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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI CAPITOLO 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI 1.1 Origine dei terreni I terreni derivano dai processi di alterazione fisica e chimica delle rocce. I processi di al- terazione di natura fisica o meccanica producono una disgregazione delle rocce in fram- menti di dimensioni ridotte. Questi processi sono legati a fenomeni di erosione delle ac- que, all’azione di agenti atmosferici (gelo, variazioni termiche), all’azione delle piante, degli animali, dell’uomo. I processi di alterazione di natura chimica o organica decom- pongono invece i minerali che costituiscono le rocce in particelle di natura colloidale, che costituiscono poi la frazione prevalente dei materiali fini. Questi processi sono legati a fe- nomeni di ossidazione, riduzione ed altre reazioni chimiche generate dagli acidi presenti nell’acqua o prodotti dai batteri. I frammenti di roccia (cioè le particelle, i granuli) derivanti da questi processi di altera- zione vengono poi trasportati (più o meno lontano) e successivamente depositati dal ven- to, dall’acqua e dai ghiacciai; durante la fase di trasporto possono subire ulteriori processi di disgregazione meccanica o di alterazione chimica. Nella Figura 1.1 è riportata una rappresentazione semplificata del ciclo di formazione del- le rocce e dei terreni. Se durante le fasi di formazione, trasporto e deposizione intervengono solo processi fisici, le particelle di terreno avranno la stessa composizione delle rocce di origine; se si hanno anche trasformazioni chimiche si formano altri materiali. L’esempio più importante in ambito geotecnico sono i minerali argillosi, tra i quali i più noti sono caolinite, illite e montmorillonite. Le dimensioni delle particelle, che costituiscono il risultato finale di tutti questi fenomeni, sono molto varie, comprendendo frammenti di roccia, minerali e frammenti di minerali. Figura 1.1 - Rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni 1-1

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

CAPITOLO 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

1.1 Origine dei terreni

I terreni derivano dai processi di alterazione fisica e chimica delle rocce. I processi di al-terazione di natura fisica o meccanica producono una disgregazione delle rocce in fram-menti di dimensioni ridotte. Questi processi sono legati a fenomeni di erosione delle ac-que, all’azione di agenti atmosferici (gelo, variazioni termiche), all’azione delle piante, degli animali, dell’uomo. I processi di alterazione di natura chimica o organica decom-pongono invece i minerali che costituiscono le rocce in particelle di natura colloidale, che costituiscono poi la frazione prevalente dei materiali fini. Questi processi sono legati a fe-nomeni di ossidazione, riduzione ed altre reazioni chimiche generate dagli acidi presenti nell’acqua o prodotti dai batteri.

I frammenti di roccia (cioè le particelle, i granuli) derivanti da questi processi di altera-zione vengono poi trasportati (più o meno lontano) e successivamente depositati dal ven-to, dall’acqua e dai ghiacciai; durante la fase di trasporto possono subire ulteriori processi di disgregazione meccanica o di alterazione chimica.

Nella Figura 1.1 è riportata una rappresentazione semplificata del ciclo di formazione del-le rocce e dei terreni.

Se durante le fasi di formazione, trasporto e deposizione intervengono solo processi fisici, le particelle di terreno avranno la stessa composizione delle rocce di origine; se si hanno anche trasformazioni chimiche si formano altri materiali. L’esempio più importante in ambito geotecnico sono i minerali argillosi, tra i quali i più noti sono caolinite, illite e montmorillonite.

Le dimensioni delle particelle, che costituiscono il risultato finale di tutti questi fenomeni, sono molto varie, comprendendo frammenti di roccia, minerali e frammenti di minerali.

Figura 1.1 - Rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni

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1.2 Struttura dei terreni

Anche il risultato finale dell’aggregazione delle particelle, che costituisce la struttura del terreno, può essere molto vario ed influenzarne marcatamente il comportamento.

In particolare, i caratteri strutturali del terreno possono essere evidenziati a diverse scale, ossia in termini di:

− microstruttura

− macrostruttura

− megastruttura

Quando si parla di caratteri microstrutturali ci si riferisce alla forma e alle dimensioni dei grani e ai legami esistenti tra le particelle; i caratteri macrostrutturali sono invece quelli osservabili su una porzione di terreno di dimensioni limitate (ad esempio un campione di laboratorio) e sono costituiti da fessure, intercalazioni, inclusioni di materiale organico, ecc..; i caratteri megastrutturali sono infine quelli evidenziabili a grande scala, come ad esempio giunti, discontinuità, faglie.

Per ora ci limiteremo ad analizzare l’influenza dei caratteri microstrutturali sul compor-tamento dei terreni. In particolare, se pensiamo al terreno come ad un aggregato di parti-celle solide e acqua interstiziale, possiamo facilmente immaginare che in questa miscela esistano due tipi di interazione:

− un’interazione di tipo meccanico, dovuta alle forze di massa o di volume

− un’interazione di tipo chimico, dovuta alle forze di superficie

Sulla superficie esterna di ogni granulo esistono infatti delle cariche elettriche che lo por-tano ad interagire con gli altri granuli e con l’acqua interstiziale. Quindi, se la superficie esterna è piccola in relazione alla massa, anche le azioni superficiali sono modeste e quindi prevalgono le interazioni di tipo meccanico (in tal caso si parla di granuli “inerti”), se la superficie è grande anche le azioni superficiali, e quindi le interazioni di tipo chimi-co, possono diventare importanti, addirittura più importanti di quelle di volume (in questo caso si parla di granuli “attivi”).

Di conseguenza, l’elemento distintivo tra la prevalenza delle forze di volume o delle forze di superficie è legato essenzialmente alla geometria dei granuli, ovvero alla superficie ri-ferita all’unità di massa, che si definisce superficie specifica:

VS

MSSsp ⋅ρ== (Eq. 1.1)

dove S è la superficie del granulo, M la massa, V il volume e ρ la densità.

Se, ad esempio, prendiamo un grammo di sabbia e sviluppiamo tutte le superfici esterne dei grani in esso contenuti, otteniamo che il valore della superficie specifica è dell’ordine di 10-3÷10-4 m2; se invece prendiamo un grammo di argilla “molto attiva” vediamo che la somma delle aree laterali di tutti gli elementi solidi che questo contiene può essere dell’ordine di 800 m2. È da notare che la superficie specifica di un certo materiale dipende

1-2

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dalla forma e dalle dimensioni delle particelle, come è possibile dedurre dalla definizione (Eq. 1.1) 1.

Valori tipici della dimensione media e della superficie specifica di sabbie e argille sono riportati in Tabella 1.

La conseguenza di quanto detto sopra è che nei materiali come le sabbie l’interazione tra i granuli è esclusivamente di tipo meccanico, mentre nelle argille le azioni sono quasi esclusivamente di tipo chimico-fisico.

Tabella 1. Dimensione media e superficie specifica di sabbie e argille

Dimensione media

[mm]

Superficie specifica

[m2/g]

SABBIE (forma sub-sferica) 2 mm 2⋅10-4

MINERALI ARGILLOSI (forma lamellare):

MONTMORILLONITE 10-6 fino a 840

ILLITE (0.03 ÷ 0.1)x 10-3 65 ÷ 200

CAOLINITE (0.1 ÷ 4) x 10-3 10 ÷ 20

Dunque, una prima distinzione tra i vari tipi di terreno può essere fatta in base alle dimen-sioni e alla forma delle particelle che li costituiscono, perché questo è un elemento che ne differenzia notevolmente il comportamento. Dimensioni e forma delle particelle dipendo-no dai minerali costituenti.

Si distinguono così, in primo luogo, i terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie) e forma sub-sferica, o comunque compatta, dai terreni a grana fine (limi e argille) e forma ap-piattita o lamellare, nei quali i singoli grani non sono visibili a occhio nudo.

I terreni naturali consistono generalmente in una miscela di più tipi di terreno appartenenti alle due categorie suddette, a cui può aggiungersi talvolta del materiale organico.

Analizzando un poco più in dettaglio le caratteristiche delle due grandi categorie di terreni che abbiamo appena definito, si può affermare che i terreni a grana grossa sono general-mente costituiti da frammenti di roccia o, nel caso delle particelle più piccole, da singoli minerali o da frammenti di minerali (ovviamente minerali sufficientemente resistenti e stabili dal punto di vista chimico, come ad esempio quarzo, feldspati, mica, ecc..).

I materiali meno resistenti danno origine a terreni con grani più arrotondati, quelli più re-sistenti a granuli più irregolari.

Il comportamento dei terreni a grana grossa dipende soprattutto:

− dalle dimensioni 1In particolare, nell’ipotesi di forma sferica, alla quale si avvicinano ad esempio i grani di una sabbia:

1-3

S = πD2, V = πD3/6, quindi Ssp = 6/ρD. Nell’ipotesi di parallelepipedo appiattito, forma simile a quella del-le particelle di argilla, di dimensioni BxLxh: S = 2LB + 2Bh + 2Lh, V = BLh; quindi ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ++

ρ=

L2

B2

h21Ssp e

se l’altezza h è molto minore delle altre due dimensioni, h2Ssp ρ

≅ . In conclusione, la S aumenta al dimi-

nuire delle dimensioni e con l’appiattimento delle particelle

sp

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− dalla forma (angolare, sub-angolare, sub-arrotondata, arrotondata) (Figura 1.2)

− dalla distribuzione granulometrica (Figura 1.3)

− dallo stato di addensamento dei granuli (Figura 1.4).

Nel caso dei terreni a grana fine, le in-formazioni relative alla distribuzione e alle caratteristiche granulometriche so-no meno significative. I terreni a grana fine sono aggregati di particelle colloi-dali di forma lamella-re, che risultano dalla combinazione di molecole (o uni-tà elementari). Le unità elementari so-no rappresentate da tetraedri (con ato-mo di silicio al centro e ossigeno ai vertici) o ottaedri (con atomi di allu-minio o magnesio al centro e ossidrili ai vertici) (Figura 1.5) che si combina-

mi trasturbofare ca rigo

SABB

Figur

Figur

Il comcon ilche cpositi

ANGOLARE

ARROTONDATA SUBARROTONDATA

SUBANGOLARE

Figura 1.2 – Forma delle particelle

no tra loro per formare reticoli piani (pacchetti elementari). Successive combinazioni diverse di pacchetti ele-mentari danno origine alle particelle di argilla.

A seconda della loro composizione i pacchetti possono stabilire legami più o meno forti tra loro e in relazione a que-sto le particelle di argilla possono avere uno spessore più o meno elevato e i ter-reni possono presentare un comporta-mento meccanico molto diverso tra lo-ro. Ad esempio la caolinite ha uno spessore tipico di circa 1µm, ha legami piuttosto forti ed è quindi un’argilla stabile, con comportamento meccanico buono; la montmorillonite, invece, che ha uno spessore di pochi nm (1nm = 10 Armstrong = 10-3 µm), ha deboli lega-

i pacchetti elementari ed un comportamento meccanico scadente e sensibile al di- perché i legami tendono a spezzarsi (dal punto di vista ingegneristico avere a che on questo tipo di materiali è un problema, perché sono molto deformabili e tendono nfiare in presenza di acqua).

IA BENE ASSORTITA SABBIA POCO ASSORTITA

a 1.3 – Tipo di assortimento di una sabbia

SABBIA SCIOLTA SABBIA DENSA a 1.4 – Stati di addensamento di una sabbia

portamento dei minerali argillosi è fortemente condizionato dalla loro interazione fluido interstiziale, che in genere è acqua. Le unità fondamentali, tetraedri e ottaedri ostituiscono i minerali argillosi, pur essendo complessivamente neutri, hanno carica va all’interno e negativa sulla superficie esterna.

1-4

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

e e

a) b)= sil icio

e = ossidrili = alluminio, magnesio Figura 1.5 – Struttura delle particelle colloidali: unità elementari tetraedriche e ottaedriche (a) e loro combinazione in pacchetti elementari (b).

b)

= ossigeno

a)

Questa caratteristica le porta a stabilire legami molto forti con le molecole d’acqua che, essendo dipolari (poiché, com’è noto, i due atomi di idrogeno, che hanno carica positiva, non sono disposti simmetricamente rispetto all’atomo di ossigeno, carico negativamente), sono attratte elettricamente verso la superficie delle particelle di argilla.

L’acqua che si trova immediatamente a contatto con le particelle diventa perciò parte in-tegrante della loro struttura ed è definita “acqua adsorbita” (Figura 1.6). Allontanandosi dalla superficie delle particelle i legami diventano via via più deboli, finché l’acqua as-

sume le caratteristiche di “ac-qua libera” o “acqua intersti-ziale” (Figura 1.7). È da notare che lo spessore di acqua a-dsorbita è approssimativamen-te lo stesso per tutti i minerali argillosi, ma a causa delle dif-ferenti dimensioni delle parti-celle, il comportamento mec-canico dell’insieme risulta molto diverso.

H + H+

Cristallo di m ontmorillonite (100x1nm)Cristallo di caolinite (1000x100nm)

O-

Acqua adsorb ita

Anche tenendo conto della presenza dell’acqua adsorbita, le particelle di argilla risultano cariche negativamente in superficie e tendono a manifestare forze di repulsione, alle quali si sommano forze di tipo attrattivo (Van der Walls), legate alla struttura atomica del materiale. Questo fa sì che l’ambiente circostante riesca a condizionare la forma e la geometria strutturale delle argil-le: in particolare, se le particelle sono circondate da un fluido con elevata concentrazione di ioni positivi (p. es. in ambiente marino), le cariche negative superficiali esterne tende-ranno a neutralizzarsi e quindi l’effetto di repulsione sarà minore e le particelle tenderan-

Figura 1.6 – Spessore dell’acqua adsorbita per differenti mi-nerali argillosi

1-5

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no ad aggregarsi in strutture più chiuse; al contrario, in un ambiente povero di ioni positi-vi (p. es. in acqua dolce) tenderanno a prevalere le forze di repulsione e si avranno struttu-re più aperte (o disperse).

A conclusione di quanto sopra detto, va anche evidenziato che, mentre nei terreni a grana grossa i grani sono necessariamente a contatto tra loro e formano un vero e proprio “sche-letro solido”, nei terreni a grana fine le particelle possono anche essere non in diretto con-tatto tra loro, pur conservando il materiale caratteristiche di continuità.

0 5 10 15 20 25 30 35 Distanza dalla superficie della particella (in micron)

PARTICELLA

molecole d’acqua

acqua adsorbita

acqua pellicolare

acqua gravifica

acqua di ritenzione

ANDAMENTO DELLA FORZA DI ATTRAZIONE

Figura 1.7 – Schema dell’interazione tra particelle d’argilla e molecole d’acqua

TRA PARTICELLA E MOLECOLE D’ACQUA TRA PARTICELLA E MOLECOLE D’ACQUA

1.3 Relazioni tra le fasi e proprietà indici

Un terreno è, come già detto, un sistema multifase, costituito da uno scheletro formato da particelle solide e da una serie di vuoti, che possono essere a loro volta riempiti di liquido (generalmente acqua) e/o gas (generalmente aria e vapor d’acqua) (Figura 1.8a). Facendo riferimento ad un certo volume di terreno e immaginando per comodità di esposizione di separare le tre fasi (Figura 1.8b), e indicati con:

Vs = volume del solido (inclusa l’H2O adsorbita)

VW = volume dell’acqua (libera)

VG = volume del gas

VV = volume dei vuoti (VW+VG)

1-6

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V = volume totale (VS+VW+VG)

PW = peso dell’acqua

PS = peso del solido

P = peso totale (PW +PS)

si possono stabilire delle relazioni quantitative tra pesi e volumi.

a) b)

VVV

VS

VW

VG

PSParticelle

solide

Gas

Acqua PW

P

Figura 1.8 – Rappresentazione del terreno come materiale multifase (a) e relazione tra le fasi (b)

In particolare si definiscono:

1. porosità: 100VvV

(%) n ⋅= (Eq. 1.2)

(n = 0% solido continuo, n = 100% non vi è materia solida)

2. indice dei vuoti: s

v

VVe = (Eq. 1.3)

3. volume specifico: sV

Vv = (Eq. 1.4)

Tra le tre grandezze sopra definite, è più comodo utilizzare v ed e rispetto ad n perché, per i primi due, al variare del volume dei vuoti, varia solo il numeratore del rapporto. Co-munque n, e e v esprimono lo stesso concetto e sono biunivocamente legate tra loro:

v = 1+ e; )100/n(1

)100/n(e−

=

4. grado di saturazione: 100VV

(%) Sv

wr ⋅= (Eq. 1.5)

(Sr=0% terreno asciutto, Sr=100% terreno saturo)

5. contenuto d’acqua: 100PP

(%) ws

w ⋅= (Eq. 1.6)

1-7

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6. peso specifico dei costituenti solidi: s

ss V

P=γ (Eq. 1.7)

7. peso di volume: VP

=γ (Eq. 1.8)

8. peso di volume del terreno secco:

VPs

d =γ

)0S per VP ovvero( r =

(Eq. 1.9)

9. peso di volume saturo:

VP

sat =γ

%) 100S per( r = (Eq. 1.10)

10. peso di volume immerso: wsat' γ−γ=γ (Eq. 1.11)

dove γw è il peso specifico dell’acqua (9.81 kN/m3). Il peso di volume γ può assumere va-lori compresi tra γd, peso di volume secco (per Sr = 0%) e γsat, peso di volume saturo (per Sr =100%).

Spesso si utilizza la grandezza adimensionale Gs = γs/γw (gravità specifica), che rappre-senta il peso specifico dei costituenti solidi normalizzato rispetto al peso specifico dell’acqua.

Si osservi che mentre le grandezze n (porosità) ed Sr (grado di saturazione) hanno, espres-se in %, un campo di esistenza compreso tra 0 e 100, il contenuto d’acqua, w, può assu-mere valori anche superiori a 100 %.

11. densità relativa: 100ee

ee(%) Dminmax

maxr ⋅

−−

= (Eq. 1.12)

dove e è l’indice dei vuoti allo stato naturale, emax ed emin sono rispettivamente gli indici dei vuoti corrispondenti al minimo e al massimo stato di addensamento convenzionali, de-terminati sperimentalmente mediante una procedura standard.

La densità relativa rappresenta un parametro importante per i terreni a grana grossa in quanto permette di definirne lo stato di addensamento; può variare tra 0 e 100%, e la dif-ferenza che compare al denominatore è una caratteristica del terreno, mentre il numerato-re dipende dallo stato in cui il terreno si trova. Con un mezzo ideale costituito da particel-le sferiche di ugual diametro si ha un assetto che corrisponde al massimo indice dei vuoti (reticolo cubico, Figura 1.9a) e un assetto che corrisponde al minimo (reticolo tetraedrico, Figura 1.9b).

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Nel caso di reticolo cubico si ha n ≅ 46%, nel caso di reticolo tetraedrico si ha n ≅ 26%.

Ovviamente per un terreno reale, in cui le particelle hanno forma irregolare e dimensioni variabili, la porosità massi-ma può essere maggiore del 46%, e la

porosità minima può essere inferiore al 26%.

Figura 1.9 – Reticolo cubico (a) e tetraedrico (b)

b) a)

I valori tipici di alcune delle proprietà sopra definite sono riportati nelle Tabelle 1.2 e 1.3.

Tabella 1.2. Valori tipici di alcuni parametri del terreno

n (%) e γd (kN/m3) γ (kN/m3)

GHIAIA 25-40 0.3-0.7 14-21 18-23

SABBIA 25-50 0.3-1.0 13-18 16-21

LIMO 35-50 0.5-1.0 13-19 16-21

ARGILLA 30-70 0.4-2.3 7-18 14-21

TORBA 75-95 3.0-19.0 1-5 10-13

Tabella 1.3. Valori tipici del peso specifico dei costituenti solidi di alcuni materiali

γs (kN/m3)

SABBIA QUARZOSA 26

LIMI 26.3-26.7

ARGILLE 23.9-28.6

BENTONITE 23

1.3.1 Determinazione del contenuto d’acqua

La determinazione sperimentale di w è piuttosto semplice ed è basata su misure di peso. Operativamente, si mette una certa quantità di terreno, di cui si vuole determinare il con-tenuto in acqua, w, in un recipiente di peso noto (pari a T) e si pesa il tutto (P1). Per otte-nere l’evaporazione di tutta l’acqua libera, si pone poi il contenitore con il terreno in for-no ad essiccare (a 105° per 1÷2 giorni a seconda della quantità e del tipo di materiale) e si ripesa nuovamente (P2). A questo punto si può ricavare w. La differenza tra le due pesate (P1-P2) rappresenta il peso dell’acqua, Pw, mentre il peso del solido è dato dalla differenza tra P2 e T, ossia:

100TPPP100

PPw

2

21

s

w ⋅−−

=⋅=

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Valori tipici di w variano tra il 20% al 30% (massimo) per un terreno sabbioso, tra il 10% e il 15% per argille molto dure, tra il 70% e l’80% per argille molli, anche se, teoricamen-te, come già osservato, può assumere valori superiori al 100%.

Tra le proprietà sopra definite, quelle che risultano indipendenti dalla storia tensionale e dalle condizioni ambientali che caratterizzano il terreno allo stato naturale, vengono dette proprietà indici. Tra le proprietà indici possono essere annoverate anche la granulometria e i limiti di At-terberg, che verranno definite nei paragrafi seguenti.

1.4 Composizione granulometrica

Il comportamento dei terreni a grana grossa è, come già osservato, marcatamente influen-zato dalle dimensioni dei grani e dalla distribuzione percentuale di tali dimensioni, ovvero dalla granulometria. Per ottenere queste informazioni si ricorre alla cosiddetta analisi granulometrica, che consiste nella determinazione della distribuzione percentuale del diametro dei granuli presenti nel terreno. L’analisi granulometrica viene eseguita median-te due tecniche:

1. setacciatura per la frazione grossolana (diametro dei grani maggiore di 0.074 mm)

2. sedimentazione per la frazione fine (diametro dei grani minore di 0.074 mm)

La setacciatura viene eseguita utilizzando una serie di setacci (a maglia quadrata) e/o cri-velli (con fori circolari) con aperture di diverse dimensioni (la scelta delle dimensioni del-le maglie va fatta in relazione al tipo di terreno da analizzare). I setacci vengono disposti uno sull’altro, con apertura delle maglie decrescente verso il basso. Una buona curva gra-nulometrica può essere ottenuta scegliendo opportunamente la successione dei setacci: ad esempio ogni setaccio potrebbe avere apertura delle maglie pari a circa la metà di quello sovrastante (esistono anche indicazioni di varie associazioni tecnico-scientifiche, ad es. dell’Associazione Geotecnica Italiana).

Nella Tabella 1.4 sono riportate le sigle ASTM (American Society Standard Material) e l’apertura delle maglie corrispondente (diametri equivalenti) per i setacci che vengono normalmente impiegati nella setacciatura. Il setaccio più fine che viene generalmente usa-to nell’analisi granulometrica ha un’apertura delle maglie di 0.074 mm (setaccio n. 200 ASTM); al di sotto dell’ultimo setaccio viene generalmente posto un raccoglitore. Il mate-riale viene prima essiccato, pestato in un mortaio, pesato e disposto sul setaccio superiore. Tutta la pila viene poi fatta vibrare (con agitazione manuale o meccanica), in modo da fa-vorire il passaggio del materiale dalle maglie dei vari setacci. Per i terreni più fini si ricor-re anche all’uso di acqua (in tal caso si parla di setacciatura per via umida).

Alla fine dell’agitazione, da ciascun setaccio sarà passato il materiale con diametro infe-riore a quello dell’apertura delle relative maglie. La percentuale di passante al setaccio i-esimo, Pdi , può essere determinata pesando la quantità di materiale depositata su ciascun setaccio al di sopra di quello considerato, Pk (con k = 1,...i), mediante la formula che se-gue:

1-10

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100P

PPP

T

i

1kkT

di ⋅−

=∑=

1-11

dove PT è il peso totale del campione di materiale esaminato.

I risultati dell’analisi granulometrica vengono riportati in un diagramma semi-logaritmico (per permettere una buona rappresentazione anche quando l’intervallo di variazione dei diametri è molto esteso), con il diametro (equiva-lente), D, dei setacci in ascissa e la per-centuale di passante in ordinata (curva granulometrica) (Figura 1.10).

Per i diametri minori di 0.074 mm, cioè per il materiale raccolto sul fondo, si ri-corre all’analisi per sedimentazione. Si tratta di una procedura basata sulla misu-ra della densità di una sospensione, otte-nuta miscelando il materiale all’acqua con l’aggiunta di sostanze disperdenti per favorire la separazione delle particel-le, la cui interpretazione viene fatta im-piegando la legge di Stokes, che lega la

velocità di sedimentazione di una particella in sospensione al diametro della particella e alla densità della miscela. Eseguendo misure di densità a diversi intervalli di tempo e co-noscendo il peso specifico dei grani è possibile ricavare il diametro equivalente e la per-centuale in peso delle particelle rimaste in sospensione e quindi aventi diametro equiva-

Tabella 1.4 – Sigla ASTM e diametri equivalenti dei setacci impiegati per l’analisi granulometrica

N. ASTM Apertura delle maglie, D

[mm]

4 4.76

6 3.36

8 2.38

10 2.00

12 1.68

16 1.19

20 0.840

30 0.590

40 0.420

50 0.297

60 0.250

70 0.210

100 0.149

140 0.105

200 0.074

Figura 1.10 – Curve granulometriche tipiche per i terreni

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

lente inferiore a quelle sedimentate. Utilizzando questi dati è così possibile completare la curva granulometrica.

In pratica quella che si ottiene è una curva cumulativa.

La forma della curva è indicativa della distribuzione granulometrica: più la curva è diste-sa, più la granulometria è assortita. L’andamento della curva viene descritto sinteticamen-te mediante due parametri (che, come vedremo più avanti, vengono impiegati per classifi-care i terreni). Indicando con Dx il diametro corrispondente all’x % di materiale passante (Figura 1.10), si definiscono:

coefficiente di uniformità: 10

60

DD

U = (Eq. 1.13)

(U ≥ 1, più è basso più il terreno è uniforme, Figura 1.10)

coefficiente di curvatura: 1060

230

DDDC⋅

= (Eq. 1.14)

(C esterno all’intervallo 1÷3 indica mancanza di diametri di certe dimensioni ovvero bruschi cambiamenti di pendenza della curva granulometrica, Figura 1.10)

1.5 Limiti di Atterberg (o limiti di consistenza)

Come già osservato, il comportamento dei terreni a grana fine è marcatamente influenzato dall’interazione delle particelle di argilla con il fluido interstiziale (acqua), strettamente legata alla loro composizione mineralogica. Così, per questo tipo di terreni, è importante non solo conoscere la quantità di acqua contenuta allo stato naturale, ma anche confronta-re questo valore con quelli corrispondenti ai limiti di separazione tra stati fisici particolari (in modo analogo a quanto si fa confrontando l’indice dei vuoti naturale con emax ed emin per i terreni a grana grossa).

Nei terreni argillosi si osserva infatti una variazione dello stato fisico, al variare del con-tenuto d’acqua. In particolare, se il contenuto d’acqua di una sospensione argillosa densa è ridotto gradualmente, la miscela acqua-argilla passa dallo stato liquido, ad uno stato plastico (dove il materiale ac-quisisce sufficiente rigidezza da deformarsi in maniera con-tinua), ad uno stato semisolido (in cui il materiale comincia a presentare fessurazioni) e infi-ne ad uno stato solido (in cui il terreno non subisce ulteriori diminuzioni di volume al di-minuire del contenuto d’acqua). Poiché il contenuto d’acqua corrispondente al pas-saggio da uno stato all’altro varia da un tipo di argilla da un

CO

NTE

NU

TO D

’AC

QU

A w

DIM

INU

ZIO

NE

DEL

miscela fluida terra-acqua

SOLIDO

SEMISOLIDO

PLASTICO

LIQUIDO LIMITE LIQUIDO, wL

LIMITE PLASTICO, wP

LIMITE DI RITIRO, wS

terreno secco

Figura 1.11 – Stati fisici del terreno e limiti di Atterberg

1-12

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

altro, la conoscenza di questi valori può essere utile nella classificazione ed identificazio-ne dei terreni a grana fine. Tuttavia il passaggio da uno stato all’altro non è istantaneo, ma avviene gradualmente all’inter-no di un range di valori del contenuto d’acqua. Sono stati perciò stabiliti dei criteri convenzionali (Atterberg, 1911) per individuare le condizioni di passaggio tra i vari stati di consistenza. I contenuti d’ac-qua corrispondenti alle condizioni di passaggio, “convenzionali”, tra i vari stati, sono definiti limiti di Atterberg e variano, in generale, da un tipo di argilla ad un altro.

Lo schema relativo ai 4 possibili stati fisici e i corrispondenti limiti di Atterberg sono ri-portati in Figura 1.11 Si individuano, in particolare, il limite liquido (o di liquidità), wL, nel passaggio tra lo stato liquido e lo stato plastico, il limite plastico (o di plasticità), wp, tra lo stato plastico e lo stato semisolido (o solido con ritiro), il limite di ritiro, tra lo stato semisolido e lo stato solido (o solido senza ritiro), ws.

Ciascuno dei 3 limiti può essere determinato in laboratorio mediante un’opportuna proce-dura standardizzata.

1.5.1 Determinazione del limite liquido

Il limite liquido, wL, si determina in laboratorio con il cucchiaio di Casagrande (Figura 1.12a). Un prefissato volume di terreno, prelevato dal passante al setaccio n. 40 (0.42 mm), viene mescolato con acqua distillata fino ad ottenere una pastella omogenea.

1-13

L’impasto viene successivamente di-sposto nel cucchiaio, spianandone la superficie e praticando poi nella zona centrale, con un’apposita spatola, un solco di 2 mm di larghezza e 8 mm di altezza. Con un dispositivo a mano-vella, il cucchiaio viene quindi la-sciato cadere ripetutamente, a inter-valli di tempo regolari, da un’altezza prefissata su una base di materiale standardizzato e vengono contati i colpi necessari a far richiudere il sol-co per una lunghezza di 13 mm. Vie-ne poi prelevato un po’ di materiale dal cucchiaio e determinato su questo il valore del contenuto d’acqua.

La procedura viene ripetuta più volte variando la quantità di acqua nell’impasto, in modo da ottenere una serie di coppie (4 o 5) di valori, numero di colpi-contenuto d’acqua.

I valori del contenuto d'acqua in fun-zione del numero di colpi vengono poi riportati in un diagramma semilogaritmico, Figura 1.12b, e interpolati linearmente: il contenuto d’acqua corrispondente a 25 colpi rappresen-ta convenzionalmente il limite liquido, wL.

2 mm

Numero di colpi1

wL

8 mm

All’inizioCucchiaio

Utensile

Al termine

105 50

46

47

48

49

10 mm

Base

20

25

30 40

Figura 1.12 – Cucchiaio di Casagrande (a) e proce-dura sperimentale per la determinazione del limite li-quido (b).

a)

b)

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1.5.2 Determinazione del limite plastico

Il limite plastico, wp, è il contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il terreno inizia a perdere il suo comportamento plastico. Si de-termina in laboratorio impastando una certa quantità di terreno passante al setaccio n. 40 (0.42 mm) con acqua distillata e formando manualmente dei bastoncini di 3.2 mm (1/8 in.) di diametro. Quando questi cilindretti, che vengono fatti rotolare continuamente su una lastra di materiale poroso (in modo da per-dere progressivamente acqua), iniziano a fes-surarsi (Figura 1.13), si determina il contenuto d’acqua e questo rappresenta il limite plastico, wP. Generalmente si fanno 3 determinazioni e si assume come wP il valor medio.

≅ 3.2 mm

Figura 1.13 – Determinazione sperimentale del limite plastico

1.5.3 Determinazione del limite di ritiro

Il limite di ritiro, wS, che ha un interesse molto limitato per le applicazioni in ingegneria civile e non viene di norma determinato, è il contenuto d’acqua al di sotto del quale una ulteriore perdita di acqua da parte del terreno non comporta nessuna variazione di volu-me. Pertanto, a differenza degli altri due limiti, non è un valore convenzionale, legato alla procedura di determinazione, ma ha un preciso significato fisico. Si determina in laboratorio su un provino indisturbato che viene essiccato per passi successivi, misurando ad ogni pas-saggio il volume e il contenuto d’acqua. I va-lori del volume vengono riportati in un grafico in funzione del contenuto d’acqua (Figura 1.14) e wS è definito come il contenuto d’acqua corrispondente al punto di intersezio-ne tra le tangenti alla parte iniziale e finale del-la curva ottenuta interpolando i punti speri-mentali.

contenuto d’acqua wS

volu

me

Figura 1.14 – Determinazione sperimentale del limite di ritiro

1.6 Indici di consistenza

Si definisce indice di plasticità, IP, l’ampiezza dell’intervallo di contenuto d’acqua in cui il terreno rimane allo stato plastico, ovvero:

IP (%) = wL -wP (Eq. 1.15)

Tale indice dipende dalla percentuale e dal tipo di argilla e dalla natura dei cationi adsor-biti. Per ogni materiale, l’indice di plasticità cresce linearmente in funzione della percen-tuale di argilla presente, con pendenza diversa in relazione al tipo di minerali argillosi presenti (Figura 1.15). La pendenza di questa retta è definita indice di attività:

1-14

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

1-15

CFII P

a = (Eq. 1.16)

dove CF = % in peso con diametro d < 0.002 mm. Sulla base dei valori assunti da questo indice i terreni possono essere classificati inattivi, normalmente attivi, at-tivi.

Figura 1.15 – Indice di attività delle argille

IP

Attivi Normalmente

attivi

Inattivi

Ia= 1.25

Ia= 0.75

CF

Considerando oltre ai limiti di consistenza, anche il contenuto naturale d’acqua, si pos-sono definire l’ indice di liquidità:

P

PL I

wwI −= (Eq. 1.17)

e l’indice di consistenza

LP

LC I1

Iww

I −=−

= (Eq. 1.18)

L’indice di consistenza, oltre ad indicare lo stato fisico in cui si trova il terreno, fornisce informazioni qualitative sulle sue caratteristiche meccaniche: all’aumentare di IC aumenta la resistenza al taglio del terreno e si riduce la sua compressibilità (da notare anche l’analogia tra IC per terreni a grana fine e Dr per i terreni a grana grossa).

Una suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità e dell’indice di con-sistenza è riportata nelle Tabelle 1.5 e 1.6 rispettivamente, mentre nella Tabella 1.7 sono riportati i valori tipici di wL, wP e IP dei principali minerali argillosi.

Tabella 1.5 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità

TERRENO IP

NON PLASTICO 0 - 5

POCO PLASTICO 5 - 15

PLASTICO 15 - 40

MOLTO PLASTICO > 40

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Tabella 1.6 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di consistenza

CONSISTENZA IC

FLUIDA < 0

FLUIDO-PLASTICA 0 – 0.25

MOLLE-PLASTICA 0.25 – 0.50

PLASTICA 0.50 – 0.75

SOLIDO-PLASTICA 0.75 - 1

SEMISOLIDA (W > WS) O SOLIDA (W < WS) > 1

Tabella 1.7 - Valori tipici di wL,, wP e IP dei principali minerali argillosi

MINERALE ARGILLOSO wL (%) wP (%) IP (%)

MONTMORILLONITE 300-700 55-100 200-650

ILLITE 95-120 45-60 50-65

CAOLINITE 40-60 30-40 10-25

1.7 Sistemi di classificazione

I sistemi di classificazione sono una sorta di linguaggio di comunicazione convenzionale per identificare attraverso un nome (o una sigla) il tipo di materiale, in modo da fornirne indirettamente, almeno a livello qualitativo, delle indicazioni sul comportamento. In pra-tica, individuano alcuni parametri significativi e distintivi dei vari tipi di terreno in modo da poterli raggruppare in classi e stabilire così dei criteri universali, convenzionali, di ri-conoscimento.

Data l’estrema variabilità dei terreni naturali e le diverse possibili finalità ingegneristiche, non è pensabile di poter creare un unico sistema di classificazione. Per questo motivo, si sono sviluppati nel tempo diversi sistemi di classificazione, che possono essere utilizzati per scopi e finalità diversi.

Tuttavia, alcuni aspetti fondamentali accomunano i diversi sistemi di classificazione nella scelta delle proprietà di riferimento. In particolare tali proprietà:

- devono essere significative e facilmente misurabili mediante procedure standardizzate;

- non devono essere riferite ad uno stato particolare, ossia devono essere indipendenti dalla storia del materiale, dalle condizioni di sollecitazione o da altre condizioni al contorno.

Per quanto visto fino ad ora, i parametri che possiedono queste caratteristiche sono quelli precedentemente definiti proprietà indici, e riguardano la composizione granulometrica e la composizione mineralogica. I sistemi di classificazione più vecchi sono basati unica-mente sulla granulometria e perciò sono significativi solo per i materiali a grana grossa (ghiaie e sabbie). Tra questi, i più comunemente usati sono riportati in Tabella 1.8.

1-16

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Tabella 1.8. Alcuni sistemi di classificazione basati sulla granulometria

SISTEMA Ghiaia Sabbia Limo Argilla

MIT

2

0.06

0.002

AASHO 2 0.075 0.002

AGI 2 0.02 0.002

mm mm mm

Essendo i terreni una miscela di grani di diverse dimensioni, una volta determinate le fra-zioni in peso relative a ciascuna classe, il materiale può essere identificato utilizzando i termini delle varie classi come sostantivi o aggettivi, nel modo seguente:

I termine: nome della frazione granulometrica prevalente,

II termine: nomi delle eventuali frazioni maggiori del 25%, precedute dal prefisso con,

III termine: nomi delle eventuali frazioni comprese tra il 15% e il 25%, con il suffisso oso,

IV termine: nomi delle eventuali frazioni minori del 15%, con il suffisso oso, precedute dal prefisso debolmente.

Se ad esempio da un’analisi granulometrica risulta che un terreno è costituito dal 60% di limo, dal 30% di sabbia e dal 10% di argilla, esso verrà denominato limo con sabbia de-bolmente argilloso.

Una classificazione che tiene conto solo della granulometria non è tuttavia sufficiente nel caso di limi e argille, il cui comportamento è legato soprattutto alla composizione minera-logica.

Per questo tipo di terreni si può ricorrere ad esempio al sistema di classificazione propo-sto da Casagrande (1948). Tale sistema è basato sui limiti di Atterberg ed è riassunto in un diagramma (noto come “Carta di plasticità di Casagrande”) (Figura 1.16) nel quale si individuano sei zone, e quindi sei classi di terreno, in funzione del limite liquido (riporta-to in ascissa) e dell’indice di plasticità (riportato in ordinata). La suddivisione è rappre-sentata dalla retta A di equazione:

IP = 0.73 (wL-20) (Eq. 1.19)

e da due linee verticali in corrispondenza di wL = 30 e wL = 50.

Le classi che si trovano sopra la retta A includono le argille inorganiche, quelle sotto la retta A i limi e i terreni organici (a titolo informativo va detto che la presenza di materiale organico in un terreno può essere rilevata attraverso la determinazione del limite liquido prima e dopo l’essiccamento. L’essiccamento provoca infatti nei materiali organici dei processi irreversibili con riduzione di wL; se tale riduzione è maggiore del 75%, il mate-riale viene ritenuto organico).

Esistono poi sistemi che, facendo riferimento sia alla caratteristiche granulometriche sia a quelle mineralogiche, possono essere utilizzati per la classificazione di qualunque tipo di terreno.

1-17

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

In particolare, i due sistemi più comunemente utilizzati e che verranno brevemente de-scritti nel seguito sono il sistema USCS e il sistema HRB (AASHTO, CNR_UNI 10006).

1.7.1 Sistema USCS

1-18

Il sistema USCS (Unified Soil Classification System), sviluppato originariamente da Casa-grande e successivamente modificato negli USA, è il sistema più utilizzato per classificare i terreni di fondazione.

Secondo tale sistema, i terreni vengono suddivisi in cinque gruppi principali, due a grana grossa (con percentuale passante al setaccio 200 minore del 50%): ghiaie (simbolo G) e sabbie (simbolo S), tre a grana fine (con percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 50%): limi (simbolo M), argille (simbolo C) e terreni organici (sim-bolo O). Ciascun gruppo è a sua volta suddiviso in sottogruppi, in relazione ad alcune proprietà indici, secondo quanto indicato nello schema di Figura 1.17.

In particolare i terreni a grana grossa vengono classificati sulla base dei risultati dell’analisi granulometrica in ghiaie (G) e sabbie (S) a seconda che la percentuale passante al setaccio N. 4 (4.76 mm) sia rispettivamente minore o maggiore del 50%. Quindi viene analizzata la componente fine del materiale (passante al setaccio N.200):

Indi

ce d

i pla

stic

ità, P

I (%

)

w =

30

%L

w =

50

%L

Limite di liquidità, w (%)L

PI = 0.73 (w

- 20)

L

LINEA A

02020

20

401

23

6

5440

60

60

80 100

1

2

3

4

5

6

Limi inorganici di media compressibilitàe limi organiciLimi inorganici di alta compressibilitàe argille organicheArgille inorganiche di bassa plasticità

Argille inorganiche di media plasticità

Argille inorganiche di alta plasticità

Limi inorganici di bassa compressibilità

Figura 1.16 – Carta di plasticità di Casa-grande

Figura 1.17 – Sistema di classificazione USCS

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

1) se essa risulta minore del 5% allora si considera solo l’assorti-mento del materiale sul-la base dei valori del coefficiente di uniformità, U, e di curvatura, C (se U > 4 e 1 <C <3, per le ghiaie o U > 6 e 1 <C <3, per le sabbie, allora il materiale si considera ben gradato e come secondo simbolo si adotta W, altrimenti si considera poco gradato e si adotta il simbolo P);

2) se essa risulta maggiore del 12% allora viene classificata, dopo averne misurato i limi-ti di Atterberg (sul passante al setaccio N. 40), con riferimento ad una carta di plastici-tà derivata da quella di Casagrande con alcune modifiche (Figura 1.18), come limo (M) o argilla (C), che verrà utilizzato come secondo simbolo;

3) se essa è compresa tra il 5 e il 12% allora verrà classificata sia la granulometria della frazione grossolana (ben assortita, W, o poco assortita, P) secondo il criterio mostrato al punto 1) sia la componente fine (M o C) secondo il criterio indicato al punto 2), ot-tenendo così un doppio simbolo (ad es. SW-SM).

I terreni a grana fine vengono classificati per mezzo della Carta di plasticità di Casa-grande modificata di Figura 1.18.

Figura 1.18 – Carta di plasticità (Casagrande modificata)

1.7.2 Sistema HRB

Proposto dalla Highway Research Board (1942) e successivamente revisionato dalla American Association of State Highway and Trasportation Office (e riportato con qual-che modifica anche nelle norme CNR-UNI) è un sistema di classificazione che viene uti-lizzato principalmente nel campo delle co-struzioni stradali, o comunque per terreni utilizzati come materiali da costruzione.

In base alla granulometria e alle caratteristiche di plasticità, i terreni vengono suddivisi in otto gruppi, indicati con le sigle da A-1 ad A-8, alcuni dei quali (A-1, A-2 e A-7) suddivi-si a loro volta in sottogruppi secondo lo schema riportato in Figura 1.19. I materiali gra-nulari sono inclusi nelle classi da A-1 ad A-3 (con percentuale passante al setaccio 200 minore o uguale al 35%), i limi e le argille nelle classi da A-4 ad A-7 (con percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 35%), mentre la classe A-8 comprende i terreni al-tamente organici.

Per i terreni granulari si considera nell’ordine:

− la percentuale passante al setaccio N. 10

− la percentuale passante al setaccio N. 40

− la percentuale passante al setaccio N. 200

e quando disponibili si considerano anche i valori del limite liquido e dell’indice di plasti-cità determinati sul passante al setaccio N. 40.

Per i limi e le argille la classificazione viene fatta solo sulla base dei valori misurati del limite liquido e dell’indice di plasticità.

1-19

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Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Il sistema prevede che, per i terreni che contengono un’alta percentuale di materiale fine, venga anche valutato un indice sintetico, detto indice di gruppo, definito come:

I = 0.2 a + 0.005 ac + 0.01 bd,

dove:

a = percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 35% e minore del 75%, espressa come numero intero compreso tra 0 e 40,

b = percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 15% e minore del 55%, espressa come numero intero compreso tra 0 e 40,

c = valore del limite liquido maggiore di 40 e minore di 60, espresso come numero intero compreso tra 0 e 20,

d = valore dell’indice di plasticità maggiore di 10 e minore di 30, espresso come numero intero compreso tra 0 e 20.

Valori minori dei limiti inferiori significano a, b, c, o d uguali a zero; valori maggiori dei limiti superiori significano a o b uguali a 40, c o d uguali a 20.

Quando un terreno rientra in più categorie viene attribuito a quella corrispondente ai limiti più restrittivi.

Materiali granulari(passante al setaccio N.200 ≤ 35%)

Limi-Argille(passante al setaccio N.200 ≥ 35%)Classificazione generale:

Classificazione di gruppo:

Analisi granulometrica:% passante al setaccio:- N.10 (2mm)- N.40 (0.12 mm)- N.200 (0.074 mm)

Limiti di Atterbergdeterminati sul passante al setaccio N.40 (0.42 mm):- wL (%)- Ip (%)

Indice di gruppo (I):Materiale costituente:

Materiale come sottofondo:*Note: Se IP ≤ wL – 30 A-7-5; Se IP ≥ wL – 30 A-7-6

A-1A-1-a A-1-b

A-3A-2-4 A-2-5 A-2-6 A-2-7

A-2 A-4 A-5 A-6 A-7A-7-5*A-7-6

≤ 50≤ 30≤ 15

≤ 50≤ 25

≥ 51≤ 10 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36

≤ 6Non

plastico ≤ 10≤ 40

≤ 10≥ 41

≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11≤ 40≤ 10 ≤ 10

≥ 41≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11

0

Ghiaia (pietrame)con sabbia

0 0 ≤ 4 ≤ 8 ≤ 12 ≤ 16 ≤ 20

SabbiaGhiaia e sabbia

limosa o argillosa Limi Argille

Da eccellente a buono Da buono a scarso

Materiali granulari(passante al setaccio N.200 ≤ 35%)

Limi-Argille(passante al setaccio N.200 ≥ 35%)Classificazione generale:

Classificazione di gruppo:

Analisi granulometrica:% passante al setaccio:- N.10 (2mm)- N.40 (0.12 mm)- N.200 (0.074 mm)

Limiti di Atterbergdeterminati sul passante al setaccio N.40 (0.42 mm):- wL (%)- Ip (%)

Indice di gruppo (I):Materiale costituente:

Materiale come sottofondo:*Note: Se IP ≤ wL – 30 A-7-5; Se IP ≥ wL – 30 A-7-6

A-1A-1-a A-1-b

A-3A-2-4 A-2-5 A-2-6 A-2-7

A-2 A-4 A-5 A-6 A-7A-7-5*A-7-6

≤ 50≤ 30≤ 15

≤ 50≤ 25

≥ 51≤ 10 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36

≤ 6Non

plastico ≤ 10≤ 40

≤ 10≥ 41

≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11≤ 40≤ 10 ≤ 10

≥ 41≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11

0

Ghiaia (pietrame)con sabbia

0 0 ≤ 4 ≤ 8 ≤ 12 ≤ 16 ≤ 20

SabbiaGhiaia e sabbia

limosa o argillosa Limi Argille

Da eccellente a buono Da buono a scarso

Figura 1.19 – Sistema di classificazione HRB

1-20

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

CAPITOLO 2 COSTIPAMENTO

In alcune applicazioni ingegneristiche, può manifestarsi talvolta la necessità di migliorare le caratteristiche del terreno, sia nelle sue condizioni naturali in sito, sia quando esso è impiegato come materiale da costruzione (p. esempio per dighe, rilevati, terrapieni, ecc..).

Le tecniche di miglioramento del terreno possono essere di vario tipo, in particolare esi-stono:

- tecniche di tipo meccanico;

- tecniche di tipo chimico;

- tecniche basate sull’induzione di fenomeni di natura termica o elettrica (che vengono utilizzate soprattutto in maniera provvisoria).

Altri metodi consistono nell’eliminare o ridurre la presenza dell’acqua (drenaggi); altri ancora nel sovraccaricare temporaneamente il terreno prima della realizzazione dell’opera in modo da esaurire preliminarmente un’aliquota dei cedimenti (precarico).

Tra i metodi di tipo meccanico riveste particolare importanza il costipamento che consiste nell’aumentare artificialmente la densità del terreno, impiegato come materiale per la co-struzione di rilevati stradali e ferroviari, argini, dighe in terra, ecc.., attraverso l’applicazione di energia meccanica.

L’obiettivo del costipamento è il miglioramento delle caratteristiche meccaniche del ter-reno, che comporta, in generale, i seguenti vantaggi:

1. riduzione della compressibilità (e quindi dei cedimenti),

2. incremento della resistenza (e quindi della stabilità e della capacità portante),

3. riduzione degli effetti che possono essere prodotti dal gelo, da fenomeni di imbibizio-ne o di ritiro (legati alla quantità di vuoti presenti).

Il primo ad occuparsi di questo fenomeno è stato l’ingegnere americano Proctor (1930), il quale ha evidenziato che il valore della densità secca alla fine del costipamento, ρd = γd/g, è funzione di tre variabili:

− il tipo di terreno (granulometria, composizione mineralogica, ecc.),

− il contenuto d’acqua, w,

− l’energia di costipamento.

In sito possono essere usate diverse tecniche di costipamento, in relazione alla natura del terreno da porre in opera ed eventualmente alla tipologia dei mezzi di cantiere disponibili.

In laboratorio queste possono essere riprodotte attraverso differenti tipi di prova nelle quali il terreno viene disposto in un recipiente metallico di forma cilindrica, a strati suc-cessivi, che vengono via via compattati.

In particolare, esistono quattro differenti tecniche di costipamento e quindi di tipi di pro-va:

2-1

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

1. prove statiche, in cui il terreno è sottoposto ad una pressione costante per un certo pe-riodo di tempo mediante un pistone con area uguale a quella del recipiente;

2. prove kneading (to knead = massaggiare), nelle quali il terreno è sottoposto a inter-valli regolari ad una compressione mediante un pistone che trasmette una pressione nota;

3. prove per vibrazione, in cui il recipiente in cui è contenuto il terreno viene fatto vibra-re con appositi macchinari;

4. prove dinamiche o di urto, nelle quali il terreno è compattato con un pestello mecca-nico a caduta libera;

Le prime due tecniche vengono impiegate per terreni prevalentemente fini, le altre due per terreni prevalentemente a grana grossa. Tra le quattro sopra menzionate, le più usate sono quelle dell’ultimo tipo, di cui fanno parte le prove Proctor.

2.1 Prove Proctor

L’attrezzatura per le prove Proctor è costitui-ta da un cilindro metallico di dimensioni standard dotato di un collare rimovibile e da un pestello di diametro pari alla metà di quel-lo del cilindro e di peso prefissato (Foto e Fi-gura 2.1). In relazione alle caratteristiche dell’apparecchiatura e alle modalità di esecu-zione, le prove Proctor si distinguono in “standard” e “modificata” (Tabella 2.1).

2-2

L’energia di costipamento della prova modi-ficata, che viene eseguita soprattutto per ter-reni di sottofondo e materiali per pavimenta-zioni stradali e aeroportuali, è superiore a quella della prova standard.

La prova Proctor viene eseguita disponendo a strati una certa quantità di terreno, preventi-vamente essiccato o bagnato, nel cilindro e compattandolo con il pestello per un numero prefissato di colpi (25), assestati in una posi-zione prestabilita. L’operazione viene ripetu-

ta per un certo numero di strati (3 per la standard e 5 per la modificata) fino a riempire il cilindro poco al di sopra dell’attaccatura col collare (Figura 2.1). Successivamente viene rimosso il collare, livellato il terreno in sommità, pesato il tutto e determinato il contenuto d’acqua, prelevando una porzione di terreno dal cilindro.

Foto 2.1 - Eecuzione di una prova Proctor

Mediante il peso, P, e il volume, V, (noti) si ricava il peso di volume, γ, e, avendo deter-minato w, si può ricavare il peso di volume del secco, γd, ovvero la densità secca (ρd = γd/g, essendo g l’accelerazione di gravità).  

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Guida Pestello Collare rimovibile

Cilindro metallico

2

Figura 2.1 – Attrezzatura utilizzata per le prove Proctor

Si ha infatti (esprimendo w non in %):

)w1(wPP

VP

VP

VPP

VP

dddS

SWSWS +γ=γ⋅+γ=⋅+=+

==γ (Eq. 2.1)

Quindi:

w1d +γ

=γ (Eq. 2.2)

Tabella 2.1 – Caratteristiche dell’apparecchiatura e modalità di esecuzione della prova Proctor standard e modificata

Dimensioni del ci-lindro

Dimensioni del pestello Tipo di

prova Ø

[cm]

H

[cm]

V

[cm3]

Ø

[mm]

Peso

[kg]

Numero degli strati

Numero colpi per

strato

Altezza caduta

pestello [cm]

Energia di costipamento

[kg cm/cm3]

Standard

AASHO 10.16 11.7 945 50.8 2.5 3 25 30.5 6.05

Modificata

AASHO 10.16 11.7 945 50.8 4.54 5 25 45.7 27.5

2-3

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

2.2 Teoria del costipamento

Analizzando i risultati ottenuti in la-boratorio mediante l’esecuzione di prove Proctor è possibile descrivere il comportamento del terreno sottoposto a costipamento.

Supponiamo di eseguire la prova Proctor (quindi di impiegare la stessa tecnica di compattazione e la stessa quantità di energia) su alcuni campio-ni dello stesso terreno (5 o 6) aventi diversi contenuti d’acqua. Se, per cia-scun campione, riportiamo in un gra-fico (Figura 2.2) il valore del peso di volume del secco (o, indifferentemen-te, della densità secca) ottenuto al termine della prova in funzione del contenuto d’acqua corrispondente, e uniamo i vari punti, otteniamo una curva, detta “curva di costipamento”

che presenta un tipico andamento a campana. Il valore del contenuto d’acqua corrispon-dente al valore massimo del peso di volume del secco (detto “maximum”) è indicato co-me “contenuto d’acqua optimum” o “optimum Proctor”.

Maximum

w [%]

3γd

[kN/m ]

Saturazione 100%

90%

Optimum

Figura 2.2 – Curva di costipamento

Va sottolineato che il valore massimo del peso di volume del secco è relativo ad un valore di energia prefissato e ad una particolare tecnica di compattazione. Quindi, per un dato terreno, l’optimum, il maximum e l’andamento della curva dipendono dall’energia spesa e dal metodo di costipamento. I valori tipici del maximum variano intorno a 16÷20 kN/m3, mentre il massimo range di variazione è compreso tra 13 e 23 kN/m3. I valori tipici dell’optimum variano intorno al 10÷20%, mentre il massimo range di variazione per l’optimum è compreso tra il 5% e il 40%.

Per valori bassi del contenuto d’acqua, la resistenza del terreno è alta così che, a parità di energia di compattazione impiegata, risulterà più difficile ridurre i vuoti e quindi raggiun-gere elevati valori della densità secca; incrementando il contenuto d’acqua, la resistenza del terreno tende a diminuire, facilitando la rimozione dei vuoti, ed aumenta così il valore di densità secca raggiungibile fino al maximum ottenuto in corrispondenza del valore di optimum del contenuto d’acqua; per valori superiori all’optimum, avendo raggiunto un elevato grado di saturazione, le deformazioni avvengono pressoché a volume costante (l’acqua non riesce a filtrare verso l’esterno) e non consentono ulteriori riduzioni dell’indice dei vuoti, per cui si riduce anche il valore della densità secca ottenuto.

Se per uno stesso tipo di terreno si utilizza la stessa tecnica di costipamento (p. es. quella della prova Proctor) variando l’energia (il numero di colpi), si ottiene una famiglia di cur-ve con andamento simile. Al crescere dell’energia aumenta la densità secca massima e diminuisce il contenuto d’acqua optimum. Con contenuti d’acqua superiori all’optimum le diverse curve tendono a confondersi in un’unica linea (Figura 2.3).

2-4

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Questo significa che per contenuti d’acqua inferiori all’optimum un aumento dell’energia di costipamento risulta più efficace in quanto riesce ad incrementare la densità secca (cosa che può non accadere per contenuti d’acqua superiori all’optimum).

La linea in cui si confondono i tratti terminali di tutte le curve risulta appros-simativamente parallela alla curva di sa-turazione, che può essere determinata calcolando il valore del peso di volume del secco corrispondente al contenuto d’acqua in condizioni di saturazione. Tale valore dipende solo dal peso di vo-lume del solido γs.

w [%]

Saturazione 100%

90%

Linea dei puntidi optimum

Energiacrescente

d[kN/m ]

Figura 2.3 – Andamento della curva di costipa-mento al variare dell’energia di costipamento

Infatti:

e1VV

VVV/V

V/PVP S

S

V

S

S

S

S

SSSd +

γ=

+

γ===γ

(Eq. 2.3)

se il terreno è saturo (Sr = 1), con Sr non espresso in %):

WS

W

W

S

S

S

W

S

V 1wPP

PP

VV

VV

⋅γ⋅=⋅⋅== (Eq. 2.4)

quindi:

W

S

Sd

w1γγ

⋅+

γ=γ

(Eq. 2.5)

per Sr < 1 (con Sr espresso non in percentuale) invece:

WS

rW

W

S

S

Sr

W

S

V 1wS1

PP

PP

VSV

VVe

γ⋅γ⋅⋅=⋅⋅== (Eq. 2.6)

quindi:

W

Sr

rSd

wS

S

γγ

⋅+

⋅γ=γ

(Eq. 2.7)

2-5

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Anche la linea congiungente i vari punti corrispondenti all’optimum per un dato terreno risulta all’incirca pa-rallela alla curva di saturazione; cioè per un dato terreno il massimo effetto di costipamento si ha per un certo grado di saturazione.

contenuto d’acqua, w [%]

linea disaturazione

1

2

3

4

5

01.4

dens

ità se

cca,

[M

g/m

]ρ d

3

1.6

1.8

2.0

2.2

10 20 30

1. Sabbia ben assortita con ghiaia e limo2. Miscela di ghiaia, sabbia, limo e argilla3. Argilla sabbiosa4. Sabbia fine uniforme5. Argilla molto plastica

Figura 2.4 – Curva ottenute per differenti tipi di ter-reno a parità di energia di costipamento

A parità di energia di costipamento, le curve che si ottengono per differenti tipi di terreno sono molto diverse tra loro. In particolare si può osservare che (Figura 2.4):

- la variazione del contenuto d’acqua influenza la densità secca più per certi tipi di terreno e meno per altri;

- terreni in cui prevale la frazione fine raggiungono valori di densità secca più bassi;

- le sabbie ben assortite presentano valori della densità secca più ele-vati di quelle più uniformi e gli effetti del costipamento sono mol-to più marcati;

- per i terreni argillosi il maximum decresce all’aumentare della plasticità.

2.3 Costipamento in sito

Per il costipamento dei terreni in sito possono essere impiegate attrez-zature diverse in rela-zione alle caratteristi-che e al tipo di terreno e all’energia richiesta per il costipamento. Le tec-niche impiegate posso-no trasmettere al terre-no azioni meccaniche di tipo statico, di com-pressione e di taglio, o di tipo dinamico, di ur-to o vibrazione. In base al prevalere di uno dei due tipi di azioni le at-

Figura 2.5 – Rullo compressore usato per terreni a grana fine

2-6

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

trezzature per il costipamento si suddividono in due classi costituite rispettivamente dai mezzi prevalentemente statici e prevalentemente dinamici.

In particolare, per il costipamento dei terreni a grana fine risultano efficaci solo le attrez-zature della prima classe, mentre per il costipamento dei terreni granulari sono efficaci soprattutto quelle del secondo tipo.

Nei mezzi prevalentemente statici sono compresi i rulli lisci, i rulli o carrelli gommati e i rulli a punte (Figura 2.5). I rulli lisci statici compattano per compressione e la loro azione è limitata alla parte più superficiale di terreno; hanno un peso generalmente compreso tra le 2 e le 20 t e trasmettono pressioni dell’ordine di 30÷100 kg/cm su una striscia di un centimetro di generatrice. I rulli gommati sono costituiti da un cassone trasportato da un certo numero di ruote gommate; compattano sia con azione di compressione che di taglio per mezzo dei pneumatici. Rispetto ai rulli lisci agiscono più in profondità. I rulli a punte sono dotate di protrusioni di varia forma (es. rulli “a piè di pecora”) o di segmenti mobili che esercitano nel terreno un’azione di punzonamento e di taglio. La loro azione è limitata alla parte più superficiale di terreno.

Nella classe dei mezzi prevalentemente dinami-ci sono compresi i rulli lisci vibranti (Figura 2.6), le piastre vibranti e le piastre battenti. I rulli vibranti sono analoghi a quelli lisci, ma sono do-tati di pesi eccentrici che generano forze verticali di tipo sinusoidale che mettono in vibrazione il terreno; in genere sono poco efficaci in superfi-cie, per cui nella fase fi-

nale vengono utilizzati senza vibrazione per costipare lo strato più superficiale di terreno. Le piastre vibranti sono formate da una piastra di acciaio sulla quale è posto un motore e una serie di masse eccentriche che generano un moto sinusoidale verticale in grado di sol-levare, spostare e far ricadere la piastra.

Figura 2.6 – Rullo compressore (vibratore) usato per terreni granu-lari

Le piastre battenti consistono in una massa che viene ritmicamente sollevata e lasciata ri-cadere sul terreno; vengono usate soprattutto per costipare aree di dimensioni ridotte quando non possono essere utilizzate altre tecniche di costipamento.

In sito il costipamento viene eseguito disponendo il terreno a strati successivi di qualche decina di centimetri; la scelta dello spessore e della quantità di energia (numero di pas-saggi con i rulli o di battute con le piastre) dipende dalle caratteristiche del materiale da compattare. Per i materiali a grana fine (A-4, A-5, A-6, A-7 della classificazione HRB) e per i materiali a grana grossa con percentuale elevata di fine (A-2) tale scelta è molto le-gata al valore del contenuto d’acqua; per i materiali a grana grossa (A-1, A-3) la compat-tazione è generalmente poco condizionata dal contenuto d’acqua.

2-7

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Capitolo 2 COSTIPAMENTO

In genere i risultati ottenuti dal costipamento in sito vengono controllati e confrontati con quelli delle prove Proctor (standard o modificata) eseguite in laboratorio. La densità secca (o il peso di volume del secco) ottenuta dal costipamento in sito deve essere generalmente una percentuale prefissata (almeno l’85% ÷ 90%) di quella ottenuta in laboratorio. Per de-terminare la densità secca (o il peso di volume del secco) in sito, il procedimento è artico-lato nelle seguenti fasi:

2-8

1. viene scavata una porzione di terreno e determinato il peso P e il contenuto d’acqua w;

2. viene misurato il volume di terreno scavato, V;

3. viene determinato il peso di volume totale (γ = P/V). Il pe-so di volume del secco può essere ricavato mediante la re-lazione (2.2) e confrontato con il valore di γdmax ottenuto con la prova Proctor.

Il punto 2 è quello che presenta le maggiori difficoltà. A questo sco-po i metodi più usati (Figura 2.7) sono:

- il metodo della sabbia tarata (figura 2.7a), in cui lo scavo viene riempito con una sabbia di caratteristiche note, il cui volume viene determinato per lettura sul recipiente che con-tiene la sabbia e per pesata;

- il metodo dell’olio o dell’ac-qua (figura 2.7b) in cui il foro viene accuratamente rivestito con una membrana di po-lietilene e successivamente riempito con acqua o olio.

cono

a)

valvolapiastra con fo ro

sabbia di carat teristiche note

Foglio di polietilene per terren i granulari

b)

Figura 2.7 – Metodi per la determinazione della densità in sito

In alternativa a questi metodi può essere utilizzato anche quello del nucleodensimetro, che consente una misura della densità e del contenuto d’acqua con procedimento non distrut-tivo ed è basato sulla misura dell’assorbimento di radiazioni nucleari.

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 1

CAPITOLO 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

Essendo il terreno un materiale multifase, il suo comportamento meccanico (compressibi-lità, resistenza), in seguito all’applicazione di un sistema di sollecitazioni esterne o, più in generale, ad una variazione delle condizioni esistenti, dipende dall’interazione tra le di-verse fasi. Lo studio di questa interazione, che rappresenta un problema estremamente complesso, può essere affrontato, in linea teorica, seguendo due tipi di approccio:

− il primo consiste nell’analizzare il comportamento della singola particella, in relazio-ne alle particelle circostanti ed al fluido interstiziale, e nel determinare la risposta di un elemento di terreno a partire dalla modellazione del comportamento di un insieme di particelle;

− il secondo è basato su una trattazione di tipo più integrale, che prescinde dalle vicen-de dei singoli grani e analizza il comportamento globale del mezzo.

Il primo modo di procedere è talmente complesso da risultare di fatto inutilizzabile per le applicazioni ingegneristiche, cosicché nella pratica, con una pesante semplificazione dal punto di vista concettuale, un terreno saturo (salvo diversa indicazione ci riferiremo nel seguito a terreni totalmente saturi d’acqua) viene assimilato a due mezzi continui sovrap-posti, ovvero che occupano lo stesso volume, l’uno solido, l’altro fluido. Tale semplifica-zione implica che le proprietà di un elemento di terreno, infinitesimo o finito, siano le stesse, e che si possano estendere anche ai terreni i concetti di tensione e deformazione propri dei mezzi continui con le relative notazioni.

Naturalmente è necessario stabilire una legge di interazione tra le fasi, ovvero tra i due continui solido e fluido che occupano lo stesso volume di terreno. Tale legge è il princi-pio delle tensioni efficaci, enunciato da Karl Terzaghi nel 1923.

3.1 Principio delle tensioni efficaci

Le esatte parole con cui Terzaghi enuncia il principio delle tensioni efficaci alla 1a Confe-renza Internazionale di Meccanica delle Terre (Londra, 1936) sono le seguenti:

“The stress in any point of a section through a mass of soil can be computed from the total principal stresses σ1, σ2 and σ3 which act at this point. If the voids of the soil are filled with water under a stress u the total principal stresses consist of two parts. One part u acts in the water and in the solid in every direction with equal in-tensity. It is called the neutral stress (or the pore pressure).

The balance σ1 = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u, and σ’3 = σ3 – u represents an excess over the

“Le tensioni in ogni punto di una sezione attraverso una massa di terreno possono es-sere calcolate dalle tensioni principali totali σ1, σ2 e σ3 che agiscono in quel punto. Se i pori del terreno sono pieni d’acqua ad una pressione u, le tensioni principali totali pos-sono scomporsi in due parti. Una parte, u, agisce nell’acqua e nella fase solida in tutte le direzioni con eguale intensità, ed è chia-mata pressione neutra (o pressione di pori).

Le differenze σ1’ = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u, e σ’3 = σ3 – u rappresentano un incremento

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 2

neutral stress u and it has its seat exclu-sively in the solid phase of the soil. This fraction of the total principal stress will be called the effective principal stress”.

“All measurable effects of a change of stress, such compression, distortion and a change of shearing resistance, are exclu-sively due to changes in the effective stresses”.

rispetto alla pressione neutra ed hanno sede esclusivamente nella fase solida del terreno. Questa frazione della tensione totale princi-pale sarà chiamata tensione principale effi-cace”.

“Ogni effetto misurabile di una variazione dello stato di tensione, come la compressio-ne, la distorsione e la variazione di resisten-za al taglio è attribuibile esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci”.

Si osservi che:

− Terzaghi non attribuisce alcun significato fisico alle tensioni principali efficaci, ma le definisce semplicemente come differenza tra tensioni principali totali e pressione in-terstiziale;

− le tensioni principali efficaci non sono dunque direttamente misurabili, ma possono essere desunte solo attraverso la contemporanea conoscenza delle tensioni principali totali e della pressione interstiziale;

− il principio delle tensioni efficaci è una relazione di carattere empirico (come si de-sume dal fatto che Terzaghi precisa che “Ogni effetto misurabile.....), sebbene sia sta-to finora sempre confermato dall’evidenza sperimentale.

In definitiva per studiare il comportamento meccanico di un terreno saturo ci si riferisce a due mezzi continui sovrapposti e mutuamente interagenti, e si definiscono in ogni punto il tensore delle tensioni totali, il tensore delle pressioni interstiziali (isotropo) e, per diffe-renza, il tensore delle tensioni efficaci.

Importanti implicazioni del principio delle tensioni efficaci sono:

una variazione di tensione efficace comporta una variazione di resistenza,

se non vi è variazione di tensione efficace non varia la resistenza,

una variazione di volume è sempre accompagnata da una variazione di tensione effi-cace,

una variazione di tensione efficace non comporta necessariamente una variazione di volume,

condizione necessaria e sufficiente affinché si verifichi una variazione di stato tensio-nale efficace è che la struttura del terreno si deformi, la deformazione può essere vo-lumetrica, di taglio o entrambe.

Un’interpretazione fisica approssimata del concetto di tensione efficace può essere data nel modo seguente: si consideri una superficie immaginaria (di area trasversale pari ad At) che divida in due parti un elemento di terreno saturo senza sezionare le particelle di terre-no (Figura 3.1).

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 3

Se indichiamo con:

− Ac l’area dei contatti intergranulari,

− u la pressione dell’acqua nei pori,

la forza totale verticale, Ft,v , agente sulla su-perficie, è data dalla somma delle componen-ti verticali delle forze trasmesse dai grani in corrispondenza delle aree di contatto e dalla risultante della pressione dell’acqua nei pori, agente in corrispondenza delle zone di con-tatto acqua- superficie, ovvero:

Ft,v = Σ Fi,v + u (At – Ac) (Eq. 3.1)

Dividendo tutto per At e indicando con σ = (Ft,v /At), la tensione verticale totale media sulla superficie considerata, per l’equilibrio in direzione verticale si ha:

σ = Σ Fi,v/At + u (1 – Ac/At). (Eq. 3.2)

Posto Σ Fi,v/At = σ’, tensione efficace, e tenuto conto che l’area dei contatti intergranulari è trascurabile rispetto all’area totale (Ac<< At), si ottiene infine:

σ = σ’ + u (Eq. 3.3)

ovvero l’equazione del principio degli sforzi efficaci.

A commento di quanto sopra detto, è opportuno evidenziare che:

− la tensione efficace, σ’, rappresenta la somma delle forze intergranulari riferita all’area totale della sezione considerata (quindi una tensione media sulla sezione) e non la pressione esistente in corrispondenza delle aree di contatto, che risulta molto maggiore di σ’ (essendo l’area di contatto molto piccola);

− nel caso dei minerali argillosi, il termine σ’ include anche le azioni elettromagnetiche (di attrazione e repulsione) tra le particelle, che non risultano trascurabili rispetto alle pressioni intergranulari; anzi, per argille ad alta plasticità, dove potrebbero anche non esistere contatti intergranulari, σ’ rappresenta la risultante delle forze di attrazione e di repulsione tra le particelle;

− l’ipotesi di trascurare il rapporto Ac/At non è sempre valida per tutti i mezzi granulari1.

1 A titolo di esempio, consideriamo due diversi mezzi granulari: una sabbia omogenea, per la quale si può ragionevolmente assumere un valore molto piccolo di Ac/At ( = 0.01) e un insieme di pallini di piombo, per i quali il valore del rapporto Ac/At è maggiore e vale approssimativamente 0.3 (in quanto a parità di dimen-sioni, forma e tensione totale agente su di essi, la deformabilità risulta più grande per i pallini di piombo con un conseguente aumento dell’area di contatto tra le particelle). Assumiamo inoltre, per entrambi i mezzi granulari: σ = 100kPa e u = 50kPa, e quindi per il principio delle tensioni efficaci σ’ = σ – u = 50kPa. Per la sabbia si ha: Σ Fi,v/At = σ - u (1 – Ac/At) =100 – 50·(1 – 0.01) = 50.5 kPa ≈ σ’ e la pressione verticale media di contatto interparticellare è molto elevata e vale: Σ Fi,v/AC = (Σ Fi,v/AT)·(AT / AC) = 50.5/0.01 = 5050 kPa. Per i pallini di piombo invece si ha: Σ Fi,v/At = σ - u (1 – Ac/At) =100 – 50·(1 – 0.3) = 65 kPa ≠ σ’ e la pres-sione verticale media di contatto interparticellare è molto meno elevata e vale: Σ Fi,v/AC = (Σ Fi,v/AT)·(AT / AC) = 65/0.3 = 216.7 kPa.

67

Figura 3.1 – Schema adottato per l’interpre-tazione del principio delle tensioni efficaci

At

F1 F2 F3 F4 F5 F6

F7

σ

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 4

Per capire meglio il principio delle tensioni efficaci, consideriamo un recipiente contenen-te della sabbia immersa in acqua (Figura 3.2a), in modo che il livello dell’acqua sia coin-cidente con quello della sabbia (tutti i pori tra i grani sono pieni d’acqua, il terreno è satu-ro).

Se immaginiamo di aggiungere sopra la sabbia uno strato di pallini di piombo (Figura 3.2b), si avrà un incremento di pressioni totali, ∆σ, e un conseguente abbassamento, ∆h, del livello superiore della sabbia. In questo caso, i pallini trasmettono le sollecitazioni di-rettamente allo scheletro solido, la pressione dell’acqua all’interno dei pori (pressione in-terstiziale) non cambia, l’incremento di tensione efficace è pari a quello di tensione totale (∆σ’ = ∆σ); la variazione delle tensioni efficaci produce degli effetti sul comportamento meccanico del terreno e induce dei cedimenti.

Se invece immaginiamo di innalzare il livello dell’acqua (Figura 3.2c), nel recipiente con-tenente sabbia e acqua, si avrà un incremento di pressione totale dovuto unicamente ad un incremento del carico idrostatico, che produce in ciascun punto un analogo incremento della pressione interstiziale. In questo caso ∆σ = ∆u e ∆σ’ = 0; non avendo variazioni delle tensioni efficaci non si hanno né effetti sul comportamento meccanico del terreno né cedimenti.

(a) (b)

∆h

Pallini di piombo

(c) Figura 3.2 – Effetti della variazione delle tensioni totali sulle tensioni efficaci: (a) condizione ini-ziale; (b-c) Eguale incremento di tensione totale, ∆σ, testimoniato dalla medesima variazione di peso registrata dalla bilancia; (b) ∆σ = ∆σ’, ∆u = 0 produce l’effetto misurabile del cedimento ∆h; (c) ∆σ = ∆u, ∆σ’ = 0 non si ha alcun effetto misurabile

3.2 Tensioni geostatiche

In molti problemi di ingegneria geotecnica può essere necessario stimare l’effetto che una perturbazione, come ad esempio l’applicazione di un carico in superficie, lo scavo di una trincea o l’abbassamento del livello di falda, produce sul terreno in termini di resistenza e di deformazione.

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 5

A tal fine è necessario prima stimare le variazioni dello stato di sollecitazione indotto dal-la perturbazione nel terreno, e poi applicare la legge costitutiva, ovvero le relazioni che permettono di stimare, date le variazioni di tensione, le conseguenti deformazioni, imme-diate e/o ritardate, del terreno. Poiché quasi mai il terreno può essere assimilato ad un mezzo elastico lineare, le deformazioni indotte dalla variazione di stato tensionale dipen-dono anche dallo stato tensionale iniziale del terreno, ovvero precedente alla perturbazio-ne, e dalla storia tensionale e deformativa che il terreno ha subito fino a quel momento.

Perciò è molto importante stimare lo stato tensionale dovuto al peso proprio del terreno (tensioni geostatiche), che di norma corrisponde allo stato tensionale iniziale.

La conoscenza dello stato tensionale iniziale in sito è dunque un punto di partenza fon-damentale per la soluzione di qualunque problema di natura geotecnica.

In assenza di carichi esterni applicati, le tensioni iniziali in sito sono rappresentate dalle tensioni geostatiche (o litostatiche), ovvero dalle tensioni presenti nel terreno allo stato naturale, indotte dal peso proprio.

Tali tensioni sono legate a molti fattori ed in particolare a:

− geometria del deposito,

− condizioni della falda,

− natura del terreno (caratteristiche granulometriche e mineralogiche, stato di adden-samento o di consistenza, omogeneità, isotropia),

− storia tensionale (con il termine storia tensionale si intende comunemente la sequen-za di tensioni, in termini di entità e durata, che hanno interessato il deposito dall’inizio della sua formazione alle condizioni attuali),

e la loro determinazione è, in generale, piuttosto complessa.

Se consideriamo all’interno di un deposito di terreno un generico punto P, con riferimento ad un elemento cubico infinitesimo di terreno, i cui lati sono orientati secondo un sistema di riferimento cartesiano ortonormale (0,x,y,z) con asse z verticale, lo stato tensionale può essere definito una volta note le componenti normali, σ, e tangenziali, τ, delle tensioni agenti sulle facce dell’elemento di terreno considerato (Figura 3.3)2. Tali tensioni sono legate tra loro ed alle componenti dPx, dPy e dPz delle forze di volume, presenti nell’elemento, attraverso le equazioni indefinite di equilibrio alla traslazione e alla rota-zione:

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

=+⋅⋅∂

τ∂+⋅⋅

∂τ∂

+⋅⋅∂σ∂

=+⋅⋅∂

τ∂+⋅⋅

τ∂+⋅⋅

σ∂

=+⋅⋅∂τ∂

+⋅⋅∂

τ∂+⋅⋅

∂σ∂

0dPdzdydxy

dzdydxx

dzdydxz

0dPdzdydxz

dzdydxx

dzdydxy

0dPdzdydxz

dzdydxy

dzdydxx

zyzxzz

yzyxyy

xzxyxx

⎪⎩

⎪⎨

τ=ττ=ττ=τ

yzzy

xzzx

yxxy

(Eq. 3.4)

2 Nella Meccanica dei Terreni sono assunte positive le tensioni normali di compressione e le tensioni tan-genziali che producono rotazioni orarie rispetto a un punto esterno al piano di giacitura (ovvero che danno origine ad una coppia antioraria).

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 6

y

z

zx

xy

xz

yx

zy

yz

x

y

x

z

O

σ

σ

σ

ττ

τ

τ

τ

τ

Figura 3.3 – Stato tensionale di un elemento infini-tesimo di terreno

Nel caso di:

− piano di campagna orizzontale ed infinitamente esteso,

− uniformità orizzontale delle proprietà del terreno (quindi terreno omogeneo od e-ventualmente stratificato, con disposizione orizzontale degli strati),

− falda orizzontale e in condizioni di equilibrio idrostatico,

si realizza per ragioni di simmetria uno stato tensionale assial-simmetrico rispetto all’asse z, in cui in ogni punto il piano orizzontale e tutti i piani verticali sono principali e le tensioni orizzontali sono tra loro uguali, in tutte le direzioni.

Lo stato tensionale totale in un generico punto P può essere dunque univocamente defini-to mediante una tensione totale verticale, σz = σv, e una tensione totale orizzontale, σh = σx = σy (Figura 3.4).

Figura 3.4 – Stato tensionale assial-simmetrico e tensioni geostatiche nel terreno

z

zw

dP

σv

dzz

vv ∂

∂+

σσ

σh

σh

x

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 7

Le equazioni indefinite dell’equilibrio, (3.4), considerando che le forze di volume sono rappresentate dalla sola forza peso dPz = - dP = - γ dx dy dz, risultano così semplificate:

⎪⎪

⎪⎪

γ=∂σ∂

=∂σ∂

=∂σ∂

z

0yx

v

hh

(Eq. 3.5)

3.2.1 Tensioni verticali

Integrando l’equazione ottenuta dall’equilibrio in direzione verticale, è possibile ricavare il valore della pressione verticale totale alla profondità z:

∫ γ=σz

0v dz)z( (Eq. 3.6)

Vale la pena evidenziare che le tensioni litostatiche vengono spesso indicate con il simbo-lo “0” a pedice, per sottolineare che si tratta di condizioni iniziali (di partenza per il pro-blema geotecnico di interesse).

Se il deposito è omogeneo (γ costante con la profondità) e σv = 0 per z = 0 (assenza di ca-richi verticali sul piano di campagna) e la superficie piezometrica coincide col piano di campagna (zw = 0) si ha, dall’equazione (3.6):

σvo = γ ⋅ z (Eq. 3.7)

dove γ rappresenta il peso di volume saturo fino alla profondità z considerata3.

Nel caso di deposito costituito da più strati orizzontali caratterizzati da valori di γ diversi (costanti all’interno di ciascuno strato), il valore della pressione verticale totale alla pro-fondità z è dato invece da:

σvo = Σi γi ⋅ ∆zi (Eq. 3.8)

essendo ∆zi lo spessore dello strato i-esimo compreso entro la profondità z.

È da osservare che anche all’interno di uno stesso strato γ può variare con la profondità (anche per effetto del solo peso proprio l’indice dei vuoti di un terreno diminuisce al cre-scere della profondità e conseguentemente aumenta il suo peso di volume); in tal caso si è soliti suddividere il deposito in sottostrati per i quali viene assunto γ costante.

La pressione verticale efficace, σv’, non è invece determinabile direttamente. Una volta determinato il valore della pressione verticale totale, σv, è necessario perciò valutare an-

3 Nel caso in cui la superficie piezometrica sia al di sopra del piano di campagna ad una distanza H, allora la tensione verticale totale è data da: σvo = γ z + γw ⋅ H, mentre nel caso in cui sia al di sotto del piano di cam-pagna ad una profondità zw, allora la tensione verticale totale è: σvo = γsat ⋅( z - zw) + γ ⋅ zw, dove γ rappresen-ta il peso di volume del terreno al di sopra della falda (in genere parzialmente saturo a causa di fenomeni di risalita capillare) e γd < γ < γsat.

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 8

che il valore della pressione dell’acqua nei pori, ossia il valore della pressione interstizia-le, u, in modo da poter applicare l’equazione del principio delle pressioni efficaci (3.3).

In condizioni di falda in quiete, la pressione dell’acqua, u, può essere ricavata una volta nota la posizione della superficie piezometrica, che è per definizione il luogo dei punti in cui la pressione dell’acqua è uguale alla pressione atmosferica, ua (in pratica la pressione dell’acqua u può essere rilevata utilizzando varie tecniche di misura che verranno descrit-te in uno dei capitoli seguenti).

Poiché convenzionalmente si assume ua = 0, si ha, all’interno di un deposito reale, u >0 sotto la superficie piezometrica e u < 0 sopra (specie per terreni coesivi per la presenza di fenomeni di risalita capillare). Essendo la determinazione dei valori u < 0 molto incerta, si è soliti assumere u = 0 al di sopra della superficie piezometrica, commettendo consape-volmente un errore che, nella maggior parte dei casi è a favore della sicurezza.

In ciascun punto al di sotto della superficie piezometrica, e in assenza di moto di filtra-zione, la pressione dell’acqua, uguale in tutte le direzioni, è pari al valore idrostatico4, ov-vero:

u = γw z (Eq. 3.9)

essendo z la profondità del punto considerato rispetto alla superficie piezometrica. Pertan-to, avendo assunto un sistema di riferimento con l’asse z verticale discendente e origine sul piano campagna, se la superficie piezometrica si trova a profondità zw, il valore della pressione interstiziale a profondità z è pari a:

u = 0 per z < zw

u = γw⋅ (z-zw) per z ≥ zw (Eq. 3.10)

Ricordando l’espressione generale di σv(3.8), si ha quindi:

σ ’vo = σvo - u = σvo = Σi γi ⋅ ∆zi per z < zw

σ ’vo = σvo - u = Σi γi ⋅ ∆zi – γw⋅(z-zw) per z ≥ zw (Eq. 3.11)

3.2.2 Tensioni orizzontali

Al contrario di quanto accade per le pressioni verticali, la determinazione delle pressioni orizzontali in un deposito risulta incerta, poiché le equazioni che si ricavano dall’equili-brio alle traslazioni in direzione orizzontale, (3.5), forniscono σh = costante e quindi non danno nessuna informazione utile.

Non essendo pertanto possibile una loro determinazione analitica, è necessario ricorrere ad evidenze sperimentali. L’osservazione condotta sperimentalmente su depositi di diffe-rente origine e composizione, ha evidenziato che il valore di σ’h dipende, oltre che da:

− geometria del deposito,

− condizioni della falda,

4 Infatti nella maggior parte dei casi i vuoti nei terreni sono fra loro comunicanti e quindi sotto falda sono saturi d’acqua. In alcuni casi ciò non è vero: ad esempio in alcuni terreni di origine vulcanica, come i terreni di Sarno.

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 9

− e natura del terreno

(analogamente a quanto accade per σ’v), anche dalla storia tensionale del deposito.

Per meglio comprendere l’influenza della storia tensionale del deposito sul valore della tensione orizzontale, si faccia riferimento ad un caso di sedimentazione in ambiente lacu-stre su un’area molto estesa in direzione orizzontale.

La tensione verticale totale nel punto P (Figura 3.5a), in corrispondenza del piano di cam-pagna, è inizialmente uguale alla pressione interstiziale, quindi la tensione efficace verti-cale risulta nulla. Durante la deposizione, dopo un certo periodo di tempo, il terreno nel punto P si trova ad una certa profondità z dal piano di campagna, e una volta raggiunto l’equilibrio sotto l’azione del peso del terreno sovrastante, si osserva che la pressione in-terstiziale è rimasta immutata, mentre per effetto del peso del terreno sovrastante, è au-mentata la tensione verticale totale e con essa, per il principio delle tensioni efficaci, an-che la tensione efficace verticale, σ’v(A).

Il terreno in tale punto ha subito una compressione assiale (εz) senza deformazioni laterali (εx = εy = 0), per ragioni di simmetria, essendo il deposito infinitamente esteso in direzio-ne orizzontale. Quindi risulta che la deformazione volumetrica, εv, è legata alla variazione di altezza ∆H e dell’indice dei vuoti ∆e del terreno dalla seguente relazione:

0z321v H

H∆−=ε=ε+ε+ε=ε 5 (Eq. 3.12)

dove6:

00

10

sss0v

s1vs0v

s0v

s1vs0v

0v e1

ee1ee

V/VV/VV/VV/V

VV)VV()VV(

VV

+∆

−=+−

=+−

=+

+−+=

∆−=ε (Eq. 3.13)

da cui quindi risulta che:

00 e1e

HH

+∆

=∆ (Eq. 3.14)

P

e

σ’ (log)v

∆σ’v

∆e

(A)

A

BC

a) b)

(B)(C)

Figura 3.5 - Sedimentazione in ambiente lacustre (a) e linea di compressione vergine (b)

5 Il segno negativo evidenzia che nella Meccanica dei Terreni vengono considerate positive le diminuzioni di volume e di lunghezza. 6 Si assume che il volume dei solidi Vs rimanga costante nell’ipotesi di incompressibilità dei grani.

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 10

Tale fenomeno di deformazione monodimensionale verrà ripreso ed approfondito nel Ca-pitolo 7 e può essere descritto riportando su un grafico in scala semilogaritmica la tensio-ne efficace verticale nel punto P considerato e l’indice dei vuoti corrispondente, raggiunto al procedere della deposizione del materiale. I valori si dispongono su una retta detta li-nea di compressione vergine (linea ABC in Figura 3.5b).

In queste condizioni di deformazioni orizzontali impedite dovute alla particolare geome-tria e simmetria del deposito, l’incremento delle tensioni efficaci orizzontali è sempre proporzionale al corrispondente incremento delle tensioni efficaci verticali, secondo un coefficiente detto coefficiente di spinta a riposo (“a riposo” significa in assenza di de-formazioni laterali) e, considerando che per σ’v = 0, σ’h = 0, vale la seguente relazione:

ʹvo

ʹho

oKσσ

= (Eq. 3.15)

In particolare durante la fase di deposizione del materiale, tale coefficiente rimane costan-te al variare della tensione efficace verticale raggiunta e dipende solo dalla natura del ter-reno. In una situazione di questo genere, in cui la tensione efficace verticale geostatica, σ’v0, coincide con la tensione efficace verticale massima sopportata dal deposito in quel punto durante la sua storia, si parla di terreno normalconsolidato (o normalmente conso-lidato, indicato con il simbolo NC).

Supponiamo ora che alla fase di sedimentazione segua una fase di erosione (Figura 3.6a), e conseguentemente il deposito nel punto P, raggiunta la situazione rappresentata dal pun-to C in Figura 3.5b, subisca uno scarico tensionale con riduzione della tensione efficace verticale, fino al valore σ’v(D), e conseguente incremento dell’indice dei vuoti. Riportan-do i valori di tensione efficace verticale raggiunti in funzione dell’indice dei vuoti (Figura 3.6b) si osserva che lo scarico non avviene sulla stessa linea di compressione vergine (corrispondente alla fase di sedimentazione), ma su una retta di pendenza notevolmente inferiore (linea di scarico), dove a parità di tensione efficace verticale raggiunta, il terre-no presenta, rispetto alla fase di sedimentazione, una struttura più stabile, caratterizzata da una maggiore resistenza al taglio e da una minore compressibilità (fenomeno di preconso-lidazione).

In una situazione di questo genere in cui la tensione efficace verticale massima subita dal deposito nel punto considerato, σ’v(C), detta pressione di preconsolidazione ed indicata con σ’p, è maggiore della tensione efficace verticale geostatica, il terreno si definisce so-vraconsolidato (indicato con il simbolo OC) e l’entità della sovraconsolidazione, legata all’ampiezza dello scarico e quindi al valore della tensione efficace verticale raggiunta, σ’v(D), è rappresentata dal grado di sovraconsolidazione, OCR (OverConsolidation Ratio):

0v

p

ʹʹ

OCRσ

σ= (Eq. 3.16)

dove la pressione di preconsolidazione σ’p è usualmente determinata da prove di laborato-rio su campioni indisturbati7. 7 Nel caso in cui la sovraconsolidazione sia di origine meccanica (dovuta cioè a fenomeni di erosione o di innalzamento del livello di falda) il grado di sovraconsolidazione risulta massimo in prossimità della super-ficie del deposito e tende all’unità all’aumentare della profondità.

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 11

P

e

σ’ (log)v

D C

E

a) b)

(C)

(D)

(E)

Figura 3.6 - Fase di erosione e sedimentazione (a) e linea di scarico e ricarico (b)

Al procedere dello scarico tensionale anche la tensione efficace orizzontale si riduce, ma non in modo proporzionale alla riduzione della tensione efficace verticale, cosicché il co-efficiente di spinta a riposo, che si indica col simbolo K0(OC), aumenta al diminuire della tensione efficace verticale raggiunta (e quindi all’aumentare di OCR).

Infine se il deposito è soggetto a una nuova fase di deposizione, con conseguente incre-mento delle tensioni efficaci verticali a partire dal punto indicato con D in Figura 3.6, il terreno si muove su una linea pressoché parallela a quella di scarico (linea di ricarico) fi-no al raggiungimento della pressione di preconsolidazione, σ’v(C), raggiunta la quale il terreno ritorna a comportarsi come un terreno normalconsolidato e a ripercorrere la linea di compressione inziale.

Il coefficiente Ko, può essere valutato a partire dai risultati di alcune prove in sito (che vedremo nei capitoli seguenti). Frequentemente viene stimato per mezzo di relazioni em-piriche a partire da parametri di più semplice determinazione (p. es. dalla densità relativa per i terreni a grana grossa o dall’indice di plasticità per terreni a grana fine).

Ko per i terreni normalconsolidati (solitamente indicato col simbolo Ko(NC)) varia generalmente tra 0.4 e 0.8; in genere si hanno valori più bassi per terreni granulari, più alti per limi e argille.

Per terreni coesivi NC, le relazioni empiriche esistenti in letteratura legano generalmente Ko a Ip, con Ko linearmente crescente con Ip. Un esempio è riportato in Figura 3.7.

Per terreni incoerenti NC esistono in letteratura correlazioni tra Ko e DR, nelle quali Ko decresce al cre-scere di DR. Un esempio è riportato in Figura 3.8.

Indice di plasticità, Ip

Indisturbato

Disturbato o ricostituito in laboratorio

Coe

ffici

ente

di s

pint

a a

ripos

o, K

0

Figura 3.7 – Correlazione tra il coefficiente di spinta a riposo per terreni normalconsolidati, K0(NC), ottenuto da prove di laboratorio, e l’indice di plasticità, Ip

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 12

In generale, per tutti i tipi di terre-no, viene spesso utilizzata la se-guente relazione di Jaky semplifi-cata:

dove φ’ è l’angolo di resistenza al taglio (parametro che verrà defini-to nel capitolo relativo alla resi-stenza).

Per terreni sovraconsolidati, Ko può raggiungere valori anche mag-giori di 1, e può essere stimato a partire dal valore di Ko del mede-simo terreno normalconsolidato, mediante una relazione del tipo:

Ko (OC) = Ko (NC)⋅ OCRα (Eq. 3.18)

dove α è un coefficiente empirico legato alla natura del terreno.

Per terreni coesivi viene spesso assunto α ≅ 0.5. Esistono in letteratura correlazioni che legano α a Ip, del tipo α = a⋅ Ip

-b , in cui α risulta una funzione decrescente di Ip.

Per terreni incoerenti la determinazione sperimentale di OCR, che richiede il pre-lievo di campioni indisturbati, non è ge-neralmente possibile. Perciò, anche se e-sistono alcune relazioni empiriche di let-teratura tra α e DR (un esempio è riporta-to in Figura 3.9), il coefficiente di spinta a riposo in depositi OC di terreno incoe-rente, viene più opportunamente determi-nato mediante prove in sito.

Da quanto sopra detto, lo stato di tensione in un punto di un deposito di terreno o-mogeneo durante un processo di sedimen-tazione (carico), di successiva erosione

(scarico), e infine di nuova sedimentazione (ricarico), è qualitativamente rappresentato in Figura 3.10 a, mentre la variazione del coefficiente di spinta a riposo durante lo stesso processo è rappresentato in Figura 3.10 b. In conclusione, in un qualunque punto del de-posito, noto il valore della pressione verticale efficace litostatica, σ’vo, e noto il coeffi-ciente di spinta a riposo, Ko, il valore della pressione orizzontale efficace litostatica, σ’ho, può essere ricavato mediante la relazione:

per definizione stessa di Ko.

Figura 3.8 – Correlazione tra il coefficiente di spinta a riposo per terreni normalconsolidati, K0(NC),e la densi-tà relativa, Dr

Ko ≅ 1- sin φ’ (Eq. 3.17)

Figura 3.9 – Variazione dell’esponente α con la densità relativa, Dr

σ’ho = Ko⋅σ’vo (Eq. 3.19)

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 13

σ’h0

σ’v0

∆e

A

B

K (NC)0

K (NC)0

C

Carico (NC)

Scarico (OC)

Ricarico (OC)

CD

K (OC)0

Κ0

σ’v0

A BCarico (NC)

Scarico (OC)

Ricarico (OC)

C

D

K (OC)0

Figura 3.10 –Stati di tensione (a) e variazione del coefficiente di spinta a riposo (b) in un deposi-to di terreno omogeneo, durante la fase di sedimentazione (carico), la fase di successiva erosione (scarico) e nuova sedimentazione (ricarico).

Dal valore della pressione orizzontale efficace è possibile poi ricavare il valore della pres-sione orizzontale totale, sfruttando di nuovo la formulazione del principio delle pressioni efficaci e sommando il valore di u (già calcolato, essendo, come sottolineato in preceden-za, la pressione dell’acqua un tensore sferico, isotropo) a σ’ho, ovvero:

Riassumendo, sotto opportune ipotesi semplificative iniziali, noti:

- il peso di volume sopra e sotto falda,

- la posizione della superficie piezometrica,

- il coefficiente di spinta a riposo,

è possibile definire completamente lo stato tensionale geostatico all’interno di un deposi-to, che normalmente coincide con lo stato tensionale iniziale, la cui conoscenza è, come già osservato, un punto di partenza indispensabile per la soluzione di qualunque problema geotecnico.

3.2.3 Influenza dell’oscillazione del livello di falda sulle tensioni efficaci

Si consideri un deposito, ipotizzato per semplicità omogeneo, caratterizzato da un peso di volume umido γ , sopra falda, e da un peso di volume saturo, γsat, sotto falda.

a) Supponiamo inizialmente la falda ad una profondità zw1 dal piano di campagna, e de-terminiamo l’andamento delle tensioni totali, efficaci e delle pressioni interstiziali con la profondità (Figura 3.11a). In particolare utilizzando la (3.7) si ottiene l’andamento delle tensioni verticali totali (nell’ipotesi che il terreno non sia completamente saturo al di so-pra della falda):

⎩⎨⎧

≥⋅γ+−⋅γ=σ<⋅γ=σ

1w1w1wsat1v

1w1v

zzperz)zz(zzperz

mentre dalla (3.10) si ottiene l’andamento delle pressioni interstiziali:

⎩⎨⎧

≥−⋅γ=<=

1w1ww1

1w1

zzper)zz(uzzper0u

Infine, per differenza, (3.3), si ottiene l’andamento delle tensioni efficaci:

σ ho = σ’ho + u (Eq. 3.20)

a) b)

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 14

⎪⎩

⎪⎨

≥⋅γ+−γ=⋅γ+−γ−γ=−γ−⋅γ+−γ=σ

<⋅γ=σ

1w1w1w1w1wwsat

1ww1w1wsat1v

1w1v

zzperz)zz('z)zz)(()zz(z)zz('

zzperz'

Supponendo che la falda si abbassi ad un livello zw2 > zw1, l’andamento delle tensioni to-tali, delle pressioni interstiziali e delle tensioni efficaci risulta così modificato (Figura 3.11 b):

⎩⎨⎧

≥⋅γ+−⋅γ=σ<⋅γ=σ

2w2w2wsat2v

2w2v

zzperz)zz(zzperz

⎩⎨⎧

≥−⋅γ=<=

2w2ww2

2w2

zzper)zz(uzzper0u

⎩⎨⎧

≥⋅γ+−γ=σ<⋅γ=σ

2w2w2w2v

2w2v

zzperz)zz(''zzperz'

Supponendo che il peso di volume del terreno sopra falda sia lo stesso per le due condi-zioni esaminate, la variazione corrispondente delle pressioni totali efficaci e interstiziali è data da:

⎪⎩

⎪⎨

≥−⋅γ−γ=σ−σ=σ∆<<−⋅γ−γ=σ−σ=σ∆

<=σ−σ=σ∆

2w2w1wsat1v2vv

2w1w1wsat1v2vv

1w1v2vv

zzper)zz()(zzzper)zz()(

zzper0

⎪⎩

⎪⎨

≥−⋅γ=−=∆<<−⋅γ=−=∆

<=−=∆

2w2w1ww12

2w1w1ww12

1w12

zzper)zz(uuuzzzper)zz(uuu

zzper0uuu

⎪⎩

⎪⎨

≥−⋅γ−γ=σ−σ=σ∆<<−⋅γ−γ−=σ−σ=σ∆

<=σ−σ=σ∆

2w1w2w1v2vv

2w1w1w1v2vv

1w1v2vv

zzper)zz()'('''zzzper)zz()'('''

zzper0'''

p.c

(a)

(a)

(a)( a)

(b)

(b) (b)(b)

zw1

z

σv

zw2

z

u σ’v

z

Figura 3.11 – Effetto dell’abbassamento della falda, al di sotto del piano di campagna, sulle tensioni efficaci

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 15

Dalle relazioni precedenti si osserva che, essendo zw2 > zw1 e γsat > γ > γ’, le tensioni totali e le pressioni interstiziali, tranne che nello strato al di sopra del livello di falda iniziale dove rimangono invariate, diminuiscono. La variazione, di entità differente nei due casi, è costante con la profondità al di sotto del livello finale della falda. Le tensioni efficaci, in-vece, al di sotto del livello di falda iniziale, aumentano provocando nel terreno un incre-mento della resistenza al taglio ed una compressione che ne determina un cedimento.

b) Supponiamo ora che la variazione del livello di falda avvenga al di sopra del piano di campagna (Figura 3.12), cioè che la falda si abbassi da una quota h1 rispetto al piano di campagna ad una quota h2 < h1, mantenendosi sempre al disopra del piano di campagna.

L’andamento delle tensioni totali, efficaci e delle pressioni interstiziali all’interno del de-posito, prima (Figura 3.12a) e dopo l’abbassamento (Figura 3.12b), risulta il seguente:

1wsat1v hz ⋅γ+⋅γ=σ

)hz(u 1w1 +⋅γ=

z'' 1v γ=σ

2wsat2v hz ⋅γ+⋅γ=σ

)hz(u 2w2 +⋅γ=

z'' 2v γ=σ

Quindi la variazione corrispondente delle pressioni totali efficaci e interstiziali è pari a :

)hh( 121v2vv w−⋅γ=σ−σ=σ∆

)hh(uuu 1212 w−⋅γ=−=∆

0''' 1v2vv =σ−σ=σ∆

p.c

(a)

(a)

(a)

(a)=(b)

(b)

(b)(b)

h2

z

σv

h1

z

u σ’v

z

Figura 3.12 – Effetto dell’abbassamento della falda, al di sopra del piano di campagna, sulle ten-sioni efficaci

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Capitolo 3 STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

3- 16

Da cui si osserva che la diminuzione delle tensioni totali è sempre uguale alla variazione delle pressioni interstiziali e, a parte il primo tratto compreso tra la quota iniziale e finale della falda dove cresce linearmente con la profondità, è sempre costante. Conseguente-mente la variazione delle tensioni efficaci è sempre nulla, ciò significa che l’abbas-samento della falda in questo caso provoca una diminuzione delle tensioni totali che si scarica interamente sul campo fluido e non modifica il regime delle tensioni efficaci e quindi la resistenza al taglio del terreno.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

1

CAPITOLO 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Nell’affrontare la maggior parte dei problemi di Ingegneria Geotecnica non si può pre-scindere dalla presenza dell’acqua nel terreno.

L’acqua che viene direttamente a contatto con la superficie del terreno, o raccolta da fiu-mi e laghi, tende ad infiltrarsi nel sottosuolo per effetto della gravità e, se si eccettua una percentuale trascurabile che si accumula all’interno di cavità sotterranee, la maggior parte di essa va a riempire, parzialmente o completamente, i vuoti presenti nel terreno e le fes-sure degli ammassi rocciosi.

In particolare, nel caso di depositi di terreno, si possono distinguere, al variare della pro-fondità, zone a differente grado di saturazione e in cui l’acqua presente nei vuoti si trova in condizioni diverse. Partendo dalla superficie del piano campagna e procedendo verso il basso, si possono generalmente individuare (Figura 4.1).

− un primo strato superficiale di suolo vegetale, detto di evapotraspirazione, dove l’acqua di infiltrazione viene parzialmente ritenuta, ma in prevalenza assorbita dalle radici della vegetazione;

− un secondo strato, detto di ritenzione, in cui l’acqua presente è costituita principal-mente da una parte significativa dell’acqua di infiltrazione che rimane aderente ai grani ed è praticamente immobile ed è detta acqua di ritenzione, che comprende l’acqua adsorbita e l’acqua pellicolare (Figura 1.7).

− un terzo strato, denominato strato della frangia capillare, caratterizzato prevalente-mente dalla presenza di acqua capillare, quella che, per effetto delle tensioni superfi-ciali, rimane “sospesa” all’interno dei vuoti, vincendo la forza di gravità.

Al di sotto di queste tre zone, che insieme costituiscono la cosiddetta zona vadosa, si tro-va la zona di falda (o acquifero).

Il grado di saturazione delle diverse zone dipende principalmente dalle caratteristiche granulometriche e fisiche del deposito, da fattori climatici e ambientali. Fatta eccezione per alcune categorie molto particolari di materiali, i vuoti presenti nel terreno sono comu-nicanti tra loro e costituiscono un reticolo continuo, cosicché, generalmente, la zona di falda è completamente satura; la zona vadosa è satura in prossimità della falda per spesso-ri variabili da pochi centimetri per le ghiaie a decine di metri per le argille e generalmente ha un grado di saturazione decrescente salendo verso il piano campagna. La pressione dell’acqua nella zona vadosa è inferiore a quella atmosferica (per cui la pressione intersti-ziale risulta negativa avendo assunto convenzionalmente, come ricordato nel capitolo 3, la pressione atmosferica uguale a zero).

Inoltre, in relazione alla loro permeabilità i diversi tipi di terreno possono consentire più o meno agevolmente il flusso dell’acqua, perciò la presenza di strati a differente permeabili-tà può determinare nel sottosuolo la presenza di diversi tipi di falda. In particolare, si pos-sono individuare (Figura 4.2) le tre condizioni di:

− falda freatica

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

2

− falda sospesa

− falda artesiana

Zona di evapotraspirazione

Zona di ritenzione

Acq

ua so

spes

a

Zona

vad

osa

Zona

di f

alda

Frangia capillare

Falda

Acq

ua d

i fal

da

Figura 4.1 – Zone a differente grado di saturazione in un deposito di terreno

Acquifero confinato(falda artesiana)

Falda freatica

Falda sospesa

Infiltrazione

Terreno con permeabilitàmolto bassa

Livello piezometrico

Roccia

Figura 4.2 – Differenti tipi di falda in un deposito di terreno

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

3

La falda freatica è delimitata inferiormente da uno strato che non permette il flusso dell’acqua (o comunque in quantità e velocità trascurabili) ed è delimitata superiormente da una superficie, detta superficie freatica, in corrispondenza della quale l’acqua si trova a pressione atmosferica, come si trovasse in un serbatoio aperto.

Immaginando di inserire un tubo verticale aperto alle estremità (piezometro) all’interno di una falda freatica, ovvero di perforare un pozzo, si osserva che il livello statico raggiunto dall’acqua nel tubo (detto livello piezometrico) è uguale a quello della superficie freatica.

Analoghe considerazioni possono essere fatte riguardo alla falda sospesa, che rispetto alla precedente, risulta delimitata inferiormente da uno strato di estensione molto più limitata.

Si ha una falda artesiana quando l’acqua di una falda freatica viene incanalata tra due stra-ti impermeabili. In questo caso l’acqua racchiusa nello strato permeabile (che ne permette agevolmente il flusso) si comporta come se si trovasse entro una tubazione in pressione, ossia ha una pressione maggiore di quella atmosferica. Immaginando di inserire un pie-zometro fino a raggiungere la falda artesiana, si osserva un livello piezometrico maggiore di quello della superficie che delimita superiormente la falda.

In generale, l’acqua presente nel terreno può trovarsi in condizioni di quiete o di moto, sia allo stato naturale sia in seguito a perturbazioni del suo stato di equilibrio.

Nel caso in cui si trovi in condizioni di moto, il flusso può essere stazionario (o perma-nente) oppure non stazionario (o vario), a seconda che i parametri del moto risultino co-stanti o variabili nel tempo.

Nel moto stazionario la quantità di acqua che entra in un elemento di terreno è pari alla quantità di acqua che esce dallo stesso elemento (filtrazione in regime permanente). Nel moto vario la quantità di acqua entrante in un elemento di terreno è diversa da quella u-scente (filtrazione in regime vario). Se il terreno è saturo, la differenza tra le due quantità può produrre il fenomeno della consolidazione (con riduzione dell’indice dei vuoti, o del rigonfiamento, con aumento dell’indice dei vuoti.

Il vettore che caratterizza il moto dell’acqua può essere scomposto in una o più direzioni nello spazio, definendo condizioni di flusso mono-, bi-, o tri-dimensionali. Generalmente, nella maggior parte dei casi pratici, si fa riferimento ai primi due tipi.

4.1 Carico totale e piezometrico: il gradiente idraulico

I moti di filtrazione di un fluido avvengono tra due punti a diversa energia (da quello a energia maggiore a quello a energia minore). In ciascun punto, l’energia è data dalla somma dell’energia cinetica (legata alla velocità del fluido) e dell’energia potenziale (le-gata alla posizione del punto nel campo gravitazionale e alla pressione del fluido).

Nello studio dei moti di filtrazione è conveniente esprimere l’energia, potenziale e cineti-ca, in termini di carico, o altezza, che corrisponde all’energia per unità di peso del liqui-do. In particolare, si definiscono:

− altezza geometrica, z, la distanza verticale del punto considerato da un piano oriz-zontale di riferimento arbitrario (z = 0),

− altezza di pressione, u/γw, l’altezza di risalita dell’acqua rispetto al punto considera-to, per effetto della sua pressione, u

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

4

− altezza di velocità, v2/2g, l’energia dovuta alla velocità, v, delle particelle del fluido (essendo g l’accelerazione di gravità).

La somma dei tre termini:

g2vuzH

2

w

+= (Eq. 4.1)

è denominata carico effettivo (o totale) o altezza totale, mentre il binomio:

w

uzhγ

+= (Eq. 4.2)

è detto carico piezometrico.

In virtù del teorema di Bernoulli, si ha che per un fluido perfetto, incomprimibile, in moto permanente, soggetto solo all’azione di gravità, il carico totale è costante lungo una data

traiettoria. Se, con riferimento allo schema di Figura 4.3 viene inserito un campione di terreno, dotato di sufficiente permeabilità, all’interno del tubo di flusso nella zona con-trollata dai due piezometri, si osserva che in essi l’acqua ri-sale a quote diverse; ciò si-gnifica che tra i due punti di osservazione si è avuta una perdita di carico nel termine h = z + u/γw. Potendo ritenere trascurabili le perdite di cari-co dovute al flusso del-l’acqua in assenza di terreno e osservando che per il princi-pio di conservazione della massa la velocità media nelle varie sezioni della condotta deve essere costante, la diffe-

renza di altezza d’acqua nei due piezometri, ∆h, è perciò una misura della perdita di ener-gia totale dovuta al flusso dell’acqua nel terreno, ossia dell’energia spesa dall’acqua per vincere la resistenza al moto opposta dal terreno compreso tra i due punti considerati. I-noltre, poiché nei terreni la velocità di flusso, e quindi l’altezza di velocità, è generalmen-te trascurabile, il carico piezometrico può essere ritenuto rappresentativo dell’energia to-tale nel punto considerato.

Con riferimento ai simboli di Figura 4.3, si definisce gradiente idraulico il rapporto:

Lhi ∆

= (Eq. 4.3)

che rappresenta la perdita di carico per unità di lunghezza del percorso.

Figura 4.3 – Perdita di carico in condizioni di flusso monodi-mensionale in un campione di terreno

Piezometri

L

A 1

2

∆h

w

1

w

2

z1

z2

piano di riferimento

carico totale per fluido ideale

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4 -

5

4.2 Legge di Darcy

Poiché il moto di filtrazione fra due generici punti è governato solo dalla differenza di ca-rico, può essere utile identificare un legame tra le caratteristiche del moto (in particolare la velocità), le proprietà del terreno e la perdita di carico.

Darcy, studiando il flusso monodimensionale dell’acqua attraverso strati orizzontali di sabbia (in condizioni di moto laminare), osservò che la portata per unità di superficie è di-rettamente proporzionale alla perdita di carico e inversamente proporzionale alla lunghez-za del percorso considerato. In sostanza, con riferimento alla Figura 4.3, tra la portata per unità di superficie, Q/A, che può essere definita velocità apparente (nominale) di filtra-zione, v, la perdita di carico, ∆h, e la lunghezza L, vale la relazione:

ikLhkv

AQ

⋅=∆

⋅== (Eq. 4.4)

nota come Legge di Darcy, nella quale k è detto coefficiente di permeabilità.

In termini vettoriali, in condizioni di flusso bi-, e tri-dimensionali:

idraulicocaricohhdivkhkv

=⋅−=∇⋅−=

rrr (Eq. 4.5)

Considerando che la permeabilità è in generale una caratteristica anisotropa per i terreni naturali, la (4.5) diventa:

zzzz

yyyy

xxxx

ikzhkv

ikyhkv

ikxhkv

⋅−=∂∂

⋅−=

⋅−=∂∂

⋅−=

⋅−=∂∂

⋅−=

(Eq. 4.6)

Nelle relazioni precedenti, v è una velocità apparente, perché la velocità reale, vr, dell’acqua nei pori è maggiore, in quanto, come evidenzia la Figura 4.4a, l’area della se-zione attraversata effettivamente dall’acqua (area dei vuoti, Av) è minore dell’area della sezione A. Quindi se Q è la portata misurata, essa può essere espressa come

vr AvAvQ ⋅=⋅= da cui, osservando che nA

Avv v

r

== , segue:

v = n⋅vr. (Eq. 4.7)

È opportuno inoltre osservare che anche il percorso di filtrazione finora considerato, pari alla lunghezza L del campione (Figura 4.3), è in realtà apparente, essendo quello reale si-curamente maggiore, come mostrato in Figura 4.4b.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

6

4.3 Coefficiente di permeabilità

Il coefficiente di permeabilità ha le dimensioni di una velocità. Esso è legato alla resisten-za viscosa e frizionale alla filtrazione di un fluido in un mezzo poroso e dipende dalle proprietà del fluido (densità e viscosità) e dalle caratteristiche del mezzo poroso (permea-bilità intrinseca). Limitandoci a considerare come fluido intestiziale l’acqua, e poiché la densità e la viscosità di un fluido sono legate principalmente alla temperatura, che nel ter-reno, salvo gli strati più superficiali o alcune situazioni particolari, varia abbastanza poco, si assume il coefficiente di permeabilità dipendente solo dalle caratteristiche del terreno.

Il campo di variazione del coefficiente di permeabilità dei terreni è enormemente grande, come mostra la Tabella 4.1.

Per i terreni a grana grossa, le cui particelle sono approssimativamente di forma sub-sferica, il coefficiente di permeabilità è influenzato prevalentemente dalla granulometria e dall’indice dei vuoti, che determinano la dimensione dei canali di flusso (diminuisce all’aumentare del contenuto di fine e al diminuire dell’indice dei vuoti).

Per i terreni a grana fine sono invece fondamentali la composizione mineralogica e la struttura, perché questi parametri determinano il tipo di interazione elettrochimica che si stabilisce tra particelle di terreno e molecole d’acqua (ad esempio la permeabilità della caolinite è circa 100 volte maggiore di quella della montmorillonite).

Figura 4.4 – Velocità (a) e percorso di filtrazione (b) reali ed apparenti

b)a)

Porzione di tubo di flusso idealizzato

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

7

Anche il grado di saturazione influenza sensibilmente la permeabilità; in particolare, seb-bene non si possa stabilire una relazione univoca tra le due grandezze, si può osservare che la permeabilità cresce al crescere del grado di saturazione (Figura 4.5).

Tabella 4.1. Valori tipici del coefficiente di permeabilità dei terreni

TIPO DI TERRENO k (m/s)

Ghiaia pulita 10-2

- 1

Sabbia pulita, sabbia e ghiaia 10-5

- 10-2

Sabbia molto fine 10-6

- 10-4

Limo e sabbia argillosa 10-9

- 10-5

Limo 10-8

- 10-6

Argilla omogenea sotto falda < 10-9

Argilla sovraconsolidata fessurata 10-8

- 10-4

Roccia non fessurata 10-12

- 10-10

A grande scala la permeabilità di un de-posito dipende anche dalle caratteristiche macrostrutturali del terreno (discontinui-tà, fessurazioni), come evidenziato in Tabella 4.1 dal confronto tra i valori tipi-ci di k di argille omogenee intatte e argil-le fessurate.

4.3.1 Permeabilità di depositi stratificati

Consideriamo un deposito di terreno co-stituito da n strati orizzontali saturi (Fi-gura 4.6) e indichiamo con:

kh1, kh2, . . . . . .khn i coefficienti di per-meabilità in direzione orizzontale dei va-ri strati

kv1, kv2, . . . . . .kvn i coefficienti di per-meabilità in direzione verticale dei vari strati

H1, H2, . . . . . Hn gli spessori corrispondenti

H = ΣHi lo spessore totale del deposito

kH il coefficiente di permeabilità medio in direzione orizzontale

kV il coefficiente di permeabilità medio in direzione verticale

Figura 4.5 – Variazione del coefficiente di perme-abilità col grado di saturazione per una sabbia

Grado di saturazione [%]

Coe

ffic

ient

e di

per

mea

bilit

à [m

m/s

]

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

8

Nel caso in cui il deposito sia interessato da un moto di filtrazione orizzontale (Figura 4.6a), cioè paralle-lo all’anda-mento degli strati (filtrazione in paral-lelo), si ha che il gradiente idraulico, i, è lo stesso per tutti gli strati. Se si assume valida la legge di Darcy (4.4), la velocità di filtra-zione per ogni strato, vi, è proporzionale al rispettivo coefficiente di permeabili-tà, ossia:

v1 = kh1 i, v2 = kh2 i,

vn = khn i

mentre la portata di filtra-zione per ogni strato è pari al prodotto della velocità di filtrazione per il corri-spondente spessore:

q1 = v1 H1, q2 = v2 H2,

qn = vn Hn

La portata di filtrazione totale, Q, data dalla somma delle portate dei singoli strati, è data anche dal prodotto della velocità media, v, per lo spessore totale del deposito:

Q = Σqi = v H (Eq. 4.8)

dove, in accordo con la legge di Darcy, la velocità media di filtrazione, v, è il prodotto del coefficiente di permeabilità medio, kH, per il gradiente idraulico, i, ovvero v = kH i.

Sostituendo questa espressione nell’equazione (4.8) ed esplicitando i vari termini si ottie-ne infine l’espressione del coefficiente di permeabilità medio in direzione orizzontale:

HHk

iHHv

iHq

ivk ihiiii

H∑∑∑ ⋅

=⋅

⋅=

⋅== (Eq. 4.9)

Se il moto di filtrazione avviene in direzione verticale (Figura 4.6b), ovvero ortogonale all’andamento degli strati si parla di filtrazione in serie. In questo caso, per il principio di conservazione della massa, se il fluido è incompressibile, la portata che attraversa ciascu-no strato è la stessa, quindi, essendo uguale anche l’area attraversata, è la stessa la veloci-tà di filtrazione, v = kv1 i1 = kv2 i2 = . . . . . = kvn in In accordo con la legge di Darcy (4.4), la velocità di filtrazione v può essere espressa come il prodotto del coefficiente di perme-

q H

kh1, H1 q1 q2 kh2, H2

qn kn, Hn

a)

q

H

kv1, H1 kv2, H2

kv, Hn

q

b) Figura 4.6: Filtrazione parallela (a) e perpendicolare (b) ai piani di stratificazione

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

9

abilità medio in direzione verticale, kV, per il gradiente idraulico medio, im, dato dalla perdita di carico totale (h) diviso il percorso di filtrazione (H):

v = kV im = kV (h / H) (Eq. 4.10)

Ma la perdita di carico piezometrico, h, è la somma delle perdite di carico in ciascuno strato (pari al prodotto del gradiente idraulico per il relativo spessore) ovvero, esplicitan-do il gradiente idraulico di ciascuno strato:

∑∑ ∑ ∑ ⋅=⋅=⋅==vi

i

iviiii k

HvkvHiHhh (Eq. 4.11)

Sostituendo questa espressione nell’equazione (4.10) si ottiene infine l’espressione del coefficiente di permeabilità medio in direzione verticale:

∑=

vi

iV

kH

Hk (Eq. 4.12)

In presenza di terreni stratificati, il valore medio del coefficiente di permeabilità è forte-mente condizionato dalla direzione del moto di filtrazione. Per filtrazione verticale (o più esattamente ortogonale alla giacitura degli strati) il valore medio è molto prossimo al va-lore minore, ovvero al coefficiente di permeabilità degli strati a grana fine, mentre per fil-trazione orizzontale (o più esattamente parallela alla giacitura degli strati) il valore medio è molto prossimo al valore maggiore, ovvero al coefficiente di permeabilità degli strati a grana grossa.

4.4 Equazione generale del flusso in un mezzo poroso

Si consideri un elemento infinitesimo di terreno di dimensioni dx dy dz (Figura 4.7), attraversato da un flusso d’acqua. Assumiamo per ipotesi che il fluido ed i grani di terreno siano incomprimibili, e che pertanto i rispettivi pesi specifici siano costan-ti nel tempo (γw=cost, γs=cost).

Indicando con vx la componente nella direzione dell’asse x del vettore vr , velocità apparente di fil-trazione, la portata in peso d’acqua entrante nell’elemento in direzione x, qex, e quella uscente, qux, nella stessa direzione saranno rispettivamente:

dzdydxx

vvq

dzdyvq

xxwux

xwex

⋅⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅

∂∂

+⋅γ=

⋅⋅⋅γ= (Eq. 4.13)

Analoghe espressioni valgono per le direzioni y e z.

x

z

y

dx dy

dz

Figura 4.7: Flusso attraverso un elemento di terreno

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

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Indicando con Pw il peso dell’acqua contenuta nell’elemento di terreno, per la condizione di continuità la differenza tra la portata in peso d’acqua entrante e quella uscente dall’elemento di terreno sarà pari alla variazione del peso di acqua nell’unità di tempo.

In formula:

( ) ( )t

Pqqqqqq w

uzuyuxezeyex ∂∂

=++−++ (Eq. 4.14)

E combinando le l’Eq. 4.13 e 4.14:

tP

dzdydxz

vy

vx

v wzyxw ∂

∂=⋅⋅⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂

∂+

∂+

∂∂

⋅γ− (Eq. 4.15)

Introducendo la legge di Darcy (Eq. 4.6) nell’Eq. 4.15 si ottiene:

tPdzdydx

zh

zk

zhk

yh

yk

yhk

xh

xk

xhk

w

z2

2

z

y2

2

y

x2

2

x

w ∂∂

=⋅⋅⋅

⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜

∂∂

⋅∂

∂+

∂∂

⋅+

+∂∂

⋅∂

∂+

∂∂

⋅+

+∂∂

⋅∂

∂+

∂∂

⋅γ (Eq. 4.16)

Se la permeabilità è costante lungo ciascuna delle tre direzioni, ovvero se è:

0z

ky

kx

k zyx =∂

∂=

∂=

∂∂

(Eq. 4.17)

l’Eq. 4.16 si semplifica nel modo seguente:

tP

dzdydxzhk

yhk

xhk w

2

2

z2

2

y2

2

xw ∂∂

=⋅⋅⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

⋅+∂∂

⋅+∂∂

⋅⋅γ (Eq. 4.18)

Per definizione di: contenuto in acqua, w = Pw/Ps, indice dei vuoti, e = Vv/Vs, e grado di saturazione, Sr = Vw/Vv, si può scrivere:

rswrvwwwsw SeVSVVPwP ⋅⋅⋅γ=⋅⋅γ=⋅γ=⋅= (Eq. 4.19)

La derivata dell’Eq. 4.19 rispetto al tempo è1:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

⋅+∂

∂⋅⋅⋅γ=

∂∂

teS

tSeV

tP

rr

sww (Eq. 4.20)

1 Vs e γw sono indipendenti dal tempo.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

11

poiché il volume totale dell’elemento di terreno è V = dx dy dz, per definizione di indice dei vuoti, e = (V-Vs)/Vs, e quindi Vs = V/(1+e) = dx dy dz /(1+e), si può anche scrivere:

dzdydxteS

tSe

)e1(tP

rrww ⋅⋅⋅⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

⋅+∂

∂⋅⋅

=∂

∂ (Eq. 4.21)

Sostituendo l’Eq. 4.21 nell’Eq. 4.18, si ottiene l’equazione generale di flusso:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

⋅+∂

∂⋅⋅

+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

⋅+∂∂

⋅+∂∂

⋅teS

tS

ee1

1zhk

yhk

xhk r

r2

2

z2

2

y2

2

x (Eq. 4.22)

la quale si semplifica nei vari problemi di flusso secondo il seguente schema:

Filtrazione permanente e = costante Sr = costante

Consolidazione o rigonfiamento e = variabile Sr = costante=1

Drenaggio o imbibizione e = costante Sr = variabile

Deformabilità per non saturazione e = variabile Sr = variabile

Ulteriori semplificazioni si hanno nel caso di isotropia completa (kx = ky = kz = k), e nel caso di flusso mono-direzionale o bi-direzionale.

4.4.1 Filtrazione permanente in un mezzo omogeneo, isotropo e incompressibile

Nel caso di filtrazione permanente (e = cost, Sr = cost.) in un mezzo omogeneo, idrauli-camente isotropo (kx = ky = kz = k) e incompressibile (γw=cost, γs=cost), l’equazione ge-nerale del flusso si semplifica nell’equazione di Laplace:

0zh

yh

xh

2

2

2

2

2

2

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂

+∂∂ (Eq. 4.23)

Nel caso bidimensionale di moto piano l'equazione di Laplace diviene:

0zh

xh

2

2

2

2

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂ (Eq. 4.24)

La soluzione analitica dell’equazione di Laplace è sempre molto difficile. Attualmente si ricorre a soluzioni numeriche con i metodi delle differenze finite o degli elementi finiti, o alle più tradizionali e storiche soluzioni grafiche2.

2 In passato si ricorreva spesso a modelli idraulici e a modelli elettrici basati sull’analogia fra le leggi dell’idraulica dei terreni e le leggi dell’elettrotecnica.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

12

Infatti, l’equazione di Laplace bidimensionale può essere rappresentata graficamente da due complessi di curve (le linee di flusso e le linee equipotenziali) che si tagliano ad an-golo retto (rete di filtrazione):

Le linee di flusso sono i percorsi dei filetti liquidi nella sezione trasversale. Esistono infi-nite linee di flusso ma per disegnare la rete di filtrazione se ne sceglie un numero limitato. Lo spazio tra due linee di flusso successive viene chiamato canale di flusso. In ogni cana-le di flusso scorre una portata costante d’acqua ∆q.

Le linee equipotenziali sono le linee di eguale energia potenziale, ovvero di eguale cari-co idraulico. Anche di linee equipotenziali ne esistono infinite, ma per disegnare la rete di filtrazione se ne sceglie un numero limitato. Quando l’acqua filtra attraverso i pori del ter-reno dissipa energia per attrito, e la distanza fra due linee equipotenziali successive indica in quanto spazio si è dissipata una quantità costante ∆h del carico idraulico.

Le particelle d'acqua scorrono lungo le linee di flusso in direzione sempre perpendicolare alle linee equipoten-ziali. Pertanto le linee di flusso e le linee equipotenziali si intersecano ad angolo retto. Lo spazio (l’area) deli-mitata da due linee di flusso successi-ve e da due linee equipotenziali suc-cessive è detta campo. Il campo è la maglia della rete di filtrazione (Figura 4.8).

È conveniente costruire la rete di fil-trazione (ovvero scegliere quali linee di flusso e quali linee equipotenziali rappresentare) in modo tale che:

− i canali di flusso abbiano eguale portata ∆q,

− la perdita di carico fra due linee equipotenziali successive ∆h sia costante,

− i campi siano approssimativamente quadrati, ovvero che abbiano eguali dimensioni medie (graficamente significa che è possibile disegnare un cerchio interno al campo tangente a tutti e quattro i lati curvilinei).

Noto il carico idraulico totale dissipato, h, e scelto il numero N dei dislivelli di carico i-

draulico tra due linee equipotenziali successive Nhh =∆ , dalla condizione che i campi

siano approssimativamente quadrati, ba ∆≅∆ , essendo ∆a la distanza media fra le linee di flusso e ∆b la distanza media fra le linee equipotenziali del campo, si ottiene il numero N1 di canali di flusso.

Il gradiente idraulico in un campo è:

bhi

∆∆

= (Eq. 4.25)

∆a

∆q

∆b

∆h

Cana

le di

flus

so

Campo

Linee di flusso

Linee equipotenziali

h

h- h∆

Figura 4.8. Definizione della rete di filtrazione

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

13

la velocità di filtrazione è:

bNhk

bhkikv

∆⋅⋅

=∆∆

⋅=⋅= (Eq. 4.26)

la portata di filtrazione, per ogni canale di flusso, è:

Nhk

bNahkavq ⋅

≅∆⋅∆⋅⋅

=∆⋅=∆ (Eq. 4.27)

e la portata totale è:

NNhkqNQ 1

1 ⋅⋅=∆⋅= (Eq. 4.28)

Le condizioni al contorno, che permettono di tracciare alcune linee equipotenziali e di flusso, sono date da:

− le superfici impermeabili sono linee di flusso (ad esempio la superficie di uno strato di argilla, o la superficie verticale di un diaframma impermeabile, etc..),

− le superfici a contatto con l’acqua libera sono linee equipotenziali, poiché in tutti i lo-ro punti vale la relazione: h = z + u/γw = cost.

4.4.2 Esempio di rete idrodinamica (caso di moto di filtrazione confinato)

A titolo di esempio si consideri il problema rappresentato in Figura 4.9a, dove un dia-framma è stato infisso, per una lunghezza L = 6.0 m, in uno strato di terreno, di spessore H = 8.6 m e coefficiente di permeabilità k = 5 10-4 m/s, delimitato inferiormente da uno strato di terreno impermeabile. L’altezza di falda, rispetto al piano di campagna, è, a mon-te del diaframma, Hw1, di 4.5 m, mentre a valle, Hw2, è stata ridotta, mediante pompaggio, a 0.5 m.

Il primo passo per la costruzione della rete idrodinamica consiste nel definire le condizio-ni al contorno:

le superfici AB e CD che delimitano il piano di campagna, sono, in quanto a contatto con l’acqua libera, equipotenziali;

le superfici BE e CE che rappresentano rispettivamente il lato a monte ed il lato a val-le del diaframma e la superficie FG, che delimita lo strato di terreno impermeabile, sono linee di flusso, in quanto impermeabili.

Poiché le condizioni al contorno della regione interessata dal flusso sono note a priori, si parla di moto confinato.

In genere si assume come quota di riferimento per il calcolo del carico piezometrico il li-vello di falda a valle, da cui risulta che il carico piezometrico è h1 = 0 in corrispondenza della superficie equipotenziale CD (la quota geometrica è -0.5 m e l’altezza di pressione è

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

14

0.5 m), ed è h2 = 4 m per la superficie AB (la quota geometrica è -0.5 m e l’altezza di pressione è 4.5 m).

Le linee di flusso saranno tutte comprese tra la superficie FG e la superficie BEC e pos-sono essere tracciate seguendo la procedura suggerita da Casagrande, che consiste nei se-guenti passi:

1) si traccia una prima linea di flusso di tentativo (HJ) da un punto della superficie equipotenziale a monte AB, vicino al diaframma, ad un punto della superficie equi-potenziale a valle CD (Fi-gura 4.9b); tale linea dovrà essere perpendicolare ad entrambe le superfici equi-potenziali e passare attorno al punto E;

2) si disegnano le linee equi-potenziali di tentativo tra le linee di flusso BEC e HJ, in moda da formare dei campi approssimativamente qua-drati (Figura 4.8); qualora non si riesca ad ottenere un numero intero di quadran-goli tra BH e CJ la linea di flusso HJ può essere leg-germente spostata;

3) viene tracciata la seconda linea di flusso di tentativo KL a partire da un punto della superficie equipoten-ziale AB più lontano dal diaframma rispetto al punto H, e prolungate le linee e-quipotenziali precedente-mente disegnate, sempre in modo da individuare dei quadrangoli curvilinei;

4) si ripete la procedura de-scritta al punto 3) fino a raggiungere la linea di flus-so di confine FG;

5) al primo tentativo general-mente l’ultima linea di

A

A

F

F

D

D

E

E

Diaframma

Piano diriferimento

(b)

G

G

K H B

B

C

C

J L

(a)

L = 6.0 mH = 8.6 m

H = 4.5 m

h = 0.0 mh = 4.0 m

H = 0.5 mw 1

12

w2

(c)

Piano diriferimento

Tubopiezometrico

H = 0.5 m

n = 0

1

2

345678

9

0

10

11

12

W 2

d

H = 4.5 mu

a

w 1pwγ

h = 3.3 mp

P

1 2 3 4 5 10 m

Figura 4.9 – Costruzione di una rete idrodinamica: a) se-zione; b) tentativo di prova; c) rete finale

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

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15

flusso tracciata interseca la superficie impermeabile FG e per eliminare tale incoeren-za si itera la procedura descritta ai punti precedenti fino a che l’ultima linea di flusso tracciata ricada sopra la superficie FG (riducendo la dimensione dei quadrangoli), come mostrato in Figura 4.9c.

Le aree comprese tra l’ultima linea di flusso tracciata e la superficie impermeabile FG non sono quadrate (canale di flusso non completo) ma il rapporto tra la lunghezza e la larghezza deve essere all’incirca lo stesso per tutte le aree.

Per tracciare correttamente una rete idrodinamica con questa procedura è opportuno uti-lizzare un numero limitato di linee di flusso (generalmente 4 o 5 canali di flusso).

Nell’esempio riportato il numero di canali di flusso che è stato ottenuto è N1 = 4.3 e il numero di campi delimitati dalle linee equipotenziali, N, è 12, con un rapporto N1/N = 0.36 e una perdita di carico tra due linee equipotenziali successive pari a:

∆h = (h2 – h1)/N = 0.33 m.

Numerate le linee equipotenziali da valle verso monte con l’indice nd (che varia tra 0 e 12), il carico piezometrico corrispondente a ciascuna linee è pari a nd ∆h.

La portata di filtrazione per ogni canale di flusso è (Eq. 4.27):

∆q = k ∆h = 1.65 10-4 (m3/s)/m

e la portata di filtrazione per unità di lunghezza del diaframma è pari a (Eq. 4.28):

q = N1 ∆q = 7.1 10-4 (m3/s)/m.

La rete idrodinamica permette di calcolare in ogni punto il carico piezometrico ed il gra-diente idraulico. Ad esempio, con riferimento ad un generico punto P (Figura 4.9c), ap-partenente alla superficie equipotenziale indicata con nd = 10 e ad una distanza a = -zP = 4.3m, dal livello di falda a valle del diaframma, il corrispondente valore del carico piezo-metrico è

hp = nd ∆h = 10⋅0.33 = 3.3 m = zp + up/γw = -a + up/γw

da cui, posto γw = 10 kN/m3, si ricava il valore della pressione interstiziale:

up = γw (hp –(-a)) = γw (hp +a) = 10 (3.3+4.3) =76 kPa

Il gradiente idraulico nel campo è dato da (Eq.4.25):

iP = ∆h/∆b = 0.33/2= 0.165

dove ∆b ≅ 2 è la distanza media tra le linee equipotenziali 10 e 11, e 10 e 9, ricavata gra-ficamente in Figura 4.9c. Ovviamente tale valore, e con esso la velocità di filtrazione, va-ria tra un massimo corrispondente al campo di dimensione minima ed un minimo corri-spondente al campo di dimensione massima.

4.4.3 Filtrazione al confine tra terreni a differente permeabilità

Quando il flusso d’acqua attraversa la superficie di separazione tra terreni a differente permeabilità, come avviene ad esempio nelle dighe in terra zonate, le linee di flusso de-flettono, la larghezza dei tubi di flusso e la distanza fra le linee equipotenziali variano, e i campi, inizialmente quadrati, divengono rettangolari. Infatti la portata di ogni tubo di

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

16

flusso, abhkaikq ∆⋅

∆∆

⋅=∆⋅⋅=∆ , deve restare costante. Se passando da un terreno ad un

altro il coefficiente di permeabilità k diminuisce, il rapporto ba

∆∆ deve aumentare, ovvero

deve crescere la larghezza del canale di flusso e diminuire la distanza fra due linee equi-potenziali, e viceversa. La legge con cui si modificano le dimensioni dei campi è indicata In Figura 4.10.

4.4.4 Moto non confinato

Se tutte le condizioni al contorno in cui avviene il moto di filtrazione non sono note a priori, si parla di moto di filtrazione non confinato. In tal caso il problema è molto più complesso in quanto è necessario procedere contemporaneamente alla determinazione delle condizioni al contorno mancanti e alla risoluzione dell’equazione di Laplace. Situa-zioni di questo tipo si verificano ad esempio nello studio dei moti di filtrazione all’interno di argini fluviali o dei corpi di dighe in terra; in questi casi la superficie che delimita supe-riormente l’acqua in moto di filtrazione è a pressione atmosferica (coincide con la super-ficie freatica), la sua localizzazione non è nota e può essere determinata con costruzioni grafiche.

4.4.5 Terreni anisotropi

Quanto detto finora si riferisce a terreni con eguale coefficiente di permeabilità in tutte le direzioni (isotropi dal punto di vista della permeabilità). Spesso i terreni naturali ed anche i terreni messi in opera con costipamento sono anisotropi, ovvero hanno coefficiente di permeabilità diverso in direzione orizzontale e in direzione verticale. Per utilizzare le re-gole di costruzione grafica del reticolo idrodinamico sopra esposte occorre disegnare la sezione della struttura interessata dal moto di filtrazione in una scala orizzontale alterata,

moltiplicando le distanze orizzontali per la quantità: h

v

kk

. Poiché in genere è kh > kv tale

β

α

∆a

∆b

∆d∆c

k1

k2<k1

βα

∆a

∆b

∆d

∆c

k1

k2>k1

∆a/∆b = 1∆c/∆d = tanα/tanβ = k2/k1

Figura 4.10: Filtrazione tra terreni a differente permeabilità

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

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trasformazione produce una riduzione delle dimensioni orizzontali. Ad esempio, per kh=9kv, tutte le dimensioni orizzontali devono essere divise per 3. Una volta disegnata la rete idrodinamica, per calcolare la distribuzione delle pressioni interstiziali occorre ripor-tare il disegno in scala naturale, ottenendo dei campi non più quadrati.

4.5 Determinazione della permeabilità mediante correlazioni

Per i terreni a grana grossa vengono talvolta impiegate relazioni empiriche che legano k ad alcuni parametri relativamente semplici da determinare. Esistono ad esempio grafici che legano il coefficiente di permeabilità al D50, alla densità relativa, Dr, e al coefficiente di uniformità, U, (Figura 4.11) oppure formule, valide per sabbie sciolte, uniformi (U ≤ 5), che forniscono k in funzione di qualche diametro significativo presente nella distribu-zione granulometrica. Tra queste, una delle più usate è la formula di Hazen3:

k = C⋅ (D10)2 (Eq. 4.29)

dove C è una costante compresa tra 100 e 150 se k è espresso in cm/s e D10 in cm.

Figura 4.11 – Correlazione tra il coefficiente di permeabilità, k, la densità relativa, Dr e il coef-ficiente di uniformità, U (Prugh, 1959)

3 Si può giustificare l’equazione (4.29) osservando che la permeabilità di un terreno è influenzata maggior-mente dalla frazione fine, che tende a riempire i vuoti, e quindi dal D10.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

18

La misura sperimentale della permeabilità di un terreno può essere invece effettuata sia in laboratorio che in sito; tuttavia, essendo la permeabilità un parametro fortemente influen-zato anche dai caratteri macrostrutturali, per i terreni naturali le misure in sito risultano generalmente più significative e quindi preferibili, a meno che non si riesca a riprodurre fedelmente in laboratorio le condizioni esistenti in sito, mentre per i terreni utilizzati co-me materiale da costruzione sono significative anche le prove di laboratorio.

Inoltre, ogni metodo di misura ha un campo di applicazione ottimale all’interno di un cer-to range di variazione della permeabilità; di conseguenza il metodo di misura più oppor-tuno deve essere scelto in relazione al tipo di terreno, come è evidenziato nella Tabella 4.2.

4.6 Determinazione della permeabilità in laboratorio

Per la misura del coefficiente di permeabilità in laboratorio vengono generalmente usati tre metodi:

a) il permeametro a carico costante, per k > 10-5 m/s

b) il permeametro a carico variabile, per 10-8< k < 10-5 m/s

c) i risultati della prova edometrica (che verrà descritta dettagliatamente nel Capitolo 7), per k < 10-8 m/s

4.6.1 Permeametro a carico costante

La prova con permeametro a carico costante è eseguita generalmente su campioni di ter-reno a grana grossa (ghiaie e sabbie pulite), compattati a diversi valori di densità relativa, in modo da ottenere una relazione tra la permeabilità e l’indice dei vuoti del terreno esa-minato. La permeabilità in sito viene poi stimata a partire dal valore dell’indice dei vuoti ritenuto più rappresentativo del terreno naturale.

Lo schema del permeametro a carico costante è quello indicato in Figura 4.12. Per l’esecuzione della prova viene immessa acqua nel recipiente che contiene il terreno, man-tenendo costante (realizzando degli sfioratori) la differenza di carico, h, esistente tra le e-stremità del campione, ossia il livello dell’acqua nei due recipienti.

La quantità di acqua raccolta in un certo intervallo di tempo, ∆t, è pari a C = Q⋅∆t, essen-do Q la portata immessa.

Poiché il moto è stazionario, con velocità pari a v, risulta C = v A⋅∆t. Supponendo inoltre valida la legge di Darcy (4.4) e che la perdita di carico si realizzi interamente all’interno del campione di terreno, si ha:

tALhktAikC ∆⋅⋅⋅=∆⋅⋅⋅= (Eq. 4.30)

dove A è l’area della sezione trasversale del campione. Dall’equazione (4.30) si ricava il valore di:

tAhLCk∆⋅⋅

⋅= (Eq. 4.31)

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

19

\Tabella 4.2 – Condizioni di drenaggio, tipi di terreno e metodi per la determinazione della per-meabilità

1 10-1 10-2 10-3 10-4 10-5 10-6 10-7 10-8 10-9 10-10 10-11k

(m/s)

GRADO DI

PERMEABILITÀ alto medio basso

molto

basso impermeabile

DRENAGGIO buono povero praticamente

impermeabile

sabbia pulita

e miscele di

sabbia e ghiaia

pulita

sabbia fine,

limi organici e

inorganici,

miscele

di sabbia, limo

e argilla,

depositi di

argilla

stratificati

TIPO DI

TERRENO

ghiaia pulita

terreni impermeabili

modificati dagli

effetti della

vegetazione e del

tempo

terreni impermeabili

argille omogenee

sotto la zona alterata

dagli agenti

atmosferici

Prova in foro di sondaggio

(misura locale; delicata esecuzione)

Prova di pompaggio

(delicata esecuzione; significativa)

MISURA DIRETTA DI K

Permeametro a carico costante

(facile esecuzione)

Permeametro a carico variabile

Facile

esecuzione significativa

delicata

esecuzione:

non significativa

delicata esecuzione:

molto poco significativa

Piezometro

Pressiometro

Piezocono

(misura locale; delicata esecuzione)

STIMA INDIRETTA DI K

Determinazione

dalla curva granulometrica

(solo per sabbie e ghiaie pulite)

Determinazione

dai risultati

della prova edometrica

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

20

Generalmente si effettuano più determi-nazioni considerando differenze di cari-co h e intervalli di tempo ∆t differenti per poi adottare un valore medio.

4.6.2 Permeametro a carico variabile

Se la permeabilità del terreno è presu-mibilmente inferiore a 10-5 m/s, la porta-ta e quindi la quantità di acqua raccolta (almeno in tempi ragionevolmente bre-vi) è piccola ed è difficile misurarla ac-curatamente con una prova a carico co-stante.

Si eseguono in questo caso prove con permeametro a carico variabile, in cui la quantità di acqua che fluisce attraverso il campione è determinata attraverso la misura della riduzione dell’altezza di carico, ∆h, in un tubo di piccolo diametro collegato al recipiente che con-tiene il campione (Figura 4.13).

Trascurando la compressibilità dell’acqua, si suppone che, per il principio di conservazio-ne della massa, la quantità di acqua che scorre nel tubicino sia pari a quella che attraversa il campione.

Se il livello dell’acqua si abbassa di una quantità dh nel tempo dt, la quantità di acqua che scorre nel tubicino nel tempo dt è pari a -a⋅dh (il segno meno perché il livello dell’acqua

diminuisce), uguale a quella che attraver-sa il campione v⋅ A⋅dt. Supponendo vali-da la legge di Darcy (4.4) e che la perdita di carico si realizzi interamente all’in-terno del campione di terreno, si ha:

k⋅i⋅A⋅dt = -a⋅ dh

ovvero

dhadtALhk ⋅−=⋅⋅⋅ .

Separando le variabili e integrando si ot-tiene:

∫∫ ⋅⋅=⋅1t

ot

oh

1h

dtLAkdh

h1a

)tt(LAk

hhlna o1

1

o −⋅=⋅

da cui:

L Ah

C

Figura 4.12 – Permeametro a carico costante

L A

∆h

a

h0

h1

Figura 4.13 – Permeametro a carico variabile

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

21

( ) ( ) 1

o10

o11

o

o1 hh

logttA

La3.2hh

lnttA

Lak−⋅

⋅=

−⋅⋅

= (Eq. 4.32)

Per quanto riguarda la determinazione di k a partire dai risultati della prova edometrica si rimanda al Capitolo 7, in cui viene descritta la prova e definito il coefficiente di permea-bilità in funzione di uno dei parametri che si determinano mediante tale prova.

4.7 Determinazione della permeabilità in sito

Per la misura del coefficiente di permeabilità in sito si può ricorrere a tre tipi di prove:

a) prove in pozzetto superficiale

b) prove in foro di sondaggio

c) prove di emungimento

4.7.1 Prove in pozzetto superficiale

Si tratta di prove speditive, di facile esecuzione, che, per contro, hanno un campo di uti-lizzo limitato, in quanto forniscono misure del coefficiente di permeabilità limitate agli strati più superficiali e si eseguono in genere su terreni che costituiscono opere di terra durante la loro costruzione, aventi permeabilità maggiori di 10-6 m/s, e posti sopra falda.

Il pozzetto è uno scavo di forma circolare o quadrata. La dimensione della sezione in pianta è legata al diametro massimo presente nella granulometria; in particolare il diame-tro, d, (o il lato, b) del pozzetto deve risultare maggiore di 10÷15 volte il diametro massi-mo presente nella granulometria.

La distanza del fondo del pozzetto dalla falda, H, deve essere pari ad almeno 7 volte l’altezza media (hm o h) dell’acqua nel pozzetto durante la prova, che a sua volta deve ri-sultare maggiore di d/4, per pozzetto circolare (o b/4, per pozzetto a base quadrata).

Lo schema della prova è rappresentato in Figura 4.14.

Esistono due tipi di prova:

- a carico costante

- a carico variabile

Nel primo caso viene immessa nel pozzetto una portata d’acqua costante q, tale che a re-gime il livello d’acqua sia costante; nel secondo caso, dopo avere riempito il pozzetto, viene registrato l’abbassamento del livello dell’acqua nel tempo.

In relazione alla forma del pozzetto e al tipo di prova, vengono impiegate formule semi-empiriche, valide nell’ipotesi di terreno omogeneo e isotropo, con k > 10-6 m/s.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

22

d > 10-15 diametro massimo dei granuli

h > d/4m

H > 7 hm

Figura 4.14 – Schema della prova in pozzetto superficiale

In particolare, nel caso di pozzetto circolare valgono le seguenti relazioni:

π⋅

⋅=

1hdqk

m

per prova a carico costante (Eq. 4.33)

m12

21

h1

tthh

32dk ⋅

−−

⋅= per prova a carico variabile (Eq. 4.34)

mentre nel caso di pozzetto a base quadrata:

3b

h27

1bqk

m2

+⋅⋅= per prova a carico costante

(Eq. 4.35)

3b

h27

bh21

tthh

km

m

12

21

+⋅

⋅+⋅

−−

= per prova a carico variabile (Eq. 4.36)

Nelle Equazioni da (4.33) a (4.36), h1 e h2 sono le altezze dell’acqua nel pozzetto rispetti-vamente agli istanti t1 e t2, e hm = (h1 + h2)/2 è l’altezza media.

4.7.2 Prove in foro di sondaggio

Le prove in foro di sondaggio possono essere eseguite a varie profondità durante la perfo-razione, oppure a fine foro, sul tratto terminale e forniscono generalmente un valore pun-tuale della permeabilità, limitatamente alla verticale esplorata e alle profondità considera-te. Le pareti del foro devono essere rivestite con una tubazione fino alla profondità a cui si vuole effettuare la misura di permeabilità (Figura 4.15a). Nei terreni che tendono a frana-re o a rifluire il tratto di prova viene riempito di materiale filtrante e isolato mediante un tampone impermeabile (Figura 4.15b). Il filtro deve avere una granulometria opportuna, in modo da non influenzare il flusso all’interno del materiale di cui si vuole determinare la permeabilità.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

23

h

L

Filtro

D

h1h

2

Q

h

a) b)

L

Tubo di rivestimento

D

h1h

2

QRivestimento esterno

Tampone impermeabile

Tubazione interna

Figura 4.15 – Schema della prova di immissione in foro di sondaggio, a carico variabile o co-stante, senza filtro (a) e con filtro (b)

In particolare, deve risultare:

F60/F10 ≤ 2 (materiale uniforme) e 4D15 ≤ F15 ≤ 4D85

dove Fx sono i diametri del filtro e Dx quelli del terreno indagato.

Le prove in foro di sondaggio si suddividono in:

di immissione (sopra o sotto falda)

− prove a carico costante

di emungimento (solo sotto falda)

di risalita (solo sotto falda)

− prove a carico variabile

di abbassamento (sopra o sotto falda)

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

24

Prove a carico costante

Nelle prove a carico costante viene misurata, a regime, la portata, emunta o immessa, Q, necessaria a mantenere costante il livello dell’acqua nel foro. Il coefficiente di permeabili-tà viene ricavato mediante la seguente relazione:

hFQk⋅

= [m/s] (Eq. 4.37)

dove Q [m3/s] è la portata, h [m] il livello dell’acqua nel foro (rispetto alla base del foro se la prova è eseguita sopra falda, oppure rispetto al livello di falda se la prova è eseguita sotto falda) ed F [m] un fattore di forma, dipendente dalla forma e dalla geometria della sezione filtrante ed è riportato in Tabella 4.3 in relazione alle geometrie rappresentate in Figura 4.16.

Tabella 4.3 – Espressioni del coefficiente di forma F per differenti geometrie della sezione filtran-te (per lo schema geometrico vedi Figura 4.16)

Geometria della sezione Coefficiente di forma F

1. Filtro sferico in terreno uniforme D2 ⋅π

2. Filtro emisferico al tetto di uno strato confinato D⋅π

3. Fondo filtrante piano al tetto di uno strato confina-to D2

4. Fondo filtrante piano in terreno uniforme D75.2

5. Tubo parzialmente riempito al tetto di uno strato confinato ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅+

v

h'k

kDL81

D2

π

6. Tubo parzialmente riempito in terreno uniforme ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅+

v

h'k

kDL111

D75.2

π

7. Filtro cilindrico al tetto di uno strato confinato ⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛++

⋅2

DL31

DL3ln

L3π

8. Filtro cilindrico in terreno uniforme ⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛++

⋅2

DL5.11

DL5.1ln

L3π

9. Filtro cilindrico attraversante uno strato confinato ⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛⋅

rr

ln

L2

0

π

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

25

D

1 2 3

654

7 8 9

D/2

D D

D

D

L L

L

D

k

k’v

D

k

k’v

D

L L

D

r0

Figura 4.16 – Geometrie del fattore di forma per il calcolo del fattore di forma F

Prove a carico variabile

Le prove di risalita a carico variabile vengono effettuate prelevando acqua dal foro in modo da abbassarne il livello di una quantità nota e misurando la velocità di risalita; nelle prove di abbassamento viene immessa acqua nel foro in modo da alzarne il livello di una

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

26

quantità nota e viene misurata la velocità di abbassamento. Il coefficiente di permeabilità viene ricavato mediante la seguente relazione:

( ) 2

1

12 hhln

ttFAk ⋅

−⋅= [m/s]

(Eq. 4.38)

dove A [m2] è l’area di base del foro, h1 e h2 sono le altezze agli istanti t1 e t2 rispetto al livello della falda o a fondo foro (se si tratta di prove di abbassamento condotte sopra il livello di falda), F [m] è il fattore di forma precedentemente definito (Tabella 4.3).

Una stima più attendibile del valore del coefficiente di permeabilità può essere eseguita determinando la media geometrica dei valori ricavati con prove di risalita (kr) e di abbas-samento (ka), ovvero ar kkk ⋅= . Infatti, durante le prove di abbassamento, la frazione più fine del materiale tende ad essere spinta verso il fondo del foro e la spinta idrodinami-ca tende a comprimere il terreno, facendone diminuire la permeabilità; al contrario, du-rante le prove di risalita, la frazione più fine del materiale tende ad essere asportata dall’acqua e la spinta idrodinamica tende a decomprimere il terreno, facendone aumentare la permeabilità.

Se la permeabilità orizzontale del terreno è diversa da quella verticale (a causa dell’orientamento dei grani nella fase di deposizione il coefficiente di permeabilità oriz-zontale, kH, risulta generalmente maggiore, anche di un ordine di grandezza, del coeffi-ciente di permeabilità verticale, kV), il coefficiente k ottenuto da prove in foro di sondag-gio tende a rappresentare il coefficiente di permeabilità verticale, kV, tanto più è ridotta la lunghezza del tratto filtrante L (Figura 4.16-8) rispetto al diametro del foro, D, fino alla situazione limite di sezione piana, L=0 (Figura 4.16-4). Mentre per valori di L/D suffi-cientemente grandi (L/D ≥ 1.2) si assume che il coefficiente di permeabilità misurato sia quello orizzontale, kH. Per situazioni intermedie (0 ≤ L/D ≤ 1.2) si assume che venga mi-surato un coefficiente di permeabilità medio VHmedio kkk ⋅= .

4.7.3 Prove di pompaggio

Le prove di pompaggio vengono eseguite in terreni con permeabilità medio-alta, al di sot-to del livello di falda. Consistono nell’abbassare il livello della falda all’interno di un pozzo, opportunamente realizzato, e nel rilevare in corrispondenza di un certo numero di verticali, strumentate con piezometri, l’abbassamento una volta raggiunto un regime di flusso stazionario (Figura 4.17). Nella fase di emungimento la velocità di abbassamento del livello diminuisce all’aumentare del volume di terreno interessato dal flusso, fino ad un valore prossimo alla stabilizzazione (regime pseudo-stazionario) se la falda non è ali-mentata e si stabilizza se la falda è alimentata. Il raggio di influenza è tanto maggiore quanto maggiore è la permeabilità.

Per una corretta interpretazione della prova è necessario conoscere con buona approssi-mazione la stratigrafia, l’estensione dell’acquifero e le condizioni iniziali della falda, che quindi vanno preventivamente ricavati mediante apposite indagini in sito.

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Il pozzo principale, che viene utilizzato per l’emungimento, ha un diametro D compreso generalmente tra i 200 e i 400 mm; intorno ad esso, nella zona di depressione della falda (a causa dell’andamento caratteristico della superficie piezometrica si parla anche di “co-no di depressione”) vengono disposti una serie di piezometri il cui numero dipende dalla eterogeneità del terreno.

Q

h

h1r

1

r2

s1

s2

h2

Pompa sommersa Superfici equipotenzialiLinee di flusso

Pozzo

Q

a)

b)

c)

Pozzo Piezometri di controllo

Livello piezometrico iniziale

Acquifero confinato

Acquifero non confinato

Pompa sommersa Superfici equipotenzialiLinee di flusso

h

b

h1r

1 r2

s1

s2

h2

Piezometri di controllo

Livello piezometrico iniziale

Figura 4.17 – Disposizione in pianta del pozzo e dei piezometri (a) e schema della prova di pom-paggio in acquifero confinato (b) e non confinato (c)

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Per la realizzazione del pozzo viene disposto all’interno del foro un tubo finestrato, con area delle aperture maggiore del 10% dell’area laterale. Nel tratto di terreno da investiga-re, l’intercapedine tra tubo e terreno è riempita con un filtro di ghiaietto e sabbia con una opportuna granulometria; nel tratto sovrastante, per evitare l’infiltrazione di acque ester-ne, l’intercapedine è riempita con materiale impermeabilizzante (generalmente argilla o bentonite).

Il tipo di piezometri viene scelto in relazione al tipo di terreno; devono essere in numero non inferiore a tre, disposti secondo allineamenti passanti per il pozzo (almeno due alline-amenti di cui uno parallelo alla direzione di moto della falda) come mostrato in Figura 4.17a.

La distanza tra i piezometri aumenta con legge esponenziale: il primo di ogni allineamen-to viene posto a qualche metro dal pozzo, l’ultimo al limite della zona di influenza (50÷200 m a seconda della permeabilità del deposito).

Come già detto, la prova viene eseguita prelevando acqua dal pozzo mediante un sistema di pompaggio e misurando il livello piezometrico nel pozzo e nei piezometri fino a che non si raggiunge una stabilizzazione. Le letture vengono eseguite a intervalli di tempo via via crescenti (2 min. nelle prime due ore, 5 min. nelle 4 ore successive, 10÷15 min. per il resto della prova, che dura mediamente 24÷36 ore e anche di più per terreni a bassa per-meabilità).

Le prove di emungimento vengono interpretate tenendo presente che:

- nel caso di acquifero confinato (falda artesiana) le linee di flusso sono orizzontali e le superfici equipotenziali sono cilindri concentrici rispetto al pozzo (Figura 4.17b);

- nel caso di acquifero non confinato (falda freatica) le linee di flusso (e le superfici e-quipotenziali) sono curve. In questo caso deve essere posta particolare attenzione alla profondità di installazione dei piezometri, poiché l’altezza di risalita dell’acqua (o comunque la pressione misurata) corrisponde alla pressione interstiziale della superfi-cie equipotenziale passante per il punto di misura. (Figura 4.17c).

Soluzioni semplificate forniscono l’espressione del coefficiente di permeabilità rispetti-vamente per il caso di acquifero confinato (Figura 4.17b) e non confinato (Figura 4.17c):

)hh(

)rrln(

b2Qk

12

1

2

−⋅

⋅π= (Eq. 4.39)

)hh(

)rrln(

Qk 21

22

1

2

−⋅

π= (Eq. 4.40)

Il valore della permeabilità ricavato con questo tipo di prova è un valore medio relativo al volume di terreno interessato dal cono di depressione.

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4.8 Pressioni di filtrazione e gradiente idraulico critico

Allo scopo di osservare come si modifica il regime delle pressioni (totali, efficaci e inter-stiziali) in un punto del terreno, passando da una condizione in cui il fluido presente nel terreno è in quiete (regime idrostatico), ad una in cui avviene un moto di filtrazione (sup-poniamo in regime stazionario), consideriamo uno schema costituito da due recipienti comunicanti, di cui uno contenente solo acqua (serbatoio) e l’altro contenente un campio-ne di sabbia saturo completamente immerso, di altezza h2, con livello dell’acqua sovra-stante la superficie superiore del campione di una lunghezza h1 (Figura 4.18).

In relazione alla posizione relativa del livello dell’acqua nei due reci-pienti si possono distinguere tre casi:

a) assenza di filtrazione. Se l’ac-qua si trova allo stesso livello nei due recipienti (Figura 4.18a) non c’è differenza di ca-rico (ossia di energia) tra due punti, A e B, appartenenti alla due superfici libere, per cui l’acqua è in quiete. La pressio-ne verticale totale nel generico punto P, a profondità z dall’es-tremità superiore del campione, O, sarà data da:

σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.41)

b) e la pressione dell’acqua (pres-sione interstiziale):

u = γw⋅(h1+z) (Eq. 4.42)

c) per cui la pressione verticale efficace vale:

essendo γ’ = γsat -γw

d) filtrazione discendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più basso di quello nel recipiente che contiene il campione, di una altezza h, si ha una differenza di carico co-stante che provoca un moto di filtrazione dal recipiente che

w

w

ww

w

1

1

11

1 2

B

O

h2

h1 BA

OP

h

Aa)

b)

γ h

γ

γ γ

γ (h + h )

h2

h1

A

O

B

h2

h1

Pu

u

z

z

P

0

w

w

1

1 2

γ h

γ (h + h - h)

w w

11

h

γ γ

u

z

w

w

w

1

1 2

γ h

γ (h + h + h)

wγ z i

γ z i

c)

Q

u

Q

Q

0

0

Figura 4.18 – Esempio di assenza di filtrazione (a), fil-trazione discendente (b) e ascendente (c) in un campione di sabbia saturo

σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - γw⋅(h1+z) = γ’⋅z

(Eq. 4.43)

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contiene il campione verso il serbatoio (da un punto a energia maggiore, A, a un punto a energia minore, B). La pressione verticale totale nel punto P a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data anche in questo caso da (Figura 4.18b):

σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.44)

La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio e vale uz=h2 = γw (h2+h1-h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia li-nearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw (h1+z) –γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale:

u = γw (h1+z) –γw i z

e la pressione efficace:

σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) +γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z + γw i z

Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale discendente ha prodotto una riduzione della pressione interstiziale, γw i z, ed un egua-le aumento di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione.

Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come descritto nel seguito.

Supponendo che la perdita di carico, h, tra i punti A e B appartenenti alle due super-fici libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno,

la perdita di carico nel tratto OP è pari a zizhh

2

⋅=⋅ .

Quindi zhhu)hz()uz(hhh

2w1

w1P0 ⋅=

γ−+=

γ+−−=− , da cui:

ww1w2

w1 zi)hz(zhh)hz(u γ⋅⋅−γ⋅+=γ⋅⋅−γ⋅+= (Eq. 4.45)

La pressione efficace vale in questo caso:

σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw + i⋅z⋅γw = γ’⋅z + i⋅z⋅γw (Eq. 4.46)

e) filtrazione ascendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più alto di quello nel recipiente che contiene il campione, di una quantità h, si ha una differenza di carico costante che provoca un moto di filtrazione dal serbatoio verso il recipiente che contiene il campione (Figura 4.18c).

La pressione totale nel punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data anche in questo caso da:

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

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σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.47)

La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio e vale uz=h2 = γw (h2+h1+h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia li-nearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw (h1+z) +γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale:

u = γw (h1+z) +γw i z

e la pressione efficace:

σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) - γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z - γw i z

Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale ascendente ha prodotto una aumento della pressione interstiziale, γw i z, ed un eguale riduzione di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione.

Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come descritto nel seguito.

Supponendo che la perdita di carico h, tra i punti B e A appartenenti alle due superfi-ci libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno,

nel tratto PO, la perdita di carico è pari a zizhh

2

⋅=⋅ .

Quindi zhh)hz(uh)

uz(hh

21

w1

w0P ⋅=+−

γ=−

γ+−=− , da cui:

ww1w2

w1 zi)hz(zhh)hz(u γ⋅⋅+γ⋅+=γ⋅⋅+γ⋅+= (Eq. 4.48)

La pressione efficace vale in questo caso:

σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw - i⋅z⋅γw = γ’⋅z - i⋅z⋅γw (Eq. 4.49)

Le osservazioni precedenti evidenziano che in presenza di filtrazione, in un punto a pro-fondità z, la pressione dell’acqua varia di una quantità pari i⋅z⋅γw, che rappresenta la com-ponente idrodinamica della pressione interstiziale (pressione di filtrazione). Di conse-guenza la pressione efficace varia della stessa quantità; nel caso di filtrazione discendente la pressione efficace aumenta, mentre nel caso di filtrazione ascendente la pressione effi-cace diminuisce rispetto al casi di assenza di filtrazione. In particolare, la pressione effet-tiva in presenza di filtrazione ascendente è data da σ’z = γ’⋅z - i⋅z⋅γw e si annulla quando il gradiente idraulico è pari a

ic= γ’/γw (Eq. 4.50)

detto gradiente idraulico critico.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

32

In questa condizione, se il terreno è privo legami coesivi, si annullano le forze intergranu-lari, si annulla la resistenza del terreno e le particelle solide possono essere trasportate dall’acqua in movimento, dando origine ad un fenomeno progressivo di erosione che con-duce al collasso della struttura del terreno. Tale fenomeno è noto come instabilità idrodi-namica (o sifonamento) ed è quello che può manifestarsi ad esempio nel caso di uno sca-vo sorretto da un diaframma. (Figura 4.19). È da notare che essendo γ’≅ γw, il valore di ic è prossimo all’unità.

Si definisce fattore di sicurezza globale nei confronti del sifonamento il rapporto tra il gradiente idraulico critico e quello che si ha in esercizio (definito gradiente di efflusso, iE), ossia:

Essendo il sifonamento un fenomeno improvviso, senza segni premonitori, ed essendo difficile tener conto di fattori quali l’eterogeneità e l’anisotropia del terreno, si adottano

valori alti di FS (generalmente si impone FS > 4).

Nel caso di un diaframma infisso ad una profondità D in un mezzo omogeneo, il gradiente di efflusso può essere valutato in prima approssimazione dividendo la perdita di carico per la lunghezza delle linea di flusso più corta, rappresentata dal percorso di una particella d’acqua in aderenza al dia-framma, indicato con A-B in Figura 4.19, ovvero, trascurando lo spessore del dia-framma ed indicando con H la differenza di carico esistente tra due punti A e B appar-tenenti alle due superfici libere, si può por-re:

iE = H/(H+2D) (Eq. 4.52)

Per determinare un valore del gradiente di efflusso più aderente alla realtà si può ricorrere a diagrammi disponibili in letteratura per vari casi pratici ricorrenti (Figura 4.20).

A titolo di esempio, con lo schema di Figura 4.20, per h/D = 2 e d/D = 1 si ha ie ≅ 0.53. La stima, approssimata per eccesso, ottenuta dall’Equazione (4.52) è:

66.021

22D/d

D/hD2d

hie =+

=+

=+

=

Un fenomeno analogo al sifonamento, dovuto alle pressioni di filtrazione al piede di un diaframma, è quello del sollevamento del fondo scavo.

Terzaghi ha osservato che il fenomeno di instabilità si estende a tutta la profondità D di infissione per una larghezza pari a D/2 e che l’andamento delle sovrapressioni interstiziali (ovvero delle pressioni interstiziali in eccesso rispetto alla pressione idrostatica di valle) è quello riportato in Figura 4.21.

FS = ic/iE (Eq. 4.51)

p.c.

p.c.

H

D

A

B

Figura 4.19 – Scavo sorretto da un diaframma

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

33

Figura 4.20 – Gradiente di efflusso, iE, nel caso di uno scavo in un mezzo di spessore infinito (a), nel caso di uno scavo nastriforme in un mezzo di spessore infinito (b), nel caso di una trincea drenante in un mezzo di spessore limitato (c)

In prima approssimazione, cautelati-vamente, si assume che il valore del-la sovrapressione al piede del dia-framma sia costante per una larghez-za D/2 e pari ad γw ⋅Hc, dove Hc si ri-cava dall’Eq.(4.52):

ie = H/(H+2D) =Hc/D

e quindi:

Hc = (H D)/(H+2D).

La forza totale di filtrazione che ten-de a sollevare il cuneo è data da Sw = Hc⋅γw⋅D/2; quando questa uguaglia il peso efficace del cuneo (peso totale del cuneo meno spinta di Archime-de), dato da W’ = γ’ D D/2, si rag-giungono le condizioni limite di in-stabilità.

Il fattore di sicurezza globale nei confronti del sollevamento del fondo scavo è definito come rapporto tra il peso efficace del cuneo e la forza di filtrazione che tende a sollevarlo, ossia:

p.c

p.c.

D

A

E

H

Hc

γw c

H

D/2

D

Figura 4.21 – Distribuzione delle sovrapressioni al piede di un diaframma in un mezzo di spessore infinito

a) b)

c)

Gra

dien

te d

i eff

luss

o i E

Gra

dien

te d

i eff

luss

o i E

α

h/D

b/D

h/D

0.53

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

34

(è da osservare che in pratica il rapporto Hc/D rappresenta il gradiente di efflusso nel trat-to infisso, e che quindi l’Eq. 4.53 corrisponde all’Eq. 4.51).

Talvolta, nel caso di terreno omogeneo, viene assunto cautelativamente Hc= H/2, invece che Hc= HD/(H+2D), come risulterebbe, sempre in maniera approssimata, dallo schema di Figura 4.21.

Per incrementare il valore di FS si possono adottare le seguenti soluzioni:

- aumentare la profondità di infissione in modo da ridurre il gradiente di efflusso;

- disporre sul fondo dello scavo in adiacenza al diaframma un filtro costituito da mate-riale di grossa pezzatura in modo da incrementare le tensioni efficaci. In questo caso

2/DHW2/D'FS

cw

2

⋅⋅γ+⋅γ

= (Eq. 4.54)

dove W è il peso del filtro;

- inserire dei dreni in modo da ridurre le sovrapressioni.

Se lo scavo è realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata, nel tempo che intercorre tra la realizzazione dello scavo e l’instaurarsi del moto di filtrazione, occorre ragionare in termini di pressioni totali: se la forza risultan-te delle pressioni idrostatiche iniziali alla base del cuneo supera il peso totale del cuneo può verificarsi il sollevamento. In questo caso il fattore di sicurezza globale è definito mediante il rapporto tra la pressione verticale totale e la pressione interstiziale all’intradosso dello strato di argilla a valle (Figura 4.22):

cwcww HD'

2/DH2/DD'

S'WFS

⋅γ⋅γ

=⋅⋅γ

⋅⋅γ== (Eq. 4.53)

ww HDFS

⋅γ⋅γ

= (Eq. 4.55)

γw w

H

p.c.

Hw

D

Sabbia

Sabbia

Argilla NC

Figura 4.22 - Scavo realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

35

4.9 Considerazioni sui problemi di idraulica dei terreni

Per affrontare e risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si utilizzano modelli sempli-ficati del sottosuolo, costituiti da strati di terreno omogenei, con superfici di confine ben definite, cui vengono attribuite proprietà geotecniche medie o caratteristiche. La geome-tria e le proprietà fisiche, idrauliche e meccaniche dei diversi strati di terreno sono stimate in base ai risultati di indagini geotecniche in sito e di laboratorio. Come vedremo nei capi-toli successivi, le indagini geotecniche hanno limiti e incertezze, dovuti alla rappresenta-tività del campione statistico, alla variabilità intrinseca delle proprietà dei terreni, alla im-possibilità di riprodurre in laboratorio le reali condizioni in sito, alle incertezze nelle pro-cedure di trasformazione dei risultati sperimentali in proprietà geotecniche, etc.. Pertanto il modello di sottosuolo utilizzato per il calcolo è solo uno schema semplificato della real-tà fisica, sia per quanto riguarda la geometria sia per quanto riguarda le proprietà geotec-niche attribuite ai singoli strati.

Le incertezze del modello hanno effetti molto diversi a seconda del problema geotecnico. In alcuni di essi, anche scarti considerevoli dei valori reali di una proprietà geotecnica dal valore medio stimato ed assunto per il calcolo, hanno modesti effetti sul risultato (ad e-sempio, la stima della capacità portante e dei cedimenti di una fondazione, o anche la sti-ma della spinta del terreno su un’opera di sostegno). Ma nei problemi di idraulica del ter-reno, ove è necessario considerare la filtrazione dell’acqua e la distribuzione delle pres-sioni interstiziali nello spazio e nel tempo, anche dettagli geologici minimi, apparente-mente insignificanti e di difficile individuazione con le usuali tecniche di indagine, pos-sono avere un’influenza decisiva, per cui l’uso di un modello semplificato di sottosuolo, che trascuri tali dettagli, può condurre a risultati decisamente errati.

Si consideri, ad esempio, una palancola a sostegno di uno scavo in un deposito di sabbia, in cui sia presente un sottile strato di argilla. In assenza di falda, e quindi di filtrazione, la presenza dello straterello argilloso e molto poco permeabile, ha un’influenza trascurabile sulla pressione mutua terreno-struttura, e quindi sulla stabilità e sulle deformazioni del si-stema geotecnico. Al contrario, in presenza di falda, se il livello argilloso è al di sopra dell’estremità inferiore della palancola ed è continuo, esso intercetta quasi completamente la filtrazione ed altera profondamente la distribuzione delle pressioni interstiziali. Se tut-tavia il livello di argilla non è continuo, ma corrisponde ad una piccola lente, la rete di fil-trazione ne risulta modificata solo localmente. Una verticale di indagine geotecnica (ad esempio un sondaggio o una prova penetrometrica) eseguita per la progettazione della struttura, può non avere rilevato la presenza del sottile livello argilloso, oppure può averla rilevata ma senza poterne accertare l’estensione e la continuità.

In definitiva, l’intensità e la distribuzione delle pressioni interstiziali in presenza di filtra-zione sono stimate mediante la rete idrodinamica, la cui determinazione è molto incerta e raramente rispecchia le reali condizioni idrauliche del terreno. Per cui l’analisi teorica del comportamento atteso del modello geotecnico, pur necessaria, deve essere convalidata da misure sperimentali durante la costruzione e in corso d’opera, ed eventualmente variata se le misure sperimentali non confermano le previsioni.

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

36

4.10 Verifiche di sicurezza nei confronti degli stati limite di tipo idrau-lico secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. 14/01/08)

La progettazione geotecnica eseguita in conformità alle Norme Tecniche per le Costru-zioni (D.M. 14 gennaio 2008) (NTC-08) si basa sul metodo degli stati limite e sull’impiego dei coefficienti di sicurezza parziali. Nel metodo degli stati limite, che pos-sono essere ultimi (SLU) o di esercizio (SLE), vi sono tre categorie di coefficienti parzia-li, da applicare rispettivamente alle azioni o agli effetti delle azioni (A), alle caratteristi-che dei materiali (M) e alle resistenze (R). Essi possono assumere valori diversi ed essere diversamente raggruppati e combinati tra loro in funzione del tipo e delle finalità delle ve-rifiche nei diversi stati limite considerati.

Gli stati limite ultimi di tipo idraulico sono riconducibili ai seguenti due, denominati ri-spettivamente:

UPL (da Uplift) – che comportano la perdita di equilibrio della struttura o del terreno a causa della sottospinta dell’acqua (fenomeni di galleggiamento di strutture interrate, come parcheggi sotterranei, stazioni metropolitane, etc.. o di sollevamento del fondo scavo), e

HYD (da Hydrodinamic conditions) – in cui si verifica erosione e sifonamento del terreno a causa di moti di filtrazione dal basso verso l’alto con gradiente idraulico tale da produr-re l’annullamento delle tensioni efficaci.

Gli schemi di rottura delle Figure 4.19, 4.20 e 4.21 sono del tipo HYD, mentre lo schema di Figura 4.22 è del tipo UPL.

Secondo le NTC-08:

“Per la stabilità al sollevamento deve risultare che il valore di progetto dell’azione insta-bilizzante Vinst,d, combinazione di azioni permanenti (Ginst,d) e variabili (Qinst,d), sia non maggiore della combinazione dei valori di progetto delle azioni stabilizzanti (Gstb,d) e del-le resistenze (Rd):

Vinst,d ≤ Gstb,d + Rd (6.2.4)

dove Vinst,d = Ginst,d + Qinst,d (6.2.5)

Per le verifiche di stabilità al sollevamento, I relativi coefficienti parziali sono indicati nella Tab. 6.2.III. Tali coefficienti devono essere combinati in modo opportuno con quelli relativi ai parametri geotecnici (M2).” Tabella 6.2.III – Coefficienti parziali sulle azioni per le verifiche nei confronti di stati limite di sollevamento

CARICHI EFFETTO Coefficiente parziale γF (o γE)

SOLLEVAMENTO (UPL)

Favorevole 0.9 Permanenti

Sfavorevole γG1 1.1

Favorevole 0.0 Permanenti non strutturali

Sfavorevole γG2 1.5

Favorevole 0.0 Variabili

Sfavorevole γQi 1.5

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

37

Bi x LiBe x Le

Hw HiHe

Pw

Pv

U

T

I valori dei coefficienti parziali relativi ai parametri geotecnici sono indicati nella seguen-te Tabella 6.2.II delle NTC08 Tabella 6.2.II – Coefficienti parziali per i parametri geotecnici del terreno

PARAMETRO GRANDEZZA ALLA QUALE APPLICARE IL COEFFICIENTE

PARZIALE

COEFFICIENTE PARZIALE

( M1 ) ( M2 )

Tangente dell’angolo di resistenza al taglio

tan φ’k γφ’ 1.0 1.25

Coesione efficace c’k γc’ 1.0 1.25

Resistenza non drenata cuk γcu 1.0 1.4

Peso dell’unità di vo-lume

γ γγ 1.0 1.0

Esempio di verifica al sollevamento di una struttura interrata:

Vasca in c.a. (Figura 4.23) immersa in terreno sabbioso saturo. Falda coincidente con il piano campagna.

Figura 4.23- Schema della vasca

dati geometrici: He = 3,5 m Be = 5 m Le = 10 m Hi = 2,8 m Bi = 4 m Li = 9 m Hw = 2,5 m

pesi specifici di progetto: peso specifico del c.a.: γc.a. = 25 kN/m3 peso specifico dell’acqua.: γw. = 10 kN/m3

proprietà geotecniche (valori caratteristici) - peso di volume saturo della sabbia: γsat,k = 18 kN/m3

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

38

- angolo di resistenza al taglio: φ’k = 32°

Verifica nei confronti dello stato limite di sollevamento secondo NTC 08 Area di base: Ab = Be Le = 10 x 5 = 50 m2 Area delle pareti: As = 2 He (Be + Le) = 2 x 3,5 x (5 + 10) = 105 m2

Valori di progetto delle proprietà geotecniche (si applicano i coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.II colonna M2) - peso di volume saturo della sabbia: γsat,d = γsat,k / 1.0 = 18 kN/m3 - angolo di resistenza al taglio: φ’d = arctan(tanφ’k /1,25) = 26,56°

Peso della vasca: Pv = γc.a. (Be Le He – Bi Li Hi) = 25 x (5 x 10 x 3,5 – 4 x 9 x 2,8) = 1855 kN

Peso dell’acqua contenuta nella vasca: Pw = γw Bi Li Hw = 10 x 4 x 9 x 2,5 = 900 kN

Sottospinta idraulica: U = γw He Ab = 10 x 3,5 x 50 = 1750 kN

Forza di attrito di progetto sulle pareti della vasca: T = τm,d As τm,d = Kd tanδd σ’vm Kd = 1 – senφ’d = 1 – sen(26,56) = 0,553 δd = 0,75 φ’d = 0,75 x 26,56 = 19,92° tanδd = tan(19,92) = 0,362 σ’vm = γ’ He / 2 = (18 – 10) x 3,5 / 2 = 14 kPa τm,d = Kd tanδd σ’vm = 0,553 x 0,362 x 14 = 2,80 kPa T = τm,d As = 2,80 x 105 = 294,5 kN

Valori di progetto delle azioni instabilizzanti (si applicano i coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.III) Ginst,d = U γG1 = 1750 x 1,1 = 1925 kN Qinst,d (assente) Vinst,d = Ginst,d = 1925 kN

Valori di progetto delle azioni stabilizzanti (si applicano i coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.III) Gstb,d = Pv γG1 = 1855 x 0,9 = 1669,5 kN Qstb,d = Pw γQi = 900 x 0 = 0 kN

Valori di progetto delle azioni resistenti Rd = T = 294,5 kN

Gstb,d + Rd = 1669,5 + 294,5 = 1964 kN > Vinst,d = 1925 kN Verifica soddisfatta.

Riprendendo lo schema della Figura 4.22, che si riferisce al pericolo di sollevamento del fondo di uno scavo realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permea-bilità molto più elevata, nel tempo che intercorre tra la realizzazione dello scavo e l’instaurarsi del moto di filtrazione, l’applicazione delle NTC 08 e quindi dei coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.III, comporta semplicemente di attribuire al coefficien-te di sicurezza globale FS di Eq. 4.55 il valore minimo: FSmin = 1,1 / 0,9 = 1,22

Infatti:

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

39

(Gstab,d + Rd) = 0,9 γ D e Vinst,d = Ginst,d = 1,1 γw Hw

da cui, dovendo risultare: Vinst,d ≤ Gstab,d + Rd ovvero

1,1 γw Hw ≤ 0,9 γ D ne segue: FS = γ D / γw Hw ≥ 1,1/0,9 = 1,22

Per quanto riguarda le verifiche al sifonamento, le NTC-08 recitano:

“Il controllo della stabilità al sifonamento si esegue verificando che il valore di progetto della pressione interstiziale instabilizzante (uinst,d) risulti non superiore al valore di pro-getto della tensione totale stabilizzante (σstb,d), tenendo conto dei coefficienti parziali del-la Tab. 6.2.IV:

uinst,d ≤ σstb,d (6.2.6)

Tabella 6.2.IV – Coefficienti parziali sulle azioni per le verifiche nei confronti di stati limite di sifonamento

CARICHI EFFETTO Coefficiente parziale γF (o γE)

SIFONAMENTO (HYD)

Favorevole 0.9 Permanenti

Sfavorevole γG1 1.3

Favorevole 0.0 Permanenti non strutturali

Sfavorevole γG2 1.5

Favorevole 0.0 Variabili

Sfavorevole γQi 1.5

Si consideri ad esempio lo schema di Figura 4.24.

Figura 4.24 – Schema per la verifica al sifonamento

Sabbia

Acqua

Acqua

u

∆ h

d w

d H

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Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

4 -

40

Al piede del diaframma il valore caratteristico della pressione interstiziale instabilizzante vale:

uinst,k = γw (d + dw + ∆h)

mentre il valore caratteristico della tensione totale stabilizzante vale:

σstb,k = γsat d + γw dw = (γ’ + γw) d + γw dw

Applicando i coefficienti di sicurezza parziali γG1 (rispettivamente sfavorevole per uinst,k e favorevole per σstb,k) di Tabella 6.2.IV la verifica in termini di tensioni totali richiede che:

1,3 γw (d + dw + ∆h) ≤ 0,9 [(γ’ + γw) d + γw dw]

ovvero:

1,3 γw ∆h ≤ 0,9 γ’ d – 0,4 γw (d + dw)

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

CAPITOLO 5 MODELLI REOLOGICI

La reologia è la scienza che studia l’andamento delle deformazioni nella materia sotto l’effetto dell’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Uno degli obiettivi principali di questa disciplina è quello di caratterizzare il comportamento meccanico dei materiali me-diante la definizione di modelli matematici che stabiliscano dei legami tra tensioni, de-formazioni e tempo (detti legami costitutivi).

Anche nella meccanica dei terreni si ricorre generalmente all’impiego di modelli, ovvero di schemi più o meno semplificati, per l’interpretazione di fenomeni fisici complessi e per la previsione del comportamento dei vari mezzi in seguito all’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Un aspetto importante da sottolineare è che un modello reologico non è legato solo al tipo di materiale, ma anche e soprattutto al fenomeno fisico che lo interessa; per questo motivo la scelta del tipo di modello è strettamente dipendente oltre che dal tipo di materiale, da quello dell’applicazione ingegneristica considerata.

Tra i modelli “classici”, quelli di maggiore interesse nell’ambito della meccanica dei ter-reni sono:

- il modello elastico

- il modello plastico

- il modello viscoso

che possono essere assunti singolarmente o in combinazione tra loro.

Nella descrizione dei modelli reologici, riportata nei paragrafi seguenti, verranno adottati schemi monodimensionali e simboli convenzionali, per renderne più immediata la com-prensione a livello qualitativo. Passando dagli schemi monodimensionali al mezzo conti-nuo, al concetto di forza si sostituisce quello di tensione e al concetto di spostamento quello di deformazione.

5.1 Modello elastico

Il comportamento di un corpo è definito elastico se le deformazioni prodotte da un siste-ma di sollecitazioni scompaiono una volta rimosse tali sollecitazioni. La relazione sforzi-deformazioni è biunivoca e indipendente dal tempo: una stessa sollecitazione produce sempre la stessa deformazione anche se applicata ripetutamente.

Il simbolo comunemente usato per rappresentare l’elasticità di un mezzo è una molla, e lo schema monodimensionale semplificato è quello rappresentato in Figura 5.1 (schema di Hooke).

Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo spostamento s (Figura 5.1), la relazione tra F ed s è del tipo:

F = f(s) (Eq. 5.1)

ed è rappresentata in Figura 5.2.

5 -

1

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Se f(s) è una funzione lineare (linea (a) di Figura 5.2), ovvero:

O

KF

s

A

Figura 5.1. - Schema di Hooke per un mezzo elastico

F = K⋅s (Eq. 5.2)

con K = costante, si parla di com-portamento elastico-lineare, con K costante elastica del mezzo. Se di-pende dal livello di sforzo (o di de-formazione) raggiunto (curva (b) di Figura 5.2), si parla di legame ela-stico non lineare. La funzione che rappresenta un legame elastico non lineare può essere approssimata con una funzione lineare a tratti, su in-tervalli opportunamente piccoli del-lo spostamento.

K1

F = K s

F = f(s)F

(a)

(b)

s Figura 5.2. – Comportamento elastico lineare (a) e non lineare (b)

Le principali applicazioni geotecni-che per le quali viene spesso assunta l’ipotesi di comportamento elastico del terreno sono:

− il calcolo delle deformazioni nei terreni sovraconsolidati;

− l’analisi della diffusione delle tensioni nel terreno;

− il calcolo delle strutture di fon-dazione.

5.2 Modello plastico

Il comportamento di un corpo è definito plastico se, raggiunta una determinata soglia di sollecitazione, si manifestano deformazioni permanenti (ossia che si conservano anche una volta rimosse le sollecitazioni) e indipendenti dalla durata delle sollecitazioni applica-te. La relazione sforzi-deformazioni è quindi indipendente dal tempo e non biunivoca: ad uno stesso valore della deformazione, s, possono corrispondere valori diversi della solle-citazione, F.

La plasticità di un mezzo può essere rappresentata mediante un pattino ad attrito, secondo lo schema monodimensionale semplificato rappresentato in Figura 5.3 (schema di Cou-lomb). Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello collegato al pattino, si osserva che non si hanno spostamenti fino a che la sollecitazione non rag-giunge un valore limite F*. In corrispondenza di tale valore lo spostamento plastico può avvenire a forza applicata costante (mezzo plastico perfetto) (linea (a) di Figura 5.4) op-

5 -

2

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

pure progredire con aumento del-la forza applicata (linea (b) di Fi-gura 5.4) o diminuzione della for-za applicata (linea (c) di Figura 5.4).

In questi casi si parla, rispettiva-mente, di mezzo incrudente posi-tivamente o negativamente. An-nullando la forza F non si ha al-cun recupero dello spostamento accumulato come è possibile os-servare in Figura 5.5; incremen-tando nuovamente la forza F il pattino rimarrà fermo nella posizione assunta sotto il cari-co precedente, fino a che l’intensità della forza applicata non raggiunge il nuovo valore limite F*, che sarà uguale al precedente per mezzo plastico perfetto, maggiore per mezzo incrudente positivamente, minore per mezzo incrudente negativamente.

O

F

s

A

Figura 5.3 – Schema di Coulomb per un mezzo plastico

H1

F*

F

H > 0

H = 0

H < 0

(a)

(b)

(c)

s

H1

F*

F

O

AB

Cp

ss

Figura 5.4 – Andamento tensioni-deformazioni per un mezzo plastico perfetto (a), incrudente positivamente (b) e negativamente (c).

Figura 5.5 – Deformazione permanente per un mezzo plastico.

La relazione tra lo spostamento plastico, dsp, e l’aliquota di forza che eccede F*, dF*, è del tipo:

*p dFH1ds = (Eq. 5.3)

dove H, detto coefficiente di incrudimento, sarà uguale a zero per mezzo plastico perfet-to, positivo per mezzo incrudente positivamente, negativo per mezzo incrudente negati-vamente.

Nelle applicazioni geotecniche l’ipotesi di comportamento plastico è assunta nella tratta-zione dei problemi di stabilità, per i quali si fa riferimento alle condizioni di equilibrio li-mite (capacità portante delle fondazioni, stabilità dei pendii, delle opere di sostegno, ecc..)

5 -

3

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

5.3 Modello viscoso

Il mezzo viscoso è caratterizzato da deformazioni permanenti che si sviluppano con una velocità legata alla sollecitazione applicata. La velocità di deformazione si annulla all’annullarsi della sollecitazione. Il simbolo con cui si rappresenta la viscosità di un mez-zo è lo smorzatore viscoso (o ammortizzatore idraulico) costituito da un pistone forato che scorre in un cilindro pieno di liquido. Lo schema monodimensionale semplificato del modello è rappresentato in Figura 5.6 (schema di Newton).

Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo

spostamento s, si osserva una relazione tra F e la velocità di spostamento dtdss

.= , ossia

(linea (a) di Figura 5.7):

)sf(F.

= (Eq. 5.4)

O

F

sA

η

η1

F = sη

F = f(s)F (a)

(b)

s

Figura 5.6 – Schema di Newton per un mezzo

viscoso

Figura 5.7 – Comportamento di un mezzo

viscoso (a) e di un mezzo viscoso perfetto (b)

Se è una funzione lineare (linea (b) di Figura 5.7), ovvero: )sf(.

.sηF ⋅=

(Eq. 5.5)

con η = costante, si parla di mezzo viscoso perfetto o newtoniano, con η viscosità del mezzo.

5.4 Modelli reologici complessi

I modelli semplici descritti nei precedenti paragrafi possono essere combinati tra loro per ottenere in alcuni casi modelli più adatti a schematizzare il comportamento del terreno.

La combinazione può essere fatta in serie o in parallelo.

5 -

4

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Nel primo caso lo spostamento risultante è la somma dei singoli spostamenti e la forza è la stessa per tutti i componenti; nel secondo caso la forza è la somma delle forze nei sin-goli componenti mentre lo spostamento è lo stesso.

Tra le possibili combinazioni verranno esaminate nel seguito:

− il modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi)

− il modello elasto-plastico incrudente

5.4.1 Modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi)

Lo schema monodimensionale semplificato che rappresenta questo modello è riportato in Figura 5.8.

Se Fe rappresenta la forza che agisce sulla molla, Fv quella agente sullo smorzatore, se ed sv i rispettivi spostamenti, si ha:

F = Fe + Fv (Eq. 5.6)

s = se = sv (Eq. 5.7)

Sostituendo ad Fe e Fv le rispetti-

ve espressioni in funzione s ed si ottiene:

.s

O

K

η

F

s

A

Figura 5.8 – Schema semplificato del modello di Kelvin-Terzaghi

.sKsF η+= (Eq. 5.8)

Integrando l’equazione preceden-te nell’ipotesi che lo spostamento iniziale sia nullo (s(0) = 0) e che venga applicata istantaneamente una forza F = Fo, si ha:

)e1(s)e1(KF)t(s ritT

te

tKo

−η

−⋅=−⋅= (Eq. 5.9)

dove Trit = η/K è detto tempo di ritardo.

Lo spostamento progredisce nel tempo in funzione delle caratteristiche elastiche e viscose del mezzo tendendo asintoticamente allo spostamento se che compete alla componente e-lastica (curva OAC in Figura 5.9).

La derivata dell’Eq. 5.9 è: ritTt

rit

e

eTs)t(s

⋅= e per t = 0 risulta: rit

e

Ts)0t(s ==

5 -

5

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Quindi Trit rappresenta l’ascissa cor-rispondente al punto di intersezione tra s = se e la tangente nell’origine (indicato con T in Figura 5.9).

s

s

F

A C

O B

T

F0

t

e

t1T

r i t

Figura 5.9 – Andamento nel tempo degli spostamenti nel modello di Kelvin-Terzaghi

Se all’istante t1 la forza viene rimos-sa, il ritorno nella posizione origina-ria è ritardato dalla presenza dello smorzatore (curva AB in Figura 5.9).

Il modello di Kelvin-Terzaghi è uti-lizzato nell’interpretazione della teo-ria della consolidazione edometrica.

5.4.2 Modello elasto-plastico incrudente

Lo schema monodimensionale di questo modello è rappresentato da una molla ed un pat-tino ad attrito in serie (Figura 5.10). In questo caso, se si immagina di applicare una forza al carrello lo spostamento sarà inizialmente pari a quello elastico della molla.

Raggiunto il valore di soglia della forza, F* (rappresentato dal punto A in Figura 5.11), i-nizierà a muoversi anche il pattino e l’incremento di spostamento ds del carrello, conse-guente ad un incremento di forza dF* (rappresentato in Figura 5.11 dal tratto AB), sarà da-to da:

ds = dse + dsp = λ dF* (Eq. 5.10)

essendo dse e dsp gli incrementi di spostamento che competono rispettivamente alla molla e al pattino.

Essendo dse = k dF*, con k pari all’inverso della costante elastica del mezzo, K, si avrà:

dsp =ds – dse = (λ−k)dF* (Eq. 5.11)

Il coefficiente di incrudimento del mezzo sarà dato da:

H = dF*/dsp = 1/(λ-k) (Eq. 5.12)

Con un modello elasto-plastico incrudente si interpreta la compressibilità edometrica dei terreni sovraconsolidati.

5 -

6

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Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

O

F

s

A

K

Figura 5.10 – Schema semplificato del modello elasto-plastico incrudente

1λdF*

F*

F ds p eds

O

A

B

Cs

ss

1k

ds

p s e

Figura 5.11 – Comportamento di un mezzo elasto-plastico incrudente

5 -

7

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

1

CAPITOLO 6 PRESSIONI DI CONTATTO E DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

IN UN SEMISPAZIO ELASTICO

6.1 Pressioni di contatto Una fondazione superficiale trasmette al terreno il carico proveniente dalla struttura in e-levazione. Le pressioni mutue all’intradosso della fondazione sono dette pressioni di contatto. La distribuzione delle pressioni di contatto dipende dall’entità e distribuzione del carico all’estradosso della fondazione, dalla rigidezza della struttura di fondazione e dalla rigidezza del terreno di fondazione.

In Figura 6.1 sono qualitativamente rappresentati gli effetti della rigidezza della struttura di fondazione e della rigidezza del terreno di appoggio sulla distribuzione della pressione di contatto per fondazioni soggette ad un carico uniforme.

Se la fondazione è priva di rigidezza, ovvero non resistente a flessione, la distribuzione delle pressioni di contatto è necessariamente eguale alla distribuzione del carico applica-to, e la sua deformata si adatta ai cedimenti del terreno. Se il terreno di appoggio ha egua-le rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), il cedimento è massimo in mezze-ria e minimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso l’alto. Se invece il terreno di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), il cedimen-to è minimo in mezzeria e massimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso il basso (Figura 6.1a). Lo schema di fondazione priva di rigidezza si applica, ad esempio, alle fondazioni dei rilevati.

a) fondazioni

flessibili

b) fondazioni

rigide

c) fondazioni

semi-rigide

schema

su argilla

su sabbia

p

p p

p

p

p

p

p

p

p

p

min

m in

min

min

max

max

min

minmax

min

W

qq

q q

WW

W

W

WWW

max

max

max

max

max

W

q

q

q

W

Figura 6.1: Pressioni di contatto e cedimenti per fondazioni superficiali su terreno omogeneo soggette a carico verticale uniforme

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

2

Se la fondazione ha rigidezza infinita, ovvero è indeformabile e di infinita resistenza a flessione, per effetto di un carico a risultante verticale centrata, subisce una traslazione verticale rigida (cedimenti uniformi). La distribuzione delle pressioni di contatto è sim-metrica per equilibrio e dipende dalla rigidezza del terreno di appoggio. Se il terreno di appoggio ha eguale rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), le pressioni di contatto sono massime al bordo e minime in mezzeria. Viceversa se terreno di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), le pressioni di contatto sono massime al centro e minime al bordo (Figura 6.1b). Lo schema di fondazione infini-tamente rigida si applica, ad esempio, a plinti in calcestruzzo, alti e poco armati.

Se la fondazione ha rigidezza finita, il suo comportamento è intermedio fra i due soprade-scritti, ovvero ha una deformata curvilinea ma meno pronunciata di quella della fondazio-ne priva di rigidezza, con concavità verso l’alto o verso il basso a seconda del tipo di ter-reno di appoggio (Figura 6.1c). Lo schema di fondazione di rigidezza finita si applica, ad esempio, alle platee di fondazione.

Se il carico proveniente dalla struttura in elevazione (e applicato all’estradosso della strut-tura di fondazione) non è uniforme ma ha comunque risultante verticale centrata, la di-stribuzione delle pressioni di contatto è:

- per fondazioni flessibili, eguale alla distribuzione del carico applicato,

- per fondazioni di rigidezza infinita, eguale alla distribuzione per carico uniforme di pari risultante,

- per fondazioni di rigidezza finita, intermedia ai due casi precedenti1.

6.2 Diffusione delle tensioni nel terreno La realizzazione di un’opera di ingegneria geotecnica produce un’alterazione dello stato di tensione naturale nel terreno, e quindi deformazioni e cedimenti.

Per stimare i cedimenti è necessario conoscere: a) lo stato tensionale iniziale nel sottosuo-lo, b) l’incremento delle tensioni prodotto dalla realizzazione dell’opera, e c) la relazione fra incrementi di tensione e incrementi di deformazione (legge costitutiva).

Lo stato tensionale iniziale nel sottosuolo corrisponde alle tensioni geostatiche, di cui ab-biamo discusso nel Capitolo 3 .

Per la stima, approssimata, dell’incremento delle tensioni verticali nel sottosuolo, da cui principalmente dipendono i cedimenti in superficie, si fa spesso riferimento al modello di semispazio omogeneo, isotropo, elastico lineare e senza peso che, pur avendo un compor-tamento per molti aspetti diverso da quello dei terreni reali, fornisce soluzioni sufficien-temente accurate ai fini progettuali.

In particolare, le principali differenze tra il modello del continuo elastico e i terreni reali, sono:

1. raramente i depositi di terreno reale sono costituiti da un unico strato di grande spes-sore, più spesso sono stratificati, e ogni strato ha differente rigidezza, e/o è presente

1 Ai soli fini del calcolo strutturale delle fondazioni, per la stima della distribuzione delle pressioni di con-tatto, si fa spesso riferimento al modello di Winkler, argomento che esula dal presente corso.

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

3

un substrato roccioso (bedrock) di rigidezza molto superiore a quella degli strati so-vrastanti2;

2. anche nel caso di terreno omogeneo, la rigidezza dei terreni reali non è costante ma cresce con la profondità3;

3. i terreni reali non sono isotropi. Il rapporto tra i moduli di deformazione in direzione verticale ed orizzontale, Ev/Eh, è di norma maggiore di uno per terreni normalmente consolidati e debolmente sovraconsolidati, mentre è minore di uno per terreni forte-mente sovraconsolidati;

4. l’ipotesi di elasticità lineare può essere accolta solo per argille sovraconsolidate e sab-bie addensate limitatamente a valori molto bassi di tensione, ma non è accettabile per tutti gli altri casi4.

La non corrispondenza fra le ipotesi del modello e la realtà fisica, porta a risultati gene-ralmente inaccettabili in termini di deformazioni calcolate, ma accettabili limitatamente alla stima delle tensioni verticali. Pertanto, con una procedura teoricamente non corretta ma praticamente efficace e molto comune in ingegneria geotecnica, si utilizzano modelli diversi (leggi costitutive diverse) per risolvere aspetti diversi dello stesso problema. Ad esempio, per una stessa fondazione superficiale, si utilizza il modello rigido-perfettamente plastico per il calcolo della capacità portante, il modello continuo elastico lineare per la stima delle tensioni verticali indotte in condizioni di esercizio, il modello edometrico per il calcolo dei cedimenti e del decorso dei cedimenti nel tempo, il modello di Winkler per il calcolo delle sollecitazioni nella struttura di fondazione, etc...

Il matematico francese Boussinesq, nel 1885, fornì la soluzione analitica del problema capostipite di tutte le successive soluzioni elastiche: tensioni e deformazioni indotte da una forza applicata ortogonalmente sulla superficie di un semispazio ideale, continuo, omogeneo, isotropo, elastico lineare e privo di peso.

Con riferimento allo schema di Figura 6.2 le tensioni indotte in un generico punto di tale semispazio, valgono (in coordinate cilindriche)5:

2 Esistono soluzioni elastiche che considerano il terreno stratificato e/o il bedrock. La presenza di un be-drock porta a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo. 3 Esistono soluzioni elastiche che considerano il modulo di Young linearmente crescente con la profondità. Tali soluzioni portano a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo. 4 Per carichi concentrati l’ipotesi di elasticità lineare conduce a valori infiniti della tensione in corrispon-denza del carico. Non esiste un materiale reale capace di resistere a tensioni infinite. (E d’altra parte anche i carichi concentrati sono solo un’astrazione matematica). 5 Con riferimento ad un caso reale, quindi ad un terreno dotato di peso, le tensioni ottenute dalla soluzione di Boussinesq (e per i casi di seguito considerati) vanno sommate alle tensioni geostatiche preesistenti.

6.2.1 Tensioni indotte da un carico verticale concentrato in superficie (problema di Boussinesq)

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

4

dove R2 = r2+z2

Si osservi che l’Eq. 6.1, che permette di calcolare la tensione verticale indotta, non contiene il coefficiente di Poisson, ν.

La distribuzione delle tensioni verticali su un piano orizzontale alla profondità z dal p.c. è una superficie di rivoluzione avente forma di una campana, simile alla curva gaussiana, il cui volume è pari al carico applicato in superficie. Al crescere di z la campana è sempre più estesa e schiacciata. A profondità z=0, la cam-pana degenera in una tensione infinita su un’area infinitesima, ovvero nel carico applicato P. A titolo di esempio in Figura 6.3 sono rappresentate le distribuzioni di tensione vertica-le indotte da un carico concentrato P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m.

La distribuzione delle tensioni verticali al variare della profondità z per un assegnato va-lore della distanza orizzontale r dall’asse di applicazione della forza P, è indicata in Figu-ra 6.4. Per r=0, ovvero in corrispondenza del carico applicato, la tensione a profondità z=0 è infinita per poi decrescere monotonicamente al crescere di z. Per r>0, la pressione verticale vale 0 alla profondità z=0, poi cresce con z fino ad un valore massimo per poi decrescere tendendo al valore zero. A titolo di esempio in Figura 6.4 sono rappresentate le distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P = 100kN alle distan-ze r = 0m, 2m e 5m.

Poiché per l’ipotesi di elasticità lineare è valido il principio di sovrapposizione degli effet-ti, la soluzione di Boussinesq è stata integrata per ottenere le soluzioni elastiche relative a differenti condizioni di carico applicato in superficie.

Le più frequentemente usate nella pratica professionale sono le seguenti.

Con riferimento allo schema di Figura 6.5, le tensioni indotte da un carico verticale distri-buito su una linea retta in superficie sono fornite dalle equazioni (6.5), (6.6), (6.7) e (6.8) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della linea di carico):

5

3

z Rz

2P3

⋅π⋅

⋅=σ Eq. (6.1)

( )( ) ⎥

⎤⎢⎣

⎡+

⋅ν⋅−+

⋅⋅−⋅

⋅π⋅−=σ

zRR21

Rzr3

R2P

3

2

2r Eq.(6.2)

( )( )⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡+

−⋅⋅π⋅

⋅ν⋅−−=σθ zR

RRz

R2P21

2 Eq. (6.3)

5

2

rz Rrz

2P3 ⋅

⋅π⋅

⋅=τ Eq. (6.4)

6.2.2 Tensioni indotte da un carico verticale distribuito su una linea retta in superficie

r

P

R

r

θ

z

z

σ

σ

ψ

σFigura 6.2: Carico concentrato, problema di Boussinesq

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

5

0

4

8

12

-10 -5 0 5 10

r (m)

σz (

kPa)

Z = 2m

Z = 5m

Z = 10m

0

5

10

15

20

0 1 2 3 4 5σz (kPa)

z (m

)

r = 0mr = 2mr = 5m

Figura 6.3 - Distribuzioni di tensione verticale indotte in un semispazio alla Boussinesq da un carico P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m

Figura 6.4 - Distribuzioni di tensione vertica-le indotte in un semispazio alla Boussinesq da un carico P = 100kN alle distanze r = 0m, 2m e 5m

dove P’ è il carico per unità di lunghezza, e

R2 = x2+z2. 6

6 Si osservi come le tensioni, per evidenti ragioni di simmetria, siano indipendenti da y.

x

x

z

z

R

x

y

z

σ

σ

σ

P’

Figura 6.5 - Carico distribuito su una linea retta

4

3

z Rz'P2

⋅π⋅

=σ (Eq. 6.5)

4

2

x Rxz'P2 ⋅

⋅π⋅

=σ (Eq. 6.6)

2y Rz'P2

⋅ν⋅π⋅

=σ (Eq. 6.7)

4

2

xy Rzx'P2 ⋅

⋅π⋅

=τ (Eq. 6.8)

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

6

Con riferimento allo schema di Figura 6.6, le tensioni indotte da una pressione verticale uniforme su una striscia indefinita sono fornite dalle equazioni (6.9), (6.10), (6.11) e (6.12) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della striscia di carico).

( )[ ]β⋅+α⋅α+α⋅π

=σ 2cossenqz (Eq. 6.9)

( )[ ]β⋅+α⋅α−α⋅π

=σ 2cossenqx (Eq. 6.10)

α⋅ν⋅π⋅

=σq2

y (Eq. 6.11)

( )β⋅+α⋅α⋅π

=τ 2sensenqxy (Eq. 6.12)

dove q è il carico per unità di superficie, α e β sono espressi in radianti, β è negativo per punti sotto l’area caricata.

Con riferimento allo schema di Figura 6.7, le tensioni indotte da una pressione verticale triangolare su una striscia indefinita sono fornite dalle equazioni (6.13), (6.14) e (6.15) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della striscia di carico):

6.2.3 Tensioni indotte da una pressione verticale uniforme su una striscia indefinita

q

x

x

y

z

σ

σ

α

β

σ

B

z

Figura 6.6: Pressione uniforme su stri-scia indefinita

6.2.4 Tensioni indotte da una pressione verticale triangolare una striscia indefinita

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ β⋅−α⋅⋅

π=σ 2sen

21

Bxq

z (Eq. 6.13)

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡β⋅+⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅−α⋅⋅

π=σ 2sen

21

RRln

Bz

Bxq

22

21

x (Eq. 6.14)

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ α⋅⋅−β+⋅

π⋅=τ

Bz22cos1

2q

xz (Eq. 6.15)

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

7

2a'

2a x

z

q

Figura 6.8 - Pressione trapezia su striscia indefinita

dove q è il valore massimo del carico per unità di superficie, α e β sono espressi in ra-dianti, β è negativo per punti sotto l’area caricata.

q

x

x

y

z

σ

α

β

σ

R

R

2

1

B

Figura 6.7 - Pressione triangolare su striscia indefinita

Il caso della pressione verticale trapezia, di uso molto frequente poiché corrisponde al carico trasmesso da rilevati stradali, può essere risolto per sovrapposizione di effetti utilizzando le equazioni delle strisce di carico rettangolare e triangolare.

6.2.5 Tensione verticale indotta da una pressione verticale trapezia su una striscia in-definita

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

8

Se interessa conoscere la tensione verticale in asse al rilevato, con riferimento allo sche-ma ed ai simboli di Figura 6.8, può essere utilizzata, più semplicemente, la seguente e-quazione:

( ) ( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛⋅−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅

π⋅−⋅

=σ = z'aarctan'a

zaarctana

'aaq2

0xz Eq. (6.16)

Con riferimento allo schema di carico di Figura 6.9, le tensioni verticali indotte in asse all’area caricata possono essere calcolate con la seguente equazione:

( )

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+

−⋅== 320rz

zR1

11qσ (Eq. 6.17)

mentre per la stima il delle tensioni indotte in corrispondenza di altre verticali si può fare riferimento alla Tabella 6.1 ed alle curve rappresentate in Figura 6.10.

Osservando la Figura 6.10 si può notare che alla profondità z = 0 in corrispondenza delle verticali interne all’area caricata (r < R)la pressione di contatto è pari alla pressione q agente sull’area cir-colare (fondazione flessibile), in corrispondenza delle verticali e-

6.2.6 Tensione verticale indotta da una pressione uniforme su una superficie circolare

2R

q

z

r

Figura 6.9 - Pressione uniforme su area circolare

0

1

2

3

4

5

0 0,25 0,5 0,75 1

σz/q

z/R

r/R=0

r/R=0,5

r/R=1

r/R=2

Figura 6.10 - Variazione della tensione verticale indotta da una pressione su area circolare per differenti verticali

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

9

sterne (r > R) la pressione di contatto è zero, e che in corrispondenza delle verticali sul bordo (r = R) la pressione di contatto è pari alla metà della pressione q.

La soluzione relativa al caso di un’area rettangolare uniformemente caricata è molto im-portante, non solo perché molte fondazioni hanno forma rettangolare, ma anche perché, sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti, permette di calcolare lo stato ten-sionale indotto da una pressione uniforme agente su un’area scomponibile in rettangoli.

Con riferimento allo schema di Figura 6.11, le tensioni indotte dal carico in un punto sulla verticale per uno spigolo O dell’area caricata, posto:

Tabella 6.1: Variazione della tensione verticale indotta da una pressione su area circolare per differenti verticali (dati relativi alla Figura 6.10)

( )( )( ) 5,0222

3

5,0222

5,0221

zBLR

zBR

zLR

++=

+=

+=

valgono:

6.2.7 Tensioni indotte da una pressione uniforme su una superficie rettangolare

r/R 0 0,5 1 2

z/R σz / q

0 1,000 1,000 0,500 0,000

0,1 0,999 0,995 0,481 0,000

0,2 0,992 0,977 0,464 0,001

0,3 0,976 0,941 0,447 0,003

0,4 0,948 0,894 0,430 0,006

0,5 0,910 0,840 0,412 0,010

0,6 0,863 0,780 0,395 0,016

0,7 0,811 0,718 0,378 0,022

0,8 0,758 0,664 0,362 0,028

0,9 0,700 0,612 0,346 0,035

1 0,646 0,565 0,329 0,041

1,2 0,546 0,480 0,298 0,052

1,4 0,461 0,408 0,268 0,061

1,6 0,390 0,351 0,241 0,067

1,8 0,332 0,303 0,217 0,071

2 0,284 0,262 0,195 0,073

2,2 0,245 0,228 0,176 0,073

2,4 0,213 0,201 0,158 0,073

2,6 0,186 0,178 0,142 0,071

2,8 0,164 0,158 0,131 0,069

3 0,146 0,141 0,119 0,067

4 0,086 0,082 0,077 0,052

5 0,057 0,054 0,052 0,041

q

x

z

y

L

B

B

x

y

z

σ

σ

σ

R

RR

1

23

x

z

Figura 6.11- Pressione uniforme su un’area rettangolare

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

10

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⋅

⋅⋅+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅

⋅π⋅

=σ 22

2133

z R1

R1

RzBL

RzBLarctan

2q Eq. (6.18)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⋅⋅⋅

−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅

⋅π⋅

=σ3

213

x RRzBL

RzBLarctan

2q Eq. (6.19)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⋅⋅⋅

−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅

⋅π⋅

=σ3

223

y RRzBL

RzBLarctan

2q Eq. (6.20)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⋅

−⋅π⋅

=τ3

21

2

2zx RR

zBRB

2q Eq. (6.21)

Volendo conoscere lo stato tensionale in un punto del semispazio alla profondità z, sulla verticale di un punto M non coincidente con lo spigolo O del rettangolo, si procede per sovrapposizione di effetti di aree di carico rettangolari, nel modo seguente (Figura 6.12):

a) M interno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma delle tensioni indotte in M dalle 4 aree (1), (2), (3) e (4), ciascuna con vertice in M:

)M'CC'D(zM)M'DD'B(zM)M'BB'A(zM)'MC'AA(zM)ABCD(zM σσσσσ +++= Eq. (6.22)

b) M esterno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma algebrica delle tensioni indotte da rettangoli opportunamente scelti, sempre con vertice in M:

)''MD'DD(zM)'MC'CD(zM)''MD'BB(zM)'MC'AB(zM)ABCD(zM σ+σ−σ−σ=σ Eq. (6.23)

Può essere talvolta utile valutare anche i cedimenti elastici. L’equazione per il calcolo del cedimento in corrispondenza dello spigolo O dell’area flessibile di carico uniforme q, di forma rettangolare BxL su un semispazio continuo, elastico lineare, omogeneo e isotropo, avente modulo di Young E, e coefficiente di Poisson ν, è la seguente:

C D

A

M

B A

M

B B'

C D D'

C' D''

1

3 4

2

caso a) caso b)

Figura 6.12 - Esempi di sovrapposizione di aree di carico rettangolari

A’

D’

C’ B’

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Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

6 -

11

posto ξ = L/B

( ) ( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎟⎟

⎜⎜

ξξ++

⋅ξ+ξ++ξ⋅ν−

⋅π⋅

=2

22 11

ln1lnE

1Bqw Eq. (6.24)

L’Eq. 6.24 permette di calcolare il cedimento elastico in qualunque punto della superficie, per sovrapposizione degli effetti, con procedura analoga a quella sopra descritta per il cal-colo delle tensioni verticali.

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

1

CAPITOLO 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

La risultante delle deformazioni verticali che si manifestano in un terreno è comunemente indicata con il termine cedimento e di tale grandezza, nella pratica ingegneristica, interes-sa di solito conoscere sia l’entità sia l’evoluzione nel tempo.

I principali meccanismi che contribuiscono allo sviluppo dei cedimenti sono:

− compressione e inflessione delle particelle di terreno per incremento delle tensioni di contatto (tale fenomeno produce deformazioni in gran parte reversibili, ovvero elasti-che);

− scorrimento relativo dei grani indotto dalle forze di taglio intergranulari (tale fenome-no produce deformazioni in gran parte irreversibili, ovvero plastiche);

− frantumazione dei grani in presenza di elevati livelli tensionali (le conseguenti defor-mazioni sono irreversibili);

− variazione della distanza tra le particelle dei minerali argillosi, dovuta a fenomeni di interazione elettrochimica (le conseguenti deformazioni sono in parte reversibili e in parte irreversibili in relazione alle caratteristiche del legame di interazione);

− compressione e deformazione dello strato di acqua adsorbita (le conseguenti deforma-zioni sono in gran parte reversibili, ovvero elastiche);

In definitiva, le deformazioni (e quindi i cedimenti) conseguono direttamente alla:

1. compressione delle particelle solide (incluso lo strato di acqua adsorbita);

2. compressione dell’aria e/o dell’acqua all’interno dei vuoti;

3. espulsione dell’aria e/o dell’acqua dai vuoti.

Per i valori di pressione che interessano nella maggior parte dei casi pratici, la deformabi-lità delle particelle solide è trascurabile. Inoltre, se il terreno è saturo, come spesso accade per i terreni a grana fine, anche la compressibilità del fluido interstiziale (acqua e/o mi-scela aria-acqua) può essere trascurata, essendo trascurabile la quantità di aria presente e l’acqua praticamente incompressibile. Pertanto, il cedimento nei terreni è dovuto preva-lentemente al terzo termine ed in particolare all’espulsione dell’acqua dai vuoti1.

Via via che l’acqua viene espulsa dai pori, le particelle di terreno si assestano in una con-figurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume.

Il processo di espulsione dell’acqua dai vuoti è un fenomeno dipendente dal tempo (ovve-ro dal coefficiente di permeabilità del terreno), l’entità della variazione di volume è legata alla rigidezza dello scheletro solido. 1 I cedimenti possono essere anche dovuti a costipamento, ovvero all’espulsione di aria da un terreno non saturo come conseguenza dell’applicazione di energia di costipamento (vedi capitolo 2), a deformazioni di taglio a volume costante, che si verificano nei terreni saturi e poco permeabili in condizioni non drenate all’atto stesso di applicazione dell’incremento delle tensioni, o a deformazioni volumetriche a pressione ef-ficace costante, ovvero a creep (viscosità).

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

2

Si distinguono quindi i due concetti di compressibilità e consolidazione.

Compressibilità è la risposta in termini di variazione di volume di un terreno sottoposto ad un incremento dello stato tensionale (efficace, in base al principio delle pressioni effi-caci). È necessario studiare la compressibilità di un terreno per stimare le deformazioni volumetriche ed i conseguenti cedimenti.

Consolidazione è la legge di variazione di volume del terreno nel tempo. È necessario studiare la consolidazione per stimare il decorso delle deformazioni volumetriche e dei conseguenti cedimenti, nel tempo.

Sebbene in linea di principio si possano applicare i concetti di compressibilità e di conso-lidazione sia a terreni granulari che a terreni a grana fine, in pratica interessano soprattutto questi ultimi, e particolarmente le argille, perché di norma responsabili di cedimenti mag-giori e di tempi di consolidazione molto più lunghi.

7.1 Compressibilità edometrica

La compressibilità di un terreno viene spesso valutata in condizioni di carico assiale uni-formemente distribuito e di assenza di deformazioni laterali; tali condizioni sono dette “e-dometriche” (dal nome della prova utilizzata per riprodurle, che verrà descritta nel segui-to).

Le condizioni edometriche si realizzano ad esempio nel caso della formazione di un depo-sito di terreno per sedimentazione lacustre (v. anche Capitolo 3 – Tensioni geostatiche), il cui schema è riportato nella Figura 7.1a. Il terreno è immerso e quindi è saturo (tutti i vuoti sono pieni d’acqua); inoltre, essendo il deposito infinitamente esteso in direzione orizzontale, per simmetria non sono possibili deformazioni orizzontali.

In corrispondenza di un generico punto P (Figura 7.1a), la pressione efficace verticale (ed anche quella orizzontale) cresce gradualmente via via che avviene la sedimentazione e che il punto considerato, viene a trovarsi a profondità maggiori.

P

e

c σ’ (log)v σ’

(A)

A

BC

DE

a) b)

(B)(C)

(E)(D)

Figura 7.1 - Sedimentazione in ambiente lacustre con più cicli di carico e scarico (a) e variazione dell’indice dei vuoti con la pressione verticale efficace (b): A→B: compressione vergine, B→C: decompressione, C→B: ricompressione, B→D: compressione vergine, D→E: decompressione.

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

3

Per effetto dell’incremento di tensioni efficaci, il terreno subisce deformazioni volumetri-che, εV, le quali, non essendo possibili deformazioni orizzontali, sono eguali alle defor-mazioni verticali (assiali), εa, ovvero:

a00

v HH

VV

ε=∆

=∆

=ε (Eq. 7.1)

essendo V0 e H0 il volume e l’altezza iniziale di un elemento di volume nell’intorno del punto P considerato, ∆V e ∆H le relative variazioni di volume e di altezza.

In Ingegneria Geotecnica, per tradizione, si fa più spesso riferimento alle variazioni di in-dice dei vuoti piuttosto che alle variazioni di volume.

Dalla definizione di deformazione volumetrica e ricordando la definizione di indice dei

vuoti (s

v

VV

e = ), si desume comunque la relazione:

000 HH

e1e

VV ∆

=+∆

=∆

(Eq. 7.2)

avendo indicato con e0 l’indice dei vuoti iniziale dell’elemento di terreno considerato.

Rappresentando in un diagramma l’indice dei vuoti del terreno in funzione della pressione verticale efficace, riportata in scala logaritmica, nel caso in cui il deposito sia soggetto a più cicli di carico e scarico, ad esempio sedimentazione (A-B), seguita da erosione (B-C), di nuovo sedimentazione (C-D), fino a superare lo strato eroso, poi di nuovo erosione (D-E), si ottiene l’andamento qualitativo rappresentato nel grafico di Figura 7.1b.

In particolare, trascurando il piccolo ciclo di isteresi formato dai tratti BC (scarico) e CB (ricarico), si può osservare che:

- nelle fasi di primo carico (compressione vergine, tratti AB e BD) il comportamento de-formativo del terreno è elasto-plastico, poiché nella successiva fase di scarico solo una parte delle variazioni di indice dei vuoti (e quindi delle deformazioni) viene recupera-ta;

- i tratti di primo carico appartengono alla stessa retta;

- nelle fasi di scarico e ricarico (tratti BC, CB e DE) il comportamento deformativo è e-lastico ma non elastico-lineare (il grafico di Figura 7.1b è in scala semilogaritmica);

- sia in fase di carico vergine che in fase di scarico e ricarico, essendo la relazione e-σ’v rappresentata da una retta in scala semilogaritmica, per ottenere un assegnato decre-mento dell’indice dei vuoti, ∆e, occorre applicare un incremento di tensione verticale efficace ∆σ’v tanto maggiore quanto più alto è il valore di tensione iniziale, ovvero la rigidezza del terreno cresce progressivamente con la tensione applicata.

La massima pressione verticale efficace sopportata dall’elemento di terreno considerato è detta pressione di consolidazione (o di preconsolidazione), σ’p (ad esempio, nel caso di Figura 7.1 la pressione di consolidazione è rappresentata dall’ascissa del punto D del gra-fico. Quando l’elemento di terreno si trova in un punto appartenente alla retta ABD, è soggetto ad una pressione verticale efficace che non ha mai subito nel corso della sua sto-

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

4

ria precedente, ovvero è soggetto alla pressione di consolidazione; nei tratti BC e DE in-vece è soggetto ad una pressione verticale efficace minore di quella di consolidazione.

Un terreno il cui punto rappresentativo si trova sulla curva edometrica di carico vergine (ABD) si dice normalmente consolidato (o normalconsolidato) (NC), mentre un terreno il cui punto rappresentativo si trova su una delle curve edometriche di scarico-ricarico (BC, CB, DE) si dice sovraconsolidato (OC).

Il rapporto tra la pressione di consolidazione, σ’p, e la pressione verticale efficace agente, σ’vo, è detto, come già anticipato nel Capitolo 3, grado di sovraconsolidazione:

ʹvo

ʹpOCR

σ

σ= .

In conclusione, si può affermare che in condizioni edometriche (e non solo, come vedre-mo più avanti) il comportamento del terreno segue, con buona approssimazione, un mo-dello elastico non lineare – plastico ad incrudimento positivo (vedi Capitolo 5).

La pressione di consolidazione rappresenta la soglia elastica (o di snervamento) del mate-riale. Per valori di tensione inferiori alla pressione di consolidazione (terreno OC) il com-portamento è elastico non lineare. Se un terreno NC viene compresso la pressione di con-solidazione, ovvero la soglia elastica aumenta di valore (incrudimento positivo).

La compressibilità dei terreni viene studiata in laboratorio mediante la “prova edometri-ca”, i cui risultati sono comunemente utilizzati per calcolare le deformazioni (e i cedimen-ti) conseguenti all’applicazione di carichi verticali in terreni a grana fine, come verrà illu-strato più in dettaglio nei paragrafi seguenti e nel Capitolo 16 (cedimenti di fondazioni superficiali).

7.2 Determinazione sperimentale della compressibilità edometrica

Per studiare in laboratorio la compressibilità (e, come vedremo in seguito anche la conso-lidazione) nelle condizioni di carico verticale infinitamente esteso, strati orizzontali, fil-trazione e deformazioni solo verticali (quali quelle presenti ad esempio durante il proces-so di formazione di un deposito per sedimentazione), viene impiegata una prova di com-pressione a espansione laterale impedita, detta prova edometrica.

La prova viene di norma eseguita su provini di terreno a grana fine (argille e limi) indi-sturbati (ovvero ricavati in modo da alterare il meno possibile la struttura naturale del ter-reno in sito. Vedi anche Capitolo 12).

I provini, di forma cilindrica e rapporto diametro/altezza (D/H0) compreso tra 2,5 e 4 (molto spesso D = 6cm, H0 = 2cm), durante la prova sono lateralmente confinati da un a-nello metallico, di rigidezza tale da potersi considerare indeformabile. L’assenza di de-formazioni radiali (che nello schema di formazione di un deposito descritto precedente-mente consegue alle condizioni di estensione infinita e stratificazione orizzontale) è ga-rantita dal vincolo meccanico costituito dall’anello. La forma schiacciata del provino è motivata dalle necessità di ridurre al minimo le tensioni tangenziali indesiderate di attrito e di aderenza con la parete dell’anello (che a tal fine viene lubrificata), e di contenere i tempi di consolidazione. Sulle basi inferiore e superiore del provino vengono disposti un disco di carta da filtro e uno di pietra porosa, per favorire il drenaggio. L'insieme provino-

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

5

anello rigido-pietre porose è posto in un contenitore (cella edometrica) pieno d'acqua, in modo da garantire la totale saturazione del provino durante la prova (Figura 7.2).

Le modalità standard di esecuzione della prova prevedono l’applicazione del carico verti-cale N per successivi incrementi, ciascuno dei quali è mantenuto il tempo necessario per consentire l’esaurirsi del cedimento di consolidazione primaria2 (in genere 24h).

Quindi, diversamente dallo schema di formazione del deposito per sedimentazione, carat-terizzato da un incremento graduale e continuo della pressione verticale (totale ed effica-ce), nella prova edometrica standard la tensione verticale totale è applicata per gradini, con discontinuità. Durante la permanenza di ciascun gradino di carico, viene misurata la variazione di altezza del provino, ∆H, nel tempo (tale informazione consente di studiare l’evoluzione nel tempo dei cedimenti, ovvero il processo di consolidazione, come verrà illustrato nel Paragrafo 7.7). Noto il valore di ∆H è possibile calcolare le deformazioni as-

siali (e volumetriche), 0

a HH∆

=ε , e le variazioni di indice dei vuoti (Eq. 7.2),

( )00

e1H

He +⋅∆

=∆ .

I valori della deformazione assiale e/o dell’indice dei vuoti corrispondenti al termine del processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico3 (o più spesso, per co-modità ma commettendo un errore, corrispondenti al termine delle 24h di permanenza del carico di ogni gradino), vengono diagrammati in funzione della corrispondente pressione

verticale media efficace, 2'v D

N4AN

⋅π⋅

==σ . Collegando fra loro i punti sperimentali si di-

segnano le curve di compressibilità edometrica.

N

0H

CapitelloAnello edometrico

Pietre porose

Cella edometrica

D

Figura 7.2– Cella edometrica

2 La consolidazione primaria è distinta dalla consolidazione secondaria dovuta a fenomeni viscosi (Par. 7.9). 3 Le altezze del provino corrispondenti all’inizio e alla fine del processo di consolidazione primaria, per cia-scun gradino di carico, si determinano mediante opportune procedure descritte nei Paragrafi 7.7.1 e 7.7.2.

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

6

Nel grafico in scala semilogaritmica della Figura 7.3, è rappresen-tato l’andamento del-l’indice dei vuoti (asse delle ordinate a sini-stra) e della deforma-zione assiale (asse delle ordinate a destra) in funzione della pressio-ne verticale media effi-cace, ottenuto speri-mentalmente da una prova edometrica stan-dard condotta su un provino “indisturbato” di argilla4 (le due curve sono omologhe, in quanto le variabili εa e ∆e sono proporzionali).

Nel grafico si individuano tre tratti per la fase di carico:

− un tratto iniziale a debole pendenza (punti 1-2)

− un tratto intermedio a pendenza crescente (punti 2-5)

− un tratto finale a pendenza maggiore e quasi costante (punti 5-8).

La curva di scarico (punti 9-11) ha pendenza minore e quasi costante.

Il grafico può essere interpretato, alla luce di quanto detto al paragrafo precedente, tenen-do conto della storia tensionale e deformativa subita dal provino di terreno. Il provino, quando si trovava in sito, era soggetto alla pressione litostatica. Durante il campionamen-to, l’estrazione, il trasporto, l’estrusione dal campionatore, ha subito una serie di disturbi (inevitabili) ed una decompressione fino a pressione atmosferica in condizioni di espan-sione libera5. A causa della decompressione il provino si è espanso e, a parità di contenuto in acqua, è diminuito il grado di saturazione e si sono generate pressioni interstiziali nega-tive (vedi Capitolo 9). Poi è stato fustellato con l’anello metallico della prova edometrica6 e inserito nella cella riempita d’acqua, dove assorbendo acqua in condizioni di espansione laterale impedita ha in parte rigonfiato. Infine è iniziata la fase di carico. Il tratto iniziale della curva di Figura 7.3 (punti 1-2) corrisponde perciò ad un ricompressione in condizio-

4 Si osservi che i punti sperimentali hanno passo costante in ascissa. Essendo la scala delle ascisse logarit-mica, ciò significa che gli incrementi di carico sono applicati con progressione geometrica. Nella fase di scarico il numero di punti sperimentali è minore (in genere la metà). Il primo gradino di carico è general-mente pari a 25 kPa, l’ultimo gradino deve essere tale da superare abbondantemente la pressione di precon-solidazione (6÷8 σ’c) 5 Poiché il disturbo da campionamento è inevitabile, specie per i terreni normalmente consolidati, nessuna

prova di laboratorio può riprodurre esattamente le condizioni in sito.

6 Per ridurre il disturbo prodotto dal fustellamento l’anello ha un bordo tagliente con parete interna verticale (vedi Figura 7.2).

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.01 0.1 1 10

Tensione efficace verticale, σ'v (Mpa)

indi

ce d

ei v

uoti,

e

1 2 34

5

6

7

89

10

11

Figura 7.3 – Esempio di risultati di prova edometrica

(log) [MPa]

0

5

10

15

20

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

7

ni edometriche che tuttavia segue ad uno scarico (non rappresentato nel grafico) non e-dometrico. Perciò il primo tratto non è rettilineo, e comunque non ha pendenza eguale a quella del ramo di scarico.

Il secondo tratto della curva (punti 2-5) è marcatamente curvilineo e comprende il valore della pressione di consolidazione in sito, la cui determinazione sperimentale viene di norma eseguita con la costruzione grafica di Casagrande, descritta nel seguito.

Il terzo tratto della curva di carico (punti 5-8) corrisponde ad una compressione edometri-ca vergine o di primo carico.

Il grafico di Figura 7.3 viene utilizzato per stimare i parametri di compressibilità.

A tal fine, la curva sperimentale di compressione edometrica e-σ’v, in scala semilogarit-mica (Figura 7.3), viene approssimata, per le applicazioni pratiche, con tratti rettilinei a differente pendenza7 (Figura 7.4); il tratto di ginocchio a pendenza crescente è sostituito

con un punto angolare (punto A), corrispondente alla pressione di con-solidazione, σ’p. La pendenza del tratto iniziale è detta indice di ri-compressione, Cr, e non è molto si-gnificativo per i motivi sopradetti. La pendenza del tratto successivo al ginocchio, ovvero alla pressione di consolidazione, è detta indice di compressione, Cc. La pendenza nel tratto di scarico tensionale è detta indice di rigonfiamento, Cs

8.

Valori tipici di Cc sono compresi tra 0,1 e 0,8; Cs è dell’ordine di 1/5÷1/10 del valore di Cc. Per una stima approssimata dell’indice di compressione per argille N.C. si può ricorrere alla seguente relazione:

Per determinare la pressione di preconsolidazione sono state proposte varie procedure, tra cui la più comunemente utilizzata è quella di Casagrande, che prevede i seguenti passi (Figura 7.5):

1. si determina il punto di massima curvatura (M) del grafico semilogaritmico e - σ'v

2. si tracciano per M la retta tangente alla curva (t), la retta orizzontale (o), e la retta bi-settrice (b) dell'angolo formato da t ed o

7 Le pendenze nei diversi tratti sono date dal rapporto adimensionale

'v10log

eσ∆

∆ .

8 Sarebbe buona norma fare eseguire in laboratorio un intero ciclo di scarico-ricarico e determinare l’indice di rigonfiamento come pendenza dell’asse del ciclo di isteresi.

Cc = 0,009 (wL – 10) (Eq. 7.3)

e

σ'v (log)σ 'c

1

1

1

ACr

Cs

Cc

Figura 7.4 - Schematizzazione della curva di com-pressione edometrica

σ’p

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

8

3. l'intersezione di b con la ret-ta corrispondente al tratto ter-minale della curva di primo ca-rico individua la pressione di preconsolidazione.

Considerate le difficoltà spesso esistenti nell'individuare il pun-to di massima curvatura, è utile confrontare sempre il valore di σ'p ottenuto, con i suoi possibili limiti inferiore e superiore:

− il primo è rappresentato dall’ascissa del punto di intersezione tra la retta di ricompressione e quella di compressione vergine (punto S);

− il secondo dall’ascissa del punto R a partire dal quale la relazione e-logσ' diventa una retta.

Confrontando il valore della σ’p, determinato sperimentalmente, con la tensione verticale efficace σ’v0 (calcolata) esistente in sito alla quota di prelievo del campione, si determina il grado di sovraconsolidazione OCR

La qualità del campione costituisce il requisito più importante per una affidabile determi-nazione delle pendenze e della σ’p. del deposito in esame (nel punto di prelievo del campione).

Il disturbo tende infatti a di-struggere in parte o in tutto la struttura del terreno e le in-formazioni in essa contenute (in particolare la memoria dello stato tensionale), ren-dendo meno pronunciato il passaggio dal tratto di ricom-pressione a quello di com-pressione, e alterando le pen-denze rispetto alla curva in sito. Per migliorare l’interpretazione della prova si può ricorrere alle costru-zioni di Schmertmann (1955).In Figura 7.6 sono mostrate le curve di compres-

σ’ (log)v

σ’p

σ’σ’

e

tb

o

p,min p,max

M

R

S

Figura 7.5 – Determinazione della pressione di preconsoli-dazione σ’c con il metodo di Casagrande

Indi

ce d

ei v

uoti,

e

log ’σ

Curva di compressione“in sito”

Provino indisturbato

e

0.4 e

σ σ’ (= ’ )

Provino disturbato

Provino ricostituito

0

0

v0 c

Figura 7.6 – Effetto del disturbo sulla curva di compressibilità edometrica

σ’v0 (= σ’p)

B

v

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

9

sione edometrica di tre provini della stessa argilla con differente grado di disturbo e la curva di compressione in sito.

È stato osservato che, indipendentemente dal grado di disturbo le tre curve convergono in un punto che corrisponde ad un indice dei vuoti pari al 40% del valore iniziale. È pertanto ragionevole assumere che anche la curva che si riferisce alle condizioni in sito passi da quel punto. Schmertmann (1955) ha proposto di definire la curva di compressione in sito nel modo seguente:

per terreno NC (Figura 7.7):

1. si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, (in base al contenuto naturale in acqua, wn, ed al peso specifico dei costituenti solidi, γs,) e si prolunga la curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del valore naturale (punto B);

2. si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del campione, σ’v0, che per terreno NC coincide con la pressione di consolidazione, σ’p;

3. si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0);

4. si traccia la retta AB che corrisponde alla migliore stima della curva di compressibili-tà in sito.

per terreno OC (Figura 7.8):

1. si esegue un programma di carico della prova edometrica comprendente un ciclo completo di scarico-ricarico a partire da una pressione superiore alla pressione di consolidazione (presunta)9, e si determina l’indice di rigonfiamento Cs come penden-za dell’asse del ciclo di isteresi, CD;

9 Se il terreno è fortemente sovraconsolidato e durante la prova edometrica non è superata la pressione di consolidazione, si ottiene una curva priva di tratti rettilinei che spesso viene male interpretata ed attribuita a disturbo o a errore di sperimentazione.

Indi

ce d

ei v

uoti,

e

A

B

log ’σ

Curvasperimentale

Curva in sito“corretta”

e

0.4 e

0

0

σ σ’ (= ’ )v0 c

Indi

ce d

ei v

uoti,

e

AE

D

log ’σ

Curvasperimentale(fase di ricarico)

Curva in sito“corretta”e

0.4 e

0

0

∆e

σ’ σ’ v0 c

C

B

Figura 7.7: Costruzione di Schmertmann per terreno NC

Figura 7.8: Costruzione di Schmertmann per terreno OC

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

10

2. si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, e si prolunga la curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del valore naturale (punto B);

3. si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del campione, σ’v0;

4. si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0);

5. si stima la pressione di consolidazione, σ’p, con il metodo di Casagrande;

6. si traccia dal punto A una retta di pendenza Cs fino al punto E avente ascissa σ’p (A-E);

7. si traccia la retta EB;

8. la spezzata AEB corrisponde alla migliore stima della curva di compressibilità in sito

I valori sperimentali della deformazione assiale, εa, e dell’indice dei vuoti, e, ottenuti al termine del processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico, possono essere rappresentati anche in grafici in scala naturale (e non semilogaritmica). Nella Figu-ra 7.9 sono rappresentati i punti e le curve corrispondenti alla prova di Figura 7.3 (ovvia-mente anche in questo caso le due curve sono omologhe). La rappresentazione in scala naturale rende ancor più evidente la non linearità e l’aumento di rigidezza al crescere del-la tensione applicata.

Dalla curva (σ’v – εa) di Figura 7.9 si definiscono i seguenti parametri di compressibilità che, a differenza di Cc e di Cs, sono dipendenti dal campo di tensione cui si riferiscono:

− il coefficiente di compressibilità di volume:

'v

avm

σ∆ε∆

= [F-1 L2] (Eq. 7.4)

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50

Tensione efficace verticale, σ'v (MPa)

Indi

ce d

ei v

uoti,

e [-

]

12 34

5

6

7

89

10

11

Figura 7.9: Risultati della prova di Figura 7.5 rappresentati in scala naturale

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

11

− e, il suo reciproco, il modulo edometrico:

a

'v

vm1M

ε∆σ∆

== [F L-2] (Eq. 7.5)

Dalla curva (σ’v – e) di Figura 7.9 si definisce:

− il coefficiente di compressibilità:

'v

veaσ∆∆

= [F-1 L2] (Eq. 7.6)

e valgono le relazioni:

M1

e1a

mo

vv =

+= (Eq. 7.7)

( ) 'v

c

0

Ce1

3,2M σ⋅+

⋅= (Eq. 7.8)

Valori orientativi di M, in funzione di Ic, per terreni coesivi sono riportati in Tabella 7.1.

Tabella 7.1 - Valori orientativi di M per terreni coesivi (nel campo dei valori di σ’v più frequenti per i problemi di ingegneria geotecnica)

Ic 0-0,5 0,5-0,75 0,75-1 > 1

M (MPa) 0,2-4 4-12 12-30 30-60

7.3 Calcolo del cedimento totale di consolidazione primaria

Utilizzando i parametri appena definiti e determinabili mediante la prova edometrica è possibile calcolare il cedimento di uno strato di terreno al quale è applicato un carico uni-formemente distribuito ∆σv, nel caso in cui possa ritenersi soddisfatta l’ipotesi di defor-mazione monodimensionale.

In pratica il comportamento dello strato viene assimilato a quello di un provino sottoposto ad una prova edometrica (Figura 7.10), assumendo che i parametri di compressibilità del-lo strato siano uguali a quelli determinati per il provino.

Ricordando che in condizioni edometriche:

oo e1e

HH

+∆

=∆ (Eq. 7.9)

Il cedimento ∆H sarà dato da :

ee1

HH

o

o ∆⋅+

=∆ (Eq. 7.10)

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

12

σ’ (log)

σ’

e

v0

0

v

v0

v0

r

vc

c

∆e

C 1

1

σ’ σ ∆σ’ +

(σ’ , e )

∆σ∆H

0

v

H

C

Figura 7.10 – Schema per il calcolo del cedimento di consolidazione primaria di uno strato di terreno coesivo

dove Ho è l’altezza iniziale dello strato, eo è l’indice dei vuoti iniziale e ∆e la variazione dell’indice dei vuoti, conseguente all’applicazione del carico, che può essere ricavata dai risultati della prova edometrica.

Facendo riferimento al grafico e-logσ’v si può infatti osservare che nel caso più generale di terreno sovraconsolidato (assumendo Cr = Cs):

'c

v'vo

c'vo

'c

s logClogCeσ

σ∆+σ⋅+

σσ

⋅=∆ (Eq. 7.11)

da cui consegue:

]logClogC[e1

HH '

c

v'vo

c'vo

'c

so

o

σσ∆+σ

⋅+σσ

⋅⋅+

=∆ (Eq. 7.12)

Se il carico applicato è tale da non far superare la σ'c, si ha invece:

'vo

v'vo

s logCeσ

σ∆+σ⋅=∆ (Eq. 7.13)

e quindi:

]logC[e1

HH '

vo

v'vo

so

o

σσ∆+σ

⋅⋅+

=∆ (Eq. 7.14)

Se il terreno invece è normalconsolidato:

'vo

v'vo

c logCeσ

σ∆+σ⋅=∆ (Eq. 7.15)

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

13

e quindi

]logC[e1

HH '

vo

v'vo

co

o

σσ∆+σ

⋅⋅+

=∆ (Eq. 7.16)

In alternativa ai parametri Cc e Cs, si può fare riferimento al coefficiente di compressibili-tà di volume mv, o al modulo edometrico M, o al coefficiente di compressibilità av:

vv0

ovovvo a

e1H

MHmHH ⋅σ∆⋅

+=

σ∆⋅=⋅σ∆⋅=∆ (Eq. 7.17)

tenendo conto del fatto che tali parametri dipendono dal livello di tensione e quindi vanno scelti opportunamente in funzione dell'intervallo tensionale significativo per il problema in esame.

Nella pratica, soprattutto in presenza di strati di elevato spessore e non omogenei, è op-portuno per una stima migliore del cedimento, suddividere lo strato in più sottostrati, e-ventualmente differenziando i parametri di compressibilità del terreno (laddove siano di-sponibili un certo numero di prove edometriche eseguite su provini estratti a differenti profondità). Il cedimento complessivo dello strato risulta essere così espresso:

∑= σ

σ∆+σ⋅+

σσ

⋅⋅+

=∆n

1i'ci

vi'voi

ci'voi

'ci

sioi

oi ]logClogC[e1

HH (Eq. 7.18)

oppure:

∑∑==

⋅σ∆⋅+

=⋅σ∆⋅=∆n

1ivivi

oi

oin

1ivivioi )a

e1H

()mH(H (Eq. 7.19)

dove le pressioni ed i parametri di compressibilità sono riferiti alla mezzeria di ciascuno degli n sottostrati, di spessore H0i.

Nell’ipotesi di carico, q, applicato in superficie, uniformemente distribuito ed infinita-mente esteso, il conseguente incremento della tensione verticale totale, ∆σv, che compare nelle Eq. 7.10 – 7.18, è costante sia in direzione orizzontale che al variare della profondità ed è pari al carico applicato (∆σv = q). Nel caso in cui il carico sia distribuito su una su-perficie di dimensioni limitate (rispetto allo spessore dello strato) il valore di ∆σv si ridu-ce al crescere della profondità e varia in direzione orizzontale; tale incremento può essere determinato con riferimento alla teoria dell’elasticità (vedi Capitolo 6) in funzione della geometria della superficie di carico. In prima approssimazione, nel caso di carico q uni-formemente distribuito su un’area rettangolare, il valore di ∆σv può essere stimato al va-riare della profondità z, ipotizzando che il carico si diffonda con un rapporto 2:1 (Figura 7.11). Alla profondità z risulta, quindi:

( ) ( )zBzLBLq)z(v +⋅+⋅⋅

=σ∆ (Eq. 7.20)

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

14

1

2z

vi

Impronta di carico

L + z

z/2

∆σ

L

z

B

L

z/2

Figura 7.11 – Schema semplificato per il calcolo della diffusione delle tensioni

Nelle Eq. 7.17 e 7.18 il valore dell’incremento di pressione verticale, ∆σvi, è riferito alla mezzeria di ciascun sottostrato.

7.4 Consolidazione

Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, l’applicazione di un sistema di sollecita-zioni induce nel terreno un sistema di distorsioni (cambiamenti di forma) e/o di deforma-zioni (variazioni di volume).

Essendo i terreni mezzi particellari costituiti da grani solidi e vuoti, con i grani solidi pra-ticamente incompressibili, ogni variazione di volume di un elemento di terreno corrispon-de ad una variazione del volume dei vuoti. Inoltre, se il terreno è saturo, ovvero se tutti i vuoti sono riempiti d’acqua, essendo l’acqua praticamente incompressibile, una variazio-ne di volume comporta un moto di filtrazione dell’acqua interstiziale: in allontanamento dall’elemento di terreno se il volume si riduce, in entrata nell’elemento se il volume au-menta.

Il processo di espulsione dell’acqua dai pori avviene quando, per effetto del carico appli-cato, si genera, all’interno di un certo volume di terreno, un campo di sovrapressioni in-terstiziali, ∆u, variabile da punto a punto. La conseguente differenza di carico idraulico, rispetto alle condizioni di equilibrio, provoca l’instaurarsi di un flusso dell’acqua in regi-me transitorio dai punti a energia maggiore verso i punti a energia minore, e in particolare verso l’esterno della zona interessata dall’incremento delle pressioni interstiziali (Figura 7.12).

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

15

Come già osservato nell’intro-duzione di questo Capitolo, via via che l’acqua viene espulsa dai pori, le particelle di terreno si deformano e si assestano in una configurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguen-te diminuzione di volume.

La velocità di questo processo dipende dalla permeabilità del terreno. L’entità della variazio-ne di volume, dipende dalla ri-gidezza dello scheletro solido, cioè dalla struttura del terreno.

Escludendo le sollecitazioni di natura dinamica e riferendosi quindi solo al caso di carichi statici o quasi statici, nei terre-ni a grana grossa (ghiaie e sabbie), a causa della loro elevata permeabilità (k > 10-6 m/s), l’espulsione dell’acqua è praticamente istantanea e quindi anche la deformazione volume-trica. Nel caso dei terreni a grana fine (limi e argille), invece, a causa della loro scarsa permeabilità (k <10-6 m/s) l’espulsione dell’acqua dai pori con dissipazione delle sovra-pressioni interstiziali, e quindi la deformazione volumetrica, risulta differita nel tempo. Questo fenomeno, caratterizzato da un legame tensioni-deformazioni-tempo, viene indi-cato con il termine consolidazione.

7.5 Consolidazione edometrica

Si consideri un deposito di terreno sabbioso, saturo e sotto falda, infinitamente esteso e delimitato superiormente da una superficie piana. Ad una certa profondità sia presente uno strato orizzontale di argilla di spessore costante H e infinitamente esteso.

Supponiamo che su tutta la superficie del deposito venga istantaneamente applicata una pressione verticale uniforme p (Figura 7.13). In ogni punto del semispazio si produce i-stantaneamente un incremento di tensione verticale totale ∆σv = p. Per ragioni di simme-tria non possono esservi deformazioni orizzontali.

Nella sabbia, molto permeabile, si manife-stano (quasi) immediatamente deforma-zioni verticali (e volumetriche), con il re-lativo cedimento del piano campagna: l’incremento di tensione totale determina (quasi immediatamente) un eguale incre-mento della tensione efficace (sopportata dallo scheletro solido), mentre l’acqua in eccesso filtra rapidamente in direzione verticale e la pressione interstiziale (prati-camente) non varia. I grani si deformano e si addensano con riduzione dei vuoti, e

Figura 7.12 – Campo di sovrappressioni generato in un terreno a grana fine in seguito all’ applicazione di un cari-co

u + u0

u 0

p

∆σv = p 

Figura 7.13 - Schema di carico edometrico

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

16

quindi di volume. Si dice che la sabbia costituisce un sistema aperto.

Nell’argilla, poco permeabile, la filtrazione avviene molto più lentamente e tutto il feno-meno, sopra descritto per la sabbia, è molto rallentato.

La teoria della consolidazione edometrica10 (ovvero monodimensionale) di Terzaghi af-fronta il problema della determinazione dei modi e dei tempi in cui si svolge tale fenome-no.

Per introdurre la teoria della consolidazione monodimensionale è utile riferirsi allo sche-ma meccanico rappresentato in Figura 7.14: un cilindro indeformabile pieno di acqua con-tenente un pistone a tenuta idraulica collegato ad una molla a comportamento elastico li-neare. Si assume che l’acqua sia incomprimibile. Il pistone è attraversato da un condotto che termina in una valvola che, se aperta, lascia filtrare una portata d’acqua limitata. Un manometro misura la pressione dell’acqua all’interno del cilindro. La valvola è inizial-mente aperta e la pressione idrostatica dell’acqua è assunta come zero di riferimento. Al tempo t=t1 la valvola viene chiusa e contemporaneamente è applicata una forza verticale Q sul pistone. Poiché l’acqua non può filtrare, il pistone non ha cedimenti, la molla non si comprime e quindi non sostiene alcun carico. Il carico applicato Q è equilibrato da un in-cremento della pressione dell’acqua, che viene registrata dal manometro, pari a ∆uw(t1) = Q/A, essendo A la sezione retta del cilindro. Al tempo t=t2 la valvola viene aperta e l’acqua, per effetto della pressione, inizia a filtrare verso l’esterno nei limiti consentiti dalle caratteristiche della valvola. Alla progressiva diminuzione di volume occupato dall’acqua corrisponde un progressivo cedimento del pistone e quindi un progressivo ac-corciamento della molla ∆l(t). Tale accorciamento è proporzionale alla forza sostenuta dalla molla. Al generico istante ti>t2 la forza Q è equilibrata in parte dalla reazione della molla, QM, e in parte dalla sovrapressioni residua dell’acqua, QW:

A)t(u)t(lK)t(Q)t(QQ wWM ⋅∆+∆⋅=+= (Eq. 7.21)

in cui si è indicato con K la costante elastica della molla. Il manometro registra una pro-gressiva diminuzione della pressione dell’acqua nel tempo.

Al tempo t = t7 il processo si esaurisce. La molla sostiene per intero il carico Q, la sovra-pressione dell’acqua si è interamente dissipata.

Quanto appena descritto rappresenta in maniera semplificata ciò che accade in un terreno coesivo durante il processo di consolidazione edometrica: inizialmente il sovraccarico ap-plicato è sopportato quasi esclusivamente dall’acqua interstiziale. Gradualmente l’acqua viene espulsa dai pori, con filtrazione verticale, e il carico viene trasferito allo scheletro solido che si comprime, con conseguente aumento delle pressioni effettive. Alla fine del processo di consolidazione tutte le sovrapressioni interstiziali si sono dissipate e il so-vraccarico totale applicato è interamente sopportato dallo scheletro solido (cioè intera-mente equilibrato da un incremento delle pressioni verticali efficaci).

10 Si osservi che la prova edometrica riproduce quasi esattamente le condizioni di carico e di vincolo de-scritte e rappresentate in Figura 7.13.

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

17

Valvola

Pressione

Chiuso Aperto

Q

Tempo0

0t

Q (

t )

1t 2t 3t 4t 5t 6t 7t

iW

Sovr

acca

rico

Q (

t ) i

M

0t 1t 2t 3t 4t 5t 6t 7t

Figura 7.14 – Modello meccanico di elasticità ritardata

Un altro, più completo modello meccanico, utile a introdurre la teoria della consolidazio-ne edometrica è quello proposto da Terzaghi e rappresentato in Figura 7.15. Esso consiste in un recipiente cilindrico contenente una serie di pistoni forati, eguali fra loro, separati da molle di eguale rigidezza, e riempito d’acqua. Ciascuna zona di interpiano in cui risulta suddiviso il recipiente tramite i pistoni è collegata ad un tubo aperto per la misura del ca-rico piezometrico. Applicando un incremento di pressione ∆σ (rispetto alla pressione esi-stente in condizioni di equilibrio) si osserva che questo è istantaneamente sopportato dall’acqua. L’altezza di risalita dell’acqua in tutti i piezometri nell’istante di applicazione del carico (t=0) è data da ∆σ/γw. La differenza di carico idraulico innesca una filtrazione verticale ascendente verso la superficie a pressione atmosferica. Col passare del tempo la pressione dell’acqua nelle varie zone si riduce gradualmente, ed entrano in compressione le molle, a partire dalla parte più alta del recipiente. Al generico istante di tempo t in un dato interpiano, la pressione dell’acqua e l’altezza d’interpiano saranno inferiori rispetto a quelle dell’interpiano sottostante. Il processo continua finché, dopo un tempo relativa-mente lungo, la sovrapressione dell’acqua in tutte le zone si sarà interamente dissipata e la distanza di interpiano sarà eguale (la pressione interstiziale assume il valore esistente pri-ma dell’applicazione del sovraccarico in condizioni di equilibrio, i dischi si saranno avvicinati della quantità corrispondente alla pressione sopportata dalle molle).

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

18

Con riferimento allo schema di Figura 7.15 si osservi che l’area del rettangolo ABCD è proporzionale al carico totale applicato Q=∆σ Ar (essendo Ar l’area della sezione retta del re-cipiente) e che ad un generico istante di tempo (ad esempio t=t2) l’area ABCE è proporzio-nale alla quota parte di Q so-stenuta dalle molle, mentre l’area AED è proporzionale al-la quota parte di Q sostenuta dall’acqua.

L’isocrona AE riferita all’asse AD rappresenta la distribuzione delle sovrapressioni interstiziali con la profondità, e rife-rita all’asse BC la distribuzione delle tensioni verticali sulle molle. Se le molle sono ad elasticità lineare, e quindi vi è proporzionalità tra tensioni e deformazioni, l’area ABCD è proporzionale al cedimento finale, l’area ABCE è proporzionale al cedimento avvenuto al tempo t=t2, l’isocrona AE riferita all’asse BC rappresenta la distribuzione delle deforma-zioni verticali al tempo t=t2.

Negli schemi sopra descritti, le molle rappresentano lo scheletro solido, l’acqua nel cilin-dro rappresenta l’acqua che riempie i pori, i fori sui pistoni rappresentano la permeabilità del terreno.

7.6 Teoria della consolidazione edometrica

La teoria della consolidazione edometrica di Terzaghi si basa sulle seguenti ipotesi sem-plificative:

1. consolidazione monodimensionale, cioè filtrazione e cedimenti in una sola direzione (verticale);

2. incompressibilità dell’acqua (ρw = cost.) e delle particelle solide (ρs = cost.);

3. validità della legge di Darcy;

4. terreno saturo, omogeneo, isotropo, con legame sforzi deformazioni elastico lineare, a permeabilità costante nel tempo e nello spazio;

5. validità del principio delle tensioni efficaci.

La teoria è sviluppata a partire dall’equazione generale di flusso (Capitolo 4, Eq. 4.22):

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂⋅+

∂∂⋅⋅

+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂⋅+

∂∂⋅+

∂∂⋅

teS

tS

ee1

1zhk

yhk

xhk r

r2

2

z2

2

y2

2

x (Eq. 4.22)

che nelle ipotesi suddette diviene:

Figura 7.15 - Modello meccanico di Terzaghi

∆u’

∆σ’γw

γw

C

D

E ∆σ/γw

B

A

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

19

te

e11

zhk

o2

2

∂∂

+=

∂∂ (Eq. 7.22)

Posto t

ete '

v'v ∂

∂σ⋅

∂σ∂

=∂∂ e ricordando la definizione del coefficiente di compressibilità:

'v

vea

∂σ∂

−= (Eq. 7.23)

si ha, essendo per ipotesi di elasticità lineare av = cost:

tzh

a)e1(k '

v2

2

v

o

∂∂σ

−=∂∂+ (Eq. 7.24)

Se poi il carico piezometrico h viene espresso come somma dell’altezza geometrica, z, e dell’altezza di pressione, u/γw, e la pressione a sua volta viene espressa come somma del termine dovuto alla pressione dei pori in regime stazionario, up (in condizioni di equili-brio prima dell’applicazione del sovraccarico) e di quello dovuto all’eccesso di pressione dei pori conseguente all’applicazione del sovraccarico, ue, si può scrivere, con riferimento allo schema di Figura 7.16:

w

ep )uu(zh

γ

++= (Eq. 7.25

e osservando che la distribuzione delle pressioni in regime stazionario, up è lineare con la profondità z, per cui la derivata seconda di up rispetto alla profondità è zero, si ha:

2e

2

w2

2

zu1

zh

∂∂⋅

γ=

∂∂ (Eq. 7.26)

Essendo per il principio delle pressioni efficaci (Capitolo 3, Eq. 3.3):

σ’v = σv – u = σv –(up+ue) risulta:

tu

ttev

'v

∂∂

−∂σ∂

=∂σ∂ (Eq. 7.27)

p∆

z

0

zw

Z + 2Hw

zw isocrona all’istante t = 0

Pressione dei pori

Prof

ondi

isocrona ad un generico istante t

u (z)p

u (z,t)e

u0

2H

Sabbia

Sabbia

Argilla u(z,t)

u(z,t)=u (z) + u (z,t)p e

Figura 7.16. – Distribuzione delle pressioni neutre con la profondità durante il processo di con-solidazione in condizioni edometriche

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

20

e supponendo che il sovraccarico applicato, σv, sia costante nel tempo si ha:

tu

te

'v

∂∂

−=∂∂σ (Eq. 7.28)

L’equazione di continuità si riduce quindi alla seguente espressione:

tu

zu

a)e1(k e

2e

2

vw

o

∂∂

=∂∂

⋅γ+ (Eq. 7.29)

Il termine:

vvwvw

o cm

ka

)e1(k=

⋅γ=

⋅γ+

[L2/T] (Eq. 7.30)

è chiamato coefficiente di consolidazione verticale e può essere determinato elaborando i risultati della prova edometrica secondo le procedure che verranno descritte nel Paragrafo 7.8. Utilizzando l’Eq. 7.30, dopo avere ricavato dalla prova edometrica anche il coeffi-ciente di compressibilità di volume, mv (Paragrafo 7.2), è possibile ottenere una stima del coefficiente di permeabilità k del terreno: k = cv·mv·γw

Ovviamente, potendo determinare tanti valori di cv e di mv, quanti sono i gradini di carico applicati al provino, si possono ottenere altrettanti valori del coefficiente di permeabilità. In genere si assume come valore più rappresentativo per il terreno in sito quello corri-spondente al gradino di carico entro cui ricade la tensione litostatica valutata alla profon-dità di estrazione del provino.

Con la definizione di cv (Eq. 7.30), l’equazione differenziale della consolidazione mono-dimensionale di Terzaghi diventa:

tu

zu

c e2

e2

v ∂∂

=∂∂ (Eq. 7.31)

dove )t,z(uu ee = rappresenta, come già detto, il valore dell’eccesso di pressione inter-stiziale nel punto a quota z, e al tempo t dall’istante di applicazione del carico.

Vengono definite le due variabili adimensionali:

HzZ = (Eq. 7.32)

2v

v Htc

T⋅

= (chiamato fattore di tempo) (Eq. 7.33)

con H altezza di drenaggio, pari cioè al massimo percorso che una particella d’acqua deve compiere per uscire dallo strato (nel caso di strato doppiamente drenato è pari alla metà dell’altezza dello strato, nel caso di strato drenato da un lato solo è pari allo spessore dell’intero strato).

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

21

L’equazione (7.35) può essere così riscritta:

v

e2e

2

Tu

Zu

∂∂

=∂∂ (Eq. 7.34)

La soluzione dell’equazione 7.34 dipende dalle condizioni iniziali e dalle condizioni al contorno (due condizioni per z e una per t), in particolare dalle condizioni di drenaggio (da un solo lato o da entrambi i lati) e dalla distribuzione iniziale della sovrapressione ue con la profondità z (isocrona iniziale), che, nel caso di consolidazione determinata da un carico infinitamente esteso applicato in superficie (condizione edometrica), è uniforme.

Sotto le ipotesi edometriche (Figura 7.16) di:

− isocrona iniziale costante con la profondità (per t=0 ue= uo, ∀z)

− superfici superiore e inferiore perfettamente drenanti (per z=0 e z=2H ue= 0, ∀t≠0) la soluzione risulta esprimibile in serie di Taylor come:

v2TM

m

0m

ove e)MZ(sin

Mu2

)T,Z(u −∞=

=∑= (Eq. 7.35)

dove: )1m2(2

M +π

= .

Tale soluzione, che permette (per ogni z e t) di calcolare )t,z(u e noto cv, si trova usual-mente diagrammata in termini di grado di consolidazione Uz, definito come rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione iniziale uo, cioè:

o

e

o

eoz u

)t,z(u1

u)t,z(uu

U −=−

= (Eq. 7.36)

in funzione del fattore di tempo Tv (noto una volta noto cv).

Un diagramma tipico Uz = f(Z,Tv) è riportato in Figura 7.17.Da tale soluzione si può os-servare che:

− subito dopo l’applicazione del carico si ha un gradiente idraulico elevato alle estremità che si riduce progressivamente verso l’interno dello strato (e nel tempo);

− in mezzeria il gradiente dell’eccesso di pressione è sempre nullo, cioè non vi è alcun flusso attraverso il piano orizzontale a metà dello strato.

In base a quest’ultima osservazione si ha che il piano di mezzeria può essere considerato impermeabile e pertanto la soluzione può essere estesa anche al caso in cui si abbia uno strato drenato solo ad una estremità, come nel modello meccanico di Figura 7.15, ponen-do attenzione alla definizione di altezza di drenaggio che in questo caso è pari all’altezza dello strato.

La soluzione dell’equazione della consolidazione monodimensionale fornisce il decorso nel tempo delle sovrapressioni interstiziali, ma può essere utilizzata anche per la previsio-ne del decorso dei cedimenti nel tempo dell’intero strato. Infatti nella maggior parte dei casi pratici non interessa conoscere il valore del grado di consolidazione Uz in un dato punto dello strato di terreno, ma piuttosto il valore del grado di consolidazione medio dell’intero strato raggiunto dopo un certo periodo di tempo dall’applicazione del carico.

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

22

Grado di consolidazione, Uz

A(T )v

A = Area totale del graficot

Grado di consolidazione medioU = A(T )/A

m v t(T )

v

Z= z

/H

Figura 7.17 – Grado di consolidazione Uz in funzione del fattore di tempo, Tv, e di z/H (Taylor, 1948)

Il grado di consolidazione medio dell’intero strato in termini di sovrapressione interstizia-li, corrispondente ad un certo fattore di tempo, Tv, ossia ad un certo istante, t, è dato da:

dzu

)t,z(uuH21U

H2

0 0

e0 ⋅−

= ∫ (Eq. 7.37)

Osservando che durante il processo di consolidazione le pressioni efficaci variano della stessa quantità delle pressioni interstiziali, con segno opposto, e che, per l’ipotesi di ela-sticità lineare, la deformazione verticale è direttamente proporzionale alla pressioni verti-cale efficace:

ffv0

e0 )t,z(M

)t,z(M)t,z('u

)t,z(uuε

ε=

ε⋅ε⋅

=σ∆

σ∆=

− (Eq. 7.38)

si ha che il grado di consolidazione medio in termini di sovrapressione interstiziale, U, (rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione totale iniziale) coincide con il grado di consolidazione medio in termini di cedimento, Um, definito come rapporto tra il cedimento al tempo t, s(t), che per definizione è l’integrale delle deforma-zioni verticali al tempo t, e il cedimento finale totale, sf:

f

H2

0fm s

)t(sdz)t,z(H21UU ==⋅εε⋅

== ∫ (Eq. 7.39)

ed è questa l’informazione che generalmente interessa nei casi pratici (interessa conoscere l’aliquota del cedimento totale che si è realizzata dopo un certo tempo dall’applicazione del carico).

Si può osservare che nei grafici Uz-Tv, il valore di Um corrispondente ad un certo tempo adimensionalizzato Tv, rappresenta il rapporto tra l’area, A(t), compresa tra la linea Uz=0 e la relativa curva di Tv e l’area totale del grafico, At, (quella compresa tra le linee Uz=0 e

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

23

Uz=1). Ad esempio in Figura 7.17 il rapporto tra l’area tratteggiata e l’area totale del gra-fico rappresenta il grado di consolidazione medio corrispondente ad un fattore di tempo Tv = 0.05.

Le soluzioni del grado di consolidazione medio Um in funzione del fattore di tempo Tv si trovano diagrammate o tabulate per diversi andamenti dell’isocrona iniziale (costante, triangolare, etc.). In tabella 7.2 e in Figura 7.18 sono riportate le soluzioni relative al caso di isocrona iniziale costante con la profondità (con ascissa in scala lineare e logaritmica).

Esistono anche espressioni analitiche che forniscono una stima approssimata della solu-zione per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità, ad esempio:

36

m

6m

v63

v

3v

m U1U5.0

T;5.0T

TU

−⋅

=+

= (Brinch-Hansen) (Eq. 7.40)

%60Uper(%))U100log(933.0781.1T

%60UperU4

T;T

2U

mmv

m2

mvv

m

>−−=

≤⋅π

⋅= (Terzaghi) (Eq. 7.41)

[ ] 357.06.5m

2m

v179.08.2v

5.0v

mU1

U4T;

T41

T4

U−

⋅π

=

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

π⋅

+

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

π⋅

=

(Sivaram & Swamee)

(Eq. 7.42)

Tabella 7.2. – Valori tabulati della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona i-niziale costante con la profondità

Um 10 20 30 40 50 70 90 95

Tv 0.0077 0.0314 0.0707 0.126 0.196 0.403 0.848 1.129

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

1000 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

Fattore di tempo, Tv

Gra

do d

i con

solid

azio

ne m

edio

, Um

[%] 0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

1000.001 0.01 0.1 1 1

Fattore di tempo, Tv

Gra

do d

i con

solid

azio

ne m

edio

, Um

[%]

Figura 7.18 - Diagrammi della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona inizia-le costante con la profondità, con ascissa in scala lineare (a) e logaritmica (b)

Se fossero verificate le ipotesi della teoria della consolidazione, le curve sperimentali in prova edometrica cedimento – tempo, per qualunque terreno e per qualunque carico ap-plicato, dovrebbero essere eguali, a meno di fattori di scala, alle curve teoriche adimen-

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

24

sionali Um = f(Tv). Infatti f

m s)t(sU = è proporzionale al cedimento s(t) e 2

vv H

tcT

⋅= è pro-

porzionale al tempo t. I fattori di scala sono caratteristici dei diversi terreni e devono esse-re determinati sperimentalmente. In particolare occorre determinare il cedimento di consolidazione edometrica finale, sf, la lunghezza del percorso di drenaggio H, e il coeffi-ciente di consolidazione, cv.

In realtà le ipotesi alla base della teoria non sono ben verificate per i terreni reali, come discuteremo in seguito, ma l’accordo fra le curve adimensionali teoriche e quelle speri-mentali è accettabile per gradi di consolidazione non superiori al 60%.

A questo punto è opportuno conoscere come si può determinare il coefficiente di consoli-dazione, cv, (parte essenziale del fattore di scala) l’unico parametro che nella soluzione dell’equazione della consolidazione tiene conto delle proprietà del terreno. Per la sua de-terminazione si utilizzano i risultati della prova edometrica.

7.7 Determinazione sperimentale del coefficiente di consolidazione ver-ticale

Come abbiamo visto al paragrafo 7.2 la prova edometrica standard è eseguita applicando incrementi successivi di carico, mantenuti costanti fino all’esaurimento del fenomeno di consolidazione (e oltre). Durante tale periodo si rilevano i cedimenti del provino nel tem-po11.

I valori osservati dell’altezza del provino sono generalmente diagrammati secondo due modalità:

- in funzione del logaritmo del tempo,

- in funzione della radice quadrata del tempo.

Gli andamenti tipici dei grafici che si ottengono nei due casi sono rappresentati nelle Fi-gure 7.19a e 7.19b.

Dai diagrammi così ottenuti è possibile determinare, relativamente a ciascuno dei gradini di carico applicati, il coefficiente di consolidazione, cv, mediante una delle due procedure di seguito descritte.

7.7.1 Metodo di Casagrande

Si applica al grafico tempo (log)-altezza del provino (Figura 7.19a), nel quale si assume di poter distinguere un primo tratto, AB, corrispondente al processo di consolidazione e-dometrica primaria, e un secondo tratto lineare, BD, corrispondente alle deformazioni vi-scose (la consolidazione secondaria di cui parleremo in seguito).

11 Normalmente vengono prese misure di abbassamento a intervalli di tempo via via crescenti (10’’, 20’’, 30’’, 1’, 2’, 5’, 10’ etc..)

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

25

Figura 7.19 – Andamento dell’altezza del provino (2H) durante la consolidazione edometrica in funzione del logaritmo del tempo (a) e della radice quadrata del tempo (b)

Ovviamente tale suddivisione è del tutto arbitraria, in quanto un’aliquota del cedimento viscoso si sovrappone al cedimento di consolidazione primaria nel tratto iniziale della curva, mentre nel tratto finale, oltre al cedimento di consolidazione secondaria sarà pre-sente anche una componente (seppure trascurabile) del cedimento di consolidazione pri-maria.

Come già detto, per poter interpretare il fenomeno reale mediante il modello teorico di Terzaghi, occorre sovrapporre e far coincidere la curva teorica adimensionale Um=f(Tv) con la curva sperimentale, allo scopo di determinare i fattori di scala.

Il primo passo del metodo consiste nell’individuare, mediante una procedura convenzio-nale, le altezze del provino corrispondenti all’istante iniziale e alla fine del processo di consolidazione primaria.

L’origine (zero corretto) delle deformazioni può essere ricavata osservando che la rela-zione tra grado di consolidazione medio, Um, e fattore di tempo, Tv, (e quindi la relazione tra cedimenti e tempo), per valori di Um < 60% (Eq. 7.41), è con buona approssimazione una parabola ad asse orizzontale. Il tempo risulta cioè proporzionale al quadrato del ce-dimento, ossia, considerati due istanti, t1 e t2, e i relativi cedimenti, S(t1) e S(t2) (tali che Um <60%), vale la relazione:

2

1

2

1

tt

)t(S)t(S= (Eq. 7.43)

Di conseguenza, scelto un tempo t1 sufficientemente piccolo e assunto t2 = 4t1, risulta dal-la (7.41) che S(t2) = 2 S(t1); quindi, con riferimento alla Figura 7.19a, se il segmento PR misura il cedimento all’istante t1 (dove P, che rappresenta l’origine delle deformazioni, è incognito), il segmento PT, che misura il cedimento all’istante t2 , dovrà essere il doppio di PR. Di conseguenza ribaltando il segmento RT rispetto al punto R si trova il punto P e

a)

2 Hi

2 Hf

2 Hi

2 H90 2 Hf

t = 0

2 H

b)

2 H

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

26

quindi, sull’asse delle ordinate, l’altezza 2Hi, corrispondente all’inizio della consolidazio-ne primaria (Um = 0%)12.

L’altezza del provino al termine del processo di consolidazione primaria (Um= 100%), 2Hf, è invece ottenuto, sempre con riferimento alla Figura 7.19a, dall’intersezione della retta CD, relativa al tratto finale della curva, con la retta EB tangente alla curva nel punto di flesso F.

Mediante la relazione:

2H50 = (2Hi + 2Hf)/2 (Eq. 7.44)

si determina quindi l’altezza corrispondente alla metà del processo di consolidazione, ov-vero l’altezza media di drenaggio H50.

Dalle tabelle (o tramite le relazioni) che forniscono Um in funzione di Tv, si ricava poi il fattore di tempo adimensionale che corrisponde ad un grado di consolidazione medio del 50% (ad esempio dalla relazione di Terzaghi si ottiene Tv = 0.197).

Sostituendo i valori sopra determinati nella definizione del fattore di tempo Tv (Eq. 7.33), è possibile infine ricavare il coefficiente di consolidazione verticale, cv, tramite la seguen-te relazione:

7.7.2 Metodo di Taylor

Il metodo di Taylor viene applicato facendo riferimento al diagramma √t-altezza del pro-vino (Figura 7.19b), in cui si nota che i punti sperimentali nel tratto iniziale della curva si allineano approssimativamente lungo una retta (essendo, come già osservato, il tempo proporzionale al quadrato del cedimento per valori di Um < 60%). L’autore della procedu-ra ha inoltre evidenziato che l'ascissa, t90, corrispondente al 90% del cedimento di conso-lidazione primaria, 2Η90, è pari a 1.15 volte il valore dell’ascissa corrispondente alla stes-sa ordinata sulla retta interpolante i dati sperimentali. Quindi, una volta diagrammati gli spostamenti in funzione di √t e tracciata la retta interpolante i punti iniziali (corrisponden-ti a Um < 60%), si disegna la retta con ascisse incrementate del 15% rispetto a quella in-terpolante; dall'intersezione di quest’ultima con la curva sperimentale, punto C, si ricava √t90, ossia la radice del tempo corrispondente al 90% della consolidazione primaria e, proiettato sull’asse delle ordinate, l’altezza 2H90 corrispondente.

In questo caso, l’altezza di inizio consolidazione 2Hi è determinata prolungando la retta interpolante fino ad incontrare l’asse delle ordinate, punto O, e l’altezza corrispondente alla fine del processo di consolidazione è data da:

12 La procedura è necessaria perché l’asse delle ascisse è in scala logaritmica e quindi non contiene il tempo t=0. Inoltre per i primi gradini di carico si possono avere abbassamenti per assestamento della piastra di ca-rico e, se il provino non è completamente saturo, una deformazione istantanea per compressione ed espul-sione delle bolle d’aria eventualmente presenti all’interno del provino.

50

250

v t197.0H

c⋅

= (Eq. 7.45)

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

27

)H2H2(109Hi2H2 iff −⋅+= (Eq.7.46)

L’altezza media di drenaggio, H50, è determinata anche in questo caso a partire dall’altezza corrispondente alla metà del processo di consolidazione (Eq. 7.44).

Dalle tabelle (o tramite le relazioni) che forniscono Um in funzione di Tv, si ricava poi il fattore di tempo adimensionale che corrisponde ad un grado di consolidazione medio del 90% (ad esempio dalla relazione di Terzaghi si ottiene Tv = 0.848).

Sostituendo i valori sopra determinati nella definizione del fattore di tempo Tv (Eq. 7.33), è possibile infine ricavare il coefficiente di consolidazione verticale, cv, tramite la seguen-te relazione:

90

250

v t848.0H

c⋅

= (Eq. 7.47)

7.8 Validità e limiti della teoria della consolidazione edometrica

La teoria della consolidazione edometrica si basa sullo schema di carico e di vincolo (condizioni al contorno) rappresentato in Figura 7.13 (strati orizzontali, carico applicato uniforme e infinitamente esteso) che comporta l’assenza di deformazioni orizzontali e il flusso solo verticale dell’acqua. Le condizioni al contorno della prova edometrica ripro-ducono fedelmente tale schema, che ha il vantaggio della semplicità essendo monodimen-sionale.

Talvolta lo schema corrisponde bene alle condizioni stratigrafiche e geotecniche del de-posito ed alla causa perturbatrice (ad esempio un abbassamento uniforme del livello pie-zometrico, oppure un riporto strutturale di spessore costante o, più in generale, un manu-fatto che trasmette al terreno un carico uniformemente distribuito di estensione molto maggiore dello spessore dello strato compressibile), ma altre volte no.

Se ad esempio l’area di carico è di dimensioni piccole rispetto allo spessore dello strato compressibile, l’incremento di tensione verticale non può essere assunto costante con la profondità (vedi Capitolo 6), le deformazioni di taglio non sono zero e quindi si hanno cedimenti istantanei anche a deformazione volumetrica nulla, la filtrazione avviene anche in direzione orizzontale, etc.

Ma anche quando lo schema stratigrafico e geotecnico corrisponde bene alle condizioni al contorno ed il fenomeno è unidirezionale, la soluzione di Terzaghi è solo approssimata poiché non sono verificate alcune ipotesi base. In particolare:

− il legame tensioni deformazioni è marcatamente non lineare, come messo in evidenza dai grafici delle Figure 7.3, 7.9, etc. ;

− la permeabilità del terreno varia nel tempo, durante il processo di consolidazione, perché diminuisce l’indice dei vuoti;

− è trascurata la componente viscosa delle deformazioni.

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Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

7 -

28

Per potere comunque utilizzare la soluzione di Terzaghi, si ipotizza che il terreno abbia un comportamento lineare e permeabilità costante nell’ambito di ogni gradino di carico, e che le deformazioni viscose abbiano inizio solo quando la consolidazione edometrica è in gran parte esaurita.

Per ogni gradino di carico, sfruttando solo la parte iniziale della curva sperimentale allo scopo di escludere le deformazioni viscose, si possono determinare i corrispondenti valori di cv, av, e k, e utilizzare nelle applicazioni i valori di tali proprietà determinati per la pressione iniziale e l’incremento di pressione più prossimi a quelli reali. Se le ipotesi di Terzaghi fossero verificate, si otterrebbero gli stessi valori di cv, av, e k per tutti i gradini di carico, poiché tali grandezze sarebbero indipendenti dalla pressione.

7.9 Consolidazione secondaria

La curva teorica della consolidazione edometrica di Terzaghi prevede, nella parte termi-nale, un asintoto orizzontale. Le curve sperimentali s(t) mostrano invece un asintoto incli-nato. Tale differenza, più o meno marcata a seconda del tipo di terreno, è dovuta alle de-formazioni viscose dello scheletro solido. Deformazioni che avvengono anche a pressione efficace costante, e quindi anche (ma non solo) a consolidazione primaria esaurita. La pendenza dell’asintoto inclinato nel piano semilogaritmico e-logt, è detto indice di com-pressione secondaria:

tlogeC

∆∆

=α (Eq. 7.48)

Valori di riferimento dell’indice di compressione secondaria, per alcuni tipi di terreno, sono riportati in Tabella 7.3:

Tabella 7.3 - Valori indicativi del rapporto Cα/Cc

Terreno Cα/Cc

Argille tenere organiche 0,05 ± 0,01

Argille tenere inorganiche 0,04 ± 0,01

Sabbie da 0,015 a 0,03

Come osservato nel Paragrafo 7.2 le curve di compressibilità edometrica nei piani e-logσ’v, e-σ’v, e εa-σ’v si ottengono in genere collegando i punti sperimentali ricavati dalle misure effettuate al termine del periodo di applicazione di ciascun incremento di carico (di solito 24h). Sarebbe quindi più corretto depurare gli abbassamenti misurati dalla com-ponente viscosa, in sostanza utilizzando come altezza finale del provino l’altezza 2Hf cor-rispondente al 100% di consolidazione edometrica. L’errore che si commette non è co-munque particolarmente rilevante.

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

CAPITOLO 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

8.1 Introduzione

Nel capitolo 7 è stata illustrata la teoria della consolidazione monodimensionale di Terza-ghi, che permette di stimare il tempo necessario alla dissipazione delle sovrapressioni in-terstiziali, e quindi al verificarsi dei cedimenti di consolidazione, nell’ipotesi di strati o-rizzontali di terreno saturo e omogeneo, e di incremento della pressione verticale totale istantaneo, uniforme e infinitamente esteso. Tali condizioni di carico si verificano in pra-tica quando lo spessore dello strato che consolida è piccolo rispetto all’estensione dell’area di carico, come ad esempio in seguito alla messa in opera di un riporto struttura-le di altezza costante e grandi dimensioni planimetriche, oppure in seguito ad un abbas-samento generalizzato e uniforme del livello di falda. Consolidazione monodimensionale vuol dire filtrazione e deformazioni solo in direzione verticale, e quindi assenza di cedi-menti in condizioni non drenate, ovvero all’istante di applicazione del carico.

In questo capitolo ci proponiamo di considerare condizioni di carico più generali e reali-stiche e le tecniche utilizzate, nella pratica professionale, per accelerare il processo di consolidazione.

Se il carico applicato è distribuito su una striscia di larghezza B e di lunghezza indefinita, lo stato di deformazione è piano, la filtrazione avviene in due dimensioni, il bacino dei cedimenti è cilindrico, sono possibili deformazioni di taglio e quindi vi sono cedimenti anche a volume costante, in condizioni non drenate. Se il carico applicato è distribuito su un’area di dimensioni ridotte e confrontabili, ad esempio un’area circolare, quadrata o ret-tangolare, lo stato di deformazione, la filtrazione e il bacino dei cedimenti sono tridimen-sionali, sono possibili deformazioni di taglio e quindi vi sono cedimenti anche a volume costante, in condizioni non drenate.

La durata del processo di consolidazione dipende quindi anche dalla forma e dalle dimen-sioni dell’area di carico. A titolo di esempio, in Figura 8.1 sono messe a confronto le cur-ve che indicano il tempo necessario perché si realizzi l’80% della consolidazione per tre differenti condizioni di carico e quindi di drenaggio (area di carico infinita ⇒ filtrazione monodimensionale, striscia di carico ⇒ filtrazione bidimensionale, area di carico circola-re ⇒ filtrazione tridimensionale) e per differenti dimensioni dell’area di carico, al variare dello spessore dello strato che consolida (per cv = 1 m2/anno).

La stima dei tempi di consolidazione mediante la teoria monodimensionale di Terzaghi è non solo quasi sempre in eccesso, poiché sono trascurati gli effetti della forma e delle di-mensioni dell’area di carico, ma è anche molto incerta, molto più incerta, ad esempio, di quanto non sia la stima dell’entità del cedimento di consolidazione edometrica. Se infatti lo strato di argilla che consolida è intercalato da sottili livelli continui di sabbia, la cui presenza può sfuggire all’indagine geotecnica, il cedimento è sostanzialmente invariato, ma i tempi di consolidazione possono essere fortemente ridotti. Viceversa se una sottile e piccola lente di sabbia è intercettata nell’indagine geotecnica e falsamente interpretata

8 -

1

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

come un livello continuo e drenante, la stima del tempo di consolidazione può risultare errata per difetto.

Quando è possibile e giustificato dall’importanza dell’opera da realizzare, è utile monito-rare i cedimenti reali nel tempo, durante e subito dopo la costruzione, allo scopo di identi-ficare e tarare con le misure sperimentali eseguite in vera grandezza un modello geotecni-co interpretativo del fenomeno in atto, da utilizzare per la previsione del comportamento futuro.

Carico infinitamente esteso

1-D

Drenaggio e deformazione in questa direzioneTempo di consolidazione (anni)

Spes

sore

del

lo st

rato

di t

erre

no (m

)

2-D

Striscia di caricoArea di carico

circolare

3-D

B D

Figura 8.1. Effetto sui tempi di consolidazione della forma e delle dimensioni dell’area di carico (Um = 80%; cv = 1 m2/anno)

8.2 Consolidazione durante la costruzione

La teoria della consolidazione di Terzaghi assume che il carico totale ∆σ sia applicato i-stantaneamente (al tempo t = 0) e mantenuto costante nel tempo fino all’esaurirsi della consolidazione. In realtà il carico viene applicato gradualmente, in modo anche disconti-nuo e talvolta non monotòno, durante le varie fasi di costruzione. Una soluzione sufficien-temente accurata può ottenersi assumendo che l’intero carico sia istantaneamente applica-to al tempo corrispondente alla metà del periodo di costruzione, ma se quest’ultimo è molto lungo (dell’ordine di anni) può essere utile prevedere il decorso dei cedimenti nel tempo durante e dopo il periodo di costruzione.

Per tenere conto dell’applicazione non istantanea del carico e della consolidazione duran-te la costruzione si può utilizzare un semplice metodo grafico empirico.

8 -

2

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Si suppone che il carico totale sia applicato in modo linearmente variabile nel tempo. In generale potrà esservi una prima fase di lavoro che prevede uno scavo di sbancamento, e quindi una riduzione delle tensioni, seguita dalla costruzione e quindi da un incremento delle tensioni fino al valore massimo, al termine del periodo di costruzione, che poi si mantiene costante (Figura 8.2).

Durante la fase di scavo possono avvenire dei rigonfiamenti, che potrebbero anche essere stimati ma che di norma hanno poco interesse poiché lo scavo sarà portato fino alla pro-fondità di progetto. In genere si assume che il processo di consolidazione abbia inizio al tempo t1, che corrisponde al ripristino dello stato tensionale iniziale, quando cioè il carico totale applicato compensa il peso del terreno scavato.

8 -

3

Il procedimento grafico per tracciare la curva cor-retta tempo – cedimenti è il seguente (Figura 8.2):

1. si disegna la curva “i-stantanea” tempo – ce-dimenti a partire dal tempo t = t1, assunto come origine dei tem-pi, come se il carico to-tale ∆σ fosse stato ap-plicato per intero e in modo istantaneo;

2. si assume che al tempo t2, ovvero al termine del periodo di costru-zione, il cedimento per consolidazione (punto B) sia pari al valore che sulla curva istanta-nea corrisponde al tempo t=t2/2 (punto A),

e si trasla della quantità t2/2 la porzione della curva istantanea relativa a valori di t maggiori di t2/2. In sostanza si fa l’ipotesi che per tempi superiori a t2, ovvero dopo la fine della costruzione, il decorso dei cedimenti nel tempo corrisponda a quello che si sarebbe avuto per un’applicazione istantanea e totale del carico al tempo t2/2;

Sbancamento

t

t

tt

t tO

AC

EDB

tempo

∆σ

Ced

imen

to

Car

ico

tempo

curvacorretta

curvaistantanea

Costruzione Esercizio

1

1/21/2

2

22

Figura 8.2. Costruzione grafica della curva corretta di consoli-dazione

3. per determinare la prima parte della curva corretta si procede come segue:

a) si sceglie un generico istante di tempo t < t2;

b) si determina il cedimento sulla curva istantanea per il tempo t/2 (punto C);

c) si disegna una retta orizzontale da C fino al punto D, corrispondente al tempo t2;

d) si uniscono con una retta i punti O (origine degli assi) e D;

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

e) si assume che il punto E appartenente alla retta OD, con ascissa t, sia un punto della curva corretta tempo – cedimenti;

f) si ripete la costruzione per diversi valori di t, e si collegano i punti E ottenuti con una curva.

8.3 Accelerazione del processo di consolidazione mediante precarico

Quando il tempo stimato di consolidazione è giudicato troppo lungo, è possibile ridurlo applicando un sovraccarico aggiuntivo temporaneo (precarico). Poiché il sovraccarico è spesso realizzato con un riporto di terreno, la tecnica del precarico è molto utilizzata per le opere in terra e nei lavori stradali1. Il principio di funzionamento del precarico è mo-strato in Figura 8.3.

Supponiamo di poterci riferi-re a condizioni edometriche (strato orizzontale normal-mente consolidato di spessore H0, carico uniforme applicato istantaneamente, filtrazione monodimensionale con altez-za di drenaggio H, coefficien-te di consolidazione verticale cv).

s f

A

t

s

p

pf

p s

s fs

t s t 1 s s

Figura 8.3: Accelerazione del processo di consolidazione mediante precarico

La curva tempo – cedimenti indicata con la lettera A è ot-tenuta calcolando il cedimen-to edometrico finale sf dovuto al solo carico finale di proget-to pf con l’equazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛σ+σ

⋅+

⋅= '0v

f'

0v

0

C0f

ploge1

CHs (Eq. 8.1)

e applicando la teoria della consolidazione di Terzaghi, ovvero le equazioni:

fvm s)T(U)t(s ⋅= e 2vv HtcT ⋅= (Eq. 8.2)

La curva A rappresenta il decorso dei cedimenti nel tempo in assenza di precarico.

Supponiamo che alla consegna dell’opera, o comunque dopo un assegnato tempo t1, si debba essere già manifestato il cedimento sf (o una gran parte di esso). Per accelerare il

8 -

4

1 Di norma il contratto d’appalto fissa i termini di consegna dell’opera da realizzare. Supponiamo ad esem-pio che si debba consegnare un rilevato stradale, finito, entro una certa data. La pavimentazione deve essere realizzata a cedimenti assoluti e differenziali esauriti, pena la formazione di avvallamenti e la continua rot-tura del manto stradale durante l’esercizio.

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

processo di consolidazione si può decidere di applicare un sovraccarico temporaneo di in-tensità ps per un periodo di tempo ts. Molto spesso ts (ovviamente minore di t1) è condi-zionato dai tempi necessari per le lavorazioni, e quindi è un dato di progetto, mentre l’incognita è l’intensità del precarico ps. Introducendo nell’equazione:

2v

v Htc

T⋅

= (Eq. 8.3)

il tempo ts, si determina il valore del fattore di tempo Tv e quindi il corrispondente valore del grado di consolidazione medio Um al tempo ts, che è pari sia al rapporto ss/sf che al rapporto sf/sfs. Noto il valore di Um è pertanto possibile calcolare il cedimento finale di consolidazione edometrica sfs che si avrebbe sotto il carico applicato di intensità (pf + ps):

sfs = sf/Um (Eq. 8.4)

Applicando in modo inverso l’equazione per in calcolo del cedimento edometrico si de-termina l’intensità del carico (pf + ps) (e quindi l’intensità di ps) che, mantenuto in essere per un tempo ts, produce il cedimento sf:

( )( )

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡−⋅=+

+⋅

110pp c

0

0

fs

Ce1

Hs

'0vsf σ (Eq. 8.5)

Dopo tale tempo, eliminando il precarico, non si registreranno ulteriori cedimenti, in quanto il cedimento avvenuto sf corrisponde al cedimento edometrico finale del carico fi-nale permanente pf.

La tecnica del precarico può essere utilizzata anche per sovraconsolidare il terreno di fon-dazione, se il tempo di permanenza è tale da produrre cedimenti maggiori di sf, e quindi per migliorarne la resistenza e la rigidezza.

8.4 Accelerazione del processo di consolidazione mediante dreni vertica-li

Un’altra tecnica per accelerare il processo di consolidazione consiste nell’inserire nel ter-reno dreni verticali disposti ai vertici di una maglia regolare, quadrata o triangolare, di la-to inferiore alla massima lunghezza di drenaggio H.

Come abbiamo visto nel Capitolo 7, il tempo necessario perché avvenga la consolidazione edometrica è proporzionale al quadrato della massima lunghezza di drenaggio:

2

v

v HcT

t ⋅= (Eq. 8.6)

Inserendo dreni verticali nel terreno si permette all’acqua di filtrare anche in direzione o-rizzontale fino al dreno più vicino, ovvero si riduce la lunghezza del percorso di drenag-gio, si sfrutta la maggiore permeabilità del terreno in direzione orizzontale, si fa avvenire un processo di consolidazione tridimensionale, ottenendo in tal modo una molto più rapi-da dissipazione delle sovrapressioni neutre e quindi una forte accelerazione dei tempi di consolidazione (Figura 8.4).

8 -

5

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

In passato i dreni verticali erano rea-lizzati con pali di sabbia, infissi o tri-vellati, di diametro dw= 0,2÷0,5 m e in-terasse 1,5÷6,0 m, talvolta rivestiti con una calza di juta o di geosintetico. Og-gi più frequente-mente si utilizzano dreni prefabbricati di tipo diverso (di cartone, con anima in plastica e guaina di cartone, di geo-

tessile, di corda), messi in opera a percussione o per infissione lenta di un mandrino.

rilevato strato drenante

argilla molle

sabbia

dreni verticali

Figura 8.4: Schema di impiego dei dreni verticali

I dreni prefabbricati hanno sezione lamellare (larghezza a = 60÷100 mm, spessore b = la il diametro equivalente con l’equazione:

( )π+⋅

=ba2d w (Eq. 8.7)

Per il dimensionamento del sistema di dreni verticali occor-re considerare la consolidazione radiale. Con riferimento allo schema di Figura 8.5, si considera un cilindro di terre-no con superficie esterna impermeabile e un dreno centrale. Le ipotesi sono le stesse della teoria della consolidazione edometrica di Terzaghi, a parte la direzione del flusso:

1. terreno omogeneo,

2. parametri di compressibilità e di permeabilità costanti durante il processo di consolidazione,

3. deformazioni solo verticali e filtrazione solo radiale,

4. deformazioni piccole rispetto all’altezza del cilindro che drena.

L’equazione della consolidazione radiale (che corrisponde all’Eq. 7.31 della consolidazione edometrica) è la seguente:

tu

ru

ru

r1c e

2e

2e

h ∂∂

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂⋅⋅ (Eq. 8.8)

2÷5 mm), e se ne calco

r

re

de

dw

Figura 8.5: Schema di consolidazione radiale

8 - 6

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

in cui

wv

hh m

kcγ⋅

= (Eq. 8.9)

è il coefficiente di consolidazione per flusso in direzione orizzontale (in genere ch > cv a causa dell’anisotropia della permeabilità e della struttura stratificata in direzione orizzon-tale dei terreni naturali, ma spesso sia per la maggiore difficoltà di determinazione speri-mentale di ch, sia perché il disturbo dovuto alla messa in opera dei dreni prefabbricati ri-duce la permeabilità orizzontale e quindi ch, si assume ch = cv).

Analogamente a quanto già visto per la consolidazione edometrica, anche per la consoli-dazione radiale si definisce il fattore di tempo adimensionale:

2e

hr d

tcT ⋅= (Eq. 8.10)

e il grado di consolidazione radiale medio, Ur, che rappresenta il rapporto tra il cedimen-to di consolidazione radiale al tempo t e il cedimento di consolidazione totale, e che può essere calcolato con la seguente equazione approssimata (Figura 8.6):

75,0)nln(F

100FT8

exp1100s

)t(s(%)U r

fr

−=

⋅⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−−=⋅=

(Eq. 8.11)

in cui w

e

dd

n = è il rapporto tra il diametro del cilindro, de, e il diametro del dreno, dw.

Il diametro equivalente del cilindro di terreno che drena, de, è assunto pari al diametro del cerchio di area eguale all’area di influenza del dreno, per cui:

per disposizione a quinconce, con maglia triangolare equilatera di lato s (Figura 8.7a):

s05,1s3

6de ⋅≅⋅⋅π

= (Eq. 8.12)

per disposizione a maglia quadrata di lato s (Figura 8.7b):

s13,1s4de ⋅≅⋅π

= (Eq. 8.13)

Il grado di consolidazione medio complessivo, U, in un processo combinato di consolida-zione verticale e radiale, si determina con la seguente equazione (Carrillo, 1942):

( ) )U100(U100100

1100(%)U rv −⋅−⋅−= (Eq. 8.14)

in cui si sono indicati con Uv(%) e con Ur(%) rispettivamente i gradi di consolidazione medi dei processi di filtrazione verticale e radiale.

L’eq. 8.14 si applica per un dato valore del tempo t, cui corrispondono due differenti va-lori di Tv e di Tr, e quindi due differenti valori di Uv e di Ur.

8 -

7

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Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Molto spesso le due tecniche per accelerare il processo di consolidazione sopradescritte (precarico e dreni verticali) vengono utilizzate simultaneamente.

0

20

40

60

80

100

0.01 0.1 1

fattore di tempo, Tr

grad

o di

con

solid

azio

ne m

edio

, Ur (

%)

n=5

n=10

n=40

n=100

Figura 8.6: Grado di consolidazione medio, Ur, in funzione del fattore di tempo, Tr, per consolidazione radiale

Figura 8.7: Disposizione di dreni a quinconce con maglia triangolare equilatera (a) e a ma-glia quadrata (b)

a) b)

8 -

8

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-1

CAPITOLO 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9.1 Introduzione Per le verifiche di resistenza delle opere geotecniche è necessario valutare quali sono gli stati di tensione massimi sopportabili dal terreno in condizioni di incipiente rottura. La resistenza al taglio di un terreno in una direzione è la massima tensione tangenziale, τf, che può essere applicata alla struttura del terreno, in quella direzione, prima che si verifi-chi la “rottura”, ovvero quella condizione in cui le deformazioni sono inaccettabilmente elevate. La rottura può essere improvvisa e definitiva, con perdita totale di resistenza (come av-viene generalmente per gli ammassi rocciosi), oppure può avere luogo dopo grandi de-formazioni plastiche, senza completa perdita di resistenza, come si verifica spesso nei ter-reni. Nella Meccanica dei Terreni si parla di resistenza al taglio, perché in tali materiali, a cau-sa della loro natura particellare, le deformazioni (e la rottura) avvengono principalmente per scorrimento relativo fra i grani. In linea teorica, se per l’analisi delle condizioni di equilibrio e di rottura dei terreni si uti-lizzasse un modello discreto, costituito da un insieme di particelle a contatto, si dovrebbe-ro valutare le azioni mutue intergranulari (normali e tangenziali alle superfici di contatto) e confrontarle con i valori limite di equilibrio. Tale approccio, allo stato attuale e per i ter-reni reali, non è praticabile. Per la soluzione dei problemi di meccanica del terreno è tuttavia possibile, in virtù del principio delle tensioni efficaci, riferirsi al terreno saturo (mezzo particellare con gli spazi fra le particelle riempiti da acqua) come alla sovrapposizione nello stesso spazio di due mezzi continui: un continuo solido corrispondente alle particelle di terreno, ed un conti-nuo fluido, corrispondente all’acqua che occupa i vuoti interparticellari. In tal modo è possibile applicare anche ai terreni i ben più familiari concetti della meccanica dei mezzi continui solidi e della meccanica dei mezzi continui fluidi. Le tensioni che interessano il continuo solido sono le tensioni efficaci, definite dalla diffe-renza tra le tensioni totali e le pressioni interstiziali:

u' −= σσ (Eq. 9.1) A queste, in base al principio delle tensioni efficaci, è legata la resistenza al taglio dei ter-reni.

9.2 Richiami sulla rappresentazione di un sistema piano di tensioni Se per un punto O all’interno di un corpo si considerano tutti i possibili elementi superfi-ciali infinitesimi diversamente orientati, ossia appartenenti alla stella di piani che ha cen-tro in O, le tensioni su di essi (cioè la tensione risultante e le componenti normale σ e tan-genziale τ all'elemento superficiale considerato) variano generalmente da elemento a ele-mento. In particolare è possibile dimostrare che esistono tre piani, fra loro ortogonali, su cui agiscono esclusivamente tensioni normali. Questi tre piani sono detti principali, e le tensioni che agiscono su di essi sono dette tensioni principali. Generalmente, la tensione

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-2

principale maggiore (che agisce sul piano principale maggiore π1) è indicata con σ1, la tensione principale intermedia (che agisce sul piano principale intermedio π2) è indicata con σ2, la tensione principale minore (che agisce sul piano principale minore π3) è indica-ta con σ3 (Figura 9.1). In particolari condizioni di simme-tria due, o anche tutte e tre, le ten-sioni principali possono assumere lo stesso valore. Il caso in cui le tre tensioni principali hanno eguale va-lore è detto di tensione isotropa: in condizioni di tensione isotropa tutti i piani della stella sono principali e la tensione (isotropa) è eguale in tutte le direzioni. Quando due delle tre tensioni principali sono uguali lo stato tensionale si definisce as-sial-simmetrico e tutti i piani della stella appartenenti al fascio che ha per asse la direzione della tensione principale diversa dalle altre due, sono piani principali (e le relative tensioni sono uguali). Poiché spes-so gli stati tensionali critici per i terreni interessano piani normali al piano principale intermedio, ovvero piani appartenenti al fascio avente per asse la direzione della tensione principale intermedia σ2 (Figura 9.1), è possibile igno-rare il valore e gli effetti della tensione principale intermedia σ2 e riferirsi ad un sistema piano di tensioni. Osserviamo adesso come variano le tensioni sui piani del fascio avente per asse la dire-zione della tensione principale intermedia, al variare dell’inclinazione del piano. In Figura 9.2a sono disegnate le tracce dei due piani principali maggiore π1 e minore π3, e di un ge-nerico piano π del fascio avente inclinazione θ rispetto alla direzione del piano principale maggiore. Si consideri l’equilibrio di un elemento prismatico di spessore unitario (problema piano) e forma triangolare, con i lati di dimensioni infinitesime (per rimanere nell’intorno del pun-to considerato), paralleli ai due piani principali e al piano π. (Figura 9.2b). Le condizioni di equilibrio alla traslazione in direzione orizzontale e verticale:

0sindlcosdlcosdl0cosdlsindlsindl

1

3

=⋅⋅+⋅⋅−⋅⋅=⋅⋅−⋅⋅−⋅⋅

θτθσθσθτθσθσ

θθ

θθ

impongono che le tensioni tangenziale τθ e normale σθ sul piano π valgano:

( ) θσσσσ

θσστ

θ

θ

2313

31

cos

2sin2

⋅−+=

⋅−

= (Eq. 9.2)

Figura 9.1 – Tensioni e piani principali per il punto O

σ

σ

σ

σ

σσ

π

π

π

O

1

1

1

2

2

2

3

3

3

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-3

σσ

σ

σ

dl

τ

σ

θ

θθ

θ

Piano principale maggiore, π

Piano principale minore π

Piano π

O3

3

11

1

3

a) b)

Figura 9.2 - Tensioni indotte dalle due tensioni principali, σ1 e σ3, su un piano inclinato di θ ri-spetto a π1.

In un sistema di assi cartesiani ortogonali di centro O e assi X e Y (Figura 9.3), sul quale vengono riportate lungo l’asse X le tensio-ni normali, σ, e lungo l’asse Y le tensioni tangenziali, τ (piano di Mohr), le equazioni (9.2) rappre-sentano un cerchio di raggio R = (σ1 – σ3)/2 e centro C[(σ1 + σ3)/2; 0], detto cerchio di Mohr, che è il luogo delle condizioni di tensione di tutti i piani del fascio. Per disegnare il cerchio, con rife-rimento alla Figura 9.3a, occorre prima posizionare i punti A e B sull’asse X, in modo tale che i segmenti OA ed OB siano pro-porzionali, nella scala prescelta, rispettivamente alle tensioni principali minore, σ3, e maggio-re, σ1, e poi tracciare il cerchio di diametro AB. Tale cerchio è il luogo degli stati di tensione di tutti i piani del fascio. Sul cerchio di Mohr è utile definire il concet-to di polo o origine dei piani, come il punto tale che qualunque retta uscente da esso interseca il

cerchio in un punto le cui coordinate rappresentano lo stato tensionale agente sul piano che ha per traccia la retta considerata.

O C

3

3

1

1

A B

D

a)

E

Y

X

σσ

σ

τθ

θ

θ2θ

O CA

polo

Tensione sul pianoorizzontale

Tensione sul piano inclinato di rispetto all’orizzontale

α

B

D

E

P

Y

X

α

σ

σ

b)

Figura 9.3 Cerchio di Mohr (a) e polo (b)

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-4

Ad esempio se il piano principale maggiore (su cui agisce la σ1) è perpendicolare all’asse Y, il polo è rappresentato dal punto A(σ3,0), cioè un piano del fascio inclinato di un ango-lo θ rispetto al piano principale maggiore interseca il cerchio in un punto D, le cui coordi-nate rappresentano le tensioni normale e tangenziale sul piano considerato. Viceversa, se il piano principale minore (su cui agisce la σ3) è perpendicolare all’asse Y, il polo è rap-presentato dal punto B(σ1,0). Se per individuare l’orientazione dei piani del fascio assu-miamo come riferimento i piani verticale ed orizzontale, non necessariamente coincidenti con i piani principali, il polo, P, è individuato dall’intersezione col cerchio di Mohr della retta orizzontale condotta dal punto, D, che ha per coordinate la tensione normale e tan-genziale sul piano orizzontale; un generico piano del fascio inclinato di un angolo α ri-spetto all’orizzontale (Figura 9.3b), interseca il cerchio di Mohr in un punto, E, le cui co-ordinate rappresentano le tensioni normale e tangenziale sul piano considerato. Con riferimento alla Figura 9.3a, si può dimostrare che le equazioni (9.2) rappresentano quello che è stato definito come cerchio di Mohr:

tensione tangenziale: θσσθτθ 2sin2

2sinDCDE 31 ⋅−

=⋅==

tensione normale: ( ) θσσσ

θσθσσθ

2313

233

cos

cosABcosADAEOAOE

⋅−+=

=⋅+=⋅+=+==

9.3 Criterio di rottura di Mohr-Coulomb In base al principio delle tensioni efficaci “Ogni effetto misurabile di una variazione dello stato di tensione, come la compressione, la distorsione e la variazione di resistenza al ta-glio è attribuibile esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci”. Dunque la resistenza del terreno, che a causa della natura particellare del mezzo, è una re-sistenza al taglio, deve essere espressa da una relazione (criterio di rottura) del tipo:

( )'στ ff = (Eq. 9.3) Il più semplice ed utilizzato criterio di rottura per i terreni, è il criterio di Mohr-Coulomb:

( ) 'tan''c'tanu'c f,nf φσφστ ⋅+=⋅−+= per σ’ > 0 (Eq. 9.4) in base al quale la tensione tangenziale limite di rottura in un generico punto P di una su-perficie di scorrimento potenziale interna al terreno è dato dalla somma di due termini: il primo, detto coesione c’, è indipendente dalla tensione efficace normale alla superficie agente in quel punto, ed il secondo è ad essa proporzionale attraverso un coefficiente d’attrito tanφ’. L’angolo φ’ è detto angolo di resistenza al taglio. Nel piano di Mohr l’equazione (9.4) rappresenta una retta (Figura 9.4), detta retta invi-luppo di rottura, che separa gli stati tensionali possibili da quelli privi di significato fisico in quanto incompatibili con la resistenza del materiale. Nel piano τ−σ’, lo stato di tensio-ne (che per semplicità di esposizione considereremo piano) nel punto P, corrispondente alla rottura, sarà rappresentato da un cerchio di Mohr tangente all’inviluppo di rottura (Figura 9.4). Un cerchio di Mohr tutto al di sotto della retta inviluppo di rottura indica in-vece che la condizione di rottura non è raggiunta su nessuno dei piani passanti per il pun-to considerato, mentre non sono fisicamente possibili le situazioni in cui il cerchio di Mohr interseca l’inviluppo di rottura. Si osservi che in base alle proprietà dei cerchi di Mohr risulta nota la rotazione del piano di rottura per P (ovvero del piano su cui agiscono

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-5

la tensione efficace normale σ’n,f e la ten-sione tangenziale τf) rispetto ai piani prin-cipali per P (ovvero rispetto a quei piani su cui agiscono solo ten-sioni normali e le ten-sioni tangenziali sono zero). In particolare l’angolo fra il piano di rottura ed il piano su cui agi-sce la tensione princi-pale maggiore σ’1,f è pari a (π/4 + φ’/2)1.

Infatti, con riferimento alla Figura 9.4, si considerino i valori degli angoli del triangolo FDC: DFC = φ’, FDC = π/2, FCD = π – 2θf Poiché la somma degli angoli di un triangolo è π, ne risulta: θf = φ’/2 + π/4

8.3.1 Osservazioni sull’inviluppo di rottura

In relazione a quanto esposto nei pa-ragrafi precedenti è opportuno evi-denziare che: - il criterio di rottura di Mohr-

Coulomb non dipende dalla ten-sione principale intermedia; si osservi infatti la Figura 9.5 che rappresenta lo stato tensionale in un punto in condizioni di rottu-ra. Essa dipende dai valori di σ’1,f e di σ’3,f, che definiscono dimensioni e posizione del cer-chio di Mohr tangente alla retta di inviluppo di rottura, ed è in-dipendente dal valore di σ’2,f.

1 Si osservi inoltre che la tensione τf non è il valore massimo della tensione tangenziale nel punto P, la quale

è invece pari al raggio del cerchio di Mohr: ( )'3

'1max 2

1 σστ −⋅= , è associata ad una tensione normale che è

pari al valore medio delle tensioni principali maggiore e minore: ( )'3

'1

'

21 σσσ +⋅=m ed agisce su un piano

ruotato di π/4 rispetto al piano su cui agisce la tensione principale maggiore σ’1,f e quindi di φ’/2 rispetto al piano di rottura.

Oc’

D

3,f

ff

f

τ

σ’σ’

σ’

τ

ϕ’

θ = π/4+ϕ ’/2

2θA

inviluppo di rotturatraccia del pianodi rottura

F C B

1,fσ’n,f

Figura 9.4 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb

c’3,f

2,f

τ

σ’σ’

ϕ’

C B

σ’σ’

1,f

Figura 9.5 – Il criterio di rottura di Mohr-Coulomb non dipende dalla tensione principale intermedia, σ’2

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-6

- i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ non sono caratteristiche fisiche del terreno, ma sono funzione di molti fattori, fra cui: storia tensionale, indice dei vuoti, livello di tensione e di deformazione, tipo di struttura, composizione granulometrica, tempera-tura etc..

- l’inviluppo a rottura può presentare c’ = 0; - l’inviluppo di rottura reale non è necessariamente una retta; spesso tale approssima-

zione è accettabile solo in un campo limitato di tensioni. Pertanto nella sperimenta-zione di laboratorio occorre indagare sul campo di tensioni prossimo allo stato ten-sionale in sito.

Occorre poi considerare una importantissima conseguenza della seguente asserzione del principio delle tensioni efficaci: “la variazione di resistenza al taglio è attribuibile esclu-sivamente a variazioni delle tensioni efficaci”. Quando in un terreno interviene una alte-razione delle tensioni totali, a causa di carichi, positivi o negativi, applicati in superficie o in profondità, risultano conseguentemente alterate le pressioni interstiziali e le tensioni ef-ficaci, ed ha inizio un processo di filtrazione in regime transitorio (consolidazione). Nei terreni a grana grossa, molto permeabili, tale processo è pressoché istantaneo (sistema aperto), cosicché alle variazioni di tensione totale corrispondono immediatamente analo-ghe variazioni di tensione efficace mentre le tensioni interstiziali rimangono inalterate (condizioni drenate). Dunque, noto lo stato tensionale iniziale, è sufficiente conoscere en-tità e distribuzione degli incrementi di tensione (totale = efficace) indotti dal carico appli-cato per poter valutare la resistenza al taglio disponibile in ogni punto dell’ammasso (na-turalmente se sono noti i parametri di resistenza al taglio). Invece nei terreni a grana fine, poco permeabili, non sono generalmente note né l’entità né l’evoluzione nel tempo delle variazioni di pressione interstiziale e di tensione efficace conseguenti ad una variazione di tensione totale prodotta dai carichi applicati2. Possiamo solo dire che, se il terreno è saturo, all’istante di applicazione del carico le deformazioni volumetriche sono nulle (sistema chiuso, condizioni non drenate o a breve termine), men-tre possono esserci deformazioni di taglio. Solo dopo che si sarà esaurito il processo di consolidazione e le sovrapressioni interstiziali si saranno dissipate, le tensioni efficaci e quindi la resistenza al taglio si saranno stabilizzate sul valore finale (condizioni drenate o a lungo termine). Conseguentemente, mentre per i terreni a grana grossa la resistenza al taglio, e quindi le condizioni di stabilità, non variano nel tempo dall’applicazione del carico, ciò avviene per i terreni a grana fine. In particolare se durante il processo di consolidazione le tensioni ef-ficaci crescono, anche la resistenza al taglio progressivamente cresce e le condizioni di stabilità più critiche sono a breve termine. Se invece durante il processo di consolidazione le tensioni efficaci decrescono anche la resistenza al taglio progressivamente decresce e le condizioni di stabilità più critiche sono a lungo termine. Per tale motivo, ad esempio, se un rilevato è stabile subito dopo la costruzione lo sarà anche in futuro, ma se la parete di uno scavo è stabile subito dopo la sua esecuzione non è affatto detto che lo sarà anche do-po un certo tempo.

2 In alcuni casi semplici tali variazioni sono note. Abbiamo visto ad esempio che in condizioni di carico e-dometrico (compressione con espansione laterale impedita) all’istante di applicazione dell’incremento di tensione verticale totale corrisponde, nei terreni saturi, un eguale incremento di pressione neutra, mentre la tensione efficace rimane invariata e non si manifesta alcuna deformazione (né volumetrica né di taglio).

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-7

9.4 Coefficienti di Skempton Si consideri un elemento di terreno poco permeabile, saturo e sotto falda all’interno di un deposito omogeneo con superficie del piano campagna orizzontale. Per simmetria cilin-drica le tensioni geostatiche verticale e orizzontali sono tensioni principali e le tensioni principali orizzontali sono tra loro uguali (stato tensionale assial-simmetrico). Si suppon-ga che la tensione verticale corrisponda alla tensione principale maggiore σ1 e quelle o-rizzontali alla tensione principale minore σ3. Per definizione in un tubo piezometrico po-sto alla profondità dell’elemento l’acqua risalirebbe fino alla profondità del livello di fal-da (Figura 9.6a). Supponiamo che un carico, applicato in modo istantaneo in superficie, produca istantane-amente, nell’elemento di terreno considerato, un incremento assial simmetrico dello stato tensionale totale, ovvero un incremento ∆σ1 della tensione principale maggiore (vertica-le), un incremento ∆σ3 della tensione principale minore (orizzontale) e, di conseguenza, un incremento ∆u della pressione interstiziale, testimoniato da un innalzamento del livello dell’acqua nel piezometro della quantità ∆u/γw (Figura 9.6b). Possiamo pensare di scomporre l’incremento dello stato tensionale totale in due parti (Fi-gura 9.6c): - una prima parte di incremento delle tensioni isotropo, ovvero agente in modo eguale

in tutte le direzioni, di intensità ∆σ3; - e una seconda parte di incremento deviatorico, ovvero agente solo in direzione verti-

cale, di intensità (∆σ1 – ∆σ3). Indichiamo con ∆ub l’incremento di pressione interstiziale causato dall’incremento di ten-sione totale isotropa ∆σ3, e con ∆ua l’incremento di pressione interstiziale causato dall’incremento di tensione totale deviatorica (∆σ1 - ∆σ3). Naturalmente dovrà essere: ∆u = ∆ub +∆ua (Eq. 9.5) Indichiamo con B il rapporto fra l’incremento di pressione interstiziale ∆ub e l’incremento di tensione totale isotropa ∆σ3 che ne è stata causa:

3σ∆∆

= buB (Eq. 9.6)

Analogamente indichiamo con Ā il rapporto fra l’incremento di pressione interstiziale ∆ua e l’incremento di tensione totale isotropa (∆σ1 - ∆σ3) che ne è stata causa:

)( 31 σσ ∆−∆∆

= auA (Eq. 9.7)

u/γw =

σ3

σ1

a)

∆ γu/w

∆σ3

∆σ1

b)

∆ γu /b w

∆σ3

∆σ3 +

∆ γu /a w

0

∆σ1−∆σ

3

c)

Figura 9.6 - a) Stato iniziale; b) incremento istantaneo dello stato di tensione; c) scomposizione

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-8

Ne risulta che l’incremento di pressione interstiziale ∆u può essere calcolato, noti i para-metri B ed Ā, con la relazione:

( )313 σσσ ∆−∆⋅+∆⋅=∆ ABu (Eq. 9.8) ovvero, avendo posto A = Ā/B, con la relazione:

( )[ ]313 σσσ ∆−∆⋅+∆⋅=∆ ABu (Eq. 9.9) I parametri B, A (e Ā) sono detti parametri delle pressioni interstiziali o coefficienti di Skempton e possono essere determinati in laboratorio con prove triassiali consolidate non drenate (Paragrafo 9.7.2).

9.41 Il coefficiente B Se l’elemento di terreno è saturo (Sr=1), assumendo trascurabile la compressibilità dell’acqua, l’applicazione di un incremento di tensione totale isotropa ∆σ in condizioni non drenate non produce alcuna deformazione (né volumetrica né di distorsione) e quindi, in base al principio delle tensioni efficaci, non produce neppure variazioni di tensione ef-ficace (∆σ’ = 0). Pertanto, per un terreno saturo, risulta: ∆σ = ∆σ’ + ∆u = ∆u, ovvero B = ∆u/∆σ = 1 Se invece l’elemento di terreno fosse del tutto privo di acqua interstiziale (Sr = 0), l’applicazione di un incremento di ten-sione totale isotropa ∆σ produrrebbe una deformazione volumetrica (isotropa se lo scheletro solido è isotropo) e un eguale incremento di tensione efficace (∆σ’ = ∆σ). Pertanto, per un terreno secco, risulta: ∆σ = ∆σ’ + ∆u = ∆σ', ∆u =0 ovvero B = ∆u/∆σ = 0. Nei casi intermedi, ovvero per terreni parzialmente saturi, risulta: ∆σ = ∆σ’ + ∆u, ∆σ' > 0, ∆u > 0, ovvero 0 < B = ∆u/∆σ < 1. Il parametro B dipende dal grado di saturazione dei terreno, con una legge non lineare e variabile da terreno a ter-reno, qualitativamente rappresentata in Figura 9.7.

9.4.2 Il coefficiente A Se l’elemento di terreno è saturo, come abbiamo visto risulta B = 1, per cui i parametri A e Ā=A·B coincidono. Per un dato terreno, il loro valore non è unico, come per il parame-tro B, ma dipende dallo stato tensionale iniziale e dall’incremento di tensione deviatorica.

0Grado di saturazione, Sr

Coe

ffici

ente

B d

i Ske

mpt

on

00.2

0.2

0.4 0.6 0.8 1.0

0.4

0.6

0.8

1.0

Figura 9.7 – Tipica variazione del coefficiente B di Skempton con il grado di saturazione Sr

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-9

Il valore assunto dal parametro A in condizioni di rottura è indicato con Af, che pertanto rappresenta il rapporto tra l’incremento di pressione interstiziale in condizioni non drenate a rottura, ∆uf, e il corrispondente valore dell’incremento di tensione deviatorica totale (∆σ1 – ∆σ3)f. Il valore di Af dipende da numerosi fattori, il principale dei quali è la storia tensionale, ovvero il grado di sovraconsolidazione OCR. Per le argille normalmente consolidate (OCR = 1) Af ha valori usualmente compresi tra 0,5 e 1, mentre per le argille fortemente sovraconsolidate (OCR > 4) Af assume valori negativi. In Figura 9.8 è mostrata una tipica va-riazione di Af con OCR per un’argilla. È importante notare il significato fisico di A, e riflettere sulle sue conseguenze nel comportamento meccanico delle opere geotecniche: un valore positivo di A significa che la pressione intersti-ziale nel terreno cresce con la tensione deviatorica totale, mentre al contrario se A è negativo la pressione interstizia-le decresce. Occorre tuttavia sottolinea-re il fatto che i valori di Af, generalmen-te riportati in letteratura e nei rapporti geotecnici di laboratorio, non possono essere utilizzati per valutare gli incre-menti di pressione interstiziale in con-dizioni di esercizio, poiché si riferisco-no a condizioni di tensione differenti.

9.5 Apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio

La resistenza al taglio dei terreni può essere determinata (o stimata) con prove di labora-torio e con prove in sito. Le due categorie di prove sono fra loro complementari, nel senso che presentano vantaggi e limiti di tipo opposto, come già è stato detto a proposito della determinazione sperimentale del coefficiente di permeabilità, e come sarà meglio chiarito in seguito quando si tratteranno le prove in sito. L’analisi dei risultati delle prove di laboratorio si presta bene allo studio delle leggi costi-tutive, poiché le condizioni geometriche, di vincolo e di drenaggio dei provini sono ben definite, il percorso di carico e/o di deformazione è imposto e controllato, il terreno su cui si esegue la prova è identificato e classificato. I principali limiti delle prove di laboratorio sono invece da ricercarsi nella incerta rappresentatività del comportamento in sito, sia per il ridottissimo volume di terreno sottoposto a prova sia perché durante le operazioni di campionamento, trasporto, estrusione e preparazione dei provini si produce inevitabil-mente un disturbo tale che essi non sono mai nelle stesse condizioni in cui si trovavano in sito.

1Grado di sovraconsolidazione, OCR

Coe

ffici

ente

Adi

Ske

mpt

onf

-0.52 3 8 10 20

0

0.5

1.0

4 6

Figura 9.8 – Tipica variazione del coefficiente Af di Skempton con il grado di sovraconsolidazione OCR

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-10

Esistono molte apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resi-stenza al taglio dei terreni. In questa sede esamineremo soltanto le più semplici e diffuse: la prova di taglio diretto e le prove triassiali standard.

9.6 La prova di taglio diretto La prova di taglio diretto è la più antica, la più intuitiva e la più semplice fra le prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio dei terreni. Essa può essere e-seguita su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricosti-tuiti di terreni a grana fine. Una rappresentazione schematica della cella dell’apparecchiatura è mostrata in Figura 9.9. La prova si esegue su almeno tre provini, che in genere hanno sezione quadrata di lato 60÷100 mm e altezza 20÷40 mm. La dimensione massima dei grani di terreno deve essere alme-no 6 volte inferiore all’altezza del provino, per cui sono escluse le ghiaie e i ciottoli, salvo che non si disponga di apparecchiature spe-ciali, molto grandi. Il provino è inserito in un telaio metallico a sezione quadrata diviso in due parti da un piano orizzontale in corrispondenza della semialtezza, ed è verticalmente compreso tra due piastre metalliche nervate e forate, oltre ciascuna delle quali vi è una carta filtro ed una piastra di pietra porosa molto permeabile. Attraverso una piastra di carico è possibile distribuire uniformemente sulla testa del pro-vino una forza verticale di compressione. Il tutto è posto in una scatola piena d’acqua che può essere fatta scorrere a velocità prefissata su un’apposita rotaia. La metà superiore del telaio metallico è impedita di traslare da un contrasto collegato ad un anello dinamometri-co (per la misura delle forze orizzontali T applicate), cosicché il movimento della scatola produce la rottura per taglio del provino nel piano orizzontale medio. La prova si esegue in due fasi. Nella prima fase viene applicata in modo istantaneo e man-tenuta costante nel tempo una forza verticale N che dà inizio ad un processo di consolida-zione edometrica. Durante la prima fase si misurano gli abbassamenti nel tempo del provino, controllando in tal modo il processo di consolidazione e quindi il raggiungimento della pressione vertica-

le efficace media AN

n ='σ , essendo A la sezione orizzontale del provino. La durata della

prima fase dipende dalla permeabilità del terreno e dall’altezza del provino. Nella seconda fase si fa avvenire lo scorrimento orizzontale relativo, δ, a velocità costante fra le due parti del telaio producendo il taglio del provino nel piano orizzontale medio. Durante la fase di taglio si controlla lo spostamento orizzontale relativo e si misurano la forza orizzontale T(δ), che si sviluppa per reazione allo scorrimento, e le variazioni di al-

Figura 9.9 – Cella per la prova di taglio diretto

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-11

tezza del provino. La velocità di scorrimento deve essere sufficientemente bassa da non indurre sovrapressioni interstiziali. A tal fine la velocità può essere scelta in modo inver-samente proporzionale al tempo di consolidazione della prima fase. A titolo puramente indicativo, le velocità di scorrimento sono dell’ordine di 2 10-2 mm/s per terreni sabbiosi e di 10-4 mm/s per i terreni a grana fine. La prova va continuata fino alla chiara individuazione della forza resistente di picco Tf (Figura 9.10.a) o fino ad uno spostamento pari al 20% del lato del provino, quando non si possa individuare chiaramente un valore di picco della resistenza.

τ

σ

σ’

σ’

σ’

σ’

σ’

σ’

τ

τ

τ

τϕ’

Spostamento, δ

a)

3n

2n

1n

1n 2n 3n

1f

2f

3f

c’

b)

Figura 9.10 - Determinazione della resistenza a rottura, τf (a) e dei parametri di resistenza al ta-glio (b) da prova di taglio diretto.

La tensione efficace normale a rottura σ’n,f = σ’n e la tensione tangenziale media a rottura

sul piano orizzontale, A

Tff =τ ,3 sono le coordinate di un punto del piano di Mohr appar-

tenente alla linea inviluppo degli stati di tensione a rottura. Ripetendo la prova con differenti valori di N (almeno tre) si ottengono i punti sperimenta-li che permettono di tracciare la retta di equazione:

'tan'' φστ ⋅+= cf (Eq. 9.10) e quindi di determinare i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ (Figura 9.10b). I valori di N, e quindi di pressione verticale, devono essere scelti tenendo conto della ten-sione verticale efficace geostatica. I principali limiti della prova di taglio diretto sono: - l’area A del provino varia (diminuisce) durante la fase di taglio, - la pressione interstiziale non può essere controllata, - non sono determinabili i parametri di deformabilità, - la superficie di taglio è predeterminata e, se il provino non è omogeneo, può non

essere la superficie di resistenza minima.

3 In realtà l’area su cui distribuisce la forza resistente di picco Tf a rottura sarà inferiore a quella iniziale A per effetto dello scorrimento relativo delle due parti del provino.

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-12

Se la prova è condotta a velocità troppo elevate per consentire il drenaggio si ottiene una sovrastima di c’ e una sottostima di φ’. L’esecuzione di prove di taglio diretto “rapide non drenate” è fortemente sconsigliata, poiché la rapidità della prova non è comunque suffi-ciente a garantire l’assenza di drenaggio ed i risultati non sono interpretabili né in termini di tensioni efficaci né in termini di tensioni totali.

9.7 L’apparecchio e le prove triassiali standard Le prove triassiali standard sono eseguite, con modalità diverse, su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine per de-terminarne le caratteristiche di resistenza al taglio e di rigidezza. Nel seguito si considere-ranno solamente le prove di compressione su terreni saturi. Differenti modalità di prova (ad esempio per estensione) o prove su terreni non saturi sono possibili ma richiedono ap-parecchiature più complesse e, allo stato attuale, non sono di routine. In Figura 9.11 è rappresenta-to lo schema di un apparec-chio per prove triassiali stan-dard. I provini di terreno hanno forma cilindrica con rapporto altezza/diametro generalmente compreso tra 2 e 2.5. Il diametro è di norma 35 o 50mm. Poiché il diame-tro deve essere almeno 10 volte maggiore della dimen-sione massima dei grani, prove triassiali su terreni contenenti ghiaie o ciottoli non sono possibili salvo di-sporre di apparecchiature speciali di grandi dimensio-ni. Lo stato tensionale a cui è soggetto un provino durante una prova triassiale è di tipo assial-simmetrico e rimane tale durante tutte le fasi della prova, quindi le tensioni principali agiscono sempre lungo le di-rezioni assiale e radiali del provino. Il provino, la cui preparazione richiede procedure diverse a seconda della natura del terre-no, è appoggiato su un basamento metallico all’interno di una cella di perspex. Tra il ba-samento e il provino è posto un disco di materiale poroso molto permeabile, protetto da un disco di carta filtro che evita l’intasamento dei pori. Anche superiormente al provino è posto un disco di carta filtro ed una pietra porosa, sopra la quale è appoggiata una piastra circolare di carico. La superficie laterale del provino è rivestita con una membrana di lat-tice di gomma, molto flessibile ed impermeabile, stretta con guarnizioni di gomma (O-ring) al basamento inferiore ed alla piastra di carico superiore. Talvolta tra la superficie laterale del provino e la membrana di lattice di gomma sono poste strisce verticali di carta filtro. La cella di perspex è riempita d’acqua che può essere messa in pressione esercitan-do così uno stato di compressione isotropa sul provino.

Figura 9.11 – Cella per prove triassiali di tipo standard

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-13

Il provino risulta idraulicamente isolato dall’acqua interna alla cella di perspex, ma in col-legamento idraulico con l’esterno, poiché sia il basamento che la piastra di carico sono at-traversati da condotti collegati con sottili e flessibili tubi di drenaggio. La carta filtro di-sposta sulla superficie laterale del provino ha la funzione di facilitare il flusso dell’acqua dal provino all’esterno. I tubi di drenaggio possono essere anche utilizzati per mettere in pressione l’acqua contenuta nel provino (contropressione interstiziale o back pressure), o possono essere chiusi e collegati a strumenti di misura della pressione dell’acqua. Il tetto della cella è attraversato da un’asta verticale scorrevole (pistone di carico, Figura 9.11) che può trasmettere un carico assiale al provino attraverso la piastra di carico. In definitiva con l’apparecchio triassiale standard è possibile: o esercitare una pressione totale isotropa sul provino mediante l’acqua contenuta nella

cella; o fare avvenire e controllare la consolidazione isotropa del provino misurandone le

variazioni di volume, corrispondenti alla quantità di acqua espulsa o assorbita attra-verso i tubi di drenaggio;

o deformare assialmente il provino a velocità costante fino ed oltre la rottura misu-rando la forza assiale di reazione corrispondente;

o misurare il volume di acqua espulso o assorbito dal provino durante la compressio-ne assiale a drenaggi aperti;

o controllare le deformazioni assiali del provino, determinate dalla velocità di avan-zamento prescelta della pressa, durante la compressione assiale;

o misurare la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio (che si suppone eguale alla pressione interstiziale uniforme nei pori del provino) quando la compressione, isotropa o assiale, avviene a drenaggi chiusi,

o mettere in pressione l’acqua nei condotti di drenaggio, e quindi creare una eguale pressione interstiziale nel provino.

Nell’interpretare i risultati delle prove si ipotizza un comportamento deformativo isotropo del terreno. Le prove triassiali standard sono condotte secondo tre modalità: o prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID), o prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU), o prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU). Per ciascuno dei tre tipi di prova il provino è inizialmente saturato mediante la contempo-ranea applicazione di una tensione isotropa di cella e di una poco minore contropressione dell’acqua interstiziale4. In tal modo le bolle d’aria eventualmente presenti nel provino tendono a sciogliersi nell’acqua interstiziale. La verifica dell’avvenuta saturazione viene fatta mediante la misura del coefficiente B di Skempton: a drenaggi chiusi si incrementa la pressione di cella di una quantità ∆σ e si misura il conseguente aumento di pressione interstiziale, ∆u. Se il rapporto ∆u/∆σ, ovvero

4 Teoricamente la pressione di cella e la back pressure dovrebbero essere eguali, in modo da non produrre variazioni di tensione efficace. In pratica si applica una pressione di cella lievemente maggiore della con-tropressione interstiziale per evitare che si accumuli acqua fra la membrana e la superficie laterale del pro-vino.

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-14

il coefficiente B, risulta pari ad 1, il provino è saturo (in pratica si ritiene sufficiente B > 0.95), se invece risulta B < 0.95 il provino non è saturo. Pertanto, per favorire la satura-zione, si incrementano della stessa quantità i valori di pressione di cella e di contropres-sione interstiziale (in modo da mantenere costante la pressione efficace di consolidazio-ne), e si ripete la verifica dell’avvenuta saturazione eseguendo una nuova misura di B.

9.7.1 Prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID) Dopo avere eseguito la saturazione, la prova si svolge in due fasi. Nella prima fase il provino saturo è sottoposto a compressione isotropa mediante un in-cremento della pressione di cella, a drenaggi aperti fino alla completa consolidazione. La pressione di consolidazione, σ’c, è pari alla differenza fra pressione di cella (totale), σc, e contropressione interstiziale, u0. Il processo di consolidazione è controllato attraverso la misura nel tempo del volume di acqua espulso e raccolto in una buretta graduata, che vie-ne diagrammato in funzione del tempo (Figura 9.12). Nella seconda fase, ancora a drenaggi aperti, si fa avanzare il pistone a velocità costante e sufficientemente bassa da non produrre sovrapressioni interstiziali all’interno del provino. La velocità può essere scelta in modo inversamente proporzionale al tempo di consolida-zione della prima fase. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e sono misurate: - la forza assiale esercitata dal pi-

stone - la variazione di volume del pro-

vino. Tali misure permettono di calcolare, fino ed oltre la rottura del provino: - la deformazione assiale media,

εa, - la deformazione volumetrica

media, εv, (e quindi anche la de-formazione radiale media, εr = (εv – εa) / 2,

- la tensione assiale media, σa, (e quindi anche di tensione deviatorica media, σa – σr = σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale che rimane costante durante la prova).

I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura 9.13). Poiché durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc e la pressione inter-stiziale u0 rimangono costanti (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc) e poiché non si sviluppano sovrappressioni interstiziali, essendo la prova drenata, allora rimane co-stante anche la pressione radiale efficace, σ’r, che corrisponde alla tensione efficace prin-cipale minore (σ’r = σ’3), mentre cresce la tensione efficace assiale media, σ’a, che corri-sponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1).

Figura 9.12 – Variazione di volume di un provino che consolida in cella triassiale, in funzione del tempo

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-15

È dunque possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente al-lo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura (Figura 9.14).

La prova deve essere eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazio-ne.

σ’

σ − σ’ ’

ε

ε

a)

b)

a

a

v

r

3f 3c

2c

1c

σ’

σ’

σ − σ’ ’a r

a r(σ − σ’ ’ )

2fa r(σ − σ’ ’ )

1fa r(σ − σ’ ’ )

Figura 9.13 - Risultati di prove TxCID: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - εv

O

τ

σ’σ’f

ϕ’

σ’ =

σ σ’ = ’ σ’r c 3f 1f

Figura 9.14 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCID

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-16

I cerchi di Mohr a rottura dei tre provini sono tangenti alla retta di equazione: ( ) 'tan'''tan' φσφστ ⋅+=⋅−+= cucf (Eq. 9.11)

che rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figu-ra 9.15).

O

τ

σ’σ’f

ϕ’

c’

Figura 9.15 – Determinazione dei parametri di resistenza al taglio da prove triassiali TxCID e TxCIU

L’esecuzione della prova TxCID richiede un tempo tanto maggiore quanto minore è la permeabilità del terreno, ed è pertanto generalmente riservata a terreni sabbiosi o comun-que abbastanza permeabili.

9.7.2 Prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) Anche questa prova, una volta eseguita la saturazione, si svolge in due fasi, la prima delle quali è identica a quella della prova TxCID. Al termine della prima fase, e quindi a consolidazione avvenuta (ad una pressione di con-solidazione, σ’c, pari alla differenza fra la pressione di cella, σc, e la contropressione in-terstiziale, u0), vengono chiusi i drenaggi isolando idraulicamente il provino che, essendo saturo, non subirà ulteriori variazioni di volume. Nella seconda fase, a drenaggi chiusi e collegati a trasduttori che misurano la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio e quindi nei pori del provino, si fa avanzare il pistone a velocità costante, anche relativamente elevata. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e sono misurate: - la forza assiale esercitata dal pistone, - la variazione di pressione interstiziale all’interno del provino. Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo fino ed oltre la rottura del provi-no: - la deformazione assiale media, εa, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr =

σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale), - il coefficiente A di Skempton. I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura 9.16).

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-17

σ’

σ − σ’ ’

ε

∆u

a)

b)

a

a

r

3f 3c

2c

1c

σ’

σ’

σ − σ’ ’a r

a r(σ − σ’ ’ )

2fa r(σ − σ’ ’ )

1fa r(σ − σ’ ’ )

Figura 9.16 - Risultati di prove TxCIU: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - ∆u

In questo tipo di prova, durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc ri-mane costante (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc), mentre la pressione in-terstiziale u, inizialmente pari a u0, varia. Di conseguenza variano sia la tensione efficace assiale media, σ’a = σa – u, che corrisponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1), sia la pressione radiale efficace, σ’r = σc – u, che corrisponde alla tensione efficace principale minore (σ’r = σ’3), ed è possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente allo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura, sia in termini di tensioni totali che in termini di tensioni efficaci. Infatti, se si rappresentano i cerchi a rottura sul piano di Mohr in termini di tensioni totali e si traslano di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura, uf, si otten-gono i cerchi corrispondenti in termini di tensioni efficaci (Figura 9.17). La prova viene eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazione. La retta inviluppo dei cerchi di Mohr a rottura dei tre provini, in termini di tensioni effi-caci, che consente di ricavare i parametri c’ e φ’, ha equazione (9.11) e rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figura 9.15).

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-18

Se la prova è interpre-tata in termini di ten-sioni totali, il valore a rottura dello sforzo di

taglio, f

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

231 σσ

,

rappresenta la resi-stenza al taglio non drenata cu (Figura 9.17). Poiché i tre provini vengono consolidati sotto tre diversi valori di pressione, σ’c, ri-sultano diversi tra loro anche i valori di cu. Se il terreno è normalmente consolidato si ha c’ = 0 in termini di tensioni efficaci, mentre

in termini di tensioni totali il rapporto 'c

ucσ

è costante.

Per un dato terreno e a parità di pressioni di consolidazione, i risultati delle prove TxCIU, interpretati in termini di tensioni efficaci, sono sostanzialmente analoghi ai risultati delle prove TxCID. Pertanto esse sono generalmente riservate a terreni argillosi o comunque poco permeabili, per i quali l’esecuzione di prove TxCID richiederebbe tempi molto lun-ghi.

9.7.3 Prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU) È consigliabile che anche questa prova sia eseguita previa saturazione dei provini, sebbe-ne spesso ciò non avvenga. Anch’essa si svolge in due fasi. Nella prima fase, dopo avere chiuso i drenaggi, il provino è sottoposto a compressione i-sotropa portando in pressione il fluido di cella al valore assegnato di pressione totale σc. Se il provino è saturo, e quindi il coefficiente B di Skempton è pari ad 1, il volume del provino non varia e l’incremento della pressione di cella (totale) comporta un uguale au-mento della pressione interstiziale, mentre le tensioni efficaci non subiscono variazioni e quindi non varia la pressione efficace, σ’c. Nella seconda fase, a drenaggi ancora chiusi, si fa avanzare la pressa su cui si trova la cel-la triassiale a velocità costante, anche piuttosto elevata. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, ed è misurata la forza assiale esercitata sul provino, mentre di norma non è misurato l’incremento di pressione interstiziale. Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo, fino ed oltre la rottura del pro-vino: - la deformazione assiale media, εa, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr =

σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale).

τ

σ’,σσ’f σ’ σ’σ σ

u

c

Cerchio di Mohr in tensioni efficaci

u

3f 3f 1f 1f

f

Cerchio di Mohr in tensioni totali

Figura 9.17 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCIU

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-19

La prova viene eseguita su almeno tre provini a diffe-renti pressioni totali di cella. Poiché la pressione efficace di consolidazione dei tre provini è la stessa, i cerchi di Mohr a rottura dei tre provini nel piano delle tensioni totali avran-no lo stesso diametro e quindi saranno inviluppati da una retta orizzontale di equazione (Figura 9.18):

Se si misurasse la pressione interstiziale a rottura per i tre provini e si traslassero i cerchi di Mohr di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura per ciascuno di essi, si otterrebbero cerchi coincidenti in termini di tensioni efficaci. Le prove TxUU sono di norma eseguite su provini ricavati da campioni “indisturbati” di terreno a grana fine, e la resistenza al taglio in condizione non drenate, cu, che si ricava dalle prove è dipendente, a parità di terreno, dalla pressione efficace di consolidazione in sito. Occorre tuttavia tenere presente che durante le operazioni di prelievo, trasporto, estrazio-ne dalla fustella, formazione dei provini, il terreno subisce comunque un disturbo inelimi-nabile. In particolare, anche se il campione fosse prelevato con la massima cura, non è fisicamen-te possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deforma-tivo del campione in sito. Si consideri infatti lo stato di tensione di un elemento di argilla satura in sito, le tensioni geostatiche, nelle solite ipotesi assialsimmetriche, sono:

0'000

'00

0'00

uKu

u

vhh

vv

+⋅=+=

+=

σσσ

σσ (Eq. 9.13)

Dopo l'estrazione, a pressione atmosferica, le tensioni totali si annullano. Ciò equivale ad applicare incrementi di tensione totale eguali e contrari alle tensioni totali preesistenti, ovvero:

)()(

)(

0'000

'0

0'0

uKu

u

vhh

vv

+⋅−=+−=∆

+−=∆

σσσ

σσ (Eq. 9.14)

La pressione interstiziale diviene negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica), e assume il valore:

00 <∆+= uuu (Eq. 9.15)

τ

σ’f σ’ σσ’ σ

u

c

Cerchi di Mohr in tensioni efficaci

u

3f

f

3f1f 1f

Cerchi di Mohr in tensioni totali

σ’,σ

Figura 9.18 – Risultati di prove TxUU su provini saturati e a dif-ferenti pressioni totali di cella (σc)i

uc=τ (Eq. 9.12)

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-20

La variazione di pressione interstiziale ∆u può essere stimata con la relazione di Skem-pton (1954):

( )[ ]hvh ABu σσσ ∆−∆⋅+∆⋅=∆ (Eq. 9.16) Se l'argilla è satura B = 1, dunque risulta:

( ) ( ) ( ) ( )[ ]=+⋅++−⋅++⋅−=−⋅+= 0'0v00

'0v0

'0v0hvh uKuAuKAu σσσσ∆σ∆σ∆∆

[ ] 00'0v uA)A1(K −+−⋅⋅−= σ (Eq. 9.17)

Dunque la pressione interstiziale u dopo l’estrazione vale:

( )[ ] 010'00 <+−⋅⋅−=∆+= AAKuuu vσ (Eq. 9.18)

Il valore del parametro A (che varia con la deformazione) è quello che corrisponde al ter-mine del processo di estrazione ed è differente dal valore a rottura Af. Dopo l'estrazione lo stato tensionale del campione è molto variato: - le pressioni totali sono nulle, - le pressioni efficaci sono isotrope e pari a:

[ ]AAKu vhv +−⋅⋅=−== )1(0'0

'' σσσ (Eq. 9.19) Poiché la tensione geostatica efficace media vale:

( )3

21 0'0

' Kvm

⋅+⋅= σσ (Eq. 9.20)

eguagliando le equazioni (9.19) e (9.20) si verifica che la pressione isotropa efficace in prova TxUU corrisponde alla tensione geostatica efficace media in sito, e quindi che la resistenza al taglio non drenata di prova corrisponde con buona approssimazione alla resi-stenza al taglio non drenata in sito, per A = 1/3. Nel campione di argilla estruso la tensione interstiziale negativa (suzione) produce un gradiente idraulico dall'esterno verso il centro, e una filtrazione che altera il contenuto in acqua locale. La parte interna del campione può avere contenuto in acqua anche del 4% superiore alla parte più superficiale. In un terreno saturo contenuto in acqua e indice dei vuoti sono proporzionali, dunque non è fisicamente possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deformativo del campione in sito. Se i provini di terreno sono sottoposti a prova TxUU senza averli preventivamente satura-ti, l’applicazione della pressione di cella, anche se a drenaggi chiusi, determina un incre-mento delle pressioni efficaci (essendo B<1), una riduzione di volume, poiché l’aria con-tenuta nei vuoti è molto compressibile, e un aumento del grado di saturazione. L’inviluppo a rottura, in termini di tensioni totali, risulterà curvilineo per basse pressioni di confinamento e orizzontale per le pressioni più elevate, per le quali il terreno risulterà saturo (Figura 9.19).

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-21

τ

σ Figura 9.19 - Risultato di prove TxUU su provini non saturati

9.7.4 Prova di compressione semplice o prove di compressione con espansione laterale libera (ELL). La prova di compressione con espansione laterale libera può essere eseguita solo su terre-ni a grana fine. I provini hanno la forma e le dimensioni dei provini per le prove triassiali. La prova consiste nel produrre la rottura del provino per compressione assiale mediante un pistone fatto avanzare a velocità costante e piuttosto elevata. Il provino non è avvolto da membrana e non è compresso in direzione radiale. Durante l’esecuzione della prova si controlla nel tempo la variazione di altezza del provi-no e si misura la forza assiale esercitata dal pistone.

Il cerchio di Mohr a rottura nel piano delle tensioni to-tali è tangente all’origine degli assi, in quanto la ten-sione totale principale mi-nore è nulla (ovvero è la pressione atmosferica) (Fi-gura 9.20). Sebbene non vi sia alcuna barriera fisica (membrana) che impedisca il drenaggio, l’elevata velocità di defor-mazione e la ridotta perme-abilità del terreno fanno sì che le condizioni di prova siano praticamente non drenate, per cui il risultato

che si ottiene è lo stesso che si avrebbe con una prova TxUU su un provino non saturato e a pressione di cella pari a zero. La pressione assiale totale media a rottura è indicata con qu, e nell’ipotesi di terreno satu-ro, e quindi di inviluppo a rottura in termini di tensioni totali rettilineo e orizzontale, risul-ta:

uu cq ⋅= 2 (Eq. 9.21)

O

τ

σσ’f

c = q /2

q

u u

u

Figura 9.20 – Cerchio di Mohr a rottura per prova di compres-sione con espansione laterale libera

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-22

I principali vantaggi della prova consistono nella sua rapidità e semplicità di esecuzione, e quindi nel suo basso costo.

9.8 Resistenza al taglio di terreni a grana grossa I terreni a grana grossa saturi non cementati non hanno coesione per cui sono spesso indi-cati col termine “terreni incoerenti”. Le sabbie parzialmente sature possono presentare una debole coesione apparente (che consente di costruire i castelli di sabbia). Le sabbie e le ghiaie cementate hanno coesione. Con le usuali tecniche di campionamento non è quasi mai possibile prelevare nei terreni a grana grossa non cementati, campioni idonei alla preparazione di provini “indisturbati” per prove meccaniche di laboratorio. Pertanto i risultati delle prove di laboratorio, anche se condotte su provini di sabbia ricostituiti alla stessa densità del terreno in sito, non sono rappresentativi del comportamento meccanico del terreno naturale in sito. Di norma si ri-tiene più affidabile stimare la resistenza al taglio di sabbie e ghiaie in sito sulla base dei risultati di prove in sito. Le prove di laboratorio sono tuttavia utili sia per determinare la resistenza al taglio di ter-reni sabbiosi da impiegare come materiale da costruzione, sia per lo studio delle leggi co-stitutive. Durante una prova di resistenza meccanica di laboratorio (ad esempio di taglio diretto o triassiale drenata), il comportamento di due provini della stessa sabbia ma con differente indice dei vuoti (ovvero con differente densità relativa) può essere sensibilmente diverso. In Figura 9.21 sono qualitativamen-te mostrati i diversi comportamenti di un provino di sabbia sciolta e di un provino della stessa sabbia ma più addensato, sottoposti ad una prova triassiale drenata alla stessa pressione di confinamento. Il provino di sabbia sciolta presenta al crescere della deformazione as-siale εa: - un graduale aumento della resi-

stenza mobilizzata (σ’1-σ’3) fino a stabilizzarsi su un valore mas-simo che rimane pressoché co-stante anche per grandi deforma-zioni,

- una progressiva e graduale dimi-nuzione del volume (e quindi dell’indice dei vuoti) con tenden-za a stabilizzarsi su un valore minimo, cui corrisponde un indi-ce dei vuoti critico, ecrit, che ri-mane pressoché costante anche per grandi deformazioni.

σ − σ’ ’

ε

ε

e

e

a)

Sabbia densa

Sabbia densa

1

crit

3

a

a

Sabbia sciolta

Sabbia sciolta

b)

Figura 9.21 – Comportamento meccanico di due pro-vini della stessa sabbia diversamente addensati in pro-va TxCID per eguale pressione efficace di confinamen-to

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-23

Il provino di sabbia densa, invece, presenta al crescere della deformazione assiale εa: - una curva di resistenza con un massimo accentuato, corrispondente alla condizione di

rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni, pressoché eguale al valore di re-sistenza mostrato dal provino di sabbia sciolta,

- una iniziale, piccola diminuzione di volume (e quindi di indice dei vuoti), seguita da un’inversione di tendenza per cui l’indice dei vuoti supera il valore iniziale e tende allo stesso valore di indice dei vuoti critico, ecrit.

In sostanza, il provino di sabbia densa, rispetto a quello di sabbia sciolta: - è più rigido, - ha una maggiore resistenza di picco, - ha eguale resistenza residua, - aumenta di volume per grandi deformazioni, mentre il provino di sabbia sciolta dimi-

nuisce di volume, - ha lo stesso indice dei vuoti critico, ovvero la stessa densità relativa per grandi defor-

mazioni. Un modello semplice e intuitivo che può giustificare il diverso comportamento deforma-tivo volumetrico è il seguente. Consideriamo un insieme di sfere eguali e a contatto. La disposizione che corrisponde al massimo indice dei vuoti è quella in cui i centri delle sfere sono i nodi di un reticolo cubico. La disposizione che corrisponde al minimo indice dei vuoti è quella in cui i centri delle sfere sono i nodi di un reticolo tetraedrico. Nel primo caso lo scorrimento fra due parti dell’insieme implica una dimi-nuzione di volume, nel secondo caso un aumento, come si può osservare dalla Figu-ra 9.22. Il valore dell’indice dei vuoti critico, che di-scrimina fra comportamento deformativo volumetrico dilatante e contrattivo, non è però una caratteristica del materiale ma dipen-de dalla pressione efficace di confinamento, per cui un provino di sabbia di una data den-sità relativa può avere comportamento dilatante a bassa pressione efficace di confinamen-to e contrattivo ad alta pressione efficace di confinamento. Per una sabbia che presenta un massimo nelle curve tensioni – deformazioni si possono definire due diverse rette di inviluppo della resistenza, ovvero due angoli di resistenza al taglio: l’angolo di resistenza al taglio di picco (a rottura), ϕ’P, e l’angolo di resistenza al taglio residuo (per grandi deformazioni), ϕ’R

5 (Figura 9.23). A seconda del problema geotecnico in studio, l’ingegnere dovrà scegliere di utilizzare l’uno o l’altro valore.

5 L’angolo di resistenza residuo può essere determinato in laboratorio con prove di taglio diretto con più ci-cli di carico e scarico, poiché la semplice corsa della scatola di taglio non è sufficiente a produrre grandi spostamenti.

T

T

- V/V∆

N

N

Figura 9.22 - Modello per spiegare il compor-tamento deformativo volumetrico dei mezzi granulari

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-24

Figura 9.23 – Resistenza al taglio di picco e residua di una sabbia densa

I principali fattori che influenzano, in misura quantitativamente diversa, l’angolo di resi-stenza al taglio di picco dei terreni sabbiosi sono: - la densità, - la forma e la rugosità dei grani, - la dimensione media dei grani, - la distribuzione granulometrica. Orientativamente il peso relativo dei fattori sopraelencati sul valore dell’angolo di resi-stenza di picco di un terreno incoerente è indicato in Tabella 9.1.

Tabella 9.1: Peso relativo dei fattori che influenzano il valore dell’angolo di resistenza al taglio di picco ϕ’ di un terreno a grana grossa

ϕ’ = 36° + ∆φ’1 + ∆φ’2 + ∆φ’3 + ∆φ’4 Densità ∆φ’1 sciolta

media densa

- 6° 0°

+ 6° Forma e rugosità dei grani ∆φ’2 spigolo vivi

media arrotondati molto arrotondati

+ 1° 0°

- 3° - 5°

Dimensione dei grani ∆φ’3 sabbia ghiaia fine ghiaia grossa

0° + 1° + 2°

Distribuzione granulometrica ∆φ’4 uniforme media distesa

- 3° 0°

+ 3°

9.9 Resistenza al taglio di terreni a grana fine I terreni a grana fine (limi e argille) saturi e normalmente consolidati, alle profondità di interesse per le opere di ingegneria geotecnica, presentano di norma indice di consistenza,

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Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9-25

Ic < 0.5 e coesione efficace c’ = 0. La curva tensioni-deformazioni presenta un andamen-to monotono con un graduale aumento della resistenza mobilizzata fino a stabilizzarsi su un valore massimo che rimane pressoché costante anche per grandi deformazioni, analogo a quello mostrato in Figura 9.13, dove il valore massimo della resistenza raggiunto cresce al crescere della pressione efficace di confinamento.

L’angolo di resistenza al taglio ϕ’ è inferiore a quello dei terreni a grana grossa e dipende dai mi-nerali argillosi costituenti e quindi dal contenuto in argilla, CF, e dall’indice di plasticità, IP (Figura 9.24). I terreni a grana fine so-vraconsolidati presentano di norma indice di consi-stenza, Ic > 0,5, coesione efficace c’ > 0.

La curva tensioni-deformazioni presenta un massimo accentuato, corrispondente alla con-dizione di rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni. A parità di pressione effi-cace di confinamento la resistenza al taglio di picco dei terreni a grana fine cresce con il grado di sovraconsolidazione; a parità del grado di sovraconsolidazione e per lo stesso ti-po di terreno, la resistenza al taglio di picco cresce al crescere della pressione efficace di confinamento, mentre il picco nella curva sforzi-deformazioni risulta sempre meno accen-tuato fino ad ottenere un andamento monotono, tipico di terreni normalconsolidati. L’angolo di resistenza al taglio residuo è indipendente dalla storia dello stato tensionale, e quindi dal grado di sovraconsolidazione, OCR.

Figura 9.24 – Dipendenza dell’angolo di resistenza al taglio delle argille dall’indice di plasticità

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

CAPITOLO 10 TERRENI INSATURI

10.1 Richiami

Nel Capitolo 1 abbiamo visto che:

- I terreni sono mezzi particellari costituiti da una fase solida (le particelle minerali), da una fase liquida (generalmente acqua, ma talvolta anche altri liquidi) e da una fase gas-sosa (generalmente aria e vapor d’acqua ma talvolta anche altri gas).

- Le molecole d’acqua possono essere libere di muoversi nei vuoti interparticellari (ac-qua interstiziale) oppure essere aderenti alla superficie delle particelle solide di terreno a causa di legami elettrochimici (acqua adsorbita).

- In un deposito di terreno naturale, sede di falda freatica, si riconoscono zone a diffe-rente grado di saturazione. In particolare, procedendo dal piano campagna verso il bas-so, si distingue la zona vadosa, sopra falda, che a sua volta si suddivide in zona di eva-potraspirazione, zona di ritenzione e frangia capillare, e la zona sotto falda. Se i vuoti nel terreno sono fra loro comunicanti (come avviene quasi sempre), il terreno nella zo-na sotto falda è saturo d’acqua, mentre quello nella zona vadosa può essere saturo, par-zialmente saturo o secco.

- La pressione dell’acqua sotto la falda freatica è superiore alla pressione atmosferica, mentre sopra il livello di falda è inferiore alla pressione atmosferica.

10.2 Capillarità

Se l’acqua nel terreno fosse soggetta alla sola forza di gravità, il terreno so-prastante il livello di falda sarebbe completamente asciutto, salvo per l’acqua adsorbita e per l’acqua di per-colazione delle precipitazioni atmosfe-riche, mentre in realtà esso è saturo fi-no ad una certa altezza al di sopra del livello di falda e parzialmente saturo nel tratto superiore.

Figura 10.1: Risalita capillare in un tubo di vetro

Per comprendere le cause di tale fe-nomeno è utile introdurre il concetto di capillarità.

Se si immerge l’estremità di un tubo di vetro di piccolo diametro nell’acqua, si può osservare che l’acqua risale nel tubo fino ad un’altezza che dipende dal diametro del tubo, e che la superfi-

10 -

1

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

cie di separazione fra l’acqua e l’aria nel tubo è concava (Figura 10.1).

La superficie di separazione aria-acqua, a causa di forze di attrazione molecolare, si com-porta come una membrana elastica in uno stato uniforme di tensione, soggetta a differenti pressioni dalla parte del liquido e dalla parte del gas.

La colonna d’acqua di altezza hc, detta altezza di risalita capillare, è come sostenuta dalla membrana (menisco) tesa sulla parete del tubo capillare.

Indicando con T [FL-1] il valore della tensione superficiale della membrana, con α l’angolo di contatto del menisco con la parete verticale del tubo, e con r il raggio del tubo capillare, per l’equilibrio in direzione verticale, si ha:

α⋅γ⋅⋅

= cosr

T2hw

c (Eq. 10.1)

La pressione dell’acqua nei punti 1 e 2 (Figura 10.1) è pari alla pressione at-mosferica, convenzionalmente assunta pari a zero, mentre nel tubo capillare la pressione dell’acqua è negativa (ovve-ro inferiore alla pressione atmosferica), varia linearmente con l’altezza e nel punto 3 assume il valore minimo uw = -hc γw. La forma concava del menisco, ovvero della superficie di separazione acqua-aria, è dovuta al fatto che la pressione atmosferica dell’aria, ua, è superiore alla pressione dell’acqua, uw, e quindi “gonfia” la membrana

La componente verticale T cosα della tensione superficiale determina uno stato di compressione assiale nel tubo di vetro, la componente radiale T⋅senα determina uno stato di com-pressione circonferenziale (Figura 10.2).

Con riferimento alla Figura 10.3 il caso (a) mostra la risalita capillare all’in-terno di un tubo di vetro pulito.

10 -

2

L’altezza hc relativa al caso (a) può non essere raggiunta a causa della limi-tata altezza del tubo capillare, come mostrato nel caso (b). Se il tubo di ve-tro non ha diametro costante ma pre-senta delle sbulbature, l’altezza di risa-

lita capillare è diversa a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento. Nel caso (c) si vede come la presenza di un bulbo di raggio maggiore di quello del tubo capil-

Figura 10.2: Compressione indotta dalla tensione superficiale

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

lare (r1 > r) limiti l’altezza di risalita hc; al contrario nel caso (d) il processo di svuotamen-to è controllato dal raggio r del tubo e non da quello r1 del bulbo.

Imbibizione

Essiccamento

Figura 10.3 - Effetti dell’altezza e del raggio sulla risalita capillare

Nei terreni avviene un fenomeno analogo. I vuoti costituiscono un sistema continuo di canali tortuosi e a sezione variabile lungo i quali l’acqua risale dal livello di falda fino ad altezze diverse, cosicché il terreno risulta saturo fino ad una certa altezza e parzialmente saturo nel tratto superiore. La tortuosità, la rugosità e la dimensione delle pareti dei canali nel terreno dipendono dalla natura, dalla forma, dalle dimensioni, dalla distribuzione gra-nulometrica e dallo stato di addensamento delle particelle solide di terreno. Questi stessi fattori, e in modo diverso a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento, determinano l’altezza di risalita capillare nel terreno. Il caso (e) di Figura 10.3 mostra le condizioni di un terreno imbibito per risalita capillare.

Un’espressione empirica approssimata dell’altezza di risalita capillare hc (in cm) nei ter-reni è la seguente:

10

Sc De

Ch

⋅= (Eq. 10.2)

in cui e è l’indice dei vuoti, D10 è il diametro efficace (in cm) e CS è una costante empirica dipendente dalla forma dei grani e dalle impurità delle superfici, il cui valore è compreso tra 0,1 e 0,5 cm2. Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare sono riportati in Tabella 10.1.

In un terreno parzialmente saturo sono possibili tre differenti condizioni di saturazione:

a) condizione di saturazione a isole d’aria, caratteristica di gradi di saturazione elevati (Sr > 85%), in cui la fase gassosa non è continua ma è presente in forma di bolle d’aria;

b) condizione di saturazione a pendolo, caratteristica di gradi di saturazione molto bassi, in cui la fase liquida non è continua ma è presente solo nei menischi in corrispondenza dei contatti interparticellari; in tale condizione l’acqua nelle zone di contatto fra i grani forma menischi in modo analogo a quanto avviene in un tubo capillare, producendo uno stato di compressione fra i grani (Figura 10.2).

10 -

3

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

c) condizione di saturazione mista, caratteristica di gradi di saturazione intermedi, in cui coesistono, in zone diverse del terreno, le due condizioni di saturazione precedenti.

Tabella 10.1: Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare

Terreno D10 (mm)

hc

(m)

Ghiaia 0,82 0,05

0,11 0,80

0,03 1,60

Sabbia

0,02 2,40

Limo 0,006 3,60

Argilla 0,001 >10,0

10.3 Suzione

I mezzi fluidi, acqua e aria, essendo privi di resistenza al taglio, sono caratterizzati da uno stato di tensione sferico.

Come già detto, in un terreno parzialmente saturo, a causa della tensione superficiale, la pressione dell’acqua nei pori (uw) risulta sempre inferiore alla pressione dell’aria nei pori (ua). La differenza tra la pressione dell’aria, che in condizioni naturali è pari alla pressione atmosferica, e la pressione dell’acqua nei pori è detta suzione di matrice:

s = (ua – uw) (Eq. 10.3)

dove:

uw < ua < 0, da cui s > 0

e posto ua = 0, risulta s = uw

Un terreno non saturo posto a contatto con acqua libera e pura a pressione atmosferica tende a richiamare acqua per effetto della suzione totale, ψ.

La suzione totale, ψ, ha due componenti: la prima componente è la suzione di matrice, s, di cui si è già detto, associata al fenomeno della capillarità, la seconda componente è la suzione osmotica, π, dovuta alla presenza di sali disciolti nell’acqua interstiziale e quindi alla differenza di potenziale elettro-chimico tra l’acqua interstiziale e l’acqua libera:

π+=ψ s (Eq. 10.4)

In definitiva (Figura 10.4):

- la suzione totale, ψ, è la pressione negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferi-ca) cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso

10 -

4

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

una membrana semipermeabile (permeabile cioè alle sole molecole d’acqua ma non ai sali) con l’acqua interstiziale;

- la suzione di matrice, s, è la pressione negativa cui deve essere soggetta una soluzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale, in modo da essere in equili-brio, attraverso una membrana permeabile con l’acqua interstiziale;

- la suzione osmotica, π, è la pressione negativa cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana semipermeabile con una so-luzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale.

Terreno insaturo,acqua con sali

Membranasemipermeabile

Flusso persuzione totale, Ψ

Acquapura

Terreno insaturo,acqua con sali

Membranasemipermeabile

Flusso persuzione di matrice, S

Acquacon sali

Acqua con sali

Membranasemipermeabile

Flusso persuzione osmotica, Π

Acquapura= +

Figura 10.4 –Componenti della suzione totale

La suzione osmotica è presente sia nei terreni saturi che nei terreni parzialmente saturi, e varia con il contenuto salino dell’acqua, ad esempio come conseguenza di una contamina-zione chimica, producendo effetti in termini di deformazioni volumetriche e di variazioni di resistenza al taglio

Tuttavia la maggior parte dei pro-blemi di ingegneria geotecnica che coinvolgono terreni non saturi sono riferibili a variazioni della suzione di matrice, come ad esempio gli ef-fetti della pioggia sulla stabilità dei pendii o sui cedimenti delle fonda-zioni superficiali.

Contenuto d’acqua, w (%)

Suzione totale

Suzi

one

(kPa

)

Suzione di matriceSuzione osmotica

Suzione di matrice + osmotica

In Figura 10.5 sono messe a con-fronto le variazioni di suzione tota-le, ψ, suzione di matrice, s, e suzio-ne osmotica, π, con il contenuto in acqua, w, di un’argilla: si osserva che π rimane pressoché costante al variare di w, e quindi per un asse-

Figura 10.5 - Misure della suzione totale, osmotica e di matrice su un argilla compatta

10 -

5

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

gnata variazione di contenuto in acqua ∆w si ha ∆ψ ≈ ∆s.

10.4 Misura della suzione

Per la misura della suzione di matrice in sito si utilizzano i tensiometri. Il tensiometro è composto da un tubo avente ad una estremità una punta in materiale ceramico poroso, ed all’altra un serbatoio sigillato contenente acqua. La punta del tensiometro è infissa nel ter-reno (Figura 10.6). L’acqua contenuta nel tubo, per effetto della suzione, filtra attraverso la ceramica porosa e determina una depressione nel serbatoio dell’acqua, rilevabile con un manometro. La pressione di equilibrio del sistema corrisponde alla suzione nel terreno.

Figura 10.6 – Modalità di installazione di un tensiometro: per profondità fino a 1.5 m (A) e mag-giori di 1.5 m (B)

Il metodo è semplice, ma il campo di misura della suzione è limitato a circa 80-90 kPa dalla possibilità di cavitazione dell’acqua nel tensiometro.

Esistono diverse tecniche di misura della pressione negativa dell’acqua (manometri ac-qua-mercurio, trasduttori elettrici di pressione, etc..), poiché in generale gli strumenti di maggiore sensibilità hanno tempi di risposta più lunghi.

10.5 Curve di ritenzione

La curva di ritenzione idrica (SWRC = Soil Water Retention Curve) definisce la relazio-ne fra la suzione di matrice e una misura della quantità di acqua presente nel terreno, che può essere opportunamente scelta fra:

- il contenuto d’acqua in peso: ( ) 100PP

%ws

w ⋅=

- il contenuto d’acqua in volume: nSV

Vr

w ⋅==θ

10 -

6

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

- il grado di saturazione: ( ) 100VV

%Sv

wr ⋅=

La curva di ritenzione idrica è generalmente rappresentata in un piano semilogaritmico, avente in ascissa il valore della suzione e in ordinata il valore della variabile di misura della quantità d’acqua nel terreno.

La forma tipica di una SWRT è rappresentata in Figura 10.7. Al crescere della suzione si individuano tre differenti parti della curva.

Nella prima parte (boundary effect zone), per i valori più bassi di suzione, il terreno è sa-turo e un aumento di suzione non produce diminuzioni significative del grado di satura-zione. La prima parte ha termine per quel valore della suzione che corrisponde alla for-mazione delle prime bolle d’aria nei pori più grandi del terreno. Tale valore, detto “di en-trata dell’aria” (air-entry value), è indicato con il simbolo (ua – uw)b, o anche ψb.

Nella seconda parte, detta di transizione (transition zone), al crescere della suzione la quantità d’acqua nel terreno si riduce sensibilmente e la fase liquida diviene discontinua. Nella terza parte infine, detta residua di non saturazione (residual zone of unsaturation), a grandi incrementi di suzione corrispondono piccole riduzioni della quantità d’acqua nel terreno. Il valore della suzione corrispondente al passaggio dalla seconda alla terza parte della curva, ovvero alla quantità d’acqua residua, è indicato con il simbolo ψr.

Suzione (kPa)

Valore di entratadell’aria

Particelle

Acqua

Aria

Aria

ψb

Gra

do d

i sat

uraz

ione

, S (%

)r

ψr

Figura 10.7 – Curva di ritenzione idrica e differenti fasi di desaturazione

È stato osservato che, indipendentemente dall’ampiezza delle tre zone, tutti i terreni ten-dono ad un grado di saturazione zero per valore di suzione pari a circa 106 kPa (Figura 10.8).

10 -

7

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

Suzione (kPa)

Gra

do d

i sat

uraz

ione

, S (%

)r

Figura 10.8 – Curve di ritenzione idrica per 4 differenti tipi di terreno

La forma della curva di ritenzione dipende dalla dimensione dei pori e quindi dalla com-posizione granulometrica e dallo stato di addensamento del terreno.

I terreni a grana grossa (sabbie e ghiaie), che hanno pori interconnessi e di grandi dimen-sioni, sono caratterizzati da bassi valori di ψb e ψr, e da una curva ripida nella zona di transizione. I terreni a grana fine (argille), le cui particelle hanno elevata superficie speci-fica e quindi forti legami elettro-chimici con le molecole d’acqua, sono caratterizzati da alti valore della suzione di entrata dell’aria, ψb, e da una minore pendenza della curva di ritenzione nella zona di transizione. Inoltre, per i terreni argillosi, spesso non è definibile la quantità d’acqua residua, e quindi il valore di ψr.

Per la formulazione matematica delle curve di ritenzione idrica è spesso utilizzato il con-tenuto in acqua volumetrico normalizzato:

rs

r

θ−θθ−θ

=Θ (Eq. 10.5)

in cui

θs è il contenuto in acqua volumetrico corrispondente al terreno saturo, e

θr è il contenuto in acqua volumetrico residuo.

Se si assume θr = 0, risulta Θ = Sr.

Fra le numerose equazioni proposte per la modellazione delle curve di ritenzione idrica, le due seguenti richiedono la definizione di un solo parametro:

a) Equazione di Brooks e Corey (1964):

10 -

8

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

α−

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ψψ

=Θb

per 1b

≥ψψ

1=Θ per 1b

<ψψ

(Eq. 10.6)

il parametro α è un indice di distribuzione della dimensione dei pori con valori general-mente compresi tra 0,2 e 2.

b) Equazione di Van Genuchten semplificata (1978): m

m11

b

1

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ψψ

+=Θ (Eq. 10.7)

in cui il parametro m ha valori generalmente compresi tra 0,6 e 0,75.

Durante un processo di riduzione del contenuto in acqua dalle condizioni sature, e quindi di aumento della suzione, il terreno segue una curva di ritenzione, detta curva principale di essiccamento (main drying), diversa rispetto alla curva di ritenzione che il terreno se-gue nel processo inverso di aumento del contenuto in acqua, e quindi di riduzione della suzione. Quest’ultima curva, detta curva principale di imbibizione (main wetting), non raggiunge la completa saturazione del terreno, perché una certa quantità di aria (residual air content) rimane comunque intrappolata nei vuoti del terreno (Figura 10.9).

Le due curve principali delimitano i possibili stati del terreno. I percorsi da una all’altra delle curve principali (scanning curves) sono pressoché reversibili.

Suzione (kPa)

Gra

do d

i sat

uraz

ione

, S (%

)r

Valore di entratadell’aria

Curva principaledi essiccamento

Contenuto d’ariaresiduo

Curva principaledi imbibizione

Figura 10.9 – Curve principali di essiccamento e di imbibizione per un argilla in termini di grado di saturazione

10 -

9

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

10.6 Flusso dell’acqua nei terreni non saturi

Come abbiamo già visto nel Capitolo 3, il flusso dell’acqua nei terreni (saturi e non satu-ri) è determinato dalla differenza di altezza idraulica, o altezza totale h:

g2vu

zh2

w

w

⋅+

γ+= (Eq. 10.8)

in cui z è l’altezza geometrica, uw/γw è l’altezza di pressione, e v2/2g è l’altezza di velocità (di norma trascurabile). Con riferimento alla Figura 10.10 l’altezza totale del punto A è maggiore dell’altezza totale del punto B, e quindi l’acqua si muoverà da A verso B in ra-gione del gradiente idraulico fra i due punti.

Piezometro

( > 0)

( < 0)

B

zB

u /w wγ

u /w wγ

z = 0

p.c.

A

Tensiometro

zA

hB

hA

Figura 10.10 - Gradiente di carico in un terreno non saturo

Nei terreni non saturi, come nei terreni saturi, vale la legge di Darcy, ma il coefficiente di permeabilità è fortemente dipendente dalla suzione:

( ))(kk)(k

ikv

rs ψ⋅=ψ⋅ψ=

(Eq. 10.9)

in cui:

ks è il coefficiente di permeabilità (all’acqua) del terreno saturo, e

kr(ψ) è la conducibilità idraulica relativa, adimensionale, con valori compresi tra 0 e 1.

Alcune delle equazioni proposte per descrivere analiticamente la variazione della condu-cibilità idraulica relativa con la suzione o con il contenuto volumetrico in acqua sono le seguenti:

a) modello esponenziale (Gardner, 1958)

( ) )aexp(k r ψ⋅=ψ (Eq. 10.10)

in cui a è un coefficiente con valori compresi tra 0,002cm-1 (terreni a grana fine) e 0,05cm-1 (terreni a grana grossa);

10 -

10

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

b) modello di Gardner (1958)

( )( )nr a11k

ψ−⋅+=ψ (Eq. 10.11)

c) modello di Davidson et al. (1969)

( ) ( )]exp[k sr θ−θ⋅β=ψ (Eq. 10.12)

d) modello di Mualem (1976) e Van Genuchten (1978)

( )2m

m1

5,0r 11k

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛Θ−−⋅Θ=Θ (Eq. 10.13)

Nelle Figure 10.11a e 10.11b sono rappresentate le curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua e del coefficiente di permeabilità con la suzione per tre differenti terreni.

b)a)

Figura 10.11 - Curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua (a) e del co-efficiente di permeabilità (b) con la suzione per tre differenti terreni.

10.7 Resistenza al taglio di terreni non saturi

Vi sono due differenti approcci per stimare la resistenza al taglio di un terreno non saturo. Il primo utilizza la definizione di tensione efficace per terreni non saturi, σ’, originaria-mente proposta da Bishop (1959):

( ) ( )waa uuu' −⋅χ+−σ=σ (Eq. 10.14)

10 -

11

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

in cui:

ua pressione dell’aria nei pori,

uw pressione dell’acqua nei pori,

(ua – uw) suzione di matrice,

χ parametro che assume il valore 1 per terreno saturo e il valore 0 per terreno secco.

Secondo tale approccio, la resistenza al taglio di terreni non saturi può essere determinata, come per i terreni saturi, sulla base di due parametri di resistenza al taglio efficace, c’ e φ’, e di una unica variabile di tensione, σ’, nel modo seguente:

( )[ ] 'tanuu)u('c waaf φ⋅−⋅χ+−σ+=τ (Eq. 10.15)

Il parametro χ può essere stimato con l’equazione (Khalili e Khabbaz, 1998):

1=χ per ( ) ( )bwawa uuuu −≤−

( )( )

55,0

bwa

wa

uuuu

⎥⎦

⎤⎢⎣

−−

=χ per ( ) ( )bwawa uuuu −>− (Eq. 10.16)

in cui (ua – uw)b corrisponde al valore della suzione di matrice per il quale si iniziano a formare bolle d’aria nel terreno (air entry value).

Un diverso approccio è quello di Fredlund e Rahardjo (1993), secondo il quale la resi-stenza al taglio dei terreni non saturi è funzione di tre parametri di resistenza e di due va-riabili di tensione, nel modo seguente:

( ) ( ) bwa

'a

'f tanuutanuc φ⋅−+φ⋅−σ+=τ (Eq. 10.17)

in cui φb è l’angolo di resistenza al taglio per variazione di suzione di matrice, (ua – uw), inferiore all’angolo di resistenza al taglio, φ’, associato alla variazione di tensione norma-le netta (σ – ua).

La resistenza al taglio non varia linearmente con la suzione, ovvero l’angolo φb non è co-stante ma decresce al crescere della suzione. La determinazione sperimentale dell’(Eq. 10.17) richiede l’esecuzione di prove di laboratorio sofisticate, costose, inusuali e molto lunghe, specie per terreni a grana fine il cui coefficiente di permeabilità è molto basso. Inoltre la variabilità di tanφb con la suzione richiede che le prove siano eseguite nel cam-po di tensione atteso in sito. Pertanto, per evitare la determinazione sperimentale diretta, sono state proposte relazioni empiriche per la stima indiretta di tanφb.

Öberg e Sällfors proposero di stimare il valore di tanφb per limi e sabbie insature nel mo-do seguente:

'tanStan rb φ=φ (Eq. 10.18)

10 -

12

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Capitolo 10 TERRENI INSATURI

Vanapalli et al. proposero di stimare il valore di tanφbcon la seguente relazione:

Θ⋅φ=φ 'tantan b (Eq. 10.19)

L’equazione (10.17) rappresenta un piano tangente ai cerchi di Mohr a rottura (Figura 10.12).

Figura 10.12 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb generalizzato per i terreni non saturi

L’intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ, è una curva rap-presentata in Figura 10.13 (la curva è una retta se si assume tanφb = cost) di equazione:

σ-ua

τ

c’

c’

b

b

b(u -u ) tga w f

φSu

zione

di m

atrice

, (u

-u)

aw

φ

φ’

φ’

φ

( ) bwa

' tanuucc φ⋅−+= (Eq. 10.20)

Figura 10.13 –Intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ

b

b

c = c’+ (u -u ) tga w f

φ

(u -u ) tga w f 2

φ

(u -u )a w f 1

(u -u )a w f 2

(u -u )a w f 3

τ

c’

Suzione di matrice, (u -u )a w

c1

c2

c3

10 -

13

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

CAPITOLO 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11.1 Percorsi tensionali (stress paths)

11.1.1 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani s’-t e s-t

Lo stato tensionale in un punto di un mezzo continuo solido in condizioni assialsimmetri-che, come è stato mostrato nel Capitolo 9, è rappresentato nel piano di Mohr (σ, τ) da un cerchio avente il centro sull’asse delle ascisse (Figura 11.1a). Se si considera un sistema piano di assi cartesiani in cui l’asse delle ascisse è il parametro di tensione:

( )2

s 31 σ+σ= (Eq. 11.1)

e l’asse delle ordinate è il parametro di tensione:

( )2

t 31 σ−σ= (Eq. 11.2)

al cerchio nel piano di Mohr corrisponde biunivocamente un punto A nel nuovo sistema di riferimento (Figura 11.1b). Sovrapponendo i due sistemi di riferimento il punto A coin-cide con il vertice del cerchio di Mohr. Il vantaggio di tale rappresentazione consiste nel fatto che è possibile, mediante una linea continua nel piano s-t, rappresentare una succes-sione continua di stati tensionali, ovvero un percorso tensionale. Il vertice del cerchio di Mohr sta al percorso tensionale come un fotogramma sta ad un filmato.

Nel caso dei terreni i percorsi tensionali possono essere definiti con riferimento sia alle tensioni totali (TSP = Total Stess Path) sia alle tensioni efficaci (ESP = Effective Stress Path).

Applicando il principio delle tensioni efficaci si ha:

s = s’ + u e t = t’ (Eq. 11.3)

Utilizzando i percorsi tensionali è possibile descrivere la successione continua nel tempo degli stati tensionali totali ed efficaci di un provino di terreno durante l’esecuzione delle prove geotecniche assialsimmetriche standard di laboratorio che sono state descritte nei capitoli precedenti.

a) I percorsi tensionali totale (TSP) ed efficace (ESP) di compressione e consolidazione isotropa (prima fase delle prove triassiali TxCID e TxCIU) sono rappresentati da segmenti rettilinei sull’asse delle ascisse (t = 0). Per semplicità di esposizione si sup-pone che gli stati tensionali iniziali totale ed efficace, rispettivamente rappresentati dai punti A e A’, siano isotropi e che la pressione interstiziale iniziale sia zero, cosicché i punti A ed A’ risultano coincidenti. Nel piano delle tensioni totali il segmento AB è percorso in modo istantaneo all’atto di applicazione dell’incremento di pressione iso-tropa di cella (Figura 11.2). Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è per-

11 – 1

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

corso nel tempo Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Al tempo T = Tc la distanza BB’ indica il valore della contropressione interstiziale BP (Back Pressure).

O

A

t

s

τ

σσ3

a)

σ1

(σ1-σ

3)/2

(σ1

+σ3)/2

b)

(σ1

+σ3)/2

O σ3

(σ1

+σ3)/2

A

O

Percorso tensionale

Figura 11.1: Corrispondenza fra i cerchi di Mohr e i punti nel piano s-t

b) I percorsi tensionali totale (TSP) ed efficace (ESP) di compressione e consolidazione isotropa (prima fase delle prove triassiali TxCID e TxCIU) sono rappresentati da seg-menti rettilinei sull’asse delle a-scisse (t = 0). Per semplicità di e-sposizione si suppone che gli stati tensionali iniziali totale ed efficace, rispettivamente rappresentati dai punti A e A’, siano isotropi e che la pressione interstiziale iniziale sia zero, cosicché i punti A ed A’ risul-tano coincidenti. Nel piano delle tensioni totali il segmento AB è percorso in modo istantaneo all’atto di applicazione dell’incremento di pressione isotropa di cella (Figura 11.2). Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Al tempo T = Tc la distanza BB’ indica il valore della contropressione interstiziale BP (Back Pressure).

A s,s’

t

B.P.

A’ B’ B

Figura 11.2 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione isotropa

c) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di terreno normal-mente consolidato sottoposto a prova di compressione e consolidazione edometrica a incrementi di carico sono mostrati in Figura 11.3. I punti A e A’, coincidenti, indicano gli stati tensionali, rispettivamente totale ed efficace, prima dell’applicazione dell’incremento di carico, ∆p. I punti B e B’, coincidenti, indicano gli stati tensionali, rispettivamente totale ed efficace, al termine del processo di consolidazione. Sia i punti A e A’ che i punti B e B’ appartengono alla retta K0, passante per l’origine degli assi ed avente equazione:

11 – 2

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

( )( ) 's

K1K1

t0

0 ⋅+−

=

(Eq. 11.4)

Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo T = Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Nel piano delle tensioni totali il segmento AC è percorso istanta-neamente all’at-to dell’applicazione dell’incremento di carico (T = 0), mentre il segmento CB è percorso nel tempo T = Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Ad un generico istante di tempo durante il processo di consolidazione i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace e totale sono rappresentati da due punti, V e V’, con la stessa ordinata, rispettivamente sul segmento A’B’ e CB, e la lo-ro distanza rappresenta il valore della pressione interstiziale.

A

B

s,s’

t

u(t)45°

TSP

∆ ∆s = p

( ) p1+k ∆

( ) p1-k ∆

( ) p1-k ∆2

2

2

ESP TSP

A’

B’

V’V

αk 0 0 0

= arctg[(1-K )/(1+K )]

(T = 0) (T = 0)

0

0 0

0

0

(T = T )c

C

∆s’ =

∆t =

∆s -∆s’ =

Figura 11.3 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione edometrica

11 – 3

d) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di terreno nella fase di compressione di una prova triassiale consolidata isotropi-camente e drenata (TxCID) sono mostrati in Figura 11.4. Durante la prova in condizioni drenate non in-sorgono sovrapressioni interstiziali e i percorsi ESP e TSP risultano coin-cidenti (o traslati di una quantità pari alla contropressione interstiziale ap-plicata), rettilinei ed inclinati di 45° rispetto all’asse orizzontale s’.

e) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di terreno nella fase di compressione di una prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) sono mostrati in Figura 11.5. Du-rante la prova in condizioni non drenate insorgono sovrapressioni interstiziali positive o negative in dipendenza del rapporto di sovraconsolidazione e del livello di deforma-zione. Il percorso TSP è rettilineo e inclinato di 45° rispetto all’asse orizzontale s. Il percorso ESP è invece curvilineo. Nelle Figure 11.5a e b sono qualitativamente mo-strati i percorsi tensionali TSP ed ESP per provini di argilla con differente rapporto di sovraconsolidazione. La distanza dei punti B e B’ corrispondenti agli stati di tensione

s,s’

t

45°

B.P.

B’

C’ C

B

ESP

TSP

Figura 11.4 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione drenata

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

isotropa iniziale rispettivamente totale ed efficace rappresenta la contropressione in-terstiziale BP. Per un provino normalmente consolidato (Figura 11.5a) la pressione in-terstiziale cresce durante la compressione ed il percorso ESP si allontana curvando progressivamente verso sinistra dal segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP (sovrappressione interstiziale sempre positiva e crescente).

Per un provino fortemente sovraconsolidato (Figura 11.5b) la pressione interstiziale durante la compressione inizialmente cresce e poi decresce, fino a valori inferiori a quello iniziale, il percorso ESP curvilineo si svolge inizialmente a sinistra e poi a de-stra del segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP.

s,s’

t

45°

B.P.∆u

B’

a)

C’ C

B

ESP

TSP

s,s’

t

45°

B.P.∆u

B’

b)

C’ C

B

ESP

TSP

Figura 11.5 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione non drenata: a) ter-reno normalmente consolidato; b) terreno fortemente sovraconsolidato.

11.1.2 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani p’-q e p-q

I percorsi tensionali che utilizzano i parametri di tensione s, s’ e t sopra introdotti hanno il vantaggio di essere immediatamente comprensibili, poiché è facile collegare ad un gene-rico punto del percorso tensionale il corrispondente cerchio di Mohr e, anche mentalmen-te, visualizzarlo. Tuttavia i parametri s, s’ e t non hanno un preciso significato fisico. Esi-stono altri modi, meno intuitivi ma più corretti, per rappresentare i percorsi tensionali as-sialsimmetrici. In particolare nel seguito saranno utilizzati i parametri invarianti di tensio-ne:

tensione media totale: 32p 31 σ⋅+σ

= (Eq. 11.5)

tensione media efficace: up32'p

'3

'1 −=

σ⋅+σ= (Eq. 11.6)

tensione deviatorica: 1'3

'131'qq σ−σ=σ−σ== (Eq. 11.7)

I parametri s, s’ e t ed i parametri p, p’ e q sono legati dalle seguenti relazioni biunivoche:

11 – 4

1 Per stati tensionali tridimensionali i parametri di tensione p, e q hanno la forma:

( )

( ) ( ) ( )[ ] 5,0213

232

221

321

21q

31p

σ−σ+σ−σ+σ−σ⋅=

σ+σ+σ⋅=

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

3tsp −= (Eq. 11.8)

3t's'p −= (Eq. 11.9)

t2q ⋅= (Eq. 11.10)

6qps += (Eq. 11.11)

6q'p's += (Eq. 11.12)

2qt = (Eq. 11.13)

per cui tutto quanto è stato detto con riferimento ai piani s-t ed s’-t può essere trasferito e tradotto nei corrispondenti piani p-q e p’-q.

In generale (Figura 11.6) a incrementi delle tensioni principali maggiore e minore rispet-tivamente pari a ∆σ1 e a ∆σ2=∆σ3:

nel piano s-t corrisponde un segmento di percorso tensionale di lunghezza:

s-ts-t

τ, t

σ, sO

∆L α∆t

3∆σ 1∆σ

∆s

Figura 11.6 – Percorsi tensionali nei piani s-t e σ-τ

2L

23

21

tsσ∆+σ∆

=∆ − (Eq. 11.14)

e pendenza:

31

31tstan

σ∆+σ∆σ∆−σ∆

=α − (Eq. 11.15)

mentre nel piano p-q corrisponde un segmento di percorso tensionale di lunghezza:

3123

21qp 141310

31L σ∆⋅σ∆⋅−σ∆⋅+σ∆⋅⋅=∆ − (Eq. 11.16)

e pendenza:

31

31qp 2

)(3tanσ∆⋅+σ∆σ∆−σ∆⋅

=α − (Eq. 11.17)

e quindi in particolare:

per compressione isotropa (∆σ1 = ∆σ3 = ∆σ):

nel piano s - t : tanασ∆=∆ −tsL s-t = 0 (Eq. 11.18)

nel piano p - q : σ∆=∆ −qpL tanαp-q = 0 (Eq. 11.19)

per compressione monoassiale (∆σ1 = ∆σ, ∆σ3 = 0):

11 – 5

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

nel piano s - t : 2

L tsσ∆

=∆ − tanαs-t = 1 (Eq. 11.20)

nel piano p - q : σ∆⋅=∆ − 310L qp tanαp-q = 3 (Eq. 11.21)

11.2 Stato critico

11.2.1 Introduzione

Nei capitoli precedenti sono stati affrontati separatamente, con modelli semplici e schemi elementari diversi, i problemi relativi alla deformabilità ed alla resistenza dei terreni.

In questo capitolo, dopo avere esposto la teoria dello Stato Critico come quadro interpre-tativo generale del comportamento dei terreni saturi, si introdurrà un modello matematico un poco più complesso ma più generale (il modello Cam Clay Modificato) per la previ-sione quantitativa di tale comportamento.

I parametri di tale modello possono essere ricavati dai risultati delle prove geotecniche standard di laboratorio, già esposti e commentati nei capitoli precedenti. Tali risultati ver-ranno pertanto richiamati ed inquadrati in un’ottica unitaria.

Le prove geotecniche standard di laboratorio per la determinazione del comportamento meccanico dei terreni sono le prove triassiali e le prove di compressione edometrica, en-trambe assialsimmetriche. Salvo indicazione contraria, nel seguito assumeremo che la tensione assiale σa corrisponda alla tensione principale maggiore σ1, e che la tensione ra-diale σr corrisponda alle tensioni principali intermedia e minore, eguali fra loro, σ2 = σ3.

Nel seguito, per descrivere lo stato di tensione ed i percorsi tensionali si utilizzeranno i parametri p, p’ e q.

Per descrivere lo stato di deformazione, di un provino cilindrico di altezza iniziale H0, diametro iniziale D0 e volume iniziale V0, si utilizzeranno i parametri:

deformazione assiale: 0

1a HH∆

=ε=ε (Eq. 11.22)

deformazione radiale: 0

3r DD∆

=ε=ε (Eq. 11.23)

deformazione volumetrica: 0

31rav VV22 ∆

=ε⋅+ε=ε⋅+ε=ε (Eq. 11.24)

deformazione deviatorica o distorsione: ( ) ( )31ras 32

32

ε−ε⋅=ε−ε⋅=ε (Eq. 11.25)

La deformazione deviatorica è definita nel modo sopra scritto affinché valga la relazione:

sv3'32

'21

'1 dqd'pddd ε⋅+ε⋅=ε⋅σ+ε⋅σ+ε⋅σ (Eq. 11.26)

11 – 6

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Come parametro indicativo dello stato di addensamento del terreno verrà utilizzato il vo-lume specifico, v, che è per definizione il rapporto tra il volume totale di un elemento di terreno, V, e il volume occupato dalle particelle solide, VS.

Risulta pertanto per definizione:

)e1(VVv

S

+== (Eq. 11.27)

e

00v v

dve1

ded −=+

−=ε (Eq. 11.28)

Analizziamo i risultati delle prove geotecniche standard su provini di argilla ricostituiti in laboratorio, già esposti e commentati nel Capitolo 9, rappresentando i percorsi di carico in uno spazio tridimensionale definito dalla terna di assi cartesiani ortogonali p’-q-v.

11.2.2 Compressione isotropa drenata (prima fase delle prove triassiali standard), linea di consolidazione normale (NCL) e linee di scarico-ricarico (URL)

p’

q

p’

v

B

A

A

C

C

D

DB

Figura 11.7 - Percorso di carico di compressione (e decompressione) iso-tropa drenata nei piani p’-q e p’-v

Il percorso efficace di carico si svolge interamen-te sul piano p’-v (ovvero sul piano q = 0). La cur-va sperimentale, che potremmo ottenere per punti incrementando (o riducendo) gradualmente la pressione di cella e attendendo per ogni gradino di carico l’esaurirsi del processo di consolidazio-ne isotropa, è qualitativamente indicata in Figura 11.7. La stessa curva, rappresentata in un piano semilogaritmico (Figura 11.8a), può essere sche-matizzata con segmenti rettilinei (Figura 11.8b).

La principale ipotesi semplificativa adottata nel passaggio dalla curva sperimentale a quella schematica consiste nell’avere sostituito al picco-lo ciclo di isteresi sperimentale del percorso di scarico-ricarico il suo asse, ovvero nell’avere as-sunto un comportamento deformativo volumetri-co elastico (variazioni di volume interamente re-versibili).

La retta ABD è detta linea di consolidazione normale (NCL), ed ha equazione:

0q)'pln(v

=⋅λ−Ν=

(Eq. 11.29)

Il parametro Ν è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto sulla NCL che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0) e dipende dal sistema di unità di misura adottato. Il pa-rametro λ è la pendenza della NCL ed è adimensionale.

11 – 7

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

La retta BCB è una delle infinite, possibili linee di scarico e ricarico (URL), ed ha equa-zione:

0q)'pln(vv

=⋅κ−= κ (Eq. 11.30)

Il parametro vκ è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto su quella specifica linea di scarico-ricarico che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0), dipende dal sistema di unità di misura adottato ed è biunivocamente riferito all’ascissa del punto B (Figura 11.8b), definita pressione di consolidazione, p’c, dalle seguenti relazioni, ottenute impo-nendo l’appartenenza del punto B sia alla NCL che alla linea di scarico-ricarico:

( ) ( )'cplnv ⋅κ−λ−Ν=κ (Eq. 11.31)

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

κ−λ−Ν

= κvexpp'c

ln p’

v

B

A

a)

C

D

p’ (ln)

v

1

11

-κκ

N

vB

A

b)

C

c

D

p’

Figura 11.8 - Curva sperimentale (a) e curva schematizzata (b) del percorso di carico di com-pressione (e decompressione) isotropa drenata nel piano semilogaritmico ln p’-v

Il parametro κ è la pendenza della linea di scarico-ricarico isotropo ed è adimensionale.

Un provino, al cui stato tensionale, p’0, corrisponda un punto su una linea di scarico-ricarico, è isotropicamente sovraconsolidato (OC). Il rapporto di sovraconsolidazione iso-tropa è:

'0

'c

0 pp

R = (Eq. 11.33)

R0 non è eguale al rapporto di sovraconsolidazione edometrica, OCR, ma è ad esso legato dalla relazione:

OCRK21K21

R NC0

OC0

0 ⋅⋅+⋅+

= (Eq. 11.34)

Il risultato sperimentale di un percorso di carico isotropo in condizioni drenate con più ci-cli di scarico-ricarico a pressione di consolidazione crescente può essere schematicamente rappresentato come in Figura 11.9: i segmenti corrispondenti a ciascun ciclo di scarico-

11 – 8

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

ricarico, rettilinei nel piano semilogaritmico, hanno la stessa pendenza –κ e, naturalmente, diversi valori di vκ e di p’c.

In definitiva, rammentando gli schemi dei modelli reologici elementari presentati nel Ca-pitolo 5, si può affermare che i risultati sperimentali sopra descritti possono essere ben ri-prodotti da un modello elastico non lineare – plastico a incrudimento positivo.

Infatti:

a. il comportamento deformativo è (quasi) elastico, ovvero il percorso è reversibile, lun-go le linee di scarico-ricarico;

b. lungo tali linee il comporta-mento è non lineare, in quan-to il percorso è rettilineo nel piano semilogaritmico (e quindi curvilineo nel piano naturale);

p’(ln)

v

1

11

N

vκ 1

B1

A

C1

p’c 1

1-κ

1-κ

B2

B3

C2

C3

vκ 2

vκ 3

p’c 2

p’c 3

Figura 11.9 - Schematizzazione di un percorso di carico isotropo drenato con più cicli di scarico-ricarico a pressione di consolidazione crescente

c. il comportamento è elasto-plastico lungo la linea di con-solidazione normale (NCL);

d. la pressione media efficace di consolidazione isotropa, p’c, è la soglia di tensione oltre la quale si manifestano defor-mazioni plastiche (irreversibi-li), ovvero è la tensione di snervamento;

e. l’incrudimento è positivo poi-ché la deformazione plastica avviene a pressione di conso-lidazione crescente.

11.2.3 Pressione efficace media equivalente, p’e

La pressione efficace media equivalente di un elemento di terreno A caratterizzato dai pa-rametri p’A, qA e vA è la pressione p’eA del punto sulla linea di consolidazione normale (NCL) avente volume specifico vA (Figura 11.10). La pressione efficace media equivalen-te vale dunque:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−

= A'eA

vNexpp (Eq. 11.35)

La pressione efficace equivalente non varia nei percorsi tensionali non drenati, che av-vengono a volume costante, mentre varia nei percorsi tensionali drenati, durante i quali si hanno deformazioni volumetriche.

11 – 9

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

p’(ln)p’

v

1-λ

N

v AA

A

A

A

A eA

eA

NCL

p’ p’

v

q

q

v

A

NCL

p’ p’

a) b)

Figura 11.10 - Definizione di pressione efficace equivalente nel piano lnp’-v e nello spazio p’-v-q

11.2.4 Compressione con espansione laterale impedita (compressione edometrica), linea di consolidazione edometrica (linea K0) e linee di scarico-ricarico edometriche

Dalle condizioni al contorno della prova edometrica (compressione assialsimmetrica con espansione laterale impedita) si desume:

( ) )K1(q;K213

'p

K

;0

0'10

'1

'10

'3

'2

1v32

−⋅σ=⋅+⋅σ

=

σ⋅=σ=σ

ε=ε=ε=ε

(Eq. 11.36)

Se il terreno normalmente consolidato, K0 è costante e il percorso tensionale nel piano p’-q è rettilineo, passa per l’origine degli assi, ed ha equazione, (linea K0) (Figura 11.11 a):

( )( )0

0

K21K13'pq

⋅+−⋅

⋅= (Eq. 11.37)

In Figura 11.11 b è mostrato l’andamento della linea K0 al variare di K0 da cui si può os-servare che non potendo essere K0 < 0 (altrimenti si avrebbe una tensione σ’3 < 0 e quindi di trazione), dalla Eq. 11.37 la retta che delimita gli stati tensionali possibili per il terreno sul piano p’-q ha equazione: q = 3 p’.

Nel piano p’-v il percorso tensionale è del tutto simile a quello della compressione isotro-pa e, analogamente ad esso, può essere schematizzato nel piano semilogaritmico con tratti rettilinei definiti dalle seguenti equazioni (Figura 11.12):

per la linea di compressione edometrica vergine:

'plnNv 0 ⋅λ−= (Eq. 11.38)

per le linee di scarico-ricarico edometriche:

'plnvv0K ⋅κ−= (Eq. 11.39)

11 – 10

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

p’

q

1

1

3

K = 00

K = 10

K > 10

0 < K < 10

Linea K

0

p’

q

(Compressione isotropa)

a) b)

Figura 11.11 - Traccia della linea K0 nel piano p’-q per un terreno normalmente consolidato

( )( )0

0K21K13

⋅+−⋅

p’(ln)

v

1

11

N0

c,edo

K0vB

A

Linea K0

C

D

p’

Linea NCL

N

Figura 11.12 - Traccia della linea K0 nel piano lnp’-v per un terreno N.C. e di una linea di scari-co-ricarico in condizioni edometriche

Si osserva che la proiezione della linea K0 sul piano ln p’-v è parallela alla linea di consolidazione isotropa normale (NCL), e che le proiezioni sul piano lnp’-v delle linee di scarico-ricarico in condizioni edometriche sono parallele alle linee di scarico-ricarico in condizio-ni di carico isotropo.

Il parametro vK0 è biunivocamente riferi-to alla pressione di consolidazione edo-metrica p’c,edo (ascissa del punto B di Fi-gura 11.12), dalle seguenti relazioni ot-tenute imponendo l’appartenenza del punto B sia alla linea K0 che alla linea di scarico-ricarico in condizioni edometri-che:

Nel Capitolo 7 abbiamo visto come i risultati della prova edometrica siano abitualmente rappresentati nel piano log σ’v-e, e che in tale piano la pendenza della linea di compres-

sione edometrica vergine sia l’indice di compressione Cc e la pendenza delle linee di sca-rico sia l’indice di rigonfiamento Cs. Valgono dunque le relazioni:

( ) ( )'edo,c0K plnv

0⋅κ−λ−Ν= (Eq. 11.40)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡κ−λ

−Ν= 0K0'

edo,c

vexpp (Eq. 11.41)

11 – 11

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

λ⋅=⋅λ= 303,210lnCc (Eq. 11.42a)

e (solo approssimativamente poiché durante lo scarico varia OCR e dunque varia K0):

κ⋅=⋅κ= 303,210lnCs (Eq. 11.42b)

A differenza della linea di consolidazione normale (NCL) che si sviluppa sul piano q = 0, la linea K0 si sviluppa nello spazio a tre dimensioni p’-q-v (Figura 11.13).

q

p’ 1

Linea K0

Linea NCL

v Figura 11.13 - Rappresentazione delle linee NCL e K0 nello spazio p’-q-v

( )( )0

0K21K13

⋅+−⋅

11.2.5 Compressione triassiale drenata di argilla N.C. (prova TxCID) e linea di stato critico (CSL)

Il percorso tensionale efficace di un provino di argilla N.C. in una prova di compressione triassiale drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione isotropa lungo la linea NCL, fino alla pressione di consolidazione isotropa p’c, la seconda di compressione assiale in condizioni drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale control-lata) la tensione deviatorica q cresce progressivamente fino ad un valore massimo qf poi si mantiene circa costante. La curva sperimentale εa – q è ben rappresentata da una relazione iperbolica del tipo:

a

a

baq

ε⋅+ε

= (Eq. 11.43)

Il volume decresce progressivamente fino ad un valore minimo, poi si mantiene circa co-stante (Figura 11.14). Il percorso tensionale corrispondente alla fase di compressione as-siale, AB, ha come proiezione sul piano p’-q un segmento rettilineo con pendenza 3:1, dal punto A di coordinate (p’c - 0) al punto B, corrispondente alla condizione di rottura, di

11 – 12

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

coordinate (p’f - qf), e nel piano p’-v ha origine nel punto A sulla linea NCL e termina nel punto B sottostante la linea NCL.

Infatti durante la fase di compressione risulta che σ’3 = σ’r = σ’c = cost e quindi ∆q = ∆(σ’1 – σ’3) = ∆σ’1 e ∆p’ = ∆(σ’1 + 2σ’3)/3 = ∆σ’1/3 e quindi:

33/''

'pq

1

1 =σ∆

σ∆=

∆∆ (Eq. 11.44)

A

B

a) b)

c)

B

q

p’

εv

εa

A

A

B

B

q

31

p’

v

p’c

p’f

qf

Figura 11.14 - Percorsi tensionali di compressione drenata su un provino di argilla N.C.

Se tre provini della stessa argilla isotropicamente consolidati a pressioni diverse sono por-tati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.15. Si os-serva in particolare che:

o le tre curve εa – q hanno la stessa forma e, normalizzate rispetto alla pressione di consolidazione p’c, sono (quasi) coincidenti;

o la deformazione volumetrica durante la compressione assiale varia in modo presso-ché eguale per i tre provini, aumentando lievemente al crescere della pressione di consolidazione;

o i punti B rappresentativi dello stato finale dei tre provini giacciono su una linea, det-ta di Stato Critico (CSL), la cui equazione è:

'ff

'ff

plnv

pMq

⋅λ−Γ=

⋅= (Eq. 11.45)

11 – 13

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

A = A = A1 2 3

A1

A1

B1

B1

a) b)

c)

q

p’

εv

εa

q

p’

NCLCSL

CSL

v

M1

qf 1

qf 2

qf 3

B2

B3

B = B = B1 32

B1

p’c 1

A2

A2

B2

B2

A3

A3

B3

B3

p’f 3

p’c 2

p’c 3

p’f 2

p’f 1

vf 1

vf 2

vf 3

Figura 11.15 - Risultati di prove TxCID su provini della stessa argilla N.C. consolidati a pressio-ni diverse

La relazione equivale al criterio di rottura di Mohr-Coulomb per terreni N.C. che, nel Capitolo 8, avevamo scritto nella forma:

'ff pMq ⋅=

''nf tan φ⋅σ=τ (Eq. 11.46)

L’angolo di resistenza al taglio da considerare è quello che corrisponde alla condizione di stato critico, φ’cs, ovvero alla condizione in cui, al crescere della deformazione assiale ri-mangono costanti tensione deviatorica, qf, e deformazione volumetrica, εv.

Il parametro M è funzione dell’angolo di resistenza al taglio allo stato critico, φ’cs, e delle modalità di prova. Infatti se il provino è portato a rottura per compressione assiale a ten-sione efficace di confinamento costante, ovvero con le modalità standard descritte nel Ca-pitolo 8, la tensione principale maggiore è la tensione assiale, mentre le tensioni principali intermedia e minore coincidono entrambe con la tensione radiale:

'r

'2

'3

'a

'1

σ=σ=σ

σ=σ (Eq. 11.47)

quindi:

( ) ( )

f

'r

'a

f

'3

'1'

f

f'r

'af

'3

'1f

32

32p

q

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅+σ=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅+σ=

σ−σ=σ−σ=

(Eq. 11.48)

11 – 14

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

e ricordando che è:

'cs

'cs

f'3

'1

sen1sen1

φ−φ+

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛σσ (Eq. 11.49)

si ha:

( )( )

( )( ) =

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛φ−φ+

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛φ−φ+

=+σσ

−σσ⋅=

σ⋅+σ

σ−σ⋅===

2sen1sen1

1sen1sen1

3

2/1/3

23

pq

MM

cs

cs

cs

cs

f'r

'a

f'r

'a

f'r

'a

f'r

'a

'f

fc

( )( ) '

cs

'cs

f'cs

'cs

'cs

'cs

sen3sen6

sen22sen1sen1sen13

φ−φ⋅

=φ−+φ+φ+−φ+⋅

=

(Eq. 11.50)

c

c'cs M6

M3sen

+⋅

=φ (Eq. 11.51)

Se invece il provino è portato a rottura per estensione assiale, ovvero aumentando la ten-sione efficace di confinamento a tensione efficace assiale costante, la tensione principale minore è la tensione assiale e le tensioni principali intermedia e maggiore, coincidenti, sono la tensione radiale:

'a

'3

'r

'2

'1

σ=σ

σ=σ=σ (Eq. 11.52)

quindi:

( ) ( )

f

'a

'r

f

'3

'1'

f

f'a

'rf

'3

'1f

32

32p

q

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ+σ⋅=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ+σ⋅=

σ−σ=σ−σ=

(Eq. 11.53)

( )( ) '

cs

'cs

f'r

'a

f'a

'r

'f

fe sen3

sen62

3pqMM

φ+φ⋅

=σ⋅+σσ−σ⋅

=== (Eq. 11.54)

e

e'cs M6

M3sen−⋅

=φ (Eq. 11.55)

11 – 15

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Una conseguenza importante è che, mentre l’angolo di resistenza al taglio allo stato critico φ’cs è lo stesso per com-pressione e per estensione, la pendenza M della linea di stato critico nel piano p’-q non è la stessa. In particolare, poi-ché Me < Mc, per lo stesso terreno e a parità di pressione efficace media, la tensione deviatorica a rottura in esten-sione è minore che in compressione (Fi-gura 11.16).

p’

q CSL

CSL

Mc

Me

1

(a)

(b)

1

Figura 11.16 – Linea di stato critico nel piano p’-q in caso di rottura per compressione assiale e di rottura per estensione assiale

I punti B corrispondenti alla condizione di stato critico giacciono su una linea la cui proiezione sul piano p’-v è una curva che, rappresentata nel piano semiloga-ritmico, diviene una retta parallela alla linea NCL.

In Figura 11.17 sono rappresentate le li-nee NCL e CSL.

q

p’ 1

M

CSL

NCL

v

Figura 11.17 – Rappresentazione delle linee NCL e CSL (indicata convenzionalmente con una dop-pia linea) nello spazio p’-q-v

Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione drenata si svol-ge su un piano, detto piano drenato, rappresentato in Figura 11.18.

11 – 16

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

q

A

A’

B’

Bp’ 13

CSLPiano drenato

NCL

v

Figura 11.18 - Piano drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCID nello spazio p’-q-v

11.2.6 Compressione triassiale non drenata di argilla N.C. (prova TxCIU) e superficie di Roscoe

La prova di compressione triassiale consolidata non drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione e di consolidazione isotropa, la seconda di compressione assiale in condizioni non drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale control-lata) il volume del provino (saturo) non varia, la tensione deviatorica q e la pressione in-terstiziale crescono progressivamente fino alla condizione di stato critico.

In Figura 11.19 sono rappresentati i risultati di una prova TxCIU su un provino di argilla satura N.C. portato a rottura in presenza di una contro pressione interstiziale iniziale (BP = u0). In Figura 11.20 sono mostrati i risultati che si possono ottenere da una serie di tre prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse.

11 – 17

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

A

B

TSPES

P

a) b)

c)

B

NCL

q

p,p’

∆u

uf

∆uf

εa

A

A’

B

q

31

p’

v

pc

pf

qf

B’

B’

A’p’

cp’

f

u0

u0

Figura 11.19 - Percorsi tensionali di compressione non drenata su un provino di argilla satura N.C.

TSP 3

ESP3

A = A = A1

2 3

A1 A

2

B’1

B’2

B’3

A’1

A’2

A’1B’

1

a) b)

c)

q

p,p’εa

q

p’

NCLCSL

CSL

v

M1

qf 1

qf 2

qf 3

B1

p’f 3

v0 1

B2

B

3

∆u

∆uf 1

∆uf 2

∆uf 3

∆uf 2

∆uf 3

B1

B1

B2

B2

B3

B3

A’2

A’3

B’2

B’3

A3

A’3

v0 2

v0 3

p’f 2

p’f 1

∆uf 1

Figura 11.20 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse

11 – 18

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dall’esame delle Figure 11.19 e 11.20 si desume che:

o la tensione deviatorica q cresce progressivamente con la deformazione assiale εa fi-no ad un valore massimo qf e poi si mantiene circa costante,

o la deformazione avviene a volume costante (εv = 0) e con progressivo incremento della pressione interstiziale (∆u) fino ad un valore massimo, ∆uf, crescente con la pressione di consolidazione,

o i percorsi tensionali totali (TSP) sono rettilinei ed hanno pendenza 3:1,

o i percorsi tensionali efficaci (ESP) sono curvilinei ed hanno la stessa forma,

o la distanza tra ESP e TSP rappresenta la pressione interstiziale u,

o i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace iniziale (A’) sono sulla linea di consolidazione normale (NCL),

o i punti rappresentativi della condizione di rottura (B’) sono sulla linea di stato criti-co (CSL).

Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione non drenata si svolge su un piano parallelo al piano p’-q, detto piano non drenato, rappresentato in Fi-gura 11.21.

q

A

A’

B’

Bp’

CSL

ESP

Piano non drenato

NCL

v Figura 11.21 - Piano non drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCIU

In una prova triassiale non drenata su un provino saturo non si hanno variazioni di volu-me. Pertanto il volume specifico iniziale v0 è anche il volume specifico a rottura:

'ff0 plnvv ⋅λ−Γ== (Eq. 11.56)

ovvero: 11 – 19

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−Γ

= 0'f

vexpp (Eq. 11.57)

e

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−Γ

⋅Μ=⋅Μ= 0'ff

vexppq (Eq. 11.58)

La resistenza al taglio in condizioni non drenate dei terreni a grana fine, cu, che, come ab-biamo visto nel Capitolo 9, viene utilizzata per le verifiche di stabilità in termini di ten-sioni totali è pari alla metà della tensione deviatorica a rottura, dunque:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−Γ

⋅Μ

== 0fu

vexp

22qc (Eq. 11.59)

Per un dato terreno i parametri Μ, Γ e λ sono costanti, quindi cu dipende soltanto dal vo-lume specifico v0. Per un terreno saturo è:

wG1e1v s ⋅+=+= (Eq. 11.60)

dunque la resistenza al taglio in condizioni non drenate, cu, di una stessa argilla satura di-pende unicamente dal suo contenuto in acqua w.

Tutti i percorsi tensionali efficaci, di prove drenate e non drenate, che dalla linea di con-solidazione normale (NCL) pervengono alla linea di stato critico (CSL) giacciono su una superficie nello spazio p’-q-v, detta Superficie di Roscoe, che limita il dominio degli stati tensionali possibili (Figura 11.22).

Tale affermazione può essere visualizzata normalizzando i percorsi tensionali drenati e non drenati dalla NCL alla CSL di provini saturi normalconsolidati rispetto alla pressione efficace equivalente, che rimane costante nei percorsi non drenati, ed è invece variabile in quelli drenati. In tal modo nel piano p’/p’e-q/p’e tutti i percorsi coincidono in un’unica curva che rappresenta la Superficie di Roscoe normalizzata (Figura 11.23).

11 – 20

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

q

p’

CSLSuperficie di Roscoe

NCL

v Figura 11.22 - Superficie di Roscoe

q/p’

e

CSL

Superficie di Roscoe normalizzata

NCL

p/p’e

Figura 11.23 - Superficie di Roscoe normalizzata

11 – 21

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11.2.7 Compressione triassiale drenata di argilla O.C. (prova TxCID) e condizione di rottura

Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, ad una pressione efficace p’c, e poi isotropicamente decompresso in condizioni drenate, fino ad una pressione effi-cace p’0 in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, ed è infine sottoposto a com-pressione drenata, esso mostra un comportamento tensionale e deformativo durante la fa-se di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.24.

Si può osservare che la condizione di rottura non coincide con la condizione di stato criti-co. Infatti la curva εa-q presenta un massimo (qf) a rottura (punto B), poi decresce fino a stabilizzarsi su un valore minore (qcs) che corrisponde allo stato critico (punto C).

Il volume del provino prima diminuisce, poi aumenta, supera il valore iniziale e infine tende a stabilizzarsi.

La curva εa-εv presenta tangente orizzontale ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

εε

0dd

a

v nei punti C e D che corrispondo-

no al valore q = qcs, e un flesso maxa

v

dd

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛εε

nel punto B che corrisponde a q = qf.

La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-q ha pendenza 3:1.

Nel tratto AB fino alla rottura il percorso è ascendente, nel tratto BC è discendente.

A

A

D

D

B

B

C

C

a) b)

d)

q

p’

εv

εa

A

A

B

C = D

B

C

D

qESP

31

p’

v

p’0

p’0

p’f

p’f

qf

qf

εa

qc s

qc s

p’c

vD

vA

vB

vC

c)

Figura 11.24 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in prova TxCID

11 – 22

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Nel piano p’-v il punto A rappresentativo dello stato iniziale si trova su una curva di sca-rico-ricarico. La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-v ha tan-gente orizzontale nei punti C e D.

Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione iso-tropa sono portati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura

11.25. Si osserva in particolare che:

o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la CSL (punto A1), esso è fortemente sovraconsolidato (provino n. 1),

o un provino fortemente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) molto mag-giore del deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento dilatante (aumento di volume),

o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la NCL ma sopra la CSL, esso è debolmente sovraconsolidato (provino n. 2),

o un provino debolmente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) poco maggio-re o eguale al deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento con-traente (diminuzione di volume),

o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sulla NCL, esso è normalmente consolidato (provino n. 3),

o un provino normalmente consolidato ha un deviatore a rottura (qf) eguale al deviato-re allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento contraente (diminuzione di volume),

o i punti rappresentativi delle condizioni di rottura (B) di provini con eguale pressione di preconsolidazione (punti A sulla stessa linea di scarico-ricarico) giacciono su una retta (linea inviluppo a rottura) distinta dalla CSL relativamente ai provini sovracon-solidati (punti B1 e B2), e sulla CSL per il provino normal-consolidato (punto B3),

o i punti rappresentativi delle condizioni ultime (C) giacciono sulla CSL,

La linea inviluppo a rottura, per i terreni sovraconsolidati, ha equazione:

'pmqq ff ⋅+= (Eq. 11.61)

Tale retta, che rappresenta il luogo dei punti di rottura per le argille sovraconsolidate, cor-risponde nello spazio p’-q-v ad una superficie piana detta Superficie di Hvorslev.

Nel Capitolo 9 abbiamo visto che l’inviluppo a rottura in termini di tensioni efficaci per un’argilla sovraconsolidata ha equazione:

'tan'c 'nf φ⋅σ+=τ (Eq. 11.62)

che può essere scritta anche nella forma (Figura 11.26):

( ) ( )'sen'gcot'c

221 f

'3

'1

f'3

'1 φ⋅⎥

⎤⎢⎣

⎡φ⋅+

σ+σ=σ−σ⋅ (Eq. 11.63)

11 – 23

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dalla Eq. 11.61, essendo

11 – 24

qf = (σ’1 – σ’3)f e

p’f = (σ’1 + 2σ’3)f / 3, si ottiene sostituendo:

( ) ( )32

mq f'3

'1

f'3

'1

σ+σ⋅+=σ−σ

da cui, svolgendo i calcoli, si ottie-ne:

m3q3

m3m23

f'3f

'1 −

+−

+σ=σ

(Eq. 11.63a)

Dalla Eq.11.63 invece si ricava:

( ) ( ) ⋅'φ⋅+φ⋅σ+σ=σ−σ cos'c2'senf'3

'1f

'3

'1

e quindi:

'sin1'cos'c2

'sin1'sin1

f'3f

'1 φ−

φ+

φ−φ+

σ=σ

(Eq. 11.63b)

a)

b)p’

q

p’

NCL

URL

CSL

CSL

v

M

Linea di inviluppoa rottura

m

q

1

1

A2

A2

A1

A1

B2

B2B

1

B1

C1

C1

A3

A3

B3

B3

p’c

p’0 2

p’0 1

D1

D1

Figura 11.25 - Risultati di prove TxCID su provini del-la stessa argilla con differenti rapporti di sovraconso-lidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura

Eguagliando la (11.63a) e la (11.63b) si ottiene:

'sin1'sin1

m3m23

φ−φ+

=−

+

(Eq. 11.63c)

e

'sin1'cos'c2

m3q3

φ−φ

=−

(Eq. 11.63d)

OO’c’

c’ ctg ’φ1

1

R

τ

σ’φ’

inviluppo di rottura

C σ’3

3

σ’

( ’ + ’ )/2σ σ

Figura 11.26 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb

Dalla (11.63c) si può ricavare m:

'sin3'sin6mφ−

φ= (Eq. 11.63e)

ed andando a sostituire nella (11.63d) si ricava q:

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

'sin3'cos'c6q

φ−φ

= (Eq. 11.63f)

da cui si ottengono le corrispondenze:

'sen3'sen6m

'sen3'cos'c6q

φ−φ⋅

=

φ−φ⋅⋅

= (Eq. 11.64)

Imponendo la condizione che i terreni non possano sostenere tensioni di trazione ( )0'3 ≥σ

si ha che per σ’3 = 0, q = σ’1 – σ’3 = σ’1 e p = (σ’1 + 2σ’3)/3 = σ’1/3, cioè q = 3 p’. Si de-duce che la linea inviluppo a rottura, come mostrato anche in Figura 11.11 b, è limitata a sinistra dalla retta di equazione:

'p3q ⋅= (Eq. 11.65)

11.2.8 Compressione triassiale non drenata di argilla O.C. (prova TxCIU) e superficie di Hvorslev.

Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, poi isotropicamente decom-presso in condizioni drenate in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, e infine sottoposto a compressione non drenata, mostra un comportamento tensionale e deformati-vo durante la fase di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.27.

Si osserva che la curva εa-q è monotona (non presenta un picco), l’incremento di pressio-ne interstiziale ∆u è inizialmente positivo, poi diviene negativo (comportamento duale della curva εa-εv della prova TxCID).

Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione iso-tropa sono portati a rottura in condizioni non drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.28.

In Figura 11.29 sono messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla egualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate e non drenate. Si può osservare che la tensione deviatorica a rottura per il provino non dre-nato è nettamente maggiore.

In Figura 11.30 sono invece messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rapporto di sovra consolidazione isotropa ed eguale vo-lume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate. Si può osservare che i percorsi si svolgono sullo stesso piano v = cost e pervengono allo stesso punto della linea di stato critico.

11 – 25

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

A

a) b)

d)

q

+

+

-

-

p,p’

∆u

εa

AA’

A

BB’

B

q

TSP

ESP

ESP

NCL

URL

3u

∆u u0

1

p’

v

p0

u0

uf∆u

f

p’0

p’0

p’f

εa

qc s

qc s

p’c

v0

c)

Figura 11.27 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in prova TxCIU

a)

b)

p,p’

q

p’

NCL

URL

CSL

CSL

v

MLinea di inviluppo

a rottura

m

q

1

1

A2

A2

A1

A1 B

2

B2

B1

B1

A3

A3

B3

B3

p’c

OCR = p’1 c

/p’ = 60 1

p’0 2

p’0 1

OCR = p’2 c

/p’ = 1.50 2

OCR 3

= 1

Figura 11.28 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura

11 – 26

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

AA

BE

D

F

D

E F

C

C E

a) b)q

p,p’εa

A

D BC

F

q

NCLCSL

URL

p’

v

MCSL

m

1

1

p’0

p’0

qc s u

qc s

p’c

v0

c)

qf

qf u

BC

Figura 11.29 - Confronto fra i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla e-gualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate (TxCID) e non drenate (TxCIU)

a)

b)p’

q

p’

NCLCSL

CSL

v

M1

A2

BC

BC

A2

A1

A1

A3

A3

Figura 11.30 - Percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rap-porto di sovra consolidazione isotropa ed eguale volume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate

In Figura 11.31a sono rappresentate nello spazio p’-q-v le tre superfici (di Roscoe, di Hvorslev e il piano limite di rottura per trazione) che assieme formano la Superficie di Stato, la quale delimita il volume degli stati di tensione possibili.

11 – 27

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Anche per la superficie di Hvorslev e per il piano limite di trazione, come per la superfi-cie di Roscoe, si può dare una rappresentazione normalizzata nel piano p’/p’e-q/p’e (Figu-ra 11.31b). In particolare la superficie di Hvorslev normalizzata è una retta di equazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+= '

e'e p

'phgpq (Eq. 11.66)

ovvero:

'phpgq 'e ⋅+⋅= (Eq. 11.67)

Essendo, per definizione:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−

=vNexpp'

e (Eq. 11.68)

ed imponendo la condizione di appartenenza della CSL alla superficie di Hvorslev: 'pMq ⋅=

CSL 'plnv ⋅λ−Γ=

(Eq. 11.69)

si ottiene il valore della costante g:

e quindi l’espressione analitica della superficie di Hvorslev:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅−= '

ep'p)hM(g (Eq. 11.71)

'phvexp)hM(q ⋅+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−Γ

⋅−= (Eq. 11.72)

Dall’Eq. (11.72) si desume che la resistenza al taglio di un’argilla sovra-consolidata satu-ra è somma di due termini i quali, oltre ad essere funzione delle costanti materiali (Μ, h, Γ, λ) sono:

o il termine, , proporzionale alla pressione efficace media e corrispondente alla re-sistenza per attrito;

'ph ⋅

o il termine, ( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

λ−Γ

⋅−vexphM , dipendente dal volume specifico (ovvero dall’indice

dei vuoti, ovvero dal contenuto in acqua) e corrispondente alla resistenza per coesio-ne.

11 – 28

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11 –

29

q/p’

CSL

g

e

e

h1

Superficie di RoscoeSuperficie di Hvorslev

NCL

p/p’

b)

q

p’

CSLSuperficie di Roscoe

Superficie di Hvorslev

Piano limite di trazione

Piano limite di trazione

NCL

v

Figura 11.31 - Rappresentazione assonometria (a) e normalizzata (b) della Superficie di Stato

11.3 MODELLO CAM CLAY MODIFICATO (CCM)

11.3.1 Parete elastica (o Dominio elastico)

Si definisce parete elastica (o dominio elastico) nello spazio p’-q-v una superficie cilin-drica avente come direttrice una linea di scarico-ricarico e come generatrice una retta pa-rallela all'asse q, limitata dalla superficie di stato (Figura 11.32).

Un punto appartenente ad una parete elastica può muoversi liberamente su di essa provo-cando solo deformazioni elastiche.

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Un punto appartenente ad una parete elastica può spostarsi su un'altra parete elastica solo raggiungendo prima la superficie limite e muovendosi anche su di essa. Nel percorso sulla superficie limite si producono deformazioni plastiche (Figura 11.33).

q

p’

CSLSuperficie di Roscoe

Superficie di Hvorslev

Pareteelastica

NCL

URL

v

q

p’

CSL

NCL

A

B

B’

C

C’

vFigura 11.32 - Parete elastica Figura 11.33 - Percorso da una parete e-

lastica ad un’altra parete elastica

Alla luce di quanto detto, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di compressione triassiale non drenata (TxCIU) si svolge interamente sul piano non drenato (v = cost), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rap-presentativo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete elastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano non drenato e la parete elastica (Figura 11.34).

Tale segmento nel piano p’-q è verticale, e quindi, non variando p’, non variano i parame-tri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico lineare.

Analogamente, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di compressione triassiale drenata (TxCID) si svolge interamente sul piano drenato

( 3'p

q=

∆∆ ), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rappresenta-

tivo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete e-lastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano dre-nato e la parete elastica (Figura 11.35). Tale segmento nel piano p’-q ha pendenza 3:1, e quindi, variando p’ variano i parametri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico non lineare.

11 – 30

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

q

A

B C

p’

CSLPiano non drenato

Parete elasticaNCLURL

v URL

q

A

B

Cp’ 13

CSL

Piano drenato

NCL

v

Parete elastica

Figura 11.34 - Percorso tensionale efficace in prova TxCIU di un provino di argilla isotropica-mente sovraconsolidato (AB = percorso elastico; BC = percorso elasto-plastico)

Figura 11.35 - Percorso tensionale efficace in prova TxCID di un provino di argilla iso-tropicamente sovraconsolidato (AB = percor-so elastico; BC = percorso elasto-plastico)

11.3.2 Curva di plasticizzazione

11 – 31

Nello spazio delle tensioni esiste una curva, detta di curva di plasticizzazione (yield curve), che separa gli stati di ten-sione che producono risposte elastiche dagli stati di tensione che producono risposte plastiche. Evidenze sperimenta-li indicano che per i terreni la forma della curva di plasticizzazione nello spazio delle tensioni p’-q è approssima-tivamente ellittica. Nel modello CCM tale curva è rappre-sentata da un’ellisse F di equazione:

( ) 0Mqp'p'pF 2

2'c

2 =+⋅−= (Eq. 11.72)

q

Mc

A

A - Stato di tensione elasticoB - Inizio della plasticizzazioneC - Stato elasto-plastico

BC Curva di plasticizzazione

iniziale

Curva di plasticizzazioneespansa

p’p’ /2c

p’c

Figura 11.36 - Curva di plasticizzazione iniziale e sua espansione in un percorso di carico per compressione

L’asse maggiore dell’ellisse corrisponde alla pressione di preconsolidazione p’c, l’asse

minore vale 2pM

'c⋅ (Figura 11.36).

Considereremo nel seguito la curva di plasticizzazione per compressione, e quindi M = Mc, ma analoghi concetti valgono anche per estensione, nel qual caso l’asse minore dell’ellisse è più piccolo (essendo Me < Mc).

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Se lo stato di tensione di un elemento di terreno è rappresentato da un punto interno alla curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto A di Figura 11.36) la risposta del terreno è elastica.

Se lo stato di tensione è rappresentato da un punto sulla curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto B) ogni incremento di tensione che comporti un movimento verso l’esterno della curva è accompagnato da deformazioni elasto-plastiche e da un’espansione della su-perficie di plasticizzazione cosicché il punto rappresentativo dello stato di tensione per-mane sulla curva di plasticizzazione (punto C). Se il percorso dal punto C si muove verso l’interno vi saranno deformazioni elastiche, poiché la curva di plasticizzazione si è espan-sa e la regione elastica è divenuta più grande.

Alla luce dei concetti espressi sul percorso tensionale efficace di un provino di argilla iso-tropicamente sovraconsolidato (che è inizialmente elastico e che quindi nel tratto iniziale si svolge sulla parete elastica associata alla pressione di preconsolidazione), nonché sulla forma ellittica della curva di plasticizzazione, tali percorsi nelle prove di compressione triassiale standard, secondo il modello Cam Clay Modificato (MCC), sono quelli schema-ticamente rappresentati nelle Figure 11.37, 11.38, 11.39 e 11.40.

Se il punto di intersezione tra il percorso tensionale efficace e la curva di plasticizzazione iniziale ha ascissa maggiore di p’c/2 (ovvero è nella metà destra dell’ellisse) si ha, durante la fase di compressione assiale, un’espansione dell’ellisse, se invece il punto di interse-zione ha ascissa minore di p’c/2 (ovvero è nella metà sinistra dell’ellisse) si ha una con-trazione dell’ellisse.

ESP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’ ε1

q

v

qf q

f

c)A

B

C

E

F

D

CB

A

F

p’0

p’f

A AB B

CC

F F

D

E

p’

v

vf

p’c

NCLCSL

ε1

Figura 11.37 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla debolmente sovraconsolidato

11 – 32

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

TSP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’,p ε1

q

qf

qf

c)A

BC

F

u0

F

F

ED

CB

A

p’0

p’f

A

A

BB C F

C DE

p’

v

v = vA f

p’c

NCLCSL

ε1

∆u

Figura 11.38 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla debolmente sovraconsolidato

ESP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’ ε1

q

qf

qc s

c)A

B

C

F

F

F

D

C

B

A

p’0

A

A

B

BC

F

CD

p’

v

p’c

NCLCSL

ε1

εv

p’ /2c

Figura 11.39 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla fortemente sovraconsolidato

11 – 33

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Con riferimento alla Figura 11.40, ovvero al comportamento previsto dal modello per una compressione non drenata di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato, si osserva che il percorso tensionale efficace fino al raggiungimento della curva di plasticiz-zazione, ovvero fino al valore di picco qf della tensione deviatorica è verticale (elastico-lineare). Dunque sostituendo nell’equazione di F a p’ il valore di pressione media efficace iniziale p’0 si ha:

( ) 0Mqppp 2

2f'

c'0

2'0 =+⋅− (Eq. 11.73)

e risolvendo per qf:

2Rperc21RpMq 0u0'0f >⋅=−⋅⋅= (Eq. 11.74)

TSP

ESP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’,p ε1

q

qfq

c s

c)

B

B

C

C

F

F

F

F

D

B

A

C

p’0

A

A

C B

B

C

F

D

p’

v

p’c

NCLCSL

ε1

∆u

∆uc s

∆uc s

∆uf

∆uf

p’ /2c

A u0

Figura 11.40 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla fortemente sovraconsolidato

11.3.3 Il calcolo delle deformazioni

Le deformazioni volumetriche

L’incremento di deformazione volumetrica totale dεv può in generale essere scomposto in due parti: la prima elastica (reversibile) dεv

e e la seconda plastica (irreversibile) dεvp:

11 – 34

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

pv

evv ddd ε+ε=ε (Eq. 11.75)

Consideriamo un provino di terreno isotropicamente consolidato in cella triassiale ad una pressione efficace media p’c e quindi decompresso isotropicamente fino alla pressione media efficace p’0, come rappresentato dal percorso tensionale ODA in Figura 11.41. Es-so risulterà sovraconsolidato con rapporto di sovraconsolidazione isotropa:

'0

'c

0 ppR = (Eq. 11.76)

La curva di plasticizzazione i-niziale è l’ellisse che ha per as-se maggiore il segmento OD. Il provino venga poi sottoposto a compressione assiale drenata (TxCID).

ESP

CSL

s

v

pp

p

s

v

q,ε

p’,εA

BC

F

E1

3D

O

dεdε

p’ p’

AB

C

F

D

E

p’

v NCL

CSL

0 c

Figura 11.41 - Determinazione delle deformazioni plastiche

b)

a)

Il suo ESP inizia nel punto A ed è rettilineo con pendenza 3:1. Fino a quando il percorso ten-sionale non raggiunge il punto B, e quindi è interno alla curva di plasticizzazione iniziale, il comportamento è elastico. Dal punto B il terreno inizia ad ave-re deformazioni elasto-plasti-che.

Consideriamo l’incremento di tensione corrispondente al tratto BC dell’ESP. Esso produce un’espansione della superficie di plasticizzazione come mo-strato nella Figura 11.41a.

La variazione (negativa) di volume specifico totale del provino per tale incremento di ten-sione vale, con riferimento alla Figura 11.41b, vale:

)vv()vv()vv()vv(v BDDEECBC −+−+−=−=∆ (Eq. 11.77)

in cui

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅κ=− '

C

'E

EC pplnvv (Eq. 11.78)

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅λ=− '

E

'D

DE pplnvv (Eq. 11.79)

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅κ=− '

D

'B

BD pplnvv (Eq. 11.80)

11 – 35

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

La pressione p’E è la pressione efficace media di consolidazione della superficie di plasti-cizzazione espansa. Per passare dall’incremento di volume specifico all’incremento di de-formazione volumetrica si utilizza la relazione: ∆εv = - ∆v/v0. L’incremento di deformazione volumetrica elastica può essere calcolato con la relazione:

'K'pd e

v∆

=ε (Eq. 11.81)

Poiché le costanti elastiche (modulo di deformazione cubica K’, modulo di Young, E’, e modulo di taglio, G) non sono costanti ma proporzionali alla pressione media efficace p’, il valore di K’ da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ nell’intervallo ∆p’, ed è dato dall’equazione:

κ⋅

= 0'm vp

'K (Eq. 11.82)

La parte plastica dell’incremento di deformazione volumetrica si può infine ottenere per differenza:

evv

pv ddd ε−ε=ε (Eq. 11.83)

In condizioni non drenate, essendo zero la deformazione volumetrica totale, risulterà: pv

ev dd ε−=ε (Eq. 11.84)

Le deformazioni deviatoriche

Per determinare le deformazioni deviatoriche si fa l’ipotesi che, per un generico incre-mento di tensione (dp’, dq), l’incremento di deformazione plastica sia un vettore con direzione normale alla

pdεcurva del potenziale plastico, e che quest’ultima coincida con la

curva di plasticizzazione F (ipotesi di normalità – legge di flusso associata) (Figura 11.41).

Per determinare la direzione normale alla curva di plasticizzazione si differenzia l’equazione della curva di plasticizzazione F (Eq. 11.72) rispetto alle variabili p’ e q:

0Mdqq2'dpp'dp'p2dF 2

'c =⋅⋅+⋅−⋅⋅= (Eq. 11.85)

da cui, si ricava la direzione tangente alla curva:

( )q2

M'p2p'dp

dq 2'c

⋅⋅⋅−

= (Eq. 11.86)

e quindi la direzione normale alla curva:

( ) 2'c Mp'p2q2

dq'dp

⋅−⋅⋅

=− (Eq. 11.87)

L’incremento di deformazione plastica totale ha due componenti: l’incremento di de-formazione volumetrica plastica – di cui abbiamo detto come calcolare il valore, e

pdεpvdε

11 – 36

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Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

l’incremento di deformazione deviatorica plastica . Il rapporto fra la componente de-viatorica e la componente volumetrica è la direzione del vettore incremento di deforma-zione plastica totale, ovvero la direzione normale alla curva di plasticizzazione, dunque:

psdε

( )'c

2pv

pS

p'p2Mq2

dd

dq'dp

−⋅⋅

=εε

=−

da cui

( )pv'

c2

ps d

p'p2Mq2d ε⋅

−⋅⋅

=ε (Eq. 11.88)

La componente elastica dell’incremento di deformazione deviatorica può essere calcolata con la teoria dell’elasticità:

G3dqd e

s ⋅=ε (Eq. 11.89)

Per quanto già detto il valore di G da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ ed è dato dall’equazione:

)1(2)21(vp3

G 0'm

ν+⋅κ⋅ν⋅−⋅⋅⋅

= (Eq. 11.90)

11 – 37

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

CAPITOLO 13 SPINTA DELLE TERRE

La determinazione della spinta esercitata dal terreno contro un’opera di sostegno è un problema classico di ingegneria geotecnica che, ancora oggi, nonostante l’enorme am-pliamento delle conoscenze, viene affrontato utilizzando due teorie “storiche”, opportu-namente modificate e integrate alla luce del principio delle tensioni efficaci: la teoria di Rankine (1857) e la teoria di Coulomb (1776). Entrambi i metodi assumono superfici di scorrimento piane, ma per effetto dell’attrito fra la parete e il terreno, le reali superfici di scorrimento sono in parte curvilinee, ed risultati che si ottengono applicando i metodi classici, specie per le condizioni di spinta passiva (resistente) sono spesso non cautelativi. È pertanto opportuno riferirsi, almeno per il calcolo della spinta passiva, al metodo di Ca-quot e Kérisel (1948) che è il più noto e applicato metodo fra quelli che assumono super-fici di scorrimento curvilinee.

13.1 Teoria di Rankine (1857)

Si consideri un generico punto A alla profondità Z in un depo-sito di terreno incoerente (c’ = 0), omogeneo e asciutto (o co-munque sopra falda), avente pe-so di volume γ costante con la profondità, e delimitato supe-riormente da una superficie piana e orizzontale (Figura 13.1).

Z

A

v0

v00h0

σ γ’ = Z

σ σ’ = K ’

Figura 13.1 – Tensioni geostatiche in un deposito di terreno omogeneo, incoerente, delimitato da una superificie piana e orizzontale

Per ragioni di simmetria lo stato tensionale (geostatico) è assial-simmetrico. La pressione inter-stiziale è zero (terreno asciutto), per cui le tensioni totali ed effi-caci coincidono.

Nel punto A:

- la tensione verticale σ'v0 è staticamente determinata dalla condizione di equilibrio alla traslazione in direzione verticale, e vale: σ'v0 = γZ;

- la tensione orizzontale σ'h0 è eguale in tutte le direzioni, non è staticamente determina-ta, e vale: σ'h0 = K0 σ'v0.

Il coefficiente di spinta a riposo, K0, può essere misurato sperimentalmente o più spesso stimato con formule empiriche1.

13 – 1

1Per la stima del coefficiente di spinta a riposo, K0, sono state proposte diverse equazioni empiriche, come già visto nel Capitolo 3, le più note e utilizzate delle quali sono:

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Poiché di norma K0 è minore di 1, la tensione verticale σ'v0 corrisponde alla tensione principale maggiore σ'1, mentre la tensione orizzontale σ'h0 corrisponde alla tensione principale minore σ'3. Per simmetria assiale la tensione principale intermedia σ'2 è eguale alla tensione principale minore σ'3.

Sia la tensione verticale σ’v0 che la tensione orizzontale σ’h0 valgono zero in superficie (Z=0) e variano linearmente con la profondità Z, rispettivamente con gradiente γ e con gradiente K0 γ.

Assumiamo che il terreno abbia resistenza al taglio definita dal criterio di rottura di Mohr-Coulomb:

' tan' φ⋅σ=τ (Eq. 13.1)

13 – 2

In Figura 13.2 è rappresentato nel piano di Mohr il cerchio corrispon-dente allo stato tensionale geostatico nel punto A e la retta inviluppo a rottura.

Supponiamo ora di inserire, a sini-stra e a destra del punto A, due pare-ti verticali ideali, cioè tali da non modificare lo stato tensionale nel terreno (Figura 13.3). Alla generica profondità z, sui due lati di ciascuna parete, si esercita la tensione oriz-

zontale efficace σ'h0 = K0 γ z.

Cerchio O

σ’

φ’

τ

σ’h0 σ’ v0

Figura 13.2 – Stato tensionale geostatico nel punto A

La spinta orizzontale S0 (risultante delle tensioni orizzontali efficaci) presente sui due lati di ciascuna parete, dal piano di campagna fino ad una generica profondità H, vale:

02

H

0

'0h0 KH

21dzS ⋅⋅γ⋅=⋅σ= ∫ (Eq. 13.2)

La profondità Z0 della retta di applicazione di S0, vale:

H32

S

dzzZ

0

H

0

'0h

0 ⋅=⋅⋅σ

=∫

(Eq. 13.3)

( )'sen1)NC(K 0 φ−≅per terreni NC:

e per terreni OC: 5,000 OCR)NC(K)OC(K ⋅≅

Per avere un’idea anche quantitativa dei valori di K0 si consideri che per φ’=30°, applicando le equazioni sopra scritte si stima: per OCR = 1 (terreno normalmente consolidato) K0 ≈ 0,50 per OCR = 2 (terreno debolmente sovraconsolidato) K0 ≈ 0,71 per OCR = 4 (terreno mediamente sovraconsolidato) K0 ≈ 1,00 per OCR = 10 (terreno fortemente sovraconsolidato) K0 ≈ 1,58 ovvero, in un terreno NC la tensione geostatica orizzontale σ’h0 è circa la metà di quella verticale, per OCR = 4 lo stato tensionale geostatico è isotropo, mentre per OCR > 4 la tensione geostatica orizzontale σ’h0 di-viene tensione principale maggiore.

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

che corrisponde alla profondità del baricentro dell’area triangolare del diagramma di pres-sione orizzontale di altezza H e base K0 γ H.

Supponiamo ora di allontanare gradualmente le due pareti (Figura 13.4). Nel punto A permangono condizioni di simmetria, per cui le tensioni verticale ed orizzontali sono an-cora principali. La tensione verticale σ’v0 = γZ non varia, mentre la tensione orizzontale efficace si riduce progressivamente.

HS

K Hγ

A

h0σ’ h0

0

0

0

σ’ Z = 2/3 H

K Hγ0

A

v0

ha

σ’ σ’

Figura 13.3 – Spinta a riposo Figura 13.4 – Condizione di spinta attiva

Il cerchio di Mohr, rappresentativo dello stato tensionale in A, si modifica di conseguen-za: la tensione principale maggiore σ’1 = σ’v0 rimane costante, mentre la tensione princi-pale minore σ’3 si riduce progressivamente dal valore iniziale σ’h0 al valore minimo com-patibile con l’equilibrio, σ’ha, detta tensione limite attiva, che corrisponde alla tensione principale minore del cerchio di Mohr tangente alla retta di inviluppo a rottura (Figura 13.5). Il raggio del cerchio di Mohr dello stato di tensione limite attiva è R = ½ (σ’v0-σ’ha), ed il centro è ad una distanza dall’origine

Cerchio OCerchio A

σ’

φ’

π ϕ/4+ ’/2

τ

τ

σ’ha h0 σ’ v0

f

C

F

R

O σ’

Figura 13.5 – Stato tensionale attivo (limite inferiore)

OC = ½ (σ’v0+σ’ha).

Considerando il triangolo rettangolo OFC (Figura 13.5), si ha:

( ) ( ) 'sen21

21

'senOCFCR

'ha

'0v

'ha

'0v φ⋅σ+σ⋅=σ−σ⋅

φ⋅==

'0v

2'0v

'ha

'0v

'ha

2'

4tan

'sen1'sen1

)'sen1()'sen1(

σ⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

=σ⋅φ+φ−

φ−⋅σ=φ+⋅σ

13 – 3

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Il rapporto:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

=φ+φ−

=2'

4tan

'sen1'sen1K 2

A (Eq. 13.4)

è detto coefficiente di spinta attiva.

Dunque si può scrivere: 'voA

'ha K σ⋅=σ (Eq. 13.5)

La tensione tangenziale critica, il cui valore τf è l’ordinata del punto F di tangenza del cerchio di Mohr con la retta di inviluppo a rottura, agisce su un piano che forma un ango-

lo di ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

2'

4 con la direzione orizzontale (Figura 13.5). In condizioni di rottura per rag-

giungimento dello stato di equilibrio limite inferiore (spinta attiva), il terreno inizia a scorrere lungo questi piani (Figura 13.6).

Z

A

A

v0

ha

f

f

σ’

τ

σ’ σ’

π φ/4+ ’/2

π φ/4+ ’/2

Figura 13.6 – Piani di scorrimento nella condizione di spinta attiva

La spinta orizzontale SA presente sui lati interni di ciascuna parete ideale, dal piano di campagna fino ad una ge-nerica profondità H (Figura 13.7), va-le:

S

ha

A

σ’

A

K HγA

Z = 2/3 HA

H

Figura 13.7 – Diagramma delle tensioni efficaci o-rizzontali in condizione di spinta attiva

A2

H

0

'hAA KH

21dzS ⋅⋅γ⋅=⋅σ= ∫

(Eq. 13.6)

Poiché anche in questo caso il dia-gramma di pressione orizzontale è triangolare, la profondità ZA della retta di applicazione di SA vale:

0A ZH32Z =⋅= (Eq. 13.7)

13 – 4

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Se si suppone ora di avvicinare le due pareti verticali ideali, alla destra ed alla sinistra del punto A, la tensione verticale efficace non subisce variazioni mentre quella orizzontale progressivamente cresce fino al valore massimo compatibile con il criterio di rottura di Mohr-Coulomb (Figura 13.8).

In tali condizioni la tensione verticale efficace, corrisponde alla tensione principale minore, σ’v0 = σ’3, e quella orizzontale, detta tensione limite pas-siva, σ’hp, alla tensione principale mag-giore, σ’hp = σ’1 (Figura 13.9).

A

v0

hp

σ’ σ’

Figura 13.8 – Condizione di spinta passiva

Procedendo in modo analogo a quanto già fatto per la condizione di spinta at-tiva, si ottiene:

'0v

2'0v

'hp 2

'4

tan'sen1'sen1

σ⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

=σ⋅φ−φ+

(Eq. 13.8)

Il rapporto:

A

2P K

12'

4tan

'sen1'sen1K =⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

=φ−φ+

=

(Eq. 13.9)

è detto coefficiente di spinta passiva.

Cerchio O

Cerchio P

φ’π φ/4- ’/2

τ

τ

σ’

f

C

F

R

O σ’hpσ’ v0Cσ’ h0

Figura 13.9 – Stato tensionale passivo (limite superio-re)

Le tensioni tangenziali critiche agi-scono su piani che formano un ango-

lo di ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

2'

4 con la direzione oriz-

zontale (Figura 13.9). In condizioni di rottura per raggiungimento dello stato di equilibrio limite superiore (spinta passiva), il terreno inizia a scorrere lungo questi piani (Figura 13.10).

La spinta orizzontale SP presente sui lati interni di ciascuna parete ideale dal piano di campagna fino ad una generica profondità H (Figura 13.11), vale:

P2

H

0

'hPP KH

21dZS ⋅⋅γ⋅=⋅σ= ∫ (Eq. 13.10)

Poiché anche in questo caso il diagramma di pressione orizzontale è triangolare la pro-fondità ZP della retta di applicazione di SP, vale:

0P ZH32Z =⋅= (Eq. 13.11)

13 – 5

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

I coefficienti di spinta attiva, KA, e passiva, KP, rappresentano i valori limite, rispettiva-mente inferiore e superiore, del rapporto tra le tensioni efficaci orizzontale e verticale:

P'0v

'h

A KK ≤σσ

≤ (Eq. 13.12)

In particolare il valore del coefficiente di spinta a riposo, K0, è compreso tra il valore di KA e quello di KP.2

Z

A

A

v0

hp

f

f

σ’

τ

σ’

σ’

π φ/4 - ’/2π φ/4 - ’/2

Figura 13.10 – Piani di scorrimento nella condizione di spinta passiva

S

hp

P

σ’

A

K HγP

Z = 2/3 HP

H

Figura 13.11 – Diagramma delle tensioni efficaci orizzontali in condizione di spinta passiva

2 Utilizzando per la stima di K0 le equazioni empiriche viste in precedenza si può constatare che i valori di K0 sono molto più prossimi al limite inferiore KA che al limite superiore KP. A titolo di esempio per φ’ = 30° si stima: KA = 0,333; K0 = 0,5; KP = 3

13 – 6

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

13.1.1 Osservazioni sperimentali sull’effetto del movimento della parete sul diagramma di pressione orizzontale

La distribuzione delle pressioni orizzon-tali dipende dal movimento della parete. In Figura 13.12 sono qualitativamente mostrati i diagrammi di pressione oriz-zontale contro una parete rigida in fun-zione del movimento della parete. Inol-tre, è stato sperimentalmente osservato (Tabella 13.1 e Figura 13.13) che le de-formazioni di espansione necessarie per far decadere la pressione orizzontale dal valore σ’h0, che corrisponde allo stato indeformato, al valore limite inferiore σ’ha, sono piccole, e comunque molto inferiori alle deformazioni di compres-sione necessarie per far elevare la pres-sione orizzontale dal valore σ’h0, al va-lore limite superiore σ’hp. Pertanto è buona norma riferirsi all’angolo di resi-stenza al taglio di picco per il calcolo della spinta attiva, ed all’angolo di resi-stenza al taglio a volume costante (ovve-ro per grandi deformazioni) per il calco-lo della spinta passiva.

13 – 7

13.1.2 Effetto dell’inclinazione della superficie del deposito

Pressione orizzontale

Rotazione rispetto alla testa

AttivaPassiva

K Kp a K 0

Pressione orizzontale

Rotazione rispetto al piede

AttivaPassiva

K Kp a K 0

Pressione orizzontale

Traslazione uniforme

AttivaPassiva

K Kp a K 0

Figura 13.12 – Diagrammi di pressione orizzonta-le contro una parete rigida. Dipendenza dai mo-vimenti della parete

Se il deposito di terreno incoerente (c’ = 0), omogeneo e asciutto, avente peso di volume γ costante con la profondità, è delimitato superiormente da una superfi-cie piana, inclinata di un angolo β < φ’ rispetto all’orizzontale, le tensioni prin-cipali non corrispondono più alle tensio-ni verticale ed orizzontali.

Si consideri un concio di terreno di lar-ghezza b e altezza Z, delimitato inferiormente da una superficie parallela al piano campa-gna e lateralmente da due superfici ideali verticali (Figura 13.14). Per ragioni di simme-tria, le risultanti delle tensioni che agiscono sulle due superfici laterali sono due forze S, eguali ed opposte, aventi la stessa retta d’azione inclinata dell’angolo β sull’orizzontale.

Consideriamo l’equilibrio del concio:

- le forze S si elidono l’una con l’altra e non intervengono nelle equazioni di equilibrio;

- il concio ha peso W = γ Z b; la forza W è verticale;

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

- la base del concio ha lunghezza l = b/cosβ;

- la risultante delle tensioni normali alla base del concio vale: N = W cosβ ;

- la risultante delle tensioni tangenziali alla base del concio vale: T = W sen β;

- la tensione normale alla base del concio vale: σ’n =N/l = γ Z cos2 β;

- la tensione tangenziale alla base del concio vale: τ =T/l = γ Z sen β cos β.

Tabella 13.1: Entità delle rotazioni della parete per raggiungere la rottura (con riferimento ai

simboli di Figura 13.13)

Rotazione Y / H Terreno

Decompressione

(Stato attivo)

Compressione

(Stato passivo)

Incoerente denso 0,001 0,020

Incoerente sciolto 0,004 0,060

Coesivo consistente 0,010 0,020

Coesivo molle 0,020 0,040

Nel piano di Mohr il punto Q di coordi-nate σ’n – τ rappresenta la tensione a-gente sul piano di base del concio, alla profondità Z inclinato dell’angolo β ri-spetto all’orizzontale. Il punto Q appar-tiene ad una retta di equazione τ = σ’ tan β (Figura 13.15).

Rotazione del muro, Y/H

Stato passivo

Sabbia densa

Sabbia densa

Rap

porto

tra

pres

sion

e or

izzo

ntal

e e

verti

cale

, K

Stato attivo

Sabbia sciolta

Sabbia scioltaSabbia compatta

K

K

K

0

a

p

Figura 13.13 – Effetti del movimento della parete sulla pressione orizzontale esercitata da sabbia

Il segmento OQ = γZ cos β = σ’v0 rap-presenta la tensione verticale sul piano alla base del concio.

Tutti i cerchi di Mohr passanti per il punto Q e sottostanti alla retta di invi-luppo a rottura di equazione τ = σ’ tanφ’ rappresentano stati di tensione alla pro-fondità Z compatibili con l’equilibrio.

Lo stato di tensione limite inferiore (attivo) e lo stato di tensione limite superiore (passi-vo) alla profondità Z sono rappresentati dai cerchi A e P di Figura 13.16.

I segmenti OA e OP (essendo A e P il polo dei relativi cerchi) sono rispettivamente il va-lore minimo, in condizioni di spinta attiva, ed il valore massimo, in condizioni di spinta passiva, della tensione, inclinata dell’angolo β sull’orizzontale, agente sulla superficie verticale alla profondità Z (il piano verticale non è principale, su di esso insistono una tensione normale ed una tensione tangenziale).

13 – 8

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

b

l

β

ZWS

S

T

N

φ’

β

τ

σ’O

Q

σ γ β’ = Z cos n2

τ = γ β βZ sen cos

Figura 13.14 – Condizione di equilibrio in un semispazio omogeneo, incoerente e a-sciutto delimitato da una superficie piana e inclinata

Figura 13.15 – Stato di tensione sul piano alla base del concio

φ’

β

τ

σ’O

Q

A

E

B

P

Cerchio P

Cerchio A

C Figura 13.16 – Stati di tensione limite in un deposito di terreno incoerente in pendio

Le spinte attiva, SA, e passiva, SP, sono le forze limite di equilibrio agenti su una parete verticale e inclinate dell’angolo β rispetto all’orizzontale, corrispondenti alle rispettive a-ree dei diagrammi di pressione.

Si consideri il cerchio A:

β⋅=

β⋅⋅γ⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

+−

+=+=β⋅⋅γ=−==σ

cosOCOB

cosZABOBABOB

ABOBBQOBcosZOQABOBOA

'a

'a

( ) ( ) 222222 sen'senOCsenOC'senOCBCACAB

senOCBC'senOCRECAC

β−φ⋅=β⋅−φ⋅=−=

β⋅=φ⋅===

13 – 9

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

β⋅⋅γ⋅⎟⎟

⎜⎜

φ−β+β

φ−β−β=

=β⋅⋅γ⋅⎟⎟

⎜⎜

β+−φ−+β

β+−φ−−β=β⋅⋅γ⋅

⎟⎟

⎜⎜

β−φ⋅+β⋅

β−φ⋅−β⋅=σ

cosZ'coscoscos

'coscoscos

cosZcos1'cos1cos

cos1'cos1coscosZ

sen'senOCcosOC

sen'senOCcosOC

22

22

22

22

22

22'a

Da cui:

0vA'a 'K σ⋅=σ (Eq. 13.13)

essendo:

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

φ−β+β

φ−β−β=

22

22

A'coscoscos

'coscoscosK

La spinta attiva, dal piano di campagna fino alla profondità Z, è data da:

(Eq. 13.14)

A

2

A K2

ZcosS ⋅⋅β⋅γ= (Eq. 13.15)

Analogamente, considerando il cerchio P, si ottiene:

0vP'p 'K σ⋅=σ

essendo: (Eq. 13.16)

⎟⎟

⎜⎜

φ−β−β

φ−β+β=

22

22

P'coscoscos

'coscoscosK

La spinta passiva dal piano di campagna fino alla profondità Z risulta:

(Eq. 13.17)

P

2

P K2

ZcosS ⋅⋅β⋅γ= (Eq. 13.18)

Per la condizione di spinta a riposo, staticamente indeterminata, si assume in genere:

)sen1()'sen1()sen1(KK 0i,0 β+⋅φ−=β+⋅= (Eq. 13.19)

13 – 10

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

13.1.3 Effetto della coesione

O

c’

φ’

τ

σ’C

R

F

σ’ σ’ 3 1

c’tan ’ϕ

σ σ’ + ’1 32

Figura 13.17 – Stato tensionale di equilibrio limite per un terreno dotato di coesione e di attrito

Se il deposito di terreno asciutto, omogeneo e delimitato da una superficie orizzontale è dotato anche di coesione oltre che di at-trito, ovvero ha resistenza al ta-glio definita dal criterio di rottura di Mohr-Coulomb:

'tan''c φ⋅σ+=τ (Eq. 13.20)

Le relazioni che legano le tensio-ni principali per uno stato tensio-nale di equilibrio limite sono le seguenti (Figura 13.17):

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅σ=σ2'

4tan'c2

2'

4tan 2'

3'1 (Eq. 13.21)

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅σ=σ2'

4tan'c2

2'

4tan 2'

1'3 (Eq. 13.22)

Pertanto, in condizioni di spinta attiva, quando la tensione orizzontale corrisponde alla tensione principale minore e la tensione verticale a quella maggiore, si ha:

AA2'

a,h K'c2KZ2'

4tan'c2

2'

4tanZ ⋅⋅−⋅⋅γ=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅γ=σ (Eq. 13.23)

Poiché il terreno non ha resistenza a trazione, l’equazione soprascritta è valida per Z > Zc, essendo Zc la profondità critica per la quale risulta σ’ha = 0:

Ac K

'c2Z⋅γ

⋅= (Eq. 13.24)

mentre per Z < Zc si assume σ’h = 0.

Per il calcolo della spinta attiva e della profondità di applicazione si fa riferimento al dia-gramma di Figura 13.183.

In condizioni di spinta passiva, quando la tensione orizzontale corrisponde alla tensione principale maggiore e la tensione verticale a quella minore, si ha:

PP2'

p,h K'c2KZ2'

4tan'c2

2'

4tanZ ⋅⋅+⋅⋅γ=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅γ=σ (Eq. 13.25)

Per il calcolo della spinta passiva e della profondità di applicazione si fa riferimento al diagramma di Figura 13.19:

13 – 11

3 Nella fascia di spessore Zc il terreno sarà interessato da fessure verticali di trazione che possono riempirsi di acqua, ad esempio per la pioggia. Si tiene conto di tale possibilità considerando, per il calcolo della spin-ta, anche un triangolo di pressione idrostatica di altezza Zc e base γw Zc.

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

P2

P2,P1,PP KZ21ZK'c2SS)Z(S ⋅⋅γ⋅+⋅⋅⋅=+= (Eq. 13.26)

⋅⋅⋅+⋅

=)Z(S

Z32S

2ZS

)S(ZP

2,P1,P

P (Eq. 13.27)

Z

2c’γ K

2 c’ K

σ’ (Z)

Z =

S’

S

A

W

ha

C

Ca

a

2/3 (Z - Z )γ Ζcw

Z

2 c’ K

σ’ (Z)

S’ P,1

P,2

hp

p

2/3 ZZ/2

S’

Figura 13.18 – Diagramma di spinta attiva in un terreno dotato di coesione e attrito

Figura 13.19 – Diagramma di spinta passiva in un terreno dotato di coesione e attrito

Nel caso in cui, in presenza di un terreno coesivo, si faccia riferi-mento a condizioni non drenate (come quelle che possono verifi-carsi immediatamente dopo l’ese-cuzione di uno scavo o la costru-zione di un’opera di sostegno), per determinare la spinta attiva e pas-siva bisogna applicare il criterio di rottura di Mohr-Coulomb (Eq. 13.20) in termini di tensioni totali (ϕ = 0, c = cu) e le tensioni limite attiva e passiva diventano rispetti-vamente (Figura 13.20):

τ

σσ’f σ σ σ

ϕ = 0

cu

h,a v0 h,p

Figura 13.20 – Stati pensionali limite attivo e passivo per un terreno coesivo in condizioni non drenate

u0vha c2−σ=σ (Eq. 13.28)

u0vhp c2+σ=σ (Eq. 13.29)

13 – 12

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

13.1.4 Terreni stratificati

Se il deposito di terreno è costituito da strati orizzontali omogenei, la spinta totale eserci-tata sulla parete verticale è la somma dei contribuiti di ciascuno strato. Il generico strato i-esimo, di spessore Hi, fra le profondità Zi-1 e Zi, costituto da un terreno avente peso di vo-lume γi e resistenza al taglio: , eserciterà contro la parete verticale ideale una spinta S

'i

'i tan'c φ⋅σ+=τ

i pari all’area del diagramma delle pressioni orizzontali nel tratto di sua com-petenza, applicata alla quota del baricentro di tale area (Figura 13.21).

H1 1

H 2

Hi

2

i

i-1

i+1

σ’ ha

Z

S’A,i

σ’ (Z )ha i-1

σ’ (Z )ha i

σ’ hp

Z

S’P,,i

σ’ (Z )hp i-1

σ’ (Z )hp i

Figura 13.21 – Spinta attiva e passiva in un terreno a strati orizzontali omogenei

La tensione verticale agente al tetto dello strato i-esimo, alla profondità Zi-1, vale:

∑−

=− ⋅γ=σ

1i

1jjj1i

'0v H)Z( (Eq. 13.30)

La tensione verticale agente alla base dello strato i-esimo, alla profondità Zi, vale:

ii1i'

0vi'

0v H)Z()Z( ⋅γ+σ=σ − (Eq. 13.31)

Il diagramma delle pressioni orizzontali in condizioni di spinta attiva è un trapezio avente:

altezza Hi,

base minore 0Kc2K)Z()Z( i,A'ii,A1i

'0v1i

'ha ≥⋅⋅−⋅σ=σ −− ,

e base maggiore 0Kc2K)Z()Z( i,A'ii,Ai

'0vi

'ha ≥⋅⋅−⋅σ=σ

Poiché il terreno non ha resistenza a trazione:

- se i valori di σ’ha(Zi-1) e di σ’ha(Zi), calcolati con le formule precedenti, risultano en-trambi minori di zero lo strato non esercita alcuna spinta,

13 – 13

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

- se il valore di σ’ha(Zi-1), calcolato con la formula precedente, risulta minore di zero per il calcolo della spinta si considera il diagramma di pressione positiva triangolare4 (ov-vero si assume σ’ha(Zi-1) = 0).

Il diagramma delle pressioni orizzontali in condizioni di spinta passiva è un trapezio a-vente:

altezza Hi,

base minore i,P'ii,P1i

'0v1i

'hp Kc2K)Z()Z( ⋅⋅+⋅σ=σ −− ,

e base maggiore i,P'ii,Pi

'0vi

'hp Kc2K)Z()Z( ⋅⋅+⋅σ=σ

13.2 Teoria di Coulomb (1776)

Molto prima di Rankine, il problema della determinazione della spinta esercitata dal ter-reno su un’opera di sostegno era stato affrontato dall’ingegnere militare francese Cou-lomb con un metodo basato sull’equilibrio delle forze in gioco.

Si consideri una parete di altezza H che sostenga un terrapieno di sabbia omogenea e a-sciutta.

Per semplicità di esposizione assumiamo, per il momento, le seguenti ipotesi:

1. assenza di attrito tra parete e terreno,

2. parete del muro verticale,

3. superficie del terrapieno orizzontale,

4. terreno omogeneo, incoerente e asciutto, con peso di volume γ e resistenza al taglio:

τ = σ’ tanφ’

5. superficie di scorrimento piana.

Per determinare il valore della spinta attiva, PA, limite inferiore dell’equilibrio, suppo-niamo di traslare gradualmente la parete verso l’esterno fino a produrre la rottura del ter-reno. La rottura si manifesta, nell’ipotesi di Coulomb, con il distacco di un cuneo di terre-no ABC che scorre verso l’esterno e verso il basso su una superficie di rottura piana e in-clinata di un angolo η sull’orizzontale, incognito (Figura 13.22). Il cuneo ABC trasla nel-la posizione A’B’C’.

In condizioni di equilibrio limite le forze che agiscono sul cuneo, rappresentate nel poli-gono delle forze di Figura 13.23, sono:

- il peso proprio η⋅⋅γ⋅= cotH21W 2 , che agisce in direzione verticale,

- la risultante R delle tensioni normali e tangenziali sulla superficie di scorrimento, che è inclinata di un angolo φ’ rispetto alla normale alla superficie AC, con componente tan-gente diretta verso l’alto, ovvero tale da opporsi al movimento incipiente del cuneo,

13 – 14

4 In entrambi i casi, nelle zone non compresse in direzione orizzontale si dovrà tenere conto della spinta e-sercitata dall’acqua di percolazione.

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

- e la spinta attiva PA, che agisce in direzione orizzontale per l’ipotesi di assenza di attri-to tra parete e terreno.

H

H

η

φ’

W

RA

A’

B’

B

AP

tan ηC

C’

η−φ’W

R

AP

Figura 13.22 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb Figura 13.23 – Poligono delle forze relativo al cuneo di spinta attiva di Coulomb

Per l’equilibrio è:

( ) )(f'tancotH21)'tan(WP 2

A η=φ−η⋅η⋅⋅γ⋅=φ−η⋅= (Eq. 13.32)

Per determinare il valore di η che corrisponde alla condizione di equilibrio limite attivo, ηcrit, e quindi PA, occorre fare la ricerca di massimo5 della funzione f(η), che può essere

condotta per via grafica o numerica, imponendo la condizione: 0PA =η∂

∂ .

Così facendo si ricava il valore critico dell’angolo η, che risulta:

2'

4critφ

=η (Eq. 13.33)

Sostituendo il valore critico di η nell’equazione di PA si ottiene infine:

A222

A KH21

2'

4tanH

21P ⋅⋅γ⋅=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅γ⋅= (Eq. 13.34)

L’espressione trovata coincide con quella di Rankine.

Analogamente, per determinare il valore della spinta passiva, PP, limite superiore dell’equilibrio, supponiamo di traslare gradualmente la parete verso l’interno fino a pro-durre la rottura del terreno. La rottura si manifesta, nell’ipotesi di Coulomb, con il distac-

13 – 15

5 Si tratta di una ricerca di massimo (e non di minimo) della funzione f(η), poiché si ricerca il valore di η corrispondente al cuneo critico, ovvero al cuneo che richiede il valore più alto di PA per l’equilibrio limite inferiore. Se si immagina, partendo ad esempio dalla condizione a riposo, di ridurre progressivamente la forza P, quando si perviene al valore PA si manifesta la rottura con la formazione del cuneo inclinato dell’angolo ηcrit sull’orizzontale.

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

co di un cuneo di terreno ABC che scorre verso l’interno e verso l’alto su una superficie di rottura piana e inclinata di un angolo η sull’orizzontale, incognito (Figura 13.24). Il cuneo ABC trasla nella posizione A’B’C’.

In condizioni di equilibrio limite le forze che agiscono sul cuneo, rappresentate nel poli-gono delle forze di Figura 13.25, sono:

H

H

ηφ’

WR

AA’

B’B

PP

tan η

C

C’

η+φ’W

R

PP

Figura 13.24– Cuneo di spinta passiva Coulomb Figura 13.25– Poligono delle forze relativo al cuneo di spinta passiva di Coulomb

- il peso proprio η⋅⋅γ⋅= cotH21W 2 , che agisce in direzione verticale,

- la risultante R delle tensioni normali e tangenziali sulla superficie di scorrimento, che è inclinata di un angolo φ’ rispetto alla normale alla superficie AC, con componente tangente diretta verso il basso, ovvero tale da opporsi al movimento incipiente del cu-neo,

- e la spinta attiva PP, che agisce in direzione orizzontale per l’ipotesi di assenza di attri-to tra parete e terreno.

Per l’equilibrio è:

( ) )(f'tancotH21)'tan(WP 2

P η=φ+η⋅η⋅⋅γ⋅=φ+η⋅= (Eq. 13.35)

Per determinare il valore di η che corrisponde alla condizione di equilibrio limite passivo, ηcrit, e quindi Pp, occorre fare la ricerca di minimo della funzione f(η), che può essere

condotta per via grafica o numerica, imponendo la condizione: 0PP =η∂

∂ .

Così facendo si ricava il valore critico dell’angolo η, che risulta:

2'

4critφ

−π

=η (Eq. 13.36)

Sostituendo il valore critico di η nell’equazione di PP si ottiene infine:

13 – 16

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

P222

P KH21

2'

4tanH

21P ⋅⋅γ⋅=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅γ⋅= (Eq. 13.37)

L’espressione trovata coincide con quella di Rankine.

H

η

β

λ

δ φ’

W

RAP

Figura 13.26 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb (terra-pieno e parete inclinati,presenza di attrito tra terreno e muro, terreno incoerente)

Le ipotesi semplificative inizial-mente introdotte, eccetto l’ipotesi di superficie di scorrimento piana, possono essere rimosse, a costo di una soluzione analitica più com-plessa o a costo di rinunciare alla soluzione analitica per una solu-zione grafica o numerica.

Si considerino, ad esempio gli schemi delle Figure 13.26 e 13.27, che rappresentano i cunei di spinta attiva e passiva nelle seguenti ipo-tesi:

- parete di altezza H inclinata di un angolo λ sulla verticale,

- terrapieno omogeneo e incoerente delimitato da una superficie inclinata di un angolo β sull’orizzontale,

- presenza di attrito tra parete e terreno, con coefficiente d’attrito tanδ,

- superficie di scorrimento piana.

H

η

β

λ

δ φ’

W

R

PP

Figura 13.27 – Cuneo di spinta passiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati, presenza di at-trito tra terreno e muro, terreno incoerente)

Sviluppando il calcolo analitico, con riferimento ai simboli delle figure, si ottiene

- per la condizione di spinta attiva:

13 – 17

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

A2

A KH21P ⋅⋅γ⋅= (Eq. 13.38)

( )

( ) ( ) ( )( ) ( )

2

2

2

A

coscos'sen'sen1coscos

'cosK

⎥⎦

⎤⎢⎣

β−λ⋅δ+λβ−φ⋅φ+δ

+⋅δ+λ⋅λ

λ−φ=

(Eq. 13.39)

- e per la condizione di spinta passiva:

P2

P KH21P ⋅⋅γ⋅= (Eq. 13.40)

( )

( ) ( ) ( )( ) ( )

2

2

2

P

coscos'sen'sen1coscos

'cosK

⎥⎦

⎤⎢⎣

β−λ⋅δ−λβ+φ⋅φ+δ

−⋅δ−λ⋅λ

λ+φ=

(Eq. 13.41)

In Figura 13.28 è schematicamente rappresentato il caso per la condizione di spinta attiva nell’ipotesi, ancor più generale, di :

- parete non verticale,

- terreno dotato di coesione e di attrito (τ = c’ + σ’ tanφ’),

- superficie del terrapieno inclinata,

- resistenza per adesione ed attrito all’interfaccia parete-terreno (τ = ca + σ’ tanδ),

- fessure di trazione nella fascia superiore di terreno (per la condizione di spinta atti-va)6.

La soluzione può essere ricercata per via grafica, con la costruzione di Culmann rappre-sentata in Figura 13.29, o numerica.

Per lo spessore della zona di trazione si assume:

La teoria di Coulomb è più versatile della teoria di Rankine, poiché permette di risolvere condizioni geometriche e di carico generali ed è alla base del più diffuso metodo pseudo-statico di calcolo della spinta in condizioni sismiche.

A

a

c K

'cc

1'c2Z

⋅γ

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+⋅⋅

= (Eq. 13.42)

13 – 18

6 Come già detto, nelle fessure di trazione può infiltrarsi acqua di percolazione, per cui è opportuno conside-rare anche la conseguente spinta idrostatica aggiuntiva.

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

W

A

F

E

B

C’ = c’ BCA a

D

Ca

Zc

C’

δAP

η

φ’

R

β

C = c BC

W

Ca

C’

AP

R

Figura 13.28 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati,presenza di attri-to tra terreno e muro, terreno coesivo)e poligono delle forze

Z

Linea di Culmann

Poligono delle forze(su una sezione)

c

C

C

a

C’

C’

φ’

Diagramma delle forze

Figura 13.29 – Costruzione di Culmann

13.3 Teoria di Caquot e Kérisel

Sia la teoria di Rankine che quella di Coulomb ipotizzano superfici di scorrimento piane. Tale ipotesi non è verificata a causa dell’interazione fra la parete dell’opera di sostegno ed il terreno. In Figura 13.30 sono mostrati gli effetti dell’attrito parete-terreno sulla for-ma della superficie di scorrimento, per i casi di:

a) spinta passiva, con movimento del cuneo di terreno verso l’interno e verso l’alto ri-spetto al movimento del muro (δ < 0).

b) spinta attiva, con movimento del cuneo di terreno verso l’esterno e verso il basso ri-spetto al movimento del muro (δ > 0);

I casi a) e b) possono essere confrontati con le soluzioni di Coulomb per la spinta attiva e passiva. 13 – 19

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

H

Aa)

B

C

DH/3

A’ π φ/4 - ’/2

π φ/2+ ’

δ

PP

π φ/4 + ’/2

π φ/2 - ’

δH

H/3

AP

B

D

A CA’b)

Figura 13.30 – Effetto dell’attrito parete-terreno sulla forma della superficie di scorrimento, nel caso di spinta passiva (a) e attiva (b)

La soluzione fu ottenuta per via nume-rica da Caquot e Kérisel (1948) accop-piando le teorie di Rankine e di Bous-sinesq, ed è riportata in grafici e tabelle in termini di coefficienti di spinta al variare degli angoli di resistenza al ta-glio φ’, di attrito parete-terreno δ, di inclinazione della parete rispetto alla verticale λ, e di inclinazione del piano che delimita il terrapieno rispetto all’orizzontale β, con la convenzione sui segni indicata in Figura 13.31.

+λ +δ

Figura 13.31 – Convenzione sui segni delle variabi-li angolari nelle Tabelle di Caquot and Kérisel

13.3.1 Dipendenza di KA e KP dall’angolo δ

Il valore di δ non può superare il valore di φ’, poiché in tal caso si formerebbe una pelli-cola di terreno solidale alla parete e lo scorrimento avverrebbe internamente al terreno con coefficiente di attrito tanφ’. I coefficienti di spinta KA e KP crescono con continuità da δ = +φ’ a δ = -φ’. Il segno di δ dipende, come abbiamo detto, dal movimento verticale re-lativo fra la parete e il terreno. In generale:

- in condizioni di spinta attiva, il terreno si abbassa rispetto alla parete e δ risulta com-preso tra +φ’ e 0,

- in condizioni di spinta passiva, il terreno sale rispetto alla parete e δ risulta compreso tra 0 e -φ’.

In genere, ma in modo più o meno arbitrario, si assume δ = φ’/4 per pareti in muratura o in cemento armato intonacate, e δ compreso tra 2/3φ’ e φ’/2 per pareti in muratura o in cemento armato non lisciate.

A titolo di esempio in Tabella 13.2 sono riportati i valori di KA e di KP al variare di δ per φ’=30°, β = 0° e λ = 0°. Si può osservare che in condizioni di spinta attiva il coefficiente KA varia poco, ovvero è poco influenzato dalla rugosità della parete. In condizioni di spinta passiva invece la dipendenza del coefficiente KP da δ è molto sensibile.

13 – 20

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Tabella 13.2 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA e KP al variare di δ per φ’=30°, β = 0° e λ = 0°

|δ| 30° 20° 10° 0°

KA 0,31 0,30 0,30 0,33

KP 6,56 5,25 4,02 3,00

13.3.2 Dipendenza di KA e KP dall’angolo β

Il valore dei coefficienti di spinta sia attiva che passiva cresce con β, poiché aumenta il volume di terreno coinvolto nella rottura. A titolo di esempio in Tabella 13.3 sono riporta-ti i valori di KA e di KP al variare di β per φ’ = 30°, λ = 0°, δ = φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva. Si osservi che il caso β = +φ’ = 30° in con-dizioni di spinta attiva (δ = φ’) corrisponde al caso particolare dell’equilibrio limite infe-riore di Rankine, poiché la spinta PA risulta parallela alla superficie libera e, analogamen-te, in condizioni di spinta passiva (δ = -φ’) corrisponde al caso particolare dell’equilibrio limite superiore di Rankine.

Tabella 13.3 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA e KP al variare di β per φ’=30°, λ = 0°, δ = +φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva.

β -30° -18° 0° +18° +30°

KA 0,232 0,257 0,308 0,409 0,866

KP 0,84 2,85 6,56 11,8 16,1

13.3.3 Dipendenza di KA e KP dall’angolo λ

13 – 21

In condizioni di spinta attiva, il coefficiente KA si riduce fino ad annullarsi quando

l’angolo λ decresce gradualmente dal valore ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

=λ2'

4, corrispondente all’inclinazione

dei piani di scorrimento di Rankine, al valore ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ−

π−=λ '

2, che corrisponde all’angolo di

naturale declivio.

In condizioni di spinta passiva, il coefficiente KP cresce molto rapidamente quando

l’angolo λ diminuisce dal valore ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

=λ2'

4, corrispondente all’inclinazione dei piani di

scorrimento di Rankine, al valore 2π

−=λ , che corrisponde ad una fondazione superficia-

le. A titolo di esempio, in Tabella 13.4 sono riportati i valori dei coefficienti di spinta KA e KP al variare di λ per β = 0°, φ’ = 30°, δ = + φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = - φ’ in condizioni di spinta passiva.

In Tabella 13.5 sono riportati i valori dei coefficienti di spinta KA (prima riga) e KP (se-conda riga) al variare dell’angolo di resistenza al taglio φ' e del rapporto δ/φ’ per terrapie-no orizzontale (β = 0°) e parete verticale (λ = 0°). Come già detto, nella maggior parte dei casi pratici, si assume che il rapporto δ/φ’ sia positivo in condizioni di spinta attiva e ne-

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

gativo in condizioni di spinta passiva. Si osserva che al crescere dell’angolo di resistenza al taglio φ’ il coefficiente di spinta attiva KA decresce lentamente, mentre il coefficiente di spinta passiva cresce molto rapidamente.

Tabella 13.4 - Soluzione di Caquot e Kérisel: coefficienti di spinta KA e KP al variare di λ per φ’=30°, β = 0°, δ = +φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva.

λ 60° 45° 30° 15° 0° -15° -30° -45° -60° -90°

KA - - 0,5 0,412 0,308 0,203 0,109 0,039 0 -

KP 0,8 1,65 2,80 4,4 6,56 9,5 13,6 19,2 27 52

13.3.4 Dipendenza di KA e KP dall’angolo φ’ e dal rapporto δ/φ’

Tabella 13.5 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA (prima riga) e KP (seconda riga) al variare dell’angolo di resistenza al taglio φ' e del rapporto |δ φ’| per terrapieno orizzon-tale (β = 0°) e parete verticale (λ = 0°)

/

φ’ 5° 10° 15° 20° 25° 30° 35° 40° 45° 50°

0,81 0,65 0,53 0,44 0,37 0,31 0,26 0,22 0,19 0,16 1

'=

φδ

1,26 1,66 2,20 3,04 4,26 6,56 10,7 18,2 35,0 75,0

0,81 0,66 0,54 0,44 0,36 0,30 0,25 0,20 0,16 0,13

32

'=

φδ

1,24 1,59 2,06 2,72 3,61 5,25 8,00 12,8 21,0 41,0

0,82 0,67 0,56 0,45 0,37 0,30 0,25 0,20 0,16 0,13

31

'=

φδ

1,22 1,52 1,89 2,38 3,03 4,02 5,55 8,10 12,0 19,0

0,84 0,70 0,59 0,49 0,41 0,33 0,27 0,22 0,17 0,13 0

'=

φδ

1,19 1,42 1,70 2,04 2,46 3,00 3,70 4,60 5,80 7,50

13.3.5 Confronto con la soluzione di Coulomb

Il metodo di Coulomb ipotizza e impone la forma della superficie di scorrimento piana. Pertanto i valori di PA e di PP, rispettivamente ottenuti dalle condizioni di massimo e di minimo, limitatamente alla forma imposta della superficie di scorrimento, non sono il massimo ed il minimo assoluti, ovvero per qualunque ipotetica forma della superficie di scorrimento. Pertanto i valori dei coefficienti di spinta attiva che si stimano con il metodo di Coulomb sono sempre inferiori ai valori stimati con il metodo di Caquot e Kérisel, che ipotizza una superficie di scorrimento curvilinea, e analogamente i valori dei coefficienti di spinta passiva che si stimano con il metodo di Coulomb sono sempre superiori ai valori stimati con il metodo di Caquot e Kérisel. Le differenze minori si osservano proprio quando risulta minore la differenza fra le superfici ipotizzate. Nel caso di spinta attiva, nella maggior parte dei casi pratici, ovvero per β, λ e δ positivi, le differenze sono mode-ste. Nel caso di spinta passiva invece le differenze possono essere molto sensibili, e poi-ché in genere la spinta passiva è una forza resistente, non è cautelativo calcolarla con il metodo di Coulomb.

13 – 22

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Inoltre, come già fatto osservare, poiché le deformazioni necessarie per mobilitare la spin-ta passiva sono molto grandi, il valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio non è, come nel caso di spinta attiva, il valore di picco, ma piuttosto il valore critico, a volume costante.

13.4 Spinta dovuta alla pressione interstiziale

Le teorie sulla spinta delle terre che abbiamo esaminato si riferiscono a terreni asciutti o comunque non sotto falda e quindi con acqua nei pori non in pressione (si ricorda che convenzionalmente e per semplicità si assume in genere che l’acqua nei pori possa avere pressione solo positiva, ovvero maggiore della pressione atmosferica. Si assume che l’acqua presente nei terreni sopra falda sia a pressione zero).

Se un terreno è anche solo parzialmente sotto falda, la spinta totale esercitata contro una parete sarà somma di due forze: la prima forza è la spinta esercitata dal terreno, valutata con le formule sopra citate, utilizzando le tensioni verticali efficaci7, la seconda forza è la spinta esercitata dall’acqua interstiziale. Quest’ultima si calcola integrando il diagramma delle pressioni interstiziali.

La presenza di acqua in pressione contro una parete di sostegno del terreno determina un forte incre-mento della spinta totale, pertanto, ove possibile, è sempre opportuno realizzare opere di drenaggio a tergo dell’opera allo scopo di abbattere il livello di falda.

Nel caso particolare, ma frequente, di falda freatica alla profondità Zw (Figura 13.32) si ottiene:

0)Z(u = per Z < Zw

)ZZ()Z(u ww −⋅γ= per Z ≥ Zw

Se vi è differenza tra il livello dell’acqua a monte e a valle dell’opera di sostegno, e vi è filtrazione sotto e intorno alla parete, la pressione interstiziale dovrebbe essere determina-ta in base al reticolo idrodinamico, come descritto nel Capitolo 4. Tuttavia, nel caso di terreno omogeneo, un approccio ragionevole e semplificato consiste nell’assumere che il carico idraulico vari linearmente come mostrato in Figura 13.33. La differenza di carico piezometrico tra monte e valle è:

Z 3

γ (Z-Z )

Sw

w

w

w

wZ

1 (Z + 2Z)

Figura 13.32 – Spinta idrostatica

( )2www ZZ

21)Z(S −⋅⋅= γ (Eq. 13.43)

)ZZ2(31)ZZ(

31Z)S(Z www +⋅=−⋅−= (Eq. 13.44)

13 – 23

7 Le tensioni verticali efficaci, per il principio delle tensioni efficaci, si ottengono sottraendo le tensioni in-terstiziali alle tensioni verticali totali.

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

∆h = (h + k – j), il percorso di filtrazione è

L = (h + d – j) + (d – k) = (h + 2d –j – k),

il gradiente idraulico è:

i = ∆h/L = (h + k – j) / (h + 2d – j – k)

(Eq. 13.45)

Percorso difiltrazione

Pressione dell’acqua totale

h

ub

k

d

j

ub

Pressione dell’acqua netta

Figura 13.33 – Schema semplificato della pressione dell’acqua su una parete in presenza di fil-trazione

Nel tratto di monte del percorso la filtrazione è discendente e comporta una riduzione del-la pressione interstiziale rispetto alla condizione idrostatica. Nel tratto di valle la filtrazio-ne è ascendente e comporta un aumento della pressione interstiziale rispetto alla condi-zione idrostatica. Al piede della parete (supponendo che il suo spessore sia trascurabile rispetto alla lunghezza del percorso di filtrazione) la pressione interstiziale vale:

)i1()kd()i1()jdh(u wwb +⋅−⋅γ=−⋅−+⋅γ= (Eq. 13.46)

13.5 Incremento della spinta attiva dovuta a carichi applicati sul terra-pieno

13.5.1 Pressione verticale uniforme ed infinitamente estesa sulla superficie del deposito.

Una pressione q verticale, uniforme ed infinitamente estesa sulla superficie di un deposito delimitato da un piano orizzontale produce in ogni punto del semispazio un incremento costante della tensione verticale ∆σ’v0 = q ed un incremento costante della tensione oriz-zontale ∆σ’h = K q (Figura 13.34), avendo indicato con K il coefficiente di spinta che, a 13 – 24

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

seconda dello stato di deformazione orizzontale, assume valori compresi tra KA e KP. Ne consegue che:

- le tensioni verticale ed orizzontali continuano ad essere le tensioni principali,

- il diagramma delle tensioni orizzontali è trapezio,

- la spinta orizzontale S presente su una parete ideale dal piano di campagna fino ad una generica profondità H, è l’area del diagramma di pressione orizzontale e può essere calcolata come somma dell’area rettangolare di base Kq e altezza H, e dell’area trian-golare di base K γ H e altezza H:

2HK21HqK)(S)q(SS ⋅γ⋅⋅+⋅⋅=γ+= (Eq. 11.47)

- la profondità della retta di applicazione della componente S(q) è H/2, la profondità del-la retta di applicazione di S(γ) è 2H/3, dunque la profondità della retta di azione di S è:

S

H32)(S

2H)q(S

)S(Z⋅⋅γ+⋅

= (Eq. 11.48)

q

q

Z

σ ‘

γ Z

v0

q

K q

Z

σ ‘

Κ γ Z

h

Figura 13.34 – Effetto di una pressione verticale uniforme ed infinitamente estesa

13.5.2 Carichi concentrati sulla superficie del deposito

Se, in condizioni di spinta attiva, sulla superficie del deposito delimitato da un piano oriz-zontale agiscono carichi che possono essere schematizzati come puntuali o come distri-buiti su una linea parallela al muro, di intensità piccola (minore del 30%) rispetto alla spinta attiva, l’incremento di pressione orizzontale può essere valutato con le formule in-dicate in Figura 13.35, ottenute da Terzaghi (1954) modificando empiricamente le equa-zioni di Boussinesq. Se i carichi sono molto elevati o hanno una diversa distribuzione, oc-corre utilizzare il metodo del cuneo di Coulomb.

13 – 25

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Valo

ri di

n =

z/H

Valori di (H/Q )σ

Carico lineare

Carico lineare QPer

Per

Per

Per

Risultante

Diagramma delle pressioni relativo al casodi carico lineare Q(equazione di Boussinesq modificata sperimentalmente)

Sezione a - aDiagramma delle pressioni relativo al casodi carico puntiforme Q(equazione di Boussinesq modificata sperimentalmente)

Caricopuntiforme

h L

L

L

Valori di (H /Q )σh2

P

P

P

Carico puntiforme Q

Figura 13.35 – Pressioni orizzontali su una parete in condizioni di spinta attiva dovute a ca-richi concentrati sulla superficie orizzontale del terrapieno

13.6 Effetto del costipamento meccanico del terrapieno

Molto spesso, ad esempio per la costruzione di strade, il terrapieno retrostante un’opera di sostegno è costituito da un terreno incoerente asciutto, messo in opera in strati successivi, costipati con rullo compressore per aumentarne la densità e quindi la rigidezza e la resi-stenza. Tale tecnica produce uno stato di coazione nel terreno ed un conseguente aumento delle pressioni orizzontali nella condizione di spinta attiva.

13 – 26

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Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Se l’azione esercitata dal rullo compressore può essere schematizzata con un carico di in-tensità p distribuito lungo una linea parallela alla parete, e se il terreno viene messo in o-pera in strati di piccolo spessore, per tenere conto dell’effetto di costipamento, si può as-sumere come diagramma di pressione orizzontale sul muro quello indicato in Figura 13.36.

La profondità critica è:

Il valore del carico p, dipende dai mezzi impiegati per il costipamento, e in particolare dal peso statico e dalle dimensioni del rullo, e dalla eventuale azione vibratoria che si assume equivalente ad un incremento di peso.

γ⋅π⋅

⋅=p2KZ Ac (Eq. 13.49)

Z

Z

σ’

σ σ’ = K ’

σ σ’ = K ’

h

c

c

h

ha

hp

v

v

A

P

Figura 13.36 – Effetto del costipamento sul diagramma di spinta attiva

13 – 27

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

CAPITOLO 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

La fondazione è quella parte della struttura che trasmette il carico dell’opera al terreno sottostante. La superficie di contatto tra la base della fondazione e il terreno è detta piano di posa. In base al rapporto tra la profondità del piano di posa (D), rispetto al piano di campagna, e la dimensione minima in pianta (B), si definiscono, in accordo con quanto proposto da Terzaghi:

o superficiali le fondazioni in cui il rapporto D/B è minore di 4;

o profonde le fondazioni per le quali il rapporto D/B è maggiore di 10;

o semi-profonde le fondazioni con D/B compreso tra 4 e 10.

Per quanto riguarda il meccanismo di trasferimento del carico al terreno, le fondazioni superficiali trasmettono il carico solo attraverso il piano di appoggio, le fondazioni pro-fonde e semi-profonde trasferiscono il carico al terreno sia in corrispondenza del piano di appoggio che lungo la superficie laterale.

In questo capitolo la trattazione sarà limitata al caso delle fondazioni superficiali.

Per garantire la funzionalità della struttura in elevazione, il sistema di fondazioni deve soddisfare alcuni requisiti; in particolare, il carico trasmesso in fondazione:

1. non deve portare a rottura il terreno sottostante;

2. non deve indurre nel terreno cedimenti eccessivi tali da compromettere la stabilità e la funzionalità dell’opera sovrastante;

3. non deve produrre fenomeni di instabilità generale (p. es. nel caso di strutture realiz-zate su pendio);

4. non deve indurre stati di sollecitazione nella struttura di fondazione incompatibili con la resistenza dei materiali.

15.1 Capacità portante e meccanismi di rottura Il primo punto è quello che riguarda la verifica di stabilità dell’insieme terreno-fondazione, ovvero la determinazione della capacità portante (o carico limite, qlim), che rappresenta la pressione massima che una fondazione può trasmettere al terreno prima che questo raggiunga la rottura.

Per introdurre il concetto di capacità portante immaginiamo di applicare ad un blocco di calcestruzzo appoggiato su un terreno omogeneo un carico verticale centrato e di misurare il valore del cedimento all’aumentare del carico. Se riportiamo in un grafico la curva cari-

15 –

1

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

co-cedimenti, osserviamo che il suo andamento1 è diverso in relazione allo stato di adden-samento (o alla consistenza, se si tratta di terreno coesivo) del terreno (Figura 15.1).

In particolare, si ha che:

− a parità di carico, il cedimento del blocco è tanto maggiore quanto minore è la densità relativa (o quanto minore è la consistenza);

− per valori elevati della densità relativa (o della consistenza), in corrispondenza del ca-rico di rottura, il blocco collassa, mentre per valori bassi della densità relativa (o della consistenza) il cedimento tende ad aumentare progressivamente ed indefinitamente. In questo caso la condizione di rottura è individuata da un valore limite convenziona-le del cedimento.

Alle diverse curve carico-cedimenti corrispondono diversi meccanismi di rottura che pos-sono ricondursi a tre schemi principali (Figura 15.1):

1. rottura generale

2. rottura locale

3. punzonamento per ciascuno dei quali si svilup-pano, nel terreno sottostante la fondazione, superfici di rottura con diverso andamento. Variando la profondità del piano di posa si osserva che l’andamento della curva carico-cedimenti si modifi-ca e in particolare all’aumentare della profondità del piano di posa si può passare da una condizione di rottura generale ad una di rottu-ra locale e ad una per punzona-mento.

Per quanto riguarda i tre meccani-smi di rottura sopra menzionati, è possibile osservare che nel caso di terreno denso (o compatto) i piani di rottura si estendono fino a raggiungere la superficie del pia-no campagna (rottura generale), nel caso di materiale sciolto (o poco consistente) le superfici di rottura interessano solo la zona in prossimità del cuneo sottostante la fondazione e non si estendono lateralmente

Figura 15.1: Meccanismi di rottura

1 A rigore, l’andamento del grafico riportato nella Figura 15.1a) si riferisce a condizioni di deformazione controllata e non di carico controllato.

15 –

2

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

(rottura locale); nel caso di materiale molto sciolto (o molle) le superfici di rottura coinci-dono praticamente con le facce laterali del cu-neo (punzonamento).

Figura 15.2: Meccanismi di rottura di fon-dazioni superficiali su sabbia

Attualmente non si dispone di criteri quantita-tivi per individuare a priori il tipo di meccani-smo di rottura, anche se esistono indicazioni a livello qualitativo per identificare il tipo di rot-tura più probabile (un esempio per terreni in-coerenti è riportato in Figura 15.2). Ad oggi, non sono reperibili in letteratura soluzioni ana-litiche per lo studio del meccanismo di rottura locale, mentre esistono numerose soluzioni a-nalitiche per la stima del carico limite per lo schema di rottura generale.

15.2 Calcolo della capacità portante I due principali studi teorici per il calcolo della capacità portante, dai quali deriva la mag-gior parte delle soluzioni proposte successivamente, sono stati condotti da Prandtl (1920) e Terzaghi (1943), per fondazione nastriforme (problema piano) utilizzando il metodo dell’equilibrio limite. Entrambi schematizzano il terreno come un mezzo continuo, omo-geneo e isotropo, a comportamento rigido plastico e per il quale vale il criterio di rottura di Mohr-Coulomb.

15.2.1 Schema di Prandtl

Prandtl ipotizza l’assenza di attrito tra fondazione e terreno sottostante e quindi che la rot-tura avvenga con la formazione di un cuneo in condizioni di spinta attiva di Rankine (in cui le tensioni verticale ed orizzontale sono principali, la tensione verticale è la tensione principale maggiore, la tensione orizzontale è la tensione principale minore) le cui facce risultano inclinate di un angolo di 45°+ϕ/2 rispetto all’orizzontale, essendo ϕ l’angolo di resistenza al taglio del terreno (Figura 15.3). Il cuneo è spinto verso il basso e, in condi-zioni di equilibrio limite, produce la rottura del terreno circostante secondo una superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica, con anomalia φ (zona di taglio radiale). Tale ipotesi consegue al fatto che in condizioni di rottura le tensioni sulla superficie di scorri-mento sono inclinate per attrito di un angolo φ rispetto alla normale, e quindi hanno dire-zione che converge nel polo A della spirale logaritmica. A sua volta la zona di taglio ra-diale spinge il terreno latistante e produce la rottura per spinta passiva. Il cuneo ADF è in condizioni di spinta passiva di Rankine (le tensioni verticale ed orizzontale sono principa-li, la tensione verticale è la tensione principale minore, la tensione orizzontale è la tensio-ne principale maggiore), è delimitato da superfici piane inclinate di un angolo di 45°- φ/2 rispetto all’orizzontale, e scorre verso l’esterno e verso l’alto.

15 –

3

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Figura 15.3: Schema di Prandtl per il calcolo della capacità portante

B D

EA F

G B

45°- ϕ/2

45°+ϕ/2

D C

q = γ⋅D

L = ∞

Cuneo rigido di terreno

Superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica

Zona passiva di Rankine

piano campagna G

B D

EA F

B

45°- ϕ/2

45°+ϕ/2

q = γ⋅D piano campagna

Piano di fon-dazione

Superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica

L = ∞

Come caso particolare, per φ = 0 il cuneo sottostante la fondazione ha le pareti inclinate a 45°, la zona di taglio radiale è limitata da una superficie circolare (spirale logaritmica ad anomalia 0) e la zona passiva ha piani di scorrimento inclinati a 45°.

15.2.2 Schema di Terzaghi

Il meccanismo di rottura di Terzaghi ipotizza (secondo uno schema più aderente alle con-dizioni reali) la presenza di attrito tra fondazione e terreno. In questo caso il cuneo sotto-stante la fondazione è in condizioni di equilibrio elastico, ha superfici inclinate di un an-golo φ rispetto all’orizzontale, e penetra nel terreno come se fosse parte della fondazione stessa. (Figura 15.4).

C A

B

C E A F

G B

ϕ

D

piano campagna L = ∞

Piano di fondazione

q=γ⋅D

Figura 15.4: Schema di Terzaghi per il calcolo della capacità portante

B

qp

cppp PPPP ++= γ

Cuneo rigido di terreno

B D

45°- ϕ/2

Zona passiva di Rankine

Superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica

Pp

ϕ

c⋅AB

15 –

4

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

È da osservare che la presenza di un cuneo intatto, sotto la fondazione, è in accordo con l’evidenza che le superfici di rottura non possono interessare l’elemento rigido di fonda-zione.

Secondo entrambe le teorie, il terreno sovrastante il piano di fondazione contribuisce alla capacità portante solo in virtù del proprio peso, ma è privo di resistenza al taglio; pertanto nel tratto FG della superficie di scorrimento non vi sono tensioni di taglio.

Con riferimento agli schemi delle Figure 15.3 e 15.4, relativi al caso di una fondazione nastriforme, è possibile evidenziare che il carico limite dipende, oltre che dalla larghezza della fondazione, B, e dall’angolo di resistenza al taglio, φ , del terreno:

− dalla coesione, c;

− dal peso proprio del terreno, γ, interno alla superficie di scorrimento;

− dal sovraccarico presente ai lati della fondazione, che, in assenza di carichi esterni sul piano campagna, è dato da q = γ⋅D (Figure 15.3 e 15.4).

Non esistono metodi esatti per il calcolo della capacità portante di una fondazione super-ficiale su un terreno reale, ma solo formule approssimate trinomie ottenute, per sovrappo-sizione di effetti, dalla somma di tre componenti da calcolare separatamente, che rappre-sentano rispettivamente i contributi di: (1) coesione e attrito interno di un terreno privo di peso e di sovraccarichi; (2) attrito interno di un terreno privo di peso ma sottoposto all’azione di un sovraccarico q; (3) attrito interno di un terreno dotato di peso e privo di sovraccarico. Ogni componente viene calcolata supponendo che la superficie di scorri-mento corrisponda alle condizioni previste per quel particolare caso. Poiché le superfici differiscono fra loro e dalla superficie del terreno reale, il risultato è approssimato. L’errore comunque è piccolo e a favore della sicurezza.

La soluzione, per fondazione nastriforme con carico verticale centrato, è espressa nella forma:

qclim NqNcNB21q ⋅+⋅+⋅⋅γ⋅= γ (Eq. 15.1)

dove Nγ, Nc, Nq sono quantità adimensionali, detti fattori di capacità portante, funzioni dell’angolo di resistenza al taglio φ e della forma della superficie di rottura considerata.

Per i fattori Nc ed Nq, relativi rispettivamente alla coesione e al sovraccarico, esistono e-quazioni teoriche, mentre per il fattore Nγ, che tiene conto dell'influenza del peso del ter-reno, la cui determinazione richiede un procedimento numerico per successive approssi-mazioni, esistono solo formule empiriche approssimanti.

Confrontando le equazioni proposte da vari Autori per il calcolo dei fattori di capacità portante si osserva un accordo quasi unanime per i fattori Nc ed Nq, mentre per il fattore Nγ sono state proposte soluzioni diverse2. Le equazioni più utilizzate per la stima dei fat-tori di capacità portante sono le seguenti: 2 A titolo di esempio:

( )φγ ⋅⋅−= 4,1tg)1N(N q (Meyerhof, 1963)

15 –

5

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Il valore dei fattori di capacità portan-te cresce molto rapidamente con l’angolo di resistenza al taglio (Figura 15.5). È pertanto molto più importan-te, per una stima corretta della capaci-tà portante, la scelta dell’angolo di re-sistenza al taglio che non l’utilizzo di una o l’altra delle equazioni proposte dai vari Autori.

Come caso particolare, per ϕ = 0, ov-vero per le verifiche in condizioni non drenate di fondazioni superficiali su terreno coesivo saturo in termini di tensioni totali, i fattori di capacità portan

)24

( tgeN 2tgq

φ+

π= ϕ⋅π (Eq. 15.2)

( ) φ⋅−= ctg1NN qc (Eq. 15.3)

( ) φ⋅−⋅=γ tg1N 2N q (Eq. 15.4)

Nq = 1,

Nc = 5,14

Nγ = 0.

15.2.3 Equazione generale di capacità p

Nelle applicazioni pratiche, per la stima si utilizza la seguente equazione generale

γγγγγγ ⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅γ⋅+

⋅⋅⋅+⋅⋅⋅⋅⋅⋅=

gbidsNB'21

sNqgbidsNcq qqcccccclim

In cui, si è indicato con:

sc, sq, sγ, i fattori di forma;

dc, dq, dγ, i fattori di profondità;

ic, iq, iγ, i fattori di inclinazione del carico

bc, bq, bγ, i fattori di inclinazione della ba

φγ tg)1N(5,1N q ⋅−⋅= (Hansen, 197

φγ tg)1N(2N q ⋅+⋅= (Vesic, 1973)

15

1

10

100

1000

0 10 20 30 40 50

ϕ ( ° )Fa

ttor

i di c

apac

ità p

orta

nte

NqNcΝγ

Figura 15.5: Fattori di capacità portante per fondazioni superficiali

te assumono i valori:

ortante di fondazioni superficiali

della capacità portante di fondazioni superficiali, , proposta da Vesic (1975):

+⋅⋅⋅ gbid qqqq

(Eq. 15.5)

;

se; 0)

– 6

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

gc, gq, gγ, i fattori di inclinazione del piano campagna;

B’ la larghezza equivalente per carico eccentrico.

Fattori di forma e di profondità

L’equazione originale di Terzaghi è ottenuta con riferimento ad un striscia indefinita di carico, in modo da poter considerare il problema piano. Le fondazioni reali hanno invece, spesso, dimensioni in pianta confrontabili, e quindi la capacità portante è influenzata dagli effetti di bordo. Si può tener conto, in modo semi empirico, della tridimensionalità del problema di capacità portante attraverso i fattori di forma, il cui valore può essere calcola-to con le formule indicate in Tabella 15.1.

Tabella 15.1: Fattori di forma (Vesic, 1975)

Forma della fondazione sc sq sγ

Rettangolare c

q

NN

'L'B1 ⋅+ φ⋅+ tan

'L'B1

'L'B4,01 ⋅−

Circolare o quadrata c

q

NN

1+ φ+ tan1 0,6

I fattori sc ed sq, rispettivamente associati alla coesione e al sovraccarico latistante, sono maggiori di 1 poiché anche il terreno alle estremità longitudinali della fondazione contri-buisce alla capacità portante, mentre il fattore sγ, associato al peso proprio del terreno di fondazione, è minore di 1 a causa del minore confinamento del terreno alle estremità.

Se si vuole mettere in conto anche la resistenza al taglio del terreno sopra il piano di fon-dazione, ovvero considerare la superficie di scorrimento estesa fino al piano campagna (segmento FG delle Figure 15.3 e 15.4), si possono utilizzare i fattori di profondità indica-ti in Tabella 15.2. Tuttavia, poiché il terreno sovrastante il piano di fondazione è molto spesso un terreno di riporto o comunque con caratteristiche meccaniche scadenti e inferio-ri a quelle del terreno di fondazione, l’uso dei fattori di profondità deve essere fatto con cautela.

Inclinazione ed eccentricità del carico

Molto spesso le fondazioni superficiali devono sostenere carichi eccentrici e/o inclinati.

Per tenere conto della riduzione di capacità portante dovuta all’eccentricità del carico si assume che l’area resistente a rottura sia quella porzione dell’area totale per la quale il ca-rico risulta centrato. In particolare, per una fondazione a base rettangolare di dimensioni B x L, se la risultante dei carichi trasmessi ha eccentricità eB nella direzione del lato mi-nore B ed eccentricità eL nella direzione del lato maggiore L, ai fini del calcolo della ca-pacità portante si terrà conto di una fondazione rettangolare equivalente di dimensioni B’xL’ rispetto alla quale il carico è centrato, essendo:

B’= B–2eB (Eq. 15.6)

15 –

7

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

L’= L–2eL (Eq. 15.7)

Anche l’inclinazione del carico riduce la resistenza a rottura di una fondazione superficia-le. A seconda del rapporto fra le componenti, orizzontale H e verticale V, del carico la rottura può avvenire per slittamento o per capacità portante.

Le equazioni empiriche per fattori di inclinazione del carico ritenute più affidabili sono indicate in Tabella 15.3.

Si osservi che data una fondazione con carico inclinato si può definire un dominio di rot-tura nel piano H-V, e pervenire al collasso per differenti moltiplicatori del carico, e in par-ticolare:

1) per aumento di V ad H costante,

2) per aumento di H a V costante,

3) per aumento proporzionale di H e di V (a H/V costante).

Occorre quindi di volta in volta considerare le condizioni di carico possibili più sfavore-voli.

Inclinazione della base e del piano campagna

Se la struttura trasmette carichi permanenti sensibilmente inclinati può essere talvolta conveniente rea-lizzare il piano di posa della fonda-zione con un’inclinazione ε rispetto all’orizzontale (Figura 15.6). In tal caso la capacità portante nella dire-zione ortogonale al piano di posa può essere valutata utilizzando i fattori di inclinazione del piano di posa indicati in Tabella 15.4. B

ε

ω

Q

Figura 15.6: Piano di posa e/o piano di campagna inclinato

Se il piano campagna è inclinato di un angolo ω rispetto all’orizzonta-le (Figura 15.6), la capacità portan-te può essere valutata utilizzando i fattori di inclinazione del piano di campagna indicati in Tabella 15.5.

Tabella 15.2: Fattori di profondità (Vesic, 1975)

15 –

8

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Valore di φ dc dq dγ

1'B

D≤

'BD4,01 ⋅+

φ = 0

argilla satura in condizio-

ni non drenate

1'B

D> ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅+

'BDarctan4,01

1 1

1'B

D≤ ( )

'BDsen1tan21 2 ⋅φ−⋅φ⋅+ φ > 0

sabbia e argilla in condizio-ni drenate

φ⋅

−−

tanNd1

dc

qq

1'B

D> ( ) ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅φ−⋅φ⋅+

'BDarctansen1tan21 2

1

Tabella 15.3: Fattori di inclinazione del carico (Vesic, 1975)

Terreno ic iq iγ

φ = 0

argilla satura in condizioni non

drenate

cu NcLBHm1

⋅⋅⋅⋅

− 1 1

c > 0, φ > 0

argilla in condi-zioni drenate

φ⋅

−−

tanNi1

ic

qq

1m

'gcot'cLBVH1

+

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡φ⋅⋅⋅+

1m

'gcot'cLBVH1

+

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡φ⋅⋅⋅+

c = 0

sabbia -

m

VH1 ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −

1m

VH1

+

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

ϑ⋅+

ϑ⋅=2

B

2L

senm

cosmm

LB1

LB2

mB

+

+=

BL1

BL2

mL

+

+=

θ è l’angolo fra la direzione del carico proiettata sul piano di fon-dazione e la direzione di L

Tabella 15.4: Fattori di inclinazione del piano di posa (ε < π/4) (Hansen, 1970)

bc bq bγ

φtanNb1

bc

qq ⋅

−− ( )2tan1 φε ⋅− ( )2tan1 φε ⋅−

Tabella 15.5: Fattori di inclinazione del piano campagna (ω < π/4, ω < φ) (Hansen, 1970)

15 –

9

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

gc gq gγ

φtanNg1

gc

qq ⋅

−− ( ) ω⋅ω− costan1 2

ωcosgq

15.3 Scelta dei parametri di resistenza del terreno Il calcolo della capacità portante deve essere effettuato nelle condizioni più critiche per la stabilità del sistema di fondazione, valutando con particolare attenzione le possibili con-dizioni di drenaggio. Tali condizioni dipendono com’è noto dal tipo di terreno e dalla ve-locità di applicazione del carico.

Nel caso dei terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie), caratterizzati da valori elevati della permeabilità (k ≥ 10-5 m/s), l’applicazione di carichi statici3 non genera sovrapressioni in-terstiziali; pertanto, l’analisi è sempre condotta con riferimento alle condizioni drenate, in termini di tensioni efficaci.

Nel caso di terreni a grana fine (limi e argille), a causa della loro bassa permeabilità, salvo il caso di applicazione molto lenta del carico, si generano sovrapressioni interstiziali che si dissipano lentamente nel tempo col procedere della consolidazione.

Pertanto per i terreni a grana fine è necessario distinguere un comportamento a breve ter-mine, in condizioni non drenate, ed uno a lungo termine, in condizioni drenate. L’analisi (a lungo termine) in condizioni drenate può essere effettuata in termini di tensioni effica-ci. Tale tipo di approccio può essere impiegato anche nelle analisi (a breve termine) in condizioni non drenate, ma per la sua applicazione è richiesta la conoscenza delle sovra-pressioni interstiziali, ∆u, che si sviluppano durante la fase di carico. Poiché, di fatto, la definizione delle ∆u in sito è un problema estremamente complesso, l’analisi in condizio-ni non drenate è generalmente effettuata, nelle applicazioni pratiche, in termini di tensioni totali, con riferimento alla resistenza al taglio non drenata corrispondente alla pressione di consolidazione precedente l’applicazione del carico.

Le condizioni non drenate sono generalmente le più sfavorevoli per la stabilità delle fon-dazioni su terreni coesivi, poiché al termine del processo di consolidazione l’incremento delle tensioni efficaci avrà prodotto un incremento della resistenza al taglio.

15.3.1 Analisi in termini di tensioni efficaci (condizioni drenate)

Nelle analisi di capacità portante in termini di tensioni efficaci, la resistenza del terreno è definita mediante i parametri c’ e φ’ (il criterio di rottura è espresso nella forma τ = c’ + σ’ tg φ’) e i vari termini e fattori della relazione generale (Eq. 15.5), devono essere calco-lati con riferimento a questi parametri.

3 L’applicazione di carichi dinamici e ciclici può causare un accumulo significativo delle pressioni intersti-ziali anche in terreni sabbiosi

15 –

10

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

In presenza di falda si deve tener conto dell’azione dell’acqua, sia nella determinazione del carico effettivamente trasmesso dalla fondazione al terreno sia nel calcolo della qlim.

In particolare, nel calcolo del carico trasmesso dalla fondazione al terreno deve essere considerata la sottospinta dell’acqua agente sulla porzione di fondazione immersa, mentre il carico limite deve essere valutato in termini di pressioni efficaci. In particolare, riferen-dosi per semplicità alla relazione di Terzaghi, si ha:

q'

c''

2lim NqNcNB21q ⋅+⋅+⋅⋅γ⋅= γ (Eq. 15.8)

dove q’ rappresenta il valore della pressione efficace agente alla profondità del piano di posa della fondazione e il peso di volume immerso del terreno presente sotto la fonda-zione. Nel calcolo dei fattori di capacità portante viene utilizzato il valore di φ’ del terreno presente sotto la fondazione.

'2γ

Ipotizzando la presenza di falda in quiete, i casi possibili sono 4:

a) Il pelo libero della falda si trova a profondità maggiore di D+B.

In questo caso la presenza della falda può essere trascurata.

b) Il pelo libero della falda coincide con il piano di posa della fondazione (Figura 15.7a).

In questo caso , essendo γDq 1' ⋅γ= 1 il peso umido (o saturo) del terreno al di sopra

del piano di posa della fondazione.

c) Il pelo libero della falda si trova a quota a al di sopra del piano di posa della fondazio-ne (Figura 15.7b).

In questo caso , essendo rispettivamente γ( ) aaDq '11

' ⋅γ+−⋅γ= 1 il peso umido (o satu-

ro) e il peso immerso del terreno al di sopra del piano di posa della fondazione. '1γ

d) Il pelo libero della falda si trova a quota d<B sotto il piano di posa della fondazione (Figura 15.7c).

In questo caso , essendo γDq 1' ⋅γ= 1 il peso umido (o saturo) del terreno al di sopra

del piano di posa della fondazione, mentre il termine diventa B'2 ⋅γ ( )dBd '

22 −⋅γ+⋅γ

Figura 15.7: Influenza

B

D

B

Dd

a

a)

D

B

della posizione della falda sul calb)

15 – 11

colo della capacità portante c)

B

-d
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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

15.3.2 Analisi in termini di tensioni totali (condizioni non drenate)

Nelle analisi di capacità portante in termini di tensioni totali, la resistenza del terreno è definita convenzionalmente mediante il parametro cu (il criterio di rottura è espresso nella forma τ = cu), che, contrariamente a c’ e ϕ’, non rappresenta una caratteristica del mate-riale, ma un parametro di comportamento. In questo caso, i fattori di capacità portante valgono: Nγ = 0, Nc = 5.14, Nq = 1 e il carico limite è dato quindi da:

q0c0c0c0c0c0ulim gqgbidsc14,5q ⋅+⋅⋅⋅⋅⋅⋅= (Eq. 15.9)

essendo q = γ1D la pressione totale agente sul piano di posa della fondazione, e avendo indicato con il pedice 0 i fattori correttivi per φ = 0.

È opportuno evidenziare che per l’analisi in termini di tensioni totali, l’eventuale sotto-spinta idrostatica dovuta alla presenza della falda non deve essere considerata.

15.3.3 Effetto della compressibilità del terreno di fondazione

Le soluzioni teoriche per la determinazione della capacità portante di fondazioni superfi-ciali con il metodo all’equilibrio limite si riferiscono al meccanismo di rottura generale (Figura 15.1), e assumono che il terreno non si deformi ma che i blocchi che identificano il cinematismo di rottura (Figure 15.3 e 15.4) abbiano moto rigido. Quando tale ipotesi è lontana dall’essere verificata, ovvero per terreni molto compressibili, argille molli e sab-bie sciolte, il meccanismo di rottura è locale o per punzonamento. Un metodo approssi-mato semplice, suggerito da Terzaghi, per tenere conto dell’effetto della compressibilità del terreno di fondazione sulla capacità portante consiste nel ridurre di 1/3 i parametri di resistenza al taglio, ovvero nell’assumere come dati di progetto i valori:

c*= 0,67 c e tanφ*= 0,67 tanφ

Per il calcolo della capacità portante di fondazioni superficiali su sabbie mediamente ad-densate o sciolte (DR < 0,67) Vesic (1975) propose di utilizzare un valore di calcolo ridot-to dell’angolo di resistenza al taglio, secondo l’equazione:

( ) φ⋅⋅−+=φ tanD75,0D67,0tan 2RR

* (Eq. 15.10)

15.4 Capacità portante di fondazioni su terreni stratificati La determinazione della capacità portante di fondazioni su terreni stratificati è un proble-ma di non facile soluzione, per il quale non esistono quindi trattazioni teoriche di sempli-ce impiego.

Se l’importanza dell’opera non è tale da giustificare l’uso di metodi numerici avanzati (per esempio metodi agli elementi finiti), si ricorre generalmente all’applicazione di schemi e formule approssimate.

15 –

12

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

In presenza di terreni stratificati, se lo spessore misurato dal piano di fondazione dello strato di terreno su cui appoggia la fondazione è maggiore di B, il terreno può considerar-si omogeneo.

Nell’ipotesi che tale circostanza non sia verificata, i casi che possono presentarsi sono i seguenti:

1. Fondazione su terreni dotati di sola coesione

1.1 strato superiore meno resistente di quello inferiore

1.2 strato superiore più resistente di quello inferiore

2. Fondazione su terreni dotati di attrito e coesione

2.1 strato superiore meno resistente di quello inferiore

2.2 strato superiore più resistente di quello inferiore

Generalmente nei casi 1.1 e 2.1 si ricorre, se possibile all’asportazione dello strato più su-perficiale ed eventualmente ad una sua sostituzione con materiale compattato. Qualora ciò non sia possibile, si può comunque calcolare cautelativamente la capacità portante assu-mendo come parametri di resistenza quelli relativi allo strato più superficiale.

Nel caso 1.1, se lo strato superficiale è di spessore limitato si può mettere in conto anche il contributo alla resistenza dovuto allo strato sottostante, utilizzando nell’espressione di qlim per fondazioni nastriformi (qlim = cNc + γD) la seguente formula per Nc:

14.5c14.5B

d 1.5N r1

sc, ≤+= (Eq. 15.11)

dove d1 rappresenta lo spessore dello strato più superficiale al di sotto del piano di fonda-zione, B la larghezza della fondazione e cr = c2/c1, essendo c1 e c2, rispettivamente, il valo-re della coesione dello strato più superficiale e di quello sottostante. Per 0.7 ≤ cr ≤ 1 il va-lore di Nc,s deve essere ridotto del 10%.

Nel caso 1.2 la capacità portante di una fondazione nastriforme di larghezza B può essere calcolata utilizzando lo schema di una fondazione ideale di larghezza B+d1 appoggiata sullo strato inferiore (ipotizzando cioè che il carico si diffonda nello strato superiore di spessore d1 con un rapporto 2:1).

Nel caso 2 si possono calcolare per la stratificazione un angolo di resistenza al taglio ed una coesione equivalenti nel seguente modo:

− si determina la profondità H= 0.5 tg(45° + ϕ1/2)⋅B

con ϕ1 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato superiore;

− se H > d1 si determina il valore di ϕ equivalente da utilizzare nel calcolo di qlim come:

( )H

dHd 2111 ϕ⋅−+ϕ⋅=ϕ

15 –

13

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

con ϕ2 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato inferiore;

− in modo analogo si ricava c equivalente.

15.5 Dal carico limite al carico ammissibile Il carico ammissibile qamm è calcolato dividendo il carico limite qlim per un coefficiente maggiore di 1, chiamato fattore di sicurezza FS, che viene introdotto per tener conto della variabilità del terreno, dell’affidabilità dei dati e delle incertezze insite nel modello adot-tato e nella stima dei carichi.

Generalmente il coefficiente di sicurezza viene applicato solo alla pressione limite netta, ossia al carico che va ad aggiungersi a quello già presente alla quota del piano di fonda-zione. In pratica:

qFS

qqq limamm +

−= (Eq. 15.10)

Il valore così ottenuto deve risultare maggiore del carico di esercizio qes.

In alternativa, se è noto il carico di esercizio qes trasmesso dalla fondazione al terreno, il coefficiente di sicurezza può essere calcolato mediante la relazione:

qqqqFS

es

lim−−

= (Eq. 15.11)

e questo valore deve risultare maggiore del limite imposto dalla normativa.

Nel caso di fondazioni con carico eccentrico, per il calcolo strutturale dell’elemento di fondazione, si fa in genere l’ipotesi semplificativa che, in condizioni di esercizio e quindi per carico molto minore della capacità portante, la pressione di contatto struttura di fon-dazione-terreno sia lineare, e che il terreno non abbia resistenza a trazione.

Ne consegue che il diagramma delle tensioni di contatto viene calcolato con le formule della presso flessione per sezioni non reagenti a trazione.

Ad esempio, se per semplicità di esposizione si considera una fondazione continua di lar-ghezza B soggetta ad un carico verticale N per unità di lunghezza con eccentricità e (Fi-gura 15.8):

- se la risultante ricade all’interno del nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e < B/6, il

diagramma è trapezio e le tensioni alle estremità valgono: ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅

±⋅=σσ

Be61

BN

min

max

- se invece la risultante è esterna al nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e > B/6, la se-

zione è parzializzata e il diagramma è triangolare, con base ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −⋅= e

2B3B* e tensione

massima, all’estremità compressa ( )e2BN

34

max ⋅−⋅=σ .

15 –

14

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Ipc

c

Èt

Lpczdrlde

Lcpd

Lt

N

B

e

σmin σmax

e < B/6

N

B

e

σmax

e > B/6

B*

Figura 15.8: Schema delle pressioni di contatto in condizioni di esercizio per fondazioni con carico eccentrico.

l coefficiente di sicurezza per la verifica di capacità portante, trascurando il carico già resente alla quota del piano di fondazione, sarà il rapporto fra la forza verticale massima on eccentricità e, al limite dell’ equilibrio: Qlim = qlim (B – 2e) e la forza verticale di eser-

izio, con pari eccentricità N: N

QFS lim=

buona norma tuttavia progettare le fondazioni superficiali in modo che la sezione sia in-eramente compressa, almeno per i carichi di lunga durata.

a scelta del coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura di fondazioni superficiali (che otremmo anche definire coefficiente di ignoranza), come sempre per le opere geotecni-he, è operazione delicata e complessa, poiché sono molte e di diversa origine le incertez-e con cui viene determinato il valore di riferimento. Vi sono incertezze nella definizione el modello geotecnico (stratigrafia, spessore e geometria degli strati, variabilità delle ca-atteristiche geotecniche, affidabilità delle indagini geotecniche eseguite, etc..), incertezze egate al metodo di calcolo (leggi costitutive, ipotesi sul meccanismo di collasso, utilizzo i relazioni empiriche, etc..), incertezze legate ai carichi applicati, alla loro probabilità di venienza e alla persistenza nel tempo, etc).

a normativa italiana ancora vigente (D.M. 11/03/1988) richiede come limite inferiore del oefficiente di sicurezza globale rispetto alla rottura di fondazioni superficiali, un valore ari a 3 per le fondazioni di manufatti in generale, e pari a 2 per le fondazioni delle opere i sostegno.

e nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC-08), come già detto, utilizzano il me-odo degli stati limite ed i coefficienti di sicurezza parziali da applicare rispettivamente

15 – 15

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

alle azioni o agli effetti delle azioni (A), alle caratteristiche dei materiali (M) e alle resi-stenze (R).

Le NTC-08, al § 6.4.2 Fondazioni superficiali, recitano:

“La profondità del piano di posa della fondazione deve essere scelta e giustificata in re-lazione alle caratteristiche e alle prestazioni della struttura in elevazione, alle caratteri-stiche del sottosuolo e alle condizioni ambientali.

Il piano di fondazione deve essere situato sotto la coltre di terreno vegetale nonché sotto lo strato interessato dal gelo e da significative variazioni stagionali del contenuto d’acqua.

In situazioni nelle quali sono possibili fenomeni di erosione o di scalzamento da parte di acque di scorrimento superficiale, le fondazioni devono essere poste a profondità tale da non risentire di questi fenomeni o devono essere adeguatamente difese.

6.4.2.1 Verifiche agli stati limite ultimi (SLU)

Nelle verifiche di sicurezza devono essere presi in considerazione tutti i meccanismi di stato limite ultimo, sia a breve sia a lungo termine.

Gli stati limite ultimi delle fondazioni superficiali si riferiscono allo sviluppo di meccani-smi di collasso determinati dalla mobilitazione della resistenza del terreno e al raggiun-gimento della resistenza degli elementi strutturali che compongono la fondazione stessa.

Nel caso di fondazioni posizionate su o in prossimità di pendii naturali o artificiali deve essere effettuata la verifica anche con riferimento alle condizioni di stabilità globale del pendio includendo nelle verifiche le azioni trasmesse dalle fondazioni.

Le verifiche devono essere effettuate almeno nei confronti dei seguenti stati limite:

- SLU di tipo geotecnico (GEO)

- collasso per carico limite dell’insieme fondazione-terreno

- collasso per scorrimento sul piano di posa stabilità globale

- SLU di tipo strutturale (STR)

- raggiungimento della resistenza negli elementi strutturali,

accertando che la condizione (6.2.1)4 sia soddisfatta per ogni stato limite considerato.

La verifica di stabilità globale deve essere effettuata secondo l’Approccio 1:

- Combinazione 2: (A2+M2+R2)

tenendo conto dei coefficienti parziali riportati nelle Tabelle 6.2.I e 6.2.II per le azioni e i parametri geotecnici e nella Tabella 6.8.I per le resistenze globali.

La rimanenti verifiche devono essere effettuate, tenendo conto dei valori dei coefficienti parziali riportati nelle Tab. 6.2.I, 6.2.II e 6.4.I, seguendo almeno uno dei due approcci:

Approccio 1: 4 Ed ≤ Rd

15 –

16

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

- Combinazione 1: (A1+M1+R1)

- Combinazione 2: (A2+M2+R2)

Approccio 2:

(A1+M1+R3).

Nelle verifiche effettuate con l’approccio 2 che siano finalizzate al dimensionamento strutturale, il coefficiente γR non deve essere portato in conto. Tabella 6.2.I – Coefficienti parziali perle azioni o per l’effetto delle azioni

CARICHI EFFETTO

Coefficiente

Parziale

γF (o γE)

EQU ( A1 )

STR

( A2 )

GEO

Favorevole 0,9 1,0 1,0 Permanenti

Sfavorevole γG1 1,1 1,3 1,0

Favorevole 0,0 0,0 0,0 Permanenti non strutturali

Sfavorevole γG2 1,5 1,5 1,3

Favorevole 0,0 0,0 0,0 Variabili

Sfavorevole γQi 1,5 1,5 1,3

Tabella 6.2.II – Coefficienti parziali per i parametri geotecnici del terreno

PARAMETRO GRANDEZZA ALLA QUALE APPLICARE IL COEFFICIENTE

PARZIALE

COEFFICIENTE PARZIALE

( M1 ) ( M2 )

Tangente dell’angolo di resistenza al taglio

tan φ’k γφ’ 1,0 1,25

Coesione efficace c’k γc’ 1,0 1,25

Resistenza non drenata cuk γcu 1,0 1,4

Peso dell’unità di vo-lume

γ γγ 1,0 1,0

Tabella 6.8.I – Coefficienti parziali per le ve-rifiche di sicurezza di opere di materiali sciolti e di fronti di scavo

COEFFICIENTE ( R2 )

γR 1,15

15 –

17

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Tabella 6.4.I – Coefficienti parziali γR per le verifiche agli stati limite ultimi di fondazioni superficiali

VERIFICA COEFFICIENTE PARZIALE ( R1 )

COEFFICIENTE PARZIALE ( R2 )

COEFFICIENTE PARZIALE ( R3 )

Capacità portante γR = 1,0 γR = 1,8 γR = 2,3

Scorrimento γR = 1,0 γR = 1,1 γR = 1,1

6.4.2.2 Verifiche agli stati limite di esercizio (SLE)

Si devono calcolare i valori degli spostamenti e delle distorsioni per verificarne la com-patibilità con i requisiti prestazionali della struttura in elevazione (§§ 2.2.2 e 2.6.2), nel rispetto della condizione (6.2.7)5. Analogamente, forma, dimensioni e rigidezza della struttura di fondazione devono essere stabilite nel rispetto dei summenzionati requisiti prestazionali, tenendo presente che le verifiche agli stati limite di esercizio possono risul-tare più restrittive di quelle agli stati limite ultimi.”

15.5.1 Esempi di verifiche geotecniche di fondazioni superficiali secondo la normativa italiana ancora vigente (D.M. 11/03/1988) e secondo le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC-08)

Esempio 1 Eseguire  le verifiche allo Stato Limite Ultimo  (SLU) di una  fondazione superficiale quadrata  in c.a. su argilla molle. (Per semplicità si trascura la presenza del pilastro che trasmette il carico alla fondazione).  Dati  (il pedice k indica il valore caratteristico, il pedice d indica il valore di progetto): Carico permanente verticale centrato trasmesso alla fondazione: Gk = 270 kN Carico variabile verticale centrato trasmesso alla fondazione: Qk = 70 kN Spessore della fondazione: s = 0,5 m Lato della fondazione: B = 2,75 m Profondità del piano di posa della fondazione: D = 1 m 

Gk, Qk

Ds

B x B

Profondità della falda freatica da p.c.: Dw = 0 m Peso specifico del c.a.: γca,k = 25 kN/m3

Peso specifico dell’acqua: γw,k = 10 kN/m3  Peso di volume del terreno: γk = 18 kN/m3  Angolo di resistenza al taglio del terreno: φʹk = 20° Coesione del terreno: cʹk = 4 kPa Resistenza al taglio non drenata del terreno: cu,k = 30 kPa  

5 Ed ≤ Cd dove Ed è il valore di progetto dell’effetto delle azioni e Cd è il prescritto valore limite dell’effetto delle azioni. Quest’ultimo deve essere stabilito in funzione del comportamento della struttura in elevazione.

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

 Verifiche di capacità portante secondo la precedente Normativa (D.M. 11/03/1988) Si assumono i valori caratteristici come valori di calcolo  a) in condizioni a breve termine, non drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni totali Fattore di sicurezza: FS = (qlim ‐ q) / (qes ‐ q) ≥ 3 Capacità portante totale netta: (qlim ‐ q) = Nc0 cu sc0  Fattore di capacità portante a breve termine: Nc0 = (2 + π) = 5,142 Fattore di forma a breve termine: sc0 = 1,2  Pressione totale latistante: q = γ D = 18 kPa (qlim ‐ q) = Nc0 cu sc0 = 185,1 kPa Peso totale della fondazione e del terreno sovrastante: Gfond,k = B2 [(D ‐ s) γk + s γca,k ] = 162,6 kN  Pressione totale trasmessa dalla fondazione: qes = (Gk + Qk + Gfond,k) / B2 = 66,5 kPa FS = (qlim ‐ q) / (qes ‐ q) = 3,82 > 3  verifica soddisfatta  b) in condizioni a lungo termine, drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni efficaci Fattore di sicurezza: FS = (qlim ‐ qʹ) / (qes ‐ qʹ) ≥ 3 Capacità portante efficace: qlim = cʹ Nc sc + qʹ Nq sq + 0,5 γʹ B Nγ sγ  Angolo di resistenza al taglio: φʹ = φʹk = 20° = 0,349 rad Peso di volume immerso del terreno: γʹ = γ ‐ γw = 8 kN/m3  Fattori di capacità portante:  Fattori di forma:  Pressione efficace latistante: Nc = 14,835      sc = 1,431    qʹ = γʹ D =8 kPa Nq = 6,399      sq = 1,364 Nγ = 3,930      sγ = 0,6 qlim = cʹ Nc sc + qʹ Nq sq + 0,5 γʹ B Nγ sγ = 180,7 kPa Peso immerso della fondazione e del terreno sovrastante: Gʹfond,k = Gfond,k ‐ γw B2  D = 87,0 kN Pressione efficace trasmessa dalla fondazione: qes = (Gk + Qk + Gʹfond,k) / B2 = 56,5 kPa FS = (qlim ‐ qʹ) / (qes ‐ qʹ) = 3,56 > 3  verifica soddisfatta   Verifiche secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni ‐ 2008 Verifiche  allo  stato  limite ultimo  (SLU) dellʹinsieme  fondazione‐terreno  (GEO)  (Verifiche di capacità portante) Sono eseguite le verifiche allo SLU di tipo geotecnico (GEO) nei confronti del collasso per carico limite dellʹinsieme fondazione‐terreno, tenendo conto dei valori dei coefficienti parziali riportati nelle Tabelle 6.2.I, 6.2.II e 6.4.I.  La Normativa richiede che venga seguito almeno uno dei due approcci: Approccio 1: ‐ Combinazione 1: (A1+M1+R1) ‐ Combinazione 2: (A2+M2+R2) Approccio 2: 

(A1+M1+R3) Deve essere rispettata la condizione: Ed ≤ Rd ovvero Rd / Ed ≥ 1 La verifica geotecnica  (GEO) allo stato  limite ultimo  (SLU) con  lʹApproccio 1  ‐ Combinazione 1 differisce dalla verifica con  lʹApproccio 2    solo nei coefficienti parziali  γR da applicare alla  resi‐stenza R. Poiché  i valori di  γR dellʹApproccio 2  (R3)  sono maggiori di quelli dellʹApproccio 1  ‐ 

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Combinazione 1  (R1)  (vedi Tabella 6.4.I), questʹultima verifica è  sempre meno cautelativa della precedente e può essere omessa.  a) in condizioni a breve termine, non drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni totali  Approccio 1 – Combinazione 2  (A2+M2+R2) Sono invariate  le azioni permanenti,  incrementate  le azioni variabili (A), ridotti  i parametri geo‐tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gfond,k) + γQ Qk

γG = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2) γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2) Ed = 523,6 kN Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2

Capacità portante totale di progetto: qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd 

Resistenza al taglio non drenata di progetto: cu,d = cu,k /γcuγcu = 1,4 (da Tabella 6.2.II colonna M2) cu,d = 21,4 kPa Pressione totale latistante la fondazione di progetto: qd = (γk / γγ ) D γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M2) qd = 18 kPa  qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd = 150,2 kPa Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 1136,0 kN Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR  γR = 1,8 (da Tabella 6.4.I colonna R2) Rd = R / γR = 631,1 kN Ed ≤ Rd   523,6 < 631,1  verifica soddisfattaRd / Ed = 1,205   Approccio 2 (A1+M1+R3) Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gfond,k) + γQ Qk

γG = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A1) γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1) Ed = 667,4 kN Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2

Capacità portante totale di progetto: qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd

Resistenza al taglio non drenata di progetto: cu,d = cu,k /γcuγcu = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) cu,d = 30,0 kPa Pressione totale latistante la fondazione di progetto: qd = (γk / γγ ) D γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) qd = 18 kPa qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd = 203,1 kPa Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 1535,9 kN Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR  γR = 2,3 (da Tabella 6.4.I colonna R3) 

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Rd = R / γR = 667,8 kN Ed ≤ Rd   667,4 < 667,8  verifica soddisfattaRd / Ed = 1,001  b) in condizioni a lungo termine, drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni efficaci  Approccio 1 – Combinazione 2  (A2+M2+R2) Sono invariate  le azioni permanenti,  incrementate  le azioni variabili (A), ridotti  i parametri geo‐tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gʹfond,k) + γQ Qk

γG = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2) γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2) Ed = 448,0 kN Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2

Capacità portante efficace di progetto: qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ  Coesione efficace di progetto: cʹd = cʹk/γcʹγcʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2) cʹd = 3,2 kPa Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio caratteristico: tanφʹk = 0,364  Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio di progetto: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ 

γφʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2) tanφʹd = 0,291 Angolo di resistenza al taglio di progetto: φʹd = 0,283 rad = 16,2° Peso di volume immerso del terreno di progetto: γʹd = γʹk / γγ  γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M2) γʹd = 8 kN/m3

Fattori di capacità portante:  Fattori di forma: Nc = 11,792      sc = 1,376 Nq = 4,433      sq = 1,291 Nγ = 1,999      sγ = 0,6 Pressione efficace latistante di progetto: qʹd = γʹd D = 8 kPa qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ = 110,9 kPa Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 838,8 kN Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR  γR = 1,8 (da Tabella 6.4.I colonna R2) Rd = R / γR = 466,0 kN Ed ≤ Rd   448,0 < 466,0  verifica soddisfattaRd / Ed = 1,040 > 1  Approccio 2 (A1+M1+R3) Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gʹfond,k) + γQ Qk

γG = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A1) γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1) Ed = 569,1 kN Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Capacità portante efficace di progetto: qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ  Coesione efficace di progetto: cʹd = cʹk/γcʹγcʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) cʹd = 4,0 kPa Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio caratteristico: tanφʹk =0,364 Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio di progetto: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ 

γφʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) tanφʹd = 0,364 Angolo di resistenza al taglio di progetto: φʹd = 0,349 rad = 20° Peso di volume immerso del terreno di progetto: γʹd = γʹk / γγ γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) γʹd = 8 kN/m3

Fattori di capacità portante:  Fattori di forma: Nc = 14,835      sc = 1,431 Nq = 6,399      sq = 1,364 Nγ = 3,930      sγ = 0,6 Pressione efficace latistante di progetto: qʹd = γʹd D = 8 kPa qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ = 180,7 kPa Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 1366,6 kN Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR  γR = 2,3 (da Tabella 6.4.I colonna R3) Rd = R / γR = 594,2 kN Ed ≤ Rd   569,1 < 594,2  verifica soddisfattaRd / Ed = 1,044 > 1 Verifiche allo Stato Limite di Esercizio (SLE) La Normativa italiana (NTC) impone di calcolare gli spostamenti e le distorsioni per verificarne la compatibilità con i requisiti prestazionali della struttura in elevazione nel rispetto della condizio‐ne Ed ≤ Cd, in cui Cd è il prescritto valore limite dellʹeffetto delle azioni, da stabilire in funzione del comportamento della struttura in elevazione. Secondo  lʹeurocodice EC7  il  calcolo dei  cedimenti deve  essere  eseguito  assumendo  coefficienti parziali per le azioni pari a 1 e  i valori caratteristici dei parametri di deformazione sia  in condi‐zioni non drenate che in condizioni drenate.   Esempio 2 Eseguire le verifiche allo Stato Limite Ultimo (SLU) della fondazione superficiale a base quadrata di una struttura alta, leggera e soggetta a significative azioni orizzontali accidentali schematizzata in Figura.  Dati (il pedice k indica il valore caratteristico, il pedice d indica il valore di progetto): Carico permanente verticale centrato trasmesso alla fondazione: Gvk = 600 kN Carico accidentale orizzontale trasmesso alla fondazione:Qhk = 300 kN Quota di applicazione del carico orizzontale: h = 10 m Spessore della fondazione: s = 2 m Lato della fondazione: B = 5,5 m Profondità del piano di posa della fondazione: D = 2 m 

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Falda freatica assente Peso specifico del c.a.: γca,k = 24,5 kN/m3

Terreno di fondazione costituito da sabbia e ghiaia di media densità Peso di volume del terreno: γk = 20  N/m3  Angolo di resistenza al taglio: φʹk = 35° Coesione del terreno: cʹk = 0 kPa Angolo dʹattrito fondazione terreno: δk = 0,75 φʹk = 26,25°  

Verifiche  di  stabilità  secondo  la  precedente Nor‐mativa (D.M. 11/03/1988) Si assumono i valori carat‐teristici come valori di calcolo  Verifica alla traslazione sul piano di posa Il rapporto fra lʹazione resistente nella direzione del‐lo  slittamento  e  lʹazione  orizzontale  massima  tra‐smessa  in  fondazione deve risultare non  inferiore a 1,3. Per il calcolo dellʹazione resistente di attrito alla base della  fondazione  si  trascura  la  spinta  passiva  sul fronte verticale del blocco di fondazione e si assume come  angolo  di  attrito  fondazione‐terreno  lʹangolo di resistenza al taglio allo stato critico.  Peso  del  blocco  di  fondazione: Gfond,k  =  B2  s  γca,k  = 1482,3 kN Coefficiente dʹattrito: tanδk = 0,493 Azione  resistente: RH =  (Gfond,k + Gvk)  tanδk = 1026,9 

kN 

B x B

h

D

Qhk

Gvk

Azione orizzontale massima: Qhk = 300 kN  Fattore di sicurezza alla traslazione: FSTR = 3,42  > 1,3  

la verifica alla traslazione è soddisfattaVerifica al ribaltamento Il rapporto fra il momento delle azioni stabilizzanti e quello delle forze ribaltanti rispetto al lembo anteriore della base non deve risultare minore di 1,5. Azioni al piano di appoggio: Azione verticale: V = Gfond,k + Gvk = 2082,3 kN Azione orizzontale: H = Qhk = 300 kN Momento: M = H (h + D) = 3600 kN m Eccentricità: e = M/V = 1,73 m Momento delle forze stabilizzanti: Mstab = V B/2 = 5726,2 kN m Momento delle forze ribaltanti: Mrib = M = 3600 kN m Fattore di sicurezza al ribaltamento: FSRIB = 1,59 > 1,5   la verifica al ribaltamento è soddisfatta Verifica di capacità portante Larghezza equivalente: Bʹ = B ‐ 2e = 2,04 m Area equivalente: Aʹ = B x Bʹ = 11,23 m2  

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Pressione latistante la fondazione: q = γD = 40,00 kPa Capacità portante: qlim = cʹ Nc sc dc ic bc gc + q Nq sq dq iq bq gq + 0,5 γ Bʹ Nγ sγ dγ iγ bγ gγ  per φʹ = φʹk = 35° = 0,611 rad Fattori di capacità portante:   Nc = 46,124    Nq = 33,296   Nγ = 45,228 Fattori di forma:    sc = 1,268    sq = 1,260    sγ = 0,851 Fattori di profondità:  dc = 1,257    dq = 1,249    dγ = 1,000 Fattori di inclinazione:  ic = 0    iq = 0,821  θ = 0°   iγ = 0,702             m = mL = 1,271 Fattori di inclinazione del piano di posa = 1 Fattori di inclinazione del piano campagna =1 Capacità portante: qlim = 2272,9 kPa Fattore di sicurezza:  FS = qlim Aʹ / V = 12,26 > 3  la verifica di capacità portante è soddisfatta   Verifiche secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni ‐ 2008  Verifiche allo Stato Limite Ultimo (SLU)  Verifica allo stato limite di equilibrio come corpo rigido (EQU) (Verifica al ribaltamento) Ai fini della verifica al ribaltamento le azioni verticali sono favorevoli e le azioni orizzontali sfa‐vorevoli Vd = γG1 Gv,k + Gfond,k  

γG1 = 0,9 (da Tabella 2.6.I colonna EQU) Vd = 2022,3 kN Hd = γQ Qh,k  γQ = 1,5 (da Tabella 2.6.I colonna EQU) Hd = 450 kN Resistenza di progetto: Rd = Vd B/2 = 5561,2 kN m Azione di progetto: Ed = Hd (h + D) = 5400 kN m Ed ≤ Rd   5400,0 < 5561,2    verifica soddisfatta Rd / Ed = 1,030  Verifiche allo stato limite di scorrimento sul piano di posa (GEO) (Verifica alla traslazione)  Approccio 1 – Combinazione 2 (A2+M2+R2) Sono invariate  le azioni permanenti,  incrementate  le azioni variabili (A), ridotti  i parametri geo‐tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto dell’azione: Ed = γQ Qhk

γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2) Ed = 780,0 kN Coefficiente dʹattrito di progetto: tanδd = tanδk / γφʹ  

γφʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2) si applica a tanδ il coeff. parziale per tanφʹ:  tanδd = 0,395 Valore di progetto della resistenza (Rd):  (Gfond,k + Gv,k/γG1)/γR  γG1 = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2) γR = 1,1 (da Tabella 6.4.I colonna R2) 

15 –

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Rd = 1893,0 kN Ed ≤ Rd   780,0 < 1893,0  verifica soddisfattaRd / Ed = 2,427 > 1  Approccio 2 (A1+M1+R3) Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto dell’azione: Ed = γQ Qhk

γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1) Ed = 450,0 kN Coefficiente dʹattrito di progetto: tanδd = tanδk / γφʹ 

γφʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) si applica a tanδ il coeff. parziale per tanφʹ:  tanδd = 0,493 Valore di progetto della resistenza (Rd):  (Gfond,k + Gv,k/γG1)/γR  γG1 = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A1) γR = 1,1 (da Tabella 6.4.I colonna R3) Rd = 1893,0 kN Ed ≤ Rd   450,0 < 1893,0  verifica soddisfattaRd / Ed = 4,207 > 1   Verifiche  allo  stato  limite ultimo  (SLU) dellʹinsieme  fondazione‐terreno  (GEO)  (Verifiche di capacità portante)  Approccio 1 – Combinazione 2 (A2+M2+R2) Sono invariate  le azioni permanenti,  incrementate  le azioni variabili (A), ridotti  i parametri geo‐tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto del carico verticale: Vd = γG (Gvk + Gʹfond,k)  γG = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2) Vd = 2082,3 kN Valore di progetto del carico orizzontale variabile: Hd = γQ Qhk  γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2) Hd = 390,0 kN Valore di progetto del momento alla base: Md = Hd (h + D) = 4680,0 kN m Eccentricità di progetto: ed = Md / Vd = 2,2 m Larghezza equivalente di progetto: Bʹd = B ‐ 2ed = 1,00 m Area equivalente di progetto: Aʹd = B x Bʹd = 5,53 m2

Valore di progetto dellʹangolo di resistenza al taglio: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ

γφʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2) tanφʹd = 0,560   φʹd = 0,511rad = 29,26° Pressione latistante la fondazione: q = γD = 40,00kPa Capacità portante di progetto: qlim,d = cʹ Nc sc dc ic bc gc + q Nq sq dq iq bq gq + 0,5 γ Bʹ Nγ sγ dγ iγ bγ gγ  per φʹ = φʹd = 29,26° = 0,511rad Fattori di capacità portante:  Nc = 28,422  Nq = 16,921  Nγ = 17,837 Fattori di forma:  sc = 1,109  sq = 1,102  sγ = 0,927 Fattori di profondità:  dc = 1,344  dq = 1,324  dγ = 1,000 Fattori di inclinazione:  ic = 0    iq = 0,682  θ = 0°   iγ = 0,554 

15 –

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Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

            m = mL = 1,846 Fattori di inclinazione del piano di posa = 1 Fattori di inclinazione del piano campagna = 1 Capacità portante: qlim,d = 673,5 kPa R = Aʹd qlim,d = 3722,5 kN Valore di progetto della resistenza:  Rd =  R/γR γR = 1,8 (da Tabella 6.4.I colonna R2) Rd =   2068,0  kN Vd = Ed ≤ Rd   2082,3 > 2068,0  verifica non soddisfatta Rd / Ed = 0,993 < 1  Approccio 2 (A1+M1+R3) Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R ) Valore di progetto del carico verticale:  Vd = γG (Gvk + Gʹfond,k)  γG = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A1) Vd = 2706,9 kN Valore di progetto del carico orizzontale variabile: Hd = γQ Qhk  γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1) Hd = 450,0 kN Valore di progetto del momento alla base: Md = Hd (h + D) = 5400,0kN m Eccentricità di progetto: ed = Md / Vd = 1,99 m Larghezza equivalente di progetto: Bʹd = B ‐ 2ed = 1,51 m Area equivalente di progetto: Aʹd = B x Bʹd = 8,31 m2

Valore di progetto dellʹangolo di resistenza al taglio: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ

γφʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1) tanφʹd = 0,700   φʹd = 0,611 rad = 35,00° Pressione latistante la fondazione: q = γD = 40,00 kPa Capacità portante di progetto: qlim,d = cʹ Nc sc dc ic bc gc + q Nq sq dq iq bq gq + 0,5 γ Bʹ Nγ sγ dγ iγ bγ gγ  per φʹ = φʹd = 35,00° = 0,611rad Fattori di capacità portante:  Nc = 46,124  Nq = 33,296    Nγ = 45,228 Fattori di forma:    sc = 1,198  sq = 1,192     sγ = 0,890 Fattori di profondità:  dc = 1,243  dq = 1,235     dγ = 1,000 Fattori di inclinazione:  ic = 0  iq = 0,723   θ = 0°   iγ =0,603             m = mL = 1,785 Fattori di inclinazione del piano di posa = 1 Fattori di inclinazione del piano campagna = 1  Capacità portante: qlim,d = 1418,1 kPa R = Aʹd qlim,d = 11778,7 kN Valore di progetto della resistenza: Rd =  R/γRγR = 2,3 (da Tabella 6.4.I colonna R3) Rd = 5121,2 kN Vd = Ed ≤ Rd   2706,9 < 5121,2  verifica soddisfatta Rd / Ed = 1,892 > 1

15 –

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

CAPITOLO 18 STABILITÀ DEI PENDII

18.1 Frane

18.1.1 Fattori e cause dei movimenti franosi

Per frana si intende un rapido spostamento di una massa di roccia o di terra il cui centro di gravità si muove verso il basso e verso l’esterno.

I principali fattori che influenzano la franosità sono:

• fattori geologici, ovvero caratteri strutturali (faglie e fratturazioni), giacitura, scistosità, associazione e alternanza fra i litotipi, degradazione, alterazione, eventi sismici e vul-canici;

• fattori morfologici ovvero pendenza dei versanti; • fattori idrogeologici, ovvero circolazione idrica superficiale e sotterranea, entità e di-

stribuzione delle pressioni interstiziali; • fattori climatici e vegetazionali, ovvero alternanza di lunghe stagioni secche e periodi

di intensa e/o prolungata piovosità, disboscamenti e incendi; • fattori antropici, ovvero scavi e riporti, disboscamenti e abbandono delle terre.

Le cause dei movimenti franosi possono essere distinte in cause strutturali o predispo-nenti, prevalentemente connesse ai fattori geologici, morfologici e idrogeologici, e in cause occasionali o determinanti (o scatenanti), prevalentemente connesse ai fattori cli-matici, vegetazionali, antropici ed al manifestarsi di eventi sismici o vulcanici.

Il movimento franoso si manifesta quando lungo una superficie (o meglio in corrispon-denza di una “fascia” di terreno in prossimità di una superficie) all’interno del pendio, le tensioni tangenziali mobilitate per l’equilibrio (domanda di resistenza) eguagliano la ca-pacità di resistenza al taglio del terreno. Ciò può avvenire per un aumento della domanda di resistenza, per una riduzione della capacità di resistenza o per il manifestarsi di en-trambi i fenomeni. Un aumento della domanda di resistenza può essere determinato da un incremento di carico (dovuto ad esempio alla costruzione di un manufatto o ad un evento sismico), o da un aumento dell’acclività del pendio (dovuta ad esempio a erosione o sban-camento al piede). La riduzione della resistenza al taglio può essere dovuta ad un incre-mento delle pressioni interstiziali (per effetto ad esempio di un innalzamento della falda o della riduzione delle tensioni di capillarità prodotti dalla pioggia) o per effetto di fenome-ni fisici, chimici o biologici.

Per l’innesco e l’evoluzione di un fenomeno franoso è molto importante la dipendenza della resistenza al taglio dall’entità della deformazione, ovvero la curva tensioni-deformazioni del terreno, ed i valori di resistenza al taglio di picco e residua. Infatti la domanda e la capacità di resistenza lungo la superficie di scorrimento potenziale sono va-riabili, e quando in una parte di essa viene superata la resistenza di picco e la capacità re-sistente decade ad un valore residuo, si verifica una ridistribuzione degli sforzi con par-ziale trasferimento della domanda ad un’altra parte, meno sollecitata, della superficie di scorrimento (fenomeno di rottura progressiva). Pertanto, in condizioni di equilibrio limite

18 – 1

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

del pendio, il valore medio pesato della resistenza al taglio mobilitata lungo la superficie di scorrimento è intermedio tra la resistenza di picco e la resistenza residua.

18.1.2 Nomenclatura di un movimento franoso

Negli schemi di Figura 18.1 sono indicate le parti fondamentali di un movimento franoso.

In particolare in Figura 18.1a sono indicati, la nicchia di distacco, che è la zona superiore della frana, con una caratteristica forma "a cucchiaio", l’alveo di frana, che è la porzione intermedia, e il cumulo di frana, che è la parte terminale della frana, di forma convessa e rilevata rispetto alla superficie topografica preesistente.

I numeri di Figura 18.1b indicano rispettivamente: 1. il coronamento, 2. la scarpata prin-cipale, 3. la testata o terrazzo di frana, 4. le fessure trasversali, 5. la scarpata secondaria, 6. il terrazzo di frana secondario, 7. la zona delle fessure longitudinali, 8. la zona delle fessure trasversali, 9. la zona dei rigonfiamenti trasversali e, a valle, delle fessure radiali, 10. l’unghia del cumulo di frana e, infine, 11. il fianco destro.

1

a)

23

456

x

L

y

7

11

8 c

c

c

Zona di accumulo

L

910

Zona di distacco

Superficie d

i rottura

Piega

Superficie di se

parazione

Zona di distacco

Cumulo di frana

Alveo d

i fran

a

b)

Figura 18.1 - Nomenclatura delle parti di un movimento franoso

18.1.3 Classificazione dei movimenti franosi

I movimenti franosi possono essere caratterizzati da diverse forme della superficie di scorrimento e da diversi meccanismi di rottura.

L’individuazione dell’andamento della superficie di rottura (effettiva o potenziale) e del cinematismo di collasso è importante per la scelta del metodo di analisi più appropriato e degli eventuali interventi di stabilizzazione e di mitigazione degli effetti. Per questo moti-vo sono stati proposti diversi sistemi di classificazione delle frane tra i quali il più noto e utilizzato è il sistema di Varnes (1978), che distingue sei classi fondamentali:

18 – 2

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

crolli (falls): caratterizzati dallo spostamento dei materiali in caduta libera e dal successi-vo movimento, per salti e/o rimbalzi, dei frammenti di roccia (Figura 18.2). Generalmente si verificano in versanti interessati da preesistenti discontinuità strutturali (faglie e piani di stratificazione) e sono, di nor-ma, improvvisi con velocità di ca-duta dei materiali elevata. La frana di crollo avviene in pareti subver-ticali di roccia, dalle quali si stac-cano blocchi di materiale che pre-cipitano al piede della scarpata. Cause determinanti sono le escur-sioni termiche (gelo e disgelo), l’erosione alla base, le azioni si-smiche e le azioni antropiche.

Figura 18.2 – Frana di crollo

ribaltamenti (topples): movimenti simili ai crolli, determinati dalle stesse cause e caratterizzati dal ri-baltamento frontale del materiale che ruota intorno ad un punto al di sotto del baricentro della massa. I materiali interessati sono general-mente rocce lapidee che hanno su-bito intensi processi di alterazione e/o che presentano delle superfici di discontinuità (faglie o superfici di strato). Le frane per ribaltamento (Figura 18.3) si verificano di norma nelle zone dove le superfici di stra-to risultano essere sub-verticali (a) o lungo le sponde dei corsi d’acqua per scalzamento al piede (b).

scorrimenti (slides): in base alla formsc

Figura 18.3 - Frane di ribaltamento.

a della superficie di scorrimento si distinguono in

orrimenti rotazionali e scorrimenti traslativi (Figura 18.4). Lo scorrimento rotazionale

Figura 18.4 - Frane di scorrimento rotazionale (a) e traslazionale (b)

b) a)

18 – 3

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

avviene in terreni o rocce dotati di coesione e si sviluppa lungo una superficie general-mente concava, che si produce al momento della rottura del materiale. La parte inferiore del cumulo di frana tende ad allargarsi e dà luogo spesso a frane di colamento. Lo scorri-mento traslazionale invece consiste nel movimento di masse rocciose o di terreni, lungo una superficie di discontinuità poco scabrosa e preesistente disposta a franapoggio. Le principali cause degli scorrimenti sono le acque di infiltrazione, le azioni antropiche e i terremoti.

espansioni laterali (lateral spreads): so-no movimenti complessi, a componente orizzontale prevalente, che hanno luogo quando una massa rocciosa lapidea e frat-turata giace su un terreno dal comporta-mento molto plastico (Figura 18.5).

colamenti (flows): sono movimenti fra-nosi, anche molto estesi, che si verificano nei terreni sciolti (Figura 18.6). La super-ficie di scorrimento non è ben definibile, la velocità è variabile da punto a punto della massa in frana, talvolta è molto ele-vata con conseguenze catastrofiche. Il materviscoso e segue l’andamento di preesistel’alveo.

Figura 18.6 - Colamenti

18 –

Figura 18.5 - Espansioni laterali

iale in frana ha il comportamento di un fluido nti solchi di erosione che ne costituiscono

Figura 18.7 – Fenomeni franosi complessi

4

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

fenomeni complessi (complex): sono combinazioni di due o più tipi di frane precedente-mente descritte, ad esempio: crollo di roccia e colata di detrito, scorrimento rotazionale e ribaltamento, scorrimento traslativo di blocchi e crollo di roccia, etc.. (Figura 18.7).

18.2 Analisi di stabilità dei pendii

I metodi di analisi della stabilità dei pendii più diffusi ed utilizzati nella pratica professio-nale sono metodi all’equilibrio limite, che ipotizzano per il terreno un comportamento ri-gido – perfettamente plastico. Si immagina cioè che il terreno non si deformi fino al rag-giungimento della condizione di rottura, e che, in condizioni di rottura, la resistenza al ta-glio si mantenga costante e indipendente dalle deformazioni accumulate. Da tale ipotesi, fortemente semplificativa, consegue che: a) la rottura si manifesta lungo una superficie netta di separazione tra la massa in frana e il terreno stabile, b) la massa in frana è un blocco indeformato in moto di roto-traslazione rigida, c) la resistenza mobilitata lungo la superficie di scorrimento in condizioni di equilibrio limite è costante nel tempo, indipen-dente dalle deformazioni e quindi dai movimenti della frana, e ovunque pari alla resisten-za al taglio, d) non è possibile determinare né le deformazioni precedenti la rottura, né l’entità dei movimenti del blocco in frana, né la velocità del fenomeno.

Inoltre la maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il pro-blema piano (cioè ipotizzano che la superficie di scorrimento sia di forma cilindrica con direttrici ortogonali al piano considerato), analizzando di norma una o più sezioni longi-tudinali del versante e trascurando gli effetti tridimensionali.

Ulteriori ipotesi semplificative, diverse da un metodo all’altro, sono necessarie per rende-re il problema staticamente determinato (come si vedrà nel Paragrafo 18.6), cosicché a pa-rità di geometria e di caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, il risultato dell’analisi, in termini di superficie di scorrimento critica (superficie per la quale il rapporto fra resi-stenza disponibile e resistenza mobilitata assume il valore minimo) e di coefficiente di si-curezza (rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata), non è unico ma di-pende dal metodo adottato.

Nonostante tutto però, l’affidabilità dei risultati dipende quasi esclusivamente dalla cor-retta schematizzazione del fenomeno e dalla scelta dei parametri di progetto che, proprio a causa della scarsa aderenza alla realtà fisica del modello costitutivo adottato per il terre-no, devono essere fissati con grande attenzione e consapevolezza.

Occorre poi distinguere i pendii naturali dai pendii artificiali, non solo e non tanto perché i volumi in gioco e le condizioni di carico sono spesso molto diversi, o perché alcuni me-todi di analisi sono più adatti allo studio della stabilità degli uni o degli altri, ma perché è generalmente molto diversa la conoscenza qualitativa e quantitativa della geometria su-perficiale e profonda, e delle proprietà fisico-meccaniche dei terreni.

Nei pendii artificiali (ad esempio i fianchi dei rilevati stradali, degli argini o delle dighe in terra) quasi sempre la geometria è semplice e nota, i terreni sono materiali da costru-zione omogenei ed hanno caratteristiche fisico-meccaniche note, poiché corrispondenti alle specifiche di capitolato, lo schema bidimensionale (problema piano) è aderente alla realtà fisica, poiché si tratta di opere con una dimensione di gran lunga prevalente rispetto alle altre due e con variazioni graduali della sezione trasversale, le condizioni di carico

18 – 5

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

possono variare rapidamente nel tempo, ad esempio per gli argini al variare del livello del fiume, o per le dighe al variare del livello di invaso.

I pendii naturali invece sono di norma caratterizzati da una morfologia superficiale e pro-fonda complessa, da una grande variabilità spaziale delle caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni, e di norma da una meno rapida variazione delle condizioni di ca-rico (salvo le azioni sismiche). Le indagini geologiche, idrogeologiche e geotecniche, la cui estensione ed approfondimento devono essere commisurati, in termini anche econo-mici, all’importanza, alle finalità, all’estensione ed alla gravità del problema in studio ed alla fase di progettazione, possono solo fornire un quadro approssimato e parziale della realtà fisica.

Nel caso degli scavi le condizioni sono talora, in un certo senso, intermedie, poiché la ge-ometria superficiale è ben definita, ma il terreno di cui è costituito il pendio è naturale, e quindi può essere caratterizzato anche da forte variabilità spaziale, le condizioni di carico, legate ai tempi e ai modi di realizzazione dello scavo e di permanenza dello scavo aperto, possono variare sensibilmente nel tempo.

18.3 Pendii indefiniti

Lo schema di pendio indefinito è applicabile al caso di frane di scorrimento allungate, in cui l’influenza delle porzioni di sommità e di piede è trascurabile. La stabilità delle coltri di terreno alluvionale o detritico, di piccolo spessore rispetto alla lunghezza della frana, poste su un terreno di fondazione più rigido è di norma trattata con riferimento allo sche-ma di pendio indefinito.

18.3.1 Pendio indefinito di terreno incoerente asciutto

Consideriamo inizialmente il caso di un pendio indefinito di terreno omogeneo, incoeren-te e asciutto, con resistenza al taglio data dall’equazione: τf = σ’ tanφ’. In Figura 18.8 sono rappresentate le condizioni di equilibrio di un generico concio di terre-no delimitato da due superfici verticali e da un piano di base appartenente alla po-tenziale superficie di scorrimento, paral-lelo alla superficie del pendio. Per sim-metria le tensioni sulle facce laterali del concio sono eguali e opposte, quindi le azioni risultanti hanno la stessa retta d’azione parallela al pendio, stessa dire-zione, stesso modulo, e verso opposto. Pertanto si elidono a vicenda e non inter-vengono nelle equazioni di equilibrio.

β

W

β

T=W sinβ

N=W cosβ

W T

N

Figura 18.8 - Schema di pendio indefinito incoe-rente asciutto

Il fattore (o coefficiente) di sicurezza FS è in generale il rapporto tra la capacità di resistenza, C, e la domanda di resistenza, D:

DCFS = (Eq. 18.1)

18 – 6

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Nel caso in esame, considerando l’equilibrio alla traslazione lungo la superficie di base del concio, inclinata di un angolo β rispetto all’orizzontale si ha che:

- C è la forza di taglio massima disponibile alla base del concio: 'tancosW'tanNTC f φ⋅β⋅=φ⋅==

- D è la forza di taglio necessaria per l’equilibrio: β⋅== sinWTD

dunque:

βφ

=β⋅

φ⋅β⋅==

tan'tan

sinW'tancosW

DCFS (Eq. 18.2)

In condizioni di equilibrio limite 1FS = e dunque: 'max φ=β

Si può osservare che: - la condizione di equilibrio limite si verifica per β = φ’, - la superficie di scorrimento è parallela al pendio, - la condizione di equilibrio è indipendente dalla profondità della superficie di

scorrimento, - l’unico parametro geotecnico necessario per valutare il coefficiente di sicurezza FS è

l’angolo di resistenza al taglio φ’.

È inoltre da sottolineare che: - nelle verifiche di sicurezza è opportuno assumere φ’ = φ’cv, avendo indicato con φ’cv

l’angolo di resistenza al taglio a volume costante, ovvero allo stato critico, - nei pendii naturali può aversi β > φ’ per effetto di capillarità, leggera cementazione,

radici, altezza limitata del pendio.

18.3.2 Pendio indefinito di terreno incoerente totalmente immerso in acqua in quiete

Si consideri l’equilibrio del concio di terreno omogeneo, incoerente e totalmente immerso in acqua in quiete indicato in Figura 18.9.

In questo caso oltre alle forze presenti nel caso di terreno incoerente asciutto (Paragrafo 13.3.1), agisce sul concio una spinta dell’acqua, risultante delle pressioni idrostatiche agenti sulle pareti, che risulta verticale e diretta verso l’alto, pari al peso specifico dell’acqua per il volume del concio. Per l’equilibrio è pertanto sufficiente fare riferimento al peso immerso (o efficace) del concio, che vale:

Livello d’acqua

d

a β

Figura 18.9 - Schema di pendio indefinito immerso in acqua in quiete

da''W ⋅⋅γ=

18 – 7

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

essendo wsat' γ−γ=γ il peso di volume immerso del terreno e avendo assunto uno spessore unitario del concio nella direzione ortogonale al piano del disegno.

Poiché per un pendio indefinito il peso del concio è ininfluente sul valore del fattore di sicurezza, anche nel caso di pendio totalmente immerso in acqua in quiete il fattore di sicurezza vale:

βϕ

=tan

'tanFS (Eq. 18.3)

come per il caso di pendio asciutto.

18.3.3 Pendio indefinito di terreno omogeneo con filtrazione parallela al pendio

Lo schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio (Figura 18.10) è spesso utilizzato per verificare la stabilità di una coltre di terreno, relativamente permeabile e di spessore quasi costante, su un substrato roccioso o comunque di terreno non alterato, poco permeabile e stabile, allorché in seguito a prolungate piogge diviene sede di un moto di filtrazione parallelo al pendio. L’altezza della falda viene messa in relazione alla durata e all’intensità della pioggia, ed al coefficiente di assorbimento del terreno.

La resistenza al taglio del terreno vale: 'tan''cf φ⋅σ+=τ ,

ed il fattore di sicurezza è: ττ

= fFS

Facendo riferimento alla Figura 18.10 e indicando con γ il peso di volume medio del ter-reno sopra falda e con γsat il peso di volume del terreno saturo (sotto falda), la componente del peso normale alla base del concio è:

( )[ ] β⋅⋅γ⋅+γ⋅−=β⋅= coszmm1cosWN sat

la lunghezza della base del concio è: β

=cos

1l ,

dunque la tensione normale alla base del concio vale:

( )[ ] β⋅⋅γ⋅+γ⋅−=σ 2sat coszmm1

La componente del peso parallela alla base del concio è:

( )[ ] β⋅⋅γ⋅+γ⋅−=β⋅= sinzmm1sinWT sat

dunque la tensione di taglio alla base del concio vale:

( )[ ] β⋅β⋅⋅γ⋅+γ⋅−=τ cossinzmm1 sat .

In questo caso è inoltre possibile osservare che la risultante delle pressioni interstiziali a-genti sulle due facce verticali del concio è uguale ed opposta e che lungo la base inferiore la distribuzione delle pressioni interstiziali è uniforme e la pressione interstiziale vale:

β⋅γ⋅⋅=⋅γ= 2www coszmhu

18 – 8

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Figura 18.10 - Schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio

β

mz

Quindi l’espressione generale per il fattore di sicurezza risulta:

( )[ ]( )[ ] β⋅β⋅⋅γ⋅+γ⋅−

φ⋅β⋅⋅γ⋅+γ⋅−+=

τφ⋅−σ+

=cossinzmm1

'tancosz'mm1'c'tan)u('cFSsat

2

(Eq. 18.4)

Se si assume, come ipotesi semplificativa e cautelativa, oltreché molto spesso realisti-ca, , risulta: 0'c =

[ ][ ] β

φ⋅

γ⋅+γ⋅−γ⋅+γ⋅−

=tan

'tanm)m1(

'm)m1(FSsat

(Eq. 18.5)

se poi, per semplicità e senza grave errore, si assume γ = γsat (anche perché molto spesso il terreno sopra falda è saturo per risalita capillare e per infiltrazione dell’acqua piovana), risulta:

( )βφ

⋅γ

γ⋅−γ=

tan'tanm

FSsat

wsat (Eq. 18.6)

Nel caso particolare di m = 1 (falda coincidente con il piano campagna) si ottiene:

βφ

⋅γγ

=tan

'tan'FSsat

(Eq. 18.7)

Poiché il rapporto sat

'γγ è circa pari a 0,5, ne consegue che la presenza di un moto di fil-

trazione parallelo al pendio con livello di falda coincidente con il piano campagna riduce il coefficiente di sicurezza ad un valore che è circa la metà del coefficiente di sicurezza del pendio asciutto o immerso in acqua in quiete.

18 – 9

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

18.4 Pendii di altezza limitata

Per le verifiche di stabilità di pendii di altezza limitata con metodi all’equilibrio limite, si considera l’equilibrio di una massa di terreno delimitata da una superficie di slittamento di forma nota (molto spesso circolare o a forma di spirale logaritmica). La resistenza al taglio disponibile, C, e quella mobilitata, D, sono calcolate impiegando solo le equazioni di equilibrio statico ed il criterio di rottura di Mohr-Coulomb. Il coefficiente di sicurezza è definito come il rapporto C/D ed è assunto costante lungo tutta la superficie di scorri-mento potenziale.

I metodi di calcolo della stabilità possono essere utilizzati in modo diretto o inverso, ov-vero:

- per stimare il coefficiente di sicurezza di un pendio stabile, si fissa la geometria super-ficiale e profonda, si attribuiscono valori di progetto ai parametri geotecnici, si ipotizza l’entità e la distribuzione delle pressioni interstiziali, e si determinano per tentativi il coefficiente di sicurezza e la superficie di scorrimento critica (ricordando che per quest’ultima si intende la superficie cui è associato il minimo valore del rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata);

- se invece la frana è in atto o è avvenuta, la superficie di scorrimento è nota o sperimen-talmente determinabile, e le equazioni di equilibrio consentono di determinare, posto FS = 1, la resistenza al taglio media in condizioni di rottura lungo la superficie di scor-rimento.

18.5 Pendii artificiali

Come già è stato detto, i pendii artificiali, ovvero realizzati dall’uomo con la costruzione di un’opera in terra o con scavi, sono caratterizzati in genere da una morfologia elementa-re e, nel caso di opere in terra, da terreni omogenei. Inoltre l’ipotesi di bidimensionalità del problema è molto spesso ben verificata, poiché la lunghezza del rilevato o dello scavo è di norma molto maggiore dell’altezza, e quest’ultima è costante o varia gradualmente. Pertanto i metodi all’equilibrio limite per la verifica della stabilità di pendii artificiali con-siderano un blocco unico di terreno omogeneo, geometricamente definito dalla superficie topografica e dalla superficie di scorrimento potenziale. Una volta fissata la forma della superficie di scorrimento, tali metodi si prestano a soluzioni adimensionali.

Nell’ambito dei pendii artificiali, occorre tuttavia distinguere tra pendii di rilevato e pen-dii di scavo.

Nel primo caso si ha di norma una differenza tra il terreno naturale di fondazione e il ter-reno artificiale di costruzione del rilevato. La messa in opera del rilevato, determina nel terreno di fondazione un incremento delle tensioni totali e induce un processo di consoli-dazione, più o meno rapido a seconda della permeabilità del terreno. Pertanto occorre as-sociare alla verifica di stabilità del pendio anche la verifica di capacità portante a breve e a lungo termine del terreno di fondazione.

Nel corpo dei rilevati stradali le pressioni interstiziali sono, di norma, nulle (o negative) e la verifica di stabilità del pendio può essere svolta in termini di tensioni efficaci.

Nel corpo dei rilevati arginali e delle dighe in terra le pressioni interstiziali variano con le condizioni di carico idraulico nello spazio e nel tempo. In condizioni di moto di filtrazio-

18 – 10

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

ne assente o stazionario è possibile misurare o calcolare la distribuzione delle pressioni interstiziali e svolgere l’analisi di stabilità in termini di tensioni efficaci. In condizioni di moto di filtrazione transitorio, ad esempio dopo uno svaso rapido, se il terreno è poco permeabile, la distribuzione delle pressioni interstiziali è difficilmente determinabile e l’analisi di stabilità viene svolta in termini di tensioni totali, con riferimento alla resisten-za al taglio non drenata relativa alla pressione di consolidazione iniziale. Tale condizione è la più critica, poiché viene a mancare la pressione dell’acqua che sostiene il pendio (e quindi aumenta la domanda di resistenza), mentre si assume invariata la capacità di resi-stenza. Nel tempo, col dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali, la resistenza al taglio, e quindi il coefficiente di sicurezza tenderanno a crescere.

Nel caso di pendii di scavo, l’analisi di stabilità presenta in genere maggiori incertezze a causa della variabilità del terreno naturale che costituisce il pendio. Per scavi sotto falda si determina un moto di filtrazione ascendente e sono pertanto necessarie le verifiche al si-fonamento e di stabilità del fondo scavo.

Se si esegue uno scavo in un terreno sotto falda, ad esempio per realizzare le fondazioni di un fabbricato, e si mantiene asciutto il fondo dello scavo per permettere le lavorazioni, si produce un’alterazione dello stato tensionale del terreno circostante. In particolare le tensioni totali si riducono via via che procede lo scavo, mentre le pressioni interstiziali e le pressioni efficaci variano con tempi che dipendono dalla permeabilità del terreno. Per-tanto il fattore di sicurezza del pendio, ovvero il rapporto tra capacità e domanda di resi-stenza, FS = C/D, varia nel tempo, ed il periodo durante il quale possono prodursi frana-menti dopo la realizzazione di uno scavo sotto falda, ovvero il momento critico di minimo valore di F, dipende dalla natura del terreno.

Nei terreni granulari molto permeabili (sabbie e ghiaie) la falda assume la posizione di equilibrio via via che procede lo scavo (fasi 1, 2, 3 di Figura 18.11), ovvero non solo le pressioni totali, ma anche le pressioni interstiziali ed efficaci variano in tempo reale, e il moto di filtrazione è, istante per istante, in regime stazionario. Pertanto le condizioni di stabilità sono indipendenti dal tempo (condizioni drenate) e le verifiche di stabilità posso-no e devono essere eseguite in termini di tensioni efficaci, previa valutazione del reticolo idrodinamico.

Piano di campagna

SCAVO

Fase 1

Livello di faldainiziale

Fase 2

Fase 3

Figura 18.11 - Fasi di uno scavo

18 – 11

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Invece, nei terreni a grana fine poco permeabili (limi e argille), durante lo scavo a causa della variata distribuzione delle tensioni nascono sovrapressioni interstiziali che non pos-sono dissiparsi rapidamente. Le condizioni di stabilità sono dipendenti dal tempo, e poi-ché difficilmente si conosce l’evoluzione delle pressioni interstiziali in regime di filtra-zione transitorio, le verifiche di stabilità devono essere eseguite sia per condizioni non drenate a breve termine (in tensioni totali), sia per condizioni drenate a lungo termine (in tensioni efficaci). In linea generale, la condizione più critica per la stabilità è a lungo ter-mine. Infatti a causa dello scarico tensionale prodotto dallo scavo si ha una diminuzione istantanea della domanda di resistenza, mentre le tensioni efficaci, e quindi la capacità di resistenza, si riducono lentamente con il dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali nega-tive. Pertanto il coefficiente di sicurezza diminuisce gradualmente, ed un fronte di scavo, inizialmente stabile, può collassare dopo un certo tempo. Le verifiche di stabilità a breve termine sono di norma eseguite per scavi solo temporaneamente non sostenuti.

18.5.1 Analisi di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento piana (metodo di Culmann)

Il metodo di Culmann per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo di altezza limitata considera le condizioni di equilibrio di un cuneo di terreno delimitato da una superficie di scorrimento piana (in analogia al metodo di Coulomb per la determinazione della spinta delle terre). Evidenze sperimentali e analisi teoriche dimostrano che, salvo casi particola-ri, l’ipotesi di superficie di scorrimento piana non è realistica né cautelativa, tuttavia con-sente una trattazione semplice del problema, utile a comprendere lo spirito dei metodi all’equilibrio limite globale.

Si consideri il pendio indicato in Figura 18.12, avente altezza H, angolo di pendio β ri-spetto all’orizzontale, e costituito da un terreno omogeneo con peso di volume γ e resi-stenza al taglio espressa dall’equazione di Mohr-Coulomb: τf = c + σ tanφ.

Assumiamo come potenziale superficie di scorrimento il piano AC, inclinato di un angolo θ sull’orizzontale, che individua il cuneo ABC.

Il peso del cuneo ABC, vale:

( )θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅=

⋅⋅γ⋅=⋅⋅γ⋅=

sensensenH

21

(cotH21BCH

21W

2

2 =β−θ )cot

(Eq. 18.8)

Le componenti normale, N, e tangenziale, T, di W rispetto al piano AC, valgono:

( )θ⋅

θ⋅βθ−β

⋅⋅γ⋅=θ⋅= cossensen

senH21cosWN 2

L

H

β θ A

B C

Figura 18.12 - Cuneo di Culmann

( )β

θ−β⋅⋅γ⋅=θ⋅=

sensenH

21senWT 2

(Eq. 18.9)

a tensione normale media, σ, e la tensione tangenziale media, τ, sul piano AC valgono:

18 – 12

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

( )

( )θ⋅

βθ−β

⋅⋅γ⋅=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

θ

==τ

θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

θ

==σ

sensen

senH21

senHT

ACT

cossen

senH21

senHN

ACN

(Eq. 18.10)

Il coefficiente di sicurezza del pendio, FS, è il rapporto tra la resistenza al taglio e la ten-sione tangenziale mobilitata per l’equilibrio lungo la superficie di scorrimento potenziale AC:

( )

( )

( ) θφ

+θ⋅β−θ

⋅γ

=

=θ⋅

βθ−β

⋅⋅γ⋅

φ⋅θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅+

φ⋅σ+=

ττ

=

tantan

sengcotgcot1

Hc2

sensen

senH21

tancossen

senH21c

tancFS

2

f

(Eq. 18.11)

Per c = 0 l’Eq. 18.11 diviene: θφ

=tantanFS , ovvero la condizione di equilibrio limite si ha

per θ = θcrit = φ.

In presenza di un terreno dotato di coesione (c > 0), per determinare l’angolo θcrit che in-dividua la superficie di scorrimento potenziale critica, ovvero quella superficie cui è asso-ciato il minimo valore di FS, si impone eguale a zero la derivata dell’Eq. 18.11 rispetto a

θ: 0FS=

θ∂∂ , e si risolve per θ.

Ne risulta un’equazione di secondo grado in tanθcrit:

posto: t = tanθcrit

at2 + bt + c = 0 (Eq. 18.12)

in cui

2gcotAa β+= con φ⋅γ

−=tanHc2A

b = 2 (A-1) cotgβ

c = 1 – A

Sostituendo il valore ottenuto di θcrit nell’Eq. 18.11 si ottiene il valore del fattore di sicu-rezza FS.

L’altezza critica, Hcr, ovvero la massima altezza del pendio compatibile con l’equilibrio, si ottiene imponendo FS = 1, e risulta:

18 – 13

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

( )⎥⎦⎤

⎢⎣

⎡φ−β−φ⋅β

⋅γ⋅

=cos1

cossenc4Hcr (Eq. 18.13)

Se l’analisi è svolta in termini di tensioni totali ed il terreno è saturo, la resistenza al taglio vale , per cui l’altezza critica di uno scavo in argilla a breve termine, in condizioni non drenate, risulta:

uf c=τ

( )β−β

⋅γ⋅

=cos1

senc4H u

cr (Eq. 18.14)

e il piano di scorrimento è inclinato di:

θcr = β/2 (Eq. 18.15)

e, nel caso particolare di scavo in parete verticale (β = 90°), si ottiene:

γ⋅

= ucr

c4H θcr = 45° (Eq. 18.16)

Il metodo di Culmann (come il metodo di Coulomb per la spinta delle terre) si presta a soluzioni grafiche basate sulla costruzione del poligono delle forze, e può essere utilizzato anche per geometrie del pendio più complesse e irregolari, e in presenza di carichi concentrati o distribuiti sulla superficie.

18.5.2 Carte di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento circolare

Per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo con metodi all’equilibrio limite globale si ricorre in genere alla più realistica ipotesi di superficie di scorrimento circolare. Con riferimento agli schemi di Figura 18.13, se la superficie di scorrimento critica interseca il pendio al piede o lungo la scarpata, la rottura è detta di pendio (slope failure), e si possono avere i casi di cerchio di piede (toe circle) e di cerchio di pendio (slope circle). Se invece il punto di intersezione è ad una certa distanza dal piede del pendio, la rottura è detta di base (base failure) ed il corrispondente cerchio è detto medio (midpoint circle).

Taylor (1937) ha affrontato analiticamente il problema della stabilità di un pendio omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, fornendo soluzioni adimensionali e carte di stabilità di impiego semplice e immediato. Il terreno ha peso di volume γ, e resistenza al taglio τ = c + σ tanφ. Il caso di pendio costituito da materiale puramente coesivo (γ = γsat, φu = 0, τ = cu) è applicabile per la verifica a breve termine di pendii di argilla omogenea satura non fessurata in condizioni non drenate. Il caso di pendio costituito da materiale dotato di coesione e attrito è applicabile alle verifiche a breve termine di terreno argilloso non saturo (γ < γsat, φu > 0, τ = cu + σ tanφu), e a lungo termine di terreni coesivi sovraconsolidati in assenza di pressione interstiziale (φ' > 0, u = 0, τ = c’ + σ tanφ’).

Altri Autori hanno considerato casi più complessi che mettono in conto gli effetti sulla stabilità di un sovraccarico uniformemente distribuito sulla sommità del pendio, della resistenza al taglio variabile con la profondità, dell’inclinazione della superficie a monte, della filtrazione e della sommergenza, delle fessure di trazione, di superfici di scorrimento a forma di spirale logaritmica, etc., ma tali soluzioni richiedono numerose tabelle e/o

18 – 14

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

grafici, ed è allora preferibile utilizzare i metodi delle strisce che, con la diffusione dei programmi di calcolo automatico, non hanno più lo svantaggio del lungo tempo di calcolo.

Stabilità a breve termine di pendii in argilla omogenea satura

Per la verifica di stabilità a breve termine, in condizioni non drenate, di un pendio omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, costituito da argilla satura avente peso di volume γ e resistenza al taglio costante con la profondità, τf = cu, si utilizza la soluzione di Taylor (1937).

Lo schema geometrico di riferimento è indicato in Figura 18.14, ove a solo titolo di esempio, è rappresentata una rottura di base ed il corrispondente cerchio medio.

Il tipo di rottura e la posizione del cerchio critico dipendono, come è possibile desumere dalla Figura 18.15, dall’inclinazione β del pendio e dal fattore di profondità nd, che è il rapporto adimensionale fra la profondità H1 di un eventuale strato rigido di base e l’altezza H del pendio.

A) ROTTURA DI PENDIO

CERCHIO DI PIEDE CERCHIO DI PENDIO

B) ROTTURA DI BASE

Figura 18.13 - Schemi di rottura di un pendio omogeneo di altezza limitata con superficie di scorrimento circolare

18 – 15

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Figura 18.14 - Schema geometrico di riferimento per la soluzione di Taylor

Figura 18.15 - Carta di stabilità di Taylor per pendii di terreno dotato di sola coesione

In condizioni di equilibrio limite l’altezza critica del pendio vale:

γ⋅= u

scc

NH (Eq. 18.17)

Il fattore di stabilità, Ns, adimensionale, dipende dalla geometria del problema ed è determinabile con il grafico di Figura 18.15, ove è indicato anche il tipo di rottura che si determina.

In condizioni di equilibrio stabile, il coefficiente di sicurezza FS, vale:

Hc

NHH

FS us

c

⋅γ⋅== (Eq. 18.18)

Dall’osservazione del grafico di Taylor, si desume che:

per un pendio a parete verticale (β = 90°) il fattore di stabilità vale 3,85, ovvero

l’altezza critica è γ

⋅= uc

c85,3H , inferiore al valore che si è ottenuto con l’ipotesi di

superficie di scorrimento piana ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛γ

⋅= uc

c4H ;

per angolo di pendio β > 53° il cerchio critico è sempre di piede;

per angolo di pendio β < 53° il cerchio critico può essere di piede, medio o di pendio a seconda della profondità dello strato rigido di base;

in assenza di uno strato compatto di base, ovvero per nd = ∞, vi è un’altezza critica

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛γ

⋅= uc

c52,5H che comunque non può essere superata, indipendentemente dal

valore di β.

18 – 16

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Stabilità di un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito

La soluzione di Taylor per un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito è basata sul metodo del cerchio d’attrito, schematicamente illustrato in Figura 18.16. Il raggio della superficie di scorrimento potenziale è indicato con R. Il cerchio d’attrito è concentrico alla superficie circolare di scorrimento ed ha raggio R senφ. Ogni linea tangente al cerchio d’attrito che interseca la superficie di scorrimento, forma con la normale ad essa un angolo φ. Pertanto in ogni punto della superficie di scorrimento, la direzione della tensione mutua (somma dello sforzo normale e della tensione tangenziale dovuta all’attrito), in condizioni di equilibrio limite, forma un angolo φ con la normale alla superficie ed è tangente al cerchio d’attrito. Per un assegnato valore di φ l’altezza critica del pendio è data dall’equazione:

γ⋅=cNH sc (Eq. 18.19)

Il valore del fattore di stabilità Ns è funzione degli angoli β e φ (Figura 18.20).

Cerchio di attrito

Superficie discorrimento circolare

W = peso del terrenoc = coesione risultanteP = forza risultante

= angolo di resistenza al taglio = inclinazione del pendio

φ β

Sc

Fatto

re d

i sta

bilit

à, N

=

H /

Inclinazione del pendio, (°)β

Figura 18.16 - Schema del metodo del cerchio d’attrito

Figura 18.17 - Carta di stabilità di Taylor per pendii di terreno dotato di coesione e attrito

18.6 Pendii naturali – Metodi delle strisce Per le verifiche di stabilità dei pendii naturali, spesso caratterizzati da una complessa e irregolare morfologia superficiale e profonda, e da una forte variabilità delle condizioni stratigrafiche e geotecniche, si ricorre, nell’ambito dei metodi all’equilibrio limite, ai cosiddetti metodi delle strisce. Dopo avere scelto e disegnato una o più sezioni longitudinali del pendio in base alla mas-sima pendenza e/o ad altre condizioni critiche come la presenza di strutture o infrastruttu-re, di discontinuità morfologiche o geologiche, o anche dei segni che indicano un movi-mento avvenuto, come fratture e rigonfiamenti, si ipotizza una superficie cilindrica di scorrimento potenziale, S, e si suddivide idealmente la porzione di terreno delimitato da S

18 – 17

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

e dalla superficie topografica in n conci mediante n-1 tagli verticali (Figura 18.18), non necessariamente di eguale larghezza, ma tali che l’arco di cerchio alla base di ciascuno di essi ricada interamente in un unico tipo di terreno.

Immaginiamo di estrarre il concio i-esimo e di rappresen-tare le forze che agiscono su di esso in condizioni di equilibrio (Figura 18.19).

Il concio ha larghezza ∆xi, e peso Wi. La corda dell’arco di cerchio alla base è inclinata di un angolo αi sull’orizzontale. E’i e Xi, sono le componenti normale e tangenziale della forza mutua tra i conci, bi è la quota di applicazione di E’i ri-spetto alla superficie di scor-rimento. Ui è la risultante delle

pressioni interstiziali sulla superficie di separazione fra i conci i ed (i+1). N’i e Ti sono le componenti normale e tangenziale della reazione di appoggio del concio sulla superficie

di scorrimento, ai è la distanza del pun-to di applicazione di N’i dallo spigolo anteriore, e Ub,i è la risultante delle pressioni interstiziali alla base del con-cio.

Terreno tipo 1

1

Livello dell’acqua

n

i

1

n-1

23

Terreno tipo 2

Superficie S

Figura 18.18 - Schema di suddivisione di un pendio in strisce

∆ x i

i i-1

α i

b i

a i

E’ i

U i

X i

W i

Ti

N’ i

E’i-1

Ui-1

Xi-1

U b,i

Figura 18.19 - Geometria del concio i-esimo e for-ze agenti su di esso

Le ipotesi generalmente ammesse da quasi tutti i metodi delle strisce sono:

1. stato di deformazione piano (ovvero superficie cilindrica e trascurabilità degli effetti tridimensionali),

2. arco della superficie di scorrimento alla base del concio approssimabile con la relativa corda,

3. comportamento del terreno rigido-perfettamente plastico e criterio di rottura di Mohr-Coulomb,

4. coefficiente di sicurezza FS eguale per la componente di coesione e per quella di attrito, e unico per tutti i conci, ovvero:

( )'i

'iii

fii tanNl'c

FS1

FST

T ϕ⋅+∆⋅⋅== (Eq. 18.20)

18 – 18

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

essendo i

ii cos

xlα

∆=∆ .

Analizzando le forze agenti sul concio (Figura 18.22) si osserva che:

− il peso Wi del concio e le risultanti Ui e Ubi delle pressioni interstiziali sono determina-bili, essendo nota la geometria del concio (αi, ∆xi e quindi ∆li) e le caratteristiche geo-metrice e geotecniche del pendio

− la forza di taglio Ti è determinabile, nota la forza normale N’i, dalla Equazione (18.20).

e quindi, il bilancio del numero di incognite e di equazioni di equilibrio del sistema è quello indicato in Tabella 18.1.

Poiché il numero delle incognite, (5n – 2), è superiore al numero delle equazioni di equi-librio, pari a 3n, il sistema è indeterminato.

Per ridurre il numero delle incognite e rendere il sistema determinato, è necessario intro-durre alcune ipotesi semplificative.

I diversi metodi delle strisce differiscono sulle ipotesi semplificative assunte. I due più semplici e più diffusi metodi delle strisce sono il metodo di Fellenius ed il metodo di Bi-shop semplificato.

Tabella 18.1 - Numero delle incognite e delle equazioni di equilibrio nel metodo delle strisce

Incognite Equazioni di equilibrio

1 FS n 0V =Σ

n 'iN n 0H =Σ

n-1 'iE n 0M =Σ

n-1 'iX

n ai

n-1 bi

n. tot. 5n-2 3n

Un’ipotesi comune a molti metodi, fra cui i metodi di Fellenius e di Bishop descritti nei paragrafi successivi, ma non a tutti, è l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, suf-ficientemente ben verificata quando non vi siano condizioni stratigrafiche e geotecniche particolari.

Se si accetta tale ipotesi, il coefficiente di sicurezza risulta pari al rapporto fra momento stabilizzante e momento ribaltante rispetto al centro della circonferenza.

R

Sn

1i i

n

1i fi

MM

T

TFS ==

∑∑

=

= (Eq. 18.21)

in cui:

18 – 19

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

[ ]∑∑ ϕ⋅+∆⋅⋅=⋅==

n

1

'i

'ii

n

1ifiS tanNl'crTrM (Eq. 18.22)

∑∑ α⋅⋅=⋅==

n

1ii

n

1iiR senWrTrM (Eq. 18.23)

e pertanto:

[ ]

α⋅

ϕ⋅+∆⋅== n

1ii

n

1

'i

'ii

R

S

senW

tanNl'c

MM

FS (Eq. 18.24)

Le forze interne Xi e Ei non intervengono perché costituiscono un sistema equilibrato.

Consideriamo il poligono delle forze che agiscono sul concio i-esimo (Figura 18.23):

bi'i4

i3

1ii1ii2

1iii1

UNF

TF)UU()EE(F

)XX(WF

+=

=−+−=

−−=

−−

F2

F1

F3

F4

αi

Direzione normale alla superficie di scorrimento

Figura 18.20 - Poligono delle forze agenti sul concio i-esimo

18.6.1 Metodo di Fellenius

Il più antico e più semplice metodo delle strisce è il metodo di Fellenius, detto anche me-todo svedese o ordinario, che è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificati-va: per ogni concio la risultante delle componenti nella direzione normale alla superficie di scorrimento delle forze agenti sulle facce laterali è nulla.

Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.20, l’equazione di equilibrio nella di-rezione normale alla superficie di scorrimento è:

18 – 20

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

[ ] [ ] bi'ii1ii1iii1iii

4i2i1

UNsen)UU()EE(cos)XX(W

FsenFcosF

+=α⋅−+−+α⋅−−

=α⋅+α⋅

−−−

per l’ipotesi del metodo di Fellenius è:

( ) ( )[ ] 0sen)UU(EEcosXX i1ii1iii1ii =α⋅−+−+α⋅−− −−−

ne risulta:

bi'iii UNcosW +=⋅ α (Eq. 18.25)

da cui:

ibiiibiii'i lucosWUcosWN ∆⋅−⋅=−⋅= αα (Eq. 18.26)

avendo ipotizzato una distribuzione uniforme, ubi, delle pressioni interstiziali alla base del concio.

L’espressione del momento stabilizzante diventa:

[ ] [ ]∑∑ ϕ⋅∆⋅−α⋅+∆⋅⋅=ϕ⋅+∆⋅⋅=n

1

'iibiiii

n

1

'i

'iiS tan)lucosW(l'crtanNl'crM (Eq. 18.27)

e quindi il coefficiente di sicurezza è:

[ ]

α⋅

ϕ⋅∆⋅−α⋅+∆⋅== n

1ii

n

1

'iibiiii

R

S

senW

tan)lucosW(l'c

MM

FS (Eq. 18.28)

Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale critica e deve essere determinato per tentativi, come vedremo nel seguito. Il metodo di Fellenius è in genere conservativo, poiché porta ad una sottostima del coefficiente di sicu-rezza rispetto ai valori stimati con altri metodi più accurati.

18.6.2 Metodo di Bishop semplificato

Il metodo di Bishop semplificato è attualmente il più diffuso ed utilizzato fra i metodi del-le strisce.

Esso è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificativa: per ogni concio la ri-sultante delle componenti nella direzione verticale delle forze agenti sulle facce laterali è nulla.

Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.20, l’equazione di equilibrio nella di-rezione verticale è:

ibi'iii1iii

i4i31

cos)UN(senT)XX(W

cosFsenFF

α⋅+=α⋅−−−

α⋅=α⋅−

per l’ipotesi del metodo di Bishop semplificato è:

18 – 21

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

0)XX( 1ii =− −

ne risulta:

ibi'iiii cos)UN(senTW α⋅+=α⋅−

ed essendo:

( )

iibi

i

ii

'i

'ii

'ii

luUcos

xl

tanNlcFS1T

∆⋅=α

∆=∆

ϕ⋅+∆⋅⋅=

ne segue:

ii

ii

'ii

'i

'i

i

i'ii cos

cosx

uNsentanNcos

xc

FS1W α⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛α

∆⋅+=α⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ϕ⋅+

α∆

⋅⋅−

e sviluppando:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ α⋅ϕ+⋅α

α⋅∆⋅⋅−∆⋅−=

FStantan

1cos

tanxcFS1xuW

Ni

'i

i

ii'iiii

'i (Eq. 18.29)

[ ]∑⎢⎢⎢⎢⎢

⎜⎜⎝

⎛ ⋅α+⋅α

⋅ϕ⋅∆⋅−+∆⋅=n

1 ii

'iiiii

'iS

FStantan

1cos

1tan)xuW(xcM

(Eq. 18.30)

[ ]

α⋅

⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ϕ⋅α+⋅α

⋅ϕ⋅∆⋅−+∆⋅

== n

1ii

n

1'ii

i

'iiiii

'i

R

S

senW

FStantan1cos

1tan)xuW(xc

MM

FS

(Eq. 18.31)

La soluzione è ricercata per via iterativa fissando un primo valore di tentativo per FS.

Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale critica e deve essere determinato per tentativi.

18 – 22

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

18.6.3 Ricerca della superficie circolare di scorrimento potenziale critica

Quando si studiano le condizioni di stabilità di un pendio naturale che non ha avuto mo-vimenti significativi, e che quindi non presenta tracce di intersezione tra la superficie di scorrimento e la superficie topografica, la superficie di scorrimento critica, ovvero la su-perficie cui è associato il minimo valore del coefficiente di sicurezza, deve essere deter-minata per tentativi.

Se, tenuto conto delle condizioni stratigrafiche e geotecniche del pendio, si ritiene plausi-bile l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, la circonferenza critica è determinata quando se ne conoscano la posizione del centro ed il raggio.

Se il calcolo è svolto a mano, il numero di superfici che possono essere analizzate è ne-cessariamente ridotto, ed inoltre si preferirà utilizzare il metodo di Fellenius rispetto al metodo di Bishop semplificato, poiché il calcolo del coefficiente di sicurezza con quest’ultimo metodo richiede un procedimento iterativo per ogni superficie considerata. Tuttavia molto spesso le condizioni morfologiche, stratigrafiche e geotecniche del pendio sono tali che, con un minimo di buon senso e di esperienza, anche con un numero ridotto di tentativi si riesce ad individuare la superficie di scorrimento critica.

Attualmente la diffusione dei programmi di calcolo automatico ha eliminato il problema della lunghezza e della laboriosità del calcolo numerico, sebbene siano sempre necessari esperienza e buon senso per definire i confini del campo di ricerca.

La procedura di ricerca della superficie circola-re critica e del relativo coefficiente di sicurez-za è illustrata in Figura 18.21.

Eseguendo l’analisi di stabilità per un certo numero di cerchi aventi lo stesso centro e diver-so raggio, e diagram-mando i coefficienti di sicurezza ottenuti in funzione del raggio si ottengono dei punti che appartengono ad una linea che presenta un minimo. Tale valore è il coefficiente di sicurez-za minimo associato al centro comune dei cerchi considerati.

Terreno di riempimentosabbioso

Centro della superficiedi scorrimento

Cerchio critico

Argilla soffice

(d)

(c)

(b)

(a)

Figura 18.21 - Procedura per la determinazione della superficie circolare di scorrimento critica e del coefficiente di sicurezza

Ripetendo la procedura per diversi centri di cerchi disposti ai nodi di un reticolo a maglia rettangolare o quadrata, si otterrà un piano quotato, di cui si potranno tracciare le linee di livello che descrivono una porzione di superficie tridimensionale. Se tale superficie pre-senta un minimo, il punto corrispondente al minimo avrà come coordinate planimetriche le coordinate del centro della superficie circolare critica e come quota il coefficiente di si-curezza del pendio.

18 – 23

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Se la superficie presenta più minimi relativi significa che esistono più superfici critiche di scorrimento potenziale.

18.6.4 Effetti tridimensionali

La maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il problema piano, ovvero assumono una geometria cilindrica trascurando gli effetti tridimensionali. Tale ipotesi è generalmente ben verificata per i pendii artificiali ma non per i pendii natu-rali. Se si esegue la verifica di stabilità per la sezione più critica, corrispondente in genere alla sezione longitudinale in asse alla frana, il coefficiente di sicurezza ottenuto è una sot-tostima del valore reale.

Un metodo approssimato per tenere conto degli effetti tridimensionali, è il seguente:

Si considerano n sezioni longitudinali parallele equidistanti, e per ciascuna di esse si cal-cola il coefficiente di sicurezza minimo FSi, che risulta associato ad un’area Ai di terreno in frana potenziale. Il coefficiente di sicurezza globale del pendio è stimato con l’equazione:

∑∑ ⋅

=i

ii

FSAFS

FS (Eq. 18.32)

18.7 Scelta del coefficiente di sicurezza

La scelta del valore del coefficiente di sicurezza da utilizzare nelle verifiche di stabilità dei pendii richiede un giudizio critico da parte dell’ingegnere geotecnico, poiché sono molti i fattori di cui tenere conto. Occorre infatti considerare: - l’affidabilità del modello geotecnico, ovvero dello schema stratigrafico di riferimento e

della caratterizzazione meccanica dei terreni, - i limiti del metodo di calcolo, ovvero delle ipotesi semplificative ad esso associate, - le conseguenze di un’eventuale rottura, - la vulnerabilità delle strutture e delle infrastrutture, la cui funzionalità potrebbe essere

compromessa anche da movimenti che hanno luogo con coefficienti di sicurezza supe-riori ad 1 (stato limite di servizio),

- il tempo, ovvero se la stabilità del pendio deve essere assicurata per un breve oppure per un lungo periodo di tempo.

La Normativa Italiana ancora in vigore (D.M. LL.PP. 11/03/88) prescrive che: “Nel caso di terreni omogenei e nei quali le pressioni interstiziali siano note con sufficiente attendi-bilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1,3. Nelle altre situazioni il valore del coefficiente di sicurezza da adottare deve essere scelto caso per caso, tenuto conto principalmente della complessità strutturale del sottosuolo, delle conoscenze del regime delle pressioni interstiziali e delle conseguenze di un eventuale fenomeno di rottu-ra.”

Le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC-08) sono ancor meno specifiche in merito alle verifiche di sicurezza dei pendii naturali. Infatti al § 6.3.4. – Verifiche di sicu-rezza, esse recitano:

18 – 24

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

“Le verifiche di sicurezza devono essere effettuate con metodi che tengano conto della forma e posizione della superficie di scorrimento, dell’assetto strutturale, dei parametri geotecnici e del regime delle pressioni interstiziali.

Nel caso di pendii in frana le verifiche di sicurezza devono essere eseguite lungo le super-fici di scorrimento che meglio approssimano quella/e riconosciuta/e con le indagini.

Negli altri casi, la verifica di sicurezza deve essere eseguita lungo superfici di scorrimen-to cinematicamente possibili, in numero sufficiente per ricercare la superficie critica alla quale corrisponde il grado di sicurezza più basso.

Quando sussistano condizioni tali da non consentire una agevole valutazione delle pres-sioni interstiziali, le verifiche di sicurezza devono essere eseguite assumendo le condizio-ni più sfavorevoli che ragionevolmente si possono prevedere.

Il livello di sicurezza è espresso, in generale, come rapporto tra resistenza al taglio di-sponibile, presa con il suo valore caratteristico, e sforzo di taglio mobilitato lungo la su-perficie di scorrimento effettiva o potenziale.

Il grado di sicurezza ritenuto accettabile dal progettista deve essere giustificato sulla ba-se del livello di conoscenze raggiunto, dell’affidabilità dei dati disponibili e del modello di calcolo adottato in relazione alla complessità geologica e geotecnica, nonché sulla ba-se delle conseguenze di un’eventuale frana.” A titolo indicativo, se la conoscenza delle condizioni stratigrafiche e geotecniche è buona, e le conseguenze di una eventuale rottura non sono particolarmente drammatiche, per le verifiche di stabilità di scavi o di pendii naturali “a priori”, ovvero se non si è manifestata la frana, si può adottare un coefficiente di sicurezza compreso tra 1,3 e 1,4 in relazione al metodo di calcolo impiegato, mentre per le verifiche di stabilità “a posteriori”, ovvero do-po che si è manifestata la frana, e quindi si conosce la superficie di scorrimento e si utiliz-za la resistenza al taglio residua del terreno, potranno essere adottati coefficienti di sicu-rezza minimi compresi tra 1,2 e 1,3.

Valori maggiori dei coefficienti di sicurezza devono essere utilizzati per opere quali le di-ghe in terra, che comunque dovranno essere costantemente monitorate durante le varie fa-si di esercizio.

18.8 Criteri di intervento per la stabilizzazione delle frane

Per stabilizzare una frana in atto, o comunque per aumentare il coefficiente di sicurezza di un pendio, FS, che, come è stato detto, è il rapporto tra la capacità di resistenza lungo la superficie di scorrimento potenziale critica, C, e la domanda di resistenza, ovvero la resi-stenza necessaria per l’equilibrio, D, occorrono interventi volti a produrre un aumento di C, o una diminuzione di D, oppure entrambe le cose.

Sebbene qualunque intervento richieda un’analisi del fenomeno in atto, o temuto, sia dal punto di vista tipologico, sia dal punto di vista morfologico e plano-altimetrico, sia per ciò che riguarda i litotipi coinvolti e le loro caratteristiche geotecniche, sia per quanto ri-guarda le condizioni idrogeologiche, è innanzitutto necessario distinguere tra interventi d’urgenza e interventi definitivi.

Se è richiesto un intervento di urgenza, perché la frana è in atto e costituisce minaccia in-combente a persone o a beni, fatta salva la necessità di richiedere l’evacuazione della zo-

18 – 25

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

na a rischio, occorre raccogliere il maggior numero di informazioni esistenti o disponibili in breve tempo, e predisporre quelle misure rapide ed economiche che, pur non essendo risolutive, portano ad una riduzione del rischio, o comunque non lo accrescono. Ad esem-pio, non rimuovere l’accumulo al piede che, col proprio peso, produce un momento stabi-lizzante, eliminare le zone di ristagno dell’acqua piovana facilitandone invece il ruscella-mento, ripristinare l’efficienza di canalette e fossi di guardia, sigillare le fratture per limi-tare le infiltrazioni di acqua piovana, etc..

Per progettare un intervento di sistemazione definitivo è necessario svolgere tutte le inda-gini, geologiche, geofisiche, geotecniche, topografiche, e mettere in opera tutti gli stru-menti (piezometri, inclinometri, estensimetri, basi topografiche), necessari per chiarire l’estensione e la cinematica del fenomeno.

Poiché in genere il costo delle indagini rappresenta una parte piccola rispetto al costo complessivo dell’intervento di stabilizzazione di una frana, e poiché in assenza di dati af-fidabili il progettista tende ad assumere ipotesi molto cautelative che comportano un so-vradimensionamento delle opere da realizzare, non è conveniente risparmiare sulle inda-gini (naturalmente purché siano ben programmate ed eseguite). È inoltre sempre opportu-no prevedere indagini e controlli durante e dopo la realizzazione delle opere, compresa la messa in opera di strumentazione adeguata, per verificare le ipotesi di progetto, l’efficacia dell’intervento eseguito e controllare il decorso dei movimenti nel tempo, prolungando il monitoraggio per almeno un intero ciclo stagionale dopo il termine dei lavori.

Dopo avere raccolto tutte le informazioni necessarie, si definisce il modello geotecnico, ovvero lo schema fisico meccanico interpretativo del fenomeno, e si procede alla verifica di stabilità del pendio, nelle condizioni precedenti l’intervento di stabilizzazione, con i metodi della geotecnica (fra cui, ma non solo, quelli all’equilibrio limite visti ai paragrafi precedenti). Se la frana è avvenuta si può eseguire un’analisi a ritroso (back analysis), ov-vero si impone che per la superficie di scorrimento reale (se individuata) e nelle condizio-ni idrogeologiche esistenti al momento della frana, risulti FS = 1, si ricava il valore medio della resistenza al taglio a rottura, e lo si confronta con il valore desunto dalle prove di la-boratorio.

La prima fase della progettazione è finalizzata ad individuare i fattori che maggiormente influenzano la stabilità del pendio, ed alla selezione, scelta e verifica dell’efficacia dei possibili interventi di stabilizzazione. In Tabella 18.2 sono elencati i criteri di scelta e i principi fisici dei provvedimenti possibili. Essi possono essere suddivisi in due grandi ca-tegorie generali: i provvedimenti volti a ridurre la domanda di resistenza, D, e quelli volti ad aumentare la capacità di resistenza, C.

Limitandoci ad una sommaria disamina dei provvedimenti per la stabilizzazione di mo-vimenti franosi in terreni sciolti, nella prima categoria sono compresi:

- la riprofilatura del pendio, ovvero la modifica della superficie topografica con riduzio-ne della pendenza, alleggerimento della sommità e/o appesantimento del piede del pendio. Interventi di questo tipo hanno efficacia per movimenti franosi di tipo rotazio-nale non molto profondi;

- l’inserimento di opere di sostegno passive, quali muri, terra armata, paratie, pali, reti-coli di micropali e pozzi, al piede della frana, con lo scopo di trasferire la spinta dell’ammasso a strati più profondi e stabili. Possono essere impiegati solo per frane di spessore modesto.

18 – 26

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Nella seconda categoria rientrano:

- le opere per la disciplina delle acque superficiali, come fossi e cunette di guardia, fa-scinate, inerbimenti e rimboschimenti, che hanno lo scopo di ridurre le infiltrazioni di acqua dalla superficie e quindi le pressioni interstiziali, e di aumentare la resistenza al taglio del terreno più superficiale, anche per mezzo delle “armature” costituite dall’apparato radicale delle piante. Tali interventi hanno efficacia solo per stabilizzare la coltre più superficiale di terreno;

- le opere di drenaggio superficiali e profonde (trincee drenanti, pozzi drenanti, dreni suborizzontali, cunicoli e gallerie drenanti, elettroosmosi) hanno lo scopo di ridurre le pressioni interstiziali e quindi accrescere le pressioni efficaci e la resistenza al taglio del terreno. Sono i provvedimenti più diffusi ed efficaci per la stabilizzazione della maggior parte dei movimenti franosi profondi. In zone urbanizzate occorre verificare l’entità e gli effetti dei cedimenti di consolidazione indotti dall’abbassamento del livel-lo di falda;

- piastre e travi che, per mezzo di tiranti di ancoraggio pretesi, comprimono il terreno aumentando le tensioni normali, e quindi la resistenza al taglio, lungo la superficie di scorrimento;

- altri interventi finalizzati al miglioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno, quali iniezioni di miscele chimiche o cementizie, trattamenti termici come congela-mento o cottura, etc.., i quali sono utilizzabili solo in casi particolari.

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Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

CRITERIO PRINCIPIO FISICO PROVVEDIMENTO NOTE

Scavo di alleggerimento sulla sommità del pendio

Riduzione degli sforzi tangen-ziali lungo la superficie di scivo-lamento Abbattimento della scarpata

Non sempre fattibile per il co-sto elevato, per l’esistenza di manufatti, per pendii molto lunghi

Muri di sostegno Molto costosi e non sempre adeguati

Sistemi di pali Non sempre efficaci

Ancoraggi pesanti

Paratie e palancolate con o senza ancoraggio

Devono essere progettati con criteri cautelativi specialmente quando previsti con funzione di sostegno permanente

Riduzione delle forze che tendono a provocare la rot-tura

Trasferimento degli sforzi tan-genziali ad elementi strutturali fondati o ancorati ad una forma-zione sottostante non interessata dal dissesto

Chiodi Si applicano prevalentemente a pendii in roccia

Applicazioni di elementi struttura-li con tiranti pretesi Aumento degli sforzi normali

totali lungo la superficie di sci-volamento Applicazioni di rinfianchi o plac-

caggi al piede del pendio

Allontanamento delle acque su-perficiali

Drenaggio:

a) dreni orizzontali

b) pozzi

c) dreni verticali

d) gallerie drenanti

e) trincee drenanti

Spesso applicabili Riduzioni delle pressioni inter-stiziali in punti interni o lungo il contorno

Elettroosmosi

Addensamento

Iniezioni

Congelamento

Aumento delle forze resi-stenti

Miglioramento della resistenza al taglio del materiale

Cottura

Generalmente di costo elevato ed applicabili solo in terreni o rocce particolari

Tabella 18.2 - Principi e metodi di stabilizzazione dei pendii e delle scarpate (da Jappelli, Ma-nuale di Ingegneria Civile)

18 – 28