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Capitolo 1 LA LEADERSHIP NELLAZIENDA 1.1 - Introduzione: definizione di leadership e quadro concettuale di riferimento Prima di addentrarci nella trattazione dei vari modelli attraverso i quali possiamo proporci di leggere la complessa fenomenica della leadership, converrà identificare alcune definizioni di base anche al solo scopo di stabilire qualche convenzione di linguaggio. Per quanto riguarda il termine leader, è facilmente realizzabile che si tratti di una parola di provenienza inglese, di origine indoeuropea derivata dal verbo “to lead”, condurre, guidare. La piccola enciclopedia Hoepli del 1895 sottolinea una derivazione ippica: “leader è il cavallo che si pone in testa nella gara e fa l‟andatura”. Il suo significato è simile dunque ad una delle possibili configurazioni della parola italiana “guida”, ovvero “ciò che indirizza verso una meta determinata o suscita o provoca un determinato effetto; ciò che indica il percorso da seguire; punto di riferimento; musa ispiratrice (Grande Dizionario della lingua italiana, Utet)”. Ma se si scorrono più in dettaglio i molteplici significati che la nostra parola “guida” può avere, si comprende come mai la più specifica ed incisiva parola “leader” sia entrata nell‟uso comune. Infatti, la nostra parola “guida” può anche indi care un oggetto inanimato o astratto, oppure una persona che ci conduce lungo un percorso. Ci si collega bene, su questa base linguistico-etimologica, alle definizioni per così dire classiche di “leader” che compaiono nella letteratura psicologica; esse sono riconducibili già secondo English & English (1958) alle basilari seguenti: 1. Una persona che in un dato tempo e luogo modifica, dirige o controlla mediante le proprie azioni, gli atteggiamenti o le azioni di uno o più seguaci. Si tratta di una definizione che potremmo qualificare come descrittivo-rappresentativa; 2. Una persona che occupa un ufficio o una posizione tale da conferire ai suoi consigli o comandi una certa autorità o un certo potenziale atto a controllare il comportamento di un gruppo sociale; abbiamo a che fare con una definizione di tipo situazionalista;

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Capitolo 1

LA LEADERSHIP NELL’AZIENDA

1.1 - Introduzione: definizione di leadership e quadro concettuale di

riferimento

Prima di addentrarci nella trattazione dei vari modelli attraverso i quali possiamo proporci

di leggere la complessa fenomenica della leadership, converrà identificare alcune

definizioni di base anche al solo scopo di stabilire qualche convenzione di linguaggio.

Per quanto riguarda il termine leader, è facilmente realizzabile che si tratti di una parola di

provenienza inglese, di origine indoeuropea derivata dal verbo “to lead”, condurre,

guidare.

La piccola enciclopedia Hoepli del 1895 sottolinea una derivazione ippica: “leader è il

cavallo che si pone in testa nella gara e fa l‟andatura”. Il suo significato è simile dunque ad

una delle possibili configurazioni della parola italiana “guida”, ovvero “ciò che indirizza

verso una meta determinata o suscita o provoca un determinato effetto; ciò che indica il

percorso da seguire; punto di riferimento; musa ispiratrice (Grande Dizionario della lingua

italiana, Utet)”. Ma se si scorrono più in dettaglio i molteplici significati che la nostra

parola “guida” può avere, si comprende come mai la più specifica ed incisiva parola

“leader” sia entrata nell‟uso comune. Infatti, la nostra parola “guida” può anche indicare un

oggetto inanimato o astratto, oppure una persona che ci conduce lungo un percorso. Ci si

collega bene, su questa base linguistico-etimologica, alle definizioni per così dire classiche

di “leader” che compaiono nella letteratura psicologica; esse sono riconducibili già

secondo English & English (1958) alle basilari seguenti:

1. Una persona che in un dato tempo e luogo modifica, dirige o controlla mediante le

proprie azioni, gli atteggiamenti o le azioni di uno o più seguaci. Si tratta di una

definizione che potremmo qualificare come descrittivo-rappresentativa;

2. Una persona che occupa un ufficio o una posizione tale da conferire ai suoi consigli

o comandi una certa autorità o un certo potenziale atto a controllare il

comportamento di un gruppo sociale; abbiamo a che fare con una definizione di

tipo situazionalista;

3. Una persona che possiede i tratti supposti necessari per la leadership. Questi tratti

vengono variamente definiti, tuttavia molte ricerche sembrano indicare che non

esistano tratti specifici di contrassegno della leadership. Si tratta di una definizione

che potremmo qualificare come personologica;

4. Sociometricamente parlando, si può definire il leader come la persona che riceve il

maggior numero di scelte sociometriche; questo significato può essere indicato

come statistico-strutturale.

Si è parlato fino a questo punto di leader con riferimento a persone fisiche dotate di

peculiari funzioni o compiti o capacità o responsabilità (più o meno definite che siano). E‟

tuttavia opportuno definire parimenti la leadership in quanto funzione; almeno in prima

istanza infatti si tratta di qualcosa che non è necessariamente o sempre riferibile o legata ad

una determinata persona fisica.

Anche per quanto riguarda la leadership sono rintracciabili a fondamento delle molte

esistenti alcune definizioni che possiamo considerare classiche. Per English & English

(1958) esse sono:

1. I tratti o le capacità caratteristiche dei leader o della funzione di conduzione.

Questo primo significato ignora la situazione come fattore determinante del “chi” e

del “come” guida e conduce, implicando che il leader sia contrassegnato soltanto o

prevalentemente dalle sue qualità intrinseche; si tratta di una definizione

chiaramente obliqua per non dire mistificatoria.

2. L‟iniziazione, la direzione o il controllo delle azioni o degli atteggiamenti di

un‟altra persona o gruppo, con la più o meno volontaria acquiescenza dei seguaci;

questo significato non implica che vi sia una categoria speciale di persone che sono

leader, né che speciali qualità o tipi di azione conferiscano la leadership. Si tratta di

una configurazione definitoria che è libera da teoria; possiamo tuttavia inquadrarla

e qualificarla come funzionalista.

3. L‟azione, qualunque essa sia, che influenza il gruppo nel perseguimento dei suoi

scopi; questo terzo significato appare come valutativo, e sembra sottintendere che

una leadership auto-centrata non è leadership autentica, e che tutto si debba o si

possa comunque ridurre ad un problema di influenzamento, per di più ad una sola

via. Si tratta in ogni caso di un tipo di definizione che possiamo qualificare come

riduttivisticamente e comportamentivisticamente situazionalista.

A doverosa e interessante integrazione del testo di riferimento costituito dall„English &

English (e a riprova della fondamentale esattezza della sintesi significale in esso

rappresentata) è utile riportare alcuni altri inquadramenti definitori rintracciabili nella

letteratura o da essa legittimamente ricavabili:

a) La leadership è l‟attività volta ad influenzare le persone che si impegnano

volontariamente su obiettivi di gruppo (A. Etzioni, 1961)1.

b) L‟influenza interpersonale esercitata da un principe in una determinata situazione e

rivolta in direzione del conseguimento di uno o più obiettivi specifici (N.

Machiavelli, 1513)2.

c) Il processo volto a influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che si

impegna per il conseguimento di obiettivi in una determinata situazione (P. Hersey

e K. Blanchard, 1984)3.

d) La complessità dei processi psicologici che caratterizzano l‟esercizio delle funzioni

di potere e di influenzamento nei gruppi (G. Trentini, 1980)4.

e) La leadership può essere riferita in senso lato alla relazione che corre tra un

individuo e un gruppo costituito intorno a un interesse comune, e che induce a

comportarsi secondo modalità dirette o comunque determinate dall‟individuo

medesimo (K. Schmidt, 1933)5.

f) Il termine leader si riferisce alla persona che è stata eletta o incaricata o che è

emersa dal gruppo per dirigere e coordinare gli sforzi dei membri del gruppo stesso

in direzione di un dato scopo (F. Fiedler, 1987)6.

g) Una forma particolare di influenza. E‟ quella in cui una persona (il leader)

influenza un altro o varie altre persone (i seguaci) disposti ad accettarne gli scopi e

1 ETZIONI A., “A comporative analysis of complex organization”, Free Press New York, 1961.

2 MACHIAVELLI N.,(1929), “Il Principe”, Le Monnier, Firenze.

3 BLANCHARD K., HERSEY P., (1984), “Lifecycle theory of leadership”, Training and development

journal, 23, pagg. 26-64. 4 TRENTINI G., (1990), “L’uno e i molti”, Milano.

5 SCHMIDT K., (1990), “Geschprach uber die Macht und den Zugang zum Machtaber”, Il Melangolo,

Genova. 6 FIEDLER F., ( 1987), “Leadership experience and leadership performance”, Wiley, New York.

le finalità, e a procedere tutti insieme nella direzione da lui indicata, affermando la

propria autorità grazie alla forza di convinzione (E. Jacques, 1990)7.

h) Il processo mediante il quale le attività dei membri di un gruppo sono influenzate

da una o più persone. Si tratta di un fenomeno di gruppo, indice dello sviluppo, in

senso sociale, secondo cui un individuo influenza gli altri più di quanto non venga

egli stesso influenzato. Le diverse modalità di leadership si chiamano stili di

leadership, cfr par. dedicato (E. Spaltro, 1981)8.

A livello di un primo commento è subito annotabile che le convenzioni definitorie che

abbiamo testé indicato come classiche sembrano propendere (pur in modo non drastico)

verso una impostazione prevalentemente personologica del problema. In realtà le cose

stanno o si pongono in modo diverso, come emerge già dal riesame e dall‟analisi accurata

del saggio delle definizioni sopra riportate, nonché dai dati delle ultime ricerche e

riflessioni svolte nell‟ambito delle discipline interessate al problema. In proposito è anzi

opportuno sistematizzare in una breve panoramica le principali scuole di pensiero, cioè i

principali orientamenti e punti di vista teoretici adottati nell‟affrontare la tematica della

leadership.

Un comune rilievo emerge e attraversa tali correnti di pensiero (personologica, interattiva e

funzionale chi sia): esso riguarda ancora una volta la complessità che comunque interviene

a questo livello dell‟analisi del tema. Per fortuna si tratta di una complessità che è anche

riconducibile all‟articolarsi di due soli e grandi schieramenti, separati da un interessante

antico spartiacque: quello del primato da conferire all‟individuo oppure al sociale. Si

ritorna sempre al punto cruciale. Si nota infatti l‟esistenza nella considerazione teoretica

della nostra problematica, dei due seguenti versanti:

Il versante portato sulla fenomenologia psico-sociale, centrato sulla vita del gruppo

nella sua globalità e sulla sua conduzione o guida, nelle vicissitudini situazionali

che lo riguardano all‟interno e all‟esterno. Rientra in tale versante anche ogni

accenno o tentativo di analisi istituzionale di una dinamica generale o speciale della

leadership.

7 JACQUES E., (1990), “A general theory of burocracy”, Hienaman London.

8 SPALTRO E., (1981), “Gruppi e cambiamento”, Etas Libri, Milano.

Il versante portato dalla fenomenologia individualista, centrato sulla vita e la

personologia del leader, sui suoi tratti e sulle sue attitudini e capacità più o meno

carismaticamente caricate. Rientrano in tale versante anche le centrature sul

comportamento del leader, così come quelle riguardanti le vicissitudini della vita

soggettiva ed intersoggettiva del leader.

Da almeno cinquant‟anni, la considerazione della fenomenologia psico-sociale

(genericamente indicabile come situazionista) ha teso a gradualmente sopravanzare quella

della fenomenologia individualista, quantomeno nel richiamare la considerazione degli

studiosi. A. Bryman9 ha tentato di schematizzare tale evoluzione in una tavola (vedi

Tabella 1), mirando a semplificare storicamente il percorso. Ma, come abbiamo potuto

vedere già fino a questo punto, il caso è più complesso di quanto appaia a prima vista.

Quanto al sopra citato spartiacque, potrebbe venir pensato che esso tenda a coincidere con

il pur incerto confine tra natura e cultura, cioè con l‟antica “vexata questio” se leader si

nasca o si diventi. Ma anche qui le cose non stanno proprio in modo così semplice: sul

versante psicologico-sociale, infatti, la fenomenologia della leadership ripete puntualmente

quella sintesi dinamica di natura e cultura che è rintracciabile in ogni agire dell‟essere

umano in un dato ambito o società di altri esseri umani; sul versante personologico-

individualistico il riscontro è analogo: basti ricordare che tutti i tratti caratteriologici e tutte

le attitudini e capacità derivano, perfino costituzionalmente, sia dal genotipo che dal

fenotipo e per questa duplice strada, in modo articolato e complesso, vengono trasmessi

nonché addestrati e affinati: la natura non rifiuta e non respinge certo la cultura e viceversa.

Ancora una volta, quindi, tra il determinismo genetico ed il determinismo sociale l‟unica

scelta vera e possibile è quella di una connessione e intersezione tra le due parti,

all‟insegna della complessità, e cioè all‟insegna della ragione del Bios, della biologia

profondamente e propriamente intesa.

9 BRYMAN A., (1992), “Charisma and leadership in organizations”, Sage, Londra.

Tabella 1 - Tendenze nelle teorie e nelle ricerche sulla leadership secondo A. Bryman

Periodo Tipo di approccio Fulcro di base

Denominazione

(secondo G.

Trentini)

Fino agli (ultimi)

anni „40

Approccio basato

sui “tratti”

La capacità di

leadership è innata

Orientamenti

personologici

Dagli ultimi anni ‟40

agli ultimi anni „60

Approccio basato

sugli “stili”

L‟efficienza della

leadership ha a che

fare con il

comportamento del

leader

Orientamenti

interattivi

Dagli ultimi anni ‟60

ai primi anni „80

Approccio basato

sulla “contingenza”

In questo caso

dipende: la

leadership efficiente

è determinata dalla

situazione

Orientamenti

funzionalisti

Dai primi anni ‟80

in poi

Approccio basato

sulla nuova

leadership

(includente anche

quella carismatica)

I leader devono

possedere la “vision”

Nuovo funzionalismo

(attenzione a certe

valenze

personologiche)

Continuando e tirando le fila del discorso sul significato che la dottrina organizzativo-

sociologica ha tentato di attribuire alla nozione di leadership, è utile analizzare ciò che, per

esempio, Bernard Bass10

nel proprio manuale sull‟argomento propone come soluzioni alla

questione. Egli elenca undici categorie di significati attribuiti alla leadership nel corso

dell'ultimo secolo, che possono essere considerate un compiuto sunto di tutte le diverse

correnti di pensiero:

10

BASS B.M., (1981), “Stogdills handbook of leadership”, Free Press, New York.

1. Leadership come focus della dinamica di gruppo: il leader viene visto da alcuni

autori come protagonista, punto di polarizzazione, centro focale di gruppo. La

tendenza che si riscontra in queste prospettive di studio è di considerare il concetto

di leadership strettamente legato a quello di struttura e dinamica di gruppo stesso;

2. Leadership come personalità e suoi effetti: questa definizione fa parte della teoria

dei tratti secondo la quale si devono ricercare le caratteristiche che rendono alcune

persone più capaci di altre nell'esercitare la leadership. Gli studiosi ricercano una

definizione che descriva più le caratteristiche che il leader deve possedere per

essere tale, piuttosto che una spiegazione gnoseologica del termine leadership;

3. Leadership come l'arte di indurre il consenso: la leadership è definita come

l'abilità di manipolare le persone così da ottenerne il meglio con i minimi contrasti

e la massima cooperazione attraverso il contatto face-to-face tra leader e

subordinati; viene quindi vista come un esercizio di influenza unidirezionale, e

pertanto sia il gruppo che i suoi membri vengono messi in secondo piano e

considerati alla stregua di meri soggetti passivi;

4. Leadership come esercizio dell'influenza: l'utilizzo del concetto di influenza

segna un passo decisivo nell'astrazione del concetto di leadership; gran parte degli

studiosi che operarono già negli anni '50 utilizzarono definizioni affini. Il concetto

di influenza implica una relazione reciproca tra individui, non necessariamente

caratterizzata da dominio, controllo o induzione del consenso da parte del leader;

5. Leadership come comportamento: questa definizione, caratteristica

dell'Organizational Behavior, emerse nello stesso periodo della precedente; i

ricercatori cercarono di spiegare quali fossero gli atti e i comportamenti

caratteristici dell'esercizio della leadership, ovvero quelli propri di un individuo

orientato alle attività di gruppo;

6. Leadership come forma di persuasione: è un tipo di definizione che cerca di

rimuovere ogni implicazione alla coercizione, focalizzando invece l'attenzione alla

relazione con i seguaci. Più recentemente la strategia persuasiva è stata indicata

come una delle modalità principali di leadership;

7. Leadership come relazione di potere: per spiegare questo tipo di affermazione,

gran parte degli studiosi che l'hanno adottata hanno utilizzato due soggetti di

riferimento, A e B, simulando tra loro relazioni di potere; se A induce B ad attuare

dei comportamenti per raggiungere un comune obiettivo, allora si può affermare

che A ha esercitato leadership su B;

8. Leadership come strumento per raggiungere l'obiettivo: quest'idea è comune a

molti studiosi che l'hanno inclusa nelle proprie definizioni, ma alcuni più di altri

hanno centrato la loro sul raggiungimento dell'obiettivo; questi studiosi considerano

la leadership come forza principale per stimolare, motivare e coordinare coloro i

quali si muovono per raggiungere un obiettivo comune;

9. Leadership come fattore emergente dell'interazione: ciò che differenzia questa

affermazione dalle precedenti è il nesso di causalità; in questa si nota che la

leadership viene considerata un effetto dell'azione del gruppo e non più un suo

elemento formante. La sua importanza sta nell'aver messo in evidenza che la

leadership emerge dal processo di interazione tra individui, e non avrebbe ragione

di esistere senza di esso;

10. Leadership come ruolo di differenziazione: tale definizione fa parte della teoria

dei ruoli, secondo la quale ogni individuo interagendo con altre persone o con un

gruppo gioca un ruolo, solitamente diverso, dagli altri individui. Diversi autori

utilizzano definizioni che vedono nella leadership un attributo che differenzia i

membri all'interno di un gruppo;

11. Leadership come l'iniziazione di una struttura: con questa affermazione si vuole

intendere che la funzione di leadership è indispensabile per l'avvio di una struttura e

per il suo mantenimento e perseguimento di obiettivi nel tempo.

A chiosa della lunga trattazione, ci sentiamo di fare nostra un‟unica e breve definizione del

significato del concetto di leadership come oggi appare più aderente al contesto socio-

economico; si può pertanto definire la leadership come “una forma di problem solving

organizzativo, che mira a raggiungere gli obiettivi dell‟organizzazione attraverso

l‟influenza sull‟azione altrui”. Questa definizione permette di calarsi in maniera più

coerente nel quadro aziendalista, che in questa sede assume maggior peso e rilievo; si noti

però come racchiuda in sé i recenti sviluppi funzionalistici, e le più profonde

caratterizzazioni del leader nell‟ottica dell‟impresa.

1.2 - La leaderschip nell’impresa

L'impresa è costantemente costretta a cambiare e adeguarsi alle trasformazioni del mercato,

ma, oggi, come nel passato, sono ancora poche le persone in grado di modificare in modo

significativo l'impresa. Queste persone possono essere definite con l'espressione di

leadership aziendale.

Ogni nuova idea nasce, generalmente, dal pensiero di un uomo ed è per questo che, in

un'epoca caratterizzata dalla creatività, la leadership assume un ruolo ancora più

importante che nel passato; il leader deve possedere una visione del "mondo" tale, che gli

consenta di vedere più avanti degli altri e di conseguenza di agire in anticipo sui tempi.

Ogni impresa eccellente mira al raggiungimento di un ruolo di preminenza nei rami di

attività in cui opera; alla leadership spetta il compito di incubare, stimolare, sostenere,

conquistare questo obiettivo.

Per il conseguimento di questo target, la leadership deve metabolizzare una serie di

"valori":

Possedere la vision mirata al raggiungimento del successo dell'impresa.

Essere elemento trainante ed esempio per i collaboratori.

Essere creativa.

Essere in grado di determinare processi di cambiamento nell'impresa finalizzati al

coinvolgimento degli stakeholder.

Riuscire a creare valore per l'impresa.

Essere in grado di valutare lo stato di salute dell'impresa non tanto e non solo dagli

indicatori economico-finanziari, ma da indicatori di natura intangibile o da segnali

provenienti dal mercato e dall'impresa.

Spesso i manager, in particolare quelli delle grandi aziende, si attribuiscono l'etichetta di

leadership aziendale. Ma la leadership è cosa diversa dal management.

Leadership e management sono due funzioni aziendali distinte e complementari, entrambe

necessarie per il successo della grande, come della piccola impresa. Al management è

affidata la gestione della complessità, alla leadership è affidato il cambiamento; oggi in

piena transizione dalla "vecchia" alla "nuova" economia la maggior parte delle aziende di

tutti i paesi industrializzati soffre di eccesso di management e di carenza di leadership,

conseguentemente ne risultano gravi difficoltà nel gestire il cambiamento.

D'altra parte un lavoro svolto presso l'Mit ha mostrato che su 280 aziende statunitensi di

successo prese in considerazione, solo tre sono state in grado di mantenere una posizione

di preminenza di mercato per più di 18 anni; la causa del decadimento è stato attribuita alla

incapacità al cambiamento mostrato da tali aziende.

Circa la longevità di un'impresa esistono punti di eccellenza, che vanno citati. La Dupont,

impresa nata ben duecento anni fa per la produzione della polvere da sparo, nel 1920 era

uno dei principali azionisti della General Motors e oggi è essenzialmente un'impresa

chimica.

La General Electric, che è oggi il maggiore gruppo industriale del pianeta, alla sua nascita

realizzava lampadine e trasformatori, dopo la seconda guerra mondiale produceva centrali

termiche, reattori nucleari, impianti, treni ed elettrodomestici, oggi ricava la maggior parte

dei suoi utili da attività di servizio nel campo della finanza e dell'affitto di aeromobili a

gran parte delle compagnie aeree del mondo.

La direzione di un'impresa comprende management e leadership, funzioni diverse e

complementari (Hinterhuber, 1999) le cui differenze possono essere così riassunte.

La leadership:

Scopre nuove opportunità e gli strumenti per attuarle o farle attuare.

Crea nuovi paradigmi.

Considera normale lavorare per breakthroughs.

E' orientata alla creatività.

E' in grado di cambiare radicalmente il sistema dell'impresa.

Ha grande rispetto per le persone.

E' in grado di motivare i collaboratori in modo da porli nelle condizioni di fornire

prestazioni di spicco.

La sua autorevolezza deriva dalla condivisione della vision, della mission, delle

strategie e degli atteggiamenti da parte dei collaboratori.

Ha metabolizzato l'atteggiamento del servire.

Pensa in modo pro-attivo.

Sfugge all'identificazione (in un ruolo, ad esempio), mediante l'auto-osservazione:

vede dall'esterno il suo comportamento e lo adegua alle necessità poste dagli eventi

esterni.

Dai punti sopra elencati si evince che il compito più significativo che compete alla

leadership è attivare nel sistema aziendale salti qualitativi, che possano condurre a vere e

proprie rivoluzioni organizzative nell'impresa. Per ottenere questi obiettivi, che potrebbero

trovare ostacoli proprio tra i collaboratori, la leadership dovrebbe agire facendo riferimento

ai seguenti comportamenti (Kotter,1999):

1. Creare il senso dell'urgenza.

2. Attivare un gruppo di lavoro abbastanza autorevole.

3. Creare una vision adeguata e stimolante, capace di creare il consenso.

4. Comunicare la vision in modo chiaro.

5. Conferire ai collaboratori ampie responsabilità decisionali.

6. Cercare risultati positivi sul breve tempo, in modo da convincere gli scettici.

7. Affrontare i punti più delicati del cambiamento con slancio.

8. Incorporare nella cultura aziendale i nuovi comportamenti assunti per la gestione del

cambiamento.

Il management:

Trova soluzioni ai problemi.

Lavora all'interno di paradigmi definiti e accettati.

Opera per cambiamenti incrementali.

Adotta metodi e tecniche per porre cose e persone al posto giusto e al momento

giusto.

Usa l'uomo come risorsa per conseguire degli obiettivi.

La sua autorità deriva dalla posizione gerarchica e dalla competenza specialistica.

Ha metabolizzato l'atteggiamento del fare.

Pensa in funzione dell'agire.

E' orientato all'identificazione (in un ruolo ad esempio).

Da quanto detto la distinzione tra leadership e management non è né arbitraria né

semantica, è, all'opposto, molto forte.

Quelle aziende che confondono la leadership con il management saranno in grado di

gestire i piccoli miglioramenti incrementali, ma non saranno in grado di introdurre

modifiche di ampio respiro, quei breakthroughs, che possono consentire di cogliere

l'occasione di un nuovo business ed evitare il declino.

D'altra parte, i nuovi paradigmi della gestione d'impresa, impongono al manager, pur

riservandogli una funzione diversa da quella della leadership, la necessità di una cultura

maggiormente imprenditoriale; se non avviene questo cambiamento i manager possono

diventare l'anello debole delle imprese e fisiologicamente essere estromessi ad ogni

riorganizzazione aziendale o ad ogni mutamento del business.

Ma spesso il cambiamento è stato affidato a manager, privi delle qualità della leadership.

Le ragioni dell'insuccesso di un cambiamento organizzativo possono essere le seguenti

(Kotter, 1999):

1. Non aver creato un senso di urgenza sufficientemente forte.

2. Non aver creato un gruppo sufficientemente motivato e autorevole per la gestione del

processo.

3. La mancanza di una vision sufficientemente lungimirante, efficace e comprensiva.

4. Non aver comunicato la vision in modo adeguato.

5. Non aver rimosso gli ostacoli che intralciano la nuova vision.

6. Non aver creato condizioni di successo sul breve termine.

7. Aver cantato vittoria troppo presto.

8. Non aver incorporato i cambiamenti nella cultura d'impresa.

Giova notare che, secondo il lessico convenzionale, esistono due tipi di leadership che

operano secondo due diversi paradigmi.

In base al primo paradigma, il leader è spinto da un'enorme energia, indica una direzione

chiara e i suoi collaboratori lo seguono come un eroe per raggiungere l'obiettivo indicato.

Il secondo paradigma vede il leader come un saggio e gli elementi centrali che creano il

rapporto con i collaboratori sono la fiducia, l'atteggiamento orientato al servizio,

l'affiatamento, l'empatia.

I due paradigmi sembra che non possano convivere, ma essi potrebbero rappresentare le

due facce della leadership, da presentare in occasioni diverse della vita dell'impresa, la

prima quando è necessaria l'azione, la seconda quando è necessario elaborare una strategia.

La leadership, come vedremo meglio, deve individuare e stabilire rapporti con tutti i

soggetti che possono contribuire alla crescita di valore dell'impresa o che, indirettamente,

hanno rapporti con l'impresa, ma un'attenzione particolare essa dovrà avere con i propri

collaboratori e con i clienti.

1.4 - La leadership e lo stile con cui è condotta

Alla luce di quanto è stato precedentemente enunciato è possibile affermare che la capacità

di svolgere compiti di coordinamento all‟interno del gruppo si identifica con il ruolo di

guida del gruppo medesimo. Se tale capacità si manifesta in modo continuativo essa

costituisce una indispensabile premessa per l‟attribuzione della leadership a colui che la

dimostra e la esercita.

La leadership è quindi una qualità, una dote che costituisce non solo un fattore di

apprezzamento per l‟individuo, ma anche una risorsa preziosa per il gruppo.

Avviene solitamente che uno o più membri di una organizzazione ritengano importante

impegnarsi nella ricerca di una qualche influenza su altri membri; ciò significa effettuare

tentativi di esercizio di autorità. Qualora questi tentativi siano coronati da successo e

vengano ripetuti nel tempo, essi possono in realtà conferire la leadership a colui che ne è

risultato protagonista.

Il tipo e la consistenza dell‟impegno profuso dagli appartenenti al gruppo organizzato

dipende in buona parte anche dalla posizione coperta originariamente da ciascuno di essi.

Infatti, nella generalità dei casi il ruolo di capo è attribuito formalmente con un atto di

investitura, spesso anche da individui o organismi estranei alle operazioni sviluppate nel

sistema. Per quanto il leader formale non dimostri qualità sufficienti ad esercitare la guida

del gruppo, è probabile che gli altri membri non ritengano opportuno o conveniente cercare

di opporsi all‟autorità precostituita, limitandosi ad uniformarsi alle disposizioni impartite

da questa ultima; la conseguenza di ciò è la crescente deresponsabilizzazione dei

collaboratori del capo, il quale difficilmente otterrà un riconoscimento sostanziale del

proprio ruolo.

Di contro può accadere che lo stesso capo investito e non immediatamente accettato si

adoperi nello sviluppare bene il proprio compito per acquisire consenso e prestigio. E‟ pure

possibile che la ricerca del consenso avvenga da parte di coloro che, pur rivestendo ruoli di

subordinati, mostrino qualità tali da farli ritenere meritevoli di posizioni di livello

gerarchicamente superiore.

È necessario,quindi, porre un‟importante distinzione tra due concetti spesso imprecisi nella

letteratura sull‟argomento: la leadership formale, che viene spesso associata al leader

imposto dall‟esterno, nella psicologia del lavoro al manager, e la leadership informale,

derivante dall‟interno del gruppo; tale distinzione corrisponde, al limite, a quella che corre

tra leader imposto dall'esterno (il "sergente" della oleografia popolare) e il leader espresso

dall'interno del gruppo (il "profeta " o "guru" trascinatore). È possibile distinguere, in

lingua inglese, la leadership (che viene intesa come capacità di influenzare) dalla headship

(“capacità", saper essere a capo di, funzionare da "duce" di qualcosa).

Inoltre, occorre sottolineare che quando si parla di leadership ci si rende conto che spesso

l‟influenza scaturita dai grandi leader non deriva dal diretto contatto con esso, ma avviene

attraverso alcuni intermediari. È necessario dunque porre una chiara distinzione tra

leadership diretta, che comprende le relazioni e le interazioni fra un leader riconosciuto e i

suoi immediati collaboratori e la leadership indiretta detta anche leadership “a distanza”,

che consiste nell‟influenza di un leader riconosciuto su persone che non sono subordinate

direttamente a lui/lei.

In genere si può affermare che la leadership, per essere realmente acquisita, ha bisogno di

svilupparsi gradualmente attraverso un processo che conferisca al soggetto interessato due

essenziali strumenti operativi da far valere alla guida del comportamento del gruppo. Nello

specifico ci riferiamo a:

La capacità di collegare tra loro dati ed informazioni per costruire soluzioni

idonee all‟esercizio di tale guida;

La padronanza di strumenti di persuasione e di comunicazione utilizzando

messaggi rivolti ai soggetti appartenenti al gruppo medesimo.

Gli studi psicologici hanno dimostrato che la personalità e le caratteristiche

comportamentali di un individuo sono determinate dai processi di apprendimento a cui

egli, nel proprio contesto sociale, è stato sottoposto durante l‟intero arco di vita. Da ciò, le

disposizioni della personalità sono parte intima di un individuo mostrando una certa

stabilità nel tempo e nelle situazioni. Tuttavia, le disposizioni della personalità non

risultano immutabili, infatti possono cambiare come risultato di un nuovo processo di

apprendimento. Conoscere le differenti disposizioni della personalità è una delle

caratteristiche fondamentali di un leader in ambito aziendale o progettuale, in quanto aiuta

ad analizzare le proprie caratteristiche personali e quelle dei propri colleghi o collaboratori,

individuando punti di forza, di debolezza e il potenziale che ognuno è in grado di

esprimere. Essere in grado di distinguere fra disposizione performance-oriented, sociale,

cognitiva, disposizione al potere e al cambiamento, è la base per capire in quali situazioni

il talento e il potenziale possono esprimersi liberamente. Se la personalità è in armonia con

le attività professionali, gli obiettivi e i desideri personali saranno soddisfatti e il successo

arriverà automaticamente. La comprensione delle disposizioni di personalità aiuta a

comprendere il modello comportamentale altrui, migliorando le relazioni interpersonali,

creando le condizioni ottimali per un‟efficace collaborazione reciproca, per utilizzare la

propria energia dove sarà più efficace, per riconoscere le potenziali aree di conflitto con

altre persone minimizzandole e per creare l‟ambiente professionale più proficuo per il

successo.

I fattori di successo di un‟unità organizzativa sono motivati da un sistema culturale che ne

determina struttura, equilibri interni e interazioni. I valori e le attitudini di leader e

collaboratori sono i fattori chiave di successo dell‟unità organizzativa. La cultura aziendale

determina i comportamenti di leader e collaboratori, ma i collaboratori e i leader

costruiscono la cultura aziendale in un lungo arco temporale. In ogni struttura sociale è

naturale che chi ha poteri decisionali eserciti particolari influenze sui valori, i ruoli e i

comportamenti aziendali. In questo senso, lo stile o la cultura di leadership influenza la

cultura aziendale. La leadership diventa efficace quando stile di leadership e valori

aziendali sono allineati, ovvero quando la leadership è compatibile con i valori aziendali

percepiti e non sussistono conflitti di valori fra le gerarchie.

La leadership può trarre fondamento da doti innate presenti nell‟individuo, derivanti da

fattori caratteriali, sviluppati pure a seguito dell‟assimilazione di valori culturali appresi dal

proprio gruppo originario di appartenenza. Si parla in proposito, quindi, di qualità

carismatiche che esprimono, all‟interno di un contesto organizzato, salienti differenze

coerenti con la ricordata autorità di prestigio.

Tutto ciò porta a definire alcune qualità o requisiti che dovrebbero in ogni caso essere

presenti in coloro ai quali si ritiene opportuno attribuire il ruolo di leader.

Fra tali qualità possiamo sommariamente annoverare:

1. Elementi che contraddistinguono tratti della persona, quali l‟aspetto ed il

comportamento abituale, che inducono la considerazione ed il rispetto altrui. Si

possono così attribuire sinteticamente all‟individuo il caratteri di predicatore –

catalizzatore o quello di persuasore – dominatore;

2. Capacità di percepire e di gestire il cambiamento, nonché di modificare i punti

di riferimento del proprio gruppo. Il leader deve saper cogliere tempestivamente i

mutamenti strutturali dell‟ambiente, capaci di provocare trasformazioni nei valori

culturali accettati dal gruppo di riferimento;

3. Coerenza con le caratteristiche dei seguaci. La capacità di guidare il

comportamento dei membri del gruppo dipende anche dalle caratteristiche di questi

ultimi; difatti il rapporto di leadership è caratterizzato dalla biunivocità, dove la

collaborazione è elemento essenziale per il raggiungimento delle proprie

prerogative;

4. Capacità di sviluppare azioni organizzative coerenti con le proprie idee

innovative e con i cambiamenti culturali sollecitati nei propri collaboratori;

5. Capacità di esprimere e trasmettere idee di successo per le proprie iniziative.

L‟azione del leader per essere efficace ha bisogno di basarsi sulle esperienze

positive di risultati già conseguiti in passato.

Alcuni autori11

sostengono che i leader posseggano l‟intelligenza emotiva, termine

omnicomprensivo utilizzato per indicare quei tratti della personalità che condizionano il

nostro modo di percepire gli altri e gli eventi esterni, e che determinano il modo in cui gli

altri si relazionano a noi. È la modalità di elaborazione delle informazioni interpersonali e

intrapersonali, ovvero la consapevolezza e l‟abilità di gestire la comunicazione fra le

persone e con se stesso. L‟intelligenza emotiva si suddivide in cinque domini:

consapevolezza, automotivazione, autodisciplina, competenza sociale ed empatia.

11

STUCCHI G, (2008), “Leadership, modelli e comportamenti”.

La consapevolezza è la capacità di un individuo di percepire, comprendere e accettare il

proprio carattere, i propri valori e le proprie necessità e la capacità di comprendere come

questi influiscono sugli altri; induce all‟armonia, all‟autostima e alla fiducia in se stessi.

L‟automotivazione è l‟entusiasmo per il proprio lavoro, quindi è la capacità di trovare

individualmente stimoli nella propria attività senza bisogno di incentivi. I fattori chiave

dell‟automotivazione sono la desiderabilità e la realizzabilità. La desiderabilità di un

obiettivo è data dai benefici attesi sia nell‟immediato che nel lungo termine e dalla

probabilità di raggiungere l‟obiettivo; la realizzabilità è data dal grado in cui le proprie

azioni possono contribuire al raggiungimento dell‟obiettivo.

L‟autodisciplina è la capacità di darsi regole e metodo per esercitare il proprio lavoro in

modo autonomo e indipendente; ogni individuo dovrebbe sentirsi capace di realizzare i

propri desideri e i propri obiettivi senza sentire il peso oppressivo di fattori esterni.è

La competenza sociale è la capacità di stabilire e sostenere relazioni interpersonali

soddisfacenti e quindi si riferisce alle capacità della persona di adattare il proprio

comportamento dal livello individuale a quello sociale. Questo è il tipo di competenza

caratteristico dei leader nel contesto aziendale, in quanto descrive la capacità di creare e

mantenere uno spirito di gruppo, la motivazione alla collaborazione e al raggiungimento di

un obiettivo comune.

L‟empatia è la capacità di un individuo di immaginare se stesso nella situazione altrui per

capire lo stato emotivo e le motivazioni di un‟altra persona. Avere un comportamento

empatico significa anche reagire a fattori personali esterni in modo appropriato.

I domini dell‟intelligenza emotiva si concentrano in quattro disposizioni di personalità con

tratti caratteristici molto netti e distinti, fattori motivazionali e tendenze comportamentali

peculiari. Queste disposizioni sono riassunte brevemente nei profili DISC (Dominante,

Influente, Steady, Cauto), di cui la Tabella 2 delinea, a grandi linee, le caratteristiche

riassuntive.

Tabella 2 - Profili DISC

La leadership non deve essere intesa come una prerogativa “naturale”, bensì come una

posizione da conquistare attraverso un impegno consapevole e prolungato nel tempo di

individui che intendono ottenere consenso e prestigio nel sistema di impresa. Inoltre tale

posizione deve essere alleggerita di quei fattori legati all‟apparenza e alle capacità

“magnetiche” dell‟individuo, traducibili nel cosiddetto carisma.

Tutto ciò consente di concentrare l‟attenzione su alcune principali attitudini che il leader

dovrebbe sviluppare attraverso ogni possibile forma di apprendimento. Nello specifico

intendiamo in questo contesto riferirci a:

a) Attitudine a collegare realisticamente obiettivi da raggiungere e mezzi da utilizzare.

La principale dote del leader sarà quella di sintetizzare in specifici piani operativi

direttive che ottengano il consenso e la condivisione del gruppo;

b) Capacità di esprimere fiducia nelle potenzialità del gruppo, trasmettendo ai propri

collaboratori messaggi ottimistici circa le attese dei risultati delle azioni da

intraprendere. La carica di fiducia e di entusiasmo che egli palesa riguardo al

successo realizzabile dal proprio gruppo può facilmente trasmettersi a tutti i

componenti interessati dal piano di azione, stimolando una condivisione e una

partecipazione sentite e generalizzate. Lo scetticismo, la sfiducia e l‟indifferenza

del leader sono negatività assai contagiose e provocano atteggiamenti di incertezza

anche sui collaboratori più motivati.

c) Idoneità a realizzare concretamente le azioni programmate. Il leader non deve

essere tentato da atteggiamenti di prudente attesa, esponendosi al rischio insito

nella “inazione”. E‟ opportuno che si confronti di continuo con i problemi di varia

natura capaci di ostacolare l‟inizio o la regolare prosecuzione dell‟azione,

contrastando atteggiamenti di indifferenza e di opposizione attiva sviluppati

all‟interno o all‟esterno del proprio gruppo.

La leadership vera e propria non può essere conferita; non più di quanto possa esserlo

l‟autorità.

Un dirigente che debba essere costantemente pressato all‟azione perde gradatamente la sua

leadership a vantaggio di colui che lo stimola. Un vero leader non aspetta che un problema

gli venga sottoposto, non si adagia lasciando che le cose vadano per loro conto, ne spera

che qualcun altro dia l‟avvio alle iniziative necessarie. Al contrario, egli si dà da fare e va

alla ricerca dei problemi da risolvere. Egli è, in sostanza, un riformatore.

1.5 - Stili di leadership

La leadership è la combinazione di comportamenti individuali nell‟esercitare particolari

ruoli e funzioni atti alla pianificazione, ai processi di decision-making,

all‟implementazione e al controllo all‟interno di un‟organizzazione. Leadership significa

esercitare un‟influenza deliberata sull‟ambiente circostante, in particolare sui collaboratori,

al fine di raggiungere un obiettivo specifico. Tuttavia, la leadership non esiste in modo

isolato, è influenzata da fattori intrinseci quali la cultura aziendale prevalente e la strategia

aziendale, o esterni quali gli standard sociali. Le attitudini fondamentali e personali di un

leader influenzano il suo stile di leadership.

La classificazione più nota è quella elaborata da KURT Lewin che distingue:

Lo stile autoritario è caratteristico di coloro che confidano sulla propria funzione

gerarchica e che richiedono rigida subordinazione; questi leader si ritengono i soli

intitolati a prendere decisioni e si rivolgono ai collaboratori con istruzioni e ordini.

La conseguenza di questo stile è la mancanza di fiducia reciproca, l‟instaurarsi di

tensioni e conflitti. I gruppi guidati da leader autoritari mostrano di solito

un'elevata produttività, che tende però a crollare in assenza del leader ; inoltre

presentano un clima emotivo solitamente sgradevole. Si può far rientrare in questa

categoria anche lo stile persuasivo, definito successivamente da altri autori, nel

quale il leader tende a spiegare le motivazioni delle decisioni prese, per farle

accettare meglio ai collaboratori.

Lo stile cooperativo riguarda quei leader che coinvolgono i collaboratori nei

processi decisionali, consentono agli altri di fare proposte per poi scegliere

l‟opzione più adeguata, riconoscono le capacità dei collaboratori usandone le

competenze e i punti di forza in modo adeguato, e condividono gli obiettivi e le

modalità di conseguimento con i collaboratori. Il leader cooperativo interviene in

caso di deviazioni dagli obiettivi o quando percepisce che questi non possano

essere raggiunti e cerca il contatto diretto e personale con i collaboratori. In seno al

gruppo prevale un clima di mutuo rispetto e l‟atmosfera è rilassata e informale.

Lo stile democratico è tipico dei leader che trattano i collaboratori come propri

pari, malgrado differenze di funzione, competenze, età. Costoro si focalizzano sul

potenziale del collaboratore massimizzandone la produttività. I processi decisionali

sono collegiali, sia il leader che i collaboratori prendono le proprie decisioni

condividendo un senso comune di responsabilità. Questa responsabilizzazione

induce il collaboratore a lavorare con impegno anche quando il leader è assente. I

gruppi guidati da leader democratici mostrano di solito una bassa produttività

iniziale che tende però a crescere; inoltre il gruppo lavora anche in assenza del

leader e il clima emozionale tende ad essere piacevole;

Lo stile “laissez-faire” è quello del leader che ha scarso interesse alle necessità dei

collaboratori o al raggiungimento di obiettivi; si mostra ai collaboratori soltanto in

caso di assoluta necessità, delega i controlli ad altri collaboratori o ad altri

leader. In questo modo la cooperazione risulta difficoltosa e inefficiente, il leader

perde parte del suo ruolo e si formano sottogruppi con leader informali. I gruppi

guidati da un leader laissez-faire tendono a presentare un clima emozionale molto

piacevole ma anche scarsa produttività.

Gli stili di leadership12

che possono essere messi in opera variano da leader a leader e da

situazione a situazione. Il suddetto stile di guida può avere come estremi l‟essere

“incentrato sul leader” o l‟essere “incentrato sul gruppo”; ciò dipende dalla misura in cui il

leader condivide o meno con i propri collaboratori il controllo del gruppo stesso.

Alcuni affermano che ci sia un momento opportuno per ognuno di questi cinque stili.

L‟orientamento verso uno stile “incentrato sul leader” tuttavia, sarebbe normalmente

appropriato solo quando il gruppo manca della maturità e della comprensione necessaria

per prendere buone decisioni, o forse anche in una situazione di crisi aziendale o

decisionale.

I cinque stili di leadership più comunemente attuati nei vari contesti operativi possono

essere riassunti nelle seguenti macrocategorie:

1. Prescrivere: il leader identifica i problemi, considera le possibili soluzioni, sceglie la

più appropriata e indica ai suoi seguaci come comportarsi nel suo perseguimento. Il leader

può prendere in considerazione le opinioni dei membri, ma essi non partecipano

direttamente nelle decisioni, e pertanto accentra su di sé sia le procedure di “problem

solving” che di “decision making”.

2. Convincere: il leader prende delle decisioni in autonomia e tenta di persuadere i membri

del gruppo ad accettarle ed a supportarle. Un leader che usi questo stile può, nel processo

comunicativo, evidenziare di aver considerato sia gli obiettivi dell‟organizzazione che gli

interessi dei membri del gruppo, indicando come in qualunque caso il gruppo stesso trarrà

beneficio dalla decisione presa.

12

SPALTRO E., “Culture di coppia, di gruppo, di collettivo”, in Psciologia Sociale, Boringhieri, Torino.

3. Consultare: imembri del gruppo hanno l‟opportunità di influenzare il processo

decisionale sin dal suo inizio. Il leader che usa questo stile in prima istanza presenta

dettagliatamente la problematica e fornisce tutte le informazioni necessarie per avere un

corretto feedback dai collaboratori. Egli poi invita il gruppo a suggerire possibili piani

d‟azione e una volta concluso questo processo di “brain storming” individua le soluzioni

più interessanti e ad alto potenziale di “rewarding”.

4. Partecipare: il leader decide di partecipare alla discussione sulla problematica oggetto

di analisi come se fosse un comune membro del gruppo, concordando in anticipo di

condividere e perorare qualsiasi decisione venga successivamente presa e concordata.

5. Delegare: il leader definisce i confini all‟interno dei quali risolvere i problemi o portare

a termine la missione prefissata. A quel punto lascia che sia il gruppo in completa

autonomia a trovare le soluzioni e portare avanti il lavoro così come deliberato.

E‟ tuttavia necessario ricordare come nessuno di questi cinque stili sia giusto o sbagliato in

sé, e che pertanto ognuno deve essere valutato criticamente.

In campo militare, ad esempio, l‟imposizione ai soldati della decisione sul da farsi senza il

minimo margine di discussione si rivela la soluzione ottimale. Questo di solito accade

quando è evidente il bisogno urgente di prendere decisioni. Tuttavia, in circostanze

normali, il leader che lavora con un gruppo deve saper discernere quando ogni stile di

leadership sia più appropriato, e maturare la capacità di usare, quando è necessario, nuovi

registri comportamentali.

1.6 - I compiti della leadership

Una volta definita e inquadrato compiutamente il concetto di leadership, è opportuno

analizzare una serie di compiti che competono alla leadership, e che come si potrà subito

intuire mal si conciliano con la gestione ordinaria dell‟azienda.

In un circolo virtuoso, quanto più un imprenditore si libera di impegni operativi affidandoli

a collaboratori responsabilizzati, tanto più potrà occuparsi del futuro della sua azienda. Un

leader capace dovrà individuare le capacità distintive più consone alle necessità della

propria impresa e più adeguate alla creazione del valore.

Compito del leader è possedere la vision più opportuna, che gli consenta di tracciare la

rotta dell‟impresa e di dare un senso alle azioni di ciascun collaboratore. La vision deve

essere ovviamente associata ad ipotesi concrete e dimostrabili, nonché alla capacità di

essere comunicata in modo trasparente e intuitivo. In questo modo i collaboratori

accetteranno e condivideranno i valori che la vision richiede, potranno identificare ed

apprezzare il proprio ruolo in azienda, migliorare le proprie competenze, e saranno

invogliati ad assumersi responsabilità partecipando alla creazione dell‟intelligenza emotiva

aziendale.

Giova sottolineare che la realizzazione di visions particolarmente ambiziose (Kotter, 1999)

infonde energia nei collaboratori, non solo perché li spinge nella direzione giusta, ma

anche perché soddisfa alcuni bisogni primari dell'uomo: appagamento, appartenenza,

riconoscimento, autostima.

In sintesi la vision rappresenta l'immagine aziendale desiderata nel lungo termine, e viene,

normalmente, esplicitata dalla leadership attraverso frasi chiare e concise che ne

definiscono l'essenza nei confronti di tutti gli stakeholder.

La mission è la ragion d‟essere di un‟azienda e deve essere pensata dal vertice

imprenditoriale in modo tale che ciascun individuo, pur con diversi gradi di

approfondimento, sia in grado di dare risposte precise relativamente ai suoi valori, ai suoi

clienti, ai suoi prodotti ed alle sue priorità strategiche. La leadership deve garantire che la

mission aziendale assicuri i seguenti requisiti:

sia enunciata in modo chiaro e visibile;

contenga le regole fondamentali della vita aziendale;

sia rispettata da tutti;

tenga conto della soddisfazione dei collaboratori.

La mission assolve, quindi, tre funzioni:

La funzione di orientamento. Ogni stakeholder deve disporre di informazioni

chiare per il conseguimento degli obiettivi comuni; la navigazione deve procedere

su una rotta tracciata e nota a tutti.

La funzione di legittimazione. La prima legittimazione viene normalmente

dall'imprenditore, ma, nell'impresa è ancora più importante la legittimazione

proveniente dagli stakeholder, per ciascuno dei quali la mission deve prevedere un

codice di comportamento, gli obiettivi e un sistema di valori.

La funzione di motivazione. Fissando per ciascun collaboratore, in modo chiaro e

semplice, obiettivi raggiungibili, si stimola il collaboratore ad offrire il massimo

impegno nel raggiungimento del compito affidatogli, ma ancor più a sviluppare

un'autoanalisi volta a

riconoscere il proprio potenziale di crescita professionale. Il collaboratore, in base

alle sue potenzialità, dovrà essere in grado di dare una risposta alla seguente

domanda: «Che tipo di contributo posso offrire all'impresa per il soddisfacimento

degli stakeholder, innanzitutto i clienti?».

La mission ha valore se non si ferma al presente ma si proietta nel futuro, pertanto essa

deve essere flessibile e ripensata almeno ogni anno.

La leadership dovrà operare col fine ultimo che la propria impresa raggiunga l‟eccellenza

grazie a competenze distintive che le consentano di essere diversa dalle altre.

Esistono una miriade di Pmi che godono di questa realtà, ma, a titolo esemplificativo, non

si può non far riferimento alle competenze distintive di alcuni grandi brands: McDonald's

per la forza del marketing orientato ai giovani, Swatch per il design ed il marketing,

l'industria delle macchine fotografiche giapponesi per la meccanica di precisione e per la

microelettronica, Sony per la miniaturizzazione, Benetton per la pubblicità, Microsoft per

il software, Volvo per la robustezza delle auto, Ikea per l'arredamento economico.

Come è già stato ampiamente descritto in letteratura, uno degli elementi del vantaggio

competitivo dell‟impresa è rappresentato dalla differenziazione; questa caratteristica può

essere acquisita grazie al costante sviluppo delle competenze dell‟azienda. Le competenze

distintive si manifestano in genere come asset immateriali, e si sviluppano attraverso lo

studio, l‟addestramento, l‟aggiornamento; aiutano a migliorare l‟autostima dei lavoratori e

lo spirito di squadra. Al fine di potenziare e di sfruttare le competenze distintive

dell‟impresa, la leadership dovrà avere ben chiari alcuni concetti: qual‟è il principale know

how aziendale? Qual‟è il suo maggiore potenziale conoscitivo? Quale prodotto mette in

evidenza il suo potenziale distintivo? Quale segmento di mercato può meglio apprezzare

tali competenze, e quali altre opportunità di business possono nascere dal know how

posseduto?

La leadership dovrà inoltre ed infine preoccuparsi di sviluppare in azienda le competenze

emotive che consentano sia di trasmettere ai collaboratori il cuore, l‟entusiasmo, il senso di

appartenenza e lo spirito di sacrificio, sia di evitare la caduta nella routine, nella de-

responsabilizzazione, nella burocratizzazione e nel disimpegno emotivo.

È interessante in tal proposito leggere cosa afferma il sociologo Alberoni13

riguardo

all‟entusiasmo: “la parola entusiasmo deriva dal greco essere in Dio. L‟entusiasmo è

quindi energia straordinaria, slancio, fede. È una forza che ci spinge verso ciò che è

elevato, che ha valore, è una spinta verso il futuro, una fede nella propria meta, nelle

proprie possibilità. L‟entusiasmo è un esplosione di speranza. Curiosamente sono pochi

quelli che sanno accettare l‟entusiasmo in se stessi e coltivarlo negli altri. Molti si

vergognano dei loro sentimenti, del loro slancio vitale, pensano che possa indebolire la

loro razionalità e la loro capacità di auto controllo. Ma non è affatto vero. L‟entusiasmo è

una forza vitale che può essere sprecata nell‟inseguire sogni ad occhi aperti, ma che può

essere incanalata in un compito costruttivo, in una ricerca razionale. L‟entusiasmo è

fondamentale per convincere gli altri; se non siete sicuri di voi stessi, se non siete convinti

del progetto che andate a proporre, come potete pensare di suscitare nell‟altro interesse

perché possa ascoltarvi? L‟entusiasta ha un nemico subdolo: il cinico, il quale è appiattito

sul presente, sul proprio egoismo, sulla propria pigrizia, sul proprio utile e non crede

perché privo di fantasia e generosità. Nelle imprese ci sono molte persone di questo tipo,

che fanno di tutto per spegnere l‟entusiasmo di altri, soprattutto dei giovani che arrivano in

azienda pieni di fede e di valori”.

Alla base dei compiti di una leadership eccellente sta la creazione e la formazione di un

team di collaboratori da responsabilizzare e con i quali creare un clima di affiatamento e

trasparenza.

La cosiddetta "sindrome del cavaliere solitario", dell'imprenditore "faccio tutto io" (2) deve

tendere a scomparire, salvo rischiare la scomparsa delle aziende, specie per i problemi

generazionali connessi con la successione.

Creare un clima di collaborazione vuol dire trasmettere fiducia e sicurezza, la fiducia di

avere una leadership che sa dove sta andando, la sicurezza di poter disporre del vantaggio

competitivo di una leadership che sa guardare nel futuro meglio dei concorrenti e che saprà

dare sempre maggior valore all'impresa.

13

ALBERONI F., (1968), “Status nascenti”, Il Mulino, Bologna.

La leadership dovrà, inoltre, "preoccuparsi" dei clienti, approfondirne la conoscenza,

studiarne i bisogni manifesti e latenti, coinvolgerli nello sviluppo, informarli sugli

orientamenti strategici, cercare di stabilire con loro un rapporto analogo a quello che

avrebbe con i suoi collaboratori. Infatti, nell'ottica del prosumer il cliente è per definizione

un collaboratore e, nella "casa degli stakeholder", il cliente è uno dei pilastri. Assicurata la

necessaria attenzione allo zoccolo duro dei clienti fidelizzati, che creano una gran parte del

valore per l'impresa, la leadership dovrà, costantemente, attivarsi per incrementare il

numero dei clienti e, possibilmente, diversificarne la tipologia. Non sono rari i casi di

aziende che si avviano verso un declino irreversibile, trascinatevi dalla crisi dei propri key-

client.

Un altro importante compito della leadership è analizzare la propria fornitura sulla base

della capacità di creare valore. La scelta dei prodotti chiave, il loro rafforzamento e

completamento e le relative strategie, di tipo offensivo, difensivo o di disinvestimento,

sono fra le decisioni più importanti che competono alla leadership. La strategia necessaria

per sostenere una fornitura dipende però anche dal tipo di fornitura.

L‟imprenditore dovrà verificare che tutti i collaboratori abbiano ben chiaro qual è il core

business dell‟impresa e quali sono gli strumenti perché quel business crei valore.

Nell‟analizzare la propria fornitura un aspetto di estrema importanza è quello della

valutazione del costo di produzione di ciascun prodotto. Una volta acquisita la conoscenza

della redditività di ciascun prodotto sta all‟imprenditore stabilire, per ciascuno di essi, una

strategia di mantenimento oppure di abbandono.

Un altro dei compiti della leadership è l‟individuazione degli stakeholder. L‟imprenditore,

una volta creata la rete dei soggetti che possono contribuire, in modo più o meno rilevante,

alla crescita del valore dell‟impresa, dovrà anche preoccuparsi del suo monitoraggio

Monitorando costantemente il sistema degli stakeholder, l‟imprenditore sarà in grado di

comprendere quali ostacoli o problemi i singoli soggetti stanno incontrando, o dovranno

incontrare, e potrà pertanto introdurre una modalità pro-attiva di gestione.

In particolare, la leadership dovrà cercare di individuare:

I principali problemi operativi dell‟area presidiata da ciascun soggetto della rete;

Le cause di questi problemi;

Le principali urgenze da affrontare;

Gli interventi organizzativi necessari per superare gli ostacoli incombenti ed evitare

quelli in fieri.

La comunicazione all‟interno dell‟azienda è uno degli strumenti fondamentali per il

successo dell‟impresa.

La fluidità della comunicazione interaziendale trova, spesso, ostacoli nelle differenti

esperienze del personale, nei diversi gradi di cultura, preparazione, addestramento e

mentalità, nelle diverse abitudini, nella sottostima dell'importanza della funzione, nella

volontà di non diffondere le informazioni, nella gelosia. Per ottimizzare il processo della

comunicazione, la leadership dovrà impegnare molte energie al fine di sensibilizzare le

persone a leggere e ad ascoltare, di creare un clima per la libera circolazione delle

informazioni e delle idee, di creare gli strumenti per la circolazione delle informazioni, di

far sì che la politica aziendale sia recepita da tutti in modo chiaro. Quando si è parlato

d'impresa eccellente è stato più volte sottolineato il valore della responsabilizzazione dei

dipendenti in modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati

a giocare quello della partnership (Moglia, 1998); per arrivare a questa conquista

l'impresa deve comportarsi in modo trasparente e la comunicazione deve essere chiara e

tempestiva.

Ogni dipendente deve essere messo nelle condizioni di valutare come sta andando lui

stesso, il suo reparto, l'impresa; se non ha una chiara visione di che cosa ci si attende da lui,

di come può contribuire al raggiungimento dei traguardi aziendali e se quanto fa non gli

viene riconosciuto e non gli porta vantaggi concreti non potrà mai diventare un partner

dell'impresa.

Nel progettare il proprio processo di comunicazione l'impresa non può ignorare gli aspetti

psicologici ed emotivi delle relazioni che caratterizzano l'organizzazione aziendale nel

suo insieme. L'impresa è costituita da relazioni e da persone e pertanto è pervasa di

ambiguità, vulnerabilità, conflittualità, ma gli studi più avanzati hanno evidenziato che è

possibile far scaturire energia positiva da valenze negative. È necessaria una leadership in

grado di favorire approcci comunicativi "caldi" orientati a sollecitare dialogo, ascolto e

fiducia. Solo attraverso il coinvolgimento del "cuore" (Whyte,1997), oltre che della mente

delle persone, è possibile ottenere la condivisione del dettato strategico dell'impresa e

quindi "produrre" l'energia necessaria all'impresa per superare ogni tipo di difficoltà.

Se la leadership è stata capace di costruire un‟adeguata rete relazionale, l‟azienda disporrà

di quella che Derek Abell (Fiocca, 1994) chiama la «finestra strategica», e cioè il sensore

in grado di prevedere i cambiamenti che possono avvenire nell‟ambiente circostante, e sarà

preparata alla difesa del proprio vantaggio competitivo.

Un altro compito fondamentale che spetta alla leadership è la pianificazione, ossia

l‟individuazione di tutti i possibili obiettivi aziendali e la scelta delle priorità.

La pianificazione aziendale deve partire da una bozza di piano poliennale, per il quale

potrebbero essere utili i seguenti criteri:

Definizione di obiettivi, azioni, mezzi e strumenti di monitoraggio attraverso

l‟interlocuzione con i collaboratori;

Raggruppamento di obiettivi e di azioni per affinità;

Strutturazione gerarchica degli obiettivi; quelli di livello superiore devono

includere quelli di livello inferiore;

Posizionamento degli obiettivi e delle azioni sulla scala temporale, attraverso

relazioni di causalità;

Feedback su previsioni, informazioni e dati raccolti;

Individuazione degli strumenti necessari per la realizzazione del piano.

Nell‟elaborazione del piano si dovrà evitare che questo sia il prolungamento storico del

passato: è cioè auspicabile che non si basi sui trend. Il piano dovrà avere un impatto tale

sull‟impresa, da determinare un miglioramento sensibile rispetto ai risultati tendenziali

prevedibili.

Occorre, inoltre, sottolineare che l‟immagine aziendale è come l‟impresa, vuole essere

vista e percepita da terzi. Ciò comporta, da parte della leadership, di essere in grado di dare

risposte precise alle seguenti due domande: come ci vede oggi il mondo esterno, cosa

dobbiamo fare perché il mondo esterno ci veda come vorremmo ci vedesse.

Le componenti che influenzano l‟immagine aziendale sono sostanzialmente tre:

Il comportamento dei collaboratori. Le attività di ogni dipendente, siano esse di

vendita, di ricerca, di produzione, di segreteria, oppure di assistenza, influiscono

tutte sull‟immagine dell‟impresa, in relazione alla capacità di ognuno di

interfacciarsi con l‟esterno. L‟empatia dei venditori, l‟efficienza della centralinista,

la gentilezza con cui si viene ricevuti, la cura nel confezionamento, le modalità

nello svolgimento del recupero crediti, sono tanti piccoli tasselli che concorrono

alla formazione dell‟immagine di un‟impresa.

Il design. Esso è rappresentato dal logo dell‟impresa, dai cataloghi, dalle brochure,

dal sito web, dallo stile di progettazione del prodotto, dalla sede dell‟azienda e

dall‟ambiente di lavoro.

La comunicazione. La comunicazione aziendale è lo strumento con il quale si

trasmette all‟esterno l‟immagine dell‟impresa ed è essa stessa l‟immagine

dell‟impresa. Non per nulla, il guru della comunicazione aziendale, Marshall

McLuhan, sostiene che il mezzo è il messaggio.

L‟immagine aziendale deve essere chiara ai clienti, ma anche a tutto il sistema degli

stakeholder. Essa deve, in primo luogo, mettere in evidenza che le competenze distintive

dell‟impresa sono fondamentali per la soddisfazione del segmento di clientela obiettivo e

che essa si basa su prove che hanno suscitato testimonianze da parte dei clienti.

Un‟accorta gestione dell‟immagine viene confermata dalla fierezza dell‟appartenenza che

mostrerà il personale e dal compiacimento dei clienti di essere serviti da quell‟impresa.

È opportuno curare l’armonia fra la sfera interiore e il mondo esterno. Questa

responsabilità, che compete al leader, potrebbe sembrare un elemento esterno ai problemi

della gestione aziendali e al rapporto con i collaboratori, ma in realtà non lo è. Se il leader

riesce a trovare condizioni di vita che si adattino alla sua personalità e alle sue aspirazioni,

riuscirà a vivere in armonia con se stesso, e quindi anche con il mondo esterno, e sarà in

grado di gestire la propria impresa in modo ottimale.

Contestualmente la leadership dovrà preoccuparsi che i propri collaboratori godano

anch‟essi di una buona armonia fra il mondo interiore e quello esterno. Questo obiettivo è

conseguibile facendo sì che i collaboratori trovino una convergenza fra i propri valori

personali e quelli dell‟impresa.

La leadership dovrà quindi costruire una cultura d'impresa progettata su valori; se si vuole

ottenere quella convergenza il percorso è lungo e difficile, ma al termine di quel percorso

l'impresa avrà acquistato "un'anima" e conseguito un comune sentire tra tutti i membri

dell'organizzazione. Nella formulazione della vision e della mission aziendale l'impresa

eccellente dovrà quindi lavorare sulla base di valori condivisibili non solo da tutti i

collaboratori, ma anche da tutti gli stakeholder; il processo dovrà quindi essere condotto

seguendo il circolo virtuoso top-down/botton-up/top-down.

Le più recenti indagini sugli "imprenditori di successo" mettono in luce che il compito

fondamentale del leader è quello di innescare sentimenti positivi nei propri collaboratori

(Goleman, 2002). Ciò accade quando sanno creare una riserva di positività che consente di

liberare quanto c‟è di meglio in ogni individuo; nella sua essenza, quindi, il compito

fondamentale della leadership è di tipo emozionale.

Sebbene questa dimensione della leadership sia spesso invisibile o ignorata, il successo

dell‟imprenditore, della sua impresa e la soddisfazione dei collaboratori dipende proprio da

essa. Pertanto, l‟intelligenza emotiva, ossia la capacità di essere intelligenti nella sfera

delle emozioni, ha un‟enorme importanza; compito fondamentale del leader è quello di

esercitare la propria intelligenza emotiva.

Da alcuni anni i più noti psicologi del lavoro hanno dimostrato che l‟intelligenza emotiva,

nel contesto lavorativo, è essenziale ai fini del successo in qualsiasi organizzazione.

L‟importanza dell‟intelligenza emotiva viene peraltro ricondotta al principio ancestrale

dell‟organizzazione degli esseri primitivi aggregati in bande, accomunati da vincoli di

protezione reciproca, la cui sopravvivenza dipendeva dalla comprensione e dalla stretta

collaborazione.

Per molto tempo imprenditori e manager hanno considerato le emozioni alla stregua di un

rumore di fondo che disturbava il normale esercizio dell‟impresa, ma l‟epoca in cui le

emozioni erano ignorate, perché considerate irrilevanti ai fini aziendali, è ormai

tramontata. Oggi, in qualunque settore operino, le aziende hanno bisogno di raccogliere i

vantaggi offerti da leader in grado di generare nell‟impresa quella "risonanza emozionale"

che consenta a ciascuno di realizzare le proprie aspirazioni e di rendere concrete le proprie

potenzialità. È importante notare che, se può essere semplice realizzare una soddisfazione

emozionale individuale e privata, il compito è più complesso quando un leader voglia

creare una risonanza emozionale nel gruppo dei propri collaboratori.

Giova innanzitutto constatare che la presa di coscienza delle proprie singole realtà

emozionali rappresenta, per l‟intera organizzazione dell‟impresa, l‟inizio di un‟utile analisi

delle abitudini comuni su cui quelle realtà emozionali si fondano e dalle quali sono

alimentate. È proprio questo, infatti, il punto di partenza del leader che voglia diffondere

l‟intelligenza emotiva nella sua organizzazione.

Un gruppo di persone può infatti intraprendere il cambiamento solo quando avrà compreso

appieno la realtà dei propri meccanismi interni e, soprattutto, quando i singoli membri

dell‟impresa saranno consapevoli delle situazioni dissonanti o di disagio in cui stanno

eventualmente operando.

La comprensione di tali realtà, a livello emozionale, è di fondamentale importanza;

tuttavia, la consapevolezza dell‟esistenza di dissonanze e disagi non è sufficiente per

realizzare un cambiamento. È infatti necessario che i membri del gruppo risalgano alla

causa del malcontento, una realtà emozionale che di solito non ha origine in un dissidio

con il leader ma, molto spesso, nelle regole di base e nelle abitudini consolidate e

assimilate dal gruppo. Partendo dalla comprensione della realtà emozionale, delle regole e

delle abitudini che esistono nell‟organizzazione, sarà possibile elaborare una "visione

ideale collettiva" che, per coinvolgere effettivamente tutti, dovrà essere in sintonia con

quella personale di ciascuno.

Una volta che sia stata compresa la realtà aziendale e individuata una visione ideale

collettiva, si potrà poi valutare qual è il divario esistente fra le due e pianificare una

strategia per portarle a combaciare. Sintonizzando realtà e ideale si crea il contesto per

trasformare un gruppo dissonante in un gruppo dotato di intelligenza emotiva più efficace.

Quando il leader identifica le realtà emozionali e le abitudini di un‟azienda può avviare un

diffuso processo di trasformazione orientato all‟intelligenza emotiva (Goleman, 2002).

Ricapitolando, il primo passo verso l‟azienda "orientata all‟intelligenza emotiva" è la

messa a nudo delle verità e delle realtà aziendali. Purtroppo, spesso i leader non riescono a

far emergere la realtà e rischiano così di essere sopraffatti dalla sindrome della reticenza, di

essere tagliati fuori e di risultare in disarmonia. Ciò accade perché hanno scarsi contatti

con il personale, vivono in un‟atmosfera rarefatta e sono esclusi dalla realtà emozionale

della vita quotidiana, oppure perché utilizzano metodi autoritari e gerarchici, costringendo

i dipendenti a chiudersi in un rancoroso silenzio, silenzio che può costare molto caro

all‟impresa. Quando i leader operano con stili prepotenti, autoritari e dissonanti, la cultura

aziendale che si produce è, inevitabilmente, tossica. Che effetto fa lavorare in

un‟organizzazione priva di intelligenza emotiva? Spesso, alla bassa efficienza complessiva

si sommano malattie psicosomatiche che abbattono ulteriormente i lavoratori. Le abitudini

deleterie dell‟azienda danno luogo a una cultura in cui nessuno si chiede più il come e il

perché di quello che sta facendo. Tutti tirano a campare, giorno dopo giorno, spinti da

atteggiamenti, norme e politiche nocivi.

L‟aspetto più negativo della dissonanza all‟interno di un‟azienda è infatti il suo effetto sui

singoli individui: quando la loro passione si affievolisce, questi possono perdere la

consapevolezza delle proprie qualità. Invece di riscontrare eccellenza e fiducia, quando ci

si imbatte in un‟azienda "tossica" si trovano spavalderia, ottuso conformismo, aperto

risentimento e celate frustrazioni. I dipendenti sono sul posto di lavoro, ma si sente

chiaramente nell‟aria che il loro cuore e la loro anima sono rimasti fuori dall‟azienda.

Spesso il leader di un‟azienda tossica è schiavo della cosiddetta sindrome della rana

bollita: "Se si immerge una rana in una pentola di acqua bollente la rana salta fuori

istantaneamente, se invece la si mette in una pentola d‟acqua fredda la rana, lentamente,

finisce bollita". Il destino di alcuni leader non è molto diverso da quello della rana: si

adeguano alla routine quotidiana, lasciano che piccole abitudini si consolidino e, così

facendo, decadono lentamente nell‟inerzia.

Queste considerazioni non devono far pensare che un‟organizzazione "tossica" non possa

cambiare; il problema è che il percorso verso l‟impresa orientata all‟intelligenza emotiva è

più arduo.

Il leader, se è realmente tale e se possiede intelligenza emotiva, prima o poi si accorge che

deve costruire un ponte verso i propri dipendenti.

Per avviare il processo di disintossicazione il leader deve iniziare con il "guardarsi dentro"

per prendere atto del "sé" reale. È come guardarsi in uno specchio opaco: è difficile capire

come si è realmente. Il leader deve evitare sia l‟autoinganno, una potente trappola

psicologica capace di sviare i tentativi di autovalutazione e di dare un‟immagine distorta

del sé, sia le menzogne vitali6. Un aiuto nel processo di autovalutazione può venire da

colloqui aperti e informali con le persone che ci sono più vicine, sia sul piano del lavoro,

che sul piano privato, non crogiolandosi nei rassicuranti feedback positivi, ma facendo

molta attenzione a quelli negativi.

Il passo seguente è l‟identificazione del sé ideale, ossia del tragitto che si vuole veramente

percorrere. Una volta individuato il sé ideale si accende il fuoco della speranza, l‟antidoto

contro l‟inerzia indotta dalla routine e dalle abitudini consolidate.

Successivamente il leader dovrà cercare di cogliere ciò che sente, pensa e percepisce della

sua organizzazione, dovrà usare l‟intelligenza emotiva per osservare e per interpretare gli

impercettibili indizi di ciò che sta realmente accadendo, dovrà diventare un potente

sensore, sia per rilevare ciò che l‟azienda è, e ciò che potrebbe essere, sia per intercettare la

potenziale visione ideale.

Dopo avere fotografato la realtà, dovrà passare alla fase della condivisione della visione

ideale di ciascun collaboratore, quella visione che ognuno ha in sé, sia come individuo, sia

come membro di un‟organizzazione.

Accade, però, che talvolta, per creare risonanza emotiva il leader debba prima sconfiggere

l‟inerzia e le viscosità intrinseche dell‟azienda. Egli dovrà pertanto creare i presupposti, sia

per innescare conversazioni, apparentemente avulse dai problemi aziendali, sia per fare

domande allo scopo di capire i sentimenti delle persone. Da queste conversazioni iniziali, a

poco a poco, scaturiscono tematiche più significative e meno generiche, tematiche che

tendono a innescare discussioni mirate sulla realtà dell‟organizzazione. Ma, quel che più

conta è che quando le persone parlano delle problematiche dell‟azienda, della sua realtà

emozionale e di come ci si sente a lavorarci dentro, tendono, in qualche misura a fare

propri i problemi e i sogni dell‟imprenditore, e si avvia il processo di transizione dal reale

all‟ideale. Si tende a creare un linguaggio condiviso che genera, a sua volta, un senso di

aggregazione e di risonanza, dal quale nasce lo stimolo necessario per passare dalle parole

all‟azione.

1.7 - Il processo di acquisizione della leadership

La continuità del sistema organizzativo è collegata alla competenza ed alla “sicurezza” con

le quali viene guidata l‟azione. Tali capacità devono essere assicurate e mantenute o

incrementate nel corso del tempo. Si richiedono così provvedimenti che individuino

soggetti particolarmente motivati ad assumere il ruolo di leader.

Ciò significa promuovere un vero e proprio processo di acquisizione della leadership. I

requisiti base non sono necessariamente identificati nelle doti innate del leader. Possono

essere ritenuti sufficienti una notevole carica motivazionale alla guida, il forte

convincimento circa la bontà della missione aziendale, la volontà di apprendere e di

sperimentare le proprie capacità.

L‟iniziativa di dar vita al processo proviene principalmente dagli stessi soggetti interessati.

Le azioni che caratterizzano il percorso in oggetto sono:

1. L‟aspirante leader deve sviluppare la propria conoscenza, appropriandosi degli

strumenti concettuali che lo mettano in grado di valutare criticamente le esperienze

da egli maturate.

2. E‟ poi opportuno che sviluppi le comunicazioni fra sé e gli altri membri del

gruppo, cercando di occupare qualche nodo centrale o sviluppando nuove “maglie”

della stessa rete.

3. Un passo ulteriore riguarda la disponibilità del soggetto nel proporsi alla soluzione

di problemi anche parziali, cioè l‟aspirante leader può autocoinvolgersi sfruttando

le conoscenze acquisite per proporre interventi. Egli così è in grado di sviluppare

le proprie capacità decisionali acquisendo nel gruppo un prestigio legato

all‟esperienza di iniziative di successo proposte e realizzate.

4. Sarà poi importante appropriarsi degli strumenti e delle metodologie idonee a

costruire un numero di soluzioni superiore a quello proposto da altri. La

numerosità delle alternative non è legata alla numerosità delle informazioni

raccolte, quanto all‟abilità di saperle opportunamente impiegare. Ai fini di un

coerente percorso decisionale appare controproducente accumulare troppe

informazioni.

5. Il leader deve coinvolgere attivamente tutti i membri del gruppo durante la

formulazione delle decisioni. Far emergere la propria decisione da un‟aperta

discussione nella quale si sollecita il contributo di tutti facilita il buon esito di

qualsiasi proposta.

6. A questo punto l‟individuo ha maturato una capacità decisionale scissa da una

concreta traduzione operativa delle soluzioni proposte. Solo lo sviluppo di doti di

attenzione e di tempestività nell‟individuazione dei rischi, consente di maturare la

necessaria capacità realizzativi. Tali doti risultano legate all‟esperienza. L‟azione

deve essere svolta senza impazienza ma anche senza indugio. Il successo e la

reputazione del leader sono legati indissolubilmente ai risultati e questi dipendono

anche dal tempo in cui si svolge l‟attività pianificata.

7. Infine, un carattere sostanziale del comportamento dell‟individuo che intende

assumere funzioni di guida del gruppo è la assoluta correttezza ed onestà

intellettuale ispiratrici delle proprie azioni. In ogni circostanza è opportuno che il

leader potenziale mostri un elevato rispetto di se stesso, non avventurandosi in

operazioni per le quali non avverta una sufficiente competenza propria o dei propri

collaboratori. Nel contempo, appare di analoga importanza mantenere il rispetto

per gli altri, siano essi individui interni o esterni al sistema. Ciò significa ispirarsi a

principi di chiarezza e trasparenza, cercando di non alimentare il clima di

ambiguità spesso presente in misura eccessiva nelle organizzazioni. Tacere su fatti

e situazioni di rilevante importanza per il gruppo o addirittura riferirli in modo

alterato, non può essere mai considerato indice di riservatezza o di assunzione di

una responsabilità esclusiva, che non si intende condividere con altri. Al contrario,

emergono in tal caso l‟insicurezza e la tendenza al raggiro, assai lontane dal

carattere di un capo che per essere accettato deve principalmente ispirare fiducia.

Egli deve affermare e riconoscersi con i principi di comportamento etico e di

conformità ai codici morali in uso nell‟ambiente sociale. Questi ultimi sono da

considerare sempre più irrinunciabili nell‟attuale contesto economico, nonché

fattori in grado di assicurare la sopravvivenza dei sistemi organizzati nel medio –

lungo andare.

Il percorso descritto si sviluppa, in genere, in modo assai graduale e contrassegna le tappe

della carriera dell‟individuo interno al sistema di cui fa parte. E‟ possibile riassumerlo

attraverso un processo di acquisizione della leadership:

a) L‟aspirante leader possiede una spiccata carica motivazionale alla guida ed

una volontà di apprendimento;

b) L‟interessato acquisisce gli strumenti concettuali che gli consentono di

sviluppare la propria conoscenza;

c) Sviluppa le comunicazioni fra se e gli altri membri del gruppo;

d) Si propone alla soluzione di problemi, acquisendo un prestigio legato alle

iniziative di successo;

e) Costruisce un numero di soluzioni superiore a quello proposto da altri,

all‟interno del gruppo;

f) Attiva i membri del gruppo stimolando la loro partecipazione alla

formulazione delle decisioni;

g) Matura la necessaria capacità realizzativi;

h) Palesa nella propria azione un‟assoluta correttezza ed onestà intellettuale;

i) L‟individuo è accettato come leader.

La ricerca di un coinvolgimento e di una collaborazione sempre più ampi all‟interno del

gruppo appaiono coerenti con l‟attuale contesto concorrenziale, nel quale i sistemi

d‟impresa devono costruire basi operative solide sfruttando adeguatamente pure il tessuto

di relazioni instaurabili all‟esterno dell‟organizzazione.

E‟ importante agevolare allora un gioco di squadra, nel quale tutti nel gruppo prodighino al

meglio il proprio impegno per far acquisire posizioni di vantaggio al sistema di cui fanno

parte.

Ciò si traduce in una progressiva degerarchizzazione con cui si confrontano molte

organizzazioni del nostro tempo, le quali tuttavia non mostrano di trascurare il problema

della leadership. Essa è tuttora considerata un fattore insostituibile di ogni schema

organizzativo, una qualità da conservare o da incentivare al fine di promuovere il miglior

sfruttamento possibile delle risorse umane presenti nel sistema.

L‟attenuarsi della formalizzazione della guida ha sviluppato la necessità di disporre di

competenze orientate a favorire la massima integrazione possibile fra i pari grado inseriti

all‟interno di aggregati, gruppi, nuclei operativi.

Il moderno leader è un organo non sempre unipersonale, che pur conservando un generico

ruolo di indirizzo, si qualifica essenzialmente per la conduzione di due tipi di processi,

destinati ad incidere sulla qualità delle risorse umane, sulla loro umanizzazione e sugli

stessi risultati conseguibili. Si tratta in pratica di:

1. Condurre un‟azione di comprensione – contenimento, tramite la quale il leader non

deve tendere ad uniformare i pareri ed i punti di vista sviluppati nel gruppo bensì

cogliere ed esaltare le differenze esistenti; se un tempo la protezione dei singoli

avveniva attraverso norme ed ordini precisi da seguire in modo

deresponsabilizzato, oggi la destrutturazione lascia ciascuno alle proprie

responsabilità ed al proprio senso discrezionale, ecco allora l‟importanza di un

opera di contenimento, da intendersi come una modalità attraverso cui sono tenuti

insieme parti o frammenti, ovvero come un‟attività volta a plasmare in modo

definito un sistema che si presenta informe e non ben precisato.

2. Ricorrere ad un‟opera di simbolizzazione, tramite la quale si cerca di superare le

inquietudini di chi agisce all‟interno delle moderne strutture organizzative,

confrontandosi di continuo con il timore della propria inadeguatezza o

incompetenza professionale. Tale sentimento può spronare l‟individuo verso

l‟incremento delle proprie competenze, attraverso la cosiddetta formazione

continua, ma può condurre anche a stati depressivi e ad una progressiva

demotivazione.

Il leader moderno deve far si che i membri del proprio gruppo individuino significati

simbolici nelle più salienti azioni da loro sviluppate, assegnando ad esse un valore coerente

con la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema da un lato e con una sostanziale

accettazione da parte dell‟ambiente dall‟altro.

1.8 - Ripensare alla leadership

In un periodo di forti incertezze e diffuse criticità come quello che stiamo attraversando, è

tempo di ripensare alla leadership come fonte e strumento di guida nello sviluppo delle

risorse umane in azienda. Guarderemo pertanto alla leadership come al risultato

dell'attività di un "effective leader", ossia colui che è capace di innovare sia in termini di

prodotto che di cultura organizzativa; un leader che persegue il miglioramento della sua

organizzazione e che non ha paura di intraprendere nuove strade; un leader che rende

eccitante e stimolante la giornata lavorativa creando significato e scopo per e con i suoi

collaboratori.

Le realtà organizzative contemporanee si trovano a operare in ambienti che la

globalizzazione ha reso particolarmente complessi: la velocità e il tasso di cambiamento

non hanno eguali nel passato sia recente che lontano; la conoscenza diffusa a tutti i livelli

della struttura mal si accompagna con modelli organizzativi di tradizione top-down; il

collasso dei sistemi di welfare; l'affermarsi del multiculturalismo, che se da un lato

arricchisce le organizzazioni, dall'altro richiede loro una maggiore sensibilità e competenza

per far funzionare più efficacemente la macchina. Insomma, una vera rivoluzione che pone

molti quesiti sulla natura e le caratteristiche della leadership per il futuro. Risulta dunque

evidente che, aumentata la complessità del contesto nel quale si trovano ad operare, oggi i

leader, più che nel passato, si trovano ad affrontare l'incognita del futuro e la complessità

del presente con maggiori difficoltà. Così, l'immagine gerarchizzata di un leader al vertice

della piramide, sufficientemente capace, creativo e competente per condurre

un'organizzazione sembra essere anacronistica rispetto alle mutate condizioni ambientali:

appare oggi più consona quella di un facilitatore della conoscenza e di un negoziatore delle

idee e della volontà proveniente da tutti i livelli della sua organizzazione.

E' evidente che un tale stile di leadership richiede l'apprendimento di competenze e

l‟acquisizione di una sensibilità diverse da quelle tradizionali. Gli studiosi di leadership

affermano che, nella knowledge economy, i tradizionali modelli di tipo command and

control sono inadatti a sfruttare le potenzialità offerte da quello che oggi viene considerato

il vero capitale di impresa: la conoscenza. Cosa significa dunque essere un buon leader in

questa nuova realtà?

Innanzitutto è necessario definire cosa s'intenda per leadership. Oggi la leadership è più

che mai la continua ricerca della migliore integrazione tra comportamenti, contesto e

bisogni, che condurranno al processo decisionale in un percorso mutante e in continuo

adattamento alle realtà emergenti. In sintesi, la leadership ottimale non è quella definita in

un elenco di attributi che un leader deve avere; piuttosto, é semmai la sua capacità di

"leggere" gli eventi insieme alla sua organizzazione e di adattare velocemente l'attività

organizzativa al nuovo presente.

Nel passato la leadership era sostanzialmente identificabile in ciò che i leader facevano e

questo rendeva difficile distinguere tra leader "nominali", ossia coloro che guidano senza

averne in effetti le capacità, e leader "strategici" di qualità , ossia quei soggetti capaci di

identificare una missione e renderla operativa con la finalità di produrre crescita e valore

per gli stakeholders.

E' difficile identificare storicamente il passaggio attraverso il quale i leader hanno iniziato

ad essere scelti per le loro capacità e non per la loro appartenenza di classe; da quando, a

partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si sono sviluppati compiuti studi sulla

leadership, l'attenzione si è spostata da modelli adatti alla produzione fordista (e molto

simili a quelli dei generali degli eserciti - command and control) a studiare e individuare,

verso la fine degli anni '70, soprattutto con gli studi di Hersey e Blanchard14

, modelli di

14

Op. Cit.

situational leadership: questi ultimi sono in sostanza adattamenti dello stile di leadership

alla situazione di business nella quale i leader operano (bisogni del mercato, tipologia di

personale, etc.).

Moltissime ancora oggi sono le organizzazioni che utilizzano questo approccio, che

evidenzia il limite di accentrare nel leader tutto il processo decisionale e di interpretazione

delle condizioni ambientali nel quale il suo business opera. Alcune delle più comuni

posizioni circa la buona leadership evidenziano che lo stile migliore è quello che integra

qualità ottimali con la capacità di adattare il comportamento alle situazioni emergenti,

mettendo in evidenza che ciò che è valido in un ambiente può non esserlo in un altro.

Cosa accade quando non si hanno sufficienti informazioni, quando i cambiamenti sono

così veloci da rendere impossibile programmare a lungo termine, e quando si ha una

prospettiva specifica valida, ma non si hanno tutte le informazioni per implementarla?

Quando le conoscenze tecniche non sono più sufficienti a capire od interpretare il futuro?

Da qui nascono gli stili di leadership che si fondano sull'empowerment, ossia sulla delega

dei processi decisionali: questo strumento ha ancora parzialmente un elemento di carattere

centralistico, poiché un soggetto al vertice decide se e quando delegare potere e in che

misura; inoltre non sempre empowerment a parole significa poi empowerment in pratica;

anzi, moltissime organizzazioni si sono trovate a dover gestire comportamenti

"disfunctional" dei loro leader, proprio perché era stato dapprima proclamato a parole un

nuovo modello (quello dell'empowerment) che non era poi stato attuato nella pratica

(empowerment predicato, command e control praticato).

La moda dell'empowerment è andata negli anni scemando, e allora molti studiosi hanno

spostato il fuoco delle loro indagini sulla caratteristiche della buona leadership nelle

imprese. Tali studi, perlopiù di tipo qualitativo, hanno adottato varie metodologie: dalle

impressioni casuali, alle interviste sistematiche e all'osservazione. Seppure le varie analisi

abbiano suggerito (evidentemente), punti di vista diversi, appare in tutti presente un'idea

comune: una leadership effettiva identifica una vision, stabilisce gli standard della

performance da raggiungere e indica un focus e una direzione per l'impresa.

Alcuni studiosi, tra cui Clifford, Cavanagh, Peters ed Austin, evidenziano nelle loro

ricerche che gli effective leader hanno anche la caratteristica di saper comunicare

efficacemente una vision, spesso attraverso l'uso di simboli. Scoppia così agli inizi degli

anni '90 negli Stati Uniti (e solo recentemente in Europa) l'utilizzo delle metafore nello

sviluppo organizzativo. Viene quindi promosso l‟uso di metafore che riguardano le arti

figurative e il teatro fino ad arrivare, in alcuni casi, a riflettere sulla validità della metafora

musicale, in particolare del lavoro svolto dal direttore e dalla sua orchestra.

Il leader, come il direttore d'orchestra diviene così un facilitatore che aiuta i concertisti a

raggiungere un elevato livello interpretativo e stilistico attraverso il dialogo, in modo da

trasformare una performance ordinaria in una esecuzione straordinaria, con l'obiettivo di

far emergere l'unicità del prodotto e l'inconfondibilità del suono. L'unicità del suono

prevede, tuttavia, la presenza di uno spartito sul quale esercitarsi e di una musica da poter

interpretare; ossia una forte capacità interpretativa in un futuro già disegnato (lo spartito).

Questo modello, estremamente valido e utile rispetto al contesto nel quale è nato, sembra

essere meno congruente con la realtà odierna. Oggi infatti i cambiamenti sono così rapidi

che talora appare più importante saper comporre velocemente la musica, che non saperla

interpretare correttamente. I tempi di reazione sono ridotti rispetto al passato,

un'organizzazione solo reattiva agli input della leadership rischia di avere tempi di risposta

al mercato troppo lunghi e di farsi velocemente scalzare dalla concorrenza.

Cosa accade quindi, se il nostro leader non ha l'abilità o non può per mancanza di

informazioni comporre la musica (non ha la vision) che il resto degli orchestrali deve

eseguire? Come é possibile far esplodere tutto il talento latente dei musicisti, se non si ha

lo spartito sul quale lavorare, le note sulle quali provare le diverse possibili interpretazioni?

Quali opportunità creative si aprono oggi per la leadership?

I leader devono trovare la chiave per poter serenamente ed efficacemente operare in

presenza di un elevato livello di incertezza e di forte ambiguità. Siamo quindi in presenza

di un modello emergente di leadership, che non opera sulla base di istruzioni o

informazioni particolari, ma trae piuttosto la sua forza dalla capacità di agire con efficacia

sulla base di informazioni minime. Una leadership che capisce come condurre oggi

significa avere un approccio "let it go" con il controllo, ossia condurre efficacemente

significa aiutare a divenire autonomi, secondo un modello di leadership che ha più le

peculiarità del coaching che non dell'istruzione cognitiva.

In un recente incontro con Dominic Alldis - professore di improvvisazione jazzistica alla

Royal Academy of Music di Londra – è stata esplorata la possibilità di utilizzare la

metafora jazzistica come strumento di sviluppo organizzativo in un'epoca nella quale i

nostri leader non hanno più la capacità di individuare sempre con sicurezza la via da

percorrere. L'elevato livello di incertezza, la forte ambiguità dei mercati ed il crescente

livello di conoscenza - diffuso a tutti i livelli dell'organizzazione - sono tali da

condizionare fortemente la validità del processo decisionale al vertice e la sua

implementazione a cascata fino alla base della piramide.

Cosa possiamo apprendere dall'osservazione di un'orchestra jazzistica, senza pretendere

che questa divenga la ricetta finalizzata a curare tutti i mali organizzativi, ma costituisca

piuttosto uno spunto di riflessione che può innescare la miccia del cambiamento nelle

modalità attraverso le quali pensiamo ed esercitiamo alla leadership?

Come evidenzia Dominic Alldis, le orchestre jazz sono organizzazioni protese verso

l'innovazione e la creazione di novità e sono disegnate, dunque, per massimizzare

l'apprendimento. I jazzisti sono professionisti che operano serenamente in un ambiente

caotico e turbolento, capaci di processi decisionali rapidi, efficaci ed irreversibili; sono

musicisti fortemente interdipendenti nell'interpretazione di informazioni equivoche.

Così come per i musicisti jazz, capaci di suonare con una struttura minima, anche per

molte organizzazioni nasce l'esigenza di operare efficacemente con pochissime

informazioni, lavorando pertanto sull'emergente. Nokia e Gore (la società produttrice di

giacche e abbigliamento impermeabile), sono esempi tipici di organizzazioni che

massimizzano il contributo offerto dal loro capitale intellettuale.

I loro leader hanno la straordinaria sensibilità di esercitare una leadership facilitativa, una

leadership ove le decisioni sono co-create con i rispettivi team, con i collaboratori, secondo

un modello che trae la sua forza dalla profonda capacità di ascolto e valorizzazione dei

singoli contributi. In particolare, Gore ha creato un sistema di coaching interno che da oltre

venti anni ha contribuito a garantire un'incontrastata posizione dominante della società nel

mercato dei materiali per l'abbigliamento impermeabile e di alta montagna.

Il modo di operare di queste due organizzazioni ha molte similarità con quello delle

orchestre jazz. I jazzisti infatti assorbono costantemente le idee degli altri musicisti

aprendo così nuove vie alla continua possibilità di trasformazione, in modo da far emergere

dall'inaspettato nuove direzioni imprevedibili. Le idee di ciascun membro dell'orchestra

sono contestualizzate e rapidamente valutate per la loro capacità di creare ostacoli o, al

contrario, opportunità dirette all'insorgere di nuove sonorità. L'orchestra è cosi capace di

lavorare sia sull'armonia che sulla distorsione armonica, o su quella che ad un orecchio

inesperto può apparire tale.

La fusione di suoni diversi concorre alla formazione di una nuova armonia che risulta dalla

perfetta integrazione e dal contributo di tutte le voci; è in questo particolare momento che

avviene il processo creativo, che risulta dal contributo collettivo. Quali sono le opportunità

per le organizzazioni? Cosa possiamo apprendere da un orchestra jazz? Cosa significa co-

creare, come avviene per l'interpretazione jazzistica?

Se le metafore facilitano la comprensione della realtà, d'altro canto bisogna anche

evidenziare che queste non sono da sole sufficienti a fornire una visione complessiva ed

esaustiva dei fenomeni. Infatti, come evidenzia Mary Jo Hatch : "le metafore possono

talora rivelare le similitudini tra due cose, ma non le loro differenze”. E' bene quindi

riconoscere il limite delle metafore perché un uso improprio delle stesse potrebbe creare

un'idea fuorviante e semplicistica della realtà. Pur tuttavia, le metafore contribuiscono alla

conoscenza delle organizzazioni e, almeno in parte, ci possono aiutare a leggere più

chiaramente le realtà organizzative.

E' evidente come si apra così per le organizzazioni intelligenti e capaci di raccogliere la

sfida, la possibilità di creare maggiore stabilità in condizioni ambientali di elevata

complessità e turbolenza.

L'evoluzione nello stile di leadership verso modelli di natura facilitativa e di co-creazione,

presuppone forti investimenti in termini di cambiamento ma soprattutto di evoluzione

culturale, di sfida agli assunti mentali attraverso i quali pensiamo alla leadership e, più in

generale alla figura del leader.

Nelle organizzazioni dove si reputa necessario operare anche senza mappe predefinite, e

quindi ridurre la complessità e l'incognita del futuro attraverso stili di leadership

maggiormente inclusivi, che valorizzano gli importanti contributi delle diverse voci

"d'orchestra", si dovrà valutare come passare da modelli di leadership ove il credo era

"lavoriamo insieme alla realizzazione delle mie idee", a una tipologia comportamentale in

cui il processo decisionale è il risultato della inclusione di tutte le voci, comprese quelle

apparentemente dissonanti, in un'ottica che si può quindi riassumere nel "creiamo insieme

la nostra vision e il nostro futuro" .

E' evidente che per molti leader non sarà facile ammettere di non avere una risposta ai

problemi e ai dilemmi che il futuro gli metterà di fronte. Un leader che apprende insieme

alla sua organizzazione deve capire che l'apprendimento dai suoi errori deve essere

pubblicizzato tanto quanto l'apprendimento proveniente dai suoi successi. Un tale

comportamento, potrà presumibilmente stimolare un processo di continua rigenerazione

della conoscenza, così da porre una vera e propria sfida allo status quo e agli assunti che

sottostanno a molte delle scelte strategiche.

E' questa la via attraverso la quale la leadership può divenire sempre più l'elemento

centrale di stimolo di un'organizzazione che apprende e massimizza il potere della

conoscenza, spingendo l'organizzazione a camminare con fiducia verso l'ignoto, creando

armonia e integrando valori culturali e comportamenti atti a promuovere la ricerca del

nuovo e ad aver rispetto per il passato che ha garantito il successo; ciò conduce a formulare

domande (non sempre trovando risposte), attendendo che il nuovo modello di leadership

penetri in profondità, affinché le persone, ora più consce delle proprie capacità e in

maggiore sintonia con la cultura aziendale, rispondano efficacemente garantendo un futuro

di successo.

1.9 - Leadership e potere

Interrogandoci sulla leadership e sulle sue direttrici di analisi, andiamo spesso

inesorabilmente a toccare i problema del potere, con tutte le implicazioni e complicazioni

del caso, visto anche che si tratta di un termine/concetto usato ed abusato da tante

discipline ed in tanti ambiti. Così come può valere anche il reciproco, sia pur in forme non

improntate da una reciprocanza meccanica: interrogandoci infatti sul tema del potere,

andiamo spesso ad incagliarci sugli scogli del discorso concernente la leadership: l‟uno e

l‟altro si snodano in un rapporto di tipo circolare, così che la dinamica della leadership

appare come la matrice e alternativamente la conseguenza della dinamica del potere.

Va subito sottolineato (nell‟approcciarsi al tema del potere e delle sue connessioni con la

laedership) che stiamo adottando un‟ottica di tipo non formale, un approccio non giuridico,

una prospettiva non burocratica. A questo punto si rende necessario chiarire meglio le

cose, anche per evitare equivoci all‟uso che faremo di termini mutuati da altre branche del

sapere (da autocrazia a democrazia). A tal fine è preliminare richiamare ed approfondire i

significati attribuibili al termine istituzione, che possono essere fondamentalmente di due

tipi. Vi sono infatti istituzioni di tipo formale, esplicito, manifesto, codificato anche

all‟esterno in legge e regolamenti più o meno articolati ma in ogni caso dichiarati e definiti

non sottintesi. L‟essere membri formali di un gruppo sociale, cioè anche soci di un

qualsivoglia “societas”, comporta la messa in gioco della dinamica soggettiva del

sentimento di appartenenza. Si tratta dell‟animarsi della membership, cioè delle molte e

flessibili peripezie attraverso cui si declinano le propensioni e le resistenze a partecipare

alla forma associativa che è di volta in volta in questione. Per esempio, il fatto di essere e

sentirsi italiani partecipa e/o pertiene, contemporaneamente, sia a livello formale che a

livello informale dell‟agire della italianità in quanto istituzione. Quanto fin qui detto si

collega bene con l‟osservazione che l‟approccio di tipo costituzionalistico-giuridico trova il

suo limite al proprio stesso interno, nell‟identificazione tra istituzione da un lato e società

dall‟altro. Tale identificazione se presa alla lettera e in modo radicale, non porta che a una

storia del palazzo, banalizzata o sofisticata che sia caratteristicamente dimentica delle

scienze dell‟uomo sia in generale sia con particolare riferimento alla psicologia e

all‟antropologia sociale. Da un altro lato significativamente ci si trova in linea di

corrispondenza o di correlazione logica con le puntualizzazioni di tipo gramsciano circa la

diversità fra società politica e società civile, fra paese legale e paese reale. Ne consegue

che le varie situazioni sono in buona misura riconducibili alle modalità di gestione del

potere, e quindi in un continuo rapporto causale-reciproco, alle fonti di legittimazione del

potere stesso, o meglio alle modalità con cui il potere si è generato e formato. Per quanto

riguarda il nostro tema dunque, si potrebbe certo dire che non vi è impresa senza il potere,

ma bisogna subito aggiungere che ciò vale sia a livello formale che informale. Esaminiamo

alcuni interessanti contributi che possono essere recati alla nostra indagine.

1.10 - Le fonti di legittimazione

Un aspetto tra i più complessi del nostro tema si riferisce alla possibilità di dare una

risposta ad un interrogativo suggestivo, di caratterizzazione contemporaneamente

strutturale e funzionale: a livello di forma, ma soprattutto di sostanza, quali sono le

sorgenti prime del potere che si interconnettono con le varie possibili situazioni di

leadership? Quali sono i fondamenti istituzionali, nel senso detto in precedenza, che

legittimano il ruolo dei detentori del potere? Quali sono le radici profonde che spiegano,

producono, ratificano, ed omologano l‟emersione di determinate figure in autorità? Quali

sono categorialmente le possibili risposte all‟ipotetica ed ideale domanda: da chi e/o da

dove e/o da cosa deriva istituzionalmente il potere che si esercita?

Si annoti che si sono usati tre termini basilari (potere, autorità, leadership) in modo un po‟

sovrapposto, con evidenti rischi di confusione e sinonimia. La cosa è in effetti un po‟

intenzionale, al fine di stare per ora vicini ad un certo pensiero corrente. Il successivo

prosieguo del discorso farà emergere sempre più gradualmente le differenze che corrono

tra i significati dei tre termini.

Una prima analisi delle fonti di legittimazione del potere si rende ben possibile se

pratichiamo una strada ispirata al sapere globale delle scienze umane. Per tale strada il

termine/concetto di potere può andare almeno in parte ad imbastardirsi con il

concetto/termine di leadership, almeno nella misura in cui trattiamo comunque

dell‟interdipendenza e dell‟influenzamento reciproco tra gli esseri umani.

Quell‟interdipendenza e quell‟influenzamento che si accendono all‟interno dei gruppi, dei

macrogruppi, delle comunità: all‟interno cioè di tutti quei circuiti grandi o piccoli che

delineano un bisogno di timoniere, che fanno nascere una funzione di guida affidata a

determinati ruoli/persone, atti ad esprimere o imprimere un cammino collettivo, affrontato

sia consensualmente che in maggiore o minore misura conflittualmente.

Fin qui le premesse. Entrando più direttamente nell‟argomento, andiamo ad utilizzare una

serie di contributi che la letteratura scientifica pone a nostra disposizione e che provengono

da orizzonti multidisciplinari: quegli orizzonti che sono costituiti dalla storia, dalla

politologia, dall‟antropologia culturale, dalle scienze economiche, dalla sociologia e

(perché no) dalla biologia. I quadri di riferimento fondamentale in cui possiamo inscrivere

e inquadrare le varie dinamiche delle fonti psico-sociali di legittimazione del potere e della

leadership sono quattro:

1. L‟Autocrazia: fondata sul Principio di Sovranità; a legittimazione è riconducibile

alla grazie di Dio;

2. Il Padronato: fondato sui vissuti attivi e passivi del Principio di Proprietà;

3. La Tecnocrazia: fondata sul Principio di Competenza, sul sapere, sulle capacità

acquisite e sulle professionalità;

4. La Democrazia: fondata sul Principio di Consenso. La legittimazione è

riconducibile alla volontà della nazione.

Soffermiamoci un attimo su ciascuno di essi, premettendo subito che non si tratta di

paradigmi statici, stagni e da usare meccanicamente.

Per quanto riguarda l‟Autocrazia siamo di fronte al potere di guida conferito

psicologicamente dal Principio di Sovranità: “per grazia di Dio”. Può sembrare si tratti solo

di una situazione di antica memoria, superata dai tempi, obsoleta. In realtà, se ci guardiamo

bene in giro si tratta di una condizione socio-psicologica ben riscontrabile tuttora, magari

sotto mentite spoglie. Per certi aspetti, anzi, il ventesimo secolo si è rivelato ricco di

personaggi buoni interpreti di situazioni riconducibili al gioco di qualche Autocrazia:

Hitler, Mussolini, Stalin, Mao, Pinochet, Bokassa, etc, con tutti i loro epigoni grandi o

piccoli, ma anche una miriade di altre figure minori.

Può anche sembrare si tratti di una situazione riscontrabile solo in alto, ai vertici, alla

sommità, al livello dei massimi culmini di un qualche sistema piramidale sociale. In realtà

anche sotto questo rispetto, se esaminiamo bene le cose, esiste sempre una levata e spesso

saturante congruenza con il basso di quello stesso sistema. Anche in questo caso c‟è una

sorta di armonia del tutto: se non altro quella esprimibile con una osservazione già

avanzata secondo cui, ciascun sottoposto o subordinato ha l‟autocrate che si merita. Va

aggiunto che, coerentemente, la “grazia di Dio” scende per così dire a cascata lungo la

piramide sociale: il sovrano autocrate ai suoi seguaci diretti, costoro sono i despoti dei loro

sottoposti, questi ultimi hanno a loro volta dei supini subordinati, e così via dicendo, in una

catena di tributarietà che può risultare complessa, ma risponde in definitiva ad una sola

logica: quella di un rapporto discendente ad una sola via tra sovrapposto e subordinato.

Alla domanda “da quale fonte deriva, direttamente o indirettamente, il potere del leader”,

la risposta sarà sempre sostanzialmente una: dall‟alto. A scanso di equivoci va esorcizzato

il pericolo di un inquadramento manicheo della situazione autocratica: il despotato non è

necessariamente ed inintelligentemente tirannico e sergentesco. Può essere benissimo

illuminato e molto spesso lo è. La Storia con la “s” maiuscola è piena di signorie

illuminate, di tiranni gloriosi, di autocrati sagaci, perfino di usurpatori avveduti e capaci di

grandi risultati a vantaggio di sé e degli altri. La storia con la “s” minuscola vede pure

ognora e ovunque, dittatori carismatici e trascinatori, guide risolutrici. E‟ arduo e suona

scorretto dar loro nomi paradigmaticamente esemplificativi, in quanto si tratta di tutti quei

condottieri, conduttori, timonieri e dirigenti che è possibile ritrovare nelle organizzazioni,

nelle comunità, nei grandi e nei piccoli gruppi, nella famiglie, nelle squadre politiche o

sportive. Se, dove, e quando la cultura di quelle organizzazioni-comunità-famiglie-squadre

glie lo consente.

Tuttavia è necessario non cadere mai in facili incensamenti, fino a raggiungere eventuali

canonizzazioni di despoti tiranni.

Per quanto riguarda il Padronato siamo di fronte al potere di guida psicologicamente

conferito e legittimato dal Principio di Proprietà. A prima vista, può sembrare trattarsi di

una situazione analoga (o anche addirittura sovrapponibile) a quella Autocratica

precedentemente delineata. In realtà, le cose stanno diversamente. Innanzitutto, il termine

concetto di proprietà non viene qui utilizzato nel suo senso oggettivo, socio-economico-

giuridico; almeno prevalentemente, ci si riferisce all‟accezione soggettiva ed

intersoggettiva presente nelle credenze e negli atteggiamenti di coloro che sono attenti alla

proprietà. Ciò sia sul versante attivo (i detentori di proprietà) sia su quello passivo (i

proletari); quanto detto significa porre l‟accento sui vissuti che caratterizzano il “padrone”,

da un lato, e i suoi subalterni o “servi” dall‟altro. Una relazione sottile e

contemporaneamente ben robusta lega queste due polarità che si incardinano

reciprocamente nel bene e nel male, nelle coalizioni e nei conflitti: l‟una spiega l‟altra,

l‟una alimenta l‟altra, l‟una è il cardine dell‟altra. Risulta chiaro che la legittimazione del

potere non proviene dall‟alto come nel caso dell‟Autocrazia, anzi, spesso, proviene dal sé.

Comunque, alla fatidica possibile domanda “da quale fonte” istituzionale deriva,

direttamente o indirettamente il potere del leader, la risposta sarà sempre sostanzialmente

la seguente: dal possesso, dalla proprietà dei beni mobili o immobili, da quello del

territorio, dei mezzi di produzione, dei manufatti, del podere degli oggetti e degli esseri

umani. Anche per un altro e correlato motivo la situazione è ben diversa da quella

autocratica precedentemente considerata: in quest‟ultima, almeno per lo più, il vissuto di

proprietà è assente. Mutatis mutandis, le cose ora dette valgono anche per il quadro globale

di certe culture; si può osservare che gran parte delle civilizzazioni emergenti o previste dal

modello storico di Toynbee15

non implicano il parametro della proprietà. Non casualmente,

è praticamente impossibile far comprendere ad un indiano d‟America, o ad un abitante

delle isole dei mari del sud, il concetto stesso di proprietà in quanto non ne ha il vissuto.

Inoltre, il quadro del Padronato si sviluppa e si regge su alcune precise e imprescindibili

15

TOYNBEE A., (1934), “A study of Histhory: the genesis of civilizations”, Oxford University Press,

London.

condizioni psico-sociali, che sono contemporaneamente causa ed effetto del quadro

medesimo in un rapporto di tipo circolare:

La proprietà deve essere in grado almeno potenzialmente di fornire un profitto a chi

ne è detentore; non è forse così tanto importante la misura di tale profitto quanto la

sua presenza;

La proprietà dev‟essere, almeno concettualmente, unica e di dimensioni finite,

meglio se più o meno relativamente limitate; quanto più si allarga spazialmente e/o

temporalmente, essa implica il passaggio ad una delle altre forme basali di

legittimazione del potere che vengono ivi delineate (Autocrazia, Tecnocrazia,

Democrazia). Ciò va chiaramente al di là o anche contro larga parte del pensiero

corrente. Si badi in proposito che si è detto ad una delle altre forme di

legittimazione: non vi sono leggi di scelta meccaniche tra una forma e l‟altra,

sebbene principi dinamici dell‟agire processuale;

La proprietà deve essere vendibile, deve poter essere percepita e vissuta come

spostabile da un oggetto all‟altro, implica cioè qualche forma possibile di

compravendita; all‟interno di ciò non è molto importante che tale compravendita

venga poi esercitata in questo o quel modo, con maggiore o minor frequenza,

all‟insegna dell‟uno e/o dell‟altro sistema di valori (economici, ideologici, estetici,

etc).

In altre parole la proprietà implica la mobilità e la flessibilità almeno teorica degli

investimenti, attraverso un qualche gioco di domanda e di offerta. Se un padre è padrone,

deve poter vendere i figli che escono così dal suo controllo per andare sotto proprietà di

altri. Gli obblighi o vincoli psico-sociali istituiti con le tre condizioni di cui sopra

implicano, per converso, dei corrispondenti limiti o divieti:

In primis, non si può mantenere il potere se non c‟è un ritorno in qualche modo

redditizio da parte della proprietà stessa;

In secundis, non si può mantenere il potere stesso se si varcano certe soglie di

dimensioni quali-quantitative della Proprietà che lo statuisce;

Tertio loco, il potere in oggetto non può reggere se la compravendita diviene

impossibile.

Per quanto riguarda la Teocrazia siamo qui di fronte al potere di governo legittimato dal

Principio di Competenza. Può sembrare trattarsi di una base scontata, unica, ovvia, di

legittimazione del comando; ciò nella misura in cui si ritenga valido lo stereotipo secondo

il quale chi possiede determinate capacità (non potenziali) emerge meritocraticamente nei

gruppi in cui opera e con ciò stesso si pone alla loro guida. Le cose come tutti ben

sappiamo sono molto più complesse, anche se non si può negare il primato e la funzione

delle abilità e delle competenze in determinati contesti situazionali. Anche per il quadro

tecnocratico emergono alcuni fattori caratterizzanti, che sono circolarmente causa ed

effetto, sostegno ed esito del quadro medesimo:

La Tecnocrazia non persegue necessariamente il profitto. Anzi, nell‟articolazione

figura-sfondo con la potestà, il profitto sfuma in buona misura in seconda

posizione: ciò che infatti importa primariamente al tecnocrate ed alla tecnostruttura

non è la proprietà, ma il costante incremento della propria onnipotenza, esercitata

appunto in nome della tecnica. Al limite, anche a costo di far distruggere la

struttura di cui si è alla guida (come si può facilmente e frequentemente riscontrare

nella casistica offerta da taluni manager dei grandi imperi economici pubblici o

privati che siano);

Per la Tecnocrazia e per il tecnocrate, le sfere di dominio controllate sulla base

delle proprie competenze hanno da avere dimensioni sempre più ampie, devono

cioè essere in espansione costante, quantomeno in prospettiva; si realizza così una

tendenza alla crescita che acquisisce spesso dei connotati richiamanti

metaforicamente una espressione cancerogena. Tale logica del “chi si ferma è

perduto” non è fuori dalla realtà; contiene e rivela comunque agevolmente dei

significati psico-patologici, spesso rintracciabili sia nei comportamenti delle

tecnostrutture che nell‟agire dei loro leader responsabili;

La Tecnocrazia è allo stesso tempo conservatrice ed innovativa. Tende infatti a

realizzare un equilibrio ottimale, anche se forzatamente instabile, tra la

conservazione dell‟utilità basilare del sapere e delle competenze di cui è portatrice,

da un lato, e necessario aggiornamento delle proprie competenze stesse dall‟altro.

Naviga così (per lo più con successo) tra la stabilità conservatrice del sapere

esistente accumulato con tanta fatica, e il continuo fabbisogno esterno di

cambiamento.

In merito alla Democrazia siamo di fronte al potere di guida psicologicamente conferito e

legittimato dal consenso dei sottoposti: “Per volontà della Nazione”. Il consenso formale

(il voto, il plauso, l‟approvazione esplicita, la ratifica contrattuale) non ci interessa qui ed

ora; non è questione di patto giuridico né di patto sociale. In questo senso appare

apprezzabile ma certo non sufficiente la tesi di Popper, secondo cui la Democrazia consiste

nel mettere sotto controllo il potere politico. Quantomeno si tratta di intendersi sul termine

ed il concetto di controllo; psicologicamente parlando, la questione è un‟altra: quella della

dinamica del consenso al livello delle istituzioni informali implicite nascoste

intersoggettive. Ci si muove in altri termini al livello del patto comunicazionale e del patto

psicologico, laddove le forza in campo sono incessantemente in azione, con alterne

vicende. A questo livello le cose sono sempre molto più intricate di quanto non appaia, e la

dinamica del consenso è inestricabilmente inscindibile da quella del dissenso. I due termini

ineriscono agli estremi di una dimensione basilare, che ne regge molte altre, subordinate, in

costante movimento. Si tratta della dimensione dei conflitti e delle coalizioni tra forze

diverse e spesso opposte, che animano il mondo intra ed intersoggettivo di ogni essere

umano, cioè il suo universo interiore e i suoi rapporti interpersonali e sociali. In tale

costrutto consenso e dissenso nei confronti del potere possono articolarsi in mille varianti,

all‟interno di ciascun individuo così come all‟interno di ciascun gruppo psico-sociale:

allora, la volontà della Nazione è solo la risultante della dinamica accennata. In definitiva,

la fonte di legittimazione si può rintracciare nella gestione del dissenso più che del

consenso, nella negoziazione, nell‟accettazione della critica, nell‟interpretazione corretta e

propulsiva, non necessariamente conformistica, della domanda profonda che sale dalla

base. Non a caso, nelle situazioni che sono invece, al di là delle apparenze formali,

autenticamente autocratiche, il dissenso diviene rapidamente dissidenza, separazione e

ostilità, fino ad essere eventualmente degradato come inimicizia ed insulto, eresia, follia.

Puntualmente, anche per il quadro democratico emergono alcuni fenomeni che sono

circolarmente movente e conseguenza, origine e risultato, del quadro medesimo:

La Democrazia si fonda sulla fiducia di base, autentica e reciproca, fra leader e

seguaci: costoro sono gli aventi titolo ad esprimere la propria gradazione di

consenso-dissenso nei confronti della leadership. La reciproca vale assolutamente,

anche per il leader nei confronti dei membri della piccola, media o grande comunità

in cui egli gioca il suo ruolo. Si tratta di una dinamica vicendevole, di un gioco

alternante di atteggiamenti che è generatore di un libero e mutuo scambio di ruoli

tra gli attori del rapporto comunicativo;

La Democrazia implica un peculiare processo di emersione degli assistenti del

leader, cioè anche di scelta dei collaboratori e/o successori da parte del leader

stesso. Costui, per ottemperare al meglio ai fondamenti istituzionali che lo legano ai

suoi seguaci, tende ad attuare una condotta decisionale favorevole a chi è più

gradito dagli altri membri del gruppo, sulla base di criteri che possono essere anche

molto diversi da un caso all‟altro. In ogni caso il parametro fondamentale su cui

poggia la scelta non è più la fedeltà, la consanguineità, e neppure la competenza,

anche se ovviamente tali fattori continuano ad esercitare dinamicamente un loro

peso;

La Democrazia, quando autentica, si legittima sulla base del fenomeno della

trasparenza o visibilità del potere: anche questo fenomeno è una causa e

contemporaneamente una conseguenza del realizzarsi e del gestirsi della volontà

della Nazione;

Come chiosa al punto precedente, si può rilevare come l‟essenzialità democratica

viene tendenzialmente rivestita da ogni meccanismo di costruttiva mediazione e di

equilibrata e matura negoziazione, al fine di governare al meglio la gestione del

consenso/dissenso di cui si diceva.

Capitolo 2

LA LEGITTIMAZIONE DEL LEADER: MODELLI

2.1 Modello di Weber

Max Weber, nel famoso lavoro “Economia e Società16

” delinea il modello ideale-tipico

della burocrazia, intesa come organizzazione amministrativa. All‟interno di questa estesa

analisi, Weber sviluppa una teoria del potere, nella quale si distinguono due principali

concetti: il concetto di Macht (potenza) e di Herrschaft (potere legittimo). Con il termine

potenza Weber intende: "qualsiasi possibilità di far valere all’interno di una relazione

sociale, anche di fronte ad un'opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di

questa possibilità"; in sostanza, una relazione sociale dove il soggetto più forte riesce a far

valere la propria volontà in ogni caso.

Con il termine potere legittimo Weber intende invece: "la possibilità di trovare

obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto";

questa espressione di potere si riferisce alle relazioni in cui il soggetto debole accetta le

decisioni altrui perché le riconosce valide e quindi legittime.

Basandosi su questo secondo concetto, ogni potere quindi:

- Si comprende solo a patto di partire non solo dai particolari rapporti di comando e

di obbedienza che legano fra loro le persone, ma anche se si stabiliscono le

condizioni e le circostanze in cui si attiva il rapporto di potere;

- Richiede un apparato amministrativo di uomini di fidata obbedienza, che servano

da tramite fra superiori e sottoposti;

- Per poter essere esercitato in modo continuativo e regolare deve essere legittimato e

coloro che obbediscono, i sottoposti, devono credere nella sua legittimità. Per

questo il vero potere si distingue da atti puramente arbitrari, volti ad ottenere

l‟obbedienza con la forza pura.

16

WEBER M, (1922), Economia e Società, Wirtschaft und Gesellschaft, Tubinga

Weber realizza così la tipologia delle tre forme di legittimazione del potere. Tale

tipologia è costituita dal potere tradizionale, dal potere carismatico e dal potere razionale-

legale; le tre forme si distinguono innanzitutto in base al criterio su cui si fonda la loro

pretesa di legittimità, e ne deriva poi un diverso al tipo di obbedienza, quindi una diversa

efficacia; nello specifico17

:

1) POTERE TRADIZIONALE: quando la legittimazione poggia sulla credenza nel

carattere sacro, nella giustezza della tradizione, e nella legittimità di coloro che

sono chiamati ad esercitare il potere e rivestire un‟autorità nel nome di quella

tradizione. Caratteri: Il potere tradizionale fonda la sua legittimità su ordinamenti

antichi ed esistenti da sempre; chi ha il potere è rispettato in virtù della tradizione,

può non avere personali doti di comando (un esempio è il sovrano che regna in base

a un diritto di sangue). L'apparato amministrativo: a livello di organizzazione dello

Stato può essere sia patrimoniale che feudale; nella forma patrimoniale il sovrano

ha diritto di comando illimitato su qualsiasi subordinato, e i funzionari sono al suo

servizio diretto e dipendono da lui per ogni forma di remunerazione(doni,

concessioni e altri benefici). Nella forma feudale, l‟apparato amministrativo ha

maggiore autonomia rispetto al sovrano; infatti i funzionari non sono dipendenti

personali, ma alleati uniti da un giuramento di onore o fedeltà. Tipo di Obbedienza

al Leader: nel potere tradizionale, il capo è una “persona del signore” a cui si deve

obbedienza, designata dalla tradizione e vincolata alla tradizione. Limiti: In tale

potere si assegnano cariche in base all'appartenenza ad un gruppo privilegiato e, per

questo motivo, tale potere è sempre minacciato dall'insorgere di un capo

carismatico, oppure può essere soggetto alla messa in discussione per l‟assenza di

capacità del detentore del potere. Esempi: La storia è piena di esempi di questa

tipologia di legittimazione del potere; oggi aspetti tradizionali si possono ritrovare

nelle dinastie imprenditoriali, quindi in tutti quei casi in cui l‟eredità o

l‟appartenenza a gruppi privilegiati giustificano l‟esercizio del potere.

17

Queste tre forme di potere sono degli ideal-tipo, ovvero costrutti mentali che servono a fini analitici per

comparare i fenomeni (punti di riferimenti). Il tipo ideale quindi non è rintracciabile empiricamente nella

realtà.

2) POTERE CARISMATICO: da carisma18

(dal greco charisma, dono della grazia),

si basa su qualità eccezionali e a volte sovraumane che i seguaci attribuiscono a un

capo. Caratteri: nella sua forma pura secondo Weber questo potere è irrazionale,

infatti manca assolutamente di regole, ed è rivoluzionario perché rovescia il passato

e dà una interpretazione diversa dalla tradizione. Secondo Weber tale potere nasce

da una rottura radicale con le Istituzioni vigenti19

. L'apparato amministrativo: è

rudimentale, formato da discepoli a diretto contatto con il capo, persone che hanno

dato prova di fedeltà nel tempo. Tipo di Obbedienza al Leader: si obbedisce al

leader in quanto tale, volontariamente e con dedizione, in virtù della fiducia

personale nell‟eroismo e nelle capacità esemplari del capo carismatico. Limiti: tale

movimento si affievolisce con la scomparsa del capo (o se si ritira) e i suoi seguaci

trasformano il carisma in pratica quotidiana. Weber la definisce routinizzazione del

carisma, diventando alla fine un potere burocratico o tradizionale; il potere

carismatico è quindi transitorio (si estingue o diventa routine), instabile (il carisma

può perdere il suo “fascino”) ed effimero (il leader carismatico non è all‟altezza) e

tende a trasformarsi in uno degli altri due tipi; il carisma si può infatti trasformare

nell‟attributo di una carica ereditaria (ex il monarca) o di un ufficio (ex

presidente/primo ministro). Esempi: le forme più pure sono riconducibili alla sfera

religiosa (Gesù, Lutero etc) e nella sfera politica (grandi leader rivoluzionari, es.

Napoleone, Che Guevara etc); in epoca moderna il potere carismatico trova

espressione nella sfera economica (grandi capitani d‟industria), ma è ravvisabile in

tutte le situazioni in cui determinati ordini vengono eseguiti più per la capacità

personale del capo di imporsi che per il grado formale della carica che riveste.

3) POTERE RAZIONALE (o LEGALE): quando poggia sulla credenza nella

legalità di un sistema di ordinamenti impersonali statuiti (norme, regole, procedure)

18

È stato lo stesso Max Weber ad introdurre il vocabolo “carisma” in sociologia, per indicare un potere che

si fonda non già sulla legalità (la “burocrazia”) o sulla tradizione (quella che possiamo indicare come

patriarcalità) o sulle proprietà e patrimonialità, ma su straordinarie qualità personali: designando come

“capo carismatico” colui che le esercita.

19 Si può così affermare sia come la predicazione di un ordine nuovo, sia come ritorno alle origini di una

istituzione accusata di una forte degenerazione nel corso del tempo

e nel diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere in base a

quelle leggi e regole. Caratteri: Nel caso del potere legale, tutti sono sottoposti alle

leggi e regole che lo legittimano, sia il detentore del potere che i destinatari del

potere. Nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il detentore del potere. Egli trae

il suo potere dalla legge stessa ed è subordinato ai suoi vincoli: i suoi poteri di

comando sono competenze legali. Si presume che gli ordinamenti siano stati

stabiliti razionalmente, rispetto ad un determinato valore o scopo, e che

costituiscano nel loro insieme un corpus di regole astratte e universali e che non

siano quindi state emanate per regolare casi specifici con intendimenti arbitrari.

L'apparato amministrativo: l‟apparato amministrativo tipico del potere legale è la

burocrazia20

. Tipo di Obbedienza al Leader: in questo caso si obbedisce

all‟ordinamento impersonale statuito legalmente e agli individui preposti al potere

in base a tale ordinamento, in virtù della legalità formale delle sue prescrizioni e

nell‟ambito di queste. La legge,come già detto, è astratta, universale ed

impersonale. Nel caso del potere legale l‟obbedienza si deve non alla persona

(come nel potere carismatico), ma alla carica, all‟ufficio, all‟ordinamento

impersonale, e nei limiti previsti da questo ordinamento. Limiti: il detentore del

potere è tenuto ad orientare le proprie disposizioni nel rispetto dell‟ordinamenti, in

caso contrario si cade nel dispotismo o nell‟arbitrio. Esempi: la burocrazia è tipica

degli stati moderni, ma anche delle grandi imprese capitalistiche; i primi esempi di

burocrazia razionale nelle imprese capitalistiche sono riconducibili al modello

taylorista/fordista.

20

Weber dice infatti che la burocrazia è razionale perché operando in maniera spersonalizzata mette in luce i

criteri di scelta per raggiungere i fini; è quindi razionale secondo lo scopo (usa i mezzi migliori per

raggiungere il fine) e come scelta più opportuna (egli vede infatti nella burocrazia un'idealtipo di tipo

euristico)

Figura 2.1 – Le tre forme di legittimazione del potere, ns rielaborazione

Il potere legale rappresenta per Weber la migliore forma di legittimazione del leader;

Weber dedica infatti “Economia e Società” all‟analisi completa della burocrazia, intesa

come categoria storico-sociologica indispensabile per la comprensione di tendenze più

generali della società moderna e contemporanea. Infatti, al contrario del valore piuttosto

negativo associato al termine nel linguaggio corrente, per Weber la burocrazia è

espressione e risultato dei processi di razionalizzazione e di specializzazione funzionale

che si registrano nelle comunità21

.

21

TRANFAGLIA N. , (1979), Il mondo contemporaneo, La Nuova Italia, Firenze

Weber esamina i principi ed le modalità di funzionamento di una burocrazia moderna

intesa sia come amministrazione pubblica che come impresa privata:

1) Il principio della competenza di autorità definite, ben disciplinata da leggi e

regolamenti; si presuppone quindi che vi sia una stabile divisione dei doveri e

poteri di ufficio (divisione del lavoro in base a regolamenti) e che vi sia

l‟adempimento regolare e continuativo dei compiti suddivisi

2) Il principio della gerarchia degli uffici, ovvero un sistema rigido di subordinazione

ad organi di attività, con poteri di controllo.

3) Il segreto di ufficio, conservazione di tutti gli atti relativi al funzionamento

dell‟apparato, che è rigidamente separato dalla vita privata dei funzionari.

4) Una preparazione specializzata dei funzionari, l‟unica ragione per cui i

funzionari sono in una posizione di privilegio rispetto ai non addetti ai lavori.

5) Attività burocratica come attività a tempo pieno, non quindi un impegno

temporaneo o una professione secondaria

L‟enfasi che Weber pone nel suo lavoro sull‟efficienza della burocrazia è facilmente

comprensibile dal fatto che la sua descrizione va verso un modello tipico-ideale, e che la

burocrazia ha come termine di confronto amministrazioni tradizionali (patrimoniali,

feudali, patriarcali), che funzionavano prescindendo da criteri sistematici di efficienza,

oggettività, precisione etc. È vero però che Weber non ignora le possibili inefficienze della

burocrazia, ma sottolinea che le inefficienze nelle burocrazie moderne possono apparire ed

essere denunciate in quanto esistono norme e leggi che le sanzionano, mentre nelle

amministrazioni pre-burocratiche la mancanza di regole riguardanti efficienza e obiettività

non permetteva neanche la possibilità di denuncia.

Particolare attenzione è dedicata da Weber ai rapporti tra burocrazia e capitalismo; nelle

attività economiche, lo sviluppo dell‟impresa capitalistica moderna è fondato l‟adozione

del modello di amministrazione burocratica come strumento rapido, continuativo, preciso e

univoco per lo svolgimento delle attività. Sono infatti le più grandi imprese capitalistiche i

migliori esempi di rigida organizzazione burocratica, fondati sulla divisione del lavoro

secondo criteri oggettivi e sull‟affidamento degli incarichi secondo principi di competenza.

L‟efficienza, prerogativa delle imprese moderne, si rispecchia nella calcolabilità del

capitale, ovvero la possibilità di calcolare in modo razionale ed univoco costi e profitti di

ogni atto economico, e trova lo strumento peculiare di attuazione nell‟amministrazione

burocratica.

2.1.1 La leadership della burocrazia: razionale, carismatica o tradizionale?

Il Burocrate puro non chiede né di essere amato né di essere temuto per i suoi tratti

caratteriali, trae la sua autorevolezza dalla legge, non sono previsti né tradizione, né

carisma nella burocrazia pura vige solo la fedeltà di ufficio. Weber sa di definire un tipo

ideale puro e privo di spessore umano, non esiste un uomo così perfetto ma lui vuole

vedere in termini di analisi sociologica le conseguenze che derivano dal riconoscere che in

un‟organizzazione burocratica si può obbedire e per quali ragioni. Uno spunto su ciò arriva

da un sociologo israeliano, Etzioni (1961) che osserva che il carisma non nasce solo dal

rifiuto di un ordine preesistente ossia fuori e contro le istituzioni, ma può nascere dentro le

istituzioni sull'onda del successo che il capo ottiene nell'opera di rafforzarle e rinnovarle. Il

carisma può anche essere esercitato su persone esterne all'organizzazione. Biggart (1989)

parla di capitalismo carismatico a proposito dei venditori che riescono a fare un grande

fatturato imbambolando i clienti con la loro capacità di persuasione. Fin qui gli effetti

benefici del carisma, ma non è sempre così. Osserva Etzioni che personaggi come un

medico, un professore etc portano prestigio all'organizzazione senza che questa lo possieda

direttamente e, in tal caso, l'obbedienza al professionista carismatico si avvicina

all'obbedienza razionale della burocrazia pura, elemento di differenza tra le due è

l'attaccamento emotivo al professionista che non c'è nella burocrazia pura. Altro problema

si pone nelle carceri, l'apparato di custodia ha criteri burocratici ma tra i detenuti vi sono

spesso leader con carisma che conservano un attivo appoggio negli ambienti malavitosi

esterni. Infine in una burocrazia ci possono essere aspetti tradizionali, un agire tradizionale

si presenta quando dirigenti funzionari o impiegati fanno carriera non per merito ma per

appartenenza a determinati gruppi sociali, le raccomandazioni sono una pratica attiva

perseguita e verbalmente deprecata come segno di nepotismo e clientelismo. Altra

situazione d‟intreccio tra criteri tradizionali e razionali o meritocratici, si ha nelle carriere

accademiche dove un docente porta un proprio allievo in concorso.

2.2 Altri modelli e analisi: Etzioni, Likert e D’amico

2.2.1 Amitai Etzioni: le fonti di legittimazione

I due studiosi Amitai Etzioni e Rensis Likert portano avanti la riflessione sul tema della

leadership in due opere dal titolo, rispettivamente Complex Organizations e New patterns

of management pubblicate entrambe nel 1961.

Il principale contributo di Etzioni consiste nel fatto di avere proposto una vera e propria

classificazione della leadership; in particolar modo analizza le ragioni per cui alcune

persone riconoscono legittimità al potere che il leader esercita su di essi (ovvero le fonti di

legittimazione).

Il punto di arrivo del pensiero di Etzioni è in qualche modo obbligato dalla base sulla quale

egli fonda tutta la sua analisi, la variabile strategica per un‟analisi comparata delle

organizzazioni: la disposizione all‟obbedienza (compliance) nelle organizzazioni, vale a

dire la relazione che passa fra il tipo di controllo (può riguardare genericamente le

categorie del comando, del potere, dell‟autorità) che l‟organizzazione esercita nei confronti

dei propri membri e l‟orientamento che gli stessi membri adottano nei confronti di quel

controllo. Si possono immaginare, così tre tipi di orientamento da parte dei sottoposti e

cioè:

- alienativo, in quanto chi subisce il potere lo subisce contro la propria volontà

(esempio classico i detenuti)

- calcolativo, quando chi subisce il potere intrattiene un rapporto prevalentemente

economico nei confronti di chi esercita il potere (esempio classico sono i dipendenti

di un‟impresa o i clienti)

- impegnato, infine allorché chi subisce il potere condivide i valori e i fini

dell‟organizzazione (esempio classico sono i membri di una squadra sportiva).

Proseguendo su questa direttrice d‟analisi, Etzioni arriva a proporre una classificazione

delle organizzazioni in tre tipi che sono:

- organizzazioni coercitive, dove la disposizione all‟obbedienza da parte dei membri

dell‟organizzazione è di tipo alienativo (esempi sono le carceri, i campi di

concentramento, gli ospedali psichiatrici)

- organizzazioni utilitaristiche, dove la disposizione all‟obbedienza è di tipo

calcolativo (esempi sono le imprese e più in generale le organizzazioni di lavoro)

- organizzazioni normative, dove la disposizione all‟obbedienza è di tipo impegnato

(esempi sono le organizzazioni religiose, culturali, associazioni di volontariato,

ecc.).

A questo punto del suo ragionamento, e dopo aver aggiunto un ulteriore tassello alla sua

analisi, rappresentato dalla relazione che nei tre tipi di organizzazione passa tra la variabile

che egli definisce “campo di controllo” (vale a dire il complesso di attività che i membri

svolgono insieme all‟interno delle organizzazioni) e quella che definisce “aree di

invadenza o di pervasione” (vale a dire il complesso delle attività per le quali

l‟organizzazione stabilisce norme di comportamento per i suoi membri), Etzioni è pronto

ad affrontare la questione delle fonti di legittimazione della leadership nelle organizzazioni

e a costruire su questa base la propria classificazione dei tipi di leadership.

Secondo questo autore infatti la leadership può avere due diverse fonti di legittimazione:

le qualità personali del leader o il ruolo ufficiale ricoperto dalla gerarchia. Le due fonti

sono tra loro indipendenti, nel senso che, alle qualità personali può non corrispondere una

carica ufficiale e viceversa22

.

A questa affermazione corrisponde la tipologia della leadership di Etzioni, frutto del modo

in cui possono essere combinate le due fonti di legittimazione. Ed ecco tre categorie di

leadership (le categorie sono tre non quattro, dal momento che la quarta casella rimane

sostanzialmente vuota, perché manca qualsiasi legittimazione):

- formale

- informale

- burocratica

22

BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli p.337

Figura 2.2 – I quattro stili di leadership secondo Amitai Etzioni

Fonte: A. Etzioni, 1961

Il primo tipo è costituito dalla leadership che possiamo ritenere “completa”, dove cioè il

ruolo gerarchico si accompagna alle qualità personali (ad esempio un capo eletto per i suoi

meriti). Il secondo tipo definisce, invece, la leadership informale di chi ha il potere per le

sue doti personali, ma al di fuori della gerarchia (ad esempio il leader di un movimento

spontaneo di protesta). Il terzo tipo definisce la situazione opposta, dove la leadership è

dovuta unicamente al ruolo burocratico ricoperto (ad esempio un poliziotto che ordina un

arresto). Il quarto tipo coincide con l‟assoluta assenza di leadership.

Collegata alla leadership è la questione del carisma, inteso come l‟abilità di una persona

ad esercitare una diffusa ed intensa influenza sugli orientamenti normativi di altri attori. La

definizione << si collega alla distinzione tra la leadership strumentale riguardante il

dominio delle tecniche e delle procedure, e la leadership espressiva che riguarda il dominio

delle convinzioni morali e dei valori. Una leadership soltanto tecnica, afferma Etzioni, non

può mai essere carismatica; questa qualità è riservata unicamente alla leadership

espressiva, nella misura in cui il leader esercita un‟influenza diffusa ed intensa sui

convincimenti generali di coloro che riconoscono la sua autorità>>23

.

Il concetto di potere è strettamente collegato con il concetto di leadership, dato che il

potere è uno dei mezzi mediante il quale un leader influenza il comportamento dei

collaboratori. Esso è il potenziale di influenza di un leader, è la risorsa che gli permette di

influenzare gli altri e di ottenere consenso.

Il potere è un requisito senza il quale il leader non può guidare gli altri e, che leadership e

potere sono due facce della stessa medaglia all‟interno dei metodi di governo di

un‟organizzazione. Ma da dove deriva il potere dei leader? Etzioni24

distingue il potere in

due categorie:

- potere di posizione

- potere personale.

In funzione di questa suddivisione, una parte del potere dei leader viene loro proprio dal

fatto di ricoprire una posizione organizzativa che permette di utilizzare certe risorse

specifiche come: il riconoscimento di avere un‟autorità formalmente legittimata, il

controllo esercitato su risorse, ricompense e sanzioni. Il potere di posizione tende, quindi, a

fluire verso il basso di un organizzazione. L‟altra categoria, ossia il potere personale, è

costituita dalle qualità personali, quali: la competenza tecnico-professionale la capacità di

suscitare sentimenti positivi, di vicinanza emozionale, di lealtà o di identificazione, e il

carisma personale, inteso come capacità di influenzare, con una forte componente emotiva.

Il potere personale è la misura in cui i collaboratori si sentono ben disposti e sono

impegnati nei confronti del leader, è la misura di quanto le persone sono disposte 1a

seguire un leader. In un contesto organizzativo, quindi, il potere personale viene dal basso,

cioè dai collaboratori. La situazione migliore per i leader, secondo Etzioni, è quella in cui

dispongono di entrambi i poteri, poiché le basi del potere di posizione e quelle del potere

personale costituiscono assieme un sistema di interazione-influenza. Ogni base di potere

incide tendenzialmente su ognuna delle altre basi di potere. Si è scoperto, infatti, che la

misura in cui gli individui sono disposti a concedere potere personale dipende dal loro

modo di percepire la capacità del leader di offrire ricompense, punizioni o sanzioni, ossia il

potere di posizione. Si conferisce, allo stesso tempo, potere di posizione ad un leader nel

23

BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli p.339 24

ETZIONI A., (1961), A comparative Analysis of complex organizations, The Free Press, New York.

momento in cui si percepisce che quel leader è apprezzato e rispettato e dispone di

maggiori informazioni ed esperienze rispetto ai collaboratori (potere personale).

Diverso è il significato di autorità che fa riferimento alla legittimità dell‟esercizio del

potere, quindi, è attribuito agli individui secondo regole definite 3. L‟autorità, è un

particolare tipo di potere, che trae la propria origine dalla posizione ricoperta da un leader;

è quel potere che si legittima in virtù del ruolo formale dell‟individuo all‟interno di

un‟organizzazione.

Con il termine controllo, si intende la modalità con cui si verifica il conseguimento di

standard specificati. Il controllo non è altro che un‟esplicazione concreta di un potere

acquisito.

La leadership è connessa a questi concetti, poiché questi non sono altro che sfaccettature

della stessa, ma è importante non far coincidere, o meglio non riconoscere la leadership

mediante l‟identificazione univoca in una delle dimensione, tant‟è che, ad esempio, si può

essere leader senza autorità e si può avere autorità senza essere leader.

2.2.2 Rensis Likert: Stili di leadership e linking pins

Il contributo teorico di Likert più importante rigurda la sua tipologia degli stili di

leadership.

Lo studioso ne individua tre tipi e li dispone lungo un continuum, e cioè:

- lo stile autoritario sfruttatorio. manager lo adotta quando decide da solo sul da farsi

e impone le sue scelte ai subordinati ricorrendo alla coercizione. Esso si fonda

quindi sul timore, sulla coercizione, sulle minacce. Gli atteggiamenti sono di solito

ostili e contrari agli obiettivi dell‟organizzazione. Vige un sistema decisionale

verticistico;

- lo stile autoritario benevolo. Esso si fonda su ricompense e punizioni reali o

potenziali, e su atteggiamenti di competitività per l‟acquisizione dello status. Esiste

un sistema decisionale che assegna alla direzione le decisioni di portata generale e

delega ai livelli più bassi quelle più specifiche;

- lo stile consultivo. Esso si fonda su ricompense, punizioni saltuarie e una certa

partecipazione. Anche nello stile consultivo il manager adotta le decisioni di

maggior rilievo, ma incoraggia comunque i suoi subordinati a proporre idee e

possibili soluzioni ai problemi.;

- lo stile partecipativo di gruppo. Esso è caratterizzato da un controllo gerarchico più

distaccato, su reazioni non punitive in caso di errori ma orientate ad una

comprensione amichevole dello sbaglio. Nel sistema decisionale hanno

fondamentale importanza le discussioni di gruppo dei lavoratori con i propri

superiori. È uno stile fortemente democratico, caratterizzato da un ampio ricorso

alla delega delle decisioni. Il manager conserva, in questo caso, un ruolo di

supervisione. Un approccio di questo tipo consente ai componenti del team di

prendere parte al processo decisionale, si sentono coinvolti nel progetto e questo

aiuta il leader a fare in modo che gli obiettivi di ciascun individuo coincidano con

quelli dell‟azienda. Generalmente quando è presente un approccio partecipativo il

rendimento e la performance sono migliori e questo perché il leader riesce ad

instaurare una migliore comunicazione con il proprio team, ha l‟occasione e di

conoscere meglio le singole persone che prendendo parte al processo decisionale

“posso dire la loro”, sentendosi così di poter contribuire al progetto aziendale.

Attraverso questo processo di conoscenza reciproca e di mediazione tra le diverse

esigenze, gli obiettivi dell‟individuo si avvicineranno sempre più a quelli aziendali.

Anche se Likert stesso dice che non esiste uno stile di leadership migliore in assoluto, in

quanto l‟efficacia e la validità dipendono essenzialmente dalle circostanze, ma per questo

autore, come per la scuola delle Relazioni Umane, un ruolo centrale nella vita delle

organizzazioni è svolto dal “gruppo”. A differenza degli psicologi di quella scuola, che

fanno riferimento alla dimensione informale, psico-emotiva delle relazioni di gruppo

all‟interno delle organizzazioni, il gruppo al quale si riferisce Likert è quello formale, è “il

gruppo di lavoro” incardinato nell‟organizzazione formale. Quindi per Likert possiamo

affermare che la forma di legittimazione più importante è quella del proveniente dal

gruppo.

I gruppi di lavoro costituiscono per Likert l‟ossatura dell‟organizzazione. Essi sono

collegati tra loro secondo una disposizione gerarchica, in modo da rispettare il principio

secondo il quale di ciascun gruppo fanno parte una “base”, che comprende i membri che

sono a capo di gruppi di lavoro posti a livello gerarchico inferiore, ed un “capo” che a sua

volta, insieme ai membri posti a capo degli altri gruppi collocati sullo stesso piano

orizzontale, forma la base del gruppo di lavoro posto a livello gerarchico superiore.

Figura 2.3 – I “perni connettori” secondo Rensis Likert

Fonte: R. Likert, 1961

Il collante di quest‟ossatura è rappresentata da quelli che Likert definisce i “perni

connettori” (linking pins), e che altro non sono che gli stessi membri dei gruppi di lavoro;

membri, questi, che proprio per il ruolo assolutamente fondamentale che il gruppo di

lavoro riveste per l‟organizzazione nello schema teorico di Likert, devono essere << dotati

di un alto grado di lealtà verso il gruppo stesso, di effettive capacità di interazione e con

obiettivi che richiedono un alto rendimento>>25

.

Secondo questo schema, l‟interazione si verifica tanto tra gli individui che tra i gruppi;

alcune indagini sperimentali dimostrano che se un dirigente(o comunque un superiore)

deve assolvere con successo il suo ruolo di guida del gruppo, deve mostrarsi capace sia

come capo che come subordinato(per cui sia come leader che come membro del gruppo).

L‟importanza che ha il gruppo di lavoro in tutto il ragionamento di Likert si coglie ad ogni

passo delle sue elaborazioni in tema di leadership; un‟elaborazione che si fonda su

25

BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, p.112

un‟analisi metodologicamente rigorosa di varie ricerche empiriche in materia di sociologia

industriale, a partire inanzitutto da quelle di A. Marrow, D. Bowers e S. Seashore,

nell‟ambito delle organizzazioni di successo (1967), e alla fine degli anni ‟30, di Kurt

Lewin su gruppi di studenti dell‟università dell‟Iowa.

Likert osserva così che la maggior parte delle persone è altamente motivata a comportarsi

conformemente agli obiettivi e ai valori del proprio gruppo di lavoro, al fine di riceverne

riconoscimento, appoggio, sicurezza e reazioni favorevoli. Ad esempio, alcune ricerche

indicano che quanto maggiori sono l‟attrazione e la lealtà nei confronti del gruppo, tanto

più l‟individuo è motivato a:

- accettare gli obiettivi e le decisioni del gruppo

- cercare di influenzare gli obiettivi e le decisioni del gruppu, in modo che siano

conformi alla propria esperienza e alle proprie mete

- comportarsi in modo da contribuire alla realizzazione degli obiettivi e delle

decisioni che il gruppo considera molto imporatante

- comportarsi esattamente in modo da ricevere appoggio e riconoscimento favorevole

dai membri del gruppo e specialmente da coloro che l‟individuo considera i più

potenti e di status più elevato.

Si può, pertanto, concludere che la direzione farà un pieno uso delle capacità potenziali

delle sue risorse umane, solo allorché ciascuna persona appartenente all‟organizzazione

sarà membro di uno o più gruppi di lavoro efficientemente funzionanti, che presentino un

alto grado di realtà di gruppo ed efficaci capacità di interazione ed elevati obiettivi di

rendimento.

Un principio altrettanto importante è per Likert quello delle cosidette “relazioni di

sostegno” che si svolgono nelle dinamiche dei gruppi di lavoro. Da alcuni studi si è giunti

alla conclusione che i subordinati reagiscono favorevolmente alle esperienze che essi

ritengono di sostegno e che contribuiscono al raggiungimento del risultato in base al loro

senso di importanza e di valore personale. Analogamente, i dipendenti reagiscono

sfavorevolmente alle esperienze coercitive e che diminuiscono o minimizzano il loro senso

di dignità e valore personale. << Ciascuno di noi desidera stima, riconoscimento,

influenza, un senso di realizzazione, e la sensazione che le persone che riteniamo

importanti ci dimostrino fiducia e ci rispettino. Desideriamo insomma avere il nostro posto

nel mondo. Di conseguenza, il membro individuale di una organizzazione interpreterà

sempre un‟interazione tra quest‟ultimo e se stesso sulla base del suo background, della sua

cultura delle sue esperienze e delle proprie aspettative >>26

.

Quindi la leadership e gli altri processi organizzativi devono essere tali da assicurare il

massimo delle probabilità che ciascun membro dell‟organizzazione alla luce del suo

background, dei suoi valori e delle sue aspettative, consideri l‟esperienza come un fatto di

sostegno e tale da creare e mantenere il suo senso di valore e di importanza personale.

Il lavoro di Likert ha lo scopo di presentare una nuova teoria dell‟organizzazione basata sui

principi e i metodi di direzione dei manager volti a rendere l‟organizzazione produttiva più

congruente con il crescente bisogno di libertà, di progresso dell‟istruzione, di

miglioramento della salute mentale, nonché con la complessità delle nuove tecnologie.

Il suo modello organizzativo muove dall‟analisi delle motivazioni dei dipendenti cui i

manager “più produttivi”consentono soddisfazioni, nonché sul ruolo centrale che ha il

gruppo di lavoro: esso deve avere un alto grado di lealtà di gruppo, capacità di interazione

e alti obiettivi di efficienza. Una notevole quantità di risultati di ricerche, dimostra che

quanto maggiore è la lealtà dei membri di un gruppo verso il gruppo stesso, tanto più forte

sarà la motivazione che spinge i membri del gruppo a conseguire gli obiettivi e tanto più

grande la probabilità che questo li consegua.

Grazie ai risultati delle tante ricerche analizzate, Likert avanza le sue proposte relative ad

un nuovo metodo di direzione aziendale, fondato sulla presenza di una leadership che

richiede continui cambiamenti sostanziali, nell‟intera struttura organizzativa ed, in

particolare, nel sistema e nel modo di comunicare.

Per Likert << le comunicazioni non devono limitarsi, come raccomanda la scuola classica,

a discendere dall‟alto al basso in forma di comandi. Sono previste anche comunicazioni dal

basso verso l‟alto, che devono tradursi in un‟effettiva influenza che i collaboratori

subordinati esercitano in aperte discussioni di gruppo con i loro capi. L‟autonomia dei

collaboratori è un elemento fondamentale del nuovo modello direttivo; ma d‟altra parte

questa autonomia non deve tradursi in isolamento e mancanza di contatti verticali. Il capo

26

LIKERT R., (1961) , Nuovi Modelli di Direzione Aziendale, Franco Angeli

ideale per Likert è colui che riesce a conciliare il rispetto dell‟autonomia dei suoi

dipendenti con continui e collaborativi scambi di idee >>27

.

Per quanto riguarda le funzioni delle leadership Likert sostiene che il ruolo del leader,

all‟intero dei gruppi altamente efficienti è particolarmente importante, in quanto alcune

funzioni relative alla leadership possono essere condivise con i membri del gruppo, mentre

altre possono essere svolte soltanto dal leader designato (come ad esempio, decisioni da

prendere rapidamente, per le quali non c‟è tempo per attendere lo svolgersi dei processi di

gruppo.)

Il leader, inoltre, è pienamente responsabile della prestazione del gruppo, e deve accertarsi

che questo si adegui alle richieste stabilite dal resto dell‟organizzazione di cui esso fa

parte. Tuttavia il leader non cerca di prendere tutte le decisioni da solo: egli porta il suo

gruppo a costituire un‟unità che, con la sua partecipazione, prende decisioni migliori di

quanto esso possa fare da solo.

2.2.3 Renato D’amico: Management e Leadership

Renato D‟Amico, rielaborando i contributi di numerosi autori e prendendo spunto da

Likert, individua due dimensioni distinte, ma complementari, nella quale viene esercitata

l‟autorità: Management e Leadership; riprendendo il pensiero di Kotter, descrive e

distingue le due accezioni come:

- Management: gestione della complessità, quindi gestione dell‟attività, ordine e coerenza;

- Leadership: gestione del cambiamento, necessario quindi in contesti estremamente

dinamici, competitivi ed incerti;

Nei contesti competitivi moderni Management e Leadership costituiscono due diversi

modi in cui si coniuga la tradizionale attività di direzione del capo e il riferimento è

soprattutto a tre dimensioni:

1. le fonti di legittimazione dell‟autorità delle due figure

2. il ruolo e le funzioni che le due figure svolgono nell‟organizzazione

3. le rispettive qualità personali

27

BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, FrancoAngeli p.112

La fonte di legittimazione dell’autorità, nel caso del manager essa risiede nel fatto di

possedere un‟elevata conoscenza degli aspetti tecnico-gestionali dell‟azienda in cui lavora,

oltre ad occupare una posizione di vertice nella gestione formale dell‟organizzazione. Il

leader, invece, non deve necessariamente ricoprire un ruolo di vertice, ma la sua fonte di

legittimazione si fonda soprattutto sul possesso di qualità personali particolari, quali la

capacità di attrarre, di coinvolgere, di influenzare e di motivare tutti i membri, allo scopo di

creare un‟atmosfera armoniosa che meglio permette di lavorare insieme e di raggiungere il

fine organizzativo.

Per quanto riguarda il ruolo svolto all‟interno dell‟organizzazione, quel che

contraddistingue l‟attività manageriale è il fatto di essere orientata verso il problem

solving, intesa come attività di analisi, di valutazione e di soluzione dei principali problemi

aziendali. Il manager si occupa di tutti gli aspetti formali dell‟attività, ed evita

sostanzialmente il confronto e lo scambio di opinioni con gli altri membri del gruppo che

non hanno accesso alle informazioni, a cui riconosce quindi un ruolo meramente esecutivo.

Ben diverso è il ruolo del leader, la cui attività è principalmente caratterizzata

dall‟interpretare le situazioni. E quindi l‟attività del leader è orientata alla << ricerca del

know-why ancora prima del know-how (verso cui è orientata l‟attività del manager):

“sapere perché fare”28

è preliminare la “sapere come fare”>>. La differenza è quindi che il

manager è considerato un risolutore dei problemi di routine; il leader invece è visto come

lo scopritore dei problemi sia di routine che non.

L‟ultimo tratto che distingue le due figure è quello relativo alle attitudini e alle qualità

personali. L‟immagine tradizionale del manager fa riferimento a quelle capacità

organizzative che permettono ad un dirigente di gestire e di dirigere un‟azienda, senza

quasi dover ricorrere ad aiuti esterni (è una visione più ”tayloristica”, il manager deve

ricercare efficace e produttività, per massimizzare il profitto). Nel caso del leader invece,

ci troviamo di fronte a un complesso di doti personali che riguardano, ad esempio, il saper

mettere in discussione le proprie idee, il saper contare sulle proprie abilità personali di

visione e di programmazione, il sapersi rivolgere alle emozioni e all‟intelligenza dei

collaboratori, senza mezzi coercitivi; nell‟accezione più moderna infatti, non trova più

28

BENNIS W., NANUS B., (1987), Leader. Anatomia della Leadership. Le 4 chiavi della Leadership

effettiva, Milano, Franco Angeli, p. 46

spazio la visione del leader come capo autoritario che impone le proprie convinzioni ai

sottoposti.

Capitolo 3

LEGITTIMAZIONE MORALE E LEADERSHIP ETICA

3.1 – Legittimazione morale del leader

Come spiegato nei precedenti capitoli, la leadership non va intesa come puro comando ma

come autorità. Essa richiede sempre di essere legittimata da chi si trova in una posizione

subordinata, affinché accetti di seguire le indicazioni di chi detiene maggiore potere.

Spesso in economia tale legittimazione è interpretata come un semplice accordo

contrattuale, relativo a una prestazione di lavoro in cambio di una remunerazione, ma

questa visione non esaurisce la comprensione del ruolo del leader all‟interno di un team di

lavoro nel quale egli dà indicazioni che favoriscono il coordinamento e la cooperazione tra

i membri.

Infatti nel caso della leadership sono in gioco valori e interessi che vanno al di là dello

scambio tra una prestazione prefissata e il relativo pagamento e che si riferiscono alle

ragioni per cui un gruppo di persone dovrebbe accettare di farsi guidare da un leader. In

sostanza l‟autorità è una “delega a decidere” che si basa sull‟accettazione preventiva,

grazie alla quale le decisioni delegate saranno effettivamente eseguite dai membri del

gruppo.

Anche la legittimazione è una decisione che necessita di una spiegazione ai componenti

dell‟organizzazione; per farlo è importante risalire alle ragioni che determinano

l‟accettazione dell‟autorità, interpretata come rinuncia a discutere ogni singola decisione su

una base fiduciaria, supposto che il leader è tale che le sue funzioni servono al gruppo

stesso che gli riconosce la delega a decidere.

Nei capitoli precedenti sono state esposte alcune delle ragioni che sottostanno alla

accettazione di un leader; in questo paragrafo approfondiremo l‟etica come componente

essenziale della legittimazione.

L‟etica “offre ragioni morali per accettare la relazione di autorità, che si manifestano nel

caso in cui tali ragioni siano imparziali (…), ovvero riconoscere che l‟autorità garantisce

un beneficio o un valore che tocca imparzialmente tutti coloro che danno fiducia al leader

stesso.”29

Al contempo, l‟interpretazione dell‟etica come una delle ragioni fondanti la legittimazione

morale del leader, implica il riconoscimento da parte di quest‟ultimo che:

i collaboratori siano depositari di diritti e di altre caratteristiche morali e non un

semplice strumento per il raggiungimento dei fini dell‟organizzazione. Infatti se

seguissimo il ragionamento in una pura ottica finanziaria, in cui l‟unico scopo

dell‟impresa è la creazione di valore per gli azionisti, dovremmo giungere alla

conclusione che tutti i membri e i fattori della organizzazione siano dei semplici

mezzi. Se cosi fosse, i dipendenti eseguirebbero le proprie mansioni esclusivamente

in cambio del salario; di conseguenza si verrebbero a creare delle reazioni a catena

che originano dalla sterilità del rapporto tra il soggetto ed il proprio lavoro. Un

dipendente non motivato, in una tale situazione, tenderà a non estendere le proprie

competenze e a non aiutare i colleghi a superare eventuali difficoltà. Questo incide

in modo negativo sulle relazioni all‟interno dell‟organizzazione, venendo meno

quindi alla realizzazione di un gruppo solido, che si basa su cooperazione e

collaborazione. Non da ultimo la leadership mancherà di prospettive, trovandosi di

fronte collaboratori non motivati ed individualisti. Quindi, dando per scontato che

all‟interno di un‟organizzazione ognuno cerca di soddisfare i propri obiettivi,

ciascun individuo è sia un mezzo per il perseguimento dello scopo altrui, che un

fine, nel senso che la cooperazione dei collaboratori gli è necessaria al

raggiungimento delle proprie finalità.

29

D‟ORAZIO E. (2007), Corporate Integrity, Ethical Leadership, Global Business Standards. The Scope and

Limits of CSR, POLITEIA, XXIII, 85/86, 2007, pp. 497.

Figura 3.1 – L’individuo come mezzo di creazione del valore

la legittimazione della leadership sia basata imparzialmente su scopi, valori e

interessi di coloro che ne accettano l‟autorità. L‟etica della gestione delle risorse

umane non può essere “imposta” dall‟alto come una pura richiesta di osservanza di

regole dettate dal vertice, ma i suoi principi, per essere accettati, devono

preventivamente essere riconosciuti come termini di mutuo accordo da parte di

ciascun agente morale, posto così in grado di esercitare la sua autonomia razionale.

L‟adozione di questi principi avviene tramite il consenso razionale, non forzato e

informato da parte dei partecipanti al dialogo, che sebbene siano ciascuno portatore

di propri interessi, siano non di meno spinti da un‟analoga preoccupazione per il

consenso e l‟accordo comune. A partire dai principi etici trovati tramite accordo,

possiamo rintracciare le ragioni morali in nome delle quali una data autorità è

legittimata.

MEZZI

• I dipendenti dell‟impresa siano considerati come mezzi.

• Essi lavorino solo per il conseguimento dello stipendio.

STERILITÀ RAPPORTI

• Col proprio lavoro e non ampliamento delle competenze.

• Non cooperazione e collaborazione nel gruppo.

• La leadership mancherà di prospettive

trovandosi di fronti collaboratori non

motivati ed individualisti.AUTORITÀ

Tali considerazioni non ci devono portare a pensar che l‟etica della leadership possa

essere usata come un semplice strumento per acquisire l‟osservanza o l‟adesione dei

collaboratori per scopi che non rientrano nei loro obiettivi.

L‟uso strumentale della legittimazione etica paradossalmente non determina l‟accettazione

della leadership perché i collaboratori non si vedranno attribuita la dignità di agente

morale, ma otterrà come unico risultato la benevolenza di quei proprietari che hanno come

unica preoccupazione la remunerazione sottoforma di dividendi.

3.2 - La leadership etica e gestione delle risorse umane

Sarebbe limitativo considerare l‟etica solo come fonte di legittimazione, in quanto essa

dovrebbe essere una “condizione” diffusa all‟interno dell‟organizzazione. Questa

prospettiva dipende dalla creazione nelle imprese di nuove strutture di governo e di

reporting capaci di istituzionalizzare l‟etica al loro interno.

I requisiti minimi identificati dalle “Linee Guida” per lo sviluppo nelle aziende, in

particolar modo oltreoceano, sono:

l‟organizzazione deve sviluppare standard di comportamento

deve nominare un alto dirigente responsabile dell‟attuazione del programma30

non deve delegare potere discrezionale a dipendenti che siano noti per la loro

propensione a comportamenti illegali

deve comunicare gli standard di comportamento e le procedure in modo efficace a

tutti i dipendenti31

deve predisporre sistemi per monitorare e verificare l‟effettiva attuazione di

standard e procedure e per riferire eventuali comportamenti illeciti

deve far osservare gli standard di condotta prevedendo meccanismi sanzionatori

deve impegnarsi nel miglioramento continuo del programma etico

30

D‟Orazio definisce queste figure come Ethics Officer 31

Ad esempio attraverso la realizzazione di corsi in formazione etica

Figura 3.2 - Linee guida per lo sviluppo etico

Uno dei documenti più efficaci per la penetrazione delle linee guida nell‟organizzazione è

il codice etico, che rappresenta un contratto sociale tra l‟impresa ed i suoi stakeholder (in

particolare riferendoci ai dipendenti) e ha la “funzione di legittimare l‟autonomia

dell‟impresa annunciando pubblicamente che essa è consapevole dei suoi obblighi di

cittadinanza e che ha sviluppato politiche e pratiche aziendali coerenti con essi”32

.

Dal punto di vista delle risorse umane, il contratto sociale rappresenta un‟ipotetica scelta,

in base alla quale coloro che sono sottoposti alla gerarchia dell‟impresa, decidono

razionalmente di accettarla, a condizione che i loro diritti siano rispettati.

Il codice etico deve essere anche teso all‟instaurazione di relazioni di fiducia all‟interno

dell‟ambiente lavorativo e prevedere che l‟impresa investa a tal fine in modo da

salvaguardare i rapporti creatisi, ossia il capitale sociale. In questo caso l‟impresa deve

32

D‟ORAZIO E. (2003), Codici etici, cultura e responsabilità d’impresa, Politeia, XIX, 72, pp.127- 143.

Strumenti per la

formazione di valori

etici

CODICI ETICI

MECCANISMI DI DENUNCIA

PROGRAMMI DI

FORMAZIONE

STRUTTURE

tenere in considerazione che tali investimenti sono naturalmente soggetti alla debolezza

delle relazioni fiduciarie.

La fiducia nel business rappresenta infatti un “collante” che permette lo sviluppo di tutte

quelle relazioni che non possono essere pienamente definite in termini contrattuali. Alcuni

studiosi considerano la fiducia, nell‟ambito delle organizzazioni, una caratteristica tipica

del contratto relazionale, i cui termini sono intenzionalmente incompleti, per cui,

nonostante l‟intento iniziale dei contraenti sia quello di lavorare assieme, esiste sempre la

possibilità che si verifichino comportamenti opportunistici.

La fiducia reciproca è una condizione fortemente desiderabile da parte dell‟impresa nelle

relazioni con gli stakeholder in generale e con i dipendenti in particolare, in quanto

incoraggia lo scambio di idee e informazioni, riducendo al contempo la necessità di

controlli costosi e consentendo l‟adattamento al cambiamento e la disponibilità a lavorare

nonostante le differenze culturali. Attraverso la condivisione di idee e informazioni tra i

dipendenti risulta stimolata anche la capacità innovativa dell‟impresa nel suo insieme e

quindi la sua capacità di cogliere le opportunità.

Ciò che consente ai membri e alle unità di un‟organizzazione di fidarsi reciprocamente e di

collaborare è il riferimento a valori condivisi, cioè a norme culturali che contribuiscono a

definire l‟organizzazione.

Tutti questi risultati possono essere ottenuti soltanto se i vertici aziendali prestano la

dovuta attenzione alla progettazione e successiva implementazione del codice etico

aziendale, strumento di autoregolazione che fornisce a manager e dipendenti una direzione

in senso etico.

Il codice etico influenza il comportamento dei dipendenti in modo significativo, solo se le

sue indicazioni risultano coerenti con la cultura aziendale nel suo complesso33

. Adottare

questa impostazione presuppone considerare l‟etica d‟impresa una questione che investe

sia la sfera organizzativa che personale.

Ne consegue che l‟etica ha a che fare con il management: i manager infatti, modellano il

contesto organizzativo attraverso il loro comportamento, il loro disegno

dell‟organizzazione e dei suoi sistemi e la loro leadership nell‟elaborazione di un codice

etico che orienta il processo decisionale.

33

TREVINO L.K., NELSON K.A. (2004), Managing Business Ethics, Wiley & Son, pp.240-243, N.Y

Recentemente si è giunti alla conclusione che la “reputazione” di leadership etica poggia

su due dimensioni che operano congiuntamente:

la dimensione della persona morale, cioè capace di prendere le decisioni

etiche;essere una persona morale indica ai dipendenti come il leader è probabile che

si comporti, ma non come esso si aspetta che i dipendenti agiscano.

la dimensione del manager morale, cioè colui che pone al centro del messaggio di

leadership l‟etica e i valori che modellano la cultura dell‟impresa e opera dando

l‟esempio, comunicando operativamente e costantemente con i dipendenti circa

l‟etica e i valori e premiando coerentemente la condotta di coloro che vi aderiscono.

La combinazione di queste due dimensioni dà origine ad una matrice che definisce quattro

modi in cui i dirigenti possono sviluppare una reputazione di leadership etica, immorale,

ipocrita e neutrale.

Figura 3.3 – I 4 modi per sviluppare una reputazione di leadership

Affinchè l‟insieme dei valori etici stabiliti dal management rappresenti uno strumento

effettivo per la gestione dell‟organizzazione, i leader devono impegnarsi in prima persona

comportandosi in modo conforme ad essi. Infatti, la comunicazione dei valori tramite

codici etici, programmi, e altri documenti, per quanto importanti, ha un impatto

estremamente limitato se non è accompagnata da un comportamento che li rispecchi: il

comportamento etico del leader, unito alla motivazione a far rispettare la cultura e l‟etica

dell‟organizzazione per tutti i membri, sono i fattori più importanti per l‟affermazione delle

stesse.

Gli ideali ed i principi etici devono essere condivisi tra il leader e gli altri membri

dell‟organizzazione; il fatto che tali ideali e tali principi informino il comportamento dei

leader fornisce uno stimolo ed un rinforzo per tutti gli altri membri.

Un sistema di valori non si può imporre, ma si può condividere proponendosi come

esempio di interiorizzazione, di applicazione e di difesa di tale sistema, proprio perché il

più importante fattore nella costruzione dell‟etica di un‟organizzazione è l‟esempio dato

dai suoi leader. Il loro comportamento invia un messaggio ai dipendenti più chiaro di

qualunque codice etico aziendale; un‟evidente incoerenza tra comportamento dei vertici e

standard adottati dall‟azienda produrrà cinismo nei dipendenti ed erosione degli standard

stessi, poiché la ricezione di messaggi contraddittori lasciano i collaboratori senza

adeguato sostegno per l‟azione responsabile. E‟ comunque necessario tenere presente che

leadership, sistemi, strutture e culture possono influire sul comportamento individuale ma

non determinarlo.

Figura 3.4 – Leadership dei valori

In generale le fonti all‟origine dei valori sono raggruppabili sotto quattro fattori principali;

1. I valori etici e le convinzioni morali di ciascuno dei membri possono influenzare le

decisioni etiche dell‟organizzazione.

2. La cultura organizzativa può influenzare notevolmente il comportamento etico sul

lavoro dei membri dell‟organizzazione indipendentemente dai valori etici di

ciascuno di essi.

3. I sistemi organizzativi: le procedure, i sistemi di ricompensa e di controllo

formalizzano e rinforzano i valori etici espressi dalla cultura aziendale. Ad esempio

le norme dell‟organizzazione prevedere cerimonie o premi per le persone che si

sono distinte per l‟eticità del loro comportamento. I sistemi organizzativi traducono

nell‟architettura organizzativa i valori etici imcorporati nella cultura organizzativa.

4. Anche gli stakeholder esterni all‟organizzazione contribuiscono ad “orientare” il

comportamento etico dell‟organizzazione: l‟indirizzo politico delle Pubbliche

Amministrazioni, la presenza di associazioni ambientaliste, etc. possono incidere in

modo rilevante nella formazione etica dell‟organizzazione.

Figura 3.5 – Le fonti dei valori etici nelle organizzazioni

Infine, si possono suggerire alcuni aspetti e fasi di un codice morale della gestione delle

risorse umane basato sull‟idea di contratto sociale:

all‟avvio del rapporto: informazione il più possibile completa sulle caratteristiche

del lavoro, trasparenza sulle alternative e non discriminazione arbitraria nella

selezione.

nella gestione del rapporto: non abuso delle asimmetrie informative, non abuso di

autorità nell‟ambito della gestione della carriera, opportunità di formazione e

sviluppo di capitale umano e sua qualificazione, riconoscimenti nel merito,

valutazione del lavoro in team, riconoscimento delle situazioni di bisogno,

partecipazione al processo decisionale, accountability ed equità delle procedure

decisionali che riguardano il personale e le carriere.

3.3 – Le sette responsabilità manageriali verso l’interno dell’impresa

Come abbiamo già ripetuto precedentemente esiste una dimensione etica dell‟attività

imprenditoriale, ossia un‟attività economica rivolta al bene comune dalla quale l‟intera

collettività trae giovamento in molteplici modi e circostanze, e viene realizzato attraverso

l‟assunzione di responsabilità interne puntuali e fondamentali che Novak così sintetizza.

1. Soddisfare i clienti con beni e servizi realmente validi: è indubbio che siano i

clienti, attraverso l‟acquisto dei prodotti dell‟impresa, ad esprimere il verdetto

finale nei confronti della stessa. I manager si assumono, nei confronti dei propri

clienti, un‟insieme di responsabilità dal contenuto etico e morale alla quale devono

far fronte con un impegno quotidiano.

2. Realizzare un ragionevole reddito dai capitali affidati all’impresa agli investitori:

questa è una responsabilità sociale di fondamentale importanza riconosciuta anche

dagli studiosi più liberisti, dalla quale deriva l‟affidabilità di un impresa e

l‟appetibilità a farne parte. Gli investitori soddisfatti resteranno all‟interno

dell‟impresa e oltre a impiegare nuovi capitali fungeranno da polo attrattivo per

nuovi soggetti che apporteranno un‟ulteriore disponibilità di capitali.

3. Creare nuova ricchezza: altrimenti se l‟impresa non ne crea fa girare a vuoto i

propri ingranaggi e si autodistrugge.

4. Creare nuovi posti di lavoro: è una delle grandi responsabilità odierne e per

realizzarla il mondo del lavoro si affida all‟universo imprenditoriale; la formazione

di nuovi lavoratori dipendenti passa attraverso la creazione di nuovi datori di

lavoro.

5. Sconfiggere l’invidia favorendo la mobilità verso l’alto e fornendo un fondamento

empirico alla convinzione che il lavoro duro e il talento sono adeguatamente

ricompensati, attraverso attività industriali, iniziative economiche che

contribuiscono a migliorare la propria condizione sociale e di vita, possibilità che

ha come chiavi di accesso lavoro duro, buona volontà, ingegnosità e talento.

6. Promuovere l’inventiva, l’ingegnosità ed in generale “il progresso nelle arti e nelle

scienze utili”, responsabilità primaria per l‟impresa votata al successo. L‟attività

d‟impresa è incentrata infatti sulla creazione e l‟innovazione, obiettivi che devono

essere perseguiti attraverso la concessione di incentivi per la scoperta di nuove idee

pratiche e per la loro messa a servizio del prossimo. La creatività è una virtù nella

vita delle imprese, coloro che sminuiscono e frenano la capacità creativa, violano la

loro vocazione, e si danneggiano.

7. Diversificare gli interessi del paese: manager dovrebbero dare concretezza

all‟impegno dei lavoratori ed espandere le loro conoscenze pratiche sui diversi

settori della vita economica.

Ciascuna di queste sette responsabilità deve essere assunta dalle imprese in modo diffuso

in quanto critica per la salute economica e sociale di un paese e della società civile.

Figura 3.6 – Le 7 responsabilità manageriali

1. Validità di beni e servizi

2. Profittabilità dei capitali

affidati all'impresa

3. Creazione di nuova ricchezza

4.Creazione nuovi posti di

lavoro

5. Favorire la mobilità

verso l'alto per merito

6. Promuovere l'inventiva e l'ingegnosità

7. Diversificare gli interessi del

paese

Le 7

responsabilità

manageriali

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