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Patologia Ambientale - Cap. 05 Rifiuti- 2007 - pag. 1 Capitolo 5. Rifiuti e Riciclaggio Sommario Introduzione Il decreto Ronchi La situazione italiana A. Prevenzione: riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti prodotti B. Riciclaggio e Recupero B1) Riciclaggio del vetro B2) Riciclaggio di carta e cartone B3) Riciclaggio di tessuti e scarpe B4) Riciclaggio di pneumatici B5) Riciclaggio dell’acciaio B6) Riciclaggio di alluminio B7) Riciclaggio delle materie plastiche B8) I rifiuti tecnologici ed informatici C. Smaltimento finale dei rifiuti Conclusioni Bibliografia-Sitografia INTRODUZIONE “Questa terra è l’unica che abbiamo” e come tale va difesa, quindi sono da condividere pienamente le iniziative di tutte quelle persone che si impegnano per migliorare il futuro di tutti noi e del nostro pianeta.

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Patologia Ambientale - Cap. 05 Rifiuti- 2007 - pag. 1

Capitolo 5. Rifiuti e Riciclaggio

Sommario Introduzione Il decreto Ronchi La situazione italiana A. Prevenzione: riduzione della quantità e della pericolosità dei

rifiuti prodotti B. Riciclaggio e Recupero B1) Riciclaggio del vetro B2) Riciclaggio di carta e cartone B3) Riciclaggio di tessuti e scarpe B4) Riciclaggio di pneumatici B5) Riciclaggio dell’acciaio B6) Riciclaggio di alluminio B7) Riciclaggio delle materie plastiche B8) I rifiuti tecnologici ed informatici C. Smaltimento finale dei rifiuti Conclusioni Bibliografia-Sitografia INTRODUZIONE “Questa terra è l’unica che abbiamo” e come tale va difesa, quindi

sono da condividere pienamente le iniziative di tutte quelle persone che si impegnano per migliorare il futuro di tutti noi e del nostro pianeta.

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Il consumo delle risorse da parte dell’umanità è paragonabile alla sabbia che scende in una clessidra che non si può capovolgere. Quando l’espansione economica intacca una quota troppo elevata dell’ecosistema circostante, si incomincia a sacrificare un capitale naturale (risorse alimentari, minerali e combustibili fossili) che ha un valore superiore al capitale generato. Si avrà allora una crescita non sostenibile, che produce più “mali” che beni e ci rende più poveri invece che più ricchi.

Mentre per millenni l’uomo è riuscito a convivere con i cicli

naturali senza stravolgerli, sfruttando intensamente l’ambiente, in questo ultimo secolo la “civiltà dei consumi”, caratterizzata dalla filosofia dell’usa e getta, ha rapidamente creato la “società dei rifiuti”.

Con il progresso e l’introduzione sul mercato di merci “usa e getta”tipo stoviglie, posate e tovaglie monouso, bibite in lattine o in barattoli o in contenitori di plastica, la produzione di rifiuti industriali ed domestici è vertiginosamente aumentata.

Oggi esistono dei sistemi che ci permettono di produrre sempre

meno rifiuti e di riciclare quelli che vanno a finire in discariche ormai insufficienti, o sbrigativamente, in quelle abusive.

La crescita dei consumi e l'urbanizzazione hanno da un lato

progressivamente aumentato la produzione dei rifiuti e dall'altro hanno ridotto le zone disabitate in cui trattare o depositare tali rifiuti. La società moderna oggi si trova quindi costretta a gestire una gran quantità di prodotti di scarto in spazi sempre più limitati.

La gestione dei rifiuti è diventata un problema di carattere

ambientale che risulta tangibile ovunque, sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. Questi ultimi, in particolare, sono spesso oggetto d’importazione e di smaltimento illegali di rifiuti, nonché di tecnologie produttive ad alto impatto sia sanitario che ambientale.

Una politica ambientale consapevole deve porre come obiettivo prioritario la riduzione sia della quantità che della pericolosità dei rifiuti prodotti. A tal fine, è necessario

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intervenire con azioni specifiche per disciplinare alla fonte il processo produttivo e per agevolare ed incentivare il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti prodotti. Infine i rifiuti non recuperati devono essere smaltiti in condizioni di sicurezza, con una progressiva riduzione del flusso dei rifiuti avviati in discarica.

Al fine di ridurre al minimo l’eccessivo accumulo di rifiuti che

continua a verificarsi nonostante le numerose normative in merito. La nostra società opulenta e sprecona potrebbe risolvere il grosso problema dello smaltimento dei rifiuti facendo in modo che prodotti di scarto da onere diventino opportunità di sviluppo tramite il consolidamento di alcuni principi fondamentali che è necessario perseguire per poter raggiungere obiettivi progressivi di prevenzione, ovvero riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti prodotti, raccolta differenziata, riciclaggio e recupero.

IL DECRETO RONCHI Negli ultimi trent'anni si è assistito ad una crescente produzione di

rifiuti, indice di una società sempre più orientata verso i consumi e verso la modalità "usa e getta" degli articoli di uso quotidiano. Tutto ciò nonostante le indicazioni dell’Unione Europea, la quale, già nella Comunicazione della Commissione europea del 1996, prevedeva che la prevenzione e la minimizzazione delle sostanze pericolose dovevano essere i punti chiave per una strategia sulla gestione dei rifiuti. In attuazione delle direttive europee su questo tema, con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 22/97, conosciuto come Decreto Ronchi (e sue modifiche e integrazioni), il nostro Paese si è dotato di un sistema legislativo avanzato che pone l’accento sulla necessità di utilizzare il meno possibile le risorse non rinnovabili; pertanto il rifiuto deve essere gestito in modo da ridurne la produzione e la pericolosità, nonché da incentivare il suo riutilizzo al fine di inquinare meno e ridurre il flusso avviato allo smaltimento.

In sintesi il suddetto decreto pone i seguenti obiettivi: Salvaguardare la fauna e la flora e ridurre il degrado paesistico-

ambientale;

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Incentivare la raccolta, il recupero, il riciclo della materia prima e seconda, nonché i sistemi che tendono a limitare la produzione dei rifiuti;

Disciplinare la modalità di controllo, utilizzo, trasporto e trattamento delle materie prime secondarie;

Favorire: la cooperazione tra pubblico e privato nonché la trasparenza, la legalità, l’economicità e l’efficienza dei servizi;

Applicare il principio fondamentale secondo il quale "chi inquina paga".

In Europa ogni anno si producono circa 1,3 miliardi di tonnellate

di rifiuti, escludendo quelli agricoli. Non si devono però confondere i rifiuti in generale con quelli urbani.

E' quindi necessario approfondire la loro composizione.

Complessivamente i rifiuti si distinguono in: rifiuti dell'attività estrattiva 29% rifiuti dell'attività manifatturiera 26% rifiuti da costruzione e

demolizione 22%

rifiuti urbani 14% rifiuti da varie fonti 5% rifiuti da attività di produzione di

energia 4%

(fonte Rapporto Rifiuti 2003 - dati 1997) La produzione annua di rifiuti urbani in Europa è pari a 182

milioni di tonnellate. Considerando che la popolazione dell’UE è formata da 375 milioni di abitanti, ne consegue che ogni abitante in Europa produce 528 kg di rifiuti all'anno.

Nonostante gli sforzi verso il recupero ed il riciclaggio, in Europa la discarica resta ancora la soluzione più praticata per lo smaltimento, con il 54% del totale. Il 27% dei rifiuti urbani entra nella filiera del riciclaggio o del compostaggio (Figura 1). Il restante 19% è avviato all'incenerimento, con o senza recupero di energia (termovalorizzatori).

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Figura 1: Compostaggio dei rifiuti organici. I rifiuti organici possono essere riutilizzati come fertilizzanti dopo essere stati sottoposti ad un procedimento detto compostaggio. Arricchiti con concimi o vegetazione ricca di azoto, i rifiuti vengono disposti a strati in modo da permettere la circolazione dell’aria e lo sviluppo di calore. In queste condizioni si verifica la loro trasformazione in un materiale ricco di sostanze nutritive detto “compost”, che viene usato come fertilizzante nelle coltivazioni.

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Produzione annuale di di rifiuti domestici

STATO TOTALE tonnellate Per PERSONA (Kg)

Australia (1) 12.000.000 690 Austria 4.496.000 560 Belgio 5.588.000 550 Canada (1) 18.110.000 640 Danimarca 3.546.000 660 Finlandia 2.400.000 460 Francia 30.744.000 510 Germania 44.094.000 540 Giappone 51.446.000 410 Grecia 4.550.000 430 Irlanda 2.057.000 560 Islanda 198.000 710 Italia 29.000.000 500 Lussemburgo 278.000 640 Norvegia 2.755.000 620 Nuova Zelanda (2) 2.106.000 662 Paesi Bassi 9.691.000 610 Polonia 12.226.000 320 Portogallo 4.531.000 450 Regno Unito 33.200.000 560 Repubblica Ceca 3.434.000 330 Repubblica Slovacca 1.706.000 320 Russia (3) 50.000.000 340 Spagna 26.505.000 670 Stati Uniti d'America 208.520.000 760 Svezia 4.000.000 450 Svizzera 4.681.000 650 Turchia 24.945.000 390 Ungheria 4.552.000 450

(1) 1990 (2) 1982 (ultimo dato disponibile) (3) 1995 Fonte: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo

economico. Dati sull'ambiente 2000.

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LA SITUAZIONE ITALIANA L'Italia produce ogni anno 29 milioni di tonnellate di rifiuti solidi

urbani (dato del 2001). La politica della gestione rifiuti è ancora fortemente orientata verso le discariche dove è stoccato il 67,1% dei rifiuti. Un altro 24,2% segue le strade del compostaggio e del riciclaggio, mentre solo il restante 8,7% segue la via dell’incenerimento.

Per i rifiuti urbani il Decreto Ronchi ha posto anche una serie di obiettivi quantitativi minimi di raccolta differenziata che doveva essere, rispetto al totale dei rifiuti, almeno: - del 15% entro il 2 marzo 1999 - del 25% entro il 2 marzo 2001 - del 35% a partire dal 2 marzo 2003.

Con l’emanazione della direttiva 2004/12/CE dell’11 febbraio 2004

sono stati rivisti anche gli obiettivi minimi di recupero e riciclaggio. A tal proposito, in sede comunitaria, si è convenuto di adottare un obiettivo minimo di recupero dei rifiuti di imballaggio senza imporre una percentuale massima. Inoltre la novità fondamentale è rappresentata dall’introduzione di obiettivi minimi di riciclaggio specifici per i diversi tipi di materiale.

Obiettivi minimi i recupero dei rifiuti da imballaggio Recupero totale di rifiuti di

imballaggio 60%

Riciclaggio totale di rifiuti di imballaggio

55 % ÷ 80%

Riciclaggio per materiale Vetro 60%

Carta e cartone 60%

Metallo 50% Plastica 22,5% Legno 15%

Tuttavia, la produzione dei rifiuti urbani continua ad essere in

aumento e non ha rispettato i livelli di riciclo previsti dalla legge. Presto occorreranno nuovi interventi in materia,

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auspicando che abbiano maggiore efficacia e soprattutto che vengano rispettati.

Il tasso di crescita più elevato, per quanto riguarda la produzione

dei rifiuti urbani, è stato registrato dal 1995 al 2000, periodo in cui si è osservato un aumento del 12,2%, con un tasso medio di incremento annuo pari al 2,4%. Nel 2003, secondo i dati ufficiali del Rapporto Rifiuti 2004 (APAT-ONR), la produzione di rifiuti urbani si è attestata a circa 30 milioni di tonnellate, equivalenti ad un valore pro capite di circa 524 kg per anno, con un incremento appena dello 0,6% rispetto all'anno precedente. Non bisogna però dimenticare che nell'agosto 2002 è stata emanata una legge (n. 178), in cui all'art. 14 s’introduce una "interpretazione della definizione di rifiuto” in base alla quale vengono sottratti dalla normativa di settore gran parte dei rifiuti recuperabili". Questo, in netto contrasto la legislazione europea di settore, può aver apportato una variazione dei dati, pregiudicando, fra l'altro, in Italia, l’attuazione delle direttive europee e quindi l'efficacia del Decreto Ronchi.

Inoltre, nel novembre 2004 è stata approvata dal Senato la Legge

Delega per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione ambientale, che, col pretesto di semplificare l'intera normativa ambientale, stravolge in particolare il capitolo relativo al settore rifiuti. I rottami ferrosi e non ferrosi, anche provenienti dall'estero, destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche, sono considerati come materie prime secondarie e quindi non sarebbero più sottoposti al regime dei rifiuti. Nonostante gli appelli delle associazioni ambientaliste, il testo predisposto dal Ministero dell'Ambiente è stato aggravato da norme immediatamente attuabili relative allo smaltimento dei rottami ferrosi e alla sanatoria paesaggistica.

Come detto precedentemente, i principi fondamentali della

Gestione dei rifiuti sono A. Prevenzione: riduzione della quantità e della pericolosità

dei rifiuti prodotti. B. Riciclaggio e Recupero. C. Smaltimento finale dei rifiuti, in condizioni di sicurezza e

con riduzione del ricorso alla discarica.

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A. PREVENZIONE: RIDUZIONE DELLA QUANTITA' E DELLA PERICOLOSITA' DEI RIFIUTI PRODOTTI

La prevenzione, in tema di rifiuti, richiede il controllo ed il

miglioramento continuo delle prestazioni a livello ambientale affinché il rifiuto stesso da onere diventi invece opportunità di sviluppo. A tal fine, si rende necessario che le imprese produttrici dei rifiuti diano il via alla realizzazione di una serie di procedure che migliorino l'efficienza dei processi industriali.

La piena attuazione delle misure possibili potrebbe determinare una drastica riduzione dei consumi energetici, dell'uso di materie prime, della produzione dei rifiuti e delle emissioni inquinanti nei comparti ambientali (aria, acqua, suolo).

Il Ministero dell'Ambiente ha individuato, nell’ambito dei Programmi Operativi Regionali, la Strategia del Riorientamento dei sistemi industriali di processo/prodotto attraverso i quali le Regioni utilizzano i Fondi Strutturali Comunitari europei per lo sviluppo economico e produttivo.

Le imprese, quindi, possono accedere ai finanziamenti comunitari,

per il periodo 2000-2006, predisponendo adeguati progetti che, seguendo il principio della sostenibilità ambientale, realizzino le azioni riassunte di seguito: • introduzione di sistemi di gestione ambientale all'interno dei processi industriali e dei servizi (certificazioni ambientali); • modificazione delle tecnologie di processo per ridurre l'inquinamento (eco-efficienza dei cicli di produzione e di consumo); • miglioramento dei sistemi per l’abbattimento delle emissioni (aria, acqua, suolo); • perseguimento dell'efficienza energetica e della riduzione della produzione dei rifiuti; • innovazione ambientale attraverso il miglioramento delle prestazioni ambientali del prodotto e delle potenzialità di riutilizzo e recupero anche a fine vita.

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B. RICICLAGGIO E RECUPERO Per riciclaggio dei rifiuti s’intende l'insieme delle strategie volte a

recuperare i rifiuti per riutilizzarli evitando di smaltirli in altro modo.

Un corretto sviluppo della strategia del RIUSO e del RECUPERO si concentra principalmente sull’ottimizzazione dei sistemi di raccolta dei rifiuti urbani, e sullo sviluppo del mercato dei prodotti riutilizzabili e delle materie prime seconde ottenute dal recupero dei rifiuti.

L'uso dei materiali biodegradabili per la produzione dei beni facilita lo smaltimento "naturale" della materia, nel momento in cui il prodotto si trasforma in rifiuto.

La "raccolta differenziata" di materiali riciclabili come il vetro, i metalli o i polimeri selezionati riduce i costi di trattamento ma richiede la partecipazione indispensabile di tutti i cittadini.

Se si sviluppano idonei sistemi di trattamento dei rifiuti, il riciclaggio apre un nuovo mercato in cui i materiali riciclabili recuperati possono essere rivenduti, come materia prima o come prodotti semilavorati, alle imprese produttrici dei beni, assumendo un "valore di risorsa". Tuttavia il riciclaggio è stato spesso criticato per i costi ambientali del processo di trasformazione dei rifiuti, per il basso rendimento nella quantità delle materie prime ottenute e per la bassa qualità dei prodotti finali.

Un’ulteriore critica che è stata sollevata individua nel riciclaggio, per come è stato pubblicizzato tra la popolazione, un mezzo che sembra giustificare condotte consumistiche, anziché indurre al risparmio delle risorse ed al contenimento dei consumi.

I sistemi più efficaci per la gestione dei rifiuti sono invece basati sulla riduzione dei rifiuti e sul loro riuso (tecnicamente definito reimpiego), in cui una volta terminato l'utilizzo di un oggetto, esso, dopo un semplice processo di pulizia, viene utilizzato nuovamente senza che i materiali di cui è composto subiscano trasformazioni.

La raccolta differenziata in Italia ammontava nel 2003 ad oltre 6,4 milioni di tonnellate, pari al 21,5% della produzione totale di rifiuti urbani, con un aumento percentuale del 3% rispetto al 2002. La differenza fra Nord, Centro e Sud è ancora molto evidente: al Nord la percentuale di raccolta differenziata si

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colloca al 33,5%, vicino quindi all'obiettivo minimo indicato dal decreto Ronchi per il 2003; al Centro si attesta al 17,1%, raggiungendo con quattro anni di ritardo il target del 15% individuato dalla normativa per il 1999 mentre, infine, al Sud Italia si colloca ancora a livelli molto bassi, pari al 7,7% appena.

Nell'arco del quinquennio 1999-2003, si è osservata una riduzione dello smaltimento in discarica dal 74,4% al 53,5%, parallelamente ad un aumento dell'incenerimento dei rifiuti. Nel 2003, in Italia sono stati avviati ad incenerimento oltre 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, che sono stati trattati in 50 impianti operativi, situati prevalentemente al Nord Italia (31 inceneritori). Al Centro sono presenti 13 unità, mentre nel Sud si contano soltanto 6 impianti. Il numero di inceneritori tende comunque ad aumentare in accordo con la politica del governo italiano, volta a promuovere la combustione dei rifiuti come principale soluzione al problema.

Fortunatamente, il recupero ed il riciclaggio stanno facendo in Italia progressi apprezzabili, anche se non ancora sufficienti.

Le materie prime che possono essere riciclate sono: vetro, carta e cartone, tessuti, pneumatici, alluminio, acciaio, alcune materie plastiche, rifiuti informatici. Nei paragrafi seguenti si analizzeranno gli aspetti principali del riciclaggio di tali materiali.

B1) Riciclaggio del vetro Il vetro è prodotto per fusione a partire dalla silice, dal carbonato

di calcio, dal carbonato di sodio e da altri componenti minori. Dagli anni 70 si ricorre anche all’utilizzazione del rottame di ferro. Questo consente di ridurre sia i consumi di materia prima sia i consumi energetici, senza che si determini un peggioramento della qualità del materiale.

La raccolta del vetro usato sgrava in modo sensibile gli Impianti di Incenerimento dei Rifiuti Urbani (IIRU) e le discariche. Il vetro può essere fuso infinite volte e non subisce diminuzioni di prestazioni anche come materia seconda. Riciclando il vetro si può risparmiare il 25%. di energia. Esso può essere riciclato sia come rottame di vetro sia come recupero di bottiglie vuote, ad esempio nel campo dell’imbottigliamento delle acque minerali e del latte. Invece di essere frantumate,

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le bottiglie possono essere riempite nuovamente senza passare per processi di trasformazione, costosi soprattutto da un punto di vista ambientale, con assolute garanzie di igiene per il consumatore finale.

In molti Paesi d’Europa la raccolta è fatta distinguendo i vetri secondo il colore: verde, bianco e ambra. In questo la collaborazione della popolazione è fondamentale. La separazione del vetro può avvenire anche con selezione ottica o manuale dopo o durante la raccolta differenziata. La selezione è un processo importante per migliorare sia l’efficienza sia l’economicità del processo di riciclaggio. Una raccolta eseguita distinguendo il vetro in base ai colori permette di fondere separatamente i vari vetri per la fabbricazione di nuovi contenitori; il vetro misto può essere utilizzato soltanto per il vetro verde. Se nella lavorazione si eliminano anche le impurezze metalliche e plastiche, il livello di qualità del vetro riciclato non è inferiore alla materia prima.

La contaminazione con i materiali ceramici riduce notevolmente la qualità del vetro riciclato, ma il costo per l'eliminazione delle componenti ceramiche è particolarmente elevato, anche se tecnologicamente possibile.

Le etichette invece non interferiscono affatto nel procedimento: vengono incenerite alla temperatura di 1.500°C. I tappi in alluminio vengono riciclati e quelli in plastica finiscono invece negli IIRU.

Alcuni vetri non possono essere smaltiti negli appositi cassonetti: tra questi, i bicchieri in cristallo e i vetri delle finestre: i primi perché contengono un'alta percentuale di piombo, i secondi perché hanno una composizione chimica diversa, in quanto contengono mastice, metallo, legno e filo di ferro, pertanto non possono essere riutilizzati nella produzione ex novo di vetro.

Nel corso degli anni il rottame di vetro raccolto in Europa è progressivamente aumentato. Alla fine degli anni novanta, il tasso di recupero è stato complessivamente pari al 53% del vetro consumato. Al dicembre 2004, leader nella raccolta del vetro è l’Austria con l’88% mentre la Gran Bretagna è in coda con il 23%. L’Italia è tra le ultime con un modesto 34% battuta anche dalla Spagna. Lo spazio per ampliare raccolta e utilizzazione del vetro è grandissimo. In Svizzera circa un terzo della quantità di vetro usato che viene raccolta è

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riciclata dal settore del genio civile e utilizzata come sostituto della ghiaia. I due terzi restanti sono trattati e consegnati all'industria del vetro come materia prima per la fabbricazione di nuovi contenitori.

Gli scarsi incentivi degli stati alle politiche di riuso, invece, fanno sì che al giorno d'oggi la gran parte dei contenitori, delle confezioni e degli imballaggi sia ancora costituita da plastica e carta che non possono essere riutilizzate senza trasformazioni del rifiuto .

B2) Riciclaggio di carta e cartone Inizialmente la carta si produceva a partire dagli stracci, triturati,

macerati e sbiancati. A partire dall'800 si è iniziato a far uso di segature di legno per il 60%, miscelate al 40% con pasta di stracci. Successivamente si sono impiegate solo fibre provenienti dal legno degli alberi. Per produrre una tonnellata di carta occorrono da 2 a 2,5 tonnellate di legname. Solo il 41% della cellulosa utilizzata proviene da fibra di legno. Il resto è fibra riciclata o proveniente da altre colture, come paglia e bambù. Per produrre la carta, oltre alla cellulosa, si possono utilizzare riso, lino, cotone, seta, stracci, mais, luppolo, alghe ed altri materiali naturali. Il riciclo di una tonnellata di carta e cartone porta ad una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 1.308 kg.

La produzione della carta è in continua crescita ovunque. In Europa, negli ultimi 15 anni il consumo di carta e cartone è cresciuto del 4% all’anno. In Italia nel 2002 è stato di circa 11 milioni di tonnellate, pari a 188 kg di carta per abitante all'anno. Questo consumo elevato è dovuto soprattutto all’aumento dei prodotti chiamati “usa e getta”, costituiti principalmente dagli imballaggi e dai cosiddetti “panni carta” in sostituzione di fazzoletti, stracci e strofinacci. In Europa e nelle nazioni produttrici di cellulosa non c’è più la tendenza alla “deforestazione”, ma allo sviluppo o delle “foreste specializzate” costituite da alberi destinati alla produzione di cellulosa. Questo riduce la varietà di piante presenti, e va in netta controtendenza rispetto alla necessità di salvaguardare e ridare vigore alla biodiversità, unica tutela per il futuro del pianeta.

Con l’uso di carta riciclata (Figura 2) viene limitato il ricorso al patrimonio forestale, viene ridotto il consumo energetico e il

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carico inquinante generato dalla produzione di cellulosa e, in particolare, viene ridotta l’utilizzazione di sostanze chimiche per lo sbiancamento della cellulosa. Si riduce, inoltre, il consumo di acqua nel ciclo di produzione finale della carta stessa. La carta riciclata tende però ad essere troppo grigiastra, e quindi generalmente inadatta ad una stampa di buona qualità. Per ottenere una carta bianca è opportuno ricorrere a quella “ecologica” che è una sapiente miscela di materia prima “nuova” e materia prima riciclata. In questo modo si evita il ricorso al “deinking” (sbiancamento della carta riciclata durante la produzione della nuova carta) che dà grandi problemi di smaltimento di residuo “fortemente tossico”.

La materia prima proveniente dal riciclo della carta, anche con

minori necessità di trattamento di disinchiostrazione, e senza problemi connessi alla perdita di “prestazioni” nei confronti di quella di prima produzione, può essere ben utilizzata per un’ampia serie di materiali da imballaggio come il cartone nelle sue diverse forme: sono realizzati con carta da riciclo gli scatoloni di cartone, il cartone ondulato, la carta da pacchi ed i contenitori per uova, frutta e verdura .

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Figura 2: Riciclaggio della carta In questa foto, la carta dei giornali destinata al riciclaggio viene triturata e imballata. Il riciclaggio della carta e in generale di rifiuti omogenei, non necessitando del trattamento preliminare di separazione dagli altri materiali, è molto più vantaggioso di quelli misti.

B3) Riciclaggio di tessuti e scarpe Sin dalla nascita delle fabbriche di carta (partite già alla fine del

Medioevo) si pratica la raccolta di indumenti per il riciclaggio e la produzione di nuovi tessuti. Il riciclaggio di indumenti contribuisce al risparmio di risorse necessarie alla fabbricazione di nuove stoffe e abiti. In Svizzera la quantità raccolta ogni anno cresce continuamente e attualmente è pari a circa 35'000 tonnellate, di cui circa il 50% circa è destinato al riciclaggio.

Esistono numerose organizzazioni che si occupano del servizio di raccolta dei tessuti e delle scarpe, attraverso la distribuzione di appositi sacchi presso le abitazioni e gli edifici condominiali e provvedendo poi al ritiro in giorni stabiliti.

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Molte di esse sono a carattere benefico (Croce Rossa, Caritas ecc.), altre hanno fini di riciclaggio e recupero (Texaid AG).

Prima di essere riciclati, gli indumenti usati che vengono raccolti sono sottoposti a una cernita. Per ora il riconoscimento dei tipi di fibra, del miscuglio di fibre e dei colori dei tessili viene fatto a mano; tuttavia sono in fase di progettazione macchine altamente tecnologiche che possono effettuare automaticamente questo tipo di operazioni.

Con la cernita possono essere ottenuti i seguenti gruppi di merci (valori medi forniti da TEXAID e dati relativi alla Germania per il 2004): - 60%: indumenti usati ancora indossabili - 15%: materiale destinato al settore degli stracci per la pulizia, - 15%: materiale destinato all'industria degli sfilacciati e dei non tessuti nonché all'industria della carta e del cartone, - 10%: destinato alle discariche per rifiuti oppure incenerito.

Indumenti usati ancora indossabili Circa 1/8 della quantità di indumenti usati ancora indossabili,

ottenuti dalla raccolta, viene venduto in Europa occidentale e nei negozi di seconda mano. Il resto viene esportato nell'Europa dell'Est e nei Paesi poveri d'oltre oceano. Benché sia stato ipotizzato che l'esportazione di indumenti usati verso l'Africa possa nuocere all'economia di tale continente, uno studio scientifico che ha analizzato il fenomeno degli indumenti usati esportati in Africa, dimostra che non esiste una relazione causale tra l’importazione degli indumenti usati e l'andamento dell'industria tessile e dell'abbigliamento. Al contrario, in Africa il settore degli indumenti usati è divenuto un fattore economico essenziale che garantisce l'esistenza ad oltre centomila persone. Inoltre, gli indumenti usati sono ben accetti in tutti gli strati della società. Un divieto d'importazione avrebbe delle conseguenze gravi per ampi strati della popolazione.

Materiale destinato al settore degli stracci per la pulizia

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Questo tipo di manufatti usati viene privato delle parti dure o

rigide (polsini, bottoni, cerniere) e viene quindi tagliato e impiegato a livello mondiale soprattutto nell'industria meccanica ed in quella automobilistica.

Materiale destinato all'industria degli sfilacciati e dei non tessuti Per questa finalità i tessili vengono strappati e sfilacciati

meccanicamente. Le fibre così ottenute subiscono ulteriori procedimenti di lavorazione per essere poi impiegate nelle filature ed in nuove tessiture. Gli abiti nuovi confezionati in fabbrica possono essere costituiti fino a un quarto da fibre riciclate. Dalle fibre riciclate vengono prodotti anche non tessuti destinati a vari usi.

Materiale destinato all'industria della carta e del cartone Questi tessili, per lo più di qualità inferiore, vengono sfilacciati

mediante esposizione al calore (procedimento di cottura), poi vengono mescolati con altri materiali e patinati con apposite macchine fino ad ottenere carta o cartone (ad esempio cartone catramato per impermeabilizzare tetti e coperture).

Fibre tessili riciclate, inoltre, vengono utilizzate per la fabbricazione di parti di automobili, pannelli isolanti ed altri prodotti simili. In tutto il mondo si sperimentano e ricercano nuove possibilità d'impiego, le quali talvolta falliscono poiché a lungo termine non è garantita l'omogeneità dei materiali di base oppure perché il rendimento è insufficiente.

B4) Riciclaggio di pneumatici I pneumatici usati, che non possono più essere sottoposti a

procedimenti atti a consentirne il riutilizzo, costituiscono un problema ambientale di dimensioni notevoli, considerati l'enorme mole di ingombro nelle discariche e tutti i fattori connessi (scarsa biodegradabilità, facilità di combustione, ristagno d'acqua con proliferazione di insetti portatori di malattia -p. es. malaria- e conseguente rischio di infezioni) (Figura3).

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Figura 3: Discarica di pneumatici Oggi, grazie a dei procedimenti industriali di taglio, triturazione,

separazione dei componenti e polverizzazione della gomma da pneumatico, è possibile separare le diverse componenti (gomma, acciaio e fibra) ottenendo un materiale riutilizzabile in molteplici maniere: mattonelle, pannelli fonoassorbenti, superfici sportive, suole per calzature, ruote per carrelli, pavimentazioni stradali, componenti per automobili, e numerosi altri scopi.

L'attività di riciclaggio dei pneumatici usati può produrre

numerosi vantaggi, qui di seguito elencati: • riduzione e talvolta eliminazione delle discariche di pneumatici, nonché dei numerosi problemi ad esse collegati (vedi sopra); • creazione di nuovi posti di lavoro, sia direttamente nell'attività industriale che indirettamente nelle attività connesse, per la raccolta e la commercializzazione; • benefici economici, grazie al riutilizzo di materia prima, con conseguente riduzione dell'importazione di manufatti in gomma.

B5) Riciclaggio dell’acciaio

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L'acciaio, per le sue caratteristiche, è il materiale riciclabile per eccellenza. Non a caso il riciclaggio del ferro e dell'acciaio, anche storicamente, è stato ed è una delle procedure più diffuse di riutilizzo dei materiali. L'acciaio è una lega a base di ferro ed altri elementi metallici e non metallici in quantità diverse. Il 40% della produzione mondiale di acciaio è costituita da materiali di riciclo (rottami di ferro), per cui l'acciaio risulta essere anche oggi, per quantità, il materiale più riciclato: 350 milioni di tonnellate all'anno, che costituiscono un'importantissima risorsa che non può essere sprecata, e che viene regolarmente recuperata con benefici sia economici che ambientali.

In Italia, ogni anno, circa 400.000 tonnellate di imballaggi in acciaio sono prodotte da rifiuti solidi urbani, mentre all'incirca 60.000 tonnellate derivano da imballaggi ad uso industriale. Negli imballaggi in acciaio sono compresi la banda stagnata (latta), la banda cromata e la banda nera o lamierino. Dal lamierino si ricavano gli imballaggi in acciaio, come i fusti e i barattoli. Gli imballaggi in acciaio avviati al processo di riciclo servono a produrre parti in acciaio di veicoli, elettrodomestici, rotaie, tondini per l'edilizia, travi per ponti, cancelli, manufatti in acciaio ecc..

Cosa si può differenziare.:

Nella raccolta differenziata dei rifiuti potrebbe essere utile separare all'origine, ove possibile, i seguenti oggetti: _ contenitori per alimenti (barattoli per legumi in genere, conserve, frutta sciroppata, tonno, sardine, olio d'oliva, carne, alimenti per animali, alcune bevande e caffè, ecc.); _ bombolette spray per alimenti, vernici e prodotti per l'igiene personale; _ chiusure metalliche per vasetti di vetro, come quelli di confetture, marmellate, miele e passata di pomodoro; _ tappi a corona e coperchi applicati su bottiglie di vetro e barattoli; _ scatole in acciaio utilizzate per confezioni regalo di biscotti, cioccolatini, caramelle, dolci e liquori; _ fustini e secchielli per pitture, vernici e smalti.

B6) Riciclaggio di alluminio

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L'alluminio vergine viene estratto dalla bauxite, un minerale che si presenta sotto forma di argilla granulosa o rocciosa di vario colore (rosa, rossa, bruna, grigia). I principali giacimenti si trovano nelle aree tropicali e subtropicali e sono di solito superficiali. Per produrre 1kg di alluminio si utilizzano 4 kg di bauxite: le riserve oggi note del minerale garantiscono la produzione di metallo per oltre 1000 anni, agli attuali livelli di consumo. Il riciclaggio di questo metallo, che è recuperabile al 100%, consente di risparmiare materia ed energia. Per produrre 1 kg di alluminio vergine sono necessari 14 kWh, mentre per la stessa quantità riciclata occorrono appena 0,7 kWh. Anche in questo caso il riciclaggio mostra evidenti vantaggi economici ed ambientali.

Nell'industria dell'alluminio il riciclaggio avviene su larga scala.

Già oggi il 35% del fabbisogno mondiale di alluminio è coperto da materiale riciclato; inoltre, la tendenza percentuale del riutilizzo è attualmente in rialzo.

Gli impianti di riciclaggio per l'alluminio hanno un elevato

standard ecologico poiché il metallo fonde soltanto a 660°C, e richiede soltanto il 5% circa dell'energia complessivamente necessaria per l'estrazione dalla bauxite, sicché con il riciclaggio si ha un risparmio energetico che è addirittura del 95%. I procedimenti più antiquati di riciclaggio di alluminio generano scorie saline, che vengono poi trattate in modo tale da permettere il recupero sia del sale che dell'alluminio. I procedimenti più recenti prevedono invece una prima fase in cui i residui organici presenti (etichette, laccatura, verniciatura ed altre scorie) vengono sottoposti a combustione a una temperatura di circa 500°C (pirolisi). Il metallo purificato e triturato viene poi fuso in un forno apposito. I gas derivanti dalla pirolisi, emanati nel processo di riduzione dell'alluminio, vengono bruciati ad alte temperature per fornire l'energia e il calore necessari al processo di pirolisi.

La Svizzera è una delle nazioni leader nel riciclaggio di alluminio. Percentuale di lattine in alluminio riciclate, 91%; contenitori per alimenti animali, 75%; tubetti in alluminio, 40%. In Svizzera per la raccolta separata di lattine in alluminio vi sono più di 5'000 presse, mentre per l'alluminio usato nelle

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economie domestiche praticamente ogni Comune dispone di appositi contenitori per la raccolta. Poiché l'alluminio da raccolta rappresenta un bene prezioso, gli acquirenti sono spesso commercianti specializzati (che noi chiamiamo alquanto impropriamente "straccivendoli").

Gli imballaggi in alluminio si smaltiscono nei contenitori per la raccolta che si trovano in ogni Comune (spesso congiuntamente con le lamiere d'acciaio) o eventualmente presso un commerciante di abiti usati.

Cosa si può differenziare o selezionare:

• lattine per bevande e conserve; • bombolette spray per deodoranti, lacche, panna, ecc., purché private dei tappi-nebulizzatori di plastica; • fogli di alluminio da cucina e involucri da cioccolata o dolci solidi; • vaschette e contenitori per alimenti animali e per la conservazione ed il congelamento dei cibi; • i coperchi degli yogurt, i tubetti in alluminio, capsule coperchio e tappi per bottiglie di olio, vino, liquori, bibite.

Per il resto vale la seguente regola: se sull'imballaggio figura il logo indicante il riciclaggio dell'alluminio “AL” significa che esso può essere gettato nei contenitori per alluminio; se non figura nessuna sigla di riciclo, molto probabilmente si tratta di materiale in lega d'alluminio, che occorre gettare nella spazzatura non differenziata.

B7) Riciclaggio delle materie plastiche La plastica non può essere riciclata con facilità, in quanto il costo

di rilavorazione è spesso molto superiore al costo di produzione di plastica nuova; inoltre, le numerosissime plastiche presenti sul mercato non possono essere mescolate fra di loro (Figura 4).

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Da decine di anni, sono stati avviati progetti e sperimentazioni

tendenti al riutilizzo degli scarti di produzione industriale delle materie plastiche in nuovi processi produttivi.

Riguardo il riciclaggio della plastica in Europa, la Germania svetta con quasi il 24% degli scarti complessivamente riciclati, segue l’Austria con il 20%, e via via scendendo sino all’Italia con il 7,5% e la Gran Bretagna con il 4,8%. La forma di riciclo più diffusa è quello di tipo meccanico. Se si seleziona correttamente la plastica per tipo di polimero, la sua riutilizzazione è semplice ed economica. Il riciclo meccanico consiste nella triturazione e polverizzazione delle plastiche raccolte seguite, attraverso il riscaldamento del polverizzato, dallo stampaggio (o l’estrusione) dei nuovi manufatti. Si è tentato anche un riciclaggio chimico della plastica per riottenere “polimeri vergini”. La constatazione è stata che i costi di intervento e l’energia messa in campo rendono non conveniente questa forma di riciclaggio.

Il riciclaggio delle materie plastiche comporta benefici ambientali significativi. La produzione di un manufatto da polimeri riciclati non richiede aggiunte particolari nella lavorazione, mentre elimina tutto il ciclo di estrazione, raffinazione e fabbricazione dei polimeri stessi, che è la parte ecologicamente più “gravosa” per l’ambiente soprattutto dal punto di vista del consumo di energia.

Figura 4: Smistamento della plastica Molti prodotti di plastica riportano indicazioni che aiutano il consumatore a capire se si tratta di materiali riciclabili o meno. Raccogliere, smistare e riciclare la plastica, tuttavia, è un procedimento molto costoso, e proprio per questo non molto diffuso. Inoltre, sebbene esistano macchine specializzate per lo smistamento, molte delle operazioni necessarie al riciclaggio devono essere svolte a mano, e questo contribuisce ad aumentare i costi.

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Il maggiore problema che viene sollevato dall’industria nel recupero della plastica è “la scarsa qualità della materia seconda”. Infatti il riciclo della plastica è fortemente condizionato dalla qualità e dalla “contaminazione” dei materiali recuperati. Le plastiche sono di molti tipi differenti e la miscelazione di più tipi comporta un indebolimento strutturale. Risulta quindi necessario il perfezionamento della selezione preliminare, ovvero della fase immediatamente successiva alla raccolta.

I principali tipi di plastica riciclabile sono descritti qui di seguito. POLIESTERI I poliesteri sono polimeri che si presentano sotto forma di fibre,

molto usate negli anni settanta per realizzare i cosiddetti abiti di lamè. Da allora tutte le nazioni si sono impegnate per studiare utilizzi più pratici per il poliestere. Il poliestere ha catene principali di idrocarburi contenenti legami estere, da cui deriva il nome dei polimeri relativi.

La catena del poliestere possiede gruppi esterici polari. Le cariche positive e quelle negative dei diversi gruppi estere si attraggono l'una con l'altra. Questo permette alle catene vicine di allinearsi una con l'altra in forma cristallina; in tal modo si formano fibre resistenti.

Il PET Il PET appartiene al gruppo delle materie plastiche in poliestere.

PET significa "polietilentereftalato”. La sua struttura è formata da gruppi etilenici e da gruppi di tereftalato; poiché le sue molecole sono composte da ossigeno, idrogeno e carbonio, esso è classificato come materiale eliminabile e privo d'inquinanti. E’ molto utilizzato nella produzione di componentistica per automobili, nella produzione di nuovi contenitori per liquidi detergenti e nell’ambito della produzione di materie prime per il tessile. Nel settore tessile il PET viene distinto con il nome di “fibra di poliestere” che fa la parte del leone nell’ambito delle fibre che vengono miscelate con lana, cotone, lino etc...

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Il poliestere da plastiche riciclate nell’abbigliamento Tipo di tessuto utilizzazione Ovatte giacche a vento componente di abiti tute da sci guanti Filati maglioni "pile" (pronuncia pail), felpe

Malgrado esistano diversi prodotti in PET, soltanto le bottiglie per

bevande sono adatte al riciclaggio. Le bottiglie di olio, aceto e shampoo, come pure altre bottiglie in PET non possono essere riciclate poiché il loro grado di inquinamento è troppo elevato.

Il tasso di recupero del PET è attualmente pari al 74%. Il risparmio energetico del riciclaggio delle bottiglie in PET rispetto alla produzione di PET ex novo può arrivare fino al 60%. La materia seconda viene normalmente miscelata al 35% con materia prima vergine.

Una bottiglia di PET non può essere riciclata come una bottiglia di vetro, perché il PET ha una temperatura di transizione vetrosa (temperatura alla quale i polimeri rammolliscono) troppo bassa. Per riutilizzare una bottiglia da bibita morbida è necessario sterilizzarla prima dell'uso. Questo significa lavarla ad una temperatura troppo elevata che farebbe diventare il PET troppo molle.

Per lo stesso motivo, le confetture non possono essere conservate in contenitori infrangibili. Infatti, il riempimento di un barattolo con marmellata è un procedimento che richiede temperature molto elevate, che generalmente non sono sopportabili dalle materie plastiche.

Esiste tuttavia un nuovo tipo di poliestere che può invece essere utilizzato, perché resiste a temperature più elevate: si tratta del polietilennaftalato o PEN.

Il PEN ha una temperatura di transizione vetrosa più elevata rispetto al PET, pertanto è in grado di sopportare meglio il calore. Il PEN è talmente resistente al calore che, per fare le bottiglie, non è necessario utilizzare solo il PEN ma basta miscelare un po’ di PEN con il vecchio PET.

Ci sono altri due poliesteri sul mercato che sono legati al PET. Sono il polibutilentereftalato, o PBT, ed il politrimetilentereftalato. Sono comunemente usati per

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produrre le stesse cose fatte con il PET, ma in certi casi mostrano migliori proprietà fisico-meccaniche.

POLIETILENE Il polietilene è forse il polimero più diffuso nella vita quotidiana.

Viene impiegato in prevalenza come strato intermedio tra due strati di plastica vergine nei contenitori per detergenti, ma l’utilizzazione più consolidata è nei sacchi della spazzatura, nei sacchetti dei supermercati e nella produzione di tappi. Con esso si fanno anche giocattoli per bambini e persino giubbotti antiproiettile. Questo materiale così versatile ha la struttura più semplice di tutti i polimeri commerciali. E’ un polimero vinilico, derivato dal monomero etilene che è formato da una lunga catena di atomi di carbonio, con due atomi di idrogeno legati a ciascun atomo di carbonio. Esso è detto polietilene lineare, o HDPE (high density polyethylene).

Quando un atomo di carbonio ha un'altra catena di polietilene al posto di uno dei due atomi di idrogeno si ottiene il polietilene ramificato o polietilene a bassa densità LDPE (low density polyethylene, che è più economico e più facile da produrre. Il polietilene lineare è molto più resistente del ramificato. Esso è normalmente prodotto con un peso molecolare compreso tra 200.000 e 500.000, ma è possibile ottenere anche polimeri a peso molecolare più alto.

I polietileni con peso molecolare compreso tra tre e sei milioni sono detti polietileni ad altissimo peso molecolare, o UHMWPE (ultra high molecular weight polyethylene). Questi sono usati per produrre fibre che sono così resistenti da aver rimpiazzato il Kevlar per la produzione di giubbotti antiproiettile. Grandi fogli di UHMWPE sono utilizzati al posto del ghiaccio nelle piste di pattinaggio.

POLISTIRENE Il polistirene è un materiale plastico rigido ed economico e,

probabilmente, come materiale più utilizzato nella vita di tutti i giorni, è preceduto solo dal polietilene. I modellini di automobili ed aerei sono realizzati in polistirene. Questo polimero viene anche usato sotto forma di schiuma per imballaggio ed isolamento. I bicchieri in plastica trasparenti sono fatti di polistirene, come pure molti particolari stampati all'interno delle automobili, come i pomelli e le manopole

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dell'autoradio. Il polistirene viene anche usato per costruire giocattoli e le "carcasse" o involucri degli asciugacapelli, dei computer e degli elettrodomestici per la cucina.

Il polistirene è un polimero vinilico. A livello strutturale è costituito da una lunga catena idrocarburica, con un gruppo fenilico legato ad un atomo di carbonio in modo alternato. Il polistirene si ottiene con la polimerizzazione radicalica vinilica dello stirene monomero.

Il polistirene è anche un componente di un tipo di gomma rigida chiamata poli (stirene-butadiene-stirene) o gomma SBS. La gomma SBS è un elastomero termoplastico.

Esiste anche un nuovo tipo di polistirene, chiamato polistirene sindiotattico, che può essere considerato il polistirene del futuro. E' diverso dai composti precedenti, perché i gruppi fenilici sulla catena polimerica si trovano alternativamente da una parte e dall'altra della catena principale del polimero. Il polistirene "normale" o atattico non ha un ordine definito rispetto al lato della catena al quale sono legati i gruppi fenilici.

Il polistirene sindiotattico ha una struttura regolare quindi può formare domini cristallini, mentre il polistirene atattico, irregolare, non può farlo. Il nuovo polistirene sindiotattico ha una ha struttura cristallina e fonde a 270°C ma è molto più costoso.

POLIVINILCLORURO (PVC). Strutturalmente il PVC è un polimero vinilico. E' simile al

polietilene, ma alternativamente negli atomi di carbonio della catena si trova un atomo di idrogeno sostituito da uno di cloro. E' prodotto per polimerizzazione radicalica del cloruro di vinile. Il consumatore distingue normalmente le bottiglie di PVC (polivinilcloruro) da quelle in PET dal fatto che le prime “croccano”, se compresse fra le dita, e le seconde cedono con flessibilità ed elasticità. Il PVC, che ha sempre ricevuto grande attenzione per la sua potenziale pericolosità di rilascio di molecole verso il contenuto alimentare, è molto utilizzato per la produzione di tubi rigidi di ampia utilizzazione nell’edilizia, per le condutture di acqua, per fognature, raccordi e manicotti, canaline per cavi elettrici e telefonici. Le grondaie "viniliche" usate sulle case sono fatte di polivinilcloruro. All'interno della casa il PVC è usato per produrre il linoleum da pavimento. Negli anni '70

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il PVC era spesso usato per fare le "capotte" delle automobili sportive.

Il PVC resiste sia al fuoco che all'acqua. E’ usato soprattutto per fare impermeabili, tende da doccia e tubi dell'acqua. Tuttavia la presenza di cloro rende il PVC anche resistente al fuoco. Quando si brucia il PVC, gli atomi di cloro che vengono rilasciati inibiscono la combustione.

Le materie seconde miste Anche le cosiddette materie “seconde” provenienti da raccolta

“indifferenziata” di plastica possono essere utilizzate. Attraverso lo sviluppo delle tecnologie di produzione, le plastiche cosiddette “eterogenee” trovano buon utilizzo per arredi urbani, pavimentazione di piste ciclabili, pavimentazione di aree da gioco per bambini, cartelloni stradali nonché per la produzione di svariati beni di consumo come penne, telefoni, articoli per ufficio, orologi, contenitori per liquidi (bacinelle, secchi) ecc....

Non è corretto vedere nella plastica solo una “materia prima inquinante”.

La plastica correttamente utilizzata per sue proprietà (resistenza e indeformabilità nel tempo) è utile per salvaguardare la natura dall’eccesso di consumo di tanti beni prodotti.

Nel "sistema a riciclaggio", però, le plastiche sintetiche di origine petrolchimica sono sostituite a monte con le bioplastiche. Questi nuovi materiali, di origine vegetale, hanno il vantaggio di produrre una combustione meno inquinante, o di essere più biodegradabili (alla normale azione degli agenti naturali) se rilasciate nell'ambiente o in discarica.

B8) I rifiuti tecnologici ed informatici I computer si rinnovano senza sosta: sempre più veloci, più

potenti e più facili da usare. Negli anni '60 la vita media di un elaboratore era di circa 10 anni. Oggi è scesa a circa tre. Quindi lo smaltimento delle apparecchiature elettroniche dismesse, il cosiddetto "e-waste", è un problema in crescita esponenziale, perché in tali rifiuti troviamo metalli pesanti e sostanze chimiche inquinanti che rendono estremamente pericoloso il loro smaltimento in discarica. Un monitor a colori contiene in media più di tre chilogrammi di piombo, oltre a una percentuale di bario, cadmio e zinco. I processori,

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invece, contengono elementi dei contatti in oro, mentre i circuiti stampati hanno connessioni in oro e argento. E poi c’è il rame dei cavi e la plastica, o altri metalli, che fanno da carrozzeria. Inoltre, il costo energetico che deriva dal distruggere in un inceneritore i tubi catodici contenuti in televisori e monitor è pari a 400 chilojoule per Kg bruciato. Benché ad oggi più del 90% dei rifiuti elettrici ed elettronici finisca in discarica, una nuova soluzione sta prendendo piede: il cosiddetto “reverse manufacturing”. Si tratta di una vera e propria “lavorazione al contrario”. Dal computer montato, per prima cosa si tolgono le sostanze tossico-nocive come pile e toner delle stampanti. Quindi inizia lo smontaggio vero e proprio che si articola in quattro tappe: 1) rimozione di carrozzeria e cavi che collegano i diversi componenti; 2) rimozione di parti elettriche (schede, processori e memorie) che, se ancora funzionanti sono inviati alle aziende di manutenzione e reimmessi sul mercato; 3) smontaggio di alternatori e tubi catodici dei monitor; 4) separazione di materiali omogenei: plastica, ferro, alluminio, rame e metalli preziosi (oro, argento, palladio).

Le cartucce inkjet ed i toner per stampanti laser costituiscono un tipo di rifiuto che, per la molteplicità di materiali di cui sono composti (plastica, metalli, gomma) e per i residui di componenti chimici necessari alla stampa (inchiostri e toner), possiedono particolari caratteristiche di pericolosità.

Tuttavia, anche tali cartucce possono essere avviate al recupero ed alla ricostruzione che, mediante l'opportuna sostituzione delle parti usurate e il reintegro di inchiostri e toner, consentono di effettuare ulteriori cicli di utilizzo.

In tal modo si ottiene un notevole risparmio sul costo di approvvigionamento delle cartucce nuove (da un 25 fino ad un 40% del prezzo), e si evita di immettere nell'ecosistema una quantità cospicua di agenti scarsamente biodegradabili e piuttosto inquinanti.

In giro per l’Europa si scoprono delle cose molto interessanti a proposito del riciclaggio e dell’utilizzazione delle materie seconde. Progetti, iniziative, leggi e normative affrontano il problema alla radice e cioè: produrre meno rifiuti e rendere ben riciclabili i diversi prodotti.

I dati, presentati nella tabella 1, anche se incompleti, danno un quadro utile sulla percentuale di raccolta differenziata in

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Europa. A dicembre 2004 la media europea di recupero di carta riciclata è stata del 49,7%, ma già la Germania raggiungeva il 70%. Quindi risulta largamente possibile arrivare all’80% del riciclaggio con un certo impegno necessario a raggiungere l’obiettivo.

In Italia, la cattiva organizzazione della raccolta differenziata nei comuni fa sì che solo il 30% della carta sia raccolta per essere riciclata. Il resto va a ingolfare le già sature discariche, generando maggiori costi, maggiori volumi e maggiori danni ecologici.

Percentuale di raccolta differenziata dei materiali (dati dicembre 2004) Materiale riciclato Paese carta vetro plastica Germania 70,20 79 23,60 Svizzera 62,80 91 Olanda 64.90 82 10,30 Spagna 41,00 37 Gran Bretagna 40,20 23 4,80 Francia 39,0 52 6,00 Italia 30,20 34 7,50 Media Europea 49,70 53 9,70

Uno dei paesi che applica in maniera sistematica e significativa

tutte le tecniche di riduzione dei rifiuti e del riutilizzo dei materiali è la Danimarca. Grazie ad una legislazione favorevole, la Danimarca ha bandito le lattine per la birra e per altre bevande, riducendo di molto l’uso di alluminio (la cui produzione è una grande divoratrice di energia) ed ha favorito invece l'impiego del vetro, facilmente recuperabile. Addirittura il 98% delle bottiglie in commercio in quel paese è riutilizzabile, e il 98% di esse tornano indietro ai consumatori senza essere riciclate. Per recuperare efficacemente il vetro è stata introdotta la cauzione sul “vuoto” come c’era un tempo anche in Italia.

Il giusto comportamento sarebbe quello di consumare con oculatezza e riutilizzare correttamente le “materie seconde” ossia le “materie prime” provenienti dal riciclo di prodotti e imballaggi già utilizzati dai consumatori finali.

In Francia, nel comune di Sorinières è stato rivoluzionato il sistema della tassazione per la raccolta dei rifiuti. Gli abitanti

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oggi pagano in relazione al volume reale di rifiuti da essi generato. Questo fatto ha innescato una forte attenzione a produrre meno rifiuti e, quindi, ad acquistare confezioni con minor spreco nell’imballo e via discorrendo. Con questo nuovo sistema ogni abitante ha prodotto in un anno 112 kg di rifiuti in meno.

In Spagna, nel Comune di San Cugat del Valle, è stata sperimentata con successo una campagna che aveva tre obiettivi: l’uso delle borse di cotone per la spesa in alternativa alle borse di plastica, il riciclaggio delle bottiglie di vetro di un noto vino locale, una campagna di sensibilizzazione nelle scuole sul tema del recupero e riciclaggio.

Anche in Italia non mancano buoni esempi. Due comuni veneti, S.Giustino in Colle e Martellago, hanno ridotto i rifiuti rispettivamente del 23% e del 16% grazie ad una efficace campagna di informazione sul “compost”, cioè sulla creazione di concime con i rifiuti alimentari e con quelli della cura dei giardini.

Una iniziativa dell’Onu denominata ZERI, che ha sede a Ginevra, è costituita da una rete di scienziati collegati via internet che studia le soluzioni affinché i residui industriali siano utili, poco dannosi per la natura e persino redditizi. Nel caso della birra, che utilizza molta acqua per la sua produzione e poi la rilascia piena di orzo fermentato, è stato proposto di usare quest’acqua per produrre funghi e, una volta prodotti, usare il terriccio per allevare lombrichi, che a loro volta sono grandi concimatori di terra e ottimo nutrimento per i polli....

Benché il “ciclo della birra” non abbia avuto una grande accoglienza in Europa, dove l’acqua è molto abbondante, esso ha avuto un riscontro positivo in quei Paesi dove l’acqua è una risorsa preziosa e poco abbondante.

Oggi sono allo studio criteri nuovi di riciclaggio dei rifiuti. Uno di questi ipotizza il loro possibile impiego come materiali edili. Presso il centro ricerca dell’Università di East London (Regno Unito) è stato realizzato nel 2004 un impianto pilota capace di trasformare rifiuti, altrimenti destinati alle discariche, in “mattoni” da costruzione. L’energia stessa necessaria per il trattamento ad alte temperature della materia prima proviene da liquami. I nuovi materiali devono essere sottoposti a test di resistenza. Se davvero potesse essere utilizzato su scala industriale, il metodo consentirebbe

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non solo il riciclaggio dei rifiuti, ma anche il risparmio di materiali edili altrimenti estratti dalle cave.

Questa del riciclaggio e del riutilizzo è evidentemente la strada da percorrere e da perfezionare in molti settori.

C. SMALTIMENTO FINALE DEI RIFIUTI Con la raccolta differenziata, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio,

si riduce la quantità di rifiuti da smaltire. Eliminati i materiali riciclabili (vetro, metalli, carta eccetera), qualcosa però rimane ancora: prima di tutto rimangono i rifiuti derivanti da errori di conferimento, dalla nostra pigrizia, o da inefficienze di amministrazioni pubbliche che non hanno ancora dato il giusto impulso alla raccolta differenziata. Infine esiste una parte di rifiuti che non può essere recuperata con le attuali tecnologie, e che può rappresentare fino al 15-20% del totale; essa comprende: contenitori in materiali accoppiati per liquidi alimentari (tetrapak); polistirolo; pannolini e cosmetici; cocci in ceramica; carte plastificate; film e bustine in nylon e cellophane; polveri.

Questi materiali devono necessariamente essere destinati allo smaltimento tramite il deposito permanente nel terreno (discarica) o la combustione (inceneritore). Una parte dei rifiuti può essere utilizzata per estrarre gas, liquidi e combustibili solidi per un riutilizzo come compost fertilizzante o come materia prima per determinati cicli produttivi industriali (ad esempio il bioetanolo). Al termine del processo di selezione il residuo secco dei rifiuti è l'ideale per la trasformazione in combustibile per la termovalorizzazione e la cogenerazione. Questo tipo di combustibile da rifiuti è chiamato CDR (Combustibili Da Rifiuti). La parte secca dei rifiuti non adatta alla combustione viene standardizzata per dimensioni e destinata, inevitabilmente, alla discarica.

L'uso delle discariche rimanda al futuro il problema e non si presta come unica soluzione permanente; inoltre, la discarica rischia di creare grandi concentrazioni di rifiuti tossici con inevitabili conseguenze sull'ambiente e sulla salute pubblica. I termovalorizzatori, invece, basano il loro funzionamento sull'incenerimento dei rifiuti sfruttando la combustione così ottenuta per produrre energia elettrica. Le emissioni di diossine, seppure in minime quantità, e la gestione delle

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scorie in depositi permanenti producono, però, forti tensioni sociali con le comunità residenti nei pressi di un termovalorizzatore (Figura 5).

Figura 5: Produzione di energia da rifiuti Una parte dei rifiuti domestici si presta a essere bruciata e convertita in energia utile. Il vapore sviluppato dall'inceneritore di questo impianto aziona la turbina di un generatore che produce elettricità pronta all'uso.

LA DISCARICA Per anni il termine 'discarica' ha significato un metodo incivile di

scegliere un luogo appartato, più o meno distante da un centro abitato, dove disfarsi dei rifiuti. Oggi, per l'alta densità abitativa e per l'alta percentuale di rifiuti non biodegradabili, tale metodo non è più praticabile. L'abbandono incontrollato dei rifiuti, oltre ad arrecare un danno irreparabile all'ambiente ed al paesaggio, è molto pericoloso anche per la salute. Una discarica non controllata, infatti, è l'ambiente ideale per ratti e parassiti, che attraverso gli animali selvatici e domestici possono provocare infezioni nell'uomo (Figura 6). La decomposizione produce liquami e gas che con la pioggia possono infiltrarsi nelle falde acquifere e così raggiungere i rubinetti delle nostre case.

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Figura 6: Immagine di una discarica La discarica controllata Una discarica 'controllata', cioè gestita correttamente, è realizzata

con tecnologie costruttive mirate a ridurre i possibili danni igienici e ambientali. Fondo e pareti dello scavo sono impermeabilizzati con teli o con uno strato argilloso; sul fondo è posta una canalizzazione per il drenaggio e la raccolta del percolato, il liquame che si forma in seguito alla fermentazione dei rifiuti e per la pioggia. L'impianto prevede anche un pozzetto-spia delle perdite e un sistema per il controllo di eventuali infiltrazioni di sostanze inquinanti nelle falde idriche. I rifiuti sono periodicamente ricoperti di terra, formando una serie di strati alternati. Nel corso della decomposizione, ad opera di batteri e microrganismi, si genera biogas, costituito in gran parte da metano e anidride carbonica. Questo gas viene raccolto, per prevenire incendi ed evitare inquinamenti dell'aria dannosi per le specie viventi. Il biogas può anche essere usato per produrre energia. Esaurito lo spazio disponibile, la discarica viene definitivamente ricoperta; occorreranno ancora anni perché la fermentazione giunga a conclusione. Impiantando arbusti

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e alberi idonei, si può consolidare l'area, in vista del definitivo recupero ambientale.

L'incenerimento In alternativa al conferimento in discarica, i rifiuti residui possono

essere bruciati in appositi inceneritori detti termovalorizzatori. Il processo di incenerimento trasforma la materia in calore per produrre energia elettrica ed in residuo di scorie altamente tossiche, ma di dimensioni contenute da destinare in discariche speciali. Come è noto un grande handicap dei termovalorizzatori è l'immissione in atmosfera di diossina a causa della combustione delle sostanze plastiche. I filtri non riescono ad abbattere completamente queste sostanze tossiche, creando preoccupazione nelle comunità di cittadini, e portando alla grande discussione a favore o contro i termovalorizzatori o le discariche. I residui del trattamento, in alcuni casi, sono riutilizzabili come combustibili per produrre energia elettrica o per altri usi civili e industriali. L'incenerimento può avvenire attraverso tre diversi procedimenti: combustione, gassificazione e pirolisi.

Combustione . Questo processo può avvenire solo in presenza di

ossigeno (contenuto nell'aria o aggiunto appositamente). Le parti combustibili contenute nei rifiuti subiscono una completa ossidazione. E' possibile utilizzare il calore della combustione per ottenere vapore, destinato a usi civili o industriali, oppure per produrre energia elettrica.

Gassificazione . E' una tecnica di combustione in carenza di ossigeno: ne deriva che solo una parte dei rifiuti viene bruciata; il calore generato dal processo, tuttavia, è sufficiente a decomporre ciò che resta. Da questo procedimento si ottengono gas utilizzabili come combustibili.

Pirolisi. Il procedimento avviene in totale assenza di ossigeno, e non si produce quindi alcuna combustione, ma una semplice degradazione dei materiali, con produzione di residui utilizzabili come combustibili (liquidi, solidi o gassosi). In media le tecniche di termodistruzione riducono i rifiuti al 10% del volume e al 30% del loro peso originario. Le ceneri residue devono essere smaltite, e quindi anche questi procedimenti non evitano del tutto il ricorso alla discarica

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stessa. Di recente si sono ricercati metodi per interrare le ceneri della combustione nelle opere di pavimentazione.

Emissioni Nel corso della combustione dei rifiuti si generano polveri e

sostanze gassose inquinanti: soprattutto acido cloridrico e metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio). La presenza nei rifiuti di cloro organico, inoltre, può causare il rilascio di diossine, furani e idrocarburi policiclici aromatici. Queste emissioni presentano un rischio elevato di inquinamento atmosferico. L'individuazione di efficaci tecnologie di abbattimento dell'inquinamento deve giocare un ruolo essenziale per adottare le scelte necessarie per lo sviluppo di questa modalità di smaltimento dei rifiuti urbani.

NORME COMPORTAMENTALI NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI

PERICOLOSI RIFIUTI TOSSICI E NOCIVI Vengono classificati come rifiuti tossici e nocivi tutti quei rifiuti

che contengono sostanze tossiche (arsenico, mercurio, cromo, piombo ecc…) in quantità o in concentrazioni tali da rappresentare un pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente. I rifiuti tossici possono essere liquidi, solidi, gassosi o possono presentarsi sotto forma di fanghi.

La gestione di un rifiuto pericoloso può essere intesa come una

serie di operazioni, fra loro coordinate, volte alla tutela ambientale ed al rispetto della normativa tecnica e legislativa vigente.

Le operazioni che caratterizzano la gestione possono riguardare cinque fasi:

1. Luogo di produzione; 2. Conferimento al deposito temporaneo; 3. Deposito temporaneo; 4. Trasporto; 5. Smaltimento. Il luogo di produzione è spesso un laboratorio, un’officina, uno

stabulario. E' fondamentale, alla luce della pericolosità dei rifiuti, che

ciascuna struttura provveda alla raccolta differenziata di

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tutte le tipologie di rifiuti prodotti evitando ogni forma di miscelazione, potenzialmente assai pericolosa. I contenitori utilizzati devono essere di materiale idoneo e di capienza non superiore a 5 litri per evitare problemi di trasporto al deposito temporaneo, che è il luogo ove è ubicato il punto di stoccaggio che deve avere a sua volta idonee caratteristiche strutturali, funzionali e di sicurezza. Sul contenitore del rifiuto devono essere ben evidenti: il simbolo di rifiuto (R nera in campo giallo); la denominazione del rifiuto e il codice europeo del rifiuto (CER) ad esso associato.

I rifiuti devono essere stoccati provvisoriamente in locali adiacenti ai luoghi di produzione e i contenitori devono essere posizionati in punti definiti, in una vasca compartimentata di contenimento, sufficientemente profonda, per evitare, in caso di fuoriuscita accidentale del contenuto, che diverse tipologie di rifiuto vengano a contatto tra loro.

Fanno parte dei rifiuti pericolosi anche i rifiuti a rischio biologico, cioè tutti quei rifiuti provenienti dall’attività di laboratorio (ad esempio: colture cellulari, parti anatomiche, carcasse, sangue, ecc…).

I rifiuti a rischio biologico vengono individuati con il codice CER 180103. Anche questi prodotti vanno separati da tutti i rifiuti di altra natura, vanno raccolti in sacchi autoclavati a perfetta tenuta che vengono poi inseriti in contenitori rigidi per il deposito temporaneo e il trasporto.

Un discorso a parte va fatto per le sostanze radioattive. Esse sono considerate nocive in quanto l’esposizione prolungata alle radiazioni può nuocere agli organismi viventi. I rifiuti solidi radioattivi sono costituiti da residui della lavorazione dei minerali dell’uranio, materiali radioattivi provenienti da laboratori di ricerca, da alcune industrie o dagli ospedali e da rifiuti e scorie prodotti dalle centrali nucleari. Per la loro pericolosità (la radioattività può permanere per lunghi periodi di tempo) tali rifiuti non possono essere smaltiti nelle normali discariche e il loro smaltimento come quello dei rifiuti tossici e nocivi è regolato da leggi nazionali (figura 7).

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Figura 7: Stoccaggio delle scorie nucleari Il processo di stoccaggio e smaltimento delle scorie nucleari, prodotte ad esempio dalle centrali di produzione di energia elettrica (nella fotografia, quella francese a Saint-Maurice-l'Exil), costituisce uno dei grandi problemi legati alla produzione di energia nucleare. Le centrali nucleari sono il primo sito dove le scorie radioattive vengono immagazzinate e conservate per circa un anno, nelle vasche del reattore (dotate di misure di sicurezza che impediscano l'innescarsi di una reazione a catena); la misura serve a ridurre l'attività radioattiva prima di manipolare e trasportare le scorie.

Le scorie radioattive ad elevato livello di attività come quelle

prodotte dalle centrali nucleari, possono essere: 1) vetrificate (cioè conglobate in una matrice vetrosa) 2) sigillate in contenitori di acciaio.

Per la collocazione di questi contenitori, la soluzione più sicura sembra per ora essere la sistemazione in depositi sotterranei, anche se sono allo studio ipotesi alternative.

Gestione illegale dei rifiuti Bisogna ricordare che quello dei rifiuti rappresenta un colossale

“business” per quanti, imprenditorialmente, si occupano del ritiro e dell’eliminazione delle scorie della nostra società; esso è talmente vantaggioso che spesso viene gestito direttamente dalle organizzazioni criminali.

Una politica ambientale consapevole deve porsi come obiettivo principale sia la riduzione sella quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti, sia l’eliminazione della gestione illegale dei

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rifiuti. La gestione illegale dei rifiuti continua ad essere uno dei tasti più dolenti del rapporto fra italiani e ambiente. Nei primi sei mesi del 2005, su 7632 controlli effettuati dal Comando dei Carabinieri per la Tutela Ambientale, le violazioni sono state poco meno di un terzo (2305), per un livello di illegalità del dai laboratori dei centri di ripristino, dove i rifiuti venivano smaltiti, presentavano valori palesemente alterati rispetto alle analisi di controllo effettuate dagli inquirenti.

Conclusioni e prospettive future Il riciclo è una strada sicuramente più complessa della logica di

smaltimento in discarica o negli inceneritori. Si deve comunque premettere che il sistema del riciclaggio non esclude la presenza delle discariche o dei termovalorizzatori, bensì limita il ricorso ad essi. Si parla di sistema di riciclaggio perché questo approccio deve necessariamente operare sull'intero processo produttivo e non soltanto sulla fase finale di smaltimento dei rifiuti.

La prevenzione dei rifiuti rimedia allo spreco di risorse naturali e di energia, liberando risorse economiche utilizzabili per scopi sociali. Separare, compostare e riciclare i rifiuti è un approccio più sostenibile rispetto a quello dello smaltimento, in quanto riduce gli impatti ambientali e sanitari, diminuisce i costi di gestione e può creare posti di lavoro. I rifiuti che residuano a valle della raccolta differenziata possono poi essere trattati in un impianto di Trattamento Meccanico Biologico (MBT), che riduce ulteriormente la quantità e la pericolosità dei rifiuti da conferire infine in una discarica controllata.

I programmi di riciclaggio seguiti dal trattamento meccanico biologico del rifiuto residuale, in città del Canada e dell'Australia hanno portato a ridurre fino al 70% i rifiuti urbani da conferire in discarica.

L'incenerimento non è la soluzione ideale per risolvere la crisi dei rifiuti. I rifiuti possono più vantaggiosamente essere riutilizzati, compostati e riciclati in condizioni di sicurezza garantendo, in tal modo, una soluzione sostenibile ad un problema globale.

Tutti siamo sempre più chiamati ad assumere un ruolo di protagonisti sia come produttori di rifiuti, sia come acquirenti di beni, con la scelta di imballaggi riciclabili.

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