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Capitolo | 30 | © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. 423 Patologie del parenchima polmonare e della pleura COLLASSO POLMONARE Il collasso polmonare può essere definito come una con- dizione acquisita in cui i polmoni o parte di essi diven- tano privi d’aria. L’atelettasia è rigorosamente definita come lo stato in cui si trovano i polmoni mai espansi dei neonati, ma tale termine è ampiamente utilizzato anche come sinonimo di collasso polmonare regionale. Il collasso può essere dovuto a due diversi meccanismi. Il primo è dato dalla perdita delle forze che si oppongono al ritorno elastico del polmone, il quale quindi riduce il proprio volume fino a un punto in cui le vie aeree si chiu- dono e l’aria rimane intrappolata al loro interno. Il secondo dipende dall’ostruzione delle vie respiratorie a volumi pol- monari normali e può essere dovuto a molte cause differenti. Anche questo meccanismo porta a un intrappolamento d’aria a valle del punto di ostruzione. Qualsiasi sia l’evento che determina la chiusura della via aerea, vi è un rapido assorbimento dell’aria intrappolata in quanto la pressione parziale totale dei gas nel sangue venoso misto è sempre infe- riore a quella atmosferica (vedi Tabella 26.2). Questo genera una pressione subatmosferica più che sufficiente per superare qualsiasi forza che tenda a mantenere il polmone espanso. Il collasso polmonare durante anestesia è descritto nel Capitolo 22. Perdita delle forze contrastanti la retrazione polmonare I polmoni sono normalmente protetti dal collasso dalla forza di ritorno elastico verso l’esterno della gabbia tora- cica e dal tono muscolare a riposo del diaframma. La cavità pleurica normalmente non contiene aria, ma, se vi si introduce una piccola bolla d’aria, la pressione al suo interno diventa subatmosferica (vedi Figura 3.5). Il col- lasso polmonare dovuto alla perdita delle forze che si oppongono alla retrazione polmonare può essere analiz- zato secondo i cinque punti seguenti. Riduzione volontaria del volume polmonare. Sembra improbabile che la riduzione volontaria del volume polmo- nare al di sotto della capacità di chiusura possa causare un collasso evidente del parenchima polmonare in soggetti che respirano aria ambiente. Tuttavia, negli anziani, vi è un aumento del gradiente alveolare/arterioso di PO 2 , a suggerire la presenza di un intrappolamento d’aria (vedi Figura 22.11). PUNTI CHIAVE Il collasso polmonare può avvenire sia per compressione del tessuto polmonare sia per assorbimento del gas da unità polmonari con vie aeree chiuse o gravemente ristrette. Esistono numerosi tipi di patologie interstiziali, che variano da condizioni puramente infiammatorie (alveoliti) a quelle che portano progressivamente a fibrosi con minima infiammazione polmonare. La fibrosi polmonare dipende da uno squilibrio tra la risposta infiammatoria e il sistema di riparazione tissutale. Il cancro del polmone è una neoplasia maligna difficile da trattare in modo efficace e nella maggior parte dei casi prevenibile evitando l’esposizione al tabacco e alle radiazioni. Il versamento pleurico, le infezioni e lo pneumotorace rimangono delle condizioni comuni e possono inficiare la funzionalità respiratoria sia a breve sia a lungo termine.

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Capitolo | 30 |

© 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.423

Patologie del parenchima polmonare e della pleura

COLLASSO POLMONARE

Il collasso polmonare può essere defi nito come una con-dizione acquisita in cui i polmoni o parte di essi diven-tano privi d’aria. L’atelettasia è rigorosamente defi nita come lo stato in cui si trovano i polmoni mai espansi dei neonati, ma tale termine è ampiamente utilizzato anche come sinonimo di collasso polmonare regionale.

Il collasso può essere dovuto a due diversi meccanismi. Il primo è dato dalla perdita delle forze che si oppongono

al ritorno elastico del polmone, il quale quindi riduce il proprio volume fi no a un punto in cui le vie aeree si chiu-dono e l’aria rimane intrappolata al loro interno. Il secondo dipende dall’ostruzione delle vie respiratorie a volumi pol-monari normali e può essere dovuto a molte cause differenti. Anche questo meccanismo porta a un intrappolamento d’aria a valle del punto di ostruzione. Qualsiasi sia l’evento che determina la chiusura della via aerea, vi è un rapido assorbimento dell’aria intrappolata in quanto la pressione parziale totale dei gas nel sangue venoso misto è sempre infe-riore a quella atmosferica (vedi Tabella 26.2). Questo genera una pressione subatmosferica più che suffi ciente per superare qualsiasi forza che tenda a mantenere il polmone espanso.

Il collasso polmonare durante anestesia è descritto nel Capitolo 22.

Perdita delle forze contrastanti la retrazione polmonare I polmoni sono normalmente protetti dal collasso dalla forza di ritorno elastico verso l’esterno della gabbia tora-cica e dal tono muscolare a riposo del diaframma. La cavità pleurica normalmente non contiene aria, ma, se vi si introduce una piccola bolla d’aria, la pressione al suo interno diventa subatmosferica (vedi Figura 3.5). Il col-lasso polmonare dovuto alla perdita delle forze che si oppongono alla retrazione polmonare può essere analiz-zato secondo i cinque punti seguenti.

Riduzione volontaria del volume polmonare. Sembra improbabile che la riduzione volontaria del volume polmo-nare al di sotto della capacità di chiusura possa causare un collasso evidente del parenchima polmonare in soggetti che respirano aria ambiente. Tuttavia, negli anziani, vi è un aumento del gradiente alveolare/arterioso di P O 2 , a suggerire la presenza di un intrappolamento d’aria (vedi Figura 22.11).

PUNTI CHIAVE

• Il collasso polmonare può avvenire sia per compressione del tessuto polmonare sia per assorbimento del gas da unità polmonari con vie aeree chiuse o gravemente ristrette.

• Esistono numerosi tipi di patologie interstiziali, che variano da condizioni puramente infi ammatorie (alveoliti) a quelle che portano progressivamente a fi brosi con minima infi ammazione polmonare.

• La fi brosi polmonare dipende da uno squilibrio tra la risposta infi ammatoria e il sistema di riparazione tissutale.

• Il cancro del polmone è una neoplasia maligna diffi cile da trattare in modo effi cace e nella maggior parte dei casi prevenibile evitando l’esposizione al tabacco e alle radiazioni.

• Il versamento pleurico, le infezioni e lo pneumotorace rimangono delle condizioni comuni e possono infi ciare la funzionalità respiratoria sia a breve sia a lungo termine.

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

Eccessiva pressione esterna. L’insuffi cienza ventilatoria è l’aspetto più evidente di una pressione esterna ambien-tale che supera i 6 kPa (60 cmH 2 O) e che non è in comu-nicazione con le vie aeree (pagina 389). Tuttavia, un certo grado di collasso può comunque verifi carsi, come avviene nei mammiferi in immersione a grandi profondità tratte-nendo il respiro. Nelle normali operazioni di immersione il volume polmonare rimane approssimativamente nor-male in quanto il gas respirato viene erogato a una pres-sione pari a quella dell’ambiente circostante, cosa che invece non avviene in caso di immersioni di superfi cie o nello snorkelling (pagina 289).

Perdita di integrità della gabbia toracica. Fratture costali multiple o le vecchie operazioni di toracoplastica possono alterare il ritorno elastico della gabbia toracica a tal punto da portare a un parziale collasso del polmone. Questo dipende interamente dall’estensione del danno alla gabbia toracica, ma solitamente la frattura di più costole adiacenti causa tale evento. Tuttavia, traumi tora-cici estesi interferiscono anche con la meccanica respira-toria e ciò è generalmente più grave rispetto al collasso polmonare derivato (pagina 389).

Spostamento del contenuto addominale nel torace. Alcuni difetti congeniti del diaframma portano ad ateletta-sie estese. Il contenuto addominale può riempire completa-mente un emitorace con conseguente totale atelettasia del polmone omolaterale. Negli adulti possono verifi carsi simili alterazioni in caso di ampia ernia iatale o in presenza di ascite che spinge il diaframma verso la cavità toracica. La paralisi di un emidiaframma porta a una sua sopraeleva-zione con conseguente tendenza al collasso basale del pol-mone omolaterale.

Occupazione dello spazio intrapleurico. La presenza di aria nella cavità pleurica (pneumotorace) riduce le forze che si oppongono alla retrazione polmonare ed è una potenziale causa di collasso polmonare. Lo stesso avviene in caso di versamento pleurico, empiema o emo-torace. Le patologie della pleura sono trattate a pagina 435 e seguenti.

Assorbimento dell’aria intrappolata L’assorbimento dell’aria alveolare intrappolata a valle dell’ostruzione delle vie aeree potrebbe essere la con-seguenza della riduzione del volume polmonare dovuta ai meccanismi precedentemente descritti. Tut-tavia, esso è una causa primaria di collasso polmonare quando si ha una totale o parziale ostruzione delle vie aeree a normali volumi polmonari. L’ostruzione è dovuta solitamente a secrezioni, pus, sangue o tumori, ma talvolta anche a severo broncospasmo locale o a edema alveolare.

L’aria intrappolata al di là dell’ostruzione viene assor-bita dal fl usso ematico polmonare. La pressione parziale globale dei gas nel sangue venoso misto è sempre infe-

riore a quella atmosferica (vedi Tabella 26.2), sebbene il gradiente di pressione delle singole componenti tra gas alveolare e sangue venoso misto possa essere completa-mente diverso.

L’effetto dei gas respirati . Se il paziente respira ossigeno al 100% prima dell’ostruzione, gli alveoli conterranno solo ossigeno, anidride carbonica e vapore d’acqua. Dato che gli ultimi due insieme equivalgono a meno di 13,3 kPa (100 mmHg), la P O 2 alveolare sarà di solito superiore a 88 kPa (660 mmHg). La P O 2 del sangue venoso misto, però, diffi cilmente supererà i 6,7 kPa (50 mmHg), per cui il gra-diente alveolare/venoso misto di P O 2 sarà dell’ordine di grandezza dell’80% di un’atmosfera. Il collasso per assorbi-mento sarà dunque rapido e non ci sarà l’azoto a mante-nere aperti gli alveoli. Questo ha importanti implicazioni in anestesia, in quanto spesso si eroga ossigeno al 100% (pagina 328).

I pazienti che respirano aria ambiente si trovano in una situazione vantaggiosa, in quanto la maggior parte del gas alveolare è rappresentata da azoto, che ha una pressione parziale di solo circa 0,5 kPa (4 mmHg) inferiore a quella del sangue venoso misto. 1 La pressione parziale alveolare di azoto cresce al di sopra di quella venosa mista man mano che l’ossigeno viene assorbito e alla fi ne anche l’azoto verrà completamente assorbito. Al termine di que-sti processi si avrà il collasso polmonare, ma sarà molto più lento rispetto a quello che avviene in pazienti che respirano solo ossigeno. La Figura 30.1 mostra una simu-lazione a computer del tempo richiesto affi nché si abbia il collasso polmonare con diverse miscele di gas respi-rato. 2 Ci si aspetta che la miscela protossido di azoto/ossi-geno venga assorbita rapidamente come l’ossigeno al 100%. Questo è dovuto in parte al fatto che il protossido di azoto è molto più solubile dell’azoto e in parte al fatto che la pressione parziale di protossido di azoto nel san-gue venoso misto è solitamente molto inferiore a quella alveolare, tranne nel caso in cui venga respirato per lun-ghi periodi.

Quando la composizione dell’aria inspirata varia dopo l’ostruzione e l’intrappolamento d’aria, potrebbero verifi -carsi complesse modalità di assorbimento. L’inalazione di protossido di azoto, dopo un’occlusione avvenuta respi-rando aria ambiente, determina una temporanea espan-sione del volume intrappolato (vedi Figura 30.1 ). Questo avviene perché una maggior quantità di protossido di azoto, più solubile, passa dal sangue agli alveoli in cam-bio di minori quantità di azoto, meno solubile, in dire-zione opposta. Questo fenomeno si applica a qualsiasi cavità chiusa dell’organismo, come lo pneumotorace chiuso, l’embolia gassosa, l’intestino e l’orecchio medio in presenza di un’occlusione della tuba faringotimpanica (tuba di Eustachio). Può essere perciò potenzialmente dannoso e teoricamente controindicato l’uso di protos-sido di azoto come gas anestetico.

Entità del gradiente di pressione. Bisogna sottolinea- re che le forze generate dall’assorbimento dell’aria sono

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elevate. La pressione parziale totale dei gas nel sangue venoso misto è normalmente 87,3 kPa (655 mmHg). La corrispondente pressione alveolare è 95,1 kPa (713 mmHg), consentendo la formazione di una pressione di vapore d’acqua a 37 °C. La differenza di pressione, 7,8 kPa (58 mmHg o 78 cmH

2 O), è suffi ciente a superare le forze che si oppongono al ritorno elastico del polmone. Il col-lasso polmonare legato all’assorbimento d’aria potrebbe portare allo spostamento del diaframma nella gabbia toracica, riducendo il volume di quest’ultima e spostando il mediastino. Se il paziente sta respirando ossigeno, la pressione parziale dei gas nel sangue venoso misto è a malapena un decimo di un’atmosfera (vedi Tabella 26.2) e l’assorbimento dell’aria intrappolata genera delle forze enormi.

Effetto della riduzione del rapporto ventilazione/perfusione . Il collasso da assorbimento può avvenire anche in assenza di una completa ostruzione delle vie aeree purché il rapporto ventilazione/perfusione ( V ̇ / Q ̇ ) sia suffi cientemente ridotto. I soggetti anziani, così come quelli con patologie in cui si ha un aumento diffuso del rapporto V ̇ / Q ̇ , possono avere aree polmonari sostanzial-mente perfuse con un rapporto V ̇ / Q ̇ compreso tra 0,01-0,1. Questo si manifesta con un caratteristico “gradino” nella curva di relazione tra perfusione polmonare e rapporto V ̇ / Q ̇ ( Figura 30.2 ). Queste aree fortemente ipoventilate sono suscettibili al collasso nel caso in cui il paziente respiri ossigeno ( Figura 30.2 B). Se il rapporto V ̇ / Q ̇ è infe-riore a 0,05, nemmeno la ventilazione al 100% di ossi-geno può fornire l’ossigeno rimosso (assumendo una differenza arteriosa/venosa mista di ossigeno pari a 0,05 mLDmL − 1 ). Man mano che il rapporto V ̇ / Q ̇ scende al di sotto di 0,05, si riduce anche la concentrazione critica di ossigeno nell’aria inspirata che porta al collasso ( Figura 30.2 C). La parte piatta della curva tra valori di rapporto

V ̇ / Q ̇ di 0,001 e 0,004 signifi ca che piccole differenze nella concentrazione di ossigeno inspirato nell’intervallo tra il 20-30% possono essere molto importanti nel determinare o meno il collasso. Non è diffi cile dimostrare che è possi-bile indurre il collasso polmonare in soggetti sani di mezz’età facendo respirare ossigeno vicino al volume resi-duo. 3,4

Diagnosi di collasso polmonare La diagnosi può essere effettuata tramite segni clinici di ridotto ingresso di aria nella cavità toracica o di aumen-tata ottusità, ma solitamente si fa affi damento sulla radio-grafi a del torace. Si osservano opacità polmonari, insieme a segni indiretti di perdita di volume toracico come la dislocazione delle fessure interlobari, l’innalzamento del diaframma, lo spostamento di strutture ilari e mediastini-che. 7 In posizione ortostatica, il collasso polmonare avviene più comunemente nei segmenti basali e spesso è nascosto dietro l’ombra cardiaca a meno che non si abbia un’esposizione adeguata. Le aree atelettasiche sono più facilmente riconoscibili alla TC (vedi Figura 22.10).

Il collasso polmonare determina una riduzione della compliance polmonare, ma il valore diagnostico di questo effetto è limitato dall’ampia dispersione dei valori di norma-lità della compliance polmonare. Un’improvvisa riduzione della compliance può essere indicativa di collasso polmo-nare, ovviamente a condizione che siano disponibili delle misurazioni di controllo precedenti. Il collasso polmonare determina inoltre una riduzione della capacità funzionale residua e della P O 2 arteriosa. Tuttavia, in pazienti con ossige-nazione compromessa non è possibile distinguere quale sia la causa di riduzione della P O 2 arteriosa tra tre condizioni molto comuni quali il collasso polmonare, il consolida-mento e l’edema polmonare.

Tempo dopo l’occlusione delle vie aeree (minuti)

Perc

entu

ale

del

vol

ume

iniz

iale

01 2

Aria primadell’occlusione70% N2O + 30% O2dopo l’occlusione

70% N2 + 30% O2

70% N2O + 30% O2

100% O2

3 5 7 10 20 30 50 70 100 200

100

200

300 Fig. 30.1 Prevista velocità di assorbimento dagli alveoli per diverse miscele di gas. Le curve in basso mostrano la velocità di assorbimento del contenuto delle regioni polmonari con le vie aeree ostruite, con conseguente sequestro del contenuto. La curva in alto mostra l’espansione del contenuto del gas sequestrato quando viene somministrato ossido nitrico a un paziente che ha recentemente sviluppato un’ostruzione delle vie aeree mentre respirava aria. In tutti gli altri casi, si assume che il gas inspirato non cambi dopo l’ostruzione. Analoghe considerazioni possono essere applicate a qualsiasi altra cavità chiusa del corpo. (Da: Webb, Nunn, 1967, 2 riproduzione autorizzata dall’autore e dagli editori di Anaesthesia ; modifi cata).

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

Principi di terapia La terapia dipende dal tipo di alterazione presente. Ove possibile dovrebbero essere rimossi i fattori che si oppon-gono al ritorno elastico del polmone. Per esempio, biso-gnerebbe trattare lo pneumotorace, il versamento pleurico e l’ascite. Nelle altre situazioni, soprattutto in caso di compromissione dell’integrità della gabbia toracica, potrebbe essere necessario curare il paziente tramite la ventilazione meccanica. La riespansione del polmone collassato spesso richiede l’applicazione di pressioni elevate (pagina 328), ma solitamente si riesce a ristabilire il normale volume pol-monare.

Quando il collasso polmonare è dovuto a un’ostru-zione localizzata delle vie respiratorie, il miglior metodo sia come trattamento sia come prevenzione è dato dalla fi sioterapia, unita se necessario a lavaggi tracheobron-chiali tramite tubo endotracheale o tramite broncoscopio. Spesso anche la sola broncoscopia a fi bre ottiche consente di liberare il lume ostruito e permette la riespansione pol-monare, soprattutto in caso di atelettasie lobari. 8

Effettuare delle inspirazioni massimali è effi cace nell’eli-minare le aree di collasso da assorbimento in soggetti che respirano ossigeno vicino al volume residuo. 4 Questa manovra è alla base dello “spirometro incentivatore” utiliz-zato per prevenire il collasso polmonare nel postoperatorio.

Con la ventilazione meccanica un approccio adeguato può essere l’iperinfl azione del torace o il sospirone. Alcuni ventilatori sono programmati per erogare un sospirone

intermittente, ma non è ancora stata dimostrata la sua effi cacia. Le attuali strategie utilizzate per prevenire il col-lasso polmonare durante ventilazione meccanica sono descritte nel Capitolo 32.

CONSOLIDAMENTO POLMONARE (POLMONITI)

L’infi ammazione di aree del parenchima polmonare, solita-mente dovuta a infezioni, può portare all’accumulo di essu-dato all’interno degli alveoli e delle piccole vie aeree, causando un consolidamento. Tali aree possono essere sparse, come avviene nelle broncopolmoniti, oppure localiz-zate in una precisa zona del polmone, formando una pol-monite lobare. Il collasso polmonare spesso si accompagna alle polmoniti come conseguenza del restringimento delle aree polmonari circostanti. Sintomi quali febbre, tosse, pro-duzione di escreato e dispnea insorgono insieme a segni di consolidamento come il respiro bronchiale, l’ottusità pol-monare e i crepitii inspiratori, sebbene nelle broncopolmo-niti i segni clinici possano anche essere assenti. La diagnosi si basa ancora una volta sulla radiografi a del torace in cui l’area di consolidamento appare come una zona ombreggiata tal-volta associata al “broncogramma aereo”. Una volta risolta l’in-fezione, la tosse diventa più produttiva e il polmone torna normale in poche settimane.

Rapporto ventilazione/perfusione inspiratorio

Con

cent

razi

one

insp

irata

di o

ssig

eno

(%)

0

40

60

80

0,001 0,002

InstabileSuscettibile di collasso

Respirandoaria

Età 22 Età 44

PaO2

80 kPa(600 mmHg)

PaO2

67 kPa(506mmHg)

Respirando100% O2

Respirandoaria

Respirando100% O2

1% shuntrespirando O2

10,7% respirando O2

Stabile

0,004 0,01 0,02 0,04 0,1

100

Rapporto ventilazione/perfusione

Flus

so e

mat

ico

0,01 0,1 1,0 100 0 0,01 0,1 1,0 10

A B

C

Fig. 30.2 Respirare ossigeno al 100% causa il collasso degli alveoli con basso rapporto V ̇ / Q ̇ . (A) Minimo cambiamento nella distribuzione del fl usso ematico (in relazione al rapporto V ̇ / Q ̇ ) quando un soggetto giovane respira ossigeno. Il collasso è minimo e si sviluppa uno shunt dell’1%. (B) Cambiamenti in un soggetto anziano con un “gradino” nel fl usso ematico distribuito agli alveoli con un basso rapporto V ̇ / Q ̇ . Respirare ossigeno provoca il collasso di questi alveoli e ciò è manifestato dalla scomparsa del gradino e dallo sviluppo di uno shunt intrapolmonare del 10,7%. (C) Frazione inspiratoria di ossigeno in relazione al rapporto V ̇ / Q ̇ critico per il collasso da assorbimento. (Da: Wagner et al, 1974, 5 riproduzione autorizzata dall’autore e dagli editori di Journal of Clincal Investigation , modifi cata; e da: Dantzker et al, 6 riproduzione autorizzata dall’autore e dagli editori di Journal of Applied Physiology ; modifi cata).

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Effetto sullo scambio di gas. I pazienti con la polmo-nite sono solitamente ipossici. Le aree di consolidamento polmonare hanno un comportamento simile alle aree collassate, formando uno shunt intrapolmonare attra-verso cui fl uisce il sangue venoso misto. Si ha, inoltre, un aumento delle aree con un basso rapporto V ̇ / Q ̇ ( < 0,1), ma si pensa che il loro contributo nel compromettere l’ossigenazione sia ridotto dalla vasocostrizione ipossica. La somministrazione di ossigeno ai pazienti con polmo-nite causa un’ulteriore dispersione del rapporto V ̇ / Q ̇ dal momento che si riduce la vasocostrizione ipossica, ma porta comunque a un considerevole aumento della P O 2 arteriosa. Rispetto al collasso polmonare, il consolida-mento è tuttavia associato a un peggiore shunt polmonare e quindi a un’ipossia più severa. Molti mediatori dell’in-fi ammazione rilasciati come parte della risposta nei con-fronti dell’infezione agiscono come vasodilatatori locali, prevalendo in effetti sulla vasocostrizione ipossica.

Fisiopatologia 10 L’infi ammazione delle vie aeree è stata descritta dettagliata-mente nel Capitolo 28. L’infezione delle basse vie respirato-rie da parte di virus e batteri porta a ulteriori processi infi ammatori caratterizzati dalla migrazione dei neutrofi li dal circolo al tessuto polmonare. A seconda del tipo di pato-geno coinvolto, lo stimolo per questa migrazione può originare dalle cellule dell’epitelio polmonare o dai macrofagi alveolari. Le chemochine liberate da queste cel-lule attivano la migrazione dei neutrofi li e ha inizio così la cascata di citochine proinfi ammatorie. Una volta che i neutrofi li raggiungono il tessuto polmonare e vengono attivati, essi distruggono in modo estremamente effi cace i patogeni (pagina 447). Come parte di questo processo infi ammatorio si forma dell’essudato che porta al conso-lidamento del tessuto polmonare. L’essudato è l’insieme di organismi patogeni, cellule infi ammatorie (morte o vive), immunoglobuline e altri mediatori del sistema immunitario, fl uido trasudato dall’aumentata permeabi-lità capillare e prodotti di distruzione del tessuto polmo-nare come conseguenza dell’attivazione delle proteasi.

Marginazione dei neutrofi li. Prima che i neutrofi li pos-sano partecipare alla risposta infi ammatoria devono ade-rire alla parete del vaso sanguigno (marginazione), migrare attraverso l’endotelio, l’interstizio e l’epitelio e devono essere attivati, pronti a contribuire alla rimozione degli agenti patogeni (vedi Figura 31.2). Questi eventi sono controllati da un ampio numero di citochine in modo molto simile a quanto avviene per l’infi ammazione delle vie aeree (vedi Figura 28.1). I linfociti giocano ancora una volta un ruolo importante, ma nell’infi amma-zione del parenchima polmonare sono i macrofagi ad avere il controllo funzionale, al contrario degli eosinofi li e mastociti coinvolti nell’infi ammazione delle vie aeree. La marginazione dei neutrofi li è stata ampiamente stu-diata a livello della circolazione sistemica. Le selectine

espresse sulla superfi cie delle cellule endoteliali legano temporaneamente i neutrofi li causando il loro rotola-mento lungo le pareti del vaso sanguigno. Infi ne, varie molecole di adesione presenti sulle cellule endoteliali (per esempio, molecola di adesione intercellulare-1, ICAM-1) si legano a specifi ci recettori di superfi cie dei neutrofi li (per esempio, �

2 integrine CD11/CD18), cau-sando una più stabile adesione all’endotelio. Una volta “catturate” dalle cellule endoteliali, le citochine sono rila-sciate e inizia l’attivazione dei neutrofi li. La migrazione dei neutrofi li a livello polmonare differisce da quella in qualsiasi altra parte dell’organismo. 11,12 L’adesione alle cellule endoteliali avviene principalmente nei capillari polmonari, piuttosto che nelle venule come succede nella circolazione sistemica. L’adesione alle pareti dei capillari può avvenire per un meccanismo CD11/CD18-dipen-dente oppure per altri meccanismi che sembrano essere indipendenti da tutte le molecole di adesione necessarie alla migrazione nei capillari sistemici. Il rotolamento dei neutrofi li indotto dalle selectine può non avvenire. L’ade-sione è facilitata dal lento passaggio dei neutrofi li attra-verso i capillari polmonari. I neutrofi li nell’uomo hanno dimensioni simili ai globuli rossi, ma sono meno defor-mabili, per cui impiegano 120 secondi ad attraversare i capillari polmonari, mentre i globuli rossi meno di un secondo. 11 I mediatori dell’infi ammazione possono cau-sare cambiamenti nelle proprietà biochimiche dei neutro-fi li, in particolare un irrigidimento della cellula che rende più diffi cile il suo passaggio attraverso i capillari polmo-nari. 14 Una volta adesi alla parete del capillare, i neutrofi li si appiattiscono, lasciando parte del lume capillare dispo-nibile al fl usso di sangue. A questo punto inizia la migra-zione verso il tessuto polmonare: i neutrofi li attraversano piccole aperture presenti nella lamina basale del capillare, guidati dalle chemochine rilasciate dalle cellule epiteliali e possibilmente assistiti dai fi broblasti nello spazio inter-stiziale ( Figura 30.3 ). 15

PATOLOGIE INTERSTIZIALI E FIBROSI POLMONARE

L’infi ammazione polmonare diffusa si ha in una grande varietà di condizioni riassunte nella Tabella 30.1 . Le pneumopatie possono semplicemente risolversi, come nella polmonite, senza lasciare alcun danno permanente, ma in caso di infi ammazione di lunga durata può svilup-parsi una fi brosi polmonare di varia entità.

Caratteristiche cliniche . Variano a seconda dell’eziologia. Le polmoniti da sole (ovvero senza fi brosi) possono essere inizialmente asintomatiche, poi insorgono tosse e dispnea, e nei casi più gravi possono dare luogo a sintomi sistemici come la febbre. In presenza di fi brosi, la dispnea peggiora e all’esame obiettivo si hanno crepitii inspiratori basali. I test di funzionalità polmonare mostrano un quadro tipicamente

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

restrittivo con una riduzione simile sia della capacità vitale forzata sia del volume espiratorio forzato in un secondo (pagina 94). Alla radiografi a del torace appaiono diffuse ombre reticolari e la TC ad alta risoluzione mostra un’imma-gine a “vetro smerigliato”, che correla con la polmonite, o a “nido d’ape”, che rappresenta una fi brosi più avanzata.

Cause di fi brosi polmonare Sono riassunte nella Tabella 30.1 .

Farmaco-indotta. Questo tipo di fi brosi può fare seguito a un danno polmonare indotto dalla tossicità dell’ossi-geno (pagina 379) e precipitato, per esempio, dalla bleo-micina, ma il meccanismo di questa risposta è poco conosciuto.

Polveri inorganiche. 16 L’esposizione occupazionale alle fi bre d’asbesto (asbestosi) o di silicio (silicosi) per molti anni porta all’insorgenza di fi brosi polmonare. Le parti-celle inalate del diametro compreso tra 1 e 3 � m raggiun-

gono gli alveoli e vengono fagocitate dai macrofagi. I diversi tipi di polveri permangono nel polmone per un tempo variabile, alcune vengono eliminate rapidamente mentre altre persistono all’interno dei macrofagi polmo-nari per molti anni. Inoltre, il carico totale (di tutta la vita) delle fi bre probabilmente correla con il grado di fi brosi risultante.

Polveri organiche . Possono causare infi ammazione pol-monare attraverso meccanismi immunitari, condizione nota come alveolite allergica. L’allergene deriva solita-mente da un fungo al quale il paziente viene esposto in ambito professionale, dando luogo a una serie di patolo-gie comunemente note come pneumopatie dell’agricol-tore, del lavoratore di malto ecc. Il polmone dell’avicoltore differisce nel fatto che è precipitato dall’esposizione a IgA di uccelli domestici. Nelle alveoliti allergiche estrinseche, la polmonite deriva dall’attivazione dei linfociti T e dall’infi ammazione IgG mediata. Se vengono diagnosti-cate precocemente e se vengono prese le adeguate misure preventive, le alveoliti allergiche si risolvono completa-mente, ma in caso si esposizione protratta si sviluppa la fi brosi.

Patologie sistemiche . Portano a fi brosi polmonare sono numerose e i meccanismi sono ancora oscuri. Molte di queste patologie hanno una base immunologica. Per esempio, la sarcoidosi dipende dall’attivazione dei linfo-citi T in risposta a uno stimolo non noto, mentre è noto che molte patologie connettivali hanno un’eziologia autoim-mune. Questi cambiamenti immunitari sono quindi tali da provocare l’attivazione delle cellule infi ammatorie polmo-nari descritta di seguito.

Danno polmonare da radiazioni 17 . Si vede a seguito di radioterapia per tumori localizzati nel torace o vicino a esso. La polmonite da radiazione si sviluppa nel corso di numerose settimane successive alla radioterapia, mentre la fi brosi può richiedere circa due anni affi nché si sviluppi. Il danno cellulare da radiazioni si verifi ca al momento della divisione cellulare, per cui le cellule polmonari maggiormente suscettibili sono quelle con turnover più elevato. Il danno da radiazioni interessa quindi inizialmente gli pneumociti di Tipo 2 e le cellule dell’endotelio capillare, con conseguente alterazione, rispettivamente, del surfattante e insorgenza di edema interstiziale (pagina 415). Segue poi l’attivazione a cascata delle cellule infi ammatorie, che spesso esita in fi brosi. 18

Fibrosi polmonare idiopatica (FPI) 19 . Sinonimo di alveolite fi brosa criptogenetica, comprende tutti i casi di fi brosi polmonare di cui non è nota la causa. È la catego-ria più comune, si presenta più frequentemente nei maschi e ha eziologia ignota. I pazienti con alveolite fi brosa criptogenetica presentano un’estesa attivazione delle cellule infi ammatorie polmonari e di citochine, come descritto oltre. Si riscontra anche un accumulo di neutrofi li, a indicare la presenza di un danno ossidativo

0,5 µm

Fig. 30.3 Migrazione dei neutrofi li nel polmone di coniglio durante polmonite streptococcica. La microscopia elettronica mostra che i neutrofi li (N), normalmente dello stesso diametro del capillare polmonare, sono allungati e lasciano così il lume capillare (CL) parzialmente libero. Questi neutrofi li sono già migrati dal lume capillare attraverso l’endotelio (En) e stanno passando ora l’interstizio (I) attraverso una piccola apertura nella membrana basale del capillare (frecce). Gli pseudopodi dei neutrofi li sono in stretto contatto con i fi broblasti (F), che possono guidare i neutrofi li attraverso il difetto della membrana basale. AL, lume alveolare. (Riproduzione autorizzata dal Professor DC Walker. Da: Walker, 1995; 15 modifi cata).

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Capitolo Patologie del parenchima polmonare e della pleura| 30 |

(pagina 374) nella FPI. Qualsiasi sia la causa, la FPI può progredire rapidamente con una sopravvivenza media alla diagnosi solo di qualche anno.

Meccanismi cellulari della fi brosi polmonare 20,21 L’infi ammazione polmonare è stata precedentemente descritta in questo capitolo, così come nei Capitoli 28 e 31. La progressione verso la fi brosi polmonare non è ine-vitabile ed è clinicamente importante prevedere quali pazienti e quali patologie di base possano andare incon-tro a tale progressione. Sono state effettuate estese ricer-che sui meccanismi alla base della fi brosi, anche se un test prognostico utile resta una prospettiva lontana.

L’infi ammazione, qualsiasi sia la sede interessata, viene naturalmente superata dal processo di riparazione cellu-lare che comprende il deposito di nuove fi bre collagene. Il polmone non è un’eccezione e la fi brosi polmonare è il risultato di un eccessivo accumulo di collagene nella matrice extracellulare.

Nella fi brosi polmonare il processo patologico iniziale è diverso ( Tabella 30.1 ) e può causare cambiamenti sia nelle cellule epiteliali alveolari di Tipo 1 sia di Tipo 2, nei macro-

fagi polmonari, nei neutrofi li e nei linfociti T. 22 L’intera-zione tra queste cellule produce numerose citochine, che amplifi cano la risposta infi ammatoria e iniziano i mecca-nismi di riparazione cellulare. Una volta che si sono stabi-liti questi meccanismi di riparazione, si ha l’apoptosi delle cellule infi ammatorie e il proseguimento della riparazione tissutale. Si pensa che il fattore di crescita trasformante- � (Transforming Growth Factor- � , TGF- � ) sia la principale citochina coinvolta nella stimolazione della riparazione tissutale e probabilmente rappresenta la via fi nale comune di molti meccanismi che portano alla fi brosi. 23 La caveo-lina-1, una proteina strutturale che forma caveole sulla membrana plasmatica di molte cellule, è ritenuta essere il regolatore endogeno dell’attività del TGF- � .

I miofi broblasti sono le cellule responsabili della ripa-razione della matrice extracellulare del tessuto polmonare e questa matrice rappresenta la struttura su cui si forma il nuovo tessuto polmonare. Una volta completata la loro opera, i miofi broblasti vanno incontro ad apoptosi.

Nella maggior parte dei casi di fi brosi polmonare, que-sta sequenza ben controllata di eventi avviene in modo anomalo. L’attività delle cellule infi ammatorie acute può non terminare una volta rimosso lo stimolo, con conse-guente prolungamento dei meccanismi di riparazione. In alternativa, possono essere alterati i normali meccanismi

Tabella 30.1 Cause di polmoniti interstiziali e di fi brosi polmonare

Cause Sottogruppi Esempi

Farmaco indotte Antineoplastici Bleiomicina, busulfan, ciclofosfamide, metotrexate

Antibiotici Isoniazide, nitrofurantoina, sulfonamidi

Altro Amiodarone

Polveri Inorganiche Silicosi

Asbestosi

Organiche Polmone dell’agricoltore

Infezioni Virali Polmoniti virali

HIV

Altro Mycoplasma pneumoniae

Infezioni opportunistiche

Patologie sistemiche Patologie del connettivo Artrite reumatoide, sclerodermia, lupus eritematoso sistemico, spondilite anchilosante

Altro Sarcoidosi, istocitosi, uremia

Miscellanee Infi ammazione acuta Danno polmonare acuto

Danno da inalazione Fumo, cadmio, biossido di zolfo

Danno da radiazioni

Alveoliti criptogenetiche fi brosanti

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

che terminano l’azione dei miofi broblasti. Si pensa che la fi brosi polmonare sia il risultato fi nale della compresenza di difetti genetici dell’espressione delle citochine o dei loro recettori e dell’infl uenza ambientale descritta in prece-denza. Per esempio, un difetto ereditato dell’espressione della caveolina-1 può consentire un’azione incontrollata del TGF- � . L’affascinante possibilità di processi apoptotici anomali è stata proposta come spiegazione del fenomeno di fi brosi polmonare. 24 Le cellule epiteliali alveolari di tipo I possono andare incontro a prematura apoptosi prolungando così lo stimolo infi ammatorio, sostenuto dall’esposizione del tessuto sottostante. Oppure, una volta completata la riparazione tissutale, i miofi broblasti non rispondono al normale stimolo apoptotico e continuano a rimodellare la matrice extracellulare.

Come avviene nell’enfi sema (pagina 402), l’eccessiva attività dei fi broblasti porta alla riduzione della quantità di elastina presente. La sintesi di elastina nel polmone normale di un adulto è minima e sebbene ci sia evidenza di un’aumentata produzione di fi bre elastiche in corso di fi brosi polmonare, tali fi bre sono anomale e probabil-mente non funzionali. 25 La perdita di elasticità a seguito di questo meccanismo causa il collasso degli alveoli e delle piccole vie aeree con conseguente riduzione della compliance e delle aree disponibili allo scambio di gas.

Principi di terapia 26,27 Quando possibile, è di vitale importanza rimuovere lo sti-molo alla base dell’infi ammazione polmonare e della fi brosi. Sebbene questo possa non arrestare lo sviluppo di fi brosi, per esempio a seguito di radiazioni, potrebbe almeno limitare l’entità del danno polmonare. Solo pochi pazienti con FPI traggono benefi cio dalla terapia con ste-roidi ed è diffi cile prevedere chi risponderà al trattamento. Il trattamento di seconda linea prevede farmaci citotossici quali azatioprina e ciclofosfamide, sebbene con risultati altrettanto scarsi. La recente scoperta delle citochine coin-volte nella fi brosi polmonare ha portato ottimismo riguardo ai futuri approcci terapeutici 23 e sono attualmente in via di sviluppo farmaci che interferiscono con questi processi. 27

TUMORE POLMONARE 28

All’inizio del XX secolo il tumore polmonare era una patologia rara, ma entro la fi ne del secolo l’aumentata longevità e la maggior esposizione a cancerogeni ambien-tali avevano reso il tumore del polmone una delle più comuni cause evitabili di morte al mondo. 29,30 I migliora-menti dei tassi di successo del trattamento del tumore polmonare sono stati inferiori a quelli delle neoplasie di qualsiasi altro organo e il tasso di sopravvivenza globale a 5 anni per il tumore al polmone rimane solo del 15,7%. 29 È stato stimato che, nel 2002, 1,2 milioni di persone al mondo sono morte di tumore al polmone. 30

Epidemiologia L’esposizione occupazionale a cancerogeni polmonari quali l’asbesto è stata uno dei primi fattori identifi cati come causa di neoplasie polmonari e successivamente molti altri agenti occupazionali sono stati correlati al tumore polmonare come l’arsenico, il cadmio, il berillio e il silicio. È stato dimostrato che anche la coesistenza di altre patologie polmonari e la dieta sono associate allo sviluppo di cancro del polmone. Il ruolo di questi fattori però è ora ritenuto insignifi cante se paragonato all’esposi-zione alle radiazioni e al preponderante ruolo del fumo di tabacco.

Tabacco. 30 Il fumo di tabacco (Capitolo 21), nei Paesi in cui è diffuso, è responsabile del 90% dei tumori polmo-nari e in una popolazione la percentuale di cancro ai pol-moni rispecchia la percentuale di fumatori con uno scarto temporale di circa 20 anni. Questa è una statistica inquie-tante per numerosi Paesi in via di sviluppo nei quali la percentuale di fumatori è ancora in aumento. Sia il numero di sigarette fumate al giorno sia la durata del periodo in cui si è fumato sono positivamente correlati con il rischio di sviluppare il cancro al polmone, sebbene la seconda abbia una correlazione più forte. Smettere di fumare ha un prevedibile effetto opposto, con un rischio che si riduce a ogni anno di astinenza, anche se il rischio non scende mai al pari di un soggetto che non ha mai fumato. Nel corso degli ultimi 60 anni sono stati intro-dotti numerosi cambiamenti nella struttura e composi-zione delle sigarette, come le sigarette fi ltrate e quelle a basso contenuto di catrame e di nicotina, allo scopo di ridurre i rischi alla salute legati al fumo. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato una riduzione delle patologie legate al fumo, l’effetto globale di questi cambiamenti sul rischio di sviluppare una neoplasia polmonare è ritenuto trascurabile.

La prevalenza del fumo tra gli uomini ha avuto un picco circa 20 anni prima rispetto alle donne, per cui attualmente l’incidenza di cancro al polmone si sta ridu-cendo nel sesso maschile mentre continua ad aumentare nel sesso femminile e ad oggi il tumore polmonare è la più comune causa di morte cancro-correlata nelle donne. Questa incidenza più elevata nel sesso femmi-nile non è dovuta solamente alla differenza nella preva-lenza del fumo, ma a parità di dosi le donne sembrano essere più suscettibili ai cancerogeni trovati nelle siga-rette con un odds ratio compreso tra 1,2 e 1,7 rispetto agli uomini, quindi, con le stesse abitudini al fumo, pre-sentano maggiori possibilità di sviluppare cancro ai pol-moni. 31 Studi condotti in numerosi Paesi hanno anche dimostrato come l’incidenza sia maggiore in alcuni gruppi socio-economici, un dato che ancora una volta non è spiegabile solamente attraverso la diversa abitu-dine al fumo.

La maggior parte dei cancerogeni nel fumo di tabacco si trova tra i 3500 composti che costituiscono la fase par-

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Capitolo Patologie del parenchima polmonare e della pleura| 30 |

ticolata, o “tar”, del fumo di sigaretta (pagina 310) e il loro meccanismo di cancerogenesi viene descritto di seguito.

Radon. La seconda più importante causa di tumore al polmone è l’esposizione ambientale al radon. 32 Il radon fa parte del normale processo di decadimento dell’uranio ( Figura 30.4 ) e entrambi gli elementi sono presenti nel terreno e nelle rocce di tutto il mondo sebbene in con-centrazioni ampiamente variabili. Il radon è circa otto volte più pesante dell’aria e per questo tende ad accumu-larsi negli scantinati e nei basamenti delle abitazioni, diventando un importante inquinante d’interni. Le con-centrazioni più alte si trovano nelle miniere, in partico-lare quelle di uranio, per cui i minatori sono la categoria maggiormente esposta al radon e per secoli è stata descritta l’associazione tra questo tipo di lavoro e il tumore al polmone. L’esposizione residenziale al radon può spiegare il 10% delle morti per tumore al polmone e può dare un contributo ancora maggiore nei rari casi di tumore al polmone non correlati al fumo di sigaretta. 32,34

Il radon è un gas inerte, per cui una volta inalato non interagisce chimicamente con le altre molecole e, a causa del suo peso molecolare pari a 222, la sua diffusione attraverso gli alveoli (pagina 141) e il suo assorbi-mento nei vasi sanguigni sono entrambi lenti. La maggior parte del radon inalato viene perciò espirato con lo stesso atto respiratorio, ma il suo più comune isotopo ambien-tale, 222 radon, ha un’emivita di soli 3,8 giorni, per cui mentre si trova nelle vie aeree, parte del radon decadrà. I prodotti di decadimento sono per lo più solidi, possono depositarsi nelle vie aeree e hanno anche una breve emi-vita (vedi Figura 30.4 ). Come conseguenza, il radon ina-lato e i composti derivati sono un’importante fonte di � -radiazioni.

Rispetto alle � - e � -particelle, le � -particelle, formate da due protoni e due neutroni, contengono un’enorme quantità di energia e sono quindi più nocive per le mole-cole biologiche. Per essere delle particelle subatomiche, le � -particelle hanno una grande massa e quando viaggiano – a circa 15.000 km s − 1 – generano una grande energia cinetica. La carica fortemente positiva delle � -particelle fa sì che i gusci degli elettroni degli atomi vicini rallentino rapidamente la particella, dissipando la sua energia in una zona molto più piccola rispetto ad altre forme di radiazioni. Le � -particelle viaggiano nell’aria solo per pochi centimetri e probabilmente solo per 30-50 � m nei tessuti. Non è noto se le � -particelle rilasciate nel pol-mone dal radon inalato siano in grado di penetrare a fondo nell’epitelio delle vie aeree e danneggiare le cellule staminali epiteliali in rapida divisione, che hanno molta più probabilità di essere una fonte di tumore maligno rispetto alle cellule superfi ciali non in divisione mitotica. Una spiegazione alternativa è che i prodotti radioattivi del radon vengano assorbiti da altre cellule polmonari come i macrofagi e vengano poi portati in profondità nel tessuto polmonare.

Cancerogenesi del tumore polmonare 34,35 Radiazioni . Ci sono tre ipotetici meccanismi attraverso i quali le � -particelle possono attivare la neoplasia. In primo luogo, quando le cellule vengono attraversate da una singola � -radiazione solo il 20% di esse muore e quelle che sopravvivono al danno molecolare raddop-piano il loro tasso di mutazione. 36 In secondo luogo, le cellule che circondano quelle colpite dalle � -particelle vengono a loro volta danneggiate dai prodotti molecolari rilasciati a seguito della collisione, fenomeno noto come effetto bystander . In terzo luogo, quasi tutta la carica posi-tiva delle � -particelle viene neutralizzata nel tessuto tra-mite la rimozione di elettroni dalle abbondanti molecole d’acqua vicine, attivando la produzione di specie reattive dell’ossigeno (Capitolo 26).

Cancerogenesi da tabacco . Il fumo di tabacco contiene 44 cancerogeni noti, ma due gruppi sono signifi cativi per la formazione del cancro al polmone, gli idrocarburi poli-ciclici aromatici (PAHs) e le nitrosammine. I normali meccanismi di difesa dell’organismo vengono sopraffatti e così DNA, RNA, lipidi e proteine vengono danneggiati dalle reazioni di ossidazione. Molti di questi cancerogeni, inoltre, reagiscono direttamente con il DNA causando metilazione delle sue basi, oppure formando semplice-mente dei complessi con le molecole di DNA. Questi cambiamenti chimici a carico della molecola di DNA potranno interferire immediatamente con la trascrizione, oppure indurre delle mutazioni al momento della dupli-cazione del DNA nella divisione cellulare, cosa che spiega perché le cellule a divisione rapida sono più suscettibili a mutazioni maligne.

Meccanismi molecolari della cancerogenesi . Per poter comprendere come i vari danni molecolari possano indurre dei cambiamenti patologici, è utile rivedere i nor-mali sistemi biochimici che, partendo dai geni presenti nel nucleo, portano alla produzione di proteine cellulari funzionali e le normali fasi del ciclo cellulare. La trascrizione dei geni nelle cellule eucariotiche comprende numerosi pas-saggi complessi, di seguito riportati.

1. Esposizione del gene. Il genoma umano è grande e l’enorme quantità di DNA che costituisce tale genoma deve essere fortemente compattata per poter entrare all’interno del nucleo. La doppia elica del DNA è avvolta strettamente attorno alle proteine istoniche formando complessi detti nucleosomi, connessi tra loro dai fi lamenti di DNA stesso. Le interazioni tra gli istoni uniscono poi i nucleosomi in una struttura compatta detta cromatina. La maggior parte dei geni necessaria per la sintesi proteica può quindi non essere immediatamente accessibile e i nucleosomi devono essere prima riarrangiati per esporre il gene richiesto.

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

2. Trascrizione. Per controllare e iniziare la trascrizione di un gene sono necessarie numerose proteine, note come fattori di trascrizione, che legano il promotore. A queste si lega poi l’RNA polimerasi non specifi ca che si muove lungo tutto il gene e sintetizza così la singola catena di pre-mRNA.

3. Processamento post-trascrizionale. Il pre-mRNA subisce considerevoli cambiamenti prima di essere adatto alla traduzione. La metilazione dei nucleotidi di RNA vicino alle estremità della catena rende la

molecola più stabile; sempre alle estremità vengono clivate molte porzioni di RNA ridondante per defi nirne meglio la sequenza fi nale; vengono poi eliminati numerosi segmenti superfl ui (introni) e quelli invece necessari per la sintesi proteica (esoni) vengono uniti tra loro così da formare la molecola fi nale di mRNA.

4. Traduzione. I ribosomi degli eucarioti sono formati da due subunità che devono dissociarsi prima di formare il complesso di inizio con la molecola

230230Torio

(77.000 anni)

226226Radio

(1.600 anni)

222222Radon

(3,8 giorni)

218218Polonio

(23,1 minuti)

214214Piombo(27 minuti)

214Bismuto(20 minuti)

214Polonio(0,00016 sec)

210Bismuto(5 giorni)

210Piombo(22 anni)

210210Polonio(140 giorni)

234234Uranio

(240.000 anni)

206206Piombo

(stabile)

Mas

sa a

tom

ica

rela

tiva

α

α

α

α

α

β

β

γ

γ

β

β

α

α-particelleα

β-radiazioneβ

γ-radiazioneγ

Fig. 30.4 Processo di decadimento dell’ 234 uranio a 206 piombo stabile. Una molecola di 222 radon inalata decade a 210 piombo in pochi minuti, rilasciando tre � -particelle e due � -particelle durante tale processo.

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Capitolo Patologie del parenchima polmonare e della pleura| 30 |

di mRNA, il tRNA iniziale e la metionina. La formazione della catena peptidica inizia con le molecole di tRNA che trasportano i singoli aminoacidi e le molecole di GTP che forniscono l’energia necessaria alla formazione dei legami. Quando si raggiunge la fi ne della molecola di RNA da tradurre si attivano tutta una serie di fattori di rilascio che completano la catena peptidica e ne consentono il rilascio da parte del ribosoma prima che mRNA, tRNA e le subunità del ribosoma si separino.

5. Modifi cazioni della proteina. Le proteine destinate al citoplasma sono prodotte da ribosomi liberi, mentre quelle che devono essere trasportate al di fuori della cellula o quelle destinate alla membrana plasmatica sono prodotte nei ribosomi legati al reticolo endoplasmatico. Molte parti della catena peptidica iniziale contengono dei “peptidi segnale” che guidano il processamento post-trascrizionale delle proteine, facilitando per esempio il giusto ripiegamento della proteina o legando la proteina al corretto sistema di trasportatori all’interno della cellula.

Il normale ciclo cellulare prevede che tutte le cellule attra-versino varie fasi di divisione:

• G0 – la cellula è quiescente, cioè è metabolicamente attiva, svolge le sue normali funzioni e non si muove attraverso il ciclo di divisione cellulare;

• G1 – la cellula si prepara alla divisione sintetizzando le macromolecole necessarie;

• S – fase di sintesi in cui viene replicato il DNA contenuto all’interno della cellula;

• G2 – preparazione alla mitosi con organizzazione degli organelli pronti per la divisione cellulare;

• M – mitosi, ovvero divisione cellulare.

Il controllo della progressione attraverso queste fasi, in particolare dalla fase G1 alla S e dalla G2 alla M, si basa su un complesso gruppo di proteine chiamate chinasi ciclina-dipendenti (CDK). Queste proteine possono, per esempio, essere richieste per mantenere le cellule in fase S fi nché il DNA non è stato replicato e il malfunziona-mento di questo sistema potrebbe portare a una replica-zione cellulare prematura, producendo due cellule fi glie con DNA anomalo. La maggior parte delle attività delle CDK è post-trascrizionale, quindi non vi è nessuna pro-duzione di molecole nuove di CDK. Il controllo sulle pro-teine viene invece esercitato tramite fosforilazione e defosforilazione di vari componenti delle CDK e il grado di fosforilazione interferisce con la struttura, e quindi con l’attività, delle CDK. L’alterazione di un singolo paio di basi nel gene che codifi ca per le CDK determinerà il cam-biamento di un singolo aminoacido all’interno della molecola di CDK e interferirà così con la regolazione della divisione cellulare.

Un altro modo attraverso cui un danno molecolare all’interno della cellula può favorire l’insorgenza di cam-

biamenti maligni è l’apoptosi o morte cellulare program-mata. L’apoptosi è regolata da molti dei geni responsabili del controllo della divisione cellulare, per cui anomalie in questi sistemi possono anche prolungare la vita delle cel-lule oltre il loro termine fi siologico, contribuendo in que-sto modo allo sviluppo di tumori.

Se si considerano i continui bombardamenti subiti dalle cellule delle vie aeree da parte di sostanze chimiche tossiche e di radiazioni e la miriade di passaggi nei quali possono essere alterati la sintesi e il funzionamento delle proteine, nonché il processo di divisione cellulare, è sor-prendente che non tutti sviluppino una neoplasia polmo-nare. Molte cellule verranno uccise dalle radiazioni e dai componenti del tabacco, ma il danno tissutale che ne segue viene prontamente riparato e, sebbene a lungo ter-mine questa ripetuta infi ammazione e lo stesso processo di riparazione possano danneggiare il tessuto polmonare (vedi Figura 21.1), non si avrà l’insorgenza di neoplasia polmonare. Anche quando molte cellule vengono dan-neggiate, gli estesi – e ancora non completamente noti – meccanismi di riparazione cellulare prevengono l’insorgenza del tumore. Perché una cellula diventi neoplastica, il danno cellulare deve modifi care profondamente il ciclo cellulare o la progressione verso l’apoptosi, così che la crescita cellulare diventi incontrollata, caratteristica fondamentale delle cel-lule neoplastiche.

Il sistema immunitario ha un suo ruolo nel prevenire l’insorgenza del tumore. L’immunità cellulo-mediata comprende i linfociti T in grado di riconoscere le cellule dell’organismo tramite gli antigeni di superfi cie presentati dal complesso maggiore di istocompatibilità (Major Histocompatibility, MHC). Nelle cellule neoplastiche, il danno al DNA e alla trascrizione in proteine può portare a proteine MHC anomale o del tutto assenti oppure può far sì che le cellule presentino sulla superfi cie dei peptidi anomali che i linfociti T non sono in grado di ricono-scere. Per esempio, sulla superfi cie di alcune cellule tumorali vengono espresse delle catene peptidiche suffi -cientemente simili a quelle di cellule infettate da virus da portare i linfociti T ad attaccarle. Attraverso questo mecca-nismo siamo protetti dall’insorgenza di tumori clinica-mente visibili e le differenze interindividuali nella risposta immunitaria possono spiegare la diversa vulnerabilità allo sviluppo di neoplasie. La modulazione della risposta immunitaria alle cellule tumorali è una strategia poten-zialmente utile in futuro per migliorare il trattamento e la prevenzione del cancro, per esempio tramite l’immuniz-zazione.

Geni target della cancerogenesi polmonare. 35,37 L’ano-malo funzionamento di due gruppi di geni – oncogeni e oncosoppressori – contribuisce all’insorgenza di tumore polmonare. Gli oncogeni coinvolti comprendono:

• il gene ras , che codifi ca per una proteina G coinvolta nella trasduzione dei recettori di fattori di crescita espressi sulla superfi cie cellulare. La mutazione del gene ras nel tumore polmonare stimola un’eccessiva

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

crescita cellulare anche quando il livello dei fattori di crescita è normale;

• le proteine myc , ovvero fattori di trascrizione coinvolti nel controllo del passaggio delle cellule dalla fase G0 a G1 del ciclo cellulare e quindi, anche se nel tumore polmonare il gene myc ha una struttura normale, la sua sovraespressione ne amplifi ca l’effetto;

• l’oncogene bcl-2 , normalmente coinvolto nel controllo della divisione cellulare nell’embrione e nelle cellule staminali adulte, riveste inoltre un ruolo nel controllo del processo di apoptosi. Esso è sovraespresso in alcune neoplasie del polmone, con conseguente facilitazione della proliferazione cellulare e ritardo dell’apoptosi.

Il ruolo fi siologico degli oncosoppressori è quello di rispondere ai segnali di stress all’interno della cellula. Se quindi la cellula subisce un periodo di ipossia, stress ossi-dativo, oppure un danno al proprio DNA, questi geni si attivano e ritardano la progressione del ciclo cellulare per consentire la riparazione del danno, oppure accelerano il processo di apoptosi per prevenire ulteriori disfunzioni cellulari. Gli oncosoppressori coinvolti nel tumore pol-monare comprendono:

• il gene p53 . A seconda delle circostanze, l’attivazione del gene p53 trattiene le cellule nella fase G1 oppure provoca l’apoptosi. Nelle neoplasie polmonari si ha un’ampia varietà di mutazioni di p53 , tra cui delezioni e alterazioni dello splicing del pre-mRNA;

• il gene RB , che codifi ca per una delle proteine coinvolte nel controllo della transizione dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellulare. Mutazioni del gene RB probabilmente portano alla sintesi di una proteina solo leggermente alterata dal punto di vista strutturale, ma incapace di essere fosforilata come necessario per mantenere le cellule in G1 ed evitare così che la divisione cellulare avvenga troppo rapidamente.

Una migliore comprensione delle basi genetiche del tumore polmonare dovrebbe consentire un incremento della sopravvivenza da questa malattia, anche se la realiz-zazione di tale ambizione è stata fi nora limitata. La dia-gnosi precoce del tumore polmonare tramite l’identifi cazione di un’anormale espressione genica nelle cellule dell’epite-lio bronchiale è stata ostacolata dall’identifi cazione di numerose anomalie istologiche anche nelle cellule nor-mali. 37 Molte delle anomalie genetiche descritte preceden-temente si associano a una scarsa risposta al trattamento, fattore che non aiuta il paziente coinvolto, ma si spera possa permettere, in futuro, l’identifi cazione della miglior forma di trattamento.

Aspetti clinici 38 Sfortunatamente, nella maggior parte dei pazienti il tumore polmonare si è già diffuso oltre il tumore primi-

tivo, prima che insorgano i sintomi. Questo è il motivo principale per cui l’esito del trattamento del tumore pol-monare continua a essere scarso se confrontato a quello di altre neoplasie. C’è quindi la disperata necessità di un test di screening per il tumore polmonare, ma non ne è ancora stato trovato nessuno, sebbene attualmente si stiano considerando TC a basso dosaggio e vari biomar-kers 39 ematici o gas espirati (pagina 406). Nel frattempo, la miglior prevenzione rimane evitare l’esposizione al fumo di tabacco e al radon. 32

Patologia . Le neoplasie polmonari possono essere suddi-vise in cancro polmonare a piccole cellule (Small Cell Lung Cancer, SCLC) e non a piccole cellule (Non-Small Cell Lung Cancer, NSCLC), che può essere ulteriormente suddiviso in carcinoma a cellule squamose e adencarci-noma. Il carcinoma a cellule squamose rappresenta circa un terzo dei tumori polmonari, deriva per lo più dalle vie aeree centrali e cresce spesso attorno ai bronchi causando il restringimento delle vie aeree senza necessariamente essere visibile dall’interno del lume. Tende ad avere una crescita lenta, metastatizza tardi e nelle zone periferiche del polmone può andare incontro a necrosi centrale e cavitazione.

Anche gli adenocarcinomi costituiscono circa un terzo delle neoplasie polmonari, ma si sviluppano soprattutto in periferia, crescono più rapidamente dei carcinomi squamosi e metastatizzano precocemente per via ematica o linfatica. Infi ne, i tumori NSCLC comprendono una serie di differenti neoplasie accomunate da aspetti alta-mente maligni, tra cui la precoce diffusione attraverso il sistema linfatico.

Caratteristiche cliniche . La tosse è il più comune sin-tomo del tumore polmonare e insorge in molti pazienti a vari stadi della patologia, anche se è un disturbo talmente frequente nei fumatori che resta un sintomo assoluta-mente non specifi co. La tosse che insorge in caso di neo-plasia polmonare dipende solitamente da una irritazione diretta della parete delle vie aeree, all’interno del lume o a livello del tessuto peribronchiale, ed è tipicamente postu-rale in quanto il tumore costringe le vie aeree in specifi -che posizioni. L’emottisi, presente nella metà dei pazienti, è il secondo sintomo più comune e varia da semplici striature dell’espettorato a emottisi massiva se il tumore interessa un vaso toracico maggiore. Il respiro ansimante dovuto all’occlusione delle piccole vie aeree da parte dei tumori alla periferia polmonare si presenta nel 10% circa dei pazienti e può essere confuso con l’insorgenza di asma. Il restringimento delle vie aeree più grandi causa stridore, sebbene si pensi insorga solo quando la ridu-zione del diametro è maggiore del 75%. Dispnea, dolore toracico e infezioni (solitamente distali al punto di ostru-zione) sono altri sintomi che possono insorgere a seguito di un tumore polmonare. L’invasione da parte del tumore delle strutture toraciche vicine causa una serie di altre manifestazioni cliniche, come il versamento pleurico (pagina 436), le sindromi di Horner o di Pancoast

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Capitolo Patologie del parenchima polmonare e della pleura| 30 |

(rispettivamente per interessamento del simpatico e dei nervi del plesso brachiale) o l’ostruzione della vena cava superiore. Infi ne, qualsiasi neoplasia polmonare, ma in particolare NSCLC, può presentarsi con segni e sintomi da metastasi.

Principi di terapia del cancro del polmone Una descrizione dettagliata della complessa gestione tera-peutica va al di là dello scopo di questo libro e sono inol-tre disponibili delle linee guida. 40 Ci sono tre principali opzioni terapeutiche e la scelta tra esse dipende da molti fattori, tra cui i due più importanti sono il tipo di tumore e lo stadio di presentazione.

1 . Chirurgia . La resezione polmonare è descritta nel Capi-tolo 33. La tumorectomia, la lobectomia o la pneumonec-tomia sono abitualmente effettuate per i tumori NSCLC che non si sono diffusi all’esterno del polmone o ai linfo-nodi locali. Per i tumori SCLC diagnosticati a uno stadio precoce di malattia, la resezione polmonare può essere effettuata con l’intento di curare il paziente, ma per forme più maligne, come in caso di diffusione a distanza già alla diagnosi, vengono utilizzate anche la chemioterapia e la radioterapia.

2. Chemioterapia. Tutti gli antitumorali agiscono indu-cendo l’apoptosi o la necrosi cellulare. Un riassunto dei farmaci più comunemente utilizzati per il trattamento delle neoplasie polmonari, il loro meccanismo d’azione e i più frequenti effetti collaterali sono mostrati nella Tabella 30.2 .

La chemioterapia può essere utilizzata come trattamento adiuvante in pazienti da sottoporre a chirurgia, oppure

può essere il principale trattamento nei NSCLC avanzati. Alcuni tipi di chemioterapia sono utilizzati anche nei tumori SCLC. La maggior parte dei regimi chemioterapici prevede la somministrazione di due o tre diversi tipi di far-maci per massimizzare le possibilità di successo nell’elimi-nazione delle cellule maligne. La chemioterapia viene solitamente impostata secondo multiple sedute brevi, principalmente per permettere al paziente di riprendersi dall’inevitabile tossicità associata (vedi Tabella 30.2 ). Inol-tre, questa modalità di somministrazione può aumentare l’effetto citotossico dei farmaci in quanto ripetuti attacchi inducono le cellule neoplastiche ad allinearsi tutte nella stessa fase del ciclo cellulare. La chemioterapia da sola diffi cilmente è curativa. Si stima che un tumore polmo-nare di 1 cm contenga 10 9 cellule neoplastiche. 35 Se una dose di chemioterapia distrugge il 99,9% di queste cel-lule, dopo il trattamento ne rimangono ancora 10 6 e que-sto numero aumenterà durante il periodo che intercorre tra i trattamenti. Sono quindi necessari più trattamenti, con la tossicità associata e teoricamente non è possibile eliminare ogni singola cellula neoplastica. Tuttavia, consi-derando che anche il sistema immunitario possiede delle abilità citotossiche, la chemioterapia può ridurre la quan-tità di cellule neoplastiche al punto che i linfociti T sono in grado di rimuovere completamente il tumore.

3. Radioterapia. Il trattamento con radioterapici è indi-cato sia in aggiunta alla chirurgia nei tumori NSCLC loca-lizzati, sia in associazione alla chemioterapia nei NSCLC avanzati, oppure come trattamento dei SCLC. 40 Conside-rando che le radiazioni sono responsabili di una parte dei tumori polmonari, può apparire sorprendente che lo stesso tipo di energia venga utilizzato nel trattamento. In ambito terapeutico, lo stesso meccanismo molecolare del danno da radiazioni viene sfruttato per uccidere le cellule

Tabella 30.2 Esempi di chemioterapici utilizzati per il trattamento del tumore polmonare

Gruppo Meccanismo d’azione Tossicità Esempi

Agenti alchilanti Alchilazione del DNA, RNA e proteine

Mielosoppresione Ciclofosfamide, ifosfamideNausea e vomito

Analoghi del platino Cross-linking delle catene di DNA

Nausea e vomito Cisplatino, carboplatinoNefrotossicità

Inibitori microtubulari Inibizione dei microtubuli – arresto della mitosi o induzione dell’apoptosi

Neurotossicità Mielosoppressione

Vincristina, vinblastina, paclitaxel, docetaxel

Inibitori della topoisomerasi Inibizione dello svolgimento del DNA e delle reazioni di rottura-riunione

Mielosoppressione Alopecia

Etoposide, doxorubicina, irinotecan, topotecan

Tossicità miocardica

Antimetaboliti Analoghi della citidina – ferma la replicazione del DNA

Mielosoppressione Gemcitabina

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

neoplastiche invece di danneggiarle per indurre lo svi-luppo neoplastico, come descritto precedentemente. Lo scopo della radioterapia è quello di focalizzare la zona di radiazioni più intense a livello del tumore stesso, mini-mizzando l’esposizione del tessuto sano circostante, seb-bene il danno tissutale secondario sia inevitabile e comporti una considerevole tossicità. Ci sono ampie dif-ferenze tra le specie nella capacità delle cellule di resistere alle radiazioni; le cellule dei mammiferi sono particolar-mente vulnerabili e tra i mammiferi stessi i differenti tes-suti hanno una differente suscettibilità al danno da radiazioni, effetto legato principalmente alla velocità di divisione cellulare. Il midollo osseo, il tratto gastrointesti-nale e la cute, con la loro ampia popolazione di cellule in rapida divisione, sono quindi tessuti molto suscettibili al danno da radiazioni.

Il principale determinante della sensibilità delle cellule neoplastiche all’azione distruttiva delle radiazioni è la P O 2 intracellulare al momento dell’esposizione e per tale motivo la maggior parte delle cellule tumorali dei mam-miferi richiede il doppio o il triplo di radiazioni quando sono ipossiche. Questa osservazione supporta l’ipotesi che la maggior parte del danno molecolare indotto dalle radiazioni sia mediato dalle specie reattive dell’ossigeno. Studi animali hanno dimostrato che molti tumori solidi hanno delle aree centrali ipossiche, che si pensa derivino dall’incapacità da parte dell’angiogenesi di stare al passo con la crescita tumorale, lasciando alcune aree senza rifor-nimento ematico. La tomografi a a emissione di positroni può essere utilizzata per identifi care le aree ipossiche pre-senti all’interno del tumore: in uno studio di pazienti con NSCLC, il 48% del volume polmonare è stato trovato ipossico, con la maggior parte delle aree contenenti una P O 2 al di sotto di 0,27 kPa (2 mmHg), un livello al quale la sensibilità alle radiazioni sarebbe scarsa. 41

PATOLOGIE DELLA PLEURA

Fisiologia dello spazio pleurico Esistono due foglietti pleurici: il primo riveste la superfi cie interna della cavità toracica (pleura parietale) compreso il diaframma e il secondo (pleura viscerale) ricopre il pol-mone dall’ilo verso l’esterno, includendo le fessure pol-monari maggiori e minori. Le forze elastiche del polmone e della parete toracica (Capitolo 3) agiscono in senso opposto e generano una pressione di 3-5 cm H

2 O all’in-terno dello spazio pleurico. Lo spazio pleurico facilita i meccanismi di accoppiamento tra la parete toracica e il polmone e per farlo in modo effi cace, ovvero con una minima perdita di energia, dovrebbe esserci il minor attrito possibile tra le due strutture. La pleura viscerale e parietale devono quindi scivolare facilmente l’una sull’al-tra e questo è possibile grazie alla presenza di una piccola

quantità di liquido pleurico e di uno strato di molecole di surfattante sulla superfi cie delle cellule mesoteliali che rivestono entrambi i foglietti pleurici. 42

In media, un uomo di 70 kg ha una superfi cie pleurica totale di 4000 cm 2 , contenente circa 18 mL di liquido pleurico, 43 che è un ultrafi ltrato del plasma e possiede solo una piccola quantità di proteine (approssimativamente 1 gDdL − 1 ). La produzione di liquido pleurico dipende dalle stesse forze di Starling che governano il movimento di fl u-ido attraverso le pareti dei capillari (pagina 412). Nella pleura parietale, irrorata dalla circolazione sistemica, la pres-sione intrapleurica negativa determina un aumento del gra-diente di pressione idrostatica, favorendo il movimento del fl uido al di fuori dei capillari, ma le cellule mesoteliali della pleura sono meno permeabili alle proteine rispetto ai capil-lari sistemici, per cui si genera un gradiente di pressione oncotica che si oppone a tale spostamento di liquidi. L’ef-fetto risultante è un gradiente di circa 6 cm H

2 O, che causa il passaggio di liquido dai capillari allo spazio pleurico. 38 L’ap-porto sanguigno della pleura viscerale dipende dalla circola-zione bronchiale e polmonare, che drenano entrambe nel sistema venoso polmonare a bassa pressione, il gradiente di pressione idrostatica generato è quindi minore rispetto a quello della pleura parietale e si ritiene che non ci sia alcun movimento di liquido dalla pleura viscerale allo spazio pleurico. Un’altra possibile origine del liquido pleurico, soprattutto in alcune condizioni patologiche, è un fl usso diretto dall’interstizio polmonare.

Il liquido pleurico lascia lo spazio pleurico attraverso il sistema linfatico che drena direttamente mediante delle aperture, chiamate stomi, tra la pleura parietale e i vasi linfatici. Gli stomi arrivano fi no a 6 � m di diametro, per cui permettono il passaggio di liquido, proteine e cellule e probabilmente sono molto più numerosi nella porzione caudale e diaframmatica della pleura, dove il liquido pleurico si accumula per gravità. In condizioni fi siologiche il ricambio di liquido pleurico è circa 0,01 mLDkg -1 Dh -1 ma quando si accumula del liquido in eccesso il drenaggio può aumentare di circa 28 volte. 38

Versamento pleurico L’eccessiva produzione di liquido pleurico può superare la capacità di drenaggio dello spazio pleurico da parte del sistema linfatico, con conseguente accumulo. Esistono numerose possibili cause alla base di un’eccessiva produ-zione di liquido pleurico e sono suddivise in due gruppi principali. 38

1. Il versamento trasudatizio è costituito da un fl uido a basso contenuto proteico e deriva da un aumento del gradiente di pressione idrostatica o da una riduzione della concentrazione plasmatica di proteine, entrambe condizioni che favoriscono il trasferimento di liquido dai capillari allo spazio pleurico. L’insuffi cienza cardiaca congestizia, la cirrosi epatica e la sindrome nefrosica sono comuni esempi

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Capitolo Patologie del parenchima polmonare e della pleura| 30 |

e il versamento solitamente è bilaterale dal momento che gli stessi fattori incidono su entrambe le cavità pleuriche.

2. Il versamento essudatizio ha un alto contenuto proteico, solitamente è monolaterale e dipende da un aumento delle permeabilità delle cellule mesoteliali, dovuto in genere a patologie che coinvolgono la pleura come neoplasie e infezioni, oppure è post-traumatico o postchirurgico. Il versamento pleurico che si sviluppa a seguito di una neoplasia toracica può dipendere semplicemente dalla presenza di cellule tumorali o di loro frammenti che chiudono gli stomi.

Nella valutazione di un versamento pleurico bisogna porre attenzione a evitare un drenaggio non necessario che può essere fonte di infezione. Se le proteine sieriche del paziente sono normali, il livello di proteine nel versamento consente di differenziare essudato e trasudato e l’esame citologico con-sente una diagnosi relativamente semplice nel 60% dei versa-menti neoplastici. 44

La riespansione del polmone che segue la toracentesi può portare a edema del polmone espanso e si consiglia di non rimuovere più di 1 L di liquido alla volta. Vi sono alcune evidenze che il tessuto polmonare recentemente espanso presenti delle perdite a livello del microcircolo, 45 causate dalla mancanza di integrità nelle giunzioni strette tra le cellule endoteliali oppure dalla formazione di un gradiente di pressione idrostatica negativo, che favorisce lo spostamento di liquido all’esterno dei capillari (pagina 412). Non è chiaro se il rischio di edema sia associato al volume di fl uido rimosso o all’entità di pressione nega-tiva generata durante la sua rimozione. Un recente studio condotto su 185 pazienti ha mostrato che l’edema da riespansione polmonare si verifi ca solo nel 2,7% dei casi e che non è correlato al volume di fl uido rimosso purché non si faccia scendere la pressione intratoracica a − 20 cmH

2 O. 46

Pneumotorace Questo avviene quando l’aria entra all’interno della cavità pleurica; essa può arrivare dall’esterno tramite un difetto della parete toracica e della pleura parietale oppure dal polmone stesso o dal mediastino tramite un difetto della pleura viscerale. Le svariate possibili cause di pneumoto-race sono solitamente suddivise in spontanee o acquisite e vengono elencate nella Tabella 30.3 .

Lo pneumotorace spontaneo è quello più comune ( Figura 30.5 A ) e si presuppone che dipenda dalla rottura di piccole e sottili cisti nel tessuto polmonare subpleu-rico, chiamate vescicole se di diamvetro inferiore a 2 cm o bolle se maggiore di 2 cm ( Figura 30.5 B). 47 Le vescicole e le bolle sono presenti nella maggior parte dei pazienti con uno pneumotorace spontaneo, 47 ma si trovano anche nel 6% della popolazione sana per cui il loro ruolo nella genesi dello pneumotorace rimane controversa. 48 Qual-siasi sia la causa, diversi gradi di collasso polmonare

compromettono inevitabilmente lo scambio di gas e tre quarti dei pazienti con pneumotorace presentano ipos-siemia arteriosa alla diagnosi, tanto più grave quanto più ampio è lo pneumotorace o la patologia polmonare sot-tostante. 49

Pneumotorace iperteso . Talvolta il difetto polmonare o toracico attraverso cui l’aria riesce ad attraversare la pleura forma un meccanismo a valvola e insorge lo pneumoto-race iperteso. Durante l’inspirazione, l’aria viene risuc-chiata all’interno dello spazio pleurico ma non riesce a fuoriuscire durante l’espirazione. Si sviluppa così un volu-minoso pneumotorace e gli aumentati sforzi inspiratori riducono ulteriormente la pressione intrapleurica, fi nché la pressione all’interno dell’emitorace coinvolto rimane al di sopra di quella atmosferica per tutto l’intero ciclo respi-ratorio. Il polmone colpito smette di ventilare, collassa e insorge una grave ipossiemia. Un quadro ancora più drammatico si ha in caso di spostamento del mediastino dal lato opposto rispetto a quello dello pneumotorace, che causa una riduzione improvvisa e catastrofi ca del ritorno venoso e quindi della portata cardiaca. L’inseri-mento di una cannula all’interno dell’emitorace colpito riduce la pressione, crea uno pneumotorace aperto e salva la vita del paziente.

Tabella 30.3 Cause comuni di pneumotorace

Spontaneo Acquisito

Primario Rottura di una bolla subpleurica

Iatrogeno Accesso venoso centraleBiopsia polmonarePostlaparoscopia

Secondario Patologia bollosa (BPCO)

Trauma chiuso ± fratture costali

Fibrosi cistica Asma

Traumatico Trauma penetrante

Tumore polmonare Metastasi polmonari

Barotrauma Ventilazione meccanica (Capitolo 32)

Rottura esofageaSindrome di MarfanPolmonite da Pneumocystis Ascesso polmonare

BPCO, broncopneumopatia cronico ostruttiva.

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

Principi di terapia dello pneumotorace Il trattamento dello pneumotorace dipende dalle sue dimensioni e dai sintomi del paziente. 49 Se il paziente non è in affanno e se la falda di aria tra il polmone e la parete toracica alla radiografi a del torace è inferiore a 2 cm non è necessario alcun trattamento. In caso di pneu-motorace più grande o sintomatico bisogna aspirare l’aria e confermare l’espansione del polmone tramite una nuova radiografi a. Se questo non ha successo, si posiziona un tubo di drenaggio toracico, si esegue un’ulteriore radiogra-fi a del torace per confermare la ri-espansione polmonare ( Figura 30.5 C) e si lascia in sede il drenaggio fi nché non si ha più alcuna fuoriuscita d’aria o fi nché il polmone rimane espanso per 24 ore. Se il polmone non si riespande nem-

meno con il tubo di drenaggio o se la fuoriuscita di aria attraverso il drenaggio continua per giorni, solitamente è necessario intervenire chirurgicamente. Durante l’inter-vento vengono asportate tutte le vescicole e le bolle visibili agli apici polmonari, si effettua un talcaggio pleurico (pleu-rodesi) (pagina 488) e si riespande il polmone sotto visione diretta.

Assorbimento dell’aria dalla pleura . Nei piccoli pneu-motoraci asintomatici o a seguito del trattamento prece-dentemente descritto, la completa risoluzione del quadro clinico richiede l’assorbimento di aria dalla pleura. La velo-cità a cui avviene tale assorbimento dipende dal gradiente di pressione parziale dei vari gas tra la pleura e la circola-zione, in particolare il sangue venoso dove la pressione

C

BA

Fig. 30.5 (A) Pneumotorace spontaneo con il collasso quasi completo del polmone destro. (B) Tomografi a computerizzata degli apici polmonari dello stesso paziente che mostra numerose bolle polmonari. (C) Lo pneumotorace è stato trattato tramite l’inserimento di un drenaggio toracico, con completa riespansione del polmone.

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Capitolo Patologie del parenchima polmonare e della pleura| 30 |

parziale è più bassa (vedi Tabella 26.2). Teoricamente, si hanno due fasi di riassorbimento dei gas: nella fase 1 i gas presenti nella pleura raggiungono un equilibrio con il san-gue venoso, nella fase 2 i gas vengono riassorbiti. Per la fase 1 è importante la causa alla base dello pneumotorace in quanto l’aria può venire dall’esterno o dall’alveolo pol-monare. Quando l’aria ambiente, verosimilmente secca, entra nello spazio pleurico, il primo cambiamento che si verifi ca è un piccolo aumento di volume per l’umidifi ca-zione del gas da parte del vapore d’acqua. L’ossigeno viene assorbito nel sangue e l’anidride carbonica diffonde nello spazio pleurico, ma queste due variazioni di volume dovreb-bero essere approssimativamente uguali e causano quindi solo piccoli cambiamenti di volume totale.

Per quanto riguarda le pressioni parziali, la perdita di ossigeno dalla pleura è parzialmente compensata dall’au-mento del vapore d’acqua e dell’anidride carbonica, ma la pressione parziale dell’azoto aumenta lievemente e una piccola parte viene lentamente assorbita dalla circola-zione sistemica. Quando il gas alveolare – già umidifi cato e contenente anidride carbonica – entra nello spazio pleurico, gli unici cambiamenti che avvengono sono l’as-sorbimento di una piccola quantità di ossigeno con una minima riduzione del volume di pneumotorace, e la conse-guente riespansione polmonare. In pazienti che respirano ossigeno al momento dell’insorgenza dello pneumotorace (di origine polmonare), la situazione è, in teoria, più favo-revole in quanto il gas alveolare è quasi completamente composto da ossigeno e la maggior parte dell’aria presente nel cavo pleurico sarà rapidamente assorbita nel circolo ematico. Un evento simile si verifi ca nel caso in cui sia l’ani-dride carbonica a entrare nello spazio pleurico durante una chirurgia laparoscopica (tecnicamente un capnotorace), cui segue una completa risoluzione entro due ore. 50 In entrambe queste situazioni l’azoto diffonde dal sangue allo spazio pleurico, ma è un processo molto lento se parago-nato al riassorbimento dell’ossigeno e dell’anidride car-bonica.

Nella fase 2 del processo di riassorbimento dello pneu-motorace la pressione parziale dei singoli gas presenti nello spazio pleurico è in equilibrio con il sangue venoso. Fortunatamente, la pressione parziale totale dei gas nel sangue venoso è subatmosferica (vedi Tabella 26.2) e mantiene piccoli gradienti che facilitano il lento assorbi-mento dello pneumotorace. Un ulteriore ipotetico van-taggio di respirare ossigeno può essere ottenuto nella fase 2 del riassorbimento. Maggiore è la concentrazione di ossigeno nell’aria inspirata minore è la P N 2 nel sangue, e aumenta così la velocità di diffusione dell’azoto dalla pleura al sangue. Il problema opposto insorge quando si utilizza il protossido d’azoto in pazienti con pneumoto-race, in quanto esso diffonde dal sangue allo spazio pleu-rico secondo gradiente di concentrazione, aumentando il volume dello pneumotorace.

Queste considerazioni teoriche sono diffi cili da dimo-strare in pratica. Sebbene non investigato per un po’ di

anni, si concorda sul fatto che l’assorbimento dell’aria dallo spazio pleurico sia lento, al massimo di 1,8% al giorno del volume dell’emitorace interessato. 51 Questo signifi ca che pneumotoraci di piccole dimensioni che occupano il 15% del volume dell’emitorace impieghe-ranno circa 10 giorni per risolversi completamente. Studi animali hanno dimostrato una riduzione dose-dipendente del tempo impiegato per la risoluzione di uno pneumoto-race all’aumentare della frazione inspiratoria di ossigeno, con una durata approssimativamente dimezzata se si con-fronta una miscela al 50% d’ossigeno e l’aria ambiente. 52 Un piccolo studio del 1971 condotto sull’uomo mostrò che durante fasi di respiro a elevate concentrazioni di ossi-geno non specifi cate la risoluzione dello pneumotorace era all’incirca 4 volte più rapida rispetto alle fasi in aria ambiente. 53

Empiema 38 L’empiema è una patologia che dipende dall’infezione batterica dello spazio pleurico normalmente sterile. Quasi due terzi dei pazienti con polmonite sviluppano un “sem-plice”, sterile, versamento pleurico legato al movimento del fl uido interstiziale dal tessuto polmonare infetto allo spazio pleurico. 54 In circa il 10% di questi versamenti pleurici si ha una diffusione batterica a partire dalla pol-monite sottostante e insorge così l’empiema. Altre cause, meno comuni, includono eventi traumatici complicati, chirurgia toracica, pneumotorace o toracentesi diagno-stica. L’infezione batterica del versamento pleurico segue le normali fasi dell’infi ammazione, con la possibile for-mazione di pus a seguito della migrazione di leucociti. Nell’empiema la deposizione di fi brina inizia precoce-mente ed è aggressiva e nel giro di poche settimane viene depositato uno spesso strato di tessuto collagene (chia-mato “corteccia” o “buccia”) in entrambi gli spazi pleu-rici. Se non trattato, tale processo continua fi nché la fi brosi pleurica non provoca la contrazione della parete toracica e del polmone (fi brotorace).

Si sviluppa così una riduzione della funzionalità pol-monare di tipo restrittivo, con un tipico dimezzamento dei normali valori di volume espiratorio forzato in un secondo (FEV

1 ) e della capacità vitale forzata (Forced Vital Capacity, FVC). 55 Un precoce trattamento con terapia antibiotica, fi brinolisi e drenaggio toracico potrebbe limi-tare la progressione del processo fi brotico. 56 Se però que-sta gestione poco invasiva fallisce o se si è già sviluppata una patologia polmonare restrittiva, si rende necessario un intervento più aggressivo come il drenaggio chirurgico o la decorticazione, in cui viene rimosso lo strato di colla-gene depositato sulla pleura, soprattutto quella parietale, consentendo così al polmone di riespandersi. La decorti-cazione si associa a una signifi cativa mortalità e a nume-rose altre complicanze, ma migliora sensibilmente la funzionalità polmonare, 55 sebbene raramente si abbia un ritorno ai normali volumi polmonari. 38

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Fisiologia della malattia polmonareParte | 3 |

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