magistri, Göttingen1974, pp. 19-29; Demurger, Vita e morte, cit., pp. 20-24. Per la disputa sulle originifrancesi o italiane del fondatore dei Templari, cfr. i due libri recenti di T. Leroy,Hugues de Payns, chevalier champenois, fondateur de l’ordre des templiers, Troyes 2000, e M.Moiraghi, L’italiano che fondò i Templari. ‘Hugo de Paganis’ cavaliere di Campania,Milano 2005.9 Sul tema esiste una bibliografia vastissima; fanno in ogni caso ancora da guida ilavori di F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Firenze 1981 (nuova ed.Bologna 2014), in particolare pp. 293-333, e di J. Flori, L’idéologie du glaive. Préhistoirede la chevalerie, Genève 1983.10 «Accipe [...] hunc gladium, quo eicias omnes Christi adversarios, barbaros etmalos Christianos», in Widukindo de Corvey, Res Gestae Saxonicae, liber II, 3, ed. G.Waitz, Scriptores Rerum Germanicarum, Hannover 1904, p. 56, cit. in Flori, L’idéologiedu glaive, cit., pp. 94, 99.11 J. Leclercq, «Militare Deo» dans la tradition patristique et monastique, e R. Grégoire,Esegesi biblica e «militia Christi», entrambi in «Militia Christi» e crociata, cit.,rispettivamente alle pp. 3-20 e 21-47. Va detto comunque che tutti i contributi delvolume offrono un apporto importante riguardo al tema.12 Sulla questione esiste una bibliografia molto vasta; per averne un’idea, si vedano adesempio A. García y García, Reforma gregoriana e idea de la «Militia sancti Petri» en losreinos ibéricos, in La Riforma Gregoriana e l’Europa. Atti del Congresso Internazionale,Salerno, 20-25 maggio 1985, Roma 1989, pp. 241-262; F. Tommasi, ‘Pauperescommilitones Christi’. Aspetti e problemi delle origini gerosolimitane, in «Militia Christi» ecrociata, cit., pp. 443-473; P. Siniscalco, Dal soldato martire all’imperatore: modelli dicristiani per la Chiesa antica, in ΕΥΚΟΣΜΙΑ. Studi miscellanei per il 75° di Vincenzo PoggiS.J., a cura di V. Ruggieri e L. Pieralli, Soveria Mannelli 2003, pp. 453-469.13 Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, cit., p. 212.14 F. Cardini, I poveri cavalieri del Cristo. Bernardo di Clairvaux e la fondazione dell’ordinetemplare, Rimini 1992 (nuova ed. 1999), pp. 81-114; Cerrini, La rivoluzione dei

  • Templari, cit., pp. 63-95; interessante anche la lettura di L. García-Guijarro-Ramos,Ecclesiastical Reform and the Origins of the Military Orders: New Perspectives on Hugh ofPayn’s Letter, in The Military Orders, vol. IV, cit., pp. 77-83; R. Hiestand, TheMilitary Orders and Papal Crusading Propaganda, in The Military Orders, vol. III, Historyand Heritage, a cura di V. Mallia-Milanes, Aldershot 2008, pp. 155-165, alla p. 155.15 Celebre ma non certo unica è la critica di Isacco di Stella, che parlava deiTemplari come di un «nuovo mostro» perché seguivano un modello di vitaconsacrata talmente estraneo all’insegnamento di Cristo da essere «un ordine delquinto vangelo»; cfr. Isaac de l’Étoile, Sermons, III, a cura di A. Hoste e G. Raciti,Paris 1987, sermone 48, pp. 158-161. Tuttavia, va rilevato che Isacco non citaespressamente i Templari, e ciò ha indotto alcuni studiosi a supporre che non vogliariferirsi ad essi; cfr. Demurger, Chevaliers du Christ, cit., p. 299; B.Z. Kedar, Crociata emissione. L’Europa incontro all’Islam, Roma 1991, pp. 136-137, e la discussionecomplessiva in Cerrini, La rivoluzione dei Templari, cit., pp. 26-27.16 Il De laude novae militiae (conosciuto anche come Sermo Christi militibus) è inseritonella Patrologia Latina del Migne, vol. 182, coll. 911-940; la successiva edizione diriferimento è quella curata da J. Leclercq e H.M. Rochais nel vol. III della raccoltaSancti Bernardi Opera, Roma 1957-1977, pp. 212-239; una traduzione italiana èofferta da Cardini, I poveri cavalieri del Cristo, cit., pp. 131-159, nella quale il passo inoggetto si trova alla p. 140.17 Nel De laude novae militiae (ad esempio III, 6; IV, 8) san Bernardo li paragona aiguerrieri di Israele, richiama Giuda Maccabeo e considera la nuova milizia benedettada Dio come quella antica; cfr. Cerrini, La rivoluzione dei Templari, cit., p. 68.18 Per il testo della regola si veda S. Cerrini, Une expérience neuve au sein de laspiritualité médiévale: l’ordre du Temple (1120-1314). Étude et édition des règles latine etfrançaise, Thèse de doctorat sous la direction de Mme G. Hasenohr, 2 voll.,Université de Paris-Sorbonne (Paris IV), 1997, vol. I, pp. 161-226 per l’edizione, einoltre pp. 164, 167, 172, 175; vol. II, pp. 384-389. Una traduzione italiana, checomprende anche i diversi statuti sviluppati in seguito, è stata curata da G.Amatuccio, Il ‘Corpus’ normativo templare. Edizione dei testi romanzi con traduzione ecommento in italiano, Martina Franca 2009.19 Cerrini, Une expérience neuve, cit., vol. I, rispettivamente capp. 48 e 20, pp. 207 e188.20 La studiosa fa notare che il titolo con cui Bernardo designa Hugues de Payns, ecioè «cavaliere di Cristo e maestro della milizia», non contiene nessun riferimentoecclesiastico, come invece sarebbe dovuto accadere se fosse già stato il capo di ungruppo religioso riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa; pochi anni dopo, quandoormai il concilio di Troyes aveva sancito la nascita dell’ordine come istituzione,Guigues I de la Grande Chartreuse potrà chiamare Payns con il titolo di «priore dellasanta cavalleria»; cfr. Cerrini, La rivoluzione dei Templari, cit., pp. 66-67.21 Bernardi Clarevallensis, De laude novae militiae, V, 9, PL, cc. 917-940. Per

  • comodità ho indicato tra parentesi i passi biblici a cui fa riferimento Bernardo, le cuiallusioni sono ben chiare per i suoi lettori e uditori, che avevano una grandefamiliarità con il testo della Scrittura.22 Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, VII, XIV, 335-336, 363-364, edizione a curadi L. Moraldi, 2 voll., Torino 2006, vol. I, p. 468.23 J. Aunier, Chiram, in DEB, pp. 336-337; H. Frehen, J.-C. Margot, Cedro, inDEB, pp. 317-318.24 Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, VIII, V, 141-142, ed. Moraldi, vol. I, p. 503.25 A. Parrot, Le Temple de Jerusalem, Neuchâtel-Paris 1962 («Cahiers de ArcheologieBiblique», 5; ed. precedente Michigan 1957); E.M. Laperrousaz, Après le «Temple deSalomon», la Bamah de Tel-Dan: l’utilisation de pierres à bossage phénicien dans la Palestinepréexilique, in «Syria», 59 (1982), pp. 223-227; Id., Tempio, in DEB, pp. 1265-1267.26 A. Boudart, Iachin e Boaz, in DEB, p. 685.27 E. Lipiński, Ulam, in DEB, pp. 1307-1308; Id., Betel, in DEB, p. 259; Id., Kamidel-Loz, in DEB, p. 740. Per l’interpretazione del valore esatto del cubito, sulla qualesi discute, cfr. A. Lemaire, Metrologia biblica, in DEB, pp. 851-855, alla p. 851.28 Antichità giudaiche, VIII, V, 143-149, VI, 163, VII, 176-178, ed. Moraldi, vol. I,pp. 503-504, 507.29 M. Defossez, Moria, in DEB, p. 885; J. Maier, Tempel. II. Biblisch-theologisch, inLexikon für Theologie und Kirche (d’ora in poi LTK), vol. 9, Freiburg 2000, coll. 1322-1325.30 E. Lipiński, Hekal, in DEB, p. 681; Id., Altare dei profumi, in DEB, pp. 92-93; A.Lemaire, Tavola, in DEB, p. 1261; A. Boudart, Oblazione, in DEB, pp. 932-933.31 Antichità giudaiche, VIII, IV, 103, ed. Moraldi, vol. I, p. 496. Le immagini deicherubini ricorrevano anche sulle porte del Santo dei Santi e dell’Hekal, e secondol’Esodo (26, 1.31; 36, 8.35) anche sui teli e sui veli della Dimora. Si ritiene checorrispondano alle sfingi custodi dell’albero della vita. Cfr. A. Boudart, Propiziatorio,in DEB, p. 1060; E. Lipiński, Cherubino, in DEB, pp. 328-329; A. Lemaire, Velo delsantuario, in DEB, p. 1324.32 E. Lipiński, Santo dei Santi, in DEB, p. 1163; Id., Arca dell’alleanza, in DEB, pp.180-181; A. van der Born, A. Lemaire, Tenda, in DEB, p. 1269; J. Aunier, Manna,in DEB, p. 803.33 M. Carrez, Espiazione, giorno dell’, in DEB, pp. 514-515.34 Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, X, VIII, 144-148, ed. Moraldi, vol. I, pp.625-626; P. Sacchi, Storia del Secondo Tempio. Israele tra VI secolo a.C. e I secolo d.C.,Roma 1994, pp. 23-27.35 C. Saulnière, Antioco IV Epifane, in DEB, pp. 135-136; P.M. Bogaert, La versionedei LXX, in DEB, pp. 1330-1332; E. Lipiński, Ebraica, lingua, in DEB, pp. 441-442.36 I Maccabei 4, 36-43; H. Daniel-Rops, La vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù,

  • trad. it. di M. Lo Buono, Milano 1986, p. 417.37 Sacchi, Storia del Secondo Tempio, cit., pp. 34-39; Ch. Augrain, Zorobabele, in DEB,pp. 1379-1380.38 Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XV, XI, 380-425, ed. Moraldi, vol. II, pp.978-985; Id., Guerra giudaica, V, 184-237; Ez 43, 4-7, oltre a quanto esposto inDaniel-Rops, La vita quotidiana in Palestina al tempo di Gesù, cit., pp. 415-423.

    39 A. Drubbel, J.-C. Margot, Uva, vigna, vite, vino, in DEB, pp. 1318-1320.40 S. Goldhill, Il Tempio di Gerusalemme. Storia e letteratura del luogo più sacro del mondo,Cinisello Balsamo 2009, p. 10.41 Ivi, pp. 7-8.42 Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, VI, 4, 249-250. Va ricordato che Giuseppe eramolto favorevole ai romani, e aveva assunto il nome Flavio proprio in onore diVespasiano, che lo aveva reso libero dopo essere divenuto schiavo fra i prigionieri diguerra ebrei; ad ogni modo, la notizia dello scrupolo usato da Tito per salvaguardare illuogo sacro finché fosse possibile collima con quanto si sa sulle tendenze generali deiromani, che erano molto rispettosi verso la religione dei popoli sottomessi. Cfr. G.Vitucci, Introduzione, in Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, pp. IX-XXXV.43 D. Garribba, I diritti delle comunità della diaspora nel I secolo d.C., in Giudei e cristiani nel Isecolo. Continuità, separazione, polemica, a cura di M.B. Durante Mangoni e G. Jossa,Trapani 2006, pp. 67-103, alle pp. 92-102.44 M. de Mérode, Dura Europos, in DEB, pp. 438-439.45 D. Marguerat, Ebrei e cristiani: la separazione, in Storia del cristianesimo. Religione-politica-cultura, 14 voll., ed. it. a cura di G. Alberigo, vol. I, Il Nuovo Popolo dalle origini al 250, acura di P. Grech e A. Di Berardino, trad. it. di M. Zappella, Roma 2003, pp. 190-222,alle pp. 214-216 (ed. or., Histoire du Christianisme, diretta da J.-M. Mayeur, Ch. e L.Pietri, A. Vauchez e M. Venard, 14 voll., Paris 1990-2001, t. I, Le Nouveau Peuple [desorigines à 250], a cura di C. Lepelley, M.-Y. Perrin, L. Cirillo e J. Flamant, Paris 2000).La questione è tuttavia controversa e non tutti gli studiosi sono d’accordo sul fatto che imînîm, letteralmente «eretici», siano proprio i cristiani; cfr. G. Jossa, La separazione deicristiani dai giudei, in Giudei e cristiani nel I secolo, cit., pp. 105-126. Sui caratteri delTalmud come fonte si veda J.T. Nelis, S. Hirsch, Talmud, in DEB, pp. 1257-1258.46 Per una visione d’insieme su queste antichissime comunità cristiane cfr. i diversicontributi pubblicati in Il giudeo-cristianesimo nel I e II secolo d.C. Atti del IX Convegno diStudi Neotestamentari, a cura di A. Pitta, in «Ricerche storico-bibliche», 2 (2003); Giudei ecristiani nel I secolo, cit.47 Lc 1, 5-25; 1 Par 24; A. van der Born, A. Lacocque, Zaccaria, in DEB, pp. 1370-1371; E. Lipiński, Sacerdotale, classe, in DEB, pp. 1134-1135.48 Lc 2, 25-26, 27-32, 36-38, 41-52. Cfr. J. Mercier, Simeone, in DEB, p. 1212; Id.,Anna, in DEB, p. 117.

  • 49 Lc 19, 47; 21, 37; 22, 53. Gv 8, 20-59. Mt 21, 12. Gv 2, 14-16. Rm 8, 11. Eb 9, 11-14, 24.50 Cfr. R.E. Brown, La morte del Messia. Un commentario ai Racconti della Passione neiquattro vangeli, introduzione di G. Ravasi, ed. it. a cura di G. Corti, Brescia 20032, pp.1239-1261.51 A. van der Born, J.-C. Margot, Porpora, in DEB, p. 1039; J. Radermakers, Maria negliapocrifi, in DEB, p. 815; A. van der Born, J. Mercier, Giacomo, Protovangelo, in Apocrifi delNuovo Testamento, DEB, pp. 166-167. Origene, nel suo Commento a Matteo, parla diMaria che abita nel Tempio con altre vergini d’Israele; cfr. PG XIII, coll. 1631 sgg.52 Gli apocrifi. L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, a cura di E. Weidinger, trad. it. di E.Jucci, Casale Monferrato 1992, pp. 116-117, 144-148, alla p. 147.

  • Capitolo secondo. Tradizioni apocrife

    La cavalleria di re Salomone

    Il legame con il Tempio, e in qualche modo l’appartenenza ideale e fisica aquel luogo tanto evocativo nel contesto della Terrasanta, segnaronodunque la storia dei Templari sin dall’esordio. Militia Salomonica Templi, sitrova scritto in diverse fonti, come a voler stabilire un legame diretto con ilsovrano biblico. Nella mentalità della Chiesa medievale, Salomonerappresentava infatti il re per eccellenza, la regalità benedetta da Dio; comeDavide, aveva ricevuto la sua alta dignità attraverso il rito dell’unzionesacra, e in quanto Unto del Signore poteva ritenersi un’immagine profeticadel Messia, parola derivata dall’ebraico māšíāḥ che significa esattamente«unto». Il dono di una sapienza straordinaria indicava inoltre che Dio avevaper lui una predilezione speciale1.

    Il richiamo a Salomone ricorreva con insistenza nell’arte e nella liturgiadel medioevo quando si voleva attribuire a un certo personaggio il caratteredella regalità sacra, quella ottenuta per volere divino. Così Alcuino di Yorkparagonava al Tempio di Salomone la cappella imperiale di Carlomagno inAquisgrana, e le cattedre dei papi nel secolo XII (come i troni dei reeuropei) erano ornate dalla testa di leoni, a imitazione del trono diSalomone, dove, secondo la Bibbia, «un leone stava accanto a ciascuno deibracci». Il richiamo al costruttore del Tempio compare anche nelle formuledegli ordines reali, le cerimonie di consacrazione dei monarchi2.

    Naturalmente, re Baldovino II era perfettamente consapevole di questisensi simbolici perché appartenevano al suo mondo; forse scelse come suareggia quell’edificio che sorgeva presso il sito del Tempio proprio peraccostare la propria figura di monarca a quegli antichi sovrani carismaticiche la Bibbia celebrava. Dopo tutto, quando partì per la crociata era

  • soltanto il figlio del conte Hugues de Réthel, nelle Ardenne, e la corona gligiunse per decreto divino solo in senso molto lato, ovvero dopo una guerradi conquista; in breve, la sua autorità aveva tanto da guadagnare in questoabile accostamento di luoghi e di funzioni. Sedendo sul trono diGerusalemme, governando presso il Tempio, poteva ragionevolmentepresentarsi come l’erede di Davide e Salomone. Per lo stesso motivo,probabilmente, anni dopo decise di donare la residenza a Hugues de Payns:i Templari dovevano essere un ordine dal carattere regale, legatostrettamente al sovrano della Città Santa.

    Abbiamo rilevato che il nome nuovo, mutuato dal celebre santuario,aveva sostituito quello primitivo di Poveri commilitoni di Cristo già nel testodella regola approvata a Troyes nel gennaio 1129, quando il gruppodivenne ufficialmente un ordine religioso. Malcom Barber crede però chela connotazione fosse più antica, poiché compare in un documentodell’ottobre 1125. In quell’anno, a maggio, Hugues de Payns funse datestimone in un atto di re Baldovino II con il quale si garantivano aiveneziani gli stessi privilegi nella città di Tiro che in passato erano stati loroconcessi dal patriarca Gormondo; qui, per la prima volta, Payns viene