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CAPITAL ASSET PRICING MODEL DI ANDREA MARIANI L’oggetto del presente articolo è l’approfondimento del modello noto come Capital Asset Pricing Model, abbreviato in CAPM. Il modello in questione è il modello di asset pricing degli strumenti finanziari (quali azioni, derivati, fondi comuni, future, etc.) e per estensione dei portafogli, oggi molto utilizzato perché ritenuto il più valido ed attendibile. L’intuizione su cui è fondato il modello è la seguente: attraverso il CAPM si cerca di prevedere il rendimento di equilibrio di un determinato asset. In particolare, si vuol conoscere quale sarà il “premio per il rischio” dell’investimento. Con premio per il rischio si intende il maggiore rendi- mento che l’investimento rischioso preso in considerazione offre, rispetto ad un titolo privo di rischio che solitamente è rappresentato da un titolo di stato, come ad esempio i buoni ordinari del tesoro. Quando si utilizza il CAPM, per verificare il prezzo di un investimento rischioso, il rischio viene suddiviso in due categorie: rischio diversificabile e rischio non diver- sificabile. Il rischio non diversificabile è quella parte di rischio che non può essere eliminata a causa della natura stessa dell’investimento ed è la sola parte di rischio che viene presa in considerazione. 33

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CAPITAL ASSET PRICING MODEL

DI ANDREA MARIANI

L’oggetto del presente articolo è l’approfondimento del modello noto come Capital Asset Pricing Model, abbreviato in CAPM. Il modello in questione è il modello di asset pricing degli strumenti finanziari (quali azioni, derivati, fondi comuni, future, etc.) e per estensione dei portafogli, oggi molto utilizzato perché ritenuto il più valido ed attendibile.

L’intuizione su cui è fondato il modello è la seguente: attraverso il CAPM si cerca di prevedere il rendimento di equilibrio di un determinato asset. In particolare, si vuol conoscere quale sarà il “premio per il rischio” dell’investimento. Con premio per il rischio si intende il maggiore rendi-mento che l’investimento rischioso preso in considerazione offre, rispetto ad un titolo privo di rischio che solitamente è rappresentato da un titolo di stato, come ad esempio i buoni ordinari del tesoro. Quando si utilizza il CAPM, per verificare il prezzo di un investimento rischioso, il rischio viene suddiviso in due categorie: rischio diversificabile e rischio non diver-sificabile. Il rischio non diversificabile è quella parte di rischio che non può essere eliminata a causa della natura stessa dell’investimento ed è la sola parte di rischio che viene presa in considerazione.

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L’obiettivo dell'articolo è cercare di analizzare il modello CAPM in ogni sua componente e unire la maggior parte delle informazioni sul mo-dello che sono frammentate in molti manuali e articoli di giornali specia-lizzati o della Banca d’Italia. Studiando l’argomento durante il corso di “Fi-nanza Aziendale” mi è sembrato subito evidente che fosse un tema molto più ampio di quanto scritto nel manuale. Per questo sono stato contento di poter approfondire lo studio del modello, andando ben oltre la mera formula applicativa a cui viene spesso ridotto.

Il lavoro è così organizzato: In un primo momento saranno proposti dei cenni storici su come

si è sviluppato il modello e con vari riferimenti alla teoria della frontiera efficiente, che si trova alla base del modello, e i dieci assunti sulle quali si fonda.

In secondo luogo verrà presentata l’equazione del CAPM, si analiz-zerà dal punto di vista matematico il parametro Beta, il quale è la compo-nente con un peso preponderante a livello di impatto sul risultato finale.

In seguito si approfondiranno le determinanti del Beta e quindi l’impatto dei fattori esogeni e dei fattori endogeni all’impresa sul modello e di come si possano limitare gli impatti negativi.

Nella quarta parte si è deciso di approfondire quanto sta all’origine del modello, gli stimatori, e di come si possa scegliere fra questi per avere un risultato migliore partendo dalla fonte più appropriata.

Infine, si vedranno le applicazioni del modello e di come esso sia un criterio di ammissibilità per i progetti, a livello aziendale operativo o a livello finanziario, e parametro per altri modelli.

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Cenni storici e ipotesi del Modello

Una delle questioni fondamentali nel campo della finanza è come il rischio di un investimento finanziario influenzi il suo rendimento atteso. Il Capital Asset Pricing Model, che verrà abbreviato in CAPM, è un primo modello proposto da William Sharpe in un contributo del 19641 che cerca di rispondere a questa domanda.

Il CAPM è basato sull’idea che non tutti i rischi vadano ad influenz-are il rendimento atteso degli investimenti rischiosi. Il rischio può essere distinto in rischio diversificabile e rischio non diversificabile: il rischio di-versificabile è quel rischio che può essere eliminato costruendo un porta-foglio composto da vari asset fra loro non correlati, mentre il rischio non diversificabile è quel rischio che non può essere eliminato in alcun modo a causa della natura degli investimenti stessi (si parla infatti di investimenti rischiosi) ed è la parte di rischio che viene preso in considerazione quando si utilizza il CAPM.

L’idea alla base del CAPM è la diversificazione degli investimenti, creare cioè un portafoglio composto da diversi investimenti in modo da ridurre il rischio. Markowitz2, nel 1952, dimostrò come i benefici della di-versificazione dipendono dalla correlazione fra i vari investimenti presi in considerazione. La correlazione è un indice che varia tra -1 e 1.(1.1)

1 Shape, W., 1964, “Capital Asset Price: a theory of market equilibrium under conditions of risk”,Journal of Finance vol.19, n.3, 425-442

2 Markowitz,H., 1952, “Portfolio Selection”, Journal of Finance vol.7, 77-99

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Quando si attesta sull’1 significa che i due investimenti sono per-fettamente correlati in modo positivo: variano nella stessa maniera e nella stessa proporzione; se uno aumenta del 3% anche l’altro aumenta dello stesso valore e viceversa. Quando l’indice di correlazione è -1 significa che i due asset sono correlati negativamente e cioè, quando uno aumenta, l’altro diminuisce e lo fanno in proporzioni uguali. Quando la correlazione è uguale a zero, i due investimenti non sono correlati e quindi conoscere la variazione di uno non aiuta a capire come varierà l’altro.

Il caso più interessante, per capire l’importanza della diversificazi-one e soprattutto della correlazione, è quando |ρ|<1 e quindi le attività non sono perfettamente correlate. La deviazione standard del portafoglio, parametro che viene utilizzato come misura per il rischio, è sempre in-feriore alla media della deviazione standard dei singoli investimenti. Ciò significa che il rischio del portafoglio è sempre inferiore alla media degli investimenti presi singolarmente.

La diversificazione, quindi, provoca una riduzione del rischio ma non una perdita nei guadagni attesi. Generalmente esistono molte com-binazioni di asset con lo stesso rendimento atteso ma con diversa rischio-sità e, viceversa, molte combinazioni di attività con diverse rischiosità ma con gli stessi rendimenti attesi.

Utilizzando una tecnica di ottimizzazione, si riesce a costruire quella che Markowitz3 ha chiamato la frontiera efficiente. La frontiera efficiente è composta da tutte le combinazioni ottime dei portafogli e un investitore sceglierà un determinato portafoglio piuttosto che un altro in base alla propria propensione al rischio. Nel grafico si può notare come la frontiera

3 “E-V rule in the selection of securities we must have procedures for finding reasonable ų and σij. These procedures, I believe, should combine statistical techniques and the judgment of practical men. My feeling is that the statistical computations should be used to arrive at a tentative set of ų and σij»Markowitz,H., 1952, «Portfolio Selection», Journal of Finance vol.7, 91

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efficiente sia la combinazione di rischio e rendimento e, a seconda delle preferenze dell‘individuo, si possano fissare diversi portafogli (A, B e C nel grafico). Di conseguenza posso ottenere infiniti portafogli ponendo come vincolo il rendimento che voglio ottenere.4

Il CAPM risulta quindi essere la trasformazione della teoria del portafoglio di Harry Markowitz che venne pubblicata nel "Journal of Fi-nance" nel 1952. Il modello di Markowitz prevede la presenza di due soli titoli in portafoglio; esso sancisce che tra due strategie d’investimento sia preferibile quella che presenta maggior rendimento atteso e minor devia-zione standard, come nel caso di due titoli, dove ad esempio:A: rendimento E(r)= 15% rischiosità σ= 16% B: rendimento E(r)= 17% rischiosità σ= 18% 5

4 E. Elton, M.Gruber, S.Brown, W.Goetzmann, “Modern Portoflio Theory and Investiment Analysis”, 2007, pag 287

5 Fonte propria, esemplificazione

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La scelta dell’una ovvero dell’altra opportunità d’investimento dis-cenderà dal grado di propensione al rischio dell’investitore perché il mo-dello non riesce a dare una soluzione.

Nel modello di Markowitz sono stati fissati 5 assunti che son poi stati integrati da William Shape6 e John Lintner7 nel CAPM fino a raggiun-gere 10 ipotesi esplicite per il mercato. Questo aumento si rese necessario per poter applicare il modello ad un sistema finanziario che si stava evol-vendo e che altrimenti sarebbe stato troppo ampio e complesso per poter essere analizzato.

Sono di seguito elencati gli assunti che costituiscono le ipotesi sot-tostanti il CAPM.

6 Shape, W., 1964, “Capital Asset Price: a theory of market equilibrium under conditions of risk”,Journal of Finance vol.19, n.3, 425-442

7 Lintner,J., 1965, “The valuation of risky assets and the selection of risky investiments in the stocks portofolios and capital budget”, Review of Economics and Statistics, vol.47, n.1, 13-37

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- Primo assunto: non sono presenti costi di transazione, né come costi per l‘acquisto né di vendita.

- Secondo assunto: i titoli sono infinitamente divisibili o perfettamente frazionali, di conseguenza qualsiasi soggetto è potenzialmente un in-vestitore in quanto è possibile acquistare anche solo una frazione di un titolo.

- Terzo assunto: non sono applicabili tasse riferite al soggetto, in questo modo si rende indifferente se la remunerazione dell‘investimento sarà in forma di aumento del valore del capitale investito o come dividendo, perché in entrambi i casi il soggetto percepirà la stessa somma. L‘unico altro modo per ottenere lo stesso effetto sarebbe porre una tassa sugli utili e una tassa sull‘aumento di valore del capitale investito allo stesso livello.

- Quarto assunto: i prezzi non sono influenzabili dalla singola azione di compravendita, questo rende il mercato perfettamente competitivo in quanto è la somma delle operazioni a fissare il prezzo dei singoli titoli.

- Quinto assunto: i parametri utilizzati dagli investitori per la formazione del portafoglio sono il valore atteso e la deviazione standard o scarto quadratico medio.

- Sesto assunto: le vendite allo scoperto sono ammesse.- Settimo assunto: è ammissibile prendere a prestito e dare in prestito

qualsiasi somma di denaro al tasso di interesse privo di rischio.- Ottavo assunto: le aspettative degli investitori sono omogenee, quindi

tutti gli investitori si presume siano interessati a conoscere la media e la varianza dei rendimenti considerando tutti lo stesso tempo t come periodo di riferimento.

- Nono assunto: continuando a definire le aspettative omogenee, i sog-getti che intendono investire a parità di elementi a disposizione avran-no lo stesso risultato in termini di profitti attesi.

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- Decimo assunto: qualsiasi tipologia di titolo è trattabile sul mercato, ipoteticamente anche il lavoro umano che normalmente viene conside-

rato un titolo improprio.

Equazione CAPM

La principale formulazione del CAPM è data da: 8

ra = rf + βa (rm – rf )Dove:

ra = Tasso equo del titolo

rf = Tasso privo di rischio

βa = Indice Beta sul rischio

rm = Tasso di mercato previsto

(rm – rf ) = Premio per il rischio previsto

La formula ha lo scopo di calcolare quale sia il tasso equo, che è composto dalla somma del tasso privo di rischio con il prodotto del fatto-re Beta (del quale si parlerà in maniera approfondita nel paragrafo 2.3) per il premio per il rischio di mercato, che non è altro che lo scarto fra il tasso di mercato e il tasso privo di rischio.

La rappresentazione grafica dell’equazione è la Security Market Line (SML) che descrive il rendimento atteso di ogni singola attività rischiosa. La formula evidenzia come il rendimento atteso di un’attività rischiosa

8 Fonte: “http://www.investopedia.com/articles/06/capm.asp”

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dipenda soltanto dal suo Beta. La grandezza Beta misura l’esposizione al rischio non diversificabile di un titolo. Risulta quindi che più alto è il Beta di un titolo, maggiore dovrà essere il suo rendimento atteso, in modo da remunerare gli investitori per il rischio sistematico sopportato. Il rischio specifico, invece, non genera alcun extra rendimento; infatti, non c’è mo-tivo per cui gli investitori debbano essere compensati per sopportare un rischio che possono completamente eliminare con la diversificazione.

Il Beta

Si definisce Beta dell’attività ak la quantità:

(2.1)

Il Beta è quindi espressione del contributo marginale di ak alla rischi-osità del portafoglio M “normalizzato”, cioè rapportato alla deviazione standard di M. Questa è la formulazione “per antonomasia” del Beta in quanto precisa la definizione con riferimento al portafoglio di mercato, che nel CAPM ricopre il ruolo centrale. Utilizzando il Beta come parame-tro per il rischio, l’equazione del CAPM esprime una relazione lineare tra rischio e rendimento. Si giunge quindi alla seguente formula:

(2.2)

μ = i + β ( μM – i)

La caratteristica fondamentale della (2.2) è che, a differenza di quan-to scritto da Markowitz, si stabilisce una relazione valida, nel suo equilib-

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rio, per tutti i titoli sia efficienti che non-efficienti. Un titolo non rischioso avrà un Beta nullo, dato che la sua correlazione è nulla col portafoglio di mercato, invece il “market portfolio” avrà Beta pari a 1. Titoli con β > 1 sono più rischiosi del mercato e quindi garantiranno remunerazione mag-giore del titolo di mercato, e viceversa con β < 1 saranno meno rischiosi del mercato. Quanto appena descritto sul β è valido sia per i titoli che per i portafogli.

Del coefficiente β si osserva la caratteristica della linearità in quanto il Beta di un portafogli altro non è che la media pesata dei Beta delle com-ponenti e quindi:

(2.3)

βk=∑n= 1

n

wn− βn

Va quindi osservato che la linearità del Beta è conseguenza della analoga proprietà della covarianza, in base alla quale se X, Y e Z sono tre variabili aleatorie qualsiasi e se a e b sono numeri reali, si ha:

(2.4)

Cov[ (aX + bY), Z] = a Cov(X,Z) + b Cov(Y,Z)

Le determinanti del Beta

Il Beta della singola impresa è difficile da stimare, se non in caso di società quotata. La soluzione migliore è quindi stimare il Beta del settore, raccogliendo i dati di imprese simili, in questo modo si ha un valore di settore da applicare a quelle aziende troppo piccole da monitorare, ma per poter avere anche un valore di riferimento è necessario tenere conto delle politiche di indebitamento delle singole imprese appartenenti al medesi-

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mo settore. Sarà la composizione delle passività dello stato patrimoniale ad influire in maniera consistente sulla formazione del Beta della singo-la azienda. Possiamo però analizzare le determinanti del Beta per capire come intervenire e per migliorare il Beta della singola azienda che andrà a confluire nel Beta di settore. Le determinanti sono tre:

• Ciclicità dei ricavi

• Rischio operativo

• Rischio finanziario

La ciclicità dei ricavi è associata al rischio aziendale di cui la maggiore componente è la variabilità dei ricavi contabili. La variabilità dei ricavi contabili dipende in maggior parte dalla relazione tra ricavi (o utili) e l‘andamento dell’economia: imprese con andamenti ciclici, ovve-ro il cui andamento dipende fortemente dallo stato del ciclo economico (es. settore dei beni di lusso, linee aeree, ristorazione…), avranno un Beta alto mentre le imprese con andamenti meno ciclici e con picchi maggiori (es. settore alimentare, beni di consumo…) avranno un Beta più basso; tuttavia il concetto di ciclicità non è associabile alla variabilità e stagionalità, ma ai cicli dell‘economia in generale. Alla gestione ope-rativa (gestione corrente + gestione degli investimenti) sono associate due tipologie di rischi che mettono in relazione le variazioni del reddito operativo al variare dei ricavi di vendita, il rischio operativo e il rischio finanziario.

Il rischio operativo si concretizza nella variabilità dei risultati che deriva dalla struttura operativa dell’azienda e, in particolare, dalle sue atti-vità è possibile calcolare due tipi di rischi:

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– Rischio di quantità: sono le problematiche connesse alle quantità vendute o alle quantità che si sarebbero potenzialmente potute ven-dere, ma per problemi legati alla produzione non è stato possibile concretizzare.

– Rischio di prezzo: i rischi dovuti alla concorrenza e al prezzo della materia prima perché, nel primo caso si rischia di dover vendere a un prezzo minore per restare competitivi e nel secondo caso se si veri-ficassero aumenti improvvisi dei costi di produzione dovuti a costi della materia prima (inflazione da costi) si avrebbe inevitabilmente una ripercussione sulle vendite.

Il livello dei rischi in capo all’azienda dipenderà dal diverso mix fra costi fissi e costi variabili, è però da considerare che le imprese con rischio operativo più alto avranno un Beta maggiore.

Il grado di leva operativa (GLO) indica di quanto varierà il reddito operativo in seguito alla diminuzione dell’1% delle quantità vendute, la leva operativa misura la sensibilità del reddito operativo a variazioni di fatturato determinate da fattori esogeni (es. riduzione quantità vendute a causa della crisi economica). Le aziende con costi fissi più elevati sono esposte ad un rischio di quantità maggiore e lo sono perché la loro strut-tura dei costi è poco flessibile e non può essere facilmente modificata al variare delle condizioni di mercato.

Il rischio è spesso associato alla variabilità dei ricavi contabili, ma gran parte di questa variabilità si riflette i risultati contabili e per estensione ha impatto sul Beta.

Ciò che conta veramente è la relazione, ossia la covarianza tra i ricavi dell’impresa e i ricavi aggregati di tutte le attività reali. Possiamo misurare ciò sia con il Beta contabile sia con il Beta dei flussi di cassa, entrambi sono simili ai Beta reali, ma utilizzano le variazioni dei ricavi contabili o dei flussi

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di cassa al posto dei rendimenti dei titoli, si dovrebbe domandare un tas-so di rendimento più alto agli investimenti i cui risultati sono fortemente connessi ai risultati dell’economia.

Il rischio finanziario è misurabile tramite la variabilità dei risultati che deriva dalla composizione della struttura finanziaria dell’azienda. Sot-to il profilo concettuale è possibile distinguere il rischio finanziario in tre componenti fondamentali:

1. Rischio di credito: rischio che il debitore non sia in grado di adem-piere ai suoi obblighi di pagamento di interessi e di rimborso del capitale. Il rischio di credito è una componente di tutte le attività di prestito e di investimento e, come tale, influenza le scelte d’investimento delle banche, degli intermediari finanziari, degli investitori (privati, pubblici e aziende) in titoli obbligazionari e azionari. In via generale si osserva che più ele-vato è il rischio di credito, più elevato sarà il tasso di interesse richiesto dall‘acquirente del titolo come compenso per la maggiore esposizione a tale rischio. Il rischio di credito è influenzato sia dal ciclo economico, sia da eventi legati al debitore (si parla, in questo caso, di rischio emittente o rischio specifico); in genere, si riduce nei periodi di espansione economica, mentre aumenta nei periodi di recessione. Qualora si verificasse l’eventua-lità che l’emittente non sia in grado di ripagare il debito contratto né di corrispondere gli interessi maturati, le agenzie di rating provvederanno a ridurre il rating attribuito all’emittente. Ovviamente le obbligazioni di so-cietà ritenute più rischiose dal punto di vista della solvibilità, e, quindi, con un rating basso, sono quelle che offrono i maggiori rendimenti, proprio perché gli investitori sono disposti ad assumersi un rischio elevato solo in cambio di un’elevata remunerazione.

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2. Rischio di cambio: rischio legato ad una variazione del rapporto di cambio tra due valute, incide sul valore di un bene espresso in una valuta estera. Il tasso di cambio è il prezzo a cui una valuta può essere scambia-ta con un‘altra valuta (per esempio, euro contro dollaro statunitense) nei mercati valutari. Operazioni di questo tipo espongono gli operatori (solita-mente banche e imprese) al rischio di cambio qualora i flussi di cassa coin-volti in una data transazione vengano convertiti in una valuta straniera. Si noti che il rischio di cambio dipende dalla valuta in cui sono denominate le transazioni, non dalla nazionalità degli operatori. Qualora il valore della valuta estera diminuisca rispetto all‘euro nel periodo di riferimento (si re-gistra cioè un deprezzamento), il valore in euro dei flussi di cassa oggetto di trasferimento subisce una riduzione. Viceversa, qualora il valore della valuta estera aumenti rispetto all‘euro (ossia vi sia un apprezzamento), il valore in euro dei flussi di cassa oggetto della transazione aumenterà. Vali-di strumenti di copertura contro indesiderate variazioni nei tassi di cambio sono gli strumenti derivati su valute.

3. Rischio di tasso: rischio che si manifesta in variazione del valore degli asset interest-sensitive (attività sensibili alle variazioni nei tassi di inte-resse) di una modifica della struttura per scadenza dei tassi di interesse. Una variazione del livello dei tassi durante vita del prestito obbligazionario provoca due effetti: un "effetto reinvestimento" (possibilità di investire la liquidità liberata ad un tasso superiore, positivo per rialzo tassi) e un "ef-fetto valore" (valore titoli ottenuto scontandone i payoff periodici al tasso di rendimento effettivo, negativo per rialzo tassi). Pertanto incorrono nel rischio di tasso di interesse i detentori di obbligazioni ed in particolare i detentori di obbligazioni a tasso fisso: un aumento nei tassi di interesse (superiore ai tassi di interesse pagati sulle obbligazioni) comporta pertanto un deprezzamento delle stesse. Si individua infatti una correlazione in-

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versa tra prezzo e rendimento del titolo a scadenza, rappresentata da una curva (nota come curva prezzo-rendimento) ad inclinazione decrescente. Una misura del rischio di volatilità di un’obbligazione a tasso fisso è co-stituita dalla duration: essa esprime la sensibilità del prezzo di un titolo a variazioni inattese dei tassi di interesse. Quanto più è basso il valore della duration, tanto meno ci si aspetta un’elevata volatilità e quindi una bassa esposizione del titolo a sbalzi nei tassi. Quanto più lunga è la vita del titolo, tanto maggiore sarà la duration; quanto maggiore è il valore degli interessi cedolari e del rendimento a scadenza, tanto minore sarà la duration. Quanto più l’investimento è a lungo termine (obbligazione a lunga scadenza), tan-to maggiore è il rischio di tasso di interesse ad esso legato. Validi strumenti di copertura contro indesiderate variazioni nei tassi di interesse sono gli strumenti derivati sui tassi di interesse (interest rate future, interest rate option, interest rate swap). Ad esempio, se un operatore detiene un titolo a reddito fisso e intende coprirsi dal rischio di un rialzo dei tassi di interesse, con conseguente riduzione nel valore di mercato del titolo, può vendere un future avente come attività sottostante lo stesso titolo o un titolo simile. In tal modo, a fronte di una posizione lunga nel mercato a pronti, l’opera-tore assume una posizione corta nel mercato dei futures, e sarà pertanto in grado di coprire le variazioni nel prezzo del titolo mediante le (opposte)

variazioni nel prezzo del future.

Stimatori del Modello

In questa parte si presenterà come stimare nella pratica il parametro Beta (β). Esistono diverse metodologie per la stima del Beta:

• Stima dei Beta storici;

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• Stima dei Beta attesi;

• Stima dei Beta rettificati.

La stima dei Beta storici

La prima metodologia è la più semplice e diffusa. Essa prevede di stimare la covarianza Covim tra i rendimenti del titolo i e dell’indice di mer-cato e la varianza dei rendimenti dell’indice di mercato σ2

m sulla base dei rendimenti storici del titolo e dell’indice di mercato in un determinato arco temporale (ad esempio gli ultimi 5 anni). L’arco temporale individua così il campione di dati che viene utilizzato per stimare il Beta, ipotizzando impli-citamente che il Beta nel futuro sia allineato con il Beta del titolo nel passa-to. Data la covarianza tra i rendimenti del titolo e dell’indice di mercato, e la varianza dei rendimenti di quest’ultimo, il Beta viene determinato come:

(4.1)

La stima dei Beta attesi implica alcuni problemi connessi alla serie dei rendimenti da utilizzare per il calcolo del Beta storico:

• La scelta della lunghezza della serie storica da analizzare;

• La scelta della frequenza di rilevazione dati.

Il primo aspetto riguarda la profondità storica del campione di dati da considerare. Da un lato disporre di un campione più ampio significa avere a disposizione un numero superiore di dati sulla base dei quali

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calcolare il Beta. Dall’altro lato, dato che l’ipotesi implicita nel calcolo dei Beta storici è che il valore del Beta futuro sia in linea con il valore del Beta nel passato, includere dati più remoti può essere fuorviante se l’impresa considerata è cambiata significativamente nel corso del tempo a livello di attività di core business o composizione patrimoniale. Inoltre, a volte non è disponibile una serie storica lunga, per la semplice ragione che il titolo è di recente quotazione. In linea generale, una prassi fre-quente è quella di utilizzare cinque anni di rendimenti, sempre che il mix di business dell’impresa sia rimasto sufficientemente stabile e quindi che non ci siano palesi controindicazioni nell’utilizzo di un arco temporale di tali dimensioni.

Il secondo problema consiste nella frequenza di rilevazione dei dati (giornaliera, settimanale o mensile). In questo caso la soluzione largamen-te prevalente è quella di ricorrere a dati mensili o in due date mensili fisse. Il ricorso a dati giornalieri è fortemente sconsigliato dal fatto che non sem-pre tutti i titoli possono registrare scambi in ogni singola giornata. Ciò da un lato rende incerta la determinazione del prezzo di chiusura e quindi del rendimento giornaliero, e dall’altro a volte implica che titoli meno liquidi e meno scambiati possano reagire in ritardo all’andamento del mercato. Ne deriva il tipico rischio di sottostimare la correlazione tra i rendimenti del singolo titolo e i rendimenti del mercato e quindi il Beta del titolo stesso.

La stima dei Beta attesi

Una metodologia alternativa a quella basata sui rendimenti passati del titolo per il calcolo del Beta, consiste nel calcolo dei Beta attesi o pro-spettici. I Beta attesi vengono determinati utilizzando sempre la stessa funzione analitica (5.1).

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In tal caso, non si elaborano dati storici, ma quelli futuri stimati. La stima dei Beta attesi o ex ante richiede quindi all’analista di esplicitare la distribuzione di probabilità dei rendimenti dei titoli (per i quali si vuole procedere al calcolo dei Beta) e dell’indice di mercato. Ciò tipicamente avviene identificando alcuni possibili scenari di mercato e definendo per ogni scenario:

• il rendimento atteso del titolo e dell’indice di mercato nel singolo scenario

• la probabilità di verificarsi che si associa allo scenario medesimo.

Questa procedura è preferibile rispetto a quella dei Beta storici, in quanto essa riconosce la non stabilità dei Beta nel tempo. Nella pratica, però, è molto difficile effettuare una stima delle distribuzioni di probabilità dei rendimenti dei titoli e degli indici di mercato.

La stima dei Beta rettificati

Una terza soluzione, che consente di partire dai Beta storici, ma senza fare esclusivo affidamento sui dati storici, consiste nel ricorrere ai Beta rettificati. In questo caso il procedimento consiste nel calcolare in primo luogo il Beta storico di un titolo e successivamente rettificarlo al rialzo o al ribasso sulla base di alcune considerazioni, in modo da cat-turarne meglio la sua variabilità nel tempo. L’obiettivo dei Beta rettificati è quello di basarsi almeno in parte su dati oggettivi (i rendimenti storici) e dall’altro lato di tenere conto della potenziale instabilità nel tempo dei Beta stessi.

Due tipiche possibili forme di rettifiche dei Beta si basano su:

• La tendenza dei Beta di regredire verso la media: tale tendenza pren-de il nome di mean reversion;

• La relazione esistente tra il Beta e i fondamentali aziendali (quali,

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per esempio, il livello d’indebitamento, la variabilità degli utili e dei cash flow).

La prima rettifica si basa su alcuni studi che hanno messo in luce la tendenza dei Beta dei titoli azionari, su orizzonti temporali non brevi, a “regredire” verso il loro valore medio. In altri termini, si osserverebbe che i titoli con Beta maggiore di 1 tenderebbero nel tempo a registrare una riduzione del Beta, mentre i titoli con Beta inferiore a 1 tenderebbero a registrare incrementi dei Beta. Questo effetto della tendenza di una varia-bile ad avvicinarsi nel tempo alla sua media è detto appunto mean reversion.

La seconda modalità per rettificare i Beta storici si basa invece sul fondamento che esiste un legame tra i Beta e i fondamentali aziendali. Per esempio, le imprese più indebitate tendono a essere caratterizzate da un Beta maggiore. Ciò è comprensibile in quanto esse sono più esposte a variazioni dei tassi d’interesse; dato che la variazione dei tassi è uno degli elementi che condiziona negativamente tutto il mercato e quindi l’espo-sizione a tale fattore è una componente di rischio sistematico, le imprese più indebitate avranno un Beta più elevato. Il Beta è legato positivamente non solo al grado d’indebitamento dell’impresa ma anche, ad esempio, alla variabilità degli utili e dei cash flow prodotti dall’impresa stessa. Sulla base di queste relazioni è possibile procedere a rettificare i Beta prospettici aumentando, per esempio, i Beta dei titoli con grado di indebitamento (o della variabilità dei cash flow) superiore alla media; l’entità della correzione da apportare deve essere stimata empiricamente.

Correggendo il Beta per i fondamentali aziendali si può quindi a vol-te attenuare il problema della scarsa affidabilità dei Beta storici per i titoli azionari delle imprese che siano state soggette a modificazioni rilevanti nel corso del tempo.

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Il CAPM come criterio di ammissibilità per i progetti e parametro per altri modelli

Il CAPM è un modello che trova diverse applicazioni nell’economia odierna in quanto è possibile utilizzarlo sia per il suo scopo originale, la valutazione degli strumenti finanziari, sia per vari utilizzi che sono emersi con l’evolversi del contesto economico, dove i confini delle discipline eco-nomiche si sono via via assottigliati.

In questa parte si illustreranno alcuni esempi dell’utilizzo del model-lo come metodo di confronto con altri indici, come strumento nel trading, il suo utilizzo nelle valutazioni dei progetti e, come previsto dall’Organismo Italiano di Contabilità, del suo impiego nell’Impairment Test.

Il tema di discussione numero 586 del marzo 2006 del Servizio di Studi della Banca d’Italia che si intitola “The CAPM and the risk appe-tite index: theorical differences and empirical similarities”9 discute delle differenze fra CAPM e RAI (Risk Appetite Index), utilizzando come dati alla base dell‘analisi i rilevamenti mensili dal gennaio 1973 fino al novem-bre 2005 del Dow Jones Euro Stoxx per l’Euro area e lo Standard & Poor‘s 500 per gli Usa. Il modello RAI parte dal presupposto di differenziare fra cambiamenti della rischiosità delle attività e i cambiamenti dell’avversità al rischio degli investitori mentre il CAPM non precisa nulla su ques-ti aspetti. L’articolo termina, dopo aver completato l’analisi teorica ed empirica, con la conclusione che i due modelli sono, cito testualmen-te, “sorprendentemente simili”10. Precisa inoltre che il modello RAI ha scarse applicazioni a causa delle ipotesi molto restrittive che permetto-

9 M. Pericoli, M. Sbracia, “The CAPM and the risk appetite index: theorical differences and empirical similarities”, numero 586, 2006, Banca d’Italia.

10 M. Pericoli, M. Sbracia, “The CAPM and the risk appetite index: theorical differences and empirical similarities”, numero 586, 2006, Banca d’Italia, pagina 28 riga 2

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no l‘analisi solo con dati molto approfonditi, che non risultano sempre disponibili, e sottolinea come i benefici non siano sufficienti a fronte di un‘analisi così approfondita.

L‘utilizzo del CAPM nella gestione del portafoglio consiste nell‘applicare il modello di Markowitz, quindi il modello media-varianza che costituisce la base del CAPM, nella gestione attiva del portafoglio durante le fasi iniziali di composizione del portafoglio e successivamen- di composizione del portafoglio e successivamen-te utilizzare il Beta per controllare che l’investimento resti in linea con i rendimenti attesi.

Nella “pratica” del trader dato un numero di titoli si determinano:1. La frontiera efficiente senza titolo non rischioso2. La frontiera efficiente con titolo non rischioso3. Il portafoglio di tangenza

Questo modo di procedere presenta alcuni problemi, uno di questi è stato individuato nell’effetto degli errori campionari degli stimatori delle medie e delle covarianze, anche piccoli errori portano ad ottenere compo-sizioni del portafoglio non plausibili.

Il modo più semplice per risolvere questi problemi è utilizzare il CAPM per determinare quali sono le aspettative del mercato e determi-nare così un diverso vettore dei rendimenti attesi. Utilizzando le serie storiche dei rendimenti del titolo, del portafoglio di mercato, del titolo non rischioso per ciascun titolo possiamo stimare il Beta con il metodo della regressione.

In genere si utilizzano dati mensili per un periodo di 5 anni per evi-tare instabilità nei parametri ed eliminare l’eccessiva volatilità presente nei dati giornalieri o settimanali.

Il Beta dei titoli viene calcolato (e fornito a pagamento) da diver-se istituzioni finanziarie e società di informazioni finanziarie: ad esempio

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Datastream, Bloomberg, il Sole24ore, Milano finanza, Merrill Lynch, ecc. Inoltre occorre controllare cosa si considera come portafoglio di mercato e se sulla stima del Beta non vengano effettuati delle trasformazioni nei dati alla base per diminuirne l’errore campionario. Purtroppo queste infor-mazioni spesso non vengono fornite dalle società.

Dato il numero di titoli considerati, se calcoliamo la frontiera effici-ente e la Capital Market Line potremmo avere un’errata rappresentazione grafica se non tenessimo conto delle “opinioni” del mercato sul rendimen-to medio dei titoli e/o informazioni che non crediamo ancora incorporate dal mercato, cioè non riflesse nei prezzi. L’obiettivo è allora incorporare questo tipo d’informazioni, sia provenienti dal mercato (cioè rese pubbli-che con i mezzi di comunicazione) sia provenienti dai privati (non ancora disponibile al mercato ma già esistenti).

L’approccio è basato sui seguenti punti:1. Calcolare i Beta dei titoli che pensiamo di detenere2. Usare questi Beta per calcolare i rendimenti attesi dei titoli3. Calcolare la nuova frontiera efficiente, la nuova Capital Market Line

e il nuovo portafoglio di tangenza.

L'utilizzo del Beta più diffuso fra i trader consiste nell’utilizzo dell’in-dice come parametro di negoziazione nelle seguenti modalità:

• β < 0 : il prezzo del titolo si muove in direzione opposta rispetto al mercato

• β > 1 : le oscillazioni del prezzo del titolo sono superiori a quelle del mercato

• 0 < β < 1 : le oscillazioni del prezzo del titolo sono inferiori a quelle del mercato.

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Considerazione fondamentale nel trading è non dare importanza solo i tassi YTM (Yield To Maturity), ma considerare principalmente i rendimenti corretti per il rischio perché basati su valutazioni statistiche e di solvibi-lità dell’emittente evitando sottovalutazioni e sopravalutazioni dettate dai semplici rendimenti.

Molte imprese di grandi dimensioni utilizzano il CAPM e, avendo a disposizione una stima del Beta del progetto, calcolano il tasso di attualiz-zazione del progetto stesso:

(5.1)

E(r)progetto = rf + βprogetto (rm–rf)

Il costo del capitale aziendale può essere confrontato con il rendi-mento richiesto nel Capital Asset Pricing Model (CAPM). Resta il proble-ma che il Beta della singola impresa è però difficile da stimare, la soluzione migliore è stimare il Beta del settore (con imprese simili) piuttosto che quello della singola impresa, ma è necessario tenere conto anche delle po-litiche di indebitamento delle singole imprese appartenenti al medesimo settore. Il costo del capitale aziendale è stato definito come il costo-op-portunità del capitale per le attività esistenti dell’impresa, viene utilizzato per valutare le nuove attività che hanno lo stesso rischio delle attività già esistenti.

Nelle decisioni di capital budgeting è rilevante il costo del capitale aziendale, questo costo è la media ponderata dei rendimenti che gli inves-titori si aspettano dal debito e dal capitale netto dell’impresa. Quindi si do-vrà considerare il Beta delle attività dell’impresa e non il Beta del capitale netto; il Beta delle attività dell’impresa è calcolato come media ponderata dei Beta del debito e del capitale netto. Quando le imprese modificano la propria struttura finanziaria modificano il rischio, il rendimento atteso del

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debito e del capitale netto, mentre il Beta delle attività e il costo del capitale aziendale non cambiano.

I manager spesso aggiungono una distorsione al ribasso al tasso di sconto, che è in proporzione al rischio, perché considerano il rischio come un “cattivo risultato”, non è corretto. Spesso questo risultato è causato da un rischio specifico che non influenza il tasso di rendimento richiesto dagli investitori. In altri casi, i manager aggiungono una distorsione al tasso di attualizzazione perché non sono in grado di dare ai risultati negativi il loro giusto peso nella valutazione dei flussi di cassa e cercano così di compen-sare questo errore. L’errore sta nel non considerare il peso del rischio di sistema del quale si può avere un parametro immediato confrontando il Beta del settore col proprio.

Il principio contabile internazionale fa espresso riferimento, per quanto riguarda la determinazione del coste medio dell’equity, al modello del CAPM.

Tra le attività di una impresa che possono essere particolarmente soggette a problemi di perdita di valore è iscrivibile l’avviamento, attività alla quale gli IAS/IFRS dedicano particolare trattamento per rilevazio-ne e misurazione a causa della sua volatilità e indeterminatezza della du-rata. L’avviamento può essere definito come l’accrescimento del valore intrinseco dell’impresa, o di un segmento di essa, e può trarre origine da diverse cause come il miglior posizionamento dell’impresa sul mercato o l’extra-reddito generato da prodotti innovativi o molto richiesti dal mer-cato. La verifica dell’esistenza di perdite o aumenti di valore della attività immateriali con vita utile indefinita deve essere fatta almeno una volta l’anno con un tasso adatto all’azienda. Quando il tasso specifico non è disponibile direttamente dal mercato, occorre adottare come punto di par-tenza per la stima del tasso di attualizzazione il costo medio ponderato del capitale per l’impresa (“WACC”) con l’uso della tecnica del Capital Asset

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Princing Model. Con il CAPM, il costo dell’equity viene determinato quale somma tra il rendimento di investimenti privi di rischio ed un premio per il rischio dipendente dalla rischiosità sistematica dell’azienda oggetto di valutazione, misurata con il Beta. Si ricorda che per i rendimenti a rischio nullo vengono solitamente considerati i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine di paesi stabili. Le società con un Beta superiore all’unità (titoli aggressivi) amplificano le oscillazioni del mercato in quanto presen-tano una variabilità dei rendimenti (sia al rialzo che al ribasso) maggiore di quella del mercato; mentre le società con Beta inferiore all’unità (titoli difensivi) attenuano le oscillazioni poiché presentano una variabilità infe-riore a quella del mercato.11

11 Organismo Italiano di Contabilità, “Impairment e avviamento”, Serie: Applicazione IAS/IFRS, Applicazione n.2 del dicembre 2009

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