CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica...

36
59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli Elementi Finiti 3.1 Generalità. Ogni componente strutturale, nel momento in cui è posto in esercizio, possiede dei difetti considerati accettabili che durante il periodo di funzionamento possono accrescersi a causa di meccanismi di degradazione legati alle condizioni di carico o alle proprietà chimico-fisiche dell’ambiente di lavoro (fatica, tearing, tensocorrosione, ecc). Nel momento in cui il difetto raggiunge la dimensione critica, viene compromessa la capacità di sostenere i carichi e si ha la rottura catastrofica dell’elemento strutturale. Carichi affaticanti ed ambienti aggressivi portano ad una crescita delle fessure presenti in un componente. Più grande è il difetto e più grande è la concentrazione delle tensioni all’apice di essa, pertanto la velocità di crescita di una cricca risulta una funzione crescente nel tempo e nei cicli di carico (Figura 3.1(a)). La resistenza di una struttura diminuisce con l’aumentare delle dimensioni di un difetto e può raggiungere un valore tale da non essere più in grado di sopportare i carichi massimi gravanti su di essa arrivando ad una rottura catastrofica. Tale possibilità diviene certezza se la resistenza assume un valore inferiore a quella necessaria per sopportare i carichi di esercizio (Figura 3.1(b)). Figura 3.1 The engineering problem of a crack in a structure

Transcript of CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica...

Page 1: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

59

CAPITOLO 3

Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità

delle Fessure e loro Implementazione agli Elementi Finiti

3.1 Generalità.

Ogni componente strutturale, nel momento in cui è posto in esercizio, possiede dei difetti

considerati accettabili che durante il periodo di funzionamento possono accrescersi a causa di

meccanismi di degradazione legati alle condizioni di carico o alle proprietà chimico-fisiche

dell’ambiente di lavoro (fatica, tearing, tensocorrosione, ecc). Nel momento in cui il difetto

raggiunge la dimensione critica, viene compromessa la capacità di sostenere i carichi e si ha la

rottura catastrofica dell’elemento strutturale. Carichi affaticanti ed ambienti aggressivi portano ad

una crescita delle fessure presenti in un componente. Più grande è il difetto e più grande è la

concentrazione delle tensioni all’apice di essa, pertanto la velocità di crescita di una cricca risulta

una funzione crescente nel tempo e nei cicli di carico (Figura 3.1(a)).

La resistenza di una struttura diminuisce con l’aumentare delle dimensioni di un difetto e

può raggiungere un valore tale da non essere più in grado di sopportare i carichi massimi gravanti

su di essa arrivando ad una rottura catastrofica. Tale possibilità diviene certezza se la resistenza

assume un valore inferiore a quella necessaria per sopportare i carichi di esercizio (Figura 3.1(b)).

Figura 3.1 The engineering problem of a crack in a structure

Page 2: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

60

La Meccanica della Frattura deve fornire dei metodi e criteri per poter dare risposte

quantitative a specifici problemi concernenti la presenza di fessure in componenti strutturali e

determinare le seguenti quantità:

• la resistenza residua della struttura in funzione delle dimensioni della cricca;

• le dimensioni critiche di una fessura (quelle corrispondenti ad una resistenza

residua inferiore a quella necessaria per sopportare i carichi di esercizio);

• il tempo necessario per far crescere una data fessura dalle sue dimensioni originali

a quelle critiche;

• le dimensioni ammissibili delle cricche ad inizio vita;

• il tempo che deve intercorrere tra una ispezione e l’altra della struttura.

3.2 Concetti base di meccanica della frattura lineare elastica.

3.2.1 Il criterio energetico.

Nel caso in cui si trascurino i fenomeni dissipativi, il principio di conservazione

dell’energia stabilisce che il lavoro F fatto dai carichi esterni che agiscono su un corpo debba

essere trasformato in energia di deformazione U :

(3.1) 0=−UF

Il lavoro F compiuto dai carichi esterni vale:

(3.2) ∫= PdsF

essendo P l’intensità del carico ed s lo spostamento del suo punto di applicazione. Nel piano P-s,

tale lavoro è fornito dall’area sottesa dalla curva carico-deformazione. L’energia di deformazione

U si calcola effettuando l’integrazione sul volume della densità di energia. Questa ultima grandezza

è nota una volta conosciuto il tensore delle tensioni σ e quello delle deformazioni ε:

(3.3) Densità di energia di deformazione = ∫ ⋅ εσ d

Se il corpo presenta una fessura, possono verificarsi due condizioni:

• la fessura non avanza;

• la fessura avanza.

Page 3: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

61

Nel primo caso vale ancora l’equazione (2.1). Nel secondo caso, invece, è necessario

correggere l’equazione di bilancio (2.1) introducendo un termine che tenga conto della quantità di

energia spesa nella frattura del materiale. Si supponga che la fessura avanzi di una quantità

infinitesima da. Se si scrive il bilancio di energia facendo riferimento alle variazioni di energia che

si hanno nell’avanzamento della cricca dalla dimensione a a quella a+da , si ottiene la seguente

equazione di bilancio:

(3.4) 0)( =−− WUFdad

che può essere riscritta nella forma:

(3.5) dadWUF

dad

=− )(

Il primo membro dell’equazione (3.5) misura, l’energia rilasciata dal sistema quando la fessura

avanza della quantità da; il termine a secondo membro, invece, indica la quantità di energia W

necessaria per fratturare il materiale della quantità da. Questo criterio energetico stabilito da

Griffith nel 1921 afferma che ‘la progazione di una qualsivoglia fessura avrà luogo se l’energia

rilasciata dal sistema a seguito dell’incremento di lunghezza della cricca è sufficiente a fornire

tutta l’energia richiesta perché avvenga tale incremento di fessura’. Si può dimostrare che il primo

termine dell’equazione (3.5) coincide con l’energia di deformazione immagazzinata nel sistema. A

titolo di esempio, si considerino i due seguenti casi:

• condizioni di controllo di spostamento (displacement control), Figura (3.2 (a));

• condizioni di controllo di carico (load control), Figura (3.2 (b)).

Si assume che in entrambi i casi il materiale possieda un comportamento elastico lineare.

Nel caso di controllo di spostamento, all’avanzamento della fessura corrisponde una

diminuzione del carico applicato che passa dal valore P1 al valore P2 (Figura 3.3). L’aumento della

semilunghezza della fessura della quantità da, infatti, comporta una diminuzione della rigidezza del

sistema e lo stesso spostamento può essere mantenuto con un carico applicato inferiore. L’energia

elastica immagazzinata nel sistema diminuirà di una quantità pari all’area OAB e sarà rappresentata

dal triangolo OBD. In questo caso i carichi esterni applicati alle estremità fisse non compiono

lavoro, pertanto la propagazione della cricca può avvenire solo a spese di un rilascio di energia

elastica del sistema.

Page 4: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

62

Figura 3.2 Cracked plate at a fixed displacement (a) and at a fixed load (b)

Figura 3.3 Fracturing at costant displacement

Figura 3.4 Fracturing at costant load

Page 5: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

63

L’equazione (3.5), pertanto, diventa:

(3.6) dadW

dadU

=− con 0<dadU

Nel caso di controllo di carico, invece, l’avanzamento della fessura avviene a carico P1

costante, cui il lavoro F compiuto da tale forza vale )( 121 δδ −⋅P , dato che le estremità della

piastra subiscono lo spostamento 12 δδ − (Figura 3.4), mentre l’energia di deformazione

immagazzinata dal sistema subisce un incremento pari a

− 2111 2

121 δδ PP . L’equazione (3.5)

assume pertanto la seguente forma:

(3.7) dadWPPP =

−−−⋅ 2111121 2

121)( δδδδ

oppure,

(3.8) dadWP =− )(

21

121 δδ

Ancora una volta, il primo membro della (3.8) rappresenta la variazione dell’energia di

deformazione dadU (in questo caso essa risulta positiva in quanto i carichi esterni compiono

lavoro durante la propagazione della cricca e quindi l’energia elastica del sistema aumenta anziché

diminuire), mentre il secondo membro dell’equazione (3.8) coincide con l’energia richiesta per

avere la frattura del materiale di una quantità da, pari all’area OAE.

Si può quindi concludere che indipendentemente dalle condizioni di carico, l’equazione di

bilancio (3.5) rappresenta il criterio di rottura. Il primo membro è chiamato rateo di rilascio di

energia di deformazione (strain energy release rate) all’apice della fessura o forza motrice della

fessura (dato che ha le dimensioni di una forza per unità di incremento della fessura) e viene

indicato con G. Il secondo membro, invece, esprime l’energia necessaria alla propagazione della

cricca, per questo è chiamato resistenza alla fessurazione (fracture resistance) ed indicato con R. Il

criterio di rottura espresso dall’equazione (3.5), può essere, allora, riscritto in forma sintetica:

(3.9) RG =

Page 6: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

64

Nel caso in cui il materiale abbia comportamento elastico lineare, si può dimostrare che G è

espresso dalla relazione seguente:

(3.10) '

22

EaF

G c πσ=

in cui:

per stato piano di tensione

per stato piano di deformazione

E : modulo di Young del materiale;

ν : coefficiente di Poisson del materiale;

cF : è un fattore che dipende dalla geometria considerata e dalle condizioni di carico;

σ : è la sollecitazione applicata al corpo in direzione normale alla superficie di frattura;

a : semilunghezza della frattura.

Sostituendo la (3.10) nella (3.9), tenendo conto che εσ ='E (legge di Hook), si ottiene:

(3.11) RaFc =πσε2

L’equazione (3.11), stabilisce il criterio di rottura del materiale. Tale criterio, tuttavia,

fornisce risultati corretti solamente se il materiale mantiene un comportamento elastico lineare

(come nel caso di materiali fragili o ad alta resistenza) nella zona circostante la fessura. Se il

fenomeno di frattura, invece, è accompagnato da notevoli deformazioni plastiche (come avviene

per materiali molto duttili), non è più possibile effettuare un’analisi di tipo elastico e bisogna far

ricorso agli strumenti messi a disposizione dalla meccanica della frattura elasto-plastica (EPFM).

Una rappresentazione grafica del criterio energetico di rottura, si ha ponendo in ordinata le

grandezze G e R e suddividendo l’asse delle ascisse in due parti, a sinistra dell’origine si pone la

lunghezza delle cricche e a destra si pongono gli incrementi di lunghezza delle cricche (Figura 3.5).

Fissando un valore a1 della cricca ed una tensione σ2, il valore di G è rappresentato dal punto F. Per

la cricca a1, al variare della tensione fra 0 e σ2, G varia da O a F. Aumentando la tensione a σ1, G

raggiunge il punto H in cui uguaglia la resistenza a fessurazione, R. La propagazione della fessura

sotto tensione σ1 avviene lungo la linea HK in corrispondenza della quale G risulta sempre

maggiore di R. Una fessura a2>a1, sollecitata da una tensione variabile da 0 a σ2, ha valori di G che

=

21

'

νE

EE

Page 7: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

65

variano da 0 a H (le linee LF e MH corrispondenti allo stesso valore di tensione sono parallele); ad

H si ha l’inizio di propagazione della fessura che proseguirà lungo la linea HN.

Figura 3.5 Graphical representation of instability energy criterion

Il tasso di rilascio di energia G assume lo stesso valore sia nel caso di loading control

(estremità libere) sia nel caso di displacement control (estremità fisse), ma solo all’inizio della

propagazione della fessura. Nella fase di ulteriore accrescimento della cricca, l’andamento di G è

lineare solo nel caso di carico costante mentre nel caso di spostamento controllato G può diminuire

all’aumentare di a, in seguito alla diminuzione della tensione (G aumenta in funzione di a con

legge lineare) (Figura 3.6).

Figura 3.6 Difference in G for fixed grip and costant load conditions beyond instability

La resistenza alla fessurazione R nel caso di plane strain risulta indipendente dalla

lunghezza della cricca assumendo così il valore costante di GIC , mentre sperimentalmente è stato

dimostrato che nel caso di plane stress essa varia con legge monotona crescente all’aumentare

dell’incremento del difetto (Figura 3.7).

Ponendoci in condizioni di plane stress, considerando una cricca a1 e una tensione σ1,

l’energia G è rappresentata dal punto B. Con tensione costante all’avanzamento della fessura

l’energia di deformazione varia lungo la retta BH, ma essendo i valori di G sempre inferiori a R,

non si potrà avere propagazione della cricca. La tensione deve aumentare fino a σc, per cui la cricca

aumenta assumendo il valore ac e G assume il valore rappresentato dal punto D, per il quale si ha la

Page 8: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

66

propagazione instabile della fessura (la retta DF risulta sempre maggiore di R. In D sono verificate

le seguenti relazioni che esprimono il criterio energetico della rottura in condizioni di stato piano di

tensione: aRaGC ∂∂=∂∂ e RGC = dove GC è l’energia critica a frattura.

Figura 3.7 Trend of R-curve for plane strain and plain stress

Questo criterio energetico è un ottimo strumento per la valutazione del comportamento alla

fessurazione di un dato materiale e di semplice applicazione. Chiaramente la sua messa in pratica

richiede la conoscenza di una opportuna espressione analitica di R o una sua valutazione per via

sperimentale. Questo metodo di semplice implementazione grafica consente una valutazione del

comportamento post-instabilità di una fessura e del suo possibile arresto.

3.2.2 Stato di Tensione all’apice di una fessura.

Per varie configurazioni di difetti soggetti a carichi esterni è possibile ricavare espressioni

semplici e compatte per descrivere lo stato di sollecitazione nel componente, assumendo un

comportamento del materiale lineare elastico. Definendo un sistema di riferimento polare centrato

nell’apice della fessura (Figura 3.8), si può dimostrare che lo stato di tensione è descritto dalla

seguente espressione:

(3.12) ( ) ( ) ( )θθσ mij

m

m

mijij grAfr

K ∑∞

=

+

=

0

2

in cui, ijσ è il tensore degli stress, r e θ sono definiti in Figura 3.8, K è una costante e ijf è una

funzione adimensionalizzata. I termini di ordine più elevato dipendono dalla geometria, ma la

soluzione per una qualsiasi configurazione di difetto è pilotata dal termine proporzionale a r1 .

Per 0→r , in prossimità dell’apice, il primo termine tenderà all’infinito mentre gli altri termini

saranno trascurabili. L’equazione (3.12) presenta quindi una singolarità in 0=r .

Page 9: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

67

Figura 3.8 Definition of the coordinate axis ahead of a crack tip

Una fessura contenuta in un materiale può essere sollecitata secondo tre differenti tipi di

carico, come illustrato in Figura 3.9:

• Opening mode (Modo I), sono le tensioni normali al piano della fessura ad

originare gli spostamenti dei lembi;

• Sliding mode (Modo II), sono le tensioni tangenziali nel piano della fessura stessa

ad originare lo spostamento dei lembi in direzione ortogonale al bordo di attacco;

• Tearing mode (Modo III), sono le tensioni tangenziali fuori dal piano della fessura

ad originare lo spostamento dei lembi in direzione parallela al bordo di attacco.

La sovrapposizione dei tre modi descrive un qualsiasi problema di fessurazione.

Figura 3.9 The three modes pf loading that cam be applied to a crack

Espressioni dettagliate della singolarità dello stato di sollecitazione per i tre Modi di rottura

sono riportati in Tabella 3.1 e Tabella 3.2, mentre le relazioni sugli spostamenti per i primi due

modi sono riportati in Tabella 3.3.

Mode I Mode II

xxσ

23sin

2sin1

2cos

2θθθ

πrK I

+

23cos

2cos2

2sin

2θθθ

πrK II

yyσ

+

23sin

2sin1

2cos

2θθθ

πrK I

23cos

2cos

2sin

2θθθ

πrK II

xyτ

23cos

2sin

2cos

2θθθ

πrK I

23sin

2sin1

2cos

2θθθ

πrK II

zzσ 0 (Plane Stress)

( )yyxx σσν + (Plane Strain) 0 (Plane Stress)

( )yyxx σσν + (Plane Strain)

xzτ , yzτ 0 0 Tabella 3.1 Stress fields ahead of a crack tip for Mode I and Mode II

Page 10: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

68

−=

2sin

πτ

rK III

xz

=

2cos

πτ

rK III

yz

−=

2sin

πµrK

u IIIz

Tabella 3.2 Non-zero stress and displacement components in Mode III

Mode I Mode II

xu

+−

2sin21

2cos

222 θκθ

πµrK I

++

2cos21

2sin

222 θκθ

πµrK II

yu

−+

2cos21

2sin

222 θκθ

πµrK I

−−

2sin21

2cos

222 θκθ

πµrK II

µ shear modulus νκ 43−= plane strain

( ) ( )ννκ −−= 13 plane stress Tabella 3.3 Crack tip displacement fields for Mode I and Mode II

Considerando la sola singolarità generata dal Modo I di rottura sul piano contenente la

fessura (θ = 0), le componenti di tensione lungo le direzioni x e y sono identiche come risulta dalla

Tabella 3.1:

(3.13) r

K Iyyxx π

σσ2

==

In Figura 3.10 è schematicamente rappresentata la componente normale al piano della fessura in

funzione della distanza dall’apice della fessura. L’equazione (3.13) ha validità in prossimità del

difetto in corrispondenza del quale la singolarità r1 domina il campo di tensioni. Le tensioni

lontane dal difetto sono governate dalle condizioni di carico applicate in posizione remota al punto

di localizzazione della fessura, per cui la tensione tenderà ad un valore finito ∞σ (per ∞→r

occorre considerare tutti i termini della serie (3.12)). Il fattore KI è noto come fattore di

intensificazione delle tensioni (SIF) per il modo di rottura I. L’intero stato di sollecitazione

all’apice di una fessura è univocamente determinato nel momento in cui risulta noto il fattore

dimensionale KI. che definisce l’ampiezza della singolarità all’apice. Una volta noto questo fattore

è possibile conoscere tensioni, deformazioni e spostamenti come funzione di r e θ.

Page 11: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

69

Figura 3.10 Stress normal to the crack plane in Mode I

L’utilizzo di un singolo parametro per caratterizzare gli effetti che una fessura ha su un

dato componente è una delle principali prerogative della meccanica della frattura. La rottura avrà

luogo allorquando KI raggiunge un valore critico KIC, parametro tipico del materiale in esame

ottenute da prove in stato piano di deformazione. In generale il fattore di concentrazione delle

tensioni assumerà la seguente espressione:

(3.14) aFK CI πσ=

in cui cF è un fattore che dipende dalla geometria considerata (forma del difetto e sua posizione

nel componente) e dalle condizioni di carico. Tramite l’espressione (3.14) è possibile correlare il

fattore di intensificazione delle tensioni con il tasso di rilascio dell’energia elastica all’apice della

fessura. Sostituendo la (3.14) nella (3.10) si ottiene:

(3.15)

( )

=

EK

EK

GI

I

I2

2

2

1 ν

In letteratura sono disponibili diverse correlazioni del fattore di intensificazione in

relazione alla forma del difetto, alla sua posizione nel componente in esame e alle condizioni di

carico. Per una fessura semiellittica superficiale, che generalmente è presa in considerazione in fase

di progetto nella normativa ASME III per la verifica di un componente alla fessurazione, le

correlazioni più attendibili sono risultate quelle di Raju & Newman. Su risultati ottenuti agli

elementi finiti riuscirono ad ottenere correlazioni empiriche che fossero in grado di descrivere lo

stato di sollecitazione lungo il fronte della fessura semiellittica (APPENDICE B).

Plane Stress

Plane Strain

Page 12: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

70

La determinazione dello Stress Intensification Factor può essere eseguita tramite il metodo

della Weight Function. Tale metodo è basato sul principio di sovrapposizione e vale unicamente

nell’ambito della meccanica della frattura lineare elastica. Il metodo deriva dall’osservazione che

differenti condizioni di carico possono determinare lo stesso SIF.

Se le equazioni sono lineari possiamo immaginare lo schema di sovrapposizione degli effetti

evidenziato nella precedente Figura. Come si nota nella immagine (b) la cricca può essere

virtualmente eliminata applicando ai lembi il carico di compressione s; tale carico (nella zona in cui

si trova il difetto) è uguale e di segno opposto al carico applicato alla piastra senza cricca

(immagine (a)); quest’ultimo carico è detto “carico o tensione nominale”. Si noti che per le due

piastre le condizioni al contorno sono le stesse. Il metodo prevede quindi che il valore del KI possa

essere determinato con una relazione del tipo indicato:

(3.16) ( )∫ ⋅=a

I dxxaxHK2

0)(, σ

Nella relazione integrale ( )xσ è la tensione nominale e ( )axH , è una opportuna funzione della

sola geometria del difetto (in particolare della lunghezza a della cricca) denominata Weight

Function (WF). Anche in questo caso esistono varie correlazioni in letteratura che consentono di

definire lo stato di tensione all’apice di un difetto partendo dalla distribuzione effettiva della

tensione nel componente integro, privo di fessure.

3.2.3 Plasticizzazione all’apice di una fessura.

La soluzione elastica dello stato di tensione nella zona adiacente alla fessura mostra una

discontinuità all’apice di essa. Le tensioni tendono all’infinito per r tendente a zero ma in realtà la

tensione sarà limitata dalla tensione di snervamento del materiale. Pertanto si svilupperanno

deformazioni plastiche all’apice della fessura tali da generare una completa ridistribuzione delle

tensioni. E’ possibile arrivare ad una stima delle dimensioni di tale zona plastica considerando i

Page 13: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

71

casi di stato piano di tensione e quello di deformazione prendendo a riferimento lo stato di tensione

generato in direzione normale al piano contenente la fessura descritto dall’espressione (3.13).

Figura 3.11 A first approximation to the crack tip plastic zone

In condizioni di plane stress la condizione di snervamento si verifica nel momento in cui la

tensione uniassiale di snervamento del materiale uguaglia la componente normale, YSy σσ = .

Sostituendo la YSσ nell’equazione (3.13) è possibile arrivare alla stima della distanza ry dall’apice

della fessura in cui la yσ supera la tensione di snervamento.

(3.17) 2

21

=

YS

Iy

Krσπ

Se sono trascurabili gli effetti di incrudimento del materiale (comportamento elastico perfettamente

plastico) la distribuzione delle tensioni per yrr ≤ può essere rappresentata da una linea orizzontale

in corrispondenza allo snervamento come illustrato in Figura 3.11. Dalla Figura si evince

chiaramente che la procedura adottata non è rigorosamente corretta perché si fonda sull’assunzione

di una soluzione elastica. Nel momento in cui si ha lo snervamento, le tensioni dovranno subire una

ridistribuzione per soddisfare l’equazione dell’equilibrio globale sul componente. A seguito do ciò

è chiaro che l’effettiva zona plastica dovrà essere più grande di ry dal momento che il carico

rappresentato dall’area tratteggiata in Figura 3.11. deve essere in qualche modo equilibrato. Questo

può essere realizzato se si estende la zona plastica in corrispondenza dell’apice della fessura come

mostrato in Figura 3.12. Un semplice bilancio di force porta alla stima dell’effettiva dimensione

della regione plastica assunta di forma circolare in prima approssimazione:

(3.18) ∫∫ ==yy r

Ir

ypYS drr

Kdrr

00 2πσσ

Page 14: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

72

da cui:

(3.19) 2

1

=

YS

Ip

Kr

σπ quindi yp rr 2=

Figura 3.12 First-order and second-order estimates of plastic zone size

Riferendoci alla Figura 3.12, si può notare che la ridistribuzione della tensione nella zona elastica è

più alta di quella predetta dall’equazione (3.13), richiedendo un più alto fattore di concentrazione

delle tensioni, Keff. Irwin dimostrò che la plasticizzazione può essere considerata come un

incremento fittizio delle dimensioni della cricca, Figura 3.13. La plasticizzazione all’apice della

cricca determina deformazioni maggiori e rigidezza minori rispetto al caso elastico, il componente

strutturale si comporta come se essa contenesse una fessura di dimensioni maggiori rispetto a

quelle reali. Irwin dimostrò che una buona approssimazione del Keff è ottenuta ponendo l’apice

dell’effettiva fessura considerata nel centro della regione di plasticizzazione. In definitiva la

lunghezza effettiva della cricca risulta:

(3.20) yeff raa +=

il valore dell’effettivo fattore di intensificazione degli sforzi è ottenuto inserendo la dimensione

effettiva della fessura nell’espressione generale (3.14):

(3.21) ( ) effeffCeff aaFK πσ=

un processo iterativo sarà necessario per ottenere il valore esatto partendo dal SIF calcolato in

assenza di plasticizzazione; tramite le equazioni (3.17) e (3.20) sarà possibile riaggiornale le

dimensioni del difetto e continuare ad iterare per arrivare a convergenza.

Page 15: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

73

Figura 3.13 The Irwin plastic zone correction

In condizioni di stato piano di deformazione lo snervamento è raggiunto con uno stato

triassiale di tensione e in definitiva la correzione della zona di plasticizzazione sarà più piccola di

un fattore pari a tre:

(3.22) 2

61

=

YS

Iy

Kr

σπ

Per stimare la dimensione della zona in cui si ha la plasticizzazione del materiale all’apice

del difetto si è considerato solo lo stato di tensione che si ha per θ = 0, lungo il piano della fessura.

E’ possibile stimare l’estensione della regione plasticizzata per tutti i valori di angolo di

inclinazione applicando un opportuno criterio di snervamento unito alle equazioni riportate nelle

Tabelle 3.1-3.2. Consideriamo il classico criterio di Von Mises per definire i limiti della regione di

snervamento:

(3.23) ( ) ( ) ( )[ ] 212

322

312

2121 σσσσσσσ −+−+−=e

dove, eσ è la tensione equivalente e 321 ,, σσσ sono le tre componenti principali del tensore degli

sforzi. Secondo il criterio di Von Mises, lo snervamento ha inizio nel momento in cui è verificata

l’uguaglianza tra YSe σσ = . Sostituendo, per esempio, lo stato di tensione del Modo I di rottura,

riportato in Tabella 3.1, nell’equazione precedente e risolvendo in r, si ottiene la stima del raggio

della zona snervata in funzione dell’angolo θ.

(3.24) ( )

++

= θθ

σπθ 2

2

sin23cos1

41

YS

Iy

Kr per plane stress

Page 16: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

74

(3.25) ( ) ( ) ( )

++−

= θθν

σπθ 22

2

sin23cos121

41

YS

Iy

Kr per plane strain

Le equazioni (3.24) e (3.25), rappresentate in Figura 3.14 e Figura 3.15, definiscono

approssimativamente il confine tra il comportamento elastico e quello plastico del materiale. Le

precedenti equazioni non sono tuttavia rigorosamente corrette perché si fondano su un’analisi

puramente elastica non considerando la ridistribuzione delle tensioni.

Figura 3.14 Effect of thickness on plastic zone shape

Figura 3.15 Dimensionless plastic zone shapes from the Von Mises yield criterion

Page 17: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

75

3.3 Concetti base di meccanica della frattura elasto-plastica.

3.3.1 Il criterio energetico.

Per i materiali duttili è presente una deformazione plastica all’apice della fessura. Per

questi materiali la propagazione di un difetto richiede la formazione di una zona plastica al nuovo

apice. L’energia associata a tale plasticizzazione può essere considerata l’energia necessaria per la

propagazione della fessura. Per questi motivi la resistenza alla fessurazione R è essenzialmente

l’energia di deformazione plastica mentre il contributo di energia per la formazione delle superfici

di frattura risulta praticamente trascurabile.

Se il fenomeno di frattura, invece, è accompagnato da notevoli deformazioni plastiche

(come avviene per materiali molto duttili), non è più possibile effettuare un’ analisi di tipo elastico

e bisogna far ricorso agli strumenti messi a disposizione dalla meccanica della frattura elasto-

plastica (EPFM). In EPFM, il criterio di rottura del materiale è fornito da una relazione

formalmente simile alla (3.11):

(3.26) RJaH =σε

dove H è un fattore (detto funzione di influenza) che riveste lo stesso ruolo del termine π2cF

nell’equazione (3.11) (e dipende oltre che dalla geometria e dalle condizioni di carico anche dalle

proprietà del materiale) e JR rappresenta la resistenza alla frattura del materiale. In EPFM, inoltre,

la forza motrice della fessura si indica con J anziché con G, per cui la relazione (3.26) può

assumere la forma equivalente riportata di seguito:

(3.27) RJJ =

l’equazione (3.27) riveste lo stesso ruolo della (3.9).

Per poter impiegare l’equazione (3.27) in analisi di meccanica della frattura elasto-plastica,

è necessario conoscere il legame esistente tra σ ed ε per il materiale in esame. In linea di principio,

tale legame può essere descritto da qualsiasi relazione in grado di rappresentare l’andamento della

curva sperimentale tensione-deformazione del materiale. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, si

effettua il fit della curva sperimentale ricorrendo ad una legge di potenza nota come legge di

Ramberg-Osgood (R-O), (cfr. Paragrafo 3.3.3).

(3.28) FE

nσσε +=

Page 18: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

76

A questo punto, sfruttando il legame tra tensioni e deformazioni fornito dalla relazione di R-O, è

possibile riformulare il criterio di rottura fornito dall’equazione (3.26) nel modo seguente:

(3.29) R

nJa

FHa

EHaH =+=

+12 σσσε

Il primo termine a primo membro dell’equazione (3.29), rappresenta il contributo alla variazione di

energia di deformazione dovuto alla parte lineare della curva tensione-deformazione (il confronto

con l’espressione di G fornita dal primo membro della equazione (3.10), indica che nel caso

elastico n=1, F=E’ e 2CFH π= ), mentre il secondo termine a primo membro dell’equazione (3.29)

rappresenta il contributo alla variazione di energia di deformazione dovuto alla parte non-lineare

della curva tensione-deformazione. Tenendo conto della (3.10), la (3.29) diventa:

(3.30) R

nc J

FaH

EaF

=++122

'σπσ

In EPFM, il secondo termine a primo membro della (3.30) viene indicato con Jpl, dove pl sta ad

indicare la componente plastica del J, per cui la relazione precedente può essere riscritta nella

forma seguente:

(3.31) Rpl JJG =+

Inoltre, è uso comune porre G=Jel, dove el sta ad indicare la componente elastica del J per cui

l’equazione (3.31) diventa:

(3.32) Rplel JJJ =+

Generalmente si pone J=Jel+Jpl. La relazione (3.31) costituisce il criterio di frattura impiegato in

EPFM. Tuttavia, per risolvere la (3.30), è necessario disporre di una relazione che descriva la

tenacità alla frattura del materiale determinata generalmente per via sperimentale. Nel caso in cui

Jel sia molto più piccolo di Jpl il primo termine dell’equazione (3.30) può essere trascurato e la

tensione di frattura può essere calcolata direttamente:

(3.33) ( )1

1+

=

nR

f HaFJ

σ

Page 19: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

77

mentre nel caso elastico risulta:

(3.34) 2

1

2'

=

aFRE

Cf π

σ

in accordo al criterio energetico per materiale a comportamento puramente lineare (cfr. Paragrafo

3.3.1). I fattori geometrici FC e H, indispensabili per poter risolvere qualsiasi problema di

meccanica della frattura, si possono calcolare utilizzando opportune relazioni disponibili in

letteratura. Il fattore geometrico elastico FC è stato calcolato per varie geometrie e condizioni di

carico e su espressioni sono riportate in vari manuali. Il fattore geometrico plastico dipende oltre

che dalla geometria in esame e dalle condizioni di carico, dall’esponente n dell’equazione di R-O.

Per i materiali molto duttili, la resistenza alla frattura JR tende a crescere durante l’evolversi

del processo di frattura (Figura 3.16). Questo fatto consente l’avvio di fenomeni di frattura stabile,

dato che la fessura è costretta ad arrestare la sua avanzata nel momento in cui la forza motrice

diventa più piccola dell’energia necessaria alla frattura JR. La frattura può, quindi, crescere

lentamente e stabilmente fino al raggiungimento di una condizione critica in cui si verifica una

propagazione rapidissima ed incontrollabile. Il fenomeno di crescita della frattura ha inizio nel

momento in cui RJJ = . Perfino in EPFM il criterio energetico può essere opportunamente

rappresentato per via grafica. Fissata la dimensione della fessura, è possibile disegnare una famiglia

di curve variando la tensione σ nell’equazione (3.30), come illustrato nella seguente Figura.

Figura 3.16 J-curves for different stresses and typical trend of JR-curve

Page 20: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

78

Alla tensione σa il valore di J(a) è quello corrispondente al punto A. Quest’ultimo si trova più in

basso del punto B e quindi J risulta minore di JR. La frattura non può avanzare. Un innalzamento

della tensione al valore σi, porta J(a) al punto B. Adesso J=JR e la cricca può propagare. Ma essa è

stabile, dato che, se la tensione rimane pari al valore σi, J si porta in C e JR in D e l’avanzamento

della fessura deve arrestarsi. Affinché la frattura possa avanzare è necessario portare la

sollecitazione a σb , in modo da spostare il valore di J(a) nel punto D. In questa fase la cricca cresce

stabilmente da a ad a+∆ab . Ulteriori incrementi di tensione comportano una crescita stabile della

cricca, per cui il processo di frattura risulta ancora sotto controllo. In questa fase è sufficiente

mantenere la sollecitazione costante per scongiurare una rottura catastrofica del componente. Nel

caso in cui, però, la sollecitazione raggiunga σfr , J(a) si porta in E e la frattura può propagarsi in

maniera instabile. Ad un ulteriore incremento della cricca, infatti, J continua a mantenersi più

elevato di JR. La condizione di instabilità, quindi, si verifica nel momento in cui si raggiunge una

condizione di tangenza tra la curva J(a) e la curva JR :

(3.35) ( ) ( )

=

=

ii a

R

a

iRi

dadJ

dadJ

aJaJ

Il sistema di equazioni (3.35) è frequentemente riportato in letteratura in una forma diversa.

Moltiplicando ambo i membri della seconda equazione per 2YSE σ , dove E è il modulo di Young

del materiale e YSσ è la tensione di snervamento, si ottiene:

(3.36) da

dJEdadJE R

YSYS22 σσ

=

in cui, il primo membro viene comunemente indicato con Tapp, applied tearing modulus, mentre il

secondo con TR, dove il pedice R indica il valore di J sulla curva di resistenza alla fessurazione. In

Figura 3.17 viene schematicamente illustrata una tipica curva JR per materiali a comportamento non

lineare. Nei primi istanti della deformazione all’apice di un difetto, la curva R è pressoché verticale.

Come aumenta il valore di J, il materiale all’apice inizia localmente a fessurarsi e il difetto avanza.

Dal momento che l’andamento di R è monotono crescente, l’iniziale avanzamento del difetto è

stabile ma condizioni di instabilità possono essere incontrati con incrementi di carico. L’indice di

misura della tenacità a frattura, JIC, è definito in prossimità del punto di inizio crescita della

frattura. Questo indice ci fornisce alcune informazioni sul comportamento a frattura di un materiale

duttile. La pendenza della curva ad un dato valore dell’estensione del difetto è un indice della

relativa stabilità del fenomeno di avanzamento; in un materiale con una ripida curva risulterà meno

Page 21: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

79

probabile una propagazione instabile della cricca. E’ proprio il fattore dimensionale TR a

quantificare la pendenza della curva di resistenza alla fessurazione.

Figura 3.17 Schematic J resistance curve for a ductile material

Le condizioni che governano la stabilità nei materiali elasto-plastici sono virtualmente

identici al caso elastico presentato nel paragrafo 3.3.1. La instabilità si verifica nel momento in cui

l’andamento della driving force J risulta tangente alla R-curve. La condizione di load control (la

sollecitazione non diminuisce una volta che la frattura inizia a propagarsi) generalmente risulta

meno stabile della condizione displacement control, dal momento che in quest’ultima situazione

una crescita della fessura è accompagnata da una diminuzione dello stato di tensione e quindi può

accadere che la forza motrice diventi minore della forza resistente JR causando l’arresto

dell’accrescimento della fessura.. In controllo di spostamento, quindi, il fenomeno di instabilità è

influenzato anche dalle proprietà del sistema in esame. In definitiva la condizione di una

propagazione stabile è espressa dalle seguenti relazioni:

(3.37) RJJ = e Rapp TT ≤

La propagazione instabile si verifica quando:

(3.38) Rapp TT >

La curva JR è solitamente ricavata sottoponendo campioni del materiale in esame a prove di

Compact Tension. Essa può essere convenientemente schematizzata utilizzando la legge di potenza

seguente:

Page 22: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

80

(3.39) ( )m

ICR raCJaJ

∆+=∆

dove:

a∆ è la variazione di lunghezza della cricca durante la fase di accrescimento;

ICJ è la tenacità di inizio frattura;

mC, sono parametri ricavati da un fit dei dati sperimentali;

r è un parametro di normalizzazione.

3.3.2 Il J-Integral.

Il tasso di rilascio di energia di deformazione in materiali a comportamento non lineare può

essere univocamente identificato da un integrale di linea lungo un percorso qualsiasi che racchiude

l’apice di una fessura. Rice fu il primo ad applicare il metodo di integrazione su un contorno a

problemi di meccanica della frattura e giunse a dimostrare che quell’integrale, chiamato J, era per

l'appunto il tasso di rilascio di energia in componenti ad elasticità non lineare contenenti difetti.

Come vedremo nel seguente paragrafo il J è anche un parametro che caratterizza univocamente lo

stato di tensione e deformazione, comportandosi come parametro di concentrazione delle tensioni.

Consideriamo il seguente integrale:

(3.40) ∫Γ

∂∂

−= dsxu

TWdyJ ii

essendo:

Γ tracciato chiuso percorso in senso antiorario che racchiude l’apice della cricca (Figura 3.18 (A));

jiji nT σ= la componente i-esima del tensore degli sforzi diretto secondo la normale esterna;

iu la componente i-esima del vettore spostamento;

ds un elemento infinitesimo del tracciato Γ;

∫=ij

ijij dWε

εσ0

l’energia di deformazione per unità di volume.

Rice arrivò a dimostrare che il valore del J integral è indipendente dal tracciato di integrazione

scelto attorno all’apice, basandosi sulla proprietà di J di essere nullo per ogni contorno chiuso Γ.

Page 23: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

81

Figura 3.18 Contour integrals. (A) Elastic body; (B) Body with crack; (C) Path

independence contour

Consideriamo un contorno chiuso ABCDEFA intorno all’apice di una fessura (Figura 3.18

(B)). Sui lati CD e FA, che costituiscono i lembi della cricca, il tensore T è nullo e dy=0 (il difetti si

considerano appuntiti), pertanto il contributo di queste parti all’integrale risulta nullo. Il contributo

di ABC=Γ1 deve essere uguale e contrario al contributo di FED=Γ2 ,per la proprietà suddetta

dell’integrale J. Ciò significa che se l’integrale J è calcolato su Γ1, il suo valore è identico a quello

ottenibile calcolandolo su Γ2 con direzione antioraria. Ossia 21 ΓΓ = JJ , l’integrale è indipendente

dal percorso, perché le estremità sono sui lembi della cricca (Figura 3.18 (C).

Nel caso di materiale a comportamento lineare elastico, il J integral può essere valutato

considerando la soluzione elastica del campo di tensione all’apice della fessura. Rice dimostrò che

il suddetto integrale è uguale al tasso di rilascio di energia elastica G.

(3.41) dadUGJ −==

per il caso elastico il J può essere messo in relazione al fattore di intensificazione delle tensioni

come nelle (3.15) per il Modo I di carico:

(3.42)

( )

=

EK

EK

JI

I

22

2

1 ν

Plane Stress

Plane Strain

Page 24: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

82

L’integrale J è pertanto una relazione generalizzata del rilascio di energia dovuta alla

propagazione della cricca ed è valido anche se c’è una apprezzabile plasticizzazione all’apice di

essa. Infatti essendo J indipendente dal percorso di integrazione, questo può essere scelto

convenientemente (ad esempio lungo gli spigoli del provino) in zone in cui la soluzione è

certamente elastica. L’integrale J è uno strumento relativamente semplice per caratterizzare

univocamente il comportamento di un materiale duttile in presenza di difetti e permette di definire

in tal modo un criterio di stabilità o meno alla propagazione.

3.3.3 Stato di Tensione all’apice di una fessura.

Il parametro energetico J può essere usato anche per caratterizzare lo stato di tensione in

prossimità di una fessura nei materiali elasto-plastici. L’utilizzo di questo parametro come un

fattore di concentrazione delle tensioni è da attribuire a Hutchinson, Rice e Rosengren.

Per descrivere il comportamento non lineare dei materiali duttili assunsero una legge di

potenza tra tensioni e deformazioni plastiche simile a quella mostrata nell’equazione (3.28) dove il

primo termine a secondo membro rappresenta la componente elastica di deformazione elε

(contributo elastico dovuto alla legge di Hook), mentre il secondo termine a secondo membro

rappresenta la componente plastica plε di deformazione. L’impiego dell’equazione (3.28)

permette di ottenere dei fits accurati della curva sperimentale tensione-deformazione per materiali

incrudenti. La legge di Ramberg-Osgood (R-O) costituisce un’estensione di tale legge che permette

di modellare anche la regione plastica della curva tensione-deformazione. Nella legge R-O, la

deformazione plastica del materiale è espressa dalla relazione seguente:

(3.43) F

n

plσε =

in cui il termine n è chiamato “strain hardening exponent”, F prende il nome di modulo plastico.

L’equazione R-O è stata sviluppata per descrivere il legame esistente tra tensioni e

deformazioni effettive del materiale; tuttavia tale relazione può essere utilizzata anche per

descrivere il legame tra tensioni e deformazioni ingegneristiche purchè il campo di validità rientri

nei limiti del valore massimo della tensione ingegneristica. In letteratura è possibile trovare forme

diverse per l’equazione (3.28) di R-O [28]; di seguito si riporta l’espressione più comunemente

utilizzata per descrivere il campo di tensione:

(3.44) n

OOO

+=

σσα

σσ

εε

Page 25: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

83

in cui, Oσ è la tensione presa a riferimento che di solito è assunta pari a quella di snervamento,

YSσ ; EOO σε = ; α è una costante adimensionale; n è l’esponente di deformazione plastica.

Hutchinson, Rice e Rosengren dimostrarono che sia le tensioni che le deformazioni devono

avere un andamento r1 in prossimità dell’apice di una fessura per garantire l’indipendenza dal

tracciato considerato per il J-integral. Nelle vicinanze di un difetto, ben all’interno della regione

plastica, le deformazioni elastiche sono trascurabili dato che il loro contributo alla deformazione

totale è piccolo, in tal modo la relazione tra tensioni e deformazioni si riduce ad una semplice legge

di potenza come la (3.44). Queste due condizioni implicano la seguente formulazione per tensioni e

deformazioni all’apice:

(3.45) 1

2

11

1

+

+

=

=

nn

ij

nij

rJk

rJk

ε

σ

dove, k1 e k2 sono costanti di proporzionalità. Per materiali a comportamento lineare elastico (n=1),

le equazioni (3.45) predicono la singolarità r1 , le formulazioni risultano pertanto consistenti

con la teoria LEFM (cfr. Paragrafo 3.2.2).

La distribuzione effettiva delle tensioni e delle deformazioni è ottenuta applicando

opportune condizioni al contorno. Le seguenti equazioni descrivono lo stato di sollecitazione e

rappresentano il cosiddetto modello HRR:

(3.46) ( )θσασ

σσ ,~11

2 nrI

EJij

n

nOOij

+

=

(3.47) ( )θεασ

ασε ,~1

2 nrI

EJE ij

nn

nO

Oij

+

=

in cui, In è una coctante di integrazione che dipende da n (Figura 3.19); ijσ~ e ijε~ sono funzioni

dimensionali in n e θ (Figura 3.20).Questi parametri dipendono anche dallo stato di sollecitazione

(es. plane stress o plane strain ). Le due equazioni precedenti descrivono la cosiddetta singolarità

HRR. L’integrale J definisce l’ampiezza di questa singolarità caratterizzando completamente le

condizioni all’interno della regione plastica, come il fattore di intensificazione delle tensioni per la

Page 26: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

84

LEFM. Un componente strutturale con una piccola zona snervata presenta due zone a diverse

andamento: uno nella regione elastica dove le tensioni variano come r1 e uno nella regione

plastica dove le tensioni variano come ( )11 +− nr .

Figura 3.19 Effect of the strain hardening exponent on the HRR integration constant

Figure 3.20 Angular variation of dimensionless stress for n=3 and n=13

La singolarità HRR presenta la stessa apparente anomalia della singolarità LEFM: le

tensioni tendono all’infinito per r tendente a zero. Le macroscopiche deformazioni all’apice della

fessura provocano l’arrotondamento del difetto che riduce localmente lo stato di tensione triassiale.

L’apice arrotondato della fessura è una superficie libera, per cui la componente x della tensione

deve annullarsi. L’analisi che porta alla singolarità HRR si fonda sulla teoria delle piccole

deformazioni e cade in difetto per deformazioni più grandi del 10%. La componente normale alla

superficie contenente la fessura raggiunge il suo picco quando Jx Oσ è approssimativamente pari

all’unità e diminuisce per 0→x ; la singolarità HRR non è più valida all’interno di questa regione

dove il campo di tensione è influenzato dalle deformazioni macroscopiche e dall’arrotondamento

Page 27: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

85

della fessura (Figura 3.21). In Figura 3.22 vengono schematicamente illustrati gli effetti della

plasticizzazione sulle tensioni in prossimità dell’apice.

Figura 3.21 Blunting causes the stresses to deviate from the HRR solution

Figura 3.22 Effect of plasticity on the crack tip stress fields

Page 28: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

86

3.4 Implementazione agli Elementi Finiti.

3.4.1 Cenni sul codice strutturale MSC.Marc.

Nel presente lavoro di Tesi la modellazione agli elementi finiti dei problemi di meccanica

della frattura è stata condotta con il codice strutturale MSC.Marc2001.

Il codice MSC.Marc, sviluppato dalla MSC.Software Corporation (Santa Ana, California, USA), è

un codice tridimensionale che utilizza la tecnica degli elementi finiti per discretizzare un dominio

solido di forma qualsiasi. Il metodo degli elementi finiti (FEM = Finite Element Method) consente

di determinare la soluzione numerica approssimata di un sistema di equazioni differenziali

mediante la risoluzione di un sistema di equazioni algebriche, solitamente lineari, equivalenti. Il

metodo rappresenta un potente strumento di analisi strutturale che consente lo studio di strutture

complesse comunque vincolate e caricate. Nel caso di un mezzo elastico, che occupa un

determinato dominio, le incognite sono rappresentate dalle componenti di spostamento del generico

punto del continuo, che devono soddisfare opportune equazioni differenziali all'interno del dominio

(equazioni di equilibrio indefinite, equazioni di congruenza, legame costitutivo) e sul contorno

(condizioni al contorno sugli spostamenti o sulle tensioni). Il dominio è suddiviso in un numero

finito di sottodomini detti elementi finiti. Gli spostamenti incogniti sono calcolati in alcuni punti

degli elementi (nodi) e approssimati in tutti gli altri mediante prefissate funzioni (di interpolazione

o di forma).

Il programma MSC.Marc consente di effettuare varie tipologie di analisi, dalle più semplici (di tipo

statico in campo elastico-lineare) alle più complesse (transitori dinamici non lineari, analisi di

scambio termico o anaòisi accoppiatte termo-meccaniche). La tipica procedura da seguire per

compiere un’analisi strutturale con il codice sono le seguenti:

- costruzione del modello solido;

- applicazione dei carichi, esecuzione del calcolo e ottenimento della soluzione;

- analisi dei risultati.

Il Sistema Marc contiene una serie di programmi integrati che facilitano l’analisi di problemi in

campo ingegneristico. Il codice si compone dei due seguenti programmi:

• Mentat

• Marc

Questi programmi lavorano insieme per generare le informazioni geometriche che definiscono la

nostra struttura, eseguire l’analisi richiesta e rappresentare graficamente i risultati ottenuti (Figura

3.23).

Page 29: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

87

Figura 3.23 The Marc System

3.4.2 Valutazione del J-Integral con il codice MSC.Marc.

Il codice MSC.Marc consente la valutazione del J-Integral attraverso due differenti

procedure. Il primo metodo valuta l’integrale J proposto da Rice usando il metodo di Parks. Il

secondo metodo propone una versione estesa del J-Integral formulata da Kishimoto e DeLorenzi.

MARC valuta l’integrale J calcolando la variazione di deformazione plastica dovuta allo

spostamento nodale che accade nel corso dell’analisi numerica. Diversi valori di questo parametro

possono essere ottenuti scegliendo opportunamente diversi tracciati. Anche le deformazioni

plastiche sono incluse nella valutazione della variazione di energia di deformazione in un analisi

elasto-plastica, ciò permette di calcolare il J-Integral per un materiale a comportamento non

lineare. Un alto livello di accuratezza nei risultati può essere raggiunto con una modellizzazione ad

elementi finiti piuttosto grossolane in quanto il modello implementato nel codice si fonda

sull’energia di deformazione degli elementi e non sui valori locali di tensioni e spostamenti. In

un’analisi elasto-plastica il J-Integral sarà valutato al di fuori della regione di plasticizzazione e

coinciderà con il tasso di energia liberata nella propagazione della fessura.

Il calcolo del J-Integral nel codice MARC si fonda sullo spostamento nodale e sulla

differenziazione numerica per valutare la variazione di energia potenziale come funzione della

posizione dei singoli nodi. Viene assunto che i carichi non cambiano durante lo spostamento

nodale, quindi l’energia di deformazione risulta:

(3.48) ∑ ∫ ∫+

=elemets

t

V

eijij

n

dvdtE0 1

εσ &

(3.49) ∑ ∫ ∫∑ ∫ ∫++

+=elements

teij

Vij

elements

t

V

NNij

ij dVdVdv

dddv

dud

ddE

nn 00 11lll

εσβ

σ

Page 30: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

88

Questa densità di energia è valutata tramite una differenziazione numerica a ciascun incremento per

ogni spostamento nodale con l’obiettivo di ricavare il tasso di rilascio di energia dopo ogni passo

temporale come:

(3.50) ttt d

dEddE

ddE

=

∆+ lll

il valore così ottenuto viene divise per la variazione dell’area di superficie della fessura, ottenendo

in tal modo il valore del J-Integral.

Figura 3.24 Closed Contour Used in the Evaluation of the J-Integral

La formulazione classica del J-Integral proposta da Rice rappresenta un integrale

curvilineo indipendente dal percorso di integrazione ed è equivalente, come sopra menzionato, al

tasso di energia rilasciata in materiali a comportamento lineare elastico. In due dimensioni è così

definito (Figura 3.24):

(3.51) ( )∫Γ

Γ

∂−+= d

xu

nnTWJ jiij

11 σ

dove, W è la densità di energia di deformazione, T è la densità di energia cinetica, ijσ è il tensore

delle tensioni e 1u è il vettore spostamento.

Una formulazione estesa del J-Integral è stata proposta da vari autori, in particolare

Kishimoto e DeLorenzi, con lo scopo di includere nell’espressione classica alcuni effetti come la

deformazione plastica, le forze di volume, i carichi termici, le forze inerziali, gli spostamenti e le

deformazioni macroscopiche. La tipica espressione estesa dell’integrale J, implementata nel codice

MARC, è la seguente (Figura 3.25):

(3.52) ( )∫∫∫ΩΓΓ

∂−

∂−−

∂−

∂−=

iiSp

dvxx

uutda

xu

tdaxu

tWnJ ijij

jii

ji

ji

1

0

1111

1

εσρ &&

Page 31: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

89

Figura 3.25 Numerical Evaluation for J-Integral (Virtual crack advance)

La valutazione di questo integrale J in MSC.Marc [29] è basata sul metodo del dominio di

integrazione. Una valutazione diretta dell’equazione (3.52) non è affatto semplice in un’analisi agli

elementi finiti per le difficoltà nel definire il tracciato Γ di integrazione. Nel metodo del dominio di

integrazione, caso bidimensionale, l’integrale di linea è convertito in un integrale superficiale

sull’area racchiusa dal tracciato. In due dimensioni, la formulazione del J-Integral assumerà la

seguente forma:

(3.53) ∫Ω

∂−

∂∂

∆−= dv

xu

Wxx

aJ j

ijjj 1

111 σδδ

Formulazione classica

(3.54) Formulazione estesa

( ) ∫∫∫ΓΩΩ ∂

∆∂

∂−

∂−

∆∂

∂−

∂∂

∆−=

S

daxu

taxdv

xxu

ufaxdv

xu

Wxx

aJ j

iij

ijj

iij

ijjj 1

1

1

0

1

1

11

11 εσρσδδ

&&

In tre dimensioni l’integrale di linea diventa un integrale di superficie mentre quello di area

diventa un integrale di volume valutato su tutti gli elementi finiti racchiusi all’interno del dominio.

Il codice MARC richiede la definizione delle regioni rigide per eseguire il calcolo del J-Integral.

Tali regioni sono definiti dai set di nodi che contengono una parte del fronte della fessura e il

contributo all’integrale sarà dato da tutti quegli elementi che hanno almeno un nodo in queste

regioni.

Page 32: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

90

3.4.3 Caratteristiche della Mesh da impiegare in FEM.

La principale difficoltà nell’analisi agli elementi finiti di problemi di meccanica della

frattura è la capacità di ottenere una soluzione attendibile in prossimità dell’apice di una fessura. La

mesh in questa zona deve essere opportunamente modellata in maniera tale da approssimare con

sufficiente accuratezza le singolarità ivi presenti sulle tensioni e le deformazioni. Le singolarità

all’apice devono essere ricavare a seguito di un’analisi “small-strain”. Sono stati concepiti molti

metodi per ottenere una buona approssimazione ma comunque il metodo più diffusamente usato

nelle modellazioni agli elementi finiti è il cosiddetto “1/4 point node technique” [31]. Se r è la

distanza dall’apice di un difetto, le singolarità sulle deformazioni ottenute da un’analisi alle piccole

deformazioni sono:

- 21−∝ rε per materiale a comportamento lineare elastico;

- 1−∝ rε per materiale a comportamento elastico perfettamente plastico;

- 1+−

∝ nn

rε per materiale incrudente con opportuna legge di potenza.

In due dimensioni le singolarità possono essere costruite agli elementi finiti usando

elementi isoparametrici quadrilateri collassati all’apice a formare una specie di anello intorno alla

fessura. Uno spigolo dell’elemento isoparametrico ad 8 nodi sarà collassato in maniera che tutti i

suoi tre nodi –a,d,c- abbiano la stessa posizione geometrica all’apice mentre in nodi in mezzeria

sugli spigoli connessi all’apice devono essere mossi ad 1/4 verso lo spigolo (Figura 3.26).

Questa procedura consente di ottenere una singolarità sulle deformazioni così espressa:

(3.55) 21rB

rA+→ε per 0→r

La singolarità 1+−

nn

r non può essere ricreata esattamente ma un’opportuna combinazione dei due

termini 1−r e 21−r può portare ad una sua buona approssimazione.

La prima singolarità r si ottiene imponendo che i tre nodi sopra citati abbiano gli stessi

spostamenti ed adottando la tecnica del “quarter point” (A=0) (Figura 3.27 (a)).

La seconda singolarità r1 si ottiene lasciando i nodi nella posizione di mezzeria e

consentendo un movimento indipendente dei tre nodi collassati all’apice (B=0) (Figura 3.27 (b)).

La terza singolarità, come già definito in precedenza, può essere ottenuta con buona

approssimazione utilizzando la tecnica del “quarter point” e permettendo ai nodi all’apice un

movimento indipendente. In combinazione a questa tipologia di schematizzazione agli elementi

finiti deve essere impiegata un’opportuna legge di potenza per descrivere il comportamento

incrudente del materiale (in genere si utilizza la relazione di Ramberg-Osgood).

Page 33: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

91

Figura 3.26 Collapsed two-dimensional element

Figura 3.27 Crack tip elements for elastic and elastic-plastic analysis

In tre dimensioni vengono generalmente utilizzati elementi isoparametrici tetraedrici a 20 nodi con

una faccia collassata sul fronte della fessura (Figura 3.28). Le procedure per ottenere le singolarità

in prossimità del difetto sono del tutto simili a quelle già viste per il caso bidimensionale. La mesh

lungo il fronte della fessura è tipicamente creato a partire da una mesh piana con una tipica forma a

ragnatela concentrata sull’apppice del difetto che viene estrusa lungo il fronte stesso. Questa

procedura di modellizzazione agli elementi finiti consente di creare una regione rigida regolare che

garantisce una buona accuratezza dei risultati ottenuti.

Figura 3.28 Collapsed three-dimensional element

Le dimensioni degli elementi focalizzati all’apice di una cricca influenzano l’accuratezza

delle soluzioni che si possono ottenere. In linea di principio una più piccola dimensione radiale

degli elementi porterà ad avere sempre più buoni risultati. Un’analisi di sensitività della mesh,

infittendo opportunamente il modello agli elementi finiti in prossimità del difetto, dovrà essere

Page 34: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

92

quindi condotta per capire quanto le soluzioni siano dipendenti dalla mesh impiegata. Un più alto

ordine di elementi porta inevitabilmente a più lunghi tempi di calcolo, è pertanto necessario

effettuare una scelta di compromesso. L’indipendenza dal tracciato svelto nella valutazione del J-

integral da parte del codice di calcolo è sicuramente un idoneo indice per valutare se la mesh

impiegata è opportunamente raffinata nella zona considerata. Comunque buoni risultati sul J-

integral si possono ottenere anche con mesh a maglie relativamente larghe ma per ottenere una

buona valutazione delle deformazioni e delle tensioni all’apice, gli elementi finiti devono essere

opportunamente raffinati. Va in ogni caso sottolineato il fatto che la non per fetta indipendenza dei

valori stimati del J-Integral dal tracciato considerato è da imputare alla natura approssimata di una

soluzione agli elementi finiti.

3.5 Verifiche previste dalla norma ASME XI.

I metodi di verifica stabiliti nell’Appendice A delle ASME XI sono simili a quelle delle

ASME III presi a riferimento in fase di progetto. Sono utilizzati i metodi della meccanica della

frattura lineare elastica per la verifica alla frattura fragile però nelle ASME XI si fa riferimento a

difetti reali rilevati nelle ispezioni in esercizio (Inservice Inspection) [32].

La normativa consente di calcolare i fattori di intensificazione degli sforzi, KI ,

corrispondenti alle tensioni membranali e flessionali determinate mediante l’analisi delle

sollecitazioni sul componente considerato. Le tensioni, in corrispondenza delle fessure, devono

essere suddivise in tensioni membranali e flessionali, effettuando una linearizzazione come indicato

in Figura 3.29. Nell’analisi delle sollecitazioni devono essere tenute in considerazione anche le

tensioni residue e le tensioni dovute a tutti i carichi applicati (pressione, tensioni termiche, tensioni

dovute alle discontinuità, tensioni indotte dalla placcatura,…).

Figura 3.29 Linearization of stresses

Page 35: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

93

Il fattore di intensificazione degli sforzi è calcolato tramite la seguente formula,

espressione del tutto simile alla (3.14) per lo stato di tensione all’apice nella LEFM:

(3.56) QaM

QaMK bbmmI

πσπσ +=

dove,

mσ e bσ sono rispettivamente le tensioni membranali e flessionali;

a il semiasse più piccolo di un difetto sub-superficiale o la profondità di uno superficiale;

Q un fattore di forma del difetto (Figura 3.30);

mM il fattore di correzione delle tensioni membranali (Figura 3.31 e 3.32)

bM il fattore di correzione delle tensioni flessionali (Figura 3.33 e 3.34)

Figura 3.30 Determination of crack shape factor Q

Figura 3.31 Corrective factor for membrane stress for internal cracks

Page 36: CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la ... · 59 CAPITOLO 3 Modelli di Meccanica della Frattura per la Verifica di Stabilità delle Fessure e loro Implementazione agli

94

Figura 3.32 Corrective factor for membrane stress for edge cracks

Figura 3.33 Corrective factor for bending stress for internal cracks

Figura 3.34 Corrective factor for bending stress for edge cracks