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Capitolo 3 DISPOSITIVI DI RIVELAZIONE Si tratta di un aspetto duale all’emissione di luce: nell’optoelettronica, come abbiamo visto a suo tempo esiste una relazione funzionale tra mondo elettrico e mondo elettronico (escludendo tutti i problemi di alimentazione). Per quanto riguarda i rivelatori, al contrario di quanto si aveva per gli emettitori, la grandezza ottica è in ingresso e quella elettrica è in uscita (corrente o tensione). MECCANISMO DI RIVELAZIONE: A partire da un fascio di fotoni incidenti dobbiamo ricavare una grandezza elettrica proporzionale, o almeno dipendente con una relazione nota a priori, al numero di fotoni incidenti. Più che l’emissione stimolata si tende a sfruttare come meccanismo principale l’assorbimento: grazie all’energia del fotone riusciamo ad avere a disposizione delle cariche elettriche in grado di trasportare una corrente. Quando arriva un fotone, interagisce con un elettrone in banda di valenza, gli fornisce l’energia necessaria ad andare in banda di conduzione, il fotone scompare, e ci ritroviamo con una coppia elettrone – lacuna, l’uno in banda di conduzione, l’altra in banda di valenza. Il problema è che questo accade all’interno del materiale: sta a noi progettare un sistema che ci permetta di rendere la coppia elettrone – lacuna effettivamente utile. Supponiamo infatti di avere un cristallo inerte: il fotone arriva, si ha l’assorbimento e ci ritroviamo con una coppia elettrone lacuna che è stata generata da un evento diverso dall’agitazione termica, ma il suo destino è quello di ricombinarsi dopo un tempo di vita medio, senza che dall’esterno ci venga data la possibilità di accorgersi che c’è stato un fotone. PROBLEMI A BASSE FREQUENZE I rivelatori si basano su strategie diverse a seconda della lunghezza d’onda che vogliamo rivelare. In prima approssimazione per radiazioni molto energetiche (alte frequenze, ultravioletto, e quindi basse lunghezze d’onda) non ci sono grossi problemi di rivelazione. Problemi a rivelare si presentano per basse energie e quindi alte lunghezze d’onda. Prendiamo un cristallo a semiconduttore. Per fare una buona rivelazione abbiamo bisogno che hν≥Eg, ma se hν è piccolo (ci stiamo riferendo ad una banda che sta nel lontano infrarosso λ>2.5μm) non solo non si riesce ad instaurare assorbimento dato che h ν<Eg, ma anche se ci si riuscisse sarebbe necessario fare i conti con il rumore: se λ è grande infatti, allora è piccolo il gap del materiale il che significa che anche a temperatura ambiente ci sono tanti portatori liberi che nascondono l’effetto dovuto all’assorbimento dei fotoni. Si ha dunque un elevato rumore di fondo alla rivelazione. APPLICAZIONI DI RIVELAZIONI NEL LONTANO INFRAROSSO Abbiamo bisogno di lavorare bene anche nel lontano infrarosso, ad esempio in tutto il campo che riguarda i problemi termografici: per fare la mappatura termica di un oggetto che si scalda è necessario rivelare la sua emissione nel lontano infrarosso; ci sono delle pellicole sensibili a tali lunghezze d’onda ma questo non ci basta se vogliamo realizzare strumentazioni raffinate, con un’alta risoluzione spaziale, ci servono quindi dei rivelatori elettronici. Fig.1

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Capitolo 3

DISPOSITIVI DI RIVELAZIONE

Si tratta di un aspetto duale all’emissione di luce: nell’optoelettronica, come abbiamo visto a suo tempo esiste una relazione funzionale tra mondo elettrico e mondo elettronico (escludendo tutti i problemi di alimentazione). Per quanto riguarda i rivelatori, al contrario di quanto si aveva per gli emettitori, la grandezza ottica è in ingresso e quella elettrica è in uscita (corrente o tensione).

MECCANISMO DI RIVELAZIONE:A partire da un fascio di fotoni incidenti dobbiamo ricavare una grandezza elettrica proporzionale, o almeno dipendente con una relazione nota a priori, al numero di fotoni incidenti. Più che l’emissione stimolata si tende a sfruttare come meccanismo principale l’assorbimento: grazie all’energia del fotone riusciamo ad avere a disposizione delle cariche elettriche in grado di trasportare una corrente.

Quando arriva un fotone, interagisce con un elettrone in banda di valenza, gli fornisce l’energia necessaria ad andare in banda di conduzione, il fotone scompare, e ci ritroviamo con una coppia elettrone – lacuna, l’uno in banda di conduzione, l’altra in banda di valenza.

Il problema è che questo accade all’interno del materiale: sta a noi progettare un sistema che ci permetta di rendere la coppia elettrone – lacuna effettivamente utile. Supponiamo infatti di avere un cristallo inerte: il fotone arriva, si ha l’assorbimento e ci ritroviamo con una coppia elettrone lacuna che è stata generata da un evento diverso dall’agitazione termica, ma il suo destino è quello di ricombinarsi dopo un tempo di vita medio, senza che dall’esterno ci venga data la possibilità di accorgersi che c’è stato un fotone.

PROBLEMI A BASSE FREQUENZEI rivelatori si basano su strategie diverse a seconda della lunghezza d’onda che vogliamo

rivelare. In prima approssimazione per radiazioni molto energetiche (alte frequenze, ultravioletto, e quindi basse lunghezze d’onda) non ci sono grossi problemi di rivelazione. Problemi a rivelare si presentano per basse energie e quindi alte lunghezze d’onda.

Prendiamo un cristallo a semiconduttore. Per fare una buona rivelazione abbiamo bisogno che hν≥Eg, ma se hν è piccolo (ci stiamo riferendo ad una banda che sta nel lontano infrarosso λ>2.5µm) non solo non si riesce ad instaurare assorbimento dato che hν<Eg, ma anche se ci si riuscisse sarebbe necessario fare i conti con il rumore: se λ è grande infatti, allora è piccolo il gap del materiale il che significa che anche a temperatura ambiente ci sono tanti portatori liberi che nascondono l’effetto dovuto all’assorbimento dei fotoni. Si ha dunque un elevato rumore di fondo alla rivelazione.

APPLICAZIONI DI RIVELAZIONI NEL LONTANO INFRAROSSOAbbiamo bisogno di lavorare bene anche nel lontano infrarosso, ad esempio in tutto il

campo che riguarda i problemi termografici: per fare la mappatura termica di un oggetto che si scalda è necessario rivelare la sua emissione nel lontano infrarosso; ci sono delle pellicole sensibili a tali lunghezze d’onda ma questo non ci basta se vogliamo realizzare strumentazioni raffinate, con un’alta risoluzione spaziale, ci servono quindi dei rivelatori elettronici.

Fig.1

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ASSORBIMENTO ANCHE SE hν<EgLa strategia è quella sfruttare i

livelli donatori o accettori di shellow.Drogando opportunamente il materiale è possibile inserire dei livelli donatori al di sotto della banda di conduzione o dei livelli accettori al di sopra della banda di valenza. Quando il livello donatore non è ionizzato c’è un elettrone. A temperatura ambiente però, dato il piccolo salto di energia che li separa dalla banda di valenza tutti i livelli donatori sono ionizzati.

Mantenendo invece il materiale ad una temperatura molto bassa (elio liquido, quindi strumentazione molto costosa) possiamo inibire la ionizzazione termica dei livelli donatori, che quindi risultano essere tutti occupati dagli elettroni. Abbiamo quindi a disposizione un oggetto che possiede un elettrone sul livello accettori che grazie all’energia fornitagli dal fotone è in grado di liberarsi data la piccola distanza dalla banda di conduzione. In modo duale, posso essere in grado di liberare una lacuna in banda di valenza.

Questo tipo di rivelatori sono quindi realizzati con un semiconduttore drogato opportunamente in modo tale che la radiazione voluta possa essere rivelata, inserito in un ambiente a bassa temperatura che consente di mantenere basso il livello di ionizzazione di natura termica.

UTILIZZO PRATICOAnalizzando l’oggetto in sezione possiamo osservare come sottoponendo il semiconduttore ad un campo elettrico, le cariche prodotte dalla ionizzazione dovuta all’illuminazione assumono una velocità di drift. Tendono quindi a separarsi e se non si ricombinano prima, raggiungono i terminali esterni, fornendo una corrente misurabile dall’esterno con un amperometro.

A seguito della presenza della differenza di potenziale si ha un piegamento lineare delle bande (lineare perché c’è solo un campo elettrico, e non una distribuzione di carica).Ricordandosi che ritratta di una grafico dell’energia totale dell’elettrone, sappiamo che possiamo trattarlo come una pallina pesante, mentre la lacuna come una bolla d’aria.

ETOT

con V

Fig.4

x

A

d x

V

y

e-p

Fig. 3

Fig.2 x

ETOT

Senza V

BC

BVhν

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L’elettrone quindi scivola seguendo in realtà una traiettoria a scalini, perché fintanto che non urta con nessuno viene accelerato dal campo elettrico, acquista quindi energia cinetica perdendone di potenziale; ogni caduta invece indica un urto con il reticolo. Ma come rappresentazione “pittorica” possiamo vederlo scivolare semplicemente.

La distanza d (vd. Fig. 3) è frutto di un compromesso: se fosse troppo piccola ci sarebbe poco spazio, ovvero poco materiale per assorbire la luce. Ma se fosse troppo grande, avrei da una parte la ricombinazione degli elettroni o delle lacune prima dell’arrivo al terminale e dall’altra un problema prettamente elettrico:

Supponendo che l’evento di scissione elettrone lacuna avvenga all’istante t0 esso viene rivelato con un tempo di ritardo trit dovuto al tempo di attraversamento del semiconduttore. Ovvero il sistema si comporta dal punto di vista elettrico come se avesse una grossa capacità in parallelo.

La risposta all’impulso quindi sarà qualcosa di questo tipo, ovvero una sorta di effetto passabasso, che è tanto più marcato quanto più è grande il valore di d.

Vale la pena spendere due parole per i rivelatori di luce storici:

ASSORBIMENTO PER RADIAZIONI ENERGETICHE hν≥ΦM ≅4eV

CELLULA FOTOELETTRICAE’ costituita da un metallo sul quale incide

fascio di luce che fornisce energia all’elettrone sufficiente a superare la funzione di lavoro. Ricordiamo che il metallo è caratterizzato da una buca di potenziale che allo 0K è piena di elettroni fino al livello di Fermi EF dove la funzione di lavoro è la distanza tra il livello di Fermi e quello del vuoto, mentre a temperatura ambiente gli elettroni sono distribuiti secondo la Fermi Dirac. Una radiazione incidente che abbia energia hν≥ΦM

fornisce all’elettrone energia sufficiente a sfuggire dal reticolo in modo tale da essere emesso per effetto fotoelettrico appunto.

EF

ΦM

Fig. 6

W/m2s

IAmp.

t

tFig. 5

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Anche in questo caso dobbiamo fare in modo da raccogliere gli elettroni che vengono prodotti sul catodo (elettrodo inferiore)a seguito dell’illuminazione, grazie all’accelerazione fornita dall’anodo (elettrodo superiore).

ASSORBIMENTO PER RADIAZIONI INTERMEDIEDopo aver considerato i due casi limite, vediamo ora che tipo di rivelatori abbiamo a

disposizione lavorando nelle zone di nostro interesse, ovvero nel VICINO INFRAROSSO, cioè nelle solite 3 finestre che abbiamo sempre considerato: 0.8 1.3 1.5 µm. In questo caso dobbiamo lavorare con semiconduttori opportuni.

L’oggetto tipico che ci permette di raccogliere la corrente è la zona di svuotamento di un diodo pn polarizzato in inversa:

Quello che vogliamo è che la luce venga assorbita nella zona di svuotamento perché se viene assorbita nelle zone neutre, lì è persa in quanto non riusciremo a raccogliere le cariche frutto della collisione.

MECCANISMO DI COLLISSIONESupponiamo di illuminare il nostro

dispositivo con dei pacchetti di 100 fotoni l’uno, ed andiamo a contare, con un misuratore di carica, o con un amperometro molto fine, il numero di coppie lacune elettroni prodotte. Ripetendo più volte lo stesso esperimento troviamo ad esempio:. La prima volta 90 coppie, la seconda 22, la terza 53, poi 45, 10 e così via…. Il numero di coppie lacune elettroni è quindi una variabile aleatoria.

Facendo riferimento alla figura 8 vediamo che cosa può capitare:1. il fotone può essere assorbito dalle

zone neutre, quindi dar luogo ad una ricombinazione elettrone lacuna prima che questi siano stati catturati dai terminali

2. il fotone può essere assorbito dalla zona di campo creando così una coppia elettrone lacuna, che cercando di raggiungere il limite della zona neutra incontra una trappola (stato al metà del gap) luogo di appuntamento dove avviene una ricombinazione prima di dar luogo ad una corrente positiva ai terminali

3. il fotone può essere assorbito da un’impurezza o cedere la sua energia al reticolo cristallino, e in questo caso l’oggetto tende a scaldarsi

Vi sono quindi diversi fattori che si oppongono la presenza ai terminali della coppia lacuna elettrone. Studiando le statistiche di questo esperimento troviamo che in termini medi il numero di coppie che si raccoglie ai terminali è proporzionale ai fotoni mandati, ma solo in termini medi.Se vogliamo esprimere la corrente dovuta all’assorbimento dei fotoni:

Fig. 7

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ηνhotticaPotqIP.⋅=

IP/q = N.O. di coppie el. lac. prodotte per 1 di t.Fotocorrente: Pot. Ottica/hν = N.O. fotoni che arrivano per 1 t.

η ∈ [0,1] = valor medio del processo aleatorio Il rendimento η, che indica la frazione utile di fotoni che vengono assorbiti e che danno

luogo ad una coppia lacuna elettrone, è detto efficienza quantica del rivelatore.Il grosso problema è che si tratta proprio di un valore medio che quindi si porta dietro

intrinsecamente del rumore, la cui densità spettrale di potenza è proporzionale al numero di fotoni incidenti NI =2 q IP. Si tratta di un processo di Poisson, ovvero di natura corpuscolare.

Dunque tutti i problemi che vanno contro alla rivelazione fanno riferimento a questo processo aleatorio.

Vogliamo sottolineare che tutti gli sforzi per portare le comunicazioni in fibra ottica alle singole utenze sono legati alla necessità di ridurre al minino questo rumore, ritardando il più possibile la conversione da grandezza ottica ad elettrica, in quanto il processo di rivelazione è intrinsecamente rumoroso e peggiora il rapporto segnale rumore.

RAFFIGURAZIONE CANONICA: giunzione P-N polarizzata inversamente

Dato che la giunzione PN risulta essere polarizzata inversamente (fig. 9) essa è attraversata dalla corrente inversa di saturazione, che ha origine grazie agli elettroni minoritari della zona neutra p che nel loro vagare giungono fino al limite della zona neutra, venendo catturati dalla zona di svuotamento per essere emessi dall’altra parte. Una situazione del tutto duale si verifica per le lacune.

La corrente inversa di saturazione, per il nostro dispositivo, è una corrente di buio, dark current, ovvero quando non ci sono fotoni assorbiti il sistema rivela questo tipo di corrente. Tale corrente di buio altro non è che il limite minimo della capacità di rivelazione del nostro dispositivo. Sottoponendo ad illuminazione il dispositivo la fotocorrente si aggiunge alla corrente inversa di saturazione, dato che ha lo stesso comportamento. Non è dunque possibile rivelare una potenza ottica che generi una corrente inferiore alla corrente inversa di saturazione: tanto maggiore è la corrente di buio e tanto peggiore è il dispositivo in termini di sensibilità. Si noti che anche polarizzando direttamente il diodo la fotocorrente va sempre a sommarsi alla corrente presente.

Carica fissa

- +

Zona neutra P

Zona neutra N

Fig. 9

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Consideriamo la caratteristica del diodo:

I=I0 (e v/vt-1) a riposo (al buio)I=I0 (e v/vt-1) - IP sollecitata (illuminata)La fotocorrente si somma al verso della corrente inversa di saturazione, quindi la caratteristica trasla in basso di IP. A seguito della traslazione verso il basso esiste ora una zona della caratteristica che va ad interessare il secondo quadrante, caratterizzato dall’avere una tensione applicata positiva ed un corrente generata negativa. Polarizzando il dispotivo in questa zona dunque (QUI), esso non assorbe potenza dal mondo esterno ma la eroga. Questo è il principio di funzionamento della CELLA SOLARE.

Qui si apre il dibattito ecologista sull’energia pulita, ma il problema sta nel fatto che tale energia gratis è a bassa entropia e non è in grado di pilotare l’industria pesante. Per avere alte energie non solo dovrei avere delle superfici illuminate molto grandi ma dovrei anche avere una buona efficienza quantica e questo è il collo di bottiglia del nostro dispositivo.

Per rivelare una grandezza ottica dunque, tramite il fotodiodo abbiamo due diverse strategie:

STRATEGIA FOTOAMPEROMETRICA O FOTOCONDUTTIVA

Il nostro rivelatore viene messo in corto e chiuso su di un amperometro. Questo implica la misurazione della corrente che passa nel circuito.Si ha in questo caso V = 0e quindi I = IP

Dunque la grandezza misurata è direttamente proporzionale alla potenza ottica incidente

STRATEGIA FOTOVOLTAICA O FOTOVOLMETRICA

In questo secondo caso la strategia è del tutto duale, il circuito viene lasciato aperto, e viene misurata la differenza di potenziale ai capi del circuito.Stavolta I = 0E quindi V = VT ln (IP/Io + 1)Il problema di questa seconda strategia è che la grandezza misurata non è direttamente proporzionale alla potenza ottica.

In generale si preferisce la prima strategia rispetto alla seconda proprio grazie alla sua dipendenza lineare, e alla miglior sensibilità.

V

Fig. 12

A

Fig. 11

Luce

I

V

Fig. 10

Buio

IP

QUI

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OSSERVAZIONE riguardante la strategia fotovoltaica:Nonostante la tensione applicata sia nulla e la corrente è forzata ad essere nulla, si ha un piegamento delle bande, e si stabilisce una differenza di potenziale ai capi del dispositivo diversa da zero. A che cosa è dovuta la d.d.p.? La giunzione è comunque attraversata dalle cariche ma c’è un perfetto bilanciamento tra la corrente di diffusione e quella di drift, Se creiamo coppie lacune elettroni tramite irraggiamento esse vanno a creare una corrente che si va ad aggiungere alla corrente di drift, come se si avesse una corrente di drift maggiore. Per controbilanciare questo aumento della corrente di drift si deve avere una maggior corrente di diffusione che si realizza soltanto diminuendo la barriera di potenziale dei portatori maggioritari, che non fa altro che creare una d.d.p. ai capi del dispositivo.

STRUTTURA PIN

Abbiamo più volte osservato che la zona utile dove deve avvenire l’assorbimento del fotone e la conseguente generazione della coppia elettrone lacune è la zona di svuotamento dove c’è il campo elettrico capace di trascinare le cariche.

Se la zona di svuotamento è troppo sottile allora il dispositivo non ha spazio a sufficienza per assorbire i fotoni, che verrebbero assorbiti nelle zone neutre, senza che se ne possa cogliere l’effetto dall’esterno.

Se invece è troppo larga allora la radiazione luminosa verrebbe sì ad essere assorbita nella zona di campo, ma il dispositivo viene rallentato in quanto le cariche ci metterebbero un tempo di transito troppo elevato per raggiungere i terminali.

Inoltre risulta opportuno sottolineare un altro aspetto: sappiamo che l’intensità luminosa diffonde all’interno del semiconduttore secondo una legge esponenziale:

Iν(x)=Iν(0) e-αx

Dunque i fotoni che risultano essere assorbiti all’interno della zona di svuotamento sono soltanto Iass, piccola porzione dell’intensità luminosa incidente Iν(0).

La zona di svuotamento deve quindi avere uno spessore ottimale, a seconda delle diverse esigenze. Per regolarne lo spessore possiamo fare una zona p molto drogata e molto sottile, in modo tale che la zona di svuotamento si estenda tutta nel lato n, e regolare il drogaggio della zona n. In questo modo però risulteranno variate le resistenze serie del dispositivo.

Per poter ovviare a questi inconvenienti viene introdotto un miglioramento al diodo a giunzione pn, che si identifica nella struttura pin:

Come è evidente dalla figura 14 è stata introdotta, in una omogiunzione, un’ampia zona intrinseca tra una zona p fortemente drogata e sottile (in modo tale da avere in tale zona pochissimo assorbimento) e una zona n.

Polarizzando inversamente questo oggetto, si osserva un piegamento delle bande con la concavità rivolta verso il basso (verso l’alto) nella zona in cui vi è una carica spaziale negativa (positiva). Mentre all’interno della zona intrinseca le bande sono rettilinee ad evidenziare un’assenza densità di carica, ma piegate a causa del campo elettrico.

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La zona utile per l’assorbimento è quella evidenziata che riguarda per la maggior parte la zona intrinseca, ma anche le due piccole zone di svuotamento nell’n e nel p.

Con questo tipo di struttura siamo in grado di tarare a piacimento lo spessore della zona utile.

Dal grafico della diffusione dell’intensità luminosa si ricava qual è la porzione di Iν(0) che costituisce la Iass da inserire nella formula della fotocorrente

Dove Pass = Iass A

La potenza ottica che viene persa è quella che si estende nella testa della zona p e la coda che arriva nella zona n, ma come volevamo questa potenza è molto esigua (anche se la figura non è in scala).

ηνh

PassqIP ⋅=

Fig. 14

Iass

Ipersa

p+ i n

x

x

x

ρ

ET

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STRUTTURA MESATale struttura viene chiamata MESA a causa della somiglianza con gli altopiani del Nuovo

Messico e dell’Arizona, vedi figura 17.Si tratta dell’utilizzo pratico della struttura teorica del diodo PIN utilizzato per la seconda e

terza finestra; a causa della finestra di utilizzo il substrato di cui è costituito è quindi Fosfuro di Indio.

TECNOLOGIASul substrato di InP di tipo n, vengono

accresciuti per epitassia uno strato intrinseco ed uno sottile di tipo p+. Dato che lo strato intrinseco è quello che deve assorbire va curato anche dal punto di vista della difettosità e in genere si utilizza il ternario corrispondente alla linea dell’InP per evitare gli stress meccanici: l’InGaAs. Osserviamo in fig 16 che l’InGaAs ha un gap minore dell’energia fotonica incidente, quindi questo ternario è in grado di assorbire bene entrambe le luci della seconda e terza finestra.

La struttura così ottenuta viene sottoposta ad attacco in ambiente acido che tolga l’InGaAs ma non l’InP, fino ad ottenere la vera e propria struttura MESA (figura 17).

La metallizzazione viene fatta a corona in modo tale che nella gran parte della zona p+ sia abbastanza sottile da essere trasparente alla luce o anche del tutto assente. Il fatto che la zona sia p+ è un ulteriore vantaggio per non creare zone di addensamento della corrente, ovvero tale zona si comporta come il CAP nei laser.

Ai bordi dello strato intrinseco è necessaria la presenza di strati di passivazione di materiale dielettrico.

A differenza di quanto detto in realtà lo strato p+ non viene deposto per epitassia ma è risultato di un processo diffusivo che non coinvolge i bordi esterni della struttura MESA. Inoltre lo strato intrinseco è deposto per epitassia, non direttamente sul substrato ma si di uno strato di tipo n che ci funziona anche da buffer tenendo lontane le eventuali impurezze del substrato stesso.

Fig. 15

p+

n

intrinseco

InP

InGaAs

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Il problema è che in un dispositivo di questo tipo, che deve essere polarizzato in inversa, deve essere tenuta quanto più possibile bassa la corrente inversa di saturazione, che funziona da corrente di buio in quanto tanto essa è minore, tanto migliore è la sensibilità del dispositivo.

Le diverse componenti della corrente di buio, che danno differenti contributi di rumore, sono due: facendo riferimento alla figura 17 si ha:• Il contributo A, che è la classica corrente di buio presente in un dispositivo massivo ovvero di tipo bulk, che quindi è detta IDB (CORRENTE DI DARK BULK). Riguardo alla minimizzazione di questo contributo, poco ci possiamo fare, dato che esso dipende dal valore del gap, dalla temperatura e da altri noti fattori.• La seconda componente è la B che è detta CORRENTE DI LEAKEAGE, ed è quella che cortocircuita la giunzione PIN passando attraverso gli strati interfacciali alla superficie del semiconduttore. Il problema sta nel fatto che alla superficie nel gap ci sono tantissime trappole ed impurezze che non fanno altro che diminuire l’efficienza quantica. Lo scavo deve quindi essere fatto con attacco umido ed isotropo, che porta al formarsi di questa struttura a mesa e sovrastato da uno strato di passivazione che ha la funzione di colmare gli stati appesi dovuti all’interruzione della struttura cristallina. Il problema è che questo non è silicio (se lo fosse basterebbe stenderci SiO2) ma un ternario che non ha un ossido stabile. Si utilizzano quindi ossidi deposti da fase vapore di Nitruro di Silicio SiNx. La deposizione avviene in camere con Ammoniaca e Silano fornendo energia per promuovere il legame, o aumentando la temperatura (con problemi per i semiconduttori) o illuminando con raggi ultravioletti in modo tale che l’impatto con i fotoni energetici favorisca la formazione del precipitato. Se la deposizione del dielettrico non è ottima si possono avere al suo interno delle cariche fisse che tendono a formare nel semiconduttore uno strato di inversione. Questo comporta la creazione di un canale, e quindi la corrente di leakeage passa attraverso questo canale.

OSSERVAZIONEIn riferimento dalla figura 16 abbiamo

visto che per lavorare in seconda e terza finestra si usa il ternario e non il quaternario. Perché? Prima di tutto perché il ternario è più facile da fare del quaternario, ma anche perché essendoci un componente di meno, c’è minore probabilità di avere difetti di dislocazione degli atomi che inducono la presenza di stati all’interno del gap, il che implica la ricombinazione che causa quindi la diminuzione dell’efficienza quantica. Per evitare questo si usa il ternario.

Osserviamo che l’efficienza quantica è funzione di λ, figura 18, il crollo si ha a valori di lunghezza d’onda corrispondenti al gap, per λ maggiori (e quindi energie minori del gap) l’efficienza quantica è bassa perché il semiconduttore non assorbe nulla.

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FASE DI PROGETTAZIONEIl problema principale è stabilire quanto

deve essere spesso lo strato intrinseco per avere la miglior sensibilità a parità di potenza ottica iniettata PO per la fotocorrente.

In riferimento alla figura 19, conoscendo l’andamento della potenza ottica che diffonde nel materiale, osserviamo che maggiore facciamo lo strato intrinseco e maggiore è la potenza ottica assorbita.

Ma se facciamo uno spessore troppo ampio abbiamo la grossa controindicazione del tempo di ritardo dovuto al transito.Ma se lo spessore dello strato è troppo scarso ci ritroviamo con un oscillogramma di questo tipo, con una salita veloce ed una lenta coda, tanto più marcata quanto più è stretta la zona intrinseca.

Che cosa è peggiorato?

Facendo riferimento alla figura 21 il contributo alla fotocorrente è dovuto non solo ai fotoni che vengono assorbiti nella zona di campo, ma anche a quelli che vengono assorbiti nella zona neutra ad una distanza minore o uguale a LP (lunghezza di diffusione delle lacune nella zona n), dove c’è assenza di campo elettrico. Questo secondo contributo è molto lento. Per quanto riguarda invece le lacune, quelle che nascono nella zona 2 e casualmente si incamminano verso la zona intrinseca, non danno contributo in quanto si ricombinano prima di arrivarci.La lacuna che nasce nella zona 1 invece, che magari si incammina verso l’intrinseco, può venire catturata, ed il suo contribuito si aggiunge a quello di drift, ma esso è lento.

L’eccessiva diminuzione dello spessore d ha dunque tre diverse controindicazioni:• la diminuzione globale della potenza assorbita nella zona di campo, a causa dell’effettiva riduzione spaziale• la lentezza del contributo delle lacune create nella zona di diffusione• l’aumento della capacità di giunzione (C = ε A/d) che implica una diminuzione della frequenza di taglio

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Di fatto dunque è necessario scegliere una soluzione di compromesso: detto α il coefficiente di assorbimento la scelta tipica ricade nell’intervallo:

αα102 ÷

OSSERVAZIONEQuello che abbiamo visto fin’ora non è altro che un tipo di rivelatore, non l’unico possibile.

E’ importante sottolineare il fatto che un rivelatore non deve essere necessariamente costituito da un semiconduttore a gap diretto, tant’è vero che i primi fotorivelatori erano fatti di Silicio.

SVANTAGGIO DELLA STRUTTURA MESA:Abbiamo in media (grasso che cola!!!) mezza coppia lacuna elettrone per ogni fotone assorbito, dato che l’efficienza quantica massima ottenibile è 0.5. Il che significa che la corrente è molto bassa

L’evoluzione di questo dispositivo si incammina verso dispositivi che generano un numero maggiore di 1 di coppie elettrone lacuna, per ogni fotone assorbito.

Per farlo si sfrutta l’effetto valanga.

Si entra quindi nel campo dei

FOTOMOLTIPLICATORI

I fotomoltiplicatori sono l’equivalente del diodo a moltiplicazione nel campo dei tubi a vuoto.

La tipica struttura è quella di figura 23: ricordando la struttura della figura 7 in cui gli elettroni prodotti sul catodo venivano raccolti sull’anodo, anche in questo caso quello che viene illuminato è il catodo, ma il sistema non ha un solo anodo, ma una catena di anodi, ciascuno polarizzato a tensioni elevate e via via crescenti.

Quello che succede dopo l’arrivo del fotone sul catodo è che l’elettrone in viaggio dal catodo verso il primo anodo viene accelerato acquistando energia, nell’impatto con l’anodo vengono emessi per urto altri elettroni. Replicando questo processo, si riescono ad ottenere tanti elettroni a seguito dell’assorbimento di un solo fotone.

Lo stesso principio viene applicato nel seguente dispositivo, che sfrutta la moltiplicazione a valanga.

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SAM - APDQuesto dispositivo si chiama Separated Absorbtion Moltiplication - Avalanche Photo Diode, il che significa che si tratta di un fotodiodo che funziona tramite moltiplicazione a valanga, nel quale vengono tenute separate spazialmente le funzioni di assorbimento e di moltiplicazione.

STRUTTURAAbbiamo uno strato p+, uno n+ molto sottile, poi l’intrinseco, quindi l’n e l’n+ per il contatto. Il dispositivo è composto da una giunzione pn molto drogata e da una zona intrinseca.

La funzione di questo oggetto si comprende andandolo a polarizzare inversamente.In figura 24 viene riportato l’andamento del campo elettrico: applicando una polarizzazione inversa abbastanza grande la zona di svuotamento viene ad interessare completamente la zona n+.Il massimo del campo elettrico si ha in corrispondenza della giunzione metallografia, ed è tanto maggiore, quanto più sono drogate le zone p e n.

La zona di assorbimento è sempre la zona intrinseca, mentre la zona di moltiplicazione risulta essere la zona interessata dal p+ e dall’n+, in quanto in tale zona io riesco a superare il fatidico punto di moltiplicazione a valanga. Si osserva quindi la separazione spaziale delle due funzioni.

Se il campo elettrico applicato supera il valore di soglia si ha la moltiplicazione a valanga, di fatto quindi il numero di coppie lacuna elettrone che si riesce ad ottenere è proporzionale al fattore di moltiplicazione a valanga M, valor medio di un processo aleatorio. In figura è riportato anche l’andamento della struttura a bande.

Fig. 24

BC

BV

EE

G

Eo

EMAX

p+ n+ i n n+

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Le condizioni ottimali di polarizzazione inversa sono quelle che prevedono drogaggi tali che il campo elettrico massimo presente alla giunzione metallografia EG sia maggiore del campo elettrico massimo della moltiplicazione a valanga EMAX, ma il livello di campo elettrico presente nella zona intrinseca E0 deve essere comunque minore di EMAX, altrimenti non funziona più nulla.

Infatti, all’aumentare del campo elettrico applicato, le bande si inclinano sempre di più fino a promuovere il passaggio per effetto tunnel con l’effetto di creare delle coppie lacuna elettrone che non sono di origine fotonica: allora nella zona di assorbimento non si deve superare tale valore di campo elettrico.

Il fattore di moltiplicazione dipende dalla tensione applicata secondo l’andamento riportato in figura 25, che sembrerebbe garantire la possibilità di realizzare un dispositivo con M grande a piacere. Vediamo che non è così.

Consideriamo il processo in cui la luce è il nostro segnale da rivelare e quindi la fotocorrente è il segnale utile che porta l’informazione. Abbiamo detto che il processo di fotorivelazione da solo è un processo rumoroso, in più si sovrappongono due diversi processi aleatori anch’essi rumorosi, che rendono imponderabile la quantità di fotoni che si aggiungono al segnale. Si parla di due diversi processi incorrelati , in quanto abbiamo due diverse specie in grado di fare valanga: elettroni e lacune. Comunque tanto maggiore è il fattore di moltiplicazione e tanto maggiore è la densità spettrale di potenza del rumore.

Valori medi Dens. Spettr. Pot. Valori medi Dens. Spettr. Pot.Fotocorrente IP 2 q IP M IP 2 q IP M2 F(M)Corrente di dark-bulk IDB 2 q IDB M IDB 2 q IDB M2 F(M)Corrente di leakeage IL 2 q IL IL 2 q IL

Ricordiamo che M è il fattore di moltiplicazione, ovvero è il numero di coppie elettrone lacuna presenti alla fine rapportato al numero iniziale, ma è un valor medio del processo.

Nell’APD solo la corrente di bulk è affetta dalla moltiplicazione, la corrente di leakeage no.

Dobbiamo osservare che la densità spettrale di potenza della fotocorrente e della corrente di dark-bulk nel SAM – ADP è proporzionale al valore quadratico medio ovvero il valor medio del processo al quadrato, e non al quadrato del valor medio:

<m>= M quindi <m>2=M2

ma <m2>≠M2 dato che <m2>≥<m>2

poniamo quindi <m2>=F(M) M2

essendo F(M) il fattore di rumore in eccesso fattore importantissimo nell’APD che quantifica il rumore introdotto in più. Drammaticamente l’F(M) è una funzione crescente di M e quindi è opportuno valutare in fase di progetto qual è il valore ottimale del fattore M.

L’F(M) dipende dal materiale perché dipende dalle probabilità di fare valanga di elettroni e lacune. Se le due specie hanno uguale probabilità di fare valanga allora il fattore di rumore in eccesso è massimo. Se invece c’è una sola delle due specie che ha probabilità di fare valanga allora il fattore di rumore in eccesso è minimo, e tendente all’unità.

PIN SAM - APD

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L’ideale è trovare un materiale che minimizzi il fattore di rumore in eccesso avendo una sola delle due specie di cariche con probabilità non nulla di fare valanga.

Questa condizione è irraggiungibile con i materiali singoli, ma ci viene in aiuto l’ingegneria delle bande: viene creato un dispositivo in cui viene completamente inibita alle lacune la possibilità di fare valanga ma essa viene promossa per gli elettroni.

Quest’oggetto è composto da un’alternanza di zone di accelerazione e di zone di assorbimento.

La struttura viene realizzata con la tecnica del CBE, che altro non è che una specie di MBE (epitassia a fasci molecolari) con la variante della Chemichal, ovvero con sorgenti di tipo chimico che mi permettono di controllare bene la quantità di materiale. In questo modo ci è concesso di realizzare una transizione graduale da un materiale ad un altro in modo tale da far variare lentamente il gap, senza realizzare scalini.

La figura 26 mostra la struttura a bande all’equilibrio e di seguito quella in polarizzazione inversa.

La zona 1 è composta da InGaAs e la 2 da InGaAsP, ma il P è aggiunto gradualmente Sappiamo che il primo ha gap minore del secondo e all’aumentare della concentrazione di P il gap aumenta sempre di più. Drogando il semiconduttore di tipo p e mantenendo quindi costante il livello ci Fermi, abbiamo il tipo di diagramma a bande mostrato in figura dato che il drogaggio di tipo p avvicina il livello di Fermi alla banda di valenza.

Polarizzando la struttura, le bande vengono inclinate, ma è necessario polarizzarla al di sopra di un certo valore minimo (è quello che rende piatto il pianerottolo)

prima di riuscire ad ottenere valanga, infatti dobbiamo riuscire a fare in modo che la pendenza della BC della parte 2 risulti ad essere negativa.

In questo modo gli elettroni scendono attraverso il pianerottolo, ma in corrispondenza del gradino quantico si ritrova ad avere molta meno energia potenziale, indicata dalla BC, e acquista quindi una notevole energia cinetica, e acquista velocità. Da qui in poi si chiama elettrone caldo, dato che ha una notevole energia cinetica. Da questo punto in poi può fare valanga per impatto. La zona in cui avviene la valanga è l’inizio della zona di assorbimento.

Al contrario le lacune si ritrovano a dover risalire attraverso una struttura che non gli consente di fare valanga, dato che la pendenza della BV è bassa.