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CAPITOLO 1

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LA DONNA NEI RUOLI APICALI D’IMPRESA.STUDI, RICERCHE E ANALISI CONDOTTE

NELL’AMBITO EUROPEO, NAZIONALE E LOCALE

di Alessandro Di Paolo

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1.1 LA CARRIERA AL FEMMINILE: LO SCENARIO E GLI STUDI

Il mercato del lavoro nel corso dell’ultimo ventennio è stato oggetto di profondi cambiamenti con conseguenze nell’ambito sociale. La nuova competizione globale sostenuta dalle imprese e il cambiamento culturale che ha fornito l’opportunità alle donne di entrare massicciamente nell’attività lavorativa ha generato conseguentemente effetti sociali quali l’innalzamento del livello di istruzione e della preparazione professionale, lo slittamento in avanti dell’età matrimoniale e il calo della natalità. Dalla seconda metà degli anni novanta si è così puntata l’attenzione sull’analisi e sullo studio di questo scenario sociale che vede le donne come le principali artefici dei suoi mutamenti/ampliamenti. In questi ultimi anni si sta cercando di tracciare le linee a supporto dell’evoluzione e della completa maturazione delle pari opportunità delle donne in ambito lavorativo ma, in questo caso, la nostra attenzione vuole porsi su quanto è in concreto accadimento nelle posizioni lavorative di vertice all’interno delle aziende. Entrando nello specifico ambito italiano, gran parte delle relazioni e degli studi prodotti sono stati mirati a fornire dati in merito all’ottenuto superamento o meno della soglia di criticità della donna nell’ambiente di lavoro: ovvero quella del riconoscimento di ruolo e di carriera e, di conseguenza, della possibilità di raggiungere posizioni nei ruoli apicali delle organizzazioni e delle imprese.D’altronde, come hanno dimostrato sempre i fatti, una corretta legislazione o legiferazione in materia non necessariamente è foriera e fruttifera dei voluti o sperati risultati, tanto più quando la sua vigile applicazione spetterebbe a chi ne ha il vantaggio nella non attuazione. Bisogna difatti ricordare che, parafrasando il grande chimico e scienziato francese del settecento Antoine Lavoisier nella formulazione del principio di conservazione con il detto “nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma”, per ogni posizione di potere acquisita dalla classe femminile nel mondo lavorativo, la classe maschile, potenzialmente, risulta perderne una, ovvero la stessa.E anche se non è sicuramente questo l’unico motivo che osta al raggiungimento del “ruolo apicale” da parte di una donna, come ben lo dimostrano gli studi e le ricerche svolte, certamente ne è però uno degli elementi determinanti.Un altro fattore incidente è l’”autolimitatore” che molte donne

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possiedono. Così come ne sono attrezzate le vetture di grande cilindrata affinché sulla viabilità ordinaria, nonostante le loro potenzialità, non possano raggiungere delle velocità concesse unicamente in una pista di un autodromo, così le donne, nonostante le loro caratteristiche e acquisite competenze professionali, pensano e si autoconvincono spesso di non essere all’altezza degli incarichi o delle responsabilità loro offerte. La donna, in definitiva, sembra accontentarsi, o addirittura accetta ben volentieri i compromessi e le offerte di scambio che le vengono sottoposte in azienda in cambio del mancato riconoscimento formale di ruolo e di qualifica manageriale. La contropartita consiste molte volte in un livello retributivo adeguato connesso ad una sufficiente libertà psicologica dalle problematiche lavorative che le consente una maggiore attenzione alle responsabilità maturate nella sfera affettivo-famigliare.Diana Bracco nel settembre 2003, in qualità di Presidente di Federchimica, nella sua relazione tenuta in una conferenza internazionale dal titolo “Donne nei processi decisionali politici ed economici” organizzata a Siracusa dal Ministero per le Pari Opportunità disse: “Nella mia esperienza e su di me ho riscontrato che spesso il freno allo sviluppo femminile è endogeno, abbiamo le capacità ma non sempre le sfruttiamo appieno e siamo influenzate dal pregiudizio verso noi stesse, dall’insicurezza e poi dalla paura di successo che dobbiamo far convivere con altre componenti anche familiari, ci fermiamo ad un certo punto prima che altri ci fermino”.

1.2 LE DIFFICOLTÀ DI COMPARAZIONE

All’interno del presente capitolo è stata effettuata la scelta di riportare distintamente una serie di studi e indagini, tutti qualificati e sulla tematica del ruolo apicale ricoperto dalla donna in azienda, ma provenienti da soggetti diversi che hanno provveduto a svolgerli in ambiti temporali e territoriali. La decisione di svolgere l’elaborato in tal senso è dettata dall’intento di disegnare un quadro e fornire un panorama abbastanza ampio e completo su quanto svolto negli ultimi anni evidenziando il valore e l’interesse che ognuno di questi studi esprime e genera in maniera intrinseca e autonoma.

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1.2.1 Le difficoltà nella comparazione di ricerche svolte da soggetti diversi Il principale problema che ci si trova ad affrontare in un lavoro come il presente è quello di mettere a confronto dati che per loro provenienza, fonte e matrice, potrebbero essere definiti come di non facile comparazione.La questione della difficile comparabilità, fondamentale per chi si occupa di “assemblaggio” di rilevazioni statistiche e di analisi provenienti da diverse fonti è già stata ampiamente discussa in molte sedi come ad esempio quella di Eurostat. L’ente statistico istituzionale europeo, difatti, dopo ogni allargamento effettuato dall’U.E. si è ritrovato a cercare di assemblare dati storici provenienti da ricerche effettuate dai diversi enti statistici nazionali che avevano operato fino a quel momento con criteri di indagine basati su scelte metodologiche individuali. Le difficoltà maturate dal raffronto dei dati rilevati con sistemi statistici diversi operanti nei vari paesi, nonché le metodologie di raccolta e catalogazione degli stessi mutati nel tempo anche all’interno di uno stesso istituto statistico, vengono resi ancora oggi ben visibili nelle note di specifica che compaiono ancora in calce a quasi tutti i grafici esposti nelle relazioni ufficiali prodotte da Eurostat. D’altronde, gli elementi che determinano un valore di base nella validazione e comparabilità di ricerche e analisi svolte da soggetti diversi insistono prevalentemente nella possibile comunanza contestuale dei seguenti tre fattori:

1. aree campione similari; 2. medesime tipologie di soggetti inseriti nella categoria oggetto;3. lasso temporale medesimo e/o significativo;

Ci si trova così spesso davanti a una serie di ricerche e analisi che, se da una parte nel loro singolo elemento forniscono nitide chiavi di lettura e considerazioni, dall’altra non forniscono basi di dati omogenei o, talvolta, informazioni sulla loro raccolta sufficienti per poi procedere con una serena amalgamazione. In definitiva più mosaici non possono fornire insieme un nuovo, grande, unico e valido disegno, ancorché si voglia almeno concen-trarsi su di una singola composizione. E la soluzione, talvolta palesata, di procedere con un studio ex novo di trade-union a completamento e/o collegamento si dimostra agli effetti inefficace per una carenza del terzo fattore citato sopra.

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1.2.2 L’individuazione delle mansioni e dei ruoli apicali in azienda

Ma se tutto quanto detto precedentemente rispetto alla difficile amalgamazione dei dati forniti da enti diversi è valido per quanto riguarda gli studi e le ricerche in generale, lo è maggiormente nel momento in cui dobbiamo scendere a prendere in esame, cercando di confrontarli, singoli fattori distintivi e caratterizzanti quale il livello di responsabilità occupato all’interno di una impresa. Le problematiche sono fondamentalmente ascrivibili a tre tipologie:

1) Determinazione del ruolo manageriale o apicale;2) Assegnazione di responsabilità formalmente non riconosciuta;3) Attribuzione formale ma non sostanziale di cariche e responsabilità.

Il primo, quello afferente alla determinazione del ruolo manageriale o apicale prende spunto da una recente discussione nata in seno ad Eurostat sull’esigenza di confrontare e analizzare la figura dirigenziale nei diversi stati appartenenti all’Unione Europea allargata. I questionari alla base delle ricerche sui ruoli dirigenziali o manageriali erano stati elaborati e sottoposti ai soggetti dai diversi enti statistici competenti comprendendo sotto la definizione di “ruolo manageriale” talvolta solo la specifica figura del dirigente, altre volte quella del dirigente e del quadro, oppure unendo ad esse anche la figura dell’imprenditore e/o del professionista consulente di direzione. Infine, in altri casi, aggiungendo anche tutte le figure ricoprenti cariche all’interno degli organi di governo e controllo aziendale. Eurostat, cosi come risultanza finale del dibattito ha quindi ritenuto doveroso fornire indicazioni generali affinché si procedesse verso una uniformità di parametri individuativi. Dovendo produrre un’analisi comparata tra i diversi stati Eurostat ha imposto come base di riferimento per l’individuazione dei ruoli apicali in azienda la classificazione dell’ISCO (International Standard Classification of Occupations) ai punti 12 e 131. Con il riferimento di “managers aziendali” si dovevano perciò comprendere: i Direttori di aziende private (punto 12) – comprendendo oltre ai direttori (cat.121) anche tutti i quadri (cat.122 e 123) - e i Dirigenti e amministratori di piccole imprese (punto 13). Di nuovo rilievo perciò, ai fini della definizione di managers, la funzione dei quadri che nell’accezione europea vengono intesi come professionisti di settore e/o dirigenti, che lavorano in piccole/medie imprese private, in grandi industrie manifatturiere o nel settore pubblico.

1 ISCO-88 (International Labour Office, ISCO-88 - International Standard Classification of Occupations, Ginevra 1990).

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I partners del progetto Ponti, da parte loro, hanno invece optato nella fase di redazione e sviluppo del progetto, tenendo soprattutto conto delle realtà del territorio, di individuare tra i ruoli apicali e posizioni di vertice tutte le figure femminili presenti nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali all’interno delle società a responsabilità limitata e delle società per azioni, nonché tutte le donne socie nelle società di persone e titolari d’azienda nelle imprese individuali.Il secondo punto, già anche esposto nel precedente paragrafo, è quello relativo all’assegnazione di responsabilità formalmente non riconosciuta. La donna nei ruoli sociali e, soprattutto, all’interno della famiglia, è stata nei secoli abituata a vedersi attribuire e farsi carico di responsabilità senza che queste fossero oggetto di evidente riconoscimento formale. Il “compenso” derivava perciò da una sorta di auto-appagamento rispetto al buon esito finale de facto delle situazioni avute in cura (ad esempio la buona educazione dei figli). Lo stesso fenomeno si è così sovente replicato in ambito lavorativo in quanto terreno di confronto nel rapporto tra l’uomo-imprenditore e la donna-responsabile. Per la donna che svolgeva la sua attività in azienda era spesso sufficiente che il capo o l’imprenditore conoscesse i suoi meriti (o riconoscesse verbalmente le sue capacità) affinché ciò fosse giusta motivazione per l’accettazione di nuovi incarichi e responsabilità. La qualifica contrattuale veniva conseguentemente declassata a mero attestato da “esibire” all’esterno dell’organizzazione e, pertanto, puro elemento accessorio. Infine il terzo punto, quello relativo all’attribuzione formale ma non sostanziale di cariche e responsabilità. Assistiamo sovente da parte del “reale” titolare d’impresa, soprattutto qualora le aziende risultino avere piccole dimensioni, l’abitudine di inserire nei posti del consiglio di amministrazione stabilito statutariamente persone femminili a lui legate da vincolo di parentela che ricoprano formalmente la posizione ma che di fatto non possiedono sostanziale autonomia o potere decisionale.

1.3 I PRINCIPALI FATTORI DI DISCRIMINAZIONE

Possiamo trovare molteplici fattori che incidono o appaiono in chiave discriminatoria all’interno del mondo del lavoro nell’universo donna. I due fattori principali presi già come riferimento dagli studi elaborati

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per le politiche delle pari opportunità portate avanti dall’Unione Europea sono l’aspetto economico, ovvero gli ambiti connessi alla retribuzione dell’attività lavorativa, e la maternità e la famiglia intese come attribuzioni genetiche o sociali a unica o prevalente responsabilità femminile.

1.3.1 Aspetto economico

Per iniziare ad affrontare la tematica dell’aspetto economico o retributivo dell’attività lavorativa femminile in azienda dobbiamo partire dall’accettazione di alcuni assiomi, ovvero:

- che l’impresa, così come definita attraverso i principisociologico-organizzativi, deve ricompensare la quantità e la qualità dell’apporto lavorativo fornito attraverso il pagamento della retribuzione; - che i ruoli apicali all’interno di un’organizzazione vengono distribuiti e/o attribuiti con l’approvazione implicita o esplicita di tutti gli stakeholders esistenti in un ambito sociale aperto e prendendo in considerazione l’impegno profuso da parte del soggetto lavoratore nonché i risultati conseguiti con la sua attività;- che il riconoscimento formale dello svolgimento di un ruolo di responsabilità in ambito aziendale a una donna è considerato un atto non facilmente ottenibile e, conseguentemente, un fattore di criticità nell’avanzamento della sua carriera;- che il mondo politico nei paesi a economia sviluppata in afferenza alla tematica della donna in ambiente lavorativo pone l’attenzione ormai non tanto sull’ottenimento di un posto lavorativo quanto al suo compenso economico e al livello di inquadramento professionale.

L’Unione Europea, da sempre in prima fila per la battaglia alle disuguaglianze uomo/donna, sostiene nei suoi studi più recenti che il divario uomo/donna in ambito lavorativo possa essere affrontato solo agendo “a tutti i livelli, coinvolgendo tutte le parti interessate e concentrandosi sulla totalità dei fattori che ne sono all’origine”.In uno studio datato giugno 2006 dal titolo “The gender pay gap — Origins and policy responses. A comparative review of 30 European countries” elaborato da un gruppo di esperti europei nell’area dell’inclusione sociale, dell’occupazione e del divario tra i sessi sotto l’egida dell’European Commission Directorate General for Employment, Social Affaire and Equal Opportunities e pubblicato dall’Unione Europea vengono affrontati ed esaminati

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accuratamente tutti gli elementi che potrebbero essere causa del fenomeno del divario retributivo tra i sessi2. I dati pubblicati se da una parte permettono all’Italia di uscire abbastanza a testa alta, con un differenziale retributivo tra i sessi (gender pay gap) del 19% rispetto a una media europea del 25% e a paesi quali la Gran Bretagna con il 30%, la Slovacchia con il 9%, la Germania e l’Austria con il 6%, dall’altra mette in evidenza che nella questione disparitaria nessuno dei paesi aderenti all’Unione Europea ne è esente considerato che i migliori risultati provengono dalla Slovenia con l’11%, dalla Polonia con il 14%, dalla Svezia e Ungheria con il 15%. Un elemento che fa chiarezza sul perché l’Unione Europea punti a nuove politiche d’intervento ad ampio raggio, lo si trova nel fatto che i divari nei diversi paesi risultano essersi mantenuti sostanzialmente stabili nel decennio 1994-2004 sia nella media EU-25 che in quella EU-153.Ma un dato che porta a nuove riflessioni e a ricongiungere i due fattori che avevamo inizialmente voluto tenere staccati quello dell’aspetto economico e della maternità, ci perviene dalla Gran Bretagna. Il paese, come si nota nel grafico elaborato dalla Commissione Europea, ha ridotto nel decennio in esame la differenza percentuale retributiva tra i sessi ma tale fatto potrebbe creare allarmi e preoccupazioni se abbinato a una notizia riportata dal Daily Mail. Il quotidiano britannico in un articolo dal titolo ”The women using sterilisation as a form of contraception” scritto da Sadie Nicholas e pubblicato il 20 settembre 2007 riporta i dati del Sanitario di Sua Maestà (NHS) e una ricerca svolta dalla “Marie Stopes International” che sembra mettere in discussione lo stereotipo della donna che si realizza con la maternità. Dallo studio risulta essere in aumento il numero delle giovani donne del Regno Unito al di sotto i 30 anni, circa 40mila all’anno, che si sottopongono all’intervento di occlusione delle tube certe di non volere bambini per poter essere più facilmente accettate dall’universo lavorativo maschile e parificate in esso4.

2 Il documento è scaricabile dal sito web http://ec.europa.eu/employment_social.3 I dati forniti dall’Unione Europea a salvaguardare la validità dei risultati, vengono riportati sia in valori percentuali che in valori assoluti dell’ammontare retributivo orario espresso in euro.4 L’articolo è disponibile anche on line sul sito web del giornale all’indirizzo: www.dailymail.co.uk.

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Paga oraria media e differenza percentuale in 30 paesi europei per genere. (valori in Euro).

Nota: La differenza percentuale (gender pay gap) è così calcolata:

( media retributiva oraria maschile – media retributiva oraria femminile) / media retributiva oraria maschile.

Fonte: SES 2002; EC 2005 (wage inequality).

Paga oraria media e differenza percentuale in 30 paesi europei per genere. (valori in Euro).

Nota: La differenza percentuale (gender pay gap) è così calcolata: ( media retributiva oraria maschile – media retributiva oraria femminile) / media retributiva oraria maschile.

Fonte: SES 2002; EC 2005 (wage inequality).

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Differenza percentuale retributiva tra i generi in EU-25, EU-15, Germania, Italia, Porto-gallo e Gran Bretagna. Anni 1994 – 2004

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Differenza percentuale retributiva tra i generi in EU-25, EU-15, Germania, Italia, Portogallo e

Gran Bretagna. Anni 1994 – 2004

Note: EU-25 and EU-15: stime Eurostat. Germania e Gran Bretagna: break nella serie dati nel 2002. Portogallo: break nella

serie dati nel 2004.

Fonte: Eurostat: ECHP and SILC.

Note: EU-25 and EU-15: stime Eurostat. Germania e Gran Bretagna: break nella serie dati nel 2002. Portogallo: break nella serie dati nel 2004.

Fonte: Eurostat: ECHP and SILC.

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1.3.2 La maternità e la famiglia

La seconda tematica d’interesse è quella relativa alla vita privata ovvero al problema del recupero e del riconoscimento di ruolo al rientro nel posto di lavoro5 dopo la maternità. A questa deve necessariamente aggiungersi la responsabilità collocata storicamente sulle donne della gestione familiare in senso lato.In tutti gli studi, nelle analisi e nelle risposte ai questionari sottoposti e pervenuti da tutti i soggetti campione delle ricerche, in qualsiasi ambito settoriale6 o geografico queste si siano svolte, il tema della maternità e della famiglia è sicuramente quello che appare di maggiore incidenza per un percorso di carriera.Nell’ultimo decennio si sono registrati diversi mutamenti nei comportamenti delle donne. Il nostro interesse verterà sia su quelli afferenti alla sfera politico-culturale, per la parte riguardante l’ambito lavorativo e quello della famiglia, sia su quelli demografico-sociali, in quanto comprendenti la diminuzione dei matrimoni, il calo del tasso di fecondità e l’aumento dell’intervallo di tempo tra il matrimonio e il concepimento del primo figlio.In definitiva appare sempre più nitido un percorso di vita delle donne divenuto sempre meno prestabilito e obbligato, e sempre più scelto, voluto e progettato con estrema indipendenza. Anche in questo preciso ambito, così come per quello afferente agli aspetti economici, si è proceduto legislativamente a supporto dei diritti della donna e delle garanzie lavorative ma è ben difficile incidere su degli elementi che traggono la loro nascita dall’ambiente storico culturale. La società nella quale viviamo e le aziende che risiedono sul territorio sanno e si aspettano sempre e comunque che una donna metta al primo posto la responsabilità per i figli e la famiglia, anche con una dimostrata e reale presenza fisica. Generalmente una donna che non si preoccupa di un suo figlio ammalato a casa e prosegue tranquillamente la sua attività lavorativa viene definita dai suoi stessi colleghi, u omini e donne, una madre snaturata e non una grande lavoratrice. Agli uomini, le aziende e la società, chiedono che pensi responsabilmente alla famiglia attraverso l’apporto economico derivante dall’attività lavorativa, meglio se questa è anche

5 Il Centro Documentazione e Informazione della Donna ha condotto una ricerca, realizzata all’interno del progetto FSE “Donne in rientro al lavoro”, sui complessi rapporti fra donne, lavoro e maternità. Lo studio si è svolto prendendo a campione la provincia di Bolzano. (http://www.donne-lavoro.bz.it). 3 Interessante la pubblicazione dell’Ente Bilaterale dell’Artigianato Veneto (a cura di) (2003), “Donne, lavoro e maternità nell’impresa artigiana veneta”, Ediciclo ed., Portogruaro (VE).

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professionalmente di grado elevato così da fornire lustro e prestigio ai componenti. Ad un uomo non si chiede la presenza fisica ma una responsabilità morale. Ne deriva che se il figlio è a casa ammalato e l’uomo continua nella sua attività lavorativa, l’unico motivo è che, a parere della società, la sua responsabilità morale si manifesta attraverso la ricerca e l’ottenimento della tranquillità economica per far fronte alle sue cure mediche. La società civile crea stereotipi e chiede che i suoi membri si attengano a questi senza turbare e destabilizzare equilibri e scenari. I cambiamenti possono avvenire, ma solamente con il passare del tempo. Solo con il ricambio generazionale si possono notare cambiamenti negli usi e nei costumi culturali all’interno di una società. Il ricambio generazionale ai vertici di una società così come ai vertici di un’impresa. Un nuovo input culturale dettato e attuato autonomamente dai figli sulla base delle loro considerazioni e delle loro scelte guardando al futuro, tenendo in considerazione quanto avvenuto nel passato. Ma oltre agli aspetti meramente teorici ed esaminando i dati forniti da Eurostat sulla questione afferente alla capacità di conciliare vita professionale e vita privata è interessante constatare che il tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 49 anni si abbassa di 15 punti quando hanno un bambino, mentre quello degli uomini aumenta di 6 punti. Inoltre le richieste crescenti di flessibilità della manodopera pesano maggiormente sulle donne: secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2006 il 32,9% delle donne lavorava a tempo parziale rispetto al 7,7% degli uomini. E il 14,8% delle lavoratrici donne aveva un contratto a durata determinata, cioè un punto percentuale in più rispetto ai lavoratori uomini. Il ricorso al lavoro flessibile può riflettere preferenze personali ma la forte differenza tra i sessi sottolinea lo squilibrio tra uomini e donne nell’utilizzazione del tempo.

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Tasso di occupazione di donne e uomini con età tra 20-49 anni, con figli sotto i 12 anni.

Anno 2005

donne

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Tasso di occupazione di donne e uomini con età tra 20-49 anni, con figli sotto i 12 anni.

Anno 2005

donne

uomini

Note : Non ci sono dati disponibili per DK, IE e SE.

Fonte : Eurostat, European Labour Force Survey, annual averages.

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Tasso di occupazione di donne e uomini con età tra 20-49 anni, con figli sotto i 12 anni.

Anno 2005

donne

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Note : Non ci sono dati disponibili per DK, IE e SE.

Fonte : Eurostat, European Labour Force Survey, annual averages.

uomini

Note : Non ci sono dati disponibili per DK, IE e SE.Fonte : Eurostat, European Labour Force Survey, annual averages.

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1.4. STUDI E RICERCHE SULLA DONNA MANAGER IN EUROPA

1.4.1 Gli studi della Commissione Europea Il 18 luglio 2007 la Commissione Europea ha approvato un documento di impegno7 a conferma di uno sforzo mirato a cercare di colmare il divario esistente all’interno dell’economia europea tra le retribuzioni lavorative8 delle donne e quelle degli uomini. Secondo i dati aggiornati in tale documento le donne continuerebbero a guadagnare nell’intera economia dell’U.E. mediamente il 15% in meno degli uomini. Vladimir Špidla, Commissario dell’Unione per l’Occupazione, gli Affari sociali e le Pari opportunità, all’interno della relazione, evidenzia il permanere di questa situazione disparitaria nonostante il numero delle donne accedenti al mercato del lavoro con un titolo universitario sia superiore a quello degli uomini e, oltremodo, il titolo stesso sia ottenuto con maggiori risultati sia di percorso che finali. Secondo Špidla il solo modo per uscire da questa situazione discriminatoria è perciò quello di coinvolgere in un unico programma congiuntamente tutti le parti sociali (uomini e donne, ONG, parti sociali e governi).In una precedente relazione elaborata dalla Commissione delle Comunità Europee nel febbraio 2007, e pertanto introduttiva alle citate considerazioni del Commissario, dal titolo “Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni sulla parità tra donne e uomini - 2007” in modo approfondito e preciso si voleva fare un quadro sulla situazione della donna nel mondo del lavoro e con questo si dava luce sulle possibile cause portatrici della disparità retributiva tra i sessi. La prima causa, secondo lo studio, è il differente aspetto valutativo delle competenze10 applicato sul lavoro svolto dalle donne rispetto a quello svolto dagli uomini. Mansioni che richiedono qualifiche

7 Il suddetto documento è classificato con il codice IP/07/1115.8 Per i calcoli retributivi viene considerato il compenso medio orario prima delle imposte.9 « Rapport de la commission au conseil, au parlement européen, au comité économique et social européen et au comité des régions sur l’égalité entre les femmes et les hommes » è stata pubblicata a Bruxelles con il protocollo COM(2007) 49 finale datato 7 febbraio 2007.10 Per competenze s’intende il patrimonio complessivo di risorse di un individuo, espresso in rapporto ad un contesto e ad un compito, ovvero deducibile dal risultato di un comportamento dell’individuo in risposta a specifiche richieste del contesto. Le competenze sono costituite da un mix di elementi, alcuni dei quali hanno a che fare con la specificità del lavoro mentre altri sono relativi a caratteristiche personali e atteggiamenti che il soggetto mette in gioco nell’attuazione del compito stesso.

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simili tendono a essere remunerate in maniera inferiore se svolte prevalentemente da donne piuttosto che da uomini. In alcuni paesi, ad esempio, l’attività di baby sitting11 fornisce un guadagno inferiore a quello di un meccanico, così come la retribuzione delle cassiere dei supermercati risulta inferiore a quello dei magazzinieri e quello delle infermiere inferiore a quello dei poliziotti .La seconda motivazione trova posto nelle circostanze particolari che ricadono sul lavoro, come la difficoltà di conciliare attività lavorativa e vita privata. Le donne, infatti, ricorrono maggiormente a lavori a tempo parziale e interrompono più spesso la carriera. Questo elemento, ben conosciuto in ambito lavorativo, impatta negativamente, anche ai fini di un pregiudizio e non solo a posteriori, sullo sviluppo professionale.In conseguenza di queste due principali cause le donne risultano perciò ulteriormente sfavorite quando l’argomento tratta l’otteni-mento e la conservazione di posti direttivi. La carriera aziendale al femminile avrà quindi più interruzioni, sarà più lenta e più corta e, quindi, meno remunerata di quella degli uomini. Dalle statistiche comunitarie emerge che lo scarto tra le remune-razioni aumenta con l’età, il livello d’istruzione e gli anni di servizio: le differenze salariali superano il 30% tra i 50 e i 59 anni, pur es-sendo del 7% nella fascia d’età fino a 30 anni; superano il 30% per chi è in possesso di un diploma universitario ma sono del 13% per chi possiede un diploma di scuola media inferiore; per chi abbia la-vorato più di 30 anni al servizio della stessa impresa, le differenze raggiungono il 32%, ma sono di 10 punti percentuali inferiori (22%) per chi abbia lavorato nella stessa impresa per un lasso di tempo che va da 1 anno a 5 anni.Tra i principali passi del rapporto si recita: “Peraltro il mercato dell’occupazione resta in larga misura compartimentato. L’evoluzione degli indici di separazione professionale e settoriale per sesso non mostra alcun segno di diminuzione significativa. Risulta quindi che l’aumento dell’occupazione delle donne ha

L’Isfol ha introdotto una distinzione che articola le competenze in tre macro aree: 1) competenze di base: requisiti minimi per l’occupazione e lo sviluppo professionale, ad esempio l’informatica di base e le lingue; 2) competenze tecnico professionali: saperi e tecniche operative proprie delle attività relative a determinati processi lavorativi; 3) competenze trasversali: abilità relative al saper mettere in atto strategie efficaci per utilizzare al meglio le risorse possedute coerentemente con le esigenze del compito. Le competenze trasversali, sempre secondo il modello Isfol, sono: diagnosticare (percepire, decifrare, interpretare, immaginare, prestare attenzione ecc.); relazionarsi (riconoscere sé e l’altro, ascoltare, esprimersi, cooperare, gestire i conflitti, ecc.); affrontare (assumere responsabilità, coinvolgersi, decidere, negoziare, gestire, prendere l’iniziativa, risolvere i problemi, ecc.).11 La relazione in lingua italiana della Commissione dell’UE eliminando sempre ove possibile gli inglesismi utilizza il termine, forse desueto ma comunque corretto, di “bambinaie”.12 Gli esempi qui riportati sono i medesimi di quelli citati all’interno della relazione.

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luogo principalmente nei settori di attività e nelle professioni già femminili in modo maggioritario. Quasi quattro lavoratrici su dieci sono occupate nell’amministrazione pubblica, nell’istruzione o nel settore sanitario e sociale, mentre la metà delle lavoratrici sono impiegate amministrative, commesse o lavoratrici poco o non qualificate. Inoltre esiste uno squilibrio persistente tra donne e uomini per quanto riguarda la loro presenza nei posti dirigenziali, sia politici che economici. Meno di un terzo dei dirigenti sono donne e i consigli di amministrazione delle 50 maggiori aziende europee quotate contavano solo una donne ogni dieci uomini nel 2005”.La relazione individua perciò quattro campi d’intervento per affrontare e cercare di porre rimedi alla questione:

1. applicare meglio l’attuale legislazione13 spingendo con maggiore incisività i singoli Stati a recepire a livello nazionale le direttive comunitarie emanate anche attraverso iniziative di sensibilizzazione;2. lotta al divario tra le retribuzioni come parte integrante delle politiche a favore dell’occupazione degli Stati membri (sfruttando pienamente le potenzialità dei finanziamenti comunitari – come il Fondo Sociale Europeo);3. promuovere la parità salariale fra i datori di lavoro, soprattutto grazie a iniziative che stimolino la responsabilità sociale;4. sostenere lo scambio di pratiche esemplari nell’intera UE e interessare le parti sociali.

Ma se questa è la situazione effettiva, da un sondaggio di Eurobarometro14 del gennaio 2007, emerge che la grande maggioranza dei cittadini europei (77%) pensa che sia necessario avere un maggiore numero di donne nelle posizioni direttive. E all’interno dello stesso sondaggio figura che il 68% dei cittadini europei pensa che le responsabilità familiari ostacolino l’accesso delle donne a posizioni direttive così come il 47% ritiene probabile che le donne beneficino di meno promozioni degli uomini, a parità

13 La Commissione all’interno della relazione dedica un paragrafo a riepilogo della legislazione in essere. Tra i provvedimenti principali citati: il Patto europeo per la parità di genere approvato nel Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006, la Direttiva 2006/54/CE che semplifica e modernizza la legislazione comunitaria esistente sulla parità di trattamento tra donne e uomini in materia di occupazione già elaborata anche con Direttiva 2002/73/CE, il Regolamento (CE) 1922/2006 relativo alla creazione di un Istituto europeo per la parità di genere e la “Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010”, documento licenziato dal Parlamento Europeo in data 1 marzo 2006 . 14 L’Eurobarometro è uno strumento di cui si è dotata la Commissione Europea per realizzare sondaggi mirati a conoscere e comprendere gli atteggiamenti dei cittadini europei. Il monitoraggio dell’evoluzione della pubblica opinione negli Stati membri viene effettuato dal 1973 ed è utile alla Commissione per l’elaborazione di testi, per prendere decisioni e valutare il proprio operato. Le inchieste e gli studi riguardano argomenti di primaria importanza per la cittadinanza europea, come l’allargamento, la situazione sociale, la salute, al cultura, l’information technology, l’ambiente, l’euro e la difesa.

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di qualifiche.In precedenza, nel settembre 2003, sempre in occasione della conferenza indetta dal Ministero per le Pari Opportunità dal titolo “Le donne nei processi decisionali politici ed economici”15 il direttore della Commissione Europea per gli affari orizzontali e internazionali e l’uguaglianza fra i generi Luisella Pavan-Woolfe evidenziò all’interno della sua relazione la situazione di divario fra la donna e l’uomo nel panorama lavorativo europeo. Gli uomini possedevano circa il doppio delle probabilità di occupare incarichi manageriali rispetto alle donne e circa il triplo di probabilità quando si parlava di alti dirigenti. Nel 2000 il 10% degli uomini occupati in Europa ricoprivano cariche dirigenziali contro il 5,5% delle donne. Sempre nello stesso anno solo lo 0,5% delle donne lavorava con la qualifica di “Amministratore o presidente o direttore generale” contro l’1,5% degli uomini.I dati forniti da Eurostat per verificare i cambiamenti nelle posizioni manageriali dimostrano che a livello dell’EU-25 la ripartizione tra le donne e gli uomini è variata leggermente (nel 2000 la percentuale di donne managers era il 30,6% mentre nel 2005 era del 32,2% registrando in cinque anni solo un incremento di 1,6 punti percentuali, mentre variazioni più consistenti si riescono ad individuare nelle situazioni dei singoli paesi come l’Italia che passa dal 17,3% di donne managers nel 2000 (di ben 13,3 punti al di sotto della media europea) al 31,9% nel 2005 (riducendo la differenza con la media europea a un –0,3 punti percentuali).

15 Ministero per le Pari Opportunità (2004), “Le donne nei processi decisionali politici ed economici”, E. Romeo Editore, Siracusa.

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Managers negli Stati membri dell’Unione EuropeaSuddivisione per sesso – Anni di riferimento 2000 e 2005

NB : Per Managers si intendono le persone così come classificate in ISCO 12 e 13.Per Italia : Cambio metodo di catalogazione dati. Per la Romania : Non ci sono dati nel 2000Fonte : Eurostat, Labour Force Survey (LFS).

Managers suddivisi per sesso negli Stati membri dell’Unione Europea – valori percentualiAnni 2000 e 2005

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Managers suddivisi per sesso negli Stati membri dell’Unione Europea – valori percentuali

Anni 2000 e 2005

NB: Managers sono persone classificate secondo i criteri Isco 12 e 13.

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), spring data

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Managers negli Stati membri dell’Unione Europea

Suddivisione per sesso – Anni di riferimento 2000 e2005

NB : Per Managers si intendono le persone così come classificate in ISCO 12 e 13.

Per Italia : Cambio metodo di catalogazione dati. Per la Romania : Non ci sono dati nel 2000

Fonte : Eurostat, Labour Force Survey (LFS).

NB: Managers sono persone classificate secondo i criteri Isco 12 e 13.Fonte: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), spring data

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1.4.2 Le evidenze di Eurocadres

Il Consiglio dei quadri europei16, differenziandosi da quanto considerato da Eurostat e dall’Unione Europea, considera ai fini dell’appartenenza alla qualifica di Manager una serie di riferimenti distintivi e comportamenti comuni. Due di questi elementi vengono definiti come di particolare significatività: quello del livello superiore di istruzione e quello di possesso di specifiche competenze per l’esercizio delle responsabilità professionali. Pone quindi come base l’utilizzo delle referenze per la definizione internazionale di Quadri così come stabilite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). La “raccolta dei principi e delle buone pratiche riguardanti le condizioni di impiego e di lavoro dei lavoratori intellettuali” adottato nel 1978 dal Consiglio d’Amministrazione dell’ILO definisce lavoratore intellettuale (o “cadres”) chi possiede entrambe le seguenti caratteristiche: a) è in possesso di una formazione professionale di livello superiore o chi possiede un’esperienza riconosciuta equivalente in un ambito scientifico, tecnico o amministrativob) esercita, in qualità di lavoratore dipendente, funzioni a prevalente carattere intellettuale, che comportano l’applicazione a un elevato grado delle facoltà di giudizio e di iniziativa e che implicano un livello relativamente elevato di responsabilità.Una nozione, quella dell’ILO che comprende perciò egualmente ogni lavoratore rispondente alle due caratteristiche che ha, per delega del datore di lavoro e sotto la sua autorità, la responsabilità di prevedere, dirigere, controllare e coordinare le attività di una parte dell’ impresa o di una organizzazione, con il potere di direzione e di gestione corrispondente, con l’esclusione degli amministratori unici e degli amministratori delegati ai quali è conferita una delega di ampiezza ancor maggiore. Ritornando al Consiglio dei quadri europei, chiamato con la sigla internazionale di Eurocadres, dopo aver premesso in merito alle consuete e già discusse difficoltà comparative, di recente ha pubblicato i suoi studi e le percentuali dei Quadri suddivisi tra donne e uomini secondo la fonte EuropeSource di Eurocadres 2003. Il dato, riferito all’indice forza lavoro 2002 e perciò avente come base di analisi l’UE a 15, evidenzia come la proporzione media delle donne Quadro nelle categorie ISCO 1 e ISCO 2 sia del 41,4% con la specifica che ISCO 1 (managers) include solo il 29,7% di donne, mentre ISCO 2 (professionisti) arriva al 46,5% di donne. 16 Council of European Professional Managerial Staff - http://www.eurocadres.org

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EU-15: Professional and managerial staff (P&MS) occupati per genere. Anno 2002

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Thousand employees Women Men Total

ISCO1: Managers 2318 29,7% 5475 70,3% 7793

ISCO2: Professionals 8109 46,5% 9312 53,5% 17421

Total(Managers+Professionals)

10427 41,4% 14787 58,6% 25214

Fonte: EUROCADRES 2003

1.5 STUDI E RICERCHE IN ITALIA E IN AMBITO VENETO

1.5.1 Il focus italiano di Federmanager

Sulla disparità retributiva dirigendo l’attenzione sulla situazione italiana, è utile inserire quanto esposto da Federmanager, la federazione nazionale dei dirigenti aziende industriali, all’interno del suo rapporto sui trattamenti economici e i processi di sviluppo dei dirigenti delle piccole e medie imprese17.Le donne managers, nelle medie aziende industriali, percepiscono una retribuzione fissa inferiore a quella degli uomini di circa il 20% mentre prendendo in considerazione la parte variabile (incentivi, bonus, partecipazione agli utili, ecc), le differenze risultano essere ancora maggiori (circa il 30% in meno). L’indagine dal titolo “Retribuzioni & benefit 2005, sesta indagine sui trattamenti economici e processi di sviluppo dei managers delle pmi industriali” condotta nel 2005 su un campione di 321 aziende, con un totale di oltre 73.000 dipendenti di cui 2.190 dirigenti, mette in rilievo come l’incidenza percentuale delle donne sul totale dei dirigenti abbia registrato una leggera flessione rispetto all’anno precedente (da 6,1% a 5,6%). “Questo dato - ha sottolineato Giorgio Ambrogioni, direttore generale di Federmanager - è motivato da una maggiore partecipazione di aziende di piccole dimensioni nelle quali la dirigenza è costituita quasi esclusivamente da uomini”. La retribuzione annua media 2005 delle donne, dice ancora Federmanager, è stata pari a 76.932 euro, contro quella degli uomini risultata pari a 92.824 euro. Anche i bonus e gli aumenti retributivi seguono la stessa tendenza: le donne hanno avuto una quota variabile pari a 12.959 euro contro quella degli uomini pari a 16.837 euro. A fronte di aumenti extracontrattuali pari a 6.716 euro percepiti

17 Federmanager, “Retribuzioni & benefit 2005, sesta indagine sui trattamenti economici e processi di sviluppo dei manager delle pmi industriali”, dicembre 2005. La pubblicazione è anche scaricabile dal sito http://nazionale.federmanager.it.

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dall’intero campione, le donne managers hanno ottenuto aumenti medi pari a 5.915 euro. Fortemente significativo è anche il confronto tra uomini e donne per aree funzionali: un direttore generale donna guadagna il 28,1% in meno di un uomo, un direttore amministrativo il 18,5% in meno e un direttore delle risorse umane il 15% in meno. Solo nell’area commerciale la retribuzione di una donna manager è di poco inferiore a quella di un collega uomo (-8%), mentre la quota variabile è addirittura superiore (+4,3%). Sempre Federmanager ha realizzato nel 2005 un’altra indagine, dal titolo specifico “Donne e manager un binomio possibile”, che riporta l’elaborazione delle risposte di 1200 donne ricoprenti posizioni dirigenziali in azienda. Per realizzare la ricerca era stato progettato un apposito questionario articolato in quattro sezioni: la Persona – la Famiglia – la Carriera – le Relazioni permettendo così confronti tematici evolutivi o involutivi Anche sulla base di uno studio simile svolto da Federmanager nel 2000. A consuntivo, a livello nazionale, viene così tracciato statisticamente l’identikit della donna manager nel settore industria. Il profilo professionale che emerge dai risultati della ricerca mette in evidenza una donna in carriera, nel 71,5% dei casi laureata, con una età media di 46,5 anni e con un’anzianità aziendale media di 13,1.Importante, ai fini del profilo personale il fatto che il 17,8% delle donne managers oggetto dell’indagine risulta essere libera da un impegni familiari coniugali o di convivenza (nel questionario, forse semplicisticamente, sono state classificate come singles) e il 43,7% non possiede figli. Interessante la suddivisione dei dati per aree funzionali di attività svolte all’interno dell’aziendale che evidenzia notevoli disparità di profilo personale. Le donne ricoprenti ruoli di direzione commerciale arrivano, pur con un’età media intorno ai 48,1 anni, a dichiararsi single per una percentuale che arriva al 38,5%. Altro dato significativo espresso dall’elaborazione dei dati è relativo all’individuazione dell’opportunità lavorativa manageriale. Il 32,5% delle donne managers ha dichiarato che la sua assunzione è derivata da iniziative personali mentre il 38,5% ha dichiarato che è stata agevolata da conoscenze. Solo il restante 30% è stato assunto a seguito di risposta ad annunci o attraverso la selezione da parte di società di consulenza. Infine il 30% delle donne managers oggetto del campione è stato assunto già con la qualifica di dirigente, mentre il restante 70% è stato promosso successivamente.

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Le considerazioni finali espresse da Federmanager nello studio, e che trovano sintonia con le valutazioni svolte dalle altre ricerche, riconoscono l’esistenza di oggettivi ostacoli che limitano l’affermazione delle donne nell’ambito lavorativo. Queste difficoltà sono ascrivibili nel 75% dei casi agli impegni familiari. Per poterne dare una minore incidenza le dirigenti stesse chiedono l’applicazione di ben conosciute soluzioni quali l’istituzione di asili nido in prossimità dell’azienda e l’assistenza domiciliare per i figli minori e per gli anziani.Questi provvedimenti che risultano già adottati da alcune grandi aziende sono però di difficile applicazione, per la quantità di risorse economiche e finanziarie necessarie alla loro realizzazione, dalle piccole e medie imprese, che rappresentano invece la base del tessuto produttivo italiano.Per agevolare lo svolgimento dei propri impegni familiari le managers propongono anche altre soluzioni quali: la riduzione dell’orario di lavoro, una maggiore diffusione del part time, il telelavoro e una maggiore flessibilità dell’orario lavorativo. Risulta però evidente che tali soluzioni risultano in forte contrasto con il ruolo manageriale italiano18 che richiede invece una presenza in azienda e una disponibilità costante soprattutto per la gestione ed il controllo dei propri collaboratori.Infine, sempre all’interno delle conclusioni, si evidenzia il fatto che il 66% delle managers sostiene che, seppure non in maniera evidente, sussistano ancora oggi all’interno delle loro realtà di impresa delle oggettive discriminazioni e disparità di trattamento nei confronti delle donne dirigenti da parte dei vertici aziendali costituiti prevalentemente da uomini. Le principali conferme a supporto di questa tesi sono: il limitato numero di donne dirigenti all’interno delle strutture, la diversa valutazione dell’attività lavorativa attuata da parte dei superiori nei confronti delle donne rispetto ai giudizi riservati agli uomini nonché i livelli retributivi inferiori rispetto a quelli percepiti dalla figura manageriale maschile. A tale proposito viene inoltre resa evidente la critica svolta dalle donne managers in merito alla mancanza di sistemi oggettivi per la valutazione delle performances. In definitiva si ritrova l’opinione anche nelle rispondenti all’indagine di Federmanager che ci sia sempre e comunque la tendenza aziendale a sminuire l’operato delle donne, alle quali è richiesto un maggiore sforzo e un maggiore sacrificio personale e professionale per ottenere i medesimi risultati di carriera dei colleghi maschi. 18 In altri paesi del mondo la figura manageriale opera maggiormente su obiettivi. Non è pertanto necessaria una presenza costante in azienda ma la capacità organizzativa e professionale di ogni singolo nell’arrivare al target prefissato

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Italia: Profilo della donna manager per area funzionale di attività. Anno 2005

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Fonte: Federmanager 2005

1.5.2 Le donne imprenditrici nel Veneto a metà degli anni novanta

Proseguendo con l’individuazione delle ricerche e degli studi svolti recentemente sul tema della donna nel ruolo apicale d’impresa, troviamo interessante lo studio realizzato sulla donna imprenditrice nel Veneto. Tale indagine, che ha dato poi come risultato una pubblicazione dal titolo “Le imprenditrici venete. Misura e problematiche nello sviluppo del nord-est” curata da Marco Campione e Giovanni Penzo19, riporta e analizza i dati di 19 Campione M. e Penzo G. (a cura di) (1998), “Le imprenditrici venete”, FrancoAngeli, Milano

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una ricerca quantitativa e qualitativa della realtà imprenditoriale femminile. Lo studio condotto nel Veneto tra il 1995 e il 1997 pone l’attenzione sul fatto che i media continuino ad attribuire una responsabilità per lo più maschile per la crescita avvenuta in quella che viene considerata l’area a più alta velocità di sviluppo del nostro paese. Ed è così che Maria Trentin allora Presidente della Commissione regionale per la realizzazione delle Pari Opportunità tra uomo e donna in un documento di prefazione dichiara doveroso porre l’accento non solo sulle titolari ma anche sull’alta percentuale di collaboratrici più o meno “esplicite”20 e sulla difficoltà, fatta emergere dalle stesse imprenditrici con le risposte al questionario, nel conciliare i tempi lavorativi con i tempi della famiglia.Questa indagine, seppur svolta oltre dieci anni fa, si rivela però essere un interessante punto di osservazione di un sistema che, alla continua ricerca di un allineamento economico competitivo con gli scenari globali, troppo spesso si dimentica o trascura la cura dei fattori sociali e dei suoi mutamenti. Per quanto riguarda i dati, le risposte pervenute al questionario sottoposto alle imprenditrici sono giunte per il 46% dal settore industria, per il 32% dal commercio, per il 15% dai servizi e solamente un 7% dall’agricoltura. Oltremodo importante evidenziare che il database sul quale si era svolta la ricerca del campione era stato creato con la collaborazione di quasi tutte le associazioni di categoria comprendendo Confindustria, Api, Cna (Confederazione Nazionale dell’Artigianato) e FRAV (Federazione Regionale Artigianato Veneto), Ascom - Confcommercio, Confederazione Italiana Agricoltori e Federazione Regionale degli Agricoltori del Veneto e Lega Nazionale delle Cooperative del Veneto.Il profilo delle imprenditrici che ne derivava era quello di un’età media di 42 anni (il 10% aveva meno di 30 anni, il 36% tra i 30 e i 39 anni, il 30% tra i 40 e i 49 anni, il 18% tra i 50 e i 59 anni e il 6% oltre i 59 anni) con un titolo di studio maggiormente conseguito di Scuola media Superiore (medie inferiori il 26%, diploma scuola media superiore il 60% e laurea il 14%). Infine, dall’analisi delle risposte date dalle imprenditrici al questionario rispetto allo stato civile, emergeva che il 72% erano per lo più sposate, mentre le restanti (28%) erano così suddivise: 15% nubili, 6% separate e 7% vedove.Interessante, ma manca il confronto con l’imprenditore, il dato quantitativo rispetto al tempo medio dedicato alla qualità della vita e più specificatamente al lavoro di cura21. Questo ammontava 20 La frase è citazione di quanto scritto nella prefazione del libro così come il termine “esplicite” appare già in origine virgolettato. 21 Vedi paragrafo “Lavoro di cura” pag. 81 op.cit..

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complessivamente a circa 92,5 ore al mese (ovvero più di 3 ore al giorno, considerando tutti i giorni). Di queste ore, circa 85 erano dedicate alla cura dei conviventi, in particolare ai figli ed al partner in maniera così suddivisa: 51,4 ore ai figli, 30 ore al partner, 3,3 ore ai genitori e/o suoceri e 0,3 ore ad altri. Il tempo complessivamente dedicato dall’imprenditrice per attività ludiche e culturali in senso stretto cioè escludendo le letture legate alla professione e alla televisione guardata per dovere di famiglia, ammontava a circa 65 ore al mese.In conclusione, tutti i dati sono utili a dipingere una imprenditrice tutto sommato simile alla figura già disegnata sui generis della donna manager. Ma se da una parte il campione dei risultati ottenuti da questo studio risultava essere in linea con le percentuali statisticamente fornite dall’Istat a livello nazionale, dall’altra dobbiamo ricordare e dare rilevanza anche all’ingente numero di questionari sottoposti alle imprenditrici venete e rimasti però senza risposta22. Inoltre, i questionari restituiti non sempre hanno dimostrato una completezza. E’ il caso delle domande sulle difficoltà riscontrate all’inizio dell’attività imprenditoriale che hanno avuto ottenuto una “non risposta” vicina al 40%.

1.5.3 La ricerca di Manageritalia

Nel giugno 2007, quasi dieci anni dopo l’indagine sulle imprenditrici nel Veneto è stata presentata da Daniela Zangara, una responsabile di Manageritalia23, una ricerca da lei condotta con la supervisione di docenti dell’Università di Padova avente come titolo “la Leadership delle Donne: Indagine nel Nord-Est” e come soggetto di indagine i managers di ambo i sessi iscritti all’associazione nella regione Veneto. L’indagine rispetto a quella curata da Campione e Penzo, da una parte ne va a complemento (intendendo l’analisi delle due figure staccate dell’imprenditore e del dirigente) e dall’altra pone però un focus su di un nuovo ruolo dirigenziale, accettato e ricercato dalle aziende. Bisogna infatti ricordare e considerare che talvolta le donne diventano imprenditrici per una necessaria rivalsa nei confronti di

22Nel profilo delle imprese appartenenti al campione analizzato si rende noto che da un universo di 1300 imprenditrici contattate sia mediante invio del questionario, sia direttamente nella fase di integrazione correttiva si è ottenuto un campione di 179 elementi, a significare che solamente il 14% delle persone contattate ha fornito i dati richiesti utilizzati poi come base per lo studio. 23 Manageriltalia è un organismo associativo rappresentante degli interessi di quadri, dirigenti e professionals operanti nell’area del terziario, comprendendo in essa il settore commercio, trasporti, turismo, servizi e terziario avanzato.

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capacità personali che non vengono ben accettate e/o assorbite dalle realtà imprenditoriali esistenti sul territorio. Una essenza della capacità professionale che applica il famoso auto-consiglio “Non ti vogliono? Fagli vedere di cosa sei capace facendo una società tutta tua!”. Se l’indagine prende in esame le manager incluse nel sistema non prende però in considerazione quelle escluse e le loro scelte professionali successive.L’obiettivo dell’inchiesta era quello di analizzare il percorso delle alte professionalità aziendali e di comprendere quali erano le difficoltà e gli ostacoli che le donne incontravano durante la loro carriera lavorativa, se vi erano stati dei cambiamenti nei modelli culturali e quale fosse la percezione di tali cambiamenti da parte di uomini e donne managers. Il processo di ricerca è iniziato a giugno 2006 ed il questionario è stato spedito nel periodo a cavallo tra il 2006 e il 2007 a 346 managers iscritti nelle sedi territoriali dell’associazione, e più precisamente in quelle di Padova, Trento, Trieste, Venezia e Verona. Il campione, e da qui l’elemento di particolar interesse, visto l’obiettivo della ricerca, ha visto coinvolti in eguale numero, 173, i dirigenti uomini e le dirigenti donne. All’invio dei questionari ne sono stati restituiti 197, con un tasso di risposta del 57%. Dato che viene suddiviso percentualmente tra quello degli uomini pari al 73% e quello delle donne pari al 37%. Una percentuale complessivamente elevata che può spingere a delle prime riflessioni e considerazioni sulla percepita e attuale importanza del tema. Altro elemento che permette di validare ulteriormente l’indagine è quello che indica nel ridotto 3% il numero dei managers che possiede rapporti di parentela con la proprietà dell’azienda in cui lavora. Managers che potrebbero, per la loro natura, possedere esperienze e punti di vista diversi da quelli percepiti dal mero dirigente-dipendente. Lo studio è stato suddiviso in sezioni; Due di queste risultano, di interesse per la nostra analisi in una prospettiva di confronto sia evolutivo che caratterizzante l’attività professionale. La prima ricostruisce i percorsi scolastici e lavorativi dei managers andando a indagare sui motivi di soddisfazione/insoddisfazione nel lavoro e sui fattori che favoriscono o ostacolano gli avanzamenti di carriera. La seconda sezione è stata dedicata alla vita familiare e comunque extra-lavorativa.

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Partendo dal percorso scolastico si nota che in media il 49% degli intervistati ha conseguito una laurea con una sostanziale parità tra managers donne e uomini.La maggiore distinzione sopraggiunge con il post lauream quando il 18% delle donne intervistate dichiara di aver conseguito anche una specializzazione contro il 12,5% degli uomini. Per quanto riguarda il percorso professionale sostanzialmente si equivale tra uomini e donne con un’età media di ingresso nel mercato del lavoro di 21 anni se in possesso del diploma e 26 anni se in possesso del titolo di laurea.Entrambi partono da posizioni impiegatizie medio-alte e l’età media della prima nomina a manager è di 35,5 anni (35 per le donne – 36 per gli uomini). Le differenze cominciano a manifestarsi nuovamente con l’attenzione ai fattori di criticità di cui si parla sin dall’inizio del presente capitolo. Un 28% delle intervistate lamenta che il rientro in azienda dopo il periodo di maternità ha determinato per loro una “perdita di ruolo e di influenza” e un “ristagno della carriera e del trattamento economico”. Le donne risultano inoltre ancora sottorappresentate tra il top management. Il 16% dei managers ricopre la carica di direttore generale, amministratore delegato o presidente ma è il 10% del totale delle managers donne che ricopre tale ruoli mentre per gli uomini si arriva al 19%. Per quanto riguarda la direzione commerciale, marketing e servizi commerciali è il 31% del totale dei managers uomini che ricopre tali posizioni mentre per le donne managers sono solo il 20%. Importante anche il dato rispetto alla dimensione aziendale. Il 32,1% delle intervistate contro il 19,8% dei colleghi lavora in aziende con più di 500 dipendenti. Il 23,2% delle managers lavora in aziende fino ai 15 dipendenti, il 19,6 in quelle comprese tra i 16 e i 49 dipendenti e il 17,8% in aziende tra i 50 e i 99 dipendenti. E’ però fatta evidenza che tra le aziende di piccole dimensioni fino a 15 dipendenti alcune24 risultano essere filiali italiane di una multinazionale e questo potrebbe in parte giustificare l’elevata percentuale rispetto ai noti pregiudizi della piccola imprenditorialità del nord-est sulla managerialità femminile.Infine, come dato significativo rispetto alla prima sezione, l’aspetto prettamente economico. I managers iscritti a Manageritalia del Nord-Est percepiscono redditi che superano i 90.000 euro lordi all’anno ma, pur a parità di qualifica, le donne in media non arrivano a 80.000 euro, mentre 24 All’interno dell’elaborato non compare il dato preciso ma si è ritenuto anche qui doveroso citare l’evidenza e la dicitura così come riportata nel documento originale.

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gli uomini si avvicinano ai 100.000 euro all’anno. Gli uomini che superano i 100.000 euro sono il 40%, le donne il 20%. Il divario tra la retribuzione di uomini e donne managers risulta considerevole a parità di qualifica. Se quindi, la prima sezione riporta dati afferenti ai risultati ottenuti dalle donne, è però la seconda, quella afferente alla vita privata, che ci permette, come consuetudine, di dedurne i fattori causali. Risultano così evidenti le forti discrasie. Le donne e gli uomini managers sono in larga parte coniugati, ma gli uomini fanno registrare una percentuale più alta, l’88%, a fronte delle donne, 51%. Le donne risultano separate o divorziate nel 10% dei casi, mentre la percentuale relativa agli uomini scende al 5%. Una attenzione particolare va rivolta al dato dei figli che, così come emerso in quasi tutte le ricerche citate, risulta essere un fattore di ostacolo al fine del raggiungimento di posizioni manageriali e apicali in azienda. In questa indagine il 26,7% delle donne managers ha risposto che le responsabilità di famiglia sopravvenute sono state la causa di ostacolo e/o di rallentamento di carriera. Inoltre, essendo questo non uno studio sulla condizione lavorativa della donna ma un’indagine sulle donne managers, ovvero su quelle delle donne che la carriera sono riuscita comunque a farla, è di grande importanza sottolineare che il 46% delle donne managers non ha figli contro solamente il 14% dei colleghi. Tra coloro che hanno figli la maggioranza degli intervistati ha un unico figlio, ma il 50% circa degli uomini coniugati o conviventi ne ha due, contro il 18% delle donne. Il 35% dei dirigenti ha affidato la cura dei figli all’asilo nido o alla scuola, il 20% alla baby sitter ma, soprattutto, ci si avvale del prezioso aiuto dei nonni per il 28%. Un dato significativo aggiuntivo è che il 23% degli uomini managers dichiara che è soprattutto la compagna ad occuparsi dei figli, cosa che non sembra avvenire a specchio nella controparte manageriale femminile. Infine, per la gestione del lavoro domestico, le donne ricorrono nel 50% dei casi all’ausilio di una colf part-time e in buona percentuale (28%) vi provvedono personalmente o con l’aiuto del partner (13%), mentre solo il 4% dei managers uomini si interessa della gestione della casa lasciando che siano le compagne ad occuparsi di queste mansioni per il 60% dei casi. Ultima nota, necessaria, essendo questa ricerca svolta in seno a Manageritalia, quella che le donne costituiscono solo il 12% per cento degli iscritti di una Associazione dirigenziale.

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Veneto: Rallentamento di carriera a causa di difficoltà/ostacoli incontrati (valori %). Anno 2007

Fattori Donne Uomini Totale

Risposta diretta

Sì 66,67% 66,67% 66,67%

No 33,33% 33,33% 33,33%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Se sì i motivi che l'hanno determinato:

Scarsa motivazione personale 0,00% 4,55% 1,92%

Preparazione/formazione inadeguata 6,67% 0,00% 3,85%

Forme di discriminazione da parte dei vertici aziendali 63,33% 86,36% 73,08%

Forme di discriminazione da parte dei colleghi 3,33% 9,09% 5,77%

Responsabilità familiari 26,67% 0,00% 15,38%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Maggiori difficoltà Donne Uomini Totale

Pregiudizi da parte dei superiori 10,61% 6,04% 7,65%

Pregiudizi da parte dei colleghi 2,79% 1,81% 2,16%

Minore disponibilità ad "orari lunghi" 29,05% 29,31% 29,22%

Problemi di organizzazione del tempo 24,02% 24,47% 24,31%

Assenza di strutture per l'infanzia 14,53% 12,99% 13,53%

Difficoltà relativa all'affidamento dei figli 18,99% 23,56% 21,96%

Disaccordo con il partner 0,00% 1,51% 0,98%

Nessuna 0,00% 0,30% 0,20%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Fonte : La leadership delle donne, Zangara

Veneto: Difficoltà della donna rientrando al lavoro dopo la maternità (valori %). Anno 2007

Fattori Donne Uomini Totale

Risposta diretta

Sì 66,67% 66,67% 66,67%

No 33,33% 33,33% 33,33%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Se sì i motivi che l'hanno determinato:

Scarsa motivazione personale 0,00% 4,55% 1,92%

Preparazione/formazione inadeguata 6,67% 0,00% 3,85%

Forme di discriminazione da parte dei vertici aziendali 63,33% 86,36% 73,08%

Forme di discriminazione da parte dei colleghi 3,33% 9,09% 5,77%

Responsabilità familiari 26,67% 0,00% 15,38%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Maggiori difficoltà Donne Uomini Totale

Pregiudizi da parte dei superiori 10,61% 6,04% 7,65%

Pregiudizi da parte dei colleghi 2,79% 1,81% 2,16%

Minore disponibilità ad "orari lunghi" 29,05% 29,31% 29,22%

Problemi di organizzazione del tempo 24,02% 24,47% 24,31%

Assenza di strutture per l'infanzia 14,53% 12,99% 13,53%

Difficoltà relativa all'affidamento dei figli 18,99% 23,56% 21,96%

Disaccordo con il partner 0,00% 1,51% 0,98%

Nessuna 0,00% 0,30% 0,20%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Fonte : La leadership delle donne, Zangara

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Considerazioni finali di capitolo

Le diverse ricerche e gli importanti studi sin qui citati giungono tutti nelle conclusioni a proporre degli strumenti e degli interventi per promuovere la “maggiore” pari opportunità.Partendo dalla considerazione comune che il cambiamento per essere attuato dovrà necessariamente agire su di una molteplicità di fattori, viene proposto quasi all’unanimità, come scelta di fatto obbligata, l’intervento congiunto e concertato nei seguenti tre ambiti:

- Cultura. Si tratterebbe di agire sugli stereotipi sociali esistenti, e purtroppo radicati, attraverso l’attuazione di un modello di cambiamento che possa essere efficace e realmente d’impatto sul sistema non basandosi però unicamente sulla normativa. In questo senso spetterà esserci in primis da parte delle donne l’acquisizione di una maggiore sicurezza e della capacità di valorizzare adeguatamente le proprie potenzialità. A complemento, non di secondaria importanza, l’abbandono dei clichè sulle differenze in genere e una maggiore condivisione tra uomini e donne degli impegni all’interno della famiglia supportata da un processo educativo e formativo di base. - Visibilità. Le esperienze professionali e i risultati ottenuti dalle donne in ambito lavorativo molto spesso passano inosservati mentre è necessario renderli ben evidenti per favorire un processo di “femminilizzazione” nel lavoro manageriale. In aggiunta sul tema vengono proposte: la creazione di vivai “rosa”, di banche dati specifiche dei profili professionali e la formazione di network professionali al femminile.- Organizzazione. L’organizzazione all’interno delle aziende dovrebbe agire nell’indirizzo di una maggiore applicazione di politiche di conciliazione che permettano alla donna di vivere e gestire altri ruoli, senza dovervi rinunciare, all’interno della vita privata e della famiglia. Vengono proposte perciò l’adozione di misure di flessibilità e di facilitazione nelle modalità di ri-contrattazione lavorativa attuabili sull’orario e sul percorso di carriera in conciliazione di esigenze sopravvenute. Fanno parte di questo ambito molte iniziative aziendali ben conosciute ma raramente applicate, se non dalle grandi aziende, quali: l’elasticità dell’orario lavorativo, il telelavoro, la nursery aziendale, il doposcuola, i servizi di counselling per problemi di famiglia, indennità varie connesse alla famiglia, borse di studio e stage aziendali per i figli, il supporto e l’aggiornamento al

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rientro da un congedo, la garanzia al mantenimento del ruolo professionale nelle alte qualifiche.

E’ chiaro, quindi, che singoli interventi possono portare a una risoluzione solo parziale del problema delle “pari opportunità”. Inoltre, risulta difficile applicare l’idea di una diversa organizzazione da parte delle piccole e medie imprese qualora esse non decidano di prendere in considerazione l’ipotesi di affidare l’applicazione dei nuovi servizi a una “sinergia” di gruppo. Solamente un raggruppamento di piccole e medie imprese potrebbe trovare le risorse per una “nursery” aziendale comune. Bisogna però rendersi conto che, volendo usare una metafora, per ottenere una buona torta non sono necessari solo tutti gli ingredienti ma è anche necessario procedere con il giusto dosaggio di ognuno di essi e la giusta tempistica di cottura. Un “assemblaggio” sbagliato di essi potrebbe fornire come risultato un dolce immangiabile.

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FederManager – Federazione Nazionale Dirigenti Aziende Industrialihttp.//nazionale.federmanager.it

Ilo – International Labour Organizationhttp://www.ilo.org

Isfol – Istituto per la sviluppo della formazione professionale dei lavoratorihttp://www.isfol.it

Istat - Istituto Nazionale di Statisticahttp://www.istat.it

Manageritaliahttp://www.manageritalia.it

Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per i diritti e le pari opportu-nità.http://www.pariopportunita.gov.it

Progetto Veneto Equal – Direzione Regionale Lavorohttp://www.equalveneto.it

Regione del Venetohttp://www.regione.veneto.it

Unioncamere del Venetohttp://www.unioncameredelveneto.it