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Cap. IX Il moto turbolento 133 CAPITOLO IX Il moto turbolento § 1. - Le caratteristiche della turbolenza. Se registriamo nel tempo t un segnale di velocit`a lungo la di- rezione del moto di una corrente turbolenta, notiamo delle notevoli fluttuazioni u(t) che, discretizzate come u i , presentano naturalmente un valore medio U nullo, ma ` e certamente diverso da zero il cor- rispondente scarto quadratico medio u 0 : u 0 = v u u t n X i=1 (u i - U ) 2 n La distribuzione statistica risulta in generale una gaussiana e lo scar- to quadratico medio rappresenta la dispersione statistica delle flut- tuazioni attorno alla media. Figura 1: Le fluttuazioni di velocit`a seguono la distribuzione di Gauss. Quindi tale scarto viene considerato come il riferimento fonda- mentale dell’intensit`a della turbolenza. Viene inoltre indicata come intensit`a relativa il rapporto tra lo scarto quadratico medio e la velocit`a media della corrente:

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Cap. IX Il moto turbolento 133

CAPITOLO IX

Il moto turbolento

§ 1. - Le caratteristiche della turbolenza.

Se registriamo nel tempo t un segnale di velocita lungo la di-rezione del moto di una corrente turbolenta, notiamo delle notevolifluttuazioni u(t) che, discretizzate come ui, presentano naturalmenteun valore medio U nullo, ma e certamente diverso da zero il cor-rispondente scarto quadratico medio u′:

u′ =

√√√√n∑

i=1

(ui − U)2

n

La distribuzione statistica risulta in generale una gaussiana e lo scar-to quadratico medio rappresenta la dispersione statistica delle flut-tuazioni attorno alla media.

Figura 1: Le fluttuazioni di velocita seguono la distribuzione di Gauss.

Quindi tale scarto viene considerato come il riferimento fonda-mentale dell’intensita della turbolenza. Viene inoltre indicata comeintensita relativa il rapporto tra lo scarto quadratico medio e lavelocita media della corrente:

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turb =u′

U

comunemente espressa in percentuale.La turbolenza ha sostanzialmente due aspetti, inerziale e dissipa-

tivo. Infatti la presenza nella corrente di una notevole quantita dienergia cinetica provoca lo sviluppo di moti secondari responsabilidelle fluttuazioni di velocita descritte in precedenza, allo stesso tem-po e un fenomeno dissipativo perche tutta l’energia cinetica prodottaviene dissipata in calore tramite le forze viscose.

Quindi e opportuno ricordare il significato fisico del numero diReynolds, cioe il rapporto tra le forze d’inerzia e viscose. Nella or-dinaria turbolenza assume un valore molto elevato: 105 o 106, ciosignifica che le forze d’inerzia sono preponderanti rispetto a quelleviscose. Questo avviene ad una scala di turbolenza dell’ordine digrandezza delle dimensioni del moto medio. Per scala s’intende ap-punto l’ordine di grandezza delle strutture presenti nel moto turbo-lento. Quindi a questa scala non si puo avere nessuna dissipazioneper l’esiguita delle forze viscose e la turbolenza risulta pertanto unfenomeno essenzialmente inerziale. Le scale della turbolenza presen-tano una vasta gamma di valori a partire dalle dimensioni del motomedio passando per grandezze sempre piu piccole. Per ciascuna diesse, cioe per ogni grandezza di una struttura o vortice possiamo in-dicare una dimensione caratteristica, una velocita e quindi il relativonumero di Reynolds. Le forze d’inerzia restano preponderanti fino aduna scala cosiddetta dissipativa dove invece acquistano importanzaquelle viscose. Questa scala ha come ordine di grandezza la lunghez-za viscosa ν/v∗ dove v∗ prende il nome di velocita d’attrito perchefunzione della tensione tangenziale τ . Pertanto, a questa scala, il cor-rispondente numero di Reynolds risulta pari all’unita, le forze viscoseacquistano importanza ed avviene la dissipazione in calore dell’ener-gia cinetica prodotta dalla turbolenza. Per un fluido come l’acqua,che presenta un alto valore del calore specifico, questa produzionedi calore non si manifesta ordinariamente in un aumento della tem-peratura, cosa che invece avviene per l’aria. Infatti, come abbiamo

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Cap. IX Il moto turbolento 135

visto, nelle gallerie del vento chiuse sono necessari dei dispositivi diraffreddamento.

§ 2. - L’energia cinetica della turbolenza.

Se introduciamo nell’equazione di Navier-Stokes i valori medi dellegrandezze in gioco e le corrispondenti fluttuazioni arriviamo ad undiversa espressione del tensore degli sforzi:

σij = −pδij + 2µSij − τij. (1)

dove Sij rappresenta il tensore velocita di deformazione:

Sij =1

2

(∂ui

∂xj

+∂uj

∂xi

)

Quindi alle tensioni causate dalla viscosita si aggiungono quelle dovutealla turbolenza che risultano proporzionali alla media del prodottotra due componenti normali della velocita:

τij = −%uiuj.

Essi vengono chiamati comunemente sforzi di Reynolds, e sono carat-teristici della turbolenza. Non e possibile pero, a differenza del mo-to laminare, scrivere un legame costitutivo, non si conosce a pri-ori la relazione esistente tra sforzi turbolenti e velocita di defor-mazione, occorre ricorrere, come vedremo in seguito, ai modelli dellaturbolenza.

L’energia cinetica prodotta e anch’essa funzione degli sforzi diReynolds, infatti se moltiplichiamo gli sforzi unitari dati dalla (1)per la velocita di deformazione media otteniamo un lavoro:

σijSij = 2µSijSij + τijSij.

Il primo termine al secondo membro esprime l’energia dissipata, men-tre il secondo quella prodotta dalla turbolenza ed estratta dal motomedio con il seguente meccanismo. Sappiamo infatti che la vorticitae definita dalla seguente relazione:

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ωk =1

2

(∂ui

∂xj

− ∂uj

∂xi

).

Ora se un vortice della scala del moto medio viene stirato da unafluttuazione di velocita avvenuta nella direzione del moto la compo-nente ω1 aumentera per la conservazione del momento della quantitadi moto lungo lo stesso asse e contemporaneamente, per la continu-ita, varieranno anche le componenti di velocita u2 e u3 e quindi sigenereranno anche altre due componenti di vorticita ω2 e ω3. Essedaranno vita a vortici di dimensioni inferiori dato che solo una partedell’energia del vortice originario passa a quest’ultimi. Il meccanis-mo di trasferimento della vorticita genera quindi una vasta gammadi strutture o vortici che va dalle dimensioni del moto medio a scalesempre piu piccole. Il processo si arresta alla scala dissipativa doveprevalgono le forze viscose, mentre alla scala del moto medio esserisultano trascurabili, per questo abbiamo la conservazione del mo-mento della quantita di moto, la turbolenza risulta, a queste scale,un fenomeno essenzialmente inerziale.

§ 3. - L’analisi di Fourier.

Se registriamo, in una corrente turbolenta, la componente longi-tudinale della velocita, otteniamo un segnale che presenta delle rapi-de pulsazioni attorno ad un valore medio. Un segnale del genere,com’e noto, tramite l’analisi di Fourier puo essere scomposto nellesue semplici componenti, che sono le armoniche. Infatti una funzioneperiodica u(t), avente periodo T , puo essere sviluppata nella serie diFourier:

u(t) = u +∞∑

n=1

(an cos 2π

nt

T+ bn sin 2π

nt

T

)

in cui i coefficienti di Fourier an e bn sono:

an =2

T

∫ T

0u(t) cos 2π

nt

Tdt

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bn =2

T

∫ T

0u(t) sin 2π

nt

Tdt

dove n = 1, 2, 3... ed u non e altro che il valor medio della velocita,calcolato nel periodo T :

u =1

T

∫ T

0u(t)dt.

Il segnale viene quindi scomposto in armoniche ed all’aumentaredell’ordine n si introducono delle pulsazioni sempre piu rapide, fi-no a che, in questo caso, con cinquanta armoniche si ottiene laricostruzione del segnale originario.

Figura 2: L’analisi di Fuorier del segnale di Fig.1 con le prime dieci armonicheed in basso la relativa risultante.

§ 4. - Il distacco dei vortici.

La piu semplice sorgente di turbolenza esistente in natura e cos-tituita da cilindro immerso in una corrente uniforme a velocita U .A valle si distacca una scia formata da una doppia serie di vorticialternati cioe con vorticita uguale ma di segno contrario.

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Figura 3: Un’immagine stroboscopica che mostra la scia di Von Karman a valledi un cilindro.

Il fenomeno e noto come scia di Von Karman tuttavia questoautore non presenta la relazione esistente tra la frequenza di distacco,la velocita della corrente ed il diametro del cilindro, limitandosi soloa fornire, con un’analisi teorica sulla stabilita della scia, il rapportotra la distanza delle schiere ed due vortici consecutivi.

Invece in modo empirico Strouhal ha correlato i vari parametri ingioco, cioe il diametro del cilindro d, la frequenza di distacco f ed Ucon il numero adimensionale S:

S =fd

U

che ne prende appunto il nome. L’altro numero adimensionale impor-tante e ovviamente il numero di Reynolds composto con il diametrodel cilindro.

Data l’importanza dell’argomento e stato intrapreso, presso l’Is-tituto di Idraulica della Facolta di Ingegneria dell’Universita di Pisa,per alcuni anni, un vasto studio sperimentale che ha portato allaformulazione di una legge generale, valevole per tutti i numeri diReynolds. Infatti dalle oltre duecento esperienze eseguite possiamodedurre che i valori critici, per i quali inizia il fenomeno, del numero

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Cap. IX Il moto turbolento 139

di Reynolds e di Strouhal sono pari a circa 50 e 0, 12 rispettivamente.Pertanto la corrispondente velocita e frequenza critiche risultano:

Uo = 50ν

d

fo = 0.12Uo

d.

La relazione che interpreta tutti i risultati sperimentali sia aglialti che ai bassi numeri di Reynolds risulta essere:

U − Uo = 2παd(f − fo) (2)

che risulta in ottimo accordo con i dati soprattutto quando, rinun-ciando alla rappresentazione adimensionale, li disponiamo sul pianofrequenza-velocita.

0

10

20

30

40

50

0 0.1 0.2 0.3 0.4

U [m/s]

f [H

z]

d = 0.6 mm

d = 1 mm

d = 1.6 mm

d = 2 mm

d = 3 mm

d = 8 mm

d = 20 mm

Rel. 2

Figura 4: La relazione lineare (2) in ottimo accordo con in dati sperimentali.

La legge precedente, dove α rappresenta un coefficiente di forma,e stata controllata, risultando valida, anche per forme diverse dal

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cilindro e pertanto acquista effettivamente un carattere generale. Peril cilindro abbiamo α = 0, 75 e la precedente legge, agli alti numeri diReynolds, quando si possono trascurare Uo e fo, si riduce alla leggedi Strouhal, infatti abbiamo:

U = 2παfd

e quindi, per la definizione di numero di Strouhal (α = 0.75):

S =1

2πα= 0.21

legge che ritroviamo in molti fenomeni di interazione tra i fluidi e lestrutture1.

§ 5. - L’ipotesi di Taylor.

In un sistema di riferimento in moto alla velocita media dellacorrente, si osserva che i vortici non cambiano di molto le loro mutueposizioni a causa della scarsa influenza delle velocita indotte. Proba-bilmente e stata questa la considerazione che ha condotto Taylor aformulare l’ipotesi che la turbolenza sia trasportata dal moto medio.Dalle equazioni di Navier-Stokes infatti, per gradienti di pressionenulli, tenendo conto che le fluttuazioni di velocita sono trascurabilirispetto alla velocita media della corrente U , otteniamo la seguenteequazione:

∂u

∂t+ U

∂u

∂x= 0 (3)

valida nella direzione x della corrente quando il secondo membro delleequazioni di Navier si annulla, il che avviene lontano dalle paretidove il fluido si comporta come perfetto o nello strato limite viscosodove il gradiente di velocita trasversale risulta costante. Le soluzioni

1Infatti Von Karman dimostro all’epoca, con un modello fisico, che il pontesospeso sulla baia di Takoma, il famoso Takoma Bridge, era crollato pro-prio a causa di una risonanza tra la struttura ed i vortici che si distaccavanodall’impalcato.

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della (3) sono delle funzioni che hanno per argomento (x − Ut) equindi si propagano verso valle, senza deformarsi, alla stessa veloci-ta della corrente, si tratta pertanto di un fenomeno essenzialmentecinematico.

Un osservatore invece in quiete nota che ad una struttura di di-mensione pari a λ corrisponde una frequenza f = U/λ. Le grandiscale producono quindi, nel segnale registrato, delle basse frequenze,mentre le piccole scale presentano delle frequenze piu elevate, questoavviene per il semplice fatto che le grandi strutture sono distanzia-te, invece i piccoli vortici scorrono davanti allo strumento di misuraravvicinati tra loro.

§ 6. - Lo spettro della turbolenza.

La turbolenza e un fenomeno che coinvolge l’energia cinetica posse-duta dal fluido alle scale maggiori per trasferirla, attraverso una verae propria cascata dell’energia, verso la scala dissipativa dove vieneconvertita in calore.

Supponiamo di avere un’unica sorgente di turbolenza che emetteenergia ad una sola frequenza, con una analogia ottica possiamo chia-marla monocromatica. Nell’ipotesi di Taylor sul trascinamento dellaturbolenza da parte del moto medio alla velocita U , abbiamo unafrequenza proporzionale all’inverso della lunghezza d’onda:

f =U

λ, (4)

oppure possiamo introdurre un numero d’onda κ definito nel modoseguente:

κ =2π

λ

quindi per la (4):

κ = 2πf

U.

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Esso risulta quindi proporzionale alla frequenza e viene chiamato avolte frequenza spaziale, ha le dimensioni dell’inverso di una lunghez-za: [m−1] o [cm−1].

Consideriamo adesso il diagramma dell’energia in funzione dellafrequenza che prende il nome di spettro. Nel caso di una sorgentemonocromatica esso ha la forma di un picco in corrispondenza del-la frequenza di emissione o del relativo numero d’onda. Si parla inquesto caso di un spettro a righe, per distinguerlo da uno spettrocontinuo che si ottiene nel caso di moltissime sorgenti. La turbolen-za ordinaria presenta uno spettro continuo, l’energia risulta quindidistribuita su tutte le frequenze. Si tratta pertanto di conoscere lafunzione di distribuzione cioe l’energia che risulta compresa tra lafrequenza f e quella f + df . Questa funzione e(f), che all’equilibriostatistico dipende solo dalla frequenza, rappresenta quindi il potereemissivo della sorgente. L’energia, per unita di superficie e di tem-po emessa da una sorgente, che puo essere per esempio una griglia,e e(f)df , mentre l’energia totale Etot emessa da tutte le frequenzerisulta dalla somma eseguita per tutte le frequenze:

Etot =∫ ∞

0e(f)df =

u′2

2, (5)

o in termini di numero d’onda:

Etot =∫ ∞

0e(κ)dκ =

u′2

2,

dove u′ rappresenta lo scarto quadratico medio della componentein direzione del moto, si tratta quindi di uno spettro monodimensio-nale, ma si puo dimostrare che anche per uno spettro tridimensionale,in caso di isotropia, l’energia totale emessa risulta proporzionale al-la varianza (3/2u′2). Quindi qualitativamente lo spettro assume ilseguente andamento: il potere emissivo cresce rapidamente fino almassimo in corrispondenza di fm a causa della presenza dei vorticipiu energetici. Per frequenze maggiori il potere emissivo decresce finoa raggiungere la frequenza fd dove iniziano i fenomeni dissipativi.

Una teoria generale, che fornisca l’andamento del potere emis-sivo per tutte le frequenze, non ci viene data dalla presente im-

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Cap. IX Il moto turbolento 143

postazione classica, tuttavia Kolmogoroff e Taylor hanno elaboratodue interessanti relazioni valide in un certo intervallo.

§ 7. - Lo spettro di Kolmogoroff.

Prima di introdurre questo spettro consideriamo, per chiarirci unpo le idee, l’esperienza di Jaule per la determinazione dell’equivalentemeccanico della caloria.

In un calorimetro tipo Regnault, costituito da un recipiente adia-batico contenente acqua, all’interno vi sono applicate delle palettegirevoli e delle contropalette fisse, la temperatura viene misurata conun termometro di precisione. Le palette mobili sono azionate da unsistema di funicelle, pesi e pulegge, il lavoro fornito al sistema e notoessendo nota la massa dei pesi e la loro escursione, quindi risulta pos-sibile misurare la quantita di calore equivalente al lavoro fornito alsistema dall’esterno. Il risultato dell’esperienza e che una kilocaloriacorrisponde a 427 Kgm pari a 4186 J. Quindi il lavoro meccanico sitrasforma in calore per mezzo della turbolenza generata nel fluido trale pale mobili e quelle fisse, tutto questo indipendentemente dallo loroforma e dal loro numero. In ultima analisi questa esperienza ci sug-gerisce che l’energia dissipata non dipende da come viene prodotta,ma da dei parametri intrinseci.

Figura 5: L’esperienza di Jaule dimostra che la turbolenza e un fenomenodissipativo.

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Ritornando a Kolmogoroff, egli suppose, non sappiamo se influen-zato dall’esperienza di Jaule, che, da una certa frequenza in poi, laturbolenza divenisse indipendente dai parametri esterni e lo spettrofosse funzione solo dall’energia dissipata nell’unita di tempo ε. Dalla(5) notiamo che e(f) ha le dimensioni di [m2/s] mentre ε = [m2/s3]essendo un’energia per unita di tempo riferita all’unita di massa.

Quindi, con considerazioni puramente dimensionali, Kolmogoroffricavo immediatamente lo spettro termini di frequenza:

e(f) = εf−2.

Esso e costituito da un’iperbole quadratica e dove ε risulta costanteper tutte le frequenze e rappresenta appunto l’energia che transitadalle scale maggiori alle minori verso quella dissipativa. Con analogheconsiderazioni dimensionali lo si puo ottenere in termini di numerod’onda:

e(κ) = ε2/3κ−5/3.

Lo spettro di Kolmogoroff risulta in accordo con i dati per un certointervallo di frequenze, i due esponenti −2 e −5/3 sono praticamenteidentici ai fini pratici nel confronto con i risultati sperimentali. No-tiamo inoltre che le precedenti non dipendono dalla viscosita, siamoinfatti sempre nel campo inerziale della turbolenza.

§ 8. - La teoria delle correlazioni.

All’inizio del secolo scorso Taylor ed altri hanno ritenuto oppor-tuno di applicare la teoria delle correlazioni statistiche allo studiodella turbolenza. Senza entrare nel merito forniamo solo alcune no-tizie utili al lettore anche perche, come diremo tra breve, i coefficientidi correlazione non sono noti a priori ed il loro valore deve essere as-sunti solamente in modo empirico. Se consideriamo, nello schemaeuleriano, due punti a e b del campo di moto, la correlazione tra lecomponenti i e j della velocita e data da:

Cab = uaiubj,

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Figura 6: Lo spettro continuo di Kolmogoroff in scala logaritmica, notiamoche segue i dati sperimentali solamente per le frequenze piu alte, come indica lapendenza −2.

cioe la media del prodotto tra le due componenti di velocita. Con-viene inoltre definire un coefficiente di correlazione Rab:

Rab =uaiubj

u′au′b

Risulta chiaro che per un alto valore di Rab significa che esisteuna forte correlazione tra le due componenti di velocita, al contrarioun basso valore denota una scarsa correlazione.

Abbiamo visto che gli sforzi di Reynolds sono proporzionali al-la media del prodotto tra le componenti di velocita, quindi unagrande correlazione comporta dei notevoli sforzi, mentre una bassacorrelazione significa che gli sforzi tangenziali tendono ad annullarsi.

Cio che abbiamo definito in precedenza viene chiamata corre-lazione spaziale fra due punti del campo di moto, pero possiamoanche considerare una correlazione tra il valore che assume una com-ponente di velocita in un medesimo punto, ma in due istanti diversi.

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146 E. Buffoni Idrodinamica

Cioe abbiamo una componente di velocita all’istante t e la stessacomponente all’istante t + τ , la correlazione sara allora:

C(τ) = ui(t)ui(t + τ)

ed il relativo coefficiente:

R(τ) =ui(t)ui(t + τ)

u′2i. (6)

Purtroppo non possiamo conoscere a priori il valore del coeffi-ciente di correlazione, si puo solo ipotizzare che esso decresca manmano che i due punti si allontanano oppure all’aumentare dell’inter-vallo di tempo τ .

§ 9. - Lo spettro di Taylor.

Si puo dimostrare che lo spettro monodimensionale della tur-bolenza non e altro che una trasformata coseno di Fourier:

e(ω) =∫ ∞

0u(t) cos ωtdt

dove ω rappresenta la frequenza angolare.Si dimostra inoltre che nella precedente, in luogo della u(t), pos-

siamo sostituire il coefficiente di correlazione dato dalla (6).

e(ω) =∫ ∞

0R(τ) cos ωtdt (7)

Taylor ha derivato lo spettro di energia monidimensionale del-la turbolenza nell’ipotesi puramente empirica che il coefficiente dicorrelazione assumesse la seguente forma:

R(τ) = e−mτ (8)

dove m e una costante. Ovviamente quando τ = 0 risulta nullo ilcoefficiente assume un valore unitario, mentre per valori molto grandidell’intervallo e logico aspettarsi un valore trascurabile ma niente ciassicura sulla validita della espressione (8) che rimane quindi con il

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Cap. IX Il moto turbolento 147

suo significato empirico. Tuttavia se integriamo per parti l’integrale(7) tenendo conto della (8), otteniamo:

e(ω) =m

m2 + ω2

e di conseguenza, dividendo numeratore e denominatore per m eponendo inoltre A = 1/m e B = 2π/m, arriviamo all’espressionedello spettro di Taylor:

e(f) =A

1 + B2f 2(9)

che risulta in accordo con i dati sperimentali sia nella turbolenza libe-ra, sia nello strato limite di parete. In Fig. 7 viene rappresentato inscala naturale mentre nella precedente (Fig. 6) in scala logaritmica,come si puo notare dalla pendenza −2 che coincide praticamente con−5/3.

Figura 7: Lo spettro di Taylor a scala naturale in accordo con i datisperimentali.

Per f = 0 e(f) vale A e tende a zero per f → ∞, inoltre l’areasotto la curva rappresenta l’energia totale della turbolenza, per cuiabbiamo:

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Etot =∫ ∞

0e(f)df =

πA

2B

quindi per la (5):

u′2 = πA

B.

Pertanto i tre parametri della precedente, cioe A B e la varianza,vengono dedotti dai dati sperimentali e, una volta introdotti nel-la (9), forniscono, caso per caso, lo spettro monodimensionale dellaturbolenza.

Notiamo che, da una certa frequenza in poi, lo spettro di Tay-lor coincide con quello di Kolmogoroff che e rappresentato, in scalalogaritmica, da una retta con pendenza pari a −2.

Nelle figure notiamo che lo spettro della turbolenza sembra moltodiverso da quello ipotizzato nel paragrafo precedente che parte dall’o-rigine per f = 0 anziche dal valore della costante A. Nella turbolenzaordinaria pero la frequenza massima fm risulta molto bassa, inferioredi gran lunga all’herz, per cui gli strumenti non riescono ad apprez-zare la parte crescente, pertanto gli spettri osservati in realta seguonol’espressione (9).

Con i concetti precedenti, di tipo ondulatorio, si riescono a spie-gare diversi aspetti della turbolenza, ma per i profili di velocita lungouna parete, che puo essere il fondo di una canale o di un fiume, occorreun ragionamento diverso, bisogna porre l’attenzione sugli scambi diquantita di moto esistenti nel fluido, cioe a delle parti di esso chemescolandosi trasportano la quantita di moto da una parte all’altra.Prandtl ha avuto delle felici intuizioni in tal senso.

§ 10. - La teoria di Prandtl.

Boussinesq aveva cercato di interpretare le tensioni tangenzialipresenti nel moto turbolento con una relazione analoga a quella diNewton: τ = µt

dudu

dove µt rappresenta una viscocita turbolenta chenelle speranze dell’autore doveva risultare costante.

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Cap. IX Il moto turbolento 149

Durante la prima guerra mondiale in Inghilterra furono eseguitedelle esperienze dove si evidenzio che la viscosita turbolenta variavada punto a punto.

Nei primi decenni del secolo scorso Ludwig Prandtl propose unateoria piu appropiata per spiegare il profilo di velocita lungo unaparete. Infatti se misuriamo questa grandezza in un fluido con mototurbolento che scorre lungo una parete troviamo un andamento benpreciso del profilo.

Cio risulta a prima vista sorprendente perche se la turbolenzae un fenomeno casuale, tanto da richiedere un apparato statisticoper interpretarla, allora il profilo di velocita dovrebbe presentare an-ch’esso degli aspetti casuali e non far intravedere invece una leggeben precisa come in figura. Non conosciamo, e forse non lo conoscer-emo mai, quale sia stato il percorso intellettuale che porto Prandtla supporre un’analogia tra il comportamento di una corrente turbo-lenta e la teoria cinetica dei gas. Probabilmente le osservazioni nellegallerie del vento lo indussero a supporre l’esistenza di una grandezzaanaloga al percorso libero medio di un gas. Questa grandezza lineare` fu da lui chiamata mischungsweg, percorso di mescolamento2, cherappresenta la distanza alla quale un aggregato di fluido perde la suaidentita mescolandosi con altri e cedendo cosı la propria quantita dimoto, quindi questo meccanismo risulta molto efficiente in quanto gliaggregati di fluido ipotizzati sono molto piu grandi delle molecole.In sostanza Prandtl considero il moto turbolento come formato datante particelle disperse nel fluido come una sorta di gas, a differenzadalle molecole pero questa particelle hanno una vita breve, dell’or-dine di `/U , ed inoltre non avvengono urti elastici, ma la quantitadi moto viene trasferita per mescolamento quando la particella perdela sua identita. Con questi presupposti pote determinare il profilodi velocita di una corrente in moto turbolento lungo una parete. Latensione tangenziale alla parete e data dalla media del prodotto frale due componenti di velocita in direzione del moto x ed in quellatrasversale y. Lo sforzo di Reynolds risulta infatti come abbiamo

2in inglese mixing length.

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150 E. Buffoni Idrodinamica

visto3:

τ = %u′v′

ed ipotizzando l’isotropia delle fluttuazioni di velocita: u′ = v′ = v∗

ottenne: τ = %v∗2 dove v∗ prende il nome di velocita d’attrito peril suo legame con la τ . Inoltre il gradiente trasversale di velocita fusupposto da Prandtl nel modo seguente:

du

dy=

v∗

`.

La lunghezza di mescolamento ` fu infine considerata proporzionalealla distanza y dalla parete:

` = κy

con κ costante universale, il cui valore fu precisato in seguito dalmatematico Theodore Von Karman e ne assunse cosı il nome4.

Sostituendo l’espressione di ` nell’espressione del gradiente otte-niamo:

du

dy=

v∗

κy.

Questa equazione differenziale puo essere immediatamente inte-grata arrivando al profilo logaritmico della velocita:

u(y) =v∗

κln y + cost. (10)

3Se infatti una particella di fluido di massa m passa da uno strato all’altro,distante `, trasportera una quntita di moto mu′. Il flusso di queste particelle n/tcioe il numero di esse che che attraversera un’area A nell’unita di tempo risulteranv′/`. Per il secondo principio delle dinamica la forza tra i due strati di areaunitaria sara proprio: τ = %u′v′.

4Dalle precedenti possiamo ricavarci l’espressione della tensione tangenzialeturbolenta τ = %`2 du

dydudy e quindi la viscosita turbolenta di Boussinesq risulta:

µt = %`2 dudy . Notiamo quindi che questa effettivamente non puo essere costante

perche la lunghezza di mescolamento ed il gradiente variano da punto a punto.

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Cap. IX Il moto turbolento 151

I dati sperimentali confermano questa legge. La precedente puoessere resa adimensionale giungendo alla ben note leggi della pareteliscia o scabra e del salto di velocita.

a) La legge della parete liscia.

Per una superficie idraulicamente liscia, la (10) puo essere resaadimensionale moltiplicando numeratore e denominatore dell’argo-mento del logaritmo per la lunghezza viscosa ν/v∗:

u

v∗=

1

κln

yv∗

ν+

1

κln

ν

v∗+ cost.

L’ultima parte puo essere inglobata in una costante B:

u

v∗=

1

κln

yv∗

ν+ B.

Dai numerosissimi dati sperimentali sono state ricavate le duecostanti, cioe κ = 0.4 e B = 5.5, pertanto la legge della parete lisciarisulta essere la seguente:

u

v∗= 2.5 ln

yv∗

ν+ 5.5 (11)

che e appunto verificata ampiamente da innumerevoli dati sperimen-tali.

Il significato di liscio o scabro e, in idraulica, relativo, infatti la(11) risulta valida nella corrente turbolenta, ma vicino alla parete,nello strato limite, prevalgono le forze viscose secondo la legge diNewton:

τ = µdu

dy

per confrontarla con la (11) esprimiamo la tensione tangenziale allostesso modo di Prandtl, cioe: τ = %v∗2, pertanto dalla precedenteabbiamo:

du

dy= %

v∗2

µ=

v∗2

ν

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152 E. Buffoni Idrodinamica

Figura 8: La legge della parete liscia.

che integrata fornisce il profilo di velocita nello strato limite5:

u

v∗=

yv∗

ν.

Quest’ultima uguaglia la (11) quando raggiunge il valore di:

u

v∗=

yv∗

ν= 11.6

pertanto lo spessore δ dello strato di confine, di frontiera, appuntolimes in latino6, risulta essere:

δ = 11.6ν

v∗

detto spessore convenzionale dello strato limite, che per l’acqua edell’ordine del millimetro.

5La costante di integrazione sara, in questo caso nulla per la condizione diaderenza del fluido sulla parete, cioe per y = 0 dobbiamo avere una velocitanulla.

6Boundary layer in inglese.

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Cap. IX Il moto turbolento 153

Quindi in conclusione, quando le asperita della parete sono ricop-erte ampiamente da questo strato, essa si comporta come liscia, unfondo in sabbia fine, per esempio, puo essere liscio a basse veloci-ta, ma aumentando questa aumenta anche la v∗ e d i conseguenzadiminuisce δ. I granelli di sabbia emergono dallo strato ed il letto sicomporta come idraulicamente scabro.

Figura 9: Se lo strato limite viscoso ricopre le asperita, la parete si comporta,a tutti gli effetti, dal punto di vista idraulico, come liscia.

b) La legge della parete scabra.

Quando siamo in presenza di una parete avente una scabrezzaassoluta ε la (10) viene resa adimensionale moltiplicando e dividendol’argomento del logaritmo per ε:

u

v∗=

1

κln

y

ε+

1

κln ε + cost.

ed inglobando la seconda parte in una costante Bs:

u

v∗=

1

κln

y

ε+ Bs

otteniamo infine, dato che il valore della costante di Von Karman nonvaria, la legge della parete scabra:

u

v∗= 2.5 ln

y

ε+ 8.5 (12)

dove i valori delle costanti sono stati anche qui ricavati dai datisperimentali.

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154 E. Buffoni Idrodinamica

c) La legge del salto di velocita.

Quando siamo in presenza di un profilo di velocita rilevato sudi un canale od un fiume risulta utile usare una legge che contengala velocita massima umax e l’altezza h della corrente. Per questodeterminiamo la costante della (10) ipotizzando che la velocita mas-sima si verifichi proprio in corrispondenza di h, ipotesi abbastanzaragionevole per la scarsa influenza dell’aria sul pelo libero. Abbiamoquindi:

umax =v∗

κln h + cost.

Ricaviamo quindi il valore della costante da quest’ultima:

cost. = umax − v∗

κln h

la (10) puo quindi essere scritta nel modo seguente:

u =v∗

κln

y

h+ umax

oppure introducendo il rapporto z = y/h, possiamo ottenere in defini-tiva la legge del salto di velocita7:

umax − u

v∗= −2.5 ln z. (13)

Questa relazione risulta utile quando dobbiamo inquadrare i risul-tati sperimentali ottenuti da misure sui fiumi o sui canali senzapreoccuparci se il fondo sia liscio o scabro.

I dati seguono sempre la (13) in tutti quei casi in cui il fondo simantiene quasi piano, cioe privo di dune, ruderi o quant’altro possaprovocare il distacco della corrente.

7Velocity defect law.

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Cap. IX Il moto turbolento 155

Figura 10: Il profilo logaritmico di Prandtl nella forma: salto di velocita. Lacorrezione introdotta da Marchi risulta trascurabile. In ascissa u = (umax −u)/vo∗.

§ 11. - La correzione di Marchi.

La distribuzione logaritmica delle velocita di Prandtl presentaun punto angoloso per il massimo valore per il fatto che la derivatadecresce con y ma non si puo mai annullare. Questo insieme al fattoche i dati sperimentali deviano leggermente dalla legge logaritmicaha indotto molti autori tra cui il Marchi a proporre una correzione aquesta legge.

L’autore ha infatti usato il valore effettivo della tensione tangen-ziale:

τ = τo(1− z)

dove z = y/h, e quindi la reale velocita d’attrito, essendo:

v∗o =

√τ0

%,

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156 E. Buffoni Idrodinamica

assume la forma:

v∗ = v∗o√

1− z,

inoltre ha tenuto conto della relazione verificata da Nikuradse:

` = κye−z.

Per cui in definitiva la relazione iniziale di Prandtl si trasformanella seguente:

du

dy=

v∗o√

1− z

κye−z

ossia:

du =v∗oe

z√

1− z

κzdz, (14)

adesso per y = h cioe z = 1 la derivata si annulla ed il puntoangoloso scompare.

Aggiungendo e sottraendo nel secondo membro della precedenteil rapporto:

1

κ

dz

z

ed integrando si ottiene:

u

v∗o=

umax

v∗o+

1

κln z +

1

κ

∫ z

1

ez√

1− z − 1

zdz. (15)

L’integrale e stato risolto numericamente dal Marchi stesso e, di-viso per la costante κ, costituisce la correzione da apportare alla leggelogaritmica di Prandtl. Si tratta pero di una correzione di lievissi-ma entita (Fig. 10) che puo essere tranquillamente trascurata, comeafferma lo stesso autore, quando si integra il profilo di velocita perdeterminare la legge di resistenza. Tuttavia la correzione di Marchi,alla luce di quanto conosciamo oggi, perde il significato empirico o-riginario per acquistarne uno piu profondo legato alla teoria cinetica

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Cap. IX Il moto turbolento 157

del gas di quasi particelle. Per questo tale correzione quindi supera digran lunga quella proposta da Coles ed universalmente accettata madedotta in modo esclusivamente empirico. La presente teoria risultain ottimo accordo con i dati sperimentali che si raccordano maggior-mente alla correzione di Marchi piuttosto che al profilo logaritmico,anche se la differenza risulta alquanto modesta.

§ 12. - Le resitenze al moto.

Una corrente turbolenta che scorre in un condotto od in un canalecon raggio idraulico R incontra, com’e noto, una resistenza per unitadi superficie τ pari a:

τ = γRJ (16)

dove la pendenza della linea dell’energia J e data dalla relazione diDarcy-Weisbach, in cui U rappresenta la velocita media della correntee λ indica ora il coefficiente d’attrito:

J =λ

4R

U2

2g. (17)

Dalla (16) possiamo ricavare la velocita d’attrito:

v∗ =√

gRJ (18)

e per la (17) otteniamo:

U

v∗=

√8

λ. (19)

Quindi il coefficiente d’attrito dipende dal quadrato del rapporto trala velocita d’attrito e la velocita media. Quest’ultima viene valutatadalla effettiva distribuzione di velocita, integrando infatti la legge lo-garitmica di Prandtl per condotti circolari con pareti lisce otteniamola U e, per mezzo della (19), il corrispondente coefficiente d’attrito.Pertanto abbiamo in definitiva:

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158 E. Buffoni Idrodinamica

1√λ

= −2.03 log2.83

Re

√λ

(20)

Nikuradse stesso ha suggerito di variare leggermente i coefficien-ti della (20) per una migliore aderenza ai dati sperimentali ed haproposto:

1√λ

= −2 log2.51

Re

√λ

. (21)

Nel caso di pareti scabre, sempre per condotte circolari, la velocitamedia viene ottenuta integrando la legge della parete scabra, pertantootteniamo:

1√λ

= −2 logε

3.71D. (22)

Le precedenti valgono per una sezione circolare, per sezioni formadiversa Marchi ha dimostrato l’esistenza di un coefficiente di formail cui valore varia da 0.8 a 0.9, la sua influenza pero risulta alquantomodesta per il fatto che esso fa parte dell’argomento di un logaritmo.Infatti le quasi particelle prodotte vicino alla parete si espandono nel-la massa fluida in modo disordinato e quindi con una scarsa influenzadella forma della sezione. Pertanto la distribuzione logaritmica puoessere considerata valida praticamente per qualsiasi forma.

Storicamente la prima formula usata in idraulica e stata propostada Chezy ed risulta, a rigore, valida solo per moto assolutamentescabro:

U = χ√

RJ,

dove il fattore χ viene dedotto dal confronto con la (17):

χ =

√8g

λ

che, per la (22), dipende dalla scabrezza e dal raggio medio. Inseguito Manning, Strickler e Gaukler, nel tentativo di ottenere un

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Cap. IX Il moto turbolento 159

formula monomia con il coefficiente di scabrezza indipendente dalraggio medio, hanno proposto:

U = kR2/3J1/2,

ma dal confronto con la formula di Chezy otteniamo:

k =χ

R1/6.

Quindi cercare un coefficiente che sia solo funzione della scabrezzae non del raggio medio e una pura illusione.

Colebrook e White infine hanno proposto una combinazione delleprecedenti relazioni logaritmiche per i condotti commerciali:

1√λ

= −2 log

(2.51

Re

√λ

3.71D

). (23)

La formula di Manning puo essere accettata per i fiumi dove ab-biamo una grande scabrezza e valori elevati del raggio idraulico, maper i canali con bassa scabrezza e valori di R inferiori al metro, kvaria notevolmente, com’e facile verificare. Basta infatti calcolare χper esempio con la formula di Bazin:

χ =87

1 + γ√R

per poi dividerlo per R1/6 (Fig. 12), con il coefficiente di scabrezza γche varia in pratica da 0.10 per pareti in cemento liscio od in acciaionuove, fino a 2.30 per alvei naturali.

La relazione di Colebrook e White risulta certamente piu precisa.

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160 E. Buffoni Idrodinamica

Figura 11: Da semplici considerazioni di equilibrio si deduce il profilo triango-lare della tensione tangenziale τ , che ha due componenti: vicino al fondo, nellostrto limite, prevale quella viscosa τν , invece, nel corpo della corrente, quellaturbolenta τt.

0

20

40

60

80

100

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

R [m]

k

Figura 12: Il coefficiente k di Manning in funzione di R, e della scabrezza γ diBazin (dall’alto in basso γ da 0.10, pareti in acciaio nuove, a 2.30, corsi d’acquanaturali); notiamo che k varia notevolmente per piccoli valori del raggio idraulicoe pareti poco scabre.