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343 © 2011 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. 16 Neuropsichiatria delle demenze Giuseppe Bruno, Sebastiano Lorusso INTRODUZIONE Le demenze costituiscono l’esempio forse più rappresentativo di patologia neuropsichiatrica. I dati epidemiologici indicano come la prevalenza di queste malattie sia molto elevata così come i loro costi sociali, costituendo pertanto una vera emergenza sani- taria. Le demenze sono caratterizzate da disturbi cognitivi che si intrecciano quasi invariabilmente con la presenza di disturbi a carico della sfera psichica/comportamentale e neurologica, a conferma di come il funzionamento di questi sistemi debba es- sere considerato nel loro insieme piuttosto che singolarmente. Per convenzione, la trattazione dei disturbi cognitivi è sepa- rata da quella dei disturbi neuropsichiatrici intesi in senso lato, ovvero non cognitivi (comportamento, funzioni neurove- getative, funzioni psichiche propriamente dette). Un inqua- dramento che ha raccolto numerosi consensi è stato quello proposto da Finkel e Burns (2000) che hanno introdotto il termine Behavioral and Psychological Symptoms of Demen- tia (BPSD, tradotto in italiano con “sintomi psicologici e comportamentali della demenza”). L’inquadramento di questi aspetti ha suscitato ampio interesse anche in considerazione del fatto che queste manifestazioni cliniche sono quelle che più contribuiscono alle difficoltà di gestione della malattia da parte del medico, dei familiari e delle strutture sanitarie. Inol- tre, costituiscono la voce di maggiore impatto economico re- lativamente ai costi sociali della malattia. Infine, non appare affatto superfluo ricordare come la paziente Augustine D. di 51 anni, descritta da Alois Alzheimer come primo caso della demenza che da lui prese poi il nome, avesse precocemente manifestato disturbi del comportamento sotto forma di de- pressione e deliri di tipo paranoideo ai quali poi seguirono i tipici disturbi cognitivi. I disturbi neuropsichiatrici sono un’espressione importante e molto frequente dei diversi quadri sindromici di demenza, spes- so sono sintomi d’esordio antecedenti a quelli cognitivi e, ana- logamente a essi, sono la diretta conseguenza delle eterogenee alterazioni neuropatologiche e neurochimiche presenti nelle diverse forme (Cummings, 2003). Oltre ai fattori eziopatogene- tici di tipo neurobiologico, è necessario ricordare che questi disturbi sono molto influenzati e, come avanti vedremo, spesso attivati, da fattori ambientali, in particolare dalla qualità della relazione del paziente con le persone che lo accudiscono, ambi- ti in cui è possibile ottenere sicuri margini di miglioramento. A differenza dei disturbi cognitivi, anche di quelli funziona- li, presenti nelle demenze per definizione e aventi un andamen- to generalmente lineare nel tempo (progressivo), i disturbi neuropsichiatrici compaiono in modo non sempre prevedibile, non sono necessariamente obbligatori, anche se quasi sempre presenti, hanno un andamento con fluttuazioni e tendenza a ripresentarsi con modalità e contenuti non sempre simili ai precedenti. I disturbi neuropsichiatrici non devono essere con- siderati un epifenomeno, ma aspetti sempre legati alla presenza di uno specifico coinvolgimento di vie e centri nervosi, analo- gamente a quanto avviene per l’ambito cognitivo. Appare pertanto indispensabile non solo identificare gli specifici pattern cognitivi che caratterizzano le varie malattie dementigene ma anche utilizzare sistematicamente la semeio- tica neuropsichiatrica per distinguere cluster di sintomi, talora vere e proprie subsindromi, con i loro tempi e modi di espres- Introduzione Cluster neuropsichiatrici nelle demenze Aggressività e agitazione Disturbi dell’attività psicomotoria Irritabilità e ansia Disinibizione Apatia, consapevolezza e alterazioni di personalità Disturbi dell’umore Disturbi psicotici: deliri, allucinazioni Alterazioni neurovegetative Compromissione cognitiva lieve Demenze degenerative e vascolari Malattia di Alzheimer Demenza fronto-temporale Demenza vascolare Demenze degenerative extrapiramidali Demenza a corpi di Lewy, malattia di Parkinson con demenza e atrofie multisistemiche Paralisi sopranucleare progressiva e degenerazione cortico-basale Corea di Huntington Demenze secondarie Demenze potenzialmente reversibili Demenze potenzialmente trattabili Demenza da HIV Demenze “a esordio giovanile” Scale di valutazione dei disturbi neuropsichiatrici

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© 2011 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.

16 Neuropsichiatria delle demenze

Giuseppe Bruno , Sebastiano Lorusso

INTRODUZIONE

Le demenze costituiscono l’esempio forse più rappresentativo di patologia neuropsichiatrica. I dati epidemiologici indicano come la prevalenza di queste malattie sia molto elevata così come i loro costi sociali, costituendo pertanto una vera emergenza sani-taria. Le demenze sono caratterizzate da disturbi cognitivi che si intrecciano quasi invariabilmente con la presenza di disturbi a carico della sfera psichica/comportamentale e neurologica, a conferma di come il funzionamento di questi sistemi debba es-sere considerato nel loro insieme piuttosto che singolarmente.

Per convenzione, la trattazione dei disturbi cognitivi è sepa-rata da quella dei disturbi neuropsichiatrici intesi in senso lato, ovvero non cognitivi (comportamento, funzioni neurove-getative, funzioni psichiche propriamente dette). Un inqua-dramento che ha raccolto numerosi consensi è stato quello proposto da Finkel e Burns (2000) che hanno introdotto il termine Behavioral and Psychological Symptoms of Demen-tia (BPSD, tradotto in italiano con “sintomi psicologici e comportamentali della demenza”). L’inquadramento di questi aspetti ha suscitato ampio interesse anche in considerazione del fatto che queste manifestazioni cliniche sono quelle che più contribuiscono alle diffi coltà di gestione della malattia da parte del medico, dei familiari e delle strutture sanitarie. Inol-tre, costituiscono la voce di maggiore impatto economico re-lativamente ai costi sociali della malattia. Infi ne, non appare affatto superfl uo ricordare come la paziente Augustine D. di 51 anni, descritta da Alois Alzheimer come primo caso della demenza che da lui prese poi il nome, avesse precocemente manifestato disturbi del comportamento sotto forma di de-pressione e deliri di tipo paranoideo ai quali poi seguirono i tipici disturbi cognitivi.

I disturbi neuropsichiatrici sono un’espressione importante e molto frequente dei diversi quadri sindromici di demenza, spes-so sono sintomi d’esordio antecedenti a quelli cognitivi e, ana-logamente a essi, sono la diretta conseguenza delle eterogenee alterazioni neuropatologiche e neurochimiche presenti nelle diverse forme (Cummings, 2003). Oltre ai fattori eziopatogene-tici di tipo neurobiologico, è necessario ricordare che questi disturbi sono molto infl uenzati e, come avanti vedremo, spesso attivati, da fattori ambientali, in particolare dalla qualità della relazione del paziente con le persone che lo accudiscono, ambi-ti in cui è possibile ottenere sicuri margini di miglioramento.

A differenza dei disturbi cognitivi, anche di quelli funziona-li, presenti nelle demenze per defi nizione e aventi un andamen-to generalmente lineare nel tempo (progressivo), i disturbi neuropsichiatrici compaiono in modo non sempre prevedibile, non sono necessariamente obbligatori, anche se quasi sempre presenti, hanno un andamento con fl uttuazioni e tendenza a ripresentarsi con modalità e contenuti non sempre simili ai precedenti. I disturbi neuropsichiatrici non devono essere con-siderati un epifenomeno, ma aspetti sempre legati alla presenza di uno specifi co coinvolgimento di vie e centri nervosi, analo-gamente a quanto avviene per l’ambito cognitivo.

Appare pertanto indispensabile non solo identifi care gli specifi ci pattern cognitivi che caratterizzano le varie malattie dementigene ma anche utilizzare sistematicamente la semeio-tica neuropsichiatrica per distinguere cluster di sintomi, talora vere e proprie subsindromi, con i loro tempi e modi di espres-

Introduzione

Cluster neuropsichiatrici nelle demenze Aggressività e agitazione Disturbi dell’attività psicomotoria Irritabilità e ansia Disinibizione Apatia, consapevolezza e alterazioni di personalità Disturbi dell’umore Disturbi psicotici: deliri, allucinazioni Alterazioni neurovegetative

Compromissione cognitiva lieve

Demenze degenerative e vascolari Malattia di Alzheimer Demenza fronto-temporale Demenza vascolare

Demenze degenerative extrapiramidali Demenza a corpi di Lewy, malattia di Parkinson con demenza e atrofi e multisistemiche Paralisi sopranucleare progressiva e degenerazione cortico-basale Corea di Huntington

Demenze secondarie Demenze potenzialmente reversibili Demenze potenzialmente trattabili Demenza da HIV Demenze “a esordio giovanile”

Scale di valutazione dei disturbi neuropsichiatrici

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sione, a volte anche più informativi per la diagnosi differen-ziale degli stessi pattern di disfunzione cognitiva. Inoltre, lo studio approfondito dei disturbi neuropsichiatrici e la loro correlazione con aspetti di neuroimaging morfologico e fun-zionale, neurofi siologia, neuropatologia e neurochimica, oltre ovviamente alla neuropsicologia, che nelle demenze è premi-nente, porta un contributo alla comprensione della fi siopato-logia del cervello e della mente.

Sul piano pratico è opportuno ricordare che la demenza non va considerata, nemmeno in fase avanzata, un contenitore generico in cui far rientrare qualsiasi disturbo cognitivo-com-portamentale progressivo; è necessario operare distinzioni sulla base della diagnostica differenziale da cui non si può prescindere, anche per poter indirizzare al meglio i trattamen-ti farmacologici e non farmacologici. Questa visione più si-stematica dell’intervento specialistico migliora anchel’aspetto “empatico” dell’attività del medico, così necessario in questo ambito tanto problematico.

CLUSTER NEUROPSICHIATRICI NELLE DEMENZE

Nella descrizione che segue, verranno presi in considerazione i vari cluster sintomatologici neuropsichiatrici riscontrabili nelle demenze, sottolineandone le peculiarità utili per la dia-gnosi differenziale delle varie forme di demenza e i rapporti con gli altri aspetti clinici e con i sintomi cognitivi. Molte delle alterazioni comportamentali descritte non sono correlate al grado di compromissione cognitiva e fl uttuano, in modo diverso, a seconda del tipo di disturbo e di demenza.

AGGRESSIVITÀ E AGITAZIONE Sono i disturbi più problematici per i pazienti e per i loro ca-regiver e spesso, purtroppo, sono causa dell’istituzionalizza-zione, anche precoce, nel corso della malattia dementigena, se non affrontati in modo corretto.

L’aggressività può consistere solo in un atteggiamento di ostilità evidente oppure essere di tipo verbale o fi sico (di soli-to nelle fasi avanzate di malattia) (cfr. Capitolo 13). Spesso si tratta di manifestazioni improvvise (magari in un contesto di “paziente placido” per la maggior parte del tempo), di solito reattive (per esempio, alla richiesta da parte del caregiver di fare qualcosa, spesso attinente alla cura della persona) oppure comunque scatenate da interventi di altre persone (vissute come invadenti). Talora i comportamenti aggressivi e l’agita-zione sono secondari a deliri o allucinazioni, specialmente in soggetti moderatamente deteriorati; anche malesseri fi sici o semplici necessità fi siologiche possono dare luogo a questi sintomi. Sono peraltro frequenti nei pazienti con malattia di Alzheimer (MA) (circa il 60% dei casi; Mega et al, 1996).

In questa patologia l’agitazione si correla con la disfunzione esecutiva e con una più severa compromissione funzionale, cioè dell’autonomia nelle attività quotidiane (Chen et al, 1998). Aggressività e agitazione sono associate a un ipometabolismo, evidente al neuroimaging dinamico, nei lobi frontali e tempo-rali (Hirono et al, 2000; Sultzer et al, 1997). Dal punto di vista neuropatologico sono state trovate correlazioni dirette tra ag-gressività/agitazione e numero di neuroni nella sostanza nera (Victoroff et al, 1996) e nella parte rostrale del locus coeruleus; inoltre è stato riscontrato un aumento del carico di grovigli

neurofi brillari nelle regioni frontali di malati con MA agitati rispetto a quelli non agitati (Tekin et al, 2001).

Sul piano neurochimico, una review molto recente supporta l’ipotesi che questo cluster di disturbi, insieme con quello dell’apatia e dei disturbi psicotici (vedi oltre), possa rappre-sentare nella MA una specifi ca sindrome da defi cit colinergico centrale (Pinto et al, 2011). Questo dato trova riscontro clini-co negli effetti positivi dei farmaci anticolinesterasici su que-sti sintomi neuropsichiatrici (Wynn e Cummings, 2004).

DISTURBI DELL’ATTIVITÀ PSICOMOTORIA Questa serie di disturbi è molto frequente: in molte demenze e soprattutto nella MA, in fase avanzata (Mega et al, 1996) si ha spesso iperattività motoria in senso lato. Sono sintomi pe-culiari:

■ il cosiddetto vagabondaggio, da intendere come necessità dei pazienti di spostarsi e andare da qualche parte, cosa che talora viene verbalizzata (per esempio, nella vecchia casa, che spesso non esiste più);

■ l’attività afi nalistica ripetitiva (affaccendamenti) come il ri-piegare più volte su se stesso un pezzo di stoffa, o aprire e chiudere in continuazione cassetti o armadi, toccare o acca-rezzare ripetutamente cose, animali o persone (intrusività), oppure compiere semplici movimenti stereotipati delle mani.

Alcuni di questi aspetti possono rientrare in tratti ossessivo-compulsivi, sintomatici della malattia cerebrale sottostante (cfr. Capitolo 12), oppure essere l’espressione di un’acatisia (cfr. Capitolo 11). Talora può manifestarsi iperverbosità, che può essere espressa anche con brani di canto, cantilene o urli.

Pur non essendo chiara la patogenesi dei disturbi di questa area, i cui confi ni non sono tanto netti, la disfunzione nora-drenergica sembra svolgere un ruolo rilevante e giustifi care quindi la risposta favorevole ai beta-bloccanti (Weiler et al, 1988). Talora possono esservi componenti iatrogene (per esem-pio, acatisia da neurolettici).

Il comportamento motorio aberrante nella MA è stato asso-ciato, insieme con la sintomatologia delirante e la maggiore incidenza di disturbi neuropsichiatrici, alla presenza dell’alle-le epsilon 4 del genotipo APOE (Del Prete et al, 2009).

L’iperattività in genere, come pure la sintomatologia deli-rante, nella MA sono infl uenzati dall’atteggiamento del care-giver di riferimento (Riello et al, 2002), che ovviamente ha un ruolo cardine nell’assistenza quotidiana del malato (vedi Ca-pitolo 18). Pur non essendo chiara la patogenesi di questa se-rie di disturbi, pare implicata la disfunzione noradrenergica, da cui la risposta favorevole ai beta-bloccanti (Weiler et al, 1988). Talora possono esservi componenti iatrogene (per esempio, acatisia da neurolettici).

IRRITABILITÀ E ANSIA L’irritabilità è distinta dall’agitazione: si può defi nire come una rapida fl uttuazione emotiva caratterizzata da un esordio brusco ed estrinsecazione rapida d’impazienza e rabbia, di solito scatenate da qualcosa nell’ambiente; non sempre ci sono cause evidenziabili (cfr. Capitolo13). Anche l’ansia è comune soprattutto nella fase iniziale della MA o in soggetti con mild cognitive impairment (MCI). Può essere, spesso, la mani-festazione di un disturbo d’ansia generalizzato (GAD), di un’acatisia (per esempio, in pazienti trattati con neurolettici o SSRI) o di altri disturbi dello spettro panico-ansia-agorafobia

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(cfr. Capitolo 11), anche se generalmente solo un numero limi-tato di pazienti presenta i criteri diagnostici tipici per i disturbi d’ansia.

Irritabilità e ansia insieme sono presenti in circa la metà (48%) dei pazienti affetti da MA (Mega et al, 1996), prevalen-temente in fase precoce o intermedia, e sono frequenti in mol-te altre demenze, specie quelle sottocorticali (Albert, 1978) in cui sono presenti sia nelle forme degenerative sia in quelle vascolari (vedi oltre). Sono spesso presenti congiuntamente preoccupazioni, timori e lamentele somatiche; non è infre-quente la sindrome di Godot (ansia per ciò che dovrà accade-re). Una situazione di comune osservazione è quella di pa-zienti che si preparano varie ore prima per un appuntamento e i cui familiari non sanno come impedire loro di arrivare molto in anticipo (per esempio, alla visita medica, con i problemi che conseguono se l’attesa diviene lunga: per gli operatori sanitari è richiesto uno sforzo in più per essere con questi pa-zienti sempre puntuali!).

All’inizio della malattia dementigena, l’ansia può essere reattiva, dovuta alla consapevolezza della diminuzione delle facoltà cognitive e all’imbarazzo che ciò può causare in pub-blico; su questi sintomi, a volte, non sono effi caci le rassicu-razioni perché vengono presto dimenticate in presenza di amnesia. L’irritabilità e l’ansia, che talvolta sono collegate ai disturbi psicotici (vedi oltre), possono facilmente virare in agitazione e aggressività. Non rara nei pazienti con MA è la reazione catastrofi ca (che può verifi carsi anche nelle sedute testistiche), da considerare come un improvviso acting out in cui i sintomi sopracitati “montano”, con crisi di pianto, ag-gressività e talora agitazione psicomotoria.

DISINIBIZIONE Con tale termine si indicano comportamenti socialmente inac-cettabili, per lo più per luoghi e tempi inappropriati (per esem-pio, spogliarsi in pubblico): sono di solito determinati da scarsa critica, attenzione concentrata solo sulla propria perso-na e impulsività. Si associa a essi pressoché costantemente un comportamento invasivo (per esempio, porre domande dirette di tipo privato al personale sanitario). Questo cluster sintoma-tologico, pur non essendo raro nella MA, è molto frequente nelle demenze fronto-temporali (DFT) variante frontale, in cui è stata osservata una correlazione con un’ipoperfusione orbito-frontale posteriore (Peters et al, 2006; Scharre et al, 1996), dato peraltro riscontrato pure nei soggetti affetti da DFT con apatia, a sottolineare il ruolo fi siologicamente strate-gico dell’area per la processazione delle emozioni (cfr. Capi-tolo 2 e Capitolo 6). Anche nella demenza a corpi di Lewy (DLB) è stata riportata un’alta prevalenza di disinibizione (65% dei casi), attribuita alla disfunzione fronto-sottocortica-le propria della patologia.

APATIA, CONSAPEVOLEZZA E ALTERAZIONI DI PERSONALITÀ I cambiamenti dei tratti personologici e del carattere dei sog-getti sono tra i primi sintomi di molte demenze. L’abulia e l’apatia sono in realtà i disturbi comportamentali più frequen-ti nelle demenze sia corticali sia sottocorticali (Mega et al, 1996) anche se, spesso, sono trascurate nelle descrizioni dei pazienti o misconosciute. Nella MA l’apatia (riportata in let-teratura in percentuali assai variabili, fi no al 70% dei casi) è più frequente della depressione, alla quale peraltro spesso è

associata, pur appartendendo a dimensioni comportamentali diverse (presente nel 70% dei casi), si manifesta già nelle fasi iniziali della malattia e tende ad aggravarsi con il peggiora-mento dei defi cit cognitivi. Starkstein e collaboratori (2001) hanno formulato criteri diagnostici per l’apatia nella MA (cfr. Capitolo 10). In altre demenze corticali (come la demenza fronto-temporale) e/o sottocorticali (paralisi sopranucleare progressiva, demenza a corpi di Lewy, encefalopatia di Bin-swanger ecc.) l’apatia costituisce un nucleo sintomatologico prominente e prototipico.

L’apatia, da intendersi appunto come forte riduzione di mo-tivazione “interna” che comporta diminuzione dell’interesse e partecipazione in varie attività, concorre fortemente a deter-minare il ritiro sociale, insieme al disturbo cognitivo globale proprio di tutte le patologie dementigene, accentuando la pro-gressione negativa del quadro. Talora il paziente apatico è de-scritto come depresso dai familiari, oppure il sintomo viene sottovalutato perché apparentemente meno problematico di altri da “gestire”. Tale sintomo può essere, peraltro, diffi cile da valutare anche con le scale di valutazione più in uso (come la Neuropsychiatric Inventory , NPI) o anche strumenti creati ad hoc come l’ Apathy Inventory (Robert et al, 2002).

Vi sono studi che hanno riscontrato correlazioni nella MA in fase iniziale tra l’apatia e le prestazioni ai test neuropsico-logici di attenzione divisa (Robert et al, 2001) e anche con l’alterata risposta dei P3 ai potenziali evento-correlati (Daff-ner et al, 2001).

L’“indifferenza emotiva”, che è per certi versi antitetica alla depressione, è uno degli indicatori clinici più effi caci, a nostro avviso, e anche precoci per il sospetto di demenza. L’apatia nella MA non è quasi mai un sintomo isolato, di solito si accom-pagna ad altri disturbi neuropsichaitrici, specie dell’umore.

La consapevolezza , intesa come capacità di percepire il sé e la coscienza di malattia, è alterata nella maggior parte delle forme, in modo precoce e preminente nella demenza fronto-temporale (Gustafson, 1993). In questa forma di demenza l’apatia è correlata al neuroimaging funzionale (SPECT) con un’ipoperfusione della corteccia dorsolaterale (Scharre et al, 1996). Invece nella MA ci sono evidenze al neuroimaging di-namico di associazione tra il livello di apatia e l’ipoperfusione del giro cingolato anteriore (Craig et al, 1996; Migneco et al, 2001), della corteccia orbito-frontale e anche del talamo me-diale (Marshall et al, 2007) indipendentemente dalla severità della compromissione cognitiva. Questi ultimi recenti dati indicherebbero una disfunzione del circuito fronto-mediale sottocorticale, probabilmente da ridotto tono colinergico.

Queste e altre osservazioni potrebbero suggerire che uno stesso cluster sintomatologico comportamentale, come l’apa-tia in questo caso, in due diverse patologie neurodegenerative può essere sostenuto sul piano anatomofunzionale dalla di-sfunzione di aree cerebrali diverse e forse di sistemi neuro-chimici differenti.

DISTURBI DELL’UMORE I rapporti tra depressione e demenza sono complessi dal punto di vista patogenetico e clinico, e non completamente compresi. Infatti, alcuni meccanismi fi siopatologici e diverse manifesta-zioni cliniche sono comuni a entrambi i disordini, contribuen-do alla confusione diagnostica con molte condizioni di sovrap-posizione tra i due disturbi. Espressioni sintomatologiche dello spettro depressivo sono molto frequenti nella maggior parte

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delle demenze, spesso anche riferite dai familiari, ma si deve rilevare che, in queste malattie, perdita di peso, agitazione, insonnia e altre alterazioni vegetative (che rientrano anche nei criteri della depressione maggiore) sono comuni, anche lad-dove non vi è umore depresso (cfr. Capitolo 14). Vi può esse-re, dunque, una “pseudodepressione” demenziale, così com’è noto da vecchia data il quadro della cosiddetta pseudodemenza depressiva (Kiloh, 1961; Wells, 1979; cfr. anche il paragrafo Demenze potenzialmente reversibili , più avanti nel capitolo), quando il disturbo affettivo primario simula una demenza (so-prattutto per il rallentamento ideativo e i disturbi dell’attenzio-ne e della memoria di lavoro, che sono aspetti cognitivi comu-ni nella depressione; Gallassi et al, 2001). Spesso peraltro le due condizioni morbose, depressione e demenza, coesistono e si potenziano a vicenda; secondo alcuni autori, la depressione sarebbe di per sé un fattore di rischio per la demenza (Deva-nand et al, 1996); vi sarebbe, secondo quest’ottica condivisa da vari autori, specialmente nordamericani, uno spettro conti-nuo, frequente nella terza età, con depressione e demenza ai due estremi e in mezzo vari stadi misti di deterioramento e di-sturbo dell’umore (Emery e Oxman, 1992; Folstein e McHugh, 1978). In sintesi, secondo questi autori, all’interno del conti-nuum depressione-demenza si possono diagnosticare cinque diverse categorie:

■ depressione maggiore senza demenza; ■ demenza depressiva; ■ demenza degenerativa senza depressione; ■ depressione da iniziale demenza degenerativa; ■ associazione di depressione e demenza degenerativa.

La sindrome della demenza da depressione colpisce i pazienti anziani con una storia per lo più di depressione maggiore ed è caratterizzata da un modello di compromissione cognitiva di tipo sottocorticale. Defi cit di memoria, disturbi dell’attenzione e della concentrazione, rallentamento psicomotorio e apatia, diffi coltà nella programmazione e nella scelta delle strategie più appropriate per raggiungere un obiettivo, impoveri-mento delle capacità di astrazione sono i sintomi caratteristici di questa sindrome (Caine, 1981; Wells, 1979). Criteri per distinguere la demenza da depressione da quella di tipo alzheimeriano sono una storia di episodi depressivi precedenti, un esordio generalmente acuto con una rapida pro-gressione dei sintomi, una correlazione dell’entità dei defi cit cognitivi con la gravità della depressione (Wells, 1979). A differenza dei pazienti con MA, che di solito si lamentano poco e in maniera vaga dei propri di-sturbi cognitivi, i pazienti con pseudodemenza depressiva generalmente enfatizzano molto le proprie diffi coltà cognitive, tendono a sottolineare i loro insuccessi e spesso rifi utano di svolgere compiti anche semplici, af-fermando fi n dall’inizio di non essere in grado di trovare le risposte cor-rette (Wells, 1979). Il profi lo neuropsicologico dei pazienti con MA evi-denzia defi cit ben strutturati delle funzioni strumentali mentre, nella demenza da depressione, la compromissione riguarda soprattutto i com-piti attentivi, le prove di ragionamento astratto, i test di memoria. I pa-zienti depressi frequentemente si lamentano di una riduzione delle capa-cità mnesiche ma, rispetto ai pazienti con una vera sindrome amnestica, questi soggetti si mostrano molto preoccupati per i loro defi cit e nei test specifi ci per la memoria hanno prestazioni più basse nelle fasi di acquisi-zione e registrazione delle informazioni, rifi utando spesso di impegnarsi per cercare di apprendere una quantità maggiore di dati.

Le caratteristiche cliniche della depressione associata a de-menza possono variare da quadri di tipo distimico a quadri che ricordano le forme di depressione maggiore. Nel decorso clini-co delle demenze, la depressione è più frequente negli stadi precoci, in particolare questo è comune nella MA (Petry e Cummings, 1989) prevalente nel genere femminile e correlata

a personalità premorbosa di tipo nevrotico (Aalten et al, 2001): le alterazioni dell’umore in senso depressivo nei pazienti con demenza tendono in genere a essere più lievi, brevi e ricorren-ti rispetto a quelle che caratterizzano la depressione primaria.

Nella MA è presente depressione maggiore verosimilmente nel l0-20% dei casi (Zubenko e Moossy, 1988) se si applicano i criteri standard del DSM-IV (pur considerando che questi sono verosimilmente poco idonei a defi nire la depressione nel-la MA; cfr. Olin et al, 2002 che hanno elaborato dei criteri dia-gnostici specifi ci per la depressione nella MA). In letteratura sono state peraltro riportate percentuali molto varie (2-85%, Cummings, 1995), evidentemente per disomogeneità dei meto-di di rilevazione e di defi nizione; mentre la depressione minore o distimia è stata riportata in modo meno difforme (25-50%, Cummings, 1995), probabilmente per via della sua più facile diagnosticabilità. L’alterazione timica in senso depressivo può precedere l’insorgenza della MA (Devanand et al, 1996) ed essere un sintomo prominente anche della compromissione co-gnitiva lieve; è comune soprattutto in pazienti anziani e molto scolarizzati (Spalletta e Caltagirone, 2002); è, secondo alcuni, più marcata nei casi a esordio precoce (Lawlor et al, 1994) e compare con maggiore probabilità nei casi con anamnesi fami-liare positiva per disturbo affettivo (Pearlson et al, 1990), pur essendo le due entità indipendenti dal punto di vista genetico. Peraltro la depressione nella MA, spesso abbinata all’ansia, è di fatto meglio trattabile dei BPSD, non è persistente nella sto-ria naturale della malattia e, diversamente da irritabilità e apatia (Starkstein et al, 2006), di solito si dilegua in fase medio-avan-zata lasciando luogo prevalentemente ai disturbi psicotici e al-l’agitazione. Sul piano cognitivo sono state riportate differenze notevoli per quanto riguarda i compiti esecutivi, signifi cativa-mente più compromessi in pazienti con MA depressi rispetto a quelli non depressi. La maggior parte dei pazienti con MA de-pressi tende ad avere anche altri disturbi comportamentali come agitazione o psicosi (Levy et al, 1996).

La depressione è molto comune anche nelle forme sotto-corticali degenerative come la corea di Huntington, la malattia di Parkinson e in quelle vascolari (encefalopatia di Binswan-ger, stato lacunare, arteriopatia cerebrale autosomica dominan-te con infarti sottocorticali e leucoencefalopatia – CADASIL) e nell’idrocefalo normoteso: in queste ultime è patogenica-mente rilevante il danno alla sostanza bianca sottocorticale, ai gangli della base, alla sostanza nera, con disfunzione dei cir-cuiti fronto-sottocorticali.

La maggior parte degli studi di neuroimaging funzionale mostra una correlazione tra depressione nella MA e ipometa-bolismo nella corteccia frontale (giro superiore e del cingolo; Hirono et al, 1998); un riscontro anatomofunzionale di questo tipo si ritrova anche nella depressione primaria o secondaria ad altre patologie neurologiche, tra cui la malattia di Parkinson (Ring et al, 1994). Nei pazienti affetti da MA con depressione sono state stata riscontrate perdita neuronale nel locus coeru-leus e riduzione dei siti di ricaptazione della serotonina, in modo signifi cativo rispetto ai non depressi (Chen et al, 1996).

È molto importante trattare la depressione nelle demenze (i farmaci serotoninergici sono spesso effi caci specie nella MA), dal momento che spesso si migliora drammaticamente l’aspet-to funzionale dei pazienti e la loro qualità di vita insieme a quella dei caregiver.

La disforia , intesa come umore instabile, è più frequente nella MA che non in patologie associate a “disfunzione fronta-le” come la DFT, la paralisi sopranucleare progressiva o anche

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la corea di Huntington (Mega et al, 1996); in queste forme, invece, sono più frequenti disinibizione e apatia (spesso pre-senti insieme).

Labilità emotiva, “incontinenza emotiva”, “pianto senza con-tenuto di pensiero” (Ritchie e Lovestone, 2002) caratterizzano invece le encefalopatie vascolari sottocorticali e la paralisi so-pranucleare progressiva (che talora hanno presentazioni clini-che similari) e spesso accompagnano gli altri sintomi e segni cosiddetti “pseudobulbari” (disfagia, marcia a passi strascica-ti, lievi segni piramidali bilaterali), secondari a un’ischemia cronica di strutture sottocorticali.

Euforia e mania sono rare nella MA (2% dei casi in lettera-tura; Mendez, 2000), mentre la mania secondaria non è rara come sintomo di lesioni cerebrali focali che coinvolgono le zone limbiche e quelle a esse collegate (cfr. Capitolo 14).

DISTURBI PSICOTICI: DELIRI, ALLUCINAZIONI I deliri (intesi come false credenze fi sse) sono molto frequen-ti nelle demenze, soprattutto nella MA, dove sono stati ripor-tati in letteratura con incidenza molto varia, che arriva fi no al 70% (Wragg e Jeste, 1989). Di solito sono meno strutturati e più “concreti” rispetto a quelli delle psicosi primarie (cfr. Ca-pitolo 15). I deliri più frequenti si riferiscono a persone che rubano cose, a visitatori indesiderati, al coniuge che è visto come un impostore (sindrome di Capgras) oppure è infedele; altre volte consistono in una falsa attribuzione di identità a persone familiari, personaggi della televisione che diventano reali, o anche in un’impossibilità di riconoscere la propria immagine allo specchio. Qualche autore, sottolineando l’ete-rogeneità della sintomatologia delirante nella MA, ha operato una differenziazione tra il raggruppamento dei falsi ricono-scimenti deliranti e quello delle idee paranoidi (Cook et al, 2003), in quanto solo il primo è correlato con lo status neu-ropsicologico (Quaranta et al, 2007).

I deliri nella MA sono stati associati ad atrofi a fronto-tem-porale prevalente a destra, al neuroimaging morfologico (Forstl et al, 1994) e ad aumento dell’attività lenta (theta e delta) al-l’EEG, indipendentemente dalla severità della demenza (Lo-pez et al, 1991). I pazienti con MA deliranti possono, peraltro, avere un declino cognitivo più accelerato rispetto a quelli senza deliri (Drevets e Rubin, 1989). I criteri diagnostici per la psico-si nella MA sono stati elaborati da Jeste e Finkel (2000).

Le allucinazioni nelle demenze sono prevalentemente di tipo visivo anziché uditivo (come nelle psicosi primarie); sono più frequenti e caratteristiche nella forma a corpi di Lewy, dove hanno un aspetto peculiare (di tipo visivo, ben delineate, “grafi -che”; cfr. oltre) e costituiscono un criterio diagnostico primario (McKeith et al, 1996), insieme con il decorso cognitivo fl ut-tuante e i segni extrapiramidali. In questa malattia le allucina-zioni e anche i deliri sono più frequenti rispetto alla MA, spesso associati a disinibizione, in aumento con la progressione della malattia e correlati alla disfunzione sottocortico-frontale.

Nella MA le allucinazioni sono meno frequenti dei deliri, essendo presenti in circa il 15% dei casi (Assal e Cummings, 2002); la loro incidenza diminuisce nei pazienti cognitivamen-te più compromessi. Il cluster dei disturbi psicotici nella MA, non direttamente correlato al quadro cognitivo, è stato riscon-trato in associazione con le lesioni neuropatologiche tipiche, soprattutto grovigli neurofi brillari e depopolazione neuronale, nelle sedi temporo-mediali, con conseguente disfunzione del

sistema limbico (Mendez et al, 2008), fi nalizzato a legare la percezione agli stati emotivi. La sintomatologia di tipo psi-cotico nella MA è considerata da alcuni predittiva di declino cognitivo e funzionale, essendo stata riscontrata in associa-zione con istituzionalizzazione e mortalità (Scarmeas et al, 2005).

I deliri sono presenti anche nella DFT (Mendez et al, 2008), pur se con incidenza più bassa rispetto alla MA e alla DLB: in questa condizione patologica insorgono precocemente, sono prominenti e persistenti, di diversa fenomenologia, più fre-quenti quelli paranoidei e somatici; la loro presenza è preva-lente nella variante comportamentale associata ad atrofi a frontale destra (Omar et al, 2009); (vedi anche oltre). La sin-tomatologia delirante nelle DFT (usualmente senza allucina-zioni) va distinta dai più frequenti comportamenti bizzarri, e va considerato anche il possibile ruolo farmacologico, alla luce della frequente ipersensibilità da neurolettici in questa patologia.

Disturbi psicotici sono frequenti anche nelle demenze sot-tocorticali, di tipo degenerativo o vascolare (vedi oltre), ol-tre che nelle demenze miste, le quali peraltro hanno un pro-fi lo neuropsichiatrico assimilabile alla MA (Scarmeas et al, 2005).

ALTERAZIONI NEUROVEGETATIVE Disturbi del sonno Nell’età senile sono note le modifi cazioni qualitative e quan-titative del sonno, con insonnia preminente: c’è diminuzione del sonno REM, diminuzione del sonno a onde lente e aumen-to dei risvegli notturni; nei pazienti affetti da demenza l’in-sonnia, che è molto frequente (42% dei casi; Vitiello et al, 1990), può essere isolata o associata ad ansia o disforia. Nei pazienti con MA il disturbo a questo proposito preminente è l’alterazione del ciclo sonno-veglia, prevalentemente nei mesi invernali (Yesavage et al, 2003).

L’incidenza di questi sintomi aumenta con la progressione della malattia e costituisce un serio problema per i caregiver che devono salvaguardare l’incolumità del paziente che si alza di notte e comincia, magari al buio, a vagare per gli am-bienti (con possibilità di cadute e traumatismi vari, o uscite fuori di casa). Ci sono fattori multipli, che talora coesistono, alla base di questo disturbo del sonno: stato dell’umore, effet-ti iatrogeni (farmaci), ambientali in senso lato (tra cui anche la scarsa esposizione alla luce), oltre alla malattia cerebrale de-mentigena di per sé. Talvolta anche il dolore fi sico o lo stress per cause mediche generali possono esserne la causa.

Nelle forme di MA avanzate è riportato con una certa fre-quenza il fenomeno del sundowning , cioè dell’aumento della confusione nelle ore serali, verosimilmente dovuta al venir meno di stimoli visivi per la diminuzione della luce naturale con, a volte, eccessiva illuminazione artifi ciale, in una situa-zione di possibile calo sensoriale globale (visivo e acustico). Questa situazione, insieme alla sopracitata alterazione del ritmo sonno-veglia e all’eventuale condizione di affaticamen-to serale, crea confusione e talora agitazione e attività motoria afi nalistica. Anche semplici interventi “ambientali”possono risolvere questo problema.

In alcune patologie degenerative sottocorticali, come per esempio la malattia di Parkinson (che, come si sa, in un terzo almeno dei casi comporta demenza), oltre alla frequente ecces-siva sonnolenza diurna (vedi oltre) è descritta anche in alcuni

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casi una sorta di “ipervigilanza” con incapacità a rilassarsi, e aumentata attività del sistema nervoso autonomo, con distur-bi gastro-enterici (Stacy e Jankovic, 1992); nella MA è pre-sente invece una globale ipoattività del sistema nervoso auto-nomo.

Nella malattia da prioni, chiamata insonnia fatale familiare (Lugaresi et al, 1986), il disturbo progressivo e devastante del ritmo sonno-veglia e la “burrasca” vegetativa sono appunto le caratteristiche preminenti (causate dalla degenerazione tala-mica).

Disturbi del comportamento alimentare Sono comuni nella maggior parte delle demenze: in genere vi è una diminuzione ponderale negli stadi intermedi o avanzati, spesso da riduzione dell’appetito (anche per effetti iatrogeni o disturbi fi sici intercorrenti) o per condizioni pratiche che de-terminano minori introiti alimentari (assistenza carente, im-pazienza per i tempi canonici del pasto, ipercinesia protratta ecc.). Non è però infrequente osservare un dimagramento anche a fronte di normali, oppure anche aumentate, entrate caloriche, per ragioni non chiare (malassorbimento? “iperme-tabolismo”?). La perdita di peso costituisce un fattore di ag-gravamento di malattia ed è da alcuni considerato un indice predittivo di mortalità (Riviere et al, 1999). Ci sono talora casi di iperfagia, riportata nel 10% dei malati di Alzheimer e assai più frequentemente nelle DFT, insieme con iperoralità in genere (Assal e Cummings, 2002); in queste forme è fre-quente il desiderio di mangiare dolci, anche sovvertendo le preferenze alimentari premorbose.

Nelle DFT anche gli aspetti ossessivo-compulsivi (rari nel-la MA), insieme agli altrettanto frequenti stati di disinibizione e disforia, possono condurre a iperfagia, talora cospicua.

Le alterazioni neurochimiche endogene implicate in questa serie di disturbi comprendono disfunzioni serotoninergiche, diminuzione dei livelli plasmatici e cerebrali di neuropeptide Y (Minthon et al, 1996), diminuzione della noradrenalina ce-rebrale (Marcus e Berry, 1998).

Disturbi del comportamento sessuale Un comportamento sessualmente inappropriato di vario tipo è stato riportato nel 22% dei casi di MA, in un’estesa casistica di soggetti anziani affetti da demenza (Alagiakrishnan et al, 2005). È noto che nella maggior parte dei casi, la demenza si accompagna a diminuzione del desiderio sessuale ma, qual-che volta, specie nei pazienti con MA avanzata, può esservi ipersessualità, che può consistere in aumento dell’interesse sessuale o raramente in aggressività sessuale (Cummings e Victoroff, 1990) o parafi lia. L’ipersessualità, più frequente nella demenza fronto-temporale rispetto alla MA, inclusa nello spettro del disturbo osssessivo-compulsivo, è una situa-zione spesso problematica per il partner o i caregiver. Tale condizione, è diffi cile da trattare e non va accomunata con la più frequente “iperaffettività” (per esempio, accarezzare, te-nere le mani di altri a lungo, mandare baci), in parte da inter-pretare come lieve disinibizione emotiva.

Raramente pazienti affetti da MA in fase avanzata manife-stano, in parte o in toto, la sindrome di Kluver-Bucy (Lilly et al, 1983), sostenuta da una disfunzione bilaterale della par-te mediale dei lobi temporali.

COMPROMISSIONE COGNITIVA LIEVE

È necessario menzionare questa sindrome (in inglese Mild Cognitive Impairment , MCI) intesa come condizione interme-dia tra normalità cognitiva e demenza, che può in molti casi essere precorritrice della MA (Petersen, 2004). I soggetti clas-sifi cabili come MCI (Petersen et al, 1999) sono caratterizzati da disturbo soggettivo di memoria, preferibilmente conferma-to da un familiare, funzionalità cognitiva generale normale, attività quotidiane normalmente conservate, defi cit cognitivi obiettivati ai test (le prestazioni devono essere 1,5 DS sotto il cut-off), assenza di demenza (Caltagirone et al, 2002).

Alcuni dei disturbi neuropsichiatrici sopra menzionati (sono presenti in quasi la metà dei soggetti con MCI depressione, apatia, irritabilità, ansia) possono essere presenti anche in una condizione come questa, in cui il quadro cognitivo e, soprattut-to, quello funzionale (autonomia del quotidiano) non sono an-cora compatibili con una diagnosi di demenza secondo i criteri canonici, condizione che potrebbe però comparire successiva-mente. Un recente studio ha confermato come l’apatia e la de-pressione siano i sintomi psichiatrici prevalenti non solo nella MA ma anche nella sindrome MCI (Di Iulio et al, 2010). Un corretto inquadramento della semeiotica di quest’area dei di-sturbi psicologici e comportamentali (BPSD) può dunque aiuta-re a diagnosticare tempestivamente la sindrome neurocognitiva. È stato dimostrato che pazienti con MCI e sintomi depressivi e/o apatici convertono in MA nell’arco di un anno in una misu-ra signifi cativamente maggiore rispetto a pazienti senza o con una percentuale minore di questi sintomi (Robert et al, 2006).

Al di là di questo, la sindrome MCI – che dal punto di vista nosografi co è stata risistematizzata con una classifi cazione in sottotipi (Petersen et al, 2001) in base agli aspetti cognitivi e alle associazioni con altre condizioni patologiche, tra cui vi è il quadro associato a disturbi psichici e comportamentali – costituisce un interessantissimo ambito di ricerca (Kelley e Petersen, 2007). Tuttavia, alla luce del recente tentativo di identifi care stati prodromici della demenza, in particolare della MA, il concetto di MCI ha subito un considerevole ridi-mensionamento della sua importanza e della sua specifi cità clinica (Dubois et al, 2010).

DEMENZE DEGENERATIVE E VASCOLARI

Vengono qui di seguito riportati gli aspetti clinico-diagnostici ed eziopatogenetici rilevanti e distintivi delle principali forme di demenza su base degenerativa e vascolare.

Per motivi di spazio e per scelta espositiva, viene riportata solo una sintesi dei criteri diagnostici internazionali più in uso per le singole forme di demenza, laddove presenti, rimandan-do alle fonti bibliografi che per la trattazione in esteso. Recen-temente sono state pubblicate nuove linee guida per la dia-gnosi della MA (Dubois et al, 2007, Hort et al, 2010).

MALATTIA DI ALZHEIMER La MA è la forma più comune di demenza, rappresentando da sola circa il 50-60% di tutte le forme dementigene. La dia-gnosi di MA è stata considerata per molto tempo una dia-gnosi puramente clinica che si avvale di criteri internazionali quali quelli del DSM-IV (1994) e del NINCDS-ADRDA (National Institute of Neurological and Communicative Di-

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16NEUROPSICHIATRIA DELLE DEMENZE

sorders and Stroke and Alzheimer’s Disease and Related Di-sorders; McKahn et al, 1984), che, sebbene datati, sono am-piamente accettati dalla comunità scientifi ca.

Secondo il DSM-IV (1994) devono essere presenti defi cit cognitivi tali da alterare la funzionalità sociale e/o lavorativa, ad andamento gradualmente progressivo, non associati ad abuso di sostanze, né a occorrenza esclusiva-mente durante delirium in assenza di depressione maggiore. Per la dia-gnosi di MA i criteri più diffusi, quelli del NINCDS-ADRDA indicano tre livelli di probabilità (possibile, probabile o defi nita dall’esame autoptico).

Negli ultimi anni tuttavia sono stati stilati nuovi criteri dia-gnostici (Dubois et al, 2007).

Questi criteri prevedono un uso sistematico delle più recenti indagini bio-chimiche: (determinazione dei dosaggi di proteina beta-amiloide e protei-na TAU liquorali (la prima ridotta e la seconda aumentata rispetto alla popolazione di controllo); di neuroimmagini (SPECT, PET, fRM); di ge-netica molecolare (ricerca delle mutazioni genetiche note ed eventuali polimorfi smi). Si introduce inoltre il concetto di malattia di Alzheimer prodromica per indicare quello stadio della malattia nel quale, pur non essendo presenti gli elementi clinici per formulare una diagnosi di de-menza, si rilevano altri elementi (per esempio, diagnostico-strumentali, biochimici, genetici) tali da poterne ipotizzare il futuro sviluppo.

Tali criteri sono stati sistematizzati da un gruppo di lavoro ad hoc (Dubois et al, 2010) e, sebbene possano considerarsi ap-plicabili solo da centri specialistici in quanto richiedono inda-gini che non sono facilmente accessibili a tutti, offrono la possibilità di formulare la diagnosi ancora prima che si svi-luppi una franca condizione di malattia. È tuttavia opportuno ricordare come, a malattia manifesta, i criteri ancora oggi in uso permettano di raggiungere un’accuratezza della diagnosi di circa l’80-90%. La MA è caratterizzata da un graduale e progressivo decadimento delle funzioni cognitive superiori.

Sotto il profi lo neuropsicologico si distinguono forme tipiche con premi-nente defi cit della memoria (prevalentemente a carico della memoria verbale episodica), con progressivo interessamento di altre aree cognitive (funzioni simboliche, visuospaziali, esecutive) anche in modo disomoge-neo, e forme atipiche dette anche pseudofocali . Sono forme con esordio di afasia progressiva, forme con preminente localizzazione dell’atrofi a in sede occipitale bilaterale (defi cit visivi progressivi), biparietale posteriore od occipito-temporale (sono preminenti l’agnosia visiva progressiva, ta-lora la sindrome di Balint, i defi cit visuospaziali e altri defi cit cognitivi “posteriori”) e altre a nosografi a talora incerta (per una rassegna vedi Galton et al, 2000).

Un aspetto di estremo rilievo clinico è la presenza, variabile ma quasi sempre riscontrabile nel corso della malattia, di di-sturbi comportamentali e sintomi psichici che si manifestano con una vasta gamma fenomenologica nei vari stadi della ma-lattia, essendo più frequenti e più invalidanti nelle forme mo-derate-severe.

È stato stimato che oltre il 70% dei pazienti con MA presenta disturbi neuropsichiatrici quali deliri, allucinazioni, agitazione, aggressività, comportamenti sociali inappropriati e ancora an-sia, depressione, apatia, disturbi del sonno, della condotta ali-mentare e sessuale. È stata suggerita una predisposizione gene-tica a questi tipi di disturbi (Sweet, 2002; Tunstall, 2000) e sono stati indagati numerosi geni tra cui quello dell’apolipoproteina E (Pritchard et al, 2007), che è riconosciuto come fattore di ri-schio per la MA, e altri geni coinvolti nel sistema neurotrasmet-titoriale serotoninergico e/o dopaminergico (Assal et al, 2004; Borroni et al, 2006; Craig et al, 2004, Holmes et al, 2001; Prit-chard et al, 2007; Pritchard et al, 2010; Proitsi, 2010) ( fi g. 16.1 )

Inoltre, a sostenere l’ipotesi di una predisposizione geneti-ca è l’osservazione che, nei soggetti con MA geneticamente determinati, l’esordio clinico è spesso di tipo comportamenta-le e ciò è tanto più vero nei casi sostenuti da mutazioni della presenilina 1 (PSEN1) (che sono tra l’altro le più frequenti).

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Ritiro sociale

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Ansia

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Deliri

Irritabilità

Vagabondaggio

Paranoia

Ideazionisuicidarie

Comportamento inappropriato

Cambiamento di umore

Comportamento sessuale inappropriato

Agressività

Allucinazioni

Comportamentoaccusatorio Fig. 16.1 Disturbi

del comportamento e demenza di Alzheimer. (Dati tratti da Jost e Grossberg, 1996.)

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16 PARTE II PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA

Escludendo tuttavia queste situazioni “particolari”, i distur-bi neuropsichiatrici nella MA sono positivamente correlati allo stadio della malattia.

Nello stadio iniziale, nel quale la coscienza di malattia e il senso di critica sono parzialmente conservati, è più facile ri-scontrare episodi di depressione “minore” accompagnata da sintomi somatici, ansia e disturbi del sonno (più frequente-mente vari tipi di insonnia) spesso associati ad alterazioni di personalità che possono essere di tipo inibitorio (apatia, ap-piattimento emotivo, abulia, ritiro sociale) ovvero di facile irascibilità, opposizione ecc. Più raramente, in questa fase iniziale, è possibile riscontrare la presenza di deliri che, al contrario, sono più comuni nella fase intermedia.

Il contenuto del pensiero delirante è vario, sebbene spesso si tratti di delirio di persecuzione e/o nocumento da parte di familiari e/o conoscenti verso i quali il soggetto assume un atteggiamento di chiusura, diffi denza e aggressività.

Nelle fase intermedia è altrettanto frequente il riscontro di allucinazioni per lo più visive (tipicamente di persone del passato, per esempio familiari deceduti), oppure uditive (di solito persecutorie in accompagnamento ai deliri). Depressio-ne, apatia, disturbi del sonno, agitazione e disturbi psicomoto-ri completano il quadro neuropsichiatrico di questa fase inter-secandosi fra loro in vario modo.

Lo stadio avanzato è caratterizzato spesso da marcata agita-zione psicomotoria e vagabondaggio, in un contesto talora di eloquio monosillabico o mutismo, rigidità, diffi coltà nella de-glutizione, incontinenza, che prelude la fase di allettamento (cosiddetta internistica ) con exitus per malattie intercorrenti, anche infettive (delle vie respiratorie e/o urinarie), usualmen-te entro 6 mesi.

La fi gura 16.1 riporta la frequenza dei disturbi comporta-mentali prima e dopo la diagnosi di MA. Viene inoltre indicata la percentuale dei pazienti che manifesta disturbi psichiatrici, differenziando per ciascun sintomo la sua frequenza rispetto al tempo in cui viene posta la diagnosi (Jost e Grossberg, 1996).

Genetica e biochimica Nella maggior parte dei casi la MA è di tipo sporadico, mentre in un 5-10% la malattia ha una base familiare e talvolta più strettamente geneti-ca (Piscopo et al, 2006; Talarico et al, 2010). Nel 10-20% delle forme fa-miliari è possibile identifi care mutazioni genetiche che presentano moda-lità di trasmissione autosomica dominante con la presenza di mutazioni a carico di tre geni ovvero APP (proteina precursore dell’amiloide), PSEN1 (presenilina 1) e PSEN2 (presenilina 2) rispettivamente sui cromosomi 21, 14 e 1 (Piscopo et al, 2010; Sala Frigerio et al, 2005). Le nuove mutazioni vengono raccolte e segnalate su un sito specifi co al quale si rimanda per l’aggiornamento continuo (http://www.molgen.ua.ac.be/ADMutations/).

Non esiste al momento un test di laboratorio sicuramente diagnostico nel singolo soggetto; possono essere utili nella pratica clinica e hanno esteso impiego nella ricerca la determinazione plasmatica dell’apolipo-proteina E (il genotipo E4-E4 aumenta la probabilità di malattia), i dosag-gi liquorali di isoforme della proteina TAU e della beta-amiloide, il profi -lo piastrinico dell’ APP .

Per i correlati morfofunzionali e neuropatologici della MA consultare la tabella 16.1 .

DEMENZA FRONTO-TEMPORALE La DFT rappresenta un eterogeneo gruppo di entità cliniche caratterizzate da fenomeni neurodegenerativi con prevalenti disturbi del comportamento e/o del linguaggio (Rabinovici e

Miller, 2010) L’insorgenza è possibile in un ampio range di età (35-75 anni), ma più spesso ha un esordio presenile. Spes-so vi è familiarità, talora vi sono casi seguiti a lungo solo psi-chiatricamente.

L’esame neurologico rivela la presenza precoce dei segni di “liberazione frontale” (rifl essi arcaici); in alcuni casi vi sono aprassia e/o comportamento di utilizzazione; il parkinsoni-smo, specie in fase avanzata, non è un elemento contro la dia-gnosi; fascicolazioni, disfagia e altri segni neuromuscolari possono essere presenti (talora la DFT è associata alla malat-tia del motoneurone).

Nosografi camente vengono distinte tre grandi sottosindromi: la variante frontale o comportamentale (DFT-f o DFT-c), la più frequente, e due varianti “linguistiche”, l’ afasia progressiva primaria (APP) e la demenza semantica . La degenerazione cortico-basale (CBD), la paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e la sclerosi laterale amiotrofi ca (SLA) possono presen-tare caratteristiche comuni alla DFT e sono da molti autori rag-gruppate insieme a quest’ultima sotto il termine di taupatie .

Dati di prevalenza stimano le DFT con numeri variabili tra il 2 e il 9% dei casi di demenza. Hanno un altissimo tasso di familia-rità (intorno al 50% circa). Nel 1998 i gruppi di ricerca svedese (di Lund) e inglese (di Manchester) in una Consensus Conferen-ce hanno stabilito i criteri per la diagnosi della sindrome clinica (Neary et al, 1998), poi rivisti nel 2001 da McKhann et al.

Questi criteri, i quali prendono in considerazione sintomi che coinvolgo-no il comportamento, l’affettività e linguaggio, sono: 1. a) precoce e progressivo cambiamento della personalità o b) precoce e

progressivo cambiamento del linguaggio (alterazioni della fluenza o grave difficoltà nella denominazione e con il significato delle parole);

2. i deficit manifestati con 1a o 1b provocano una compromissione signi-ficativa nelle funzioni sociali od occupazionali;

3. il decorso è caratterizzato da un esordio insidioso e un declino pro-gressivo delle funzioni;

4. i deficit che si manifestano con 1a o 1b non sono dovuti ad altre con-dizioni del sistema nervoso, condizioni sistemiche o indotte da sostanze;

5. i deficit non si manifestano esclusivamente nel corso di delirium; 6. il disturbo non è meglio diagnosticabile con nessun altro disturbo psi-

chiatrico.

La DFT è una demenza in cui le alterazioni comportamentali (disinibizione, perdita del controllo sociale, stereotipie), i di-sturbi affettivi (apatia, disinteresse, perdita di empatia), i di-sturbi del linguaggio (monotonia, riduzione dell’iniziativa verbale) si manifestano inizialmente in forma quasi subdola e progrediscono lentamente, come facenti parte di un processo apparentemente non morboso e come tale non sempre ade-guatamente valutato se non quando diventa conclamata la sin-drome cognitiva con disturbi della memoria, afasia, marcato disorientamento temporo-spaziale e compromissione funzio-nale (Mendez e Shapira, 2008). Diversi studi hanno infatti dimostrato come l’intervallo tra il primo sintomo e l’ingresso in un centro specialistico sia più lungo per i soggetti affetti da DFT che da MA (Rascovsky et al, 2006). Questo tipo di de-menza è verosimilmente sottostimata dal punto di vista epide-miologico (alcuni studi arrivano a ipotizzare percentuali vicine al 20%), proprio in ragione delle sue peculiarità nell’espressio-ne clinica. Pasquier et al (2004) riporta un declino annuale al punteggio del Mini-Mental State Examination (MMSE) di 0,9 (± 1,4), nettamente inferiore a quello di una popolazione affetta

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16NEUROPSICHIATRIA DELLE DEMENZE

da MA (2,0 ± 2,0) con curve di sopravvivenza non signifi cati-vamente differenti. Un altro studio di confronto DFT-MA ha portato tuttavia a risultati opposti: la popolazione con DFT pre-sentava un’aspettativa di vita inferiore nonché una perdita di punteggio al MMSE notevolmente maggiore (quasi doppia rispetto ai soggetti con MA). Tali studi, oltre a portare a risultati profondamente contrastanti, prescindono dall’aspetto genetico, limitandosi all’aspetto clinico-epidemiologico della patologia.

Il profi lo neuropsicologico della DFT dipende dalla preva-lente localizzazione della degenerazione.

A differenza della MA i defi cit mnesici non sono preminenti, le abilità visuospaziali tendono a rimanere conservate per lungo tempo (anzi, talora vi è un singolare sviluppo di capacità pittoriche). Sono invece presenti defi cit delle funzioni esecutive (degenerazione delle aree dorsolaterali) e

disturbi del comportamento. Tra i disturbi comportamentali più signifi ca-tivi, vi è la presenza di apatia cognitiva (secondaria alla degenerazione delle aree prefrontali dorsolaterali), e di apatia emozionale (secondaria alla degenerazione delle aree orbito-frontali) (cfr. Capitolo 10), più co-stante e pervasiva che nella MA, che si esprime talora con un’indifferenza totale per se stessi e per il prossimo, compresi i familiari più stretti. Inol-tre, vi sono perdita di consapevolezza personale e sociale, irritabilità, di-sinibizione, comportamenti perseverativi con aspetti di iperoralità (iperfa-gia, specie per i dolci) e comportamenti motori aberranti, talora bizzarri. Tali aspetti neuropsichiatrici rifl ettono prevalentemente la disfunzione delle aree orbito-frontali. Sono comprese nel quadro anche idee polariz-zate talora con istanze suicidiarie, incontinenza emotiva, euforia. Impor-tante dal punto di vista dell’inquadramento è il rilevamento di un “cam-biamento” di personalità e stile di vita spesso radicale rispetto al passato, con possibilità di “incidenti” anche civilmente o penalmente rilevanti per diffi coltà di controllo dell’impulso.

Tab. 16.1 Correlati morfofunzionali e neuropatologici della MA e della DFT

Neuroimmagini Neuropatologia

Malattia di Alzheimer (MA)

La RM mostra già nelle fasi precoci una riduzione degli indici morfometrici della corteccia entorinale e dell’ippocampo. Con la progressione della malattia si evidenzia atrofi a corticale, e in modo ancora più evidente, a livello delle strutture temporo-mesiali; sono elementi a sfavore della diagnosi di MA pura la presenza di infarti multipli, di alterazioni diffuse e marcate della sostanza bianca sottocorticale, di atrofi a focale (per esempio, lobare) o evidentemente asimmetrica

Recenti studi di RM con tecnica voxel-based morphometry hanno mostrato alterazioni della sostanza bianca a livello del corpo calloso anteriore nel MCI e nell’iniziale MA che, in quest’ultima condizione, si estendono però anche alle regioni callose posteriori

Agli esami “funzionali” (SPECT e PET) si osservano ipoperfusione parieto-temporale bilaterale nelle forme tipiche; ipoperfusione focale nelle forme atipiche, per le quali l’apporto diagnostico di queste indagini è più rilevante; vi è evidenza di beta-amiloide con specifi ci marcatori (PET con PIB compound )

All’esame istopatologico sono presenti differenze quantitative rispetto al cervello senile: depauperamento neuronale, placche amiloidee o senili (intercellulari), grovigli neurofi brillari (intracellulari), specie nell’ippocampo, degenerazione walleriana nel corpo calloso anteriore e posteriore

È presente un defi cit neurotrasmettitoriale prevalentemente a carico del sistema colinergico dovuto alla degenerazione del nucleo basale e di altri nuclei colinergici nel telencefalo basale, che determina una deafferentazione colinergica della corteccia cerebrale. Altri disordini neurotrasmettitoriali appaiono come secondariamente determinati dai fenomeni neuropatologici

Demenza fronto-temporale (DFT)

In generale si rileva un’atrofi a asimmetrica (sinistra/destra, con prevalenza dell’uno o dell’altro lato) e focale a carico delle parti anteriori dei lobi frontali e/o temporali (meglio apprezzata in proiezioni coronali). Gli studi RM piu recenti hanno permesso di identifi care 4 pattern “anatomogenetici”: variante temporale ( MAPT associata), variante temporo-fronto-parietale ( GRN associata, che include anche quadri di degenerazione corticobasale), varianti frontali e frontotemporali

I pazienti con coinvolgimento del gene FUS mostrano atrofi a frontale paralimbica associata ad atrofi a del caudato soprattutto a confronto con varianti di TAU o TDP. Mutazioni a carico di GRN predispongono a un’atrofi a asimmetrica a carico dei lobi frontale, temporale e parietale inferiore (caratteristica quest’ultima che differenzia questa forma da tutte le altre), mentre mutazioni del MAPT si associano ad atrofi e simmetriche temporali anteriori e orbito-frontali

SPECT/PET: ipoperfusione fronto-temporale nelle fasi iniziali della malattia con successiva estensione ad altre aree corticali

Depopolazione neuronale piramidale e degenerazione microvacuolare degli strati II e III della corteccia frontale e temporale; gliosi corticale. La maggior parte dei casi di DFT presenta inclusioni cellulari e può essere classifi cata in due sottogruppi: a) inclusioni cellulari TAU-positive (corpi di Pick); b)inclusioni cellulari di ubiquitina e TDP 43-positive e TAU-negative. Un piccolo gruppo di pazienti presenta inclusioni positive al FUS

Sono presenti defi cit prevalentemente serotoninergico e dopaminergico

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16 PARTE II PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA

I pazienti con MA riescono, talora fi no a stadi intermedi, a mascherare le diffi coltà cognitive (di cui spesso sono parzial-mente consapevoli) con comportamenti socialmente corretti (mantenimento della “facciata”, talora le regole dell’educa-zione sono perfi no accentuate), tanto che anche in sede di vi-sita tendono a “voler apparire a tutti i costi a posto”, mentre i pazienti con DFT, pur essendo per lungo tempo in grado di registrare e ritenere nuove informazioni, paiono non avere al-cun interesse per ciò che accade intorno a loro, né tantomeno si curano delle apparenze e delle regole sociali. Tale aspetto di “scorrettezza sociale”, che a volte è causa di istituzionalizza-zione anche in casi non gravemente deteriorati e con autono-mia funzionale conservata, è caratteristico delle varianti fron-tali della DFT, più frequentemente nelle forme con asimmetria della degenerazione frontale per destra > sinistra ( variante frontale destra della DFT ).

La prevalenza della degenerazione in sede fronto-tempora-le sinistra ( variante temporale sinistra della DFT ) dà luogo più frequentemente a pattern cognitivi di alterazione lingui-stica anche come disordine isolato (APP), mentre i pazienti con MA e con disordine linguistico di solito hanno anche una compromissione precoce della memoria. Vi sono poi pazienti con il quadro peculiare di demenza semantica (afasia fl uente) i quali hanno una perdita di conoscenza anche severa delle espressioni verbali e delle conoscenze semantiche. (Per un ap-profondimento dei quadri di APP vedi Mesulam, 2001).

Nelle forme con pattern “linguistico” (da alterazione selettiva delle aree silviane a sinistra) è presente un’afasia non fl uente ( APP non fl uente ) con alterazione espressiva preminente, anche di lettura e scrittura, ma con conservata comprensione verbale, con progressione fi no al mutismo. Quando la degenerazione è localizzata nelle parti anteroventrali del lobo temporale sinistro, vi è una selettiva e severa compromissione della deno-minazione e della comprensione del signifi cato delle parole ( APP fl uente o “demenza semantica”); nell’omologa variante destra ( ipotrofi a selettiva temporale destra ) sono presenti diffi coltà di riconoscimento di persone note ( prosopagnosia ) e disturbi neuropsichiatrici.

Alcuni pazienti con la variante temporale destra della DFT presentano, invece, manifestazioni con carattere di “novità” rispetto alla loro personalità, caratterizzate da bizzarrie nel-l’abbigliamento, idee fi sse e monotematiche, fanatismi ideo-logici, cambiamento di convinzioni politiche e religiose, talo-ra veri e propri deliri (Miller et al, 1993) e, sul piano cognitivo, defi cit nel riconoscimento di persone note (Tyrrel et al, 1990). È importante sottolineare la distinzione tra le malattie degene-rative del lobo frontale, comprese appunto nel gruppo delle DFT, che come si è visto sono entità ben precise, e invece le manifestazioni di “tipo frontale” comportamentali (disinibi-zione, “dipendenza ambientale”), cognitive (sindrome disese-cutiva) e neurologiche (all’esame clinico: rifl essi arcaici e di liberazione), che si possono riscontrare in varie patologie fronto-sottocorticali in cui la funzione dei lobi frontali può comunque risultare alterata. Sintomi e segni frontali sono ampiamente presenti, per citare alcune delle forme più fre-quenti, nelle malattie vascolari sottocorticali con ampio coin-volgimento della sostanza bianca, in varie malattie dege-nerative sottocorticali con disturbi motori, nelle patologie demielinizzanti infi ammatorie (vedi oltre) e anche nelle psi-cosi primarie (psicosi schizofreniche, cicloidi e depressione maggiore (vedi oltre). In questi casi il meccanismo invocato per la spiegazione dei sintomi di questo tipo è la deafferenta-

zione , cioè l’interruzione funzionale di connessioni sottocor-tico-frontali.

DFT e genetica Nella DFT una familiarità positiva è presente nel 30-50% dei pazienti (demenza semantica e APP hanno frequenze molto inferiori). Circa il 10% dei pazienti presenta un pattern di trasmissione autosomica dominante. I principali geni sede delle mutazioni riscontrate sono: MAPT , GRN , VCP , TARDP , FUS ; la mutazione sul cromosoma 9 è ancora da identifi care.

TAU Nel 1994 venne pubblicato il primo studio nel quale si dimostrava il link-age di un vasto pedigree caratterizzato da demenza disinibita-parkinsoni-smo-amiotrofi a alla regione 17q21-22. Successivamente è stato dimo-strato che altri pedigree, eterogenei per presentazione clinica, sono stati causati da mutazioni della stessa regione codifi cante la proteina TAU sul cromosoma 17. Nel 1996 (Consensus Meeting di Ann Arbor) questo gruppo di forme familiari venne defi nito Frontotemporal Dementia with Parkinsonism linked to chromosome 17 (FTDP-17).

Fino a ora sono state riportate in tutto il mondo più di 30 mutazioni del gene TAU (http://www.alzforum.org/res/com/mut/tau/table1.asp).

La funzione fi siologica della proteina TAU è quella di promuovere la polimerizzazione e la stabilizzazione dei microtubuli, fondamentale quin-di per il trasporto assonale e la polarità cellulare. Essa è abbondantemente rappresentata sia nel sistema nervoso centrale sia in quello periferico, nonché nel cuore, nei muscoli, nel fegato, nella pelle ecc.; la proteina subi-sce poi una fosforilazione post-transduzionale a opera di chinasi e fosfata-si. Si conoscono fi no a ora 22 siti di fosforilazione. L’iperfosforilazione sembrerebbe essere il tratto patologico distintivo (evento non presente nel cervello adulto sano) e tale evento porterebbe alla fi brillizzazione della TAU. Anche se gli effetti delle diverse mutazione del gene sono tutt’altro che chiari, sembrerebbe che la posizione e il tipo di mutazione cambino profondamente il destino della proteina: tale eterogeneità genetica (e quin-di probabilmente clinica) risulterebbe spiegata almeno in parte da uno squilibrio tra due diverse forme di TAU, defi nite 3R e 4R, caratterizzate da diversa affi nità per i microtubuli. Tale situazione avrebbe dunque effetti drammatici su tutta la dinamica cellulare risultando, infi ne, in apoptosi.

Presenilina 1 Il gene della presenilina 1 ( PSEN1 ) è localizzato sul cromosoma 14 ed è principalmente coinvolto nella MA di tipo autosomico dominante. A oggi sono state individuate più di 150 mutazioni su questo gene che risultano essere causali dello sviluppo della MA. Recentemente, però, sono state identifi cate alcune mutazioni associate a casi di DFT e caratterizzate, a livello patologico, dalla presenza di inclusioni ubiquitina-positive e TAU-negative (Dermaut et al, 2004; Halliday et al, 2005; Raux et al, 2000). Inoltre, l’analisi neuropatologica condotta in alcuni di questi pazienti non ha evidenziato le tipiche placche extracellulari A normalmente associate alle mutazioni di PSEN1 nella MA. Tali osservazioni suggerirebbero così che queste mutazioni non sarebbero necessariamente causa di meccani-smi amiloidogenici come riscontrato nei pazienti affetti da MA, ma svol-gerebbero un ruolo patologico diverso associato alla DFT le cui caratteri-stiche peculiari restano ancora da identifi carsi.

Progranulina La progranulina A o progranulina (PGRN) è una glicoproteina agente come fattore di crescita responsabile per la progressione del ciclo cellula-re e della motilità cellulare e dunque fondamentale per lo sviluppo, la ri-parazione di ferite e i processi immunitari, la differenziazione sessuale e l’oncogenesi. Casi di DFT non attribuibili a meccanismi patogenetici noti, sono stati recentemente ricondotti a una mutazione del gene della PGRN, localizzato nel cromosoma 17 (Baker et al, 2006). Nelle famiglie affette da DFT è stata dimostrata una perdita di funzione della PGRN ( aploinsuffi cienza ) più che un accumulo della stessa (associata invece a crescite decisamente aggressive di diversi tumori) (Ahmed et al, 2007). I pazienti presentano inclusioni citoplasmatiche positive per l’ubiquitina ma negative per TAU e per alfa-sinucleina. Questa alterazione appare in assoluto la più frequente tra le DFT e dunque ridimensiona la portata scientifi ca della scoperta delle mutazioni della TAU.

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16NEUROPSICHIATRIA DELLE DEMENZE

Altri geni Recentemente, nuovi geni sono stati coinvolti nella patogenesi delle DFT: il più promettente sembra essere TARDP , codifi cante la proteina nucleare TDP-43 attiva nella trascrizione e nella divisione del DNA, la cui funzio-ne, tuttavia, non appare ancora completamente chiarita. Alcuni studi hanno identifi cato la TDP-43 come il principale costituente delle inclu-sioni positive per l’ubiquitina ma negative per la TAU, facendo suppore un processo multifattoriale non legato solo a un singolo gene ma all’inte-razione di più geni (Neumann et al, 2006). Un altro gene recentemente coinvolto è FUS ( fused in sarcoma ) frequentemente riscontrato come ag-gregato insolubile e dimostrato come mutazione coinvolta in casi di SLA, patologia frequentemente associata alla DFT.

Per gli aspetti di neuroimmagine e neuropatologia della DFT consultare la tabella 16.1 .

DEMENZA VASCOLARE Com’è noto, il campo delle demenze vascolari (DVa) è molto eterogeneo e comprende forme diverse per patogenesi, sintoma-tologia, prognosi, con caratteristiche clinico-patologiche di tipo corticale, sottocorticale, miste, a seconda della sede e dell’esten-sione delle lesioni, includendo anche associazioni con forme degenerative ( demenze miste ). Non c’è consenso unanime sui criteri più utili per la defi nizione di queste forme in ambito cli-nico. Il punto saliente, e in parte controverso, è il ruolo causale delle lesioni cerebrovascolari nel determinismo della sindrome demenziale, essendo questo tipo di lesioni molto frequente, specie in età senile, e oggi facilmente evidenziate dagli esami di neuroimaging (soprattutto dalla RM: vedi i criteri diagnostici NINDS-AIREN). Le forme vascolari incidono, secondo i dati epidemiologici disponibili, per il 20-30% di tutte le demenze.

Come criteri diagnostici vengono utilizzati i criteri NINDS-AIREN (Ro-mán et al, 1993): presenza di demenza secondo i criteri del DSM-IV; evidenza di malattia cerebrovascolare clinica (segni focali) e al neuroima-ging (lesioni focali e alterazioni della sostanza bianca); correlazione tra la demenza e la malattia cerebrovascolare, con associazione temporale (in-sorgenza di demenza entro 3 mesi dall’ictus).

Si considerano tre livelli di probabilità diagnostica come per la MA; per la diagnosi di demenza vascolare probabile: demenza caratterizzata da disturbo di memoria più almeno altre due aree cognitive compromesse, documentati con test neuropsicologici, in assenza di grave afasia o psico-si e con defi cit funzionale globale non dovuto solo agli effetti fi sici del-l’ictus.

Nei Paesi occidentali la demenza vascolare è la seconda causa più comune di demenza dopo la MA, essendo responsabile del 17,6% dei casi.

In Europa e Nord America il rapporto d’incidenza tra MA e DVa è di 2:1, in contrasto con Giappone e Cina dove la DVa rappresenta circa il 50% dei casi di demenza.

Sono presenti fattori di rischio cardiovascolare (ipertensio-ne arteriosa, diabete, dislipidemia, fumo). Lo studio dei fatto-ri genetici alla base del decadimento cognitivo vascolare è una nuova linea di ricerca.

Leblanc et al (2006) hanno suddiviso i geni su cui focalizzare l’attenzione per lo studio della DVa in due classi: 1. geni che predispongono alla malattia cerebrovascolare; 2. geni che influenzano la risposta del tessuto cerebrale alle lesioni

vascolari (per esempio, la capacità di recuperare in seguito a un danno vascolare cerebrale).

Il primo gruppo comprende i geni coinvolti nella CADASIL e nell’emor-ragia cerebrale ereditaria con amiloidosi (HCHWA).

La seconda classe potrebbe comprendere geni coinvolti nelle vie di produzione dell’amiloide o nella sua eliminazione (preseniline, APP e APOE), che possono conferire suscettibilità allo sviluppo di demenza dopo una lesione vascolare spiegando così, almeno in parte, l’interazione e la sinergia possibili tra DVa e MA. Altri gruppi di geni coinvolti nella risposta dei tessuti all’ischemia cerebrale sono correlati alle proteine come fattori di crescita, glutammato e recettori dell’acido gamma-amino-butirrico (GABA) ecc. È da segnalare un aumento della frequenza dell’al-lele APOE4 nella DVa rispetto ai soggetti anziani sani di pari età (rispet-tivamente 18% vs 7%).

Classifi cazione eziopatogenetica Secondo i criteri NINDS-AIREN la DVa può essere suddivisa in sottogruppi: demenza multinfartuale , demenza da singoli infarti strategici , demenza da piccoli vasi , altre forme com-prendenti quella emorragica e quella da ipoperfusione .

Il riconoscimento di casi clinici con defi cit cognitivi causa-ti da fenomeni patologici a carico di piccoli vasi cerebrali, con lesioni vascolari nei gangli della base, nel mesencefalo e nella sostanza bianca, ha portato all’identifi cazione di un sottotipo di demenza vascolare chiamata demenza vascolare sottocorti-cale (DVas).

Il termine generale DVa è stato usato come “ombrello” per descrivere la demenza multinfartuale , la demenza da encefa-lopatia vascolare sottocorticale (DVas) e le demenze causate da ipossia ed encefalopatia emorragica. Questa categoria comprende sia DVa con infarti corticali singoli o multipli, sia DVa causata da alterazioni sottocorticali e anche una nuova entità defi nita compromissione cognitiva lieve su base vasco-lare ( Vascular Cognitive Impairment , VCI). Il termine VCI si riferisce a casi di MCI, senza demenza, per analogia al con-cetto di MCI nella MA, considerato lo stadio preclinico dia-gnosticabile della malattia. Il VCI, a differenza del MCI, è caratterizzato da defi cit esecutivo isolato e perdita di memo-ria, senza demenza. Il termine VCI è anche utilizzato per indi-care l’ampio spettro di defi cit cognitivi associati a fattori di rischio e danni vascolari. Il VCI può presentarsi da solo, in associazione a MA (demenza mista) o progredire nella DVa (Hachinski et al, 2006; Iadecola et al, 2010).

Al di là degli aspetti nosografi ci e classifi cativi, i quadri più signifi cativi e omogenei relativamente agli aspetti neurologici e cognitivi sono le forme corticali e sottocorticali.

Sul piano neurologico vi sono segni focali, con defi cit sensitivi, piramida-li ed extrapiramidali di vario tipo. Il pattern è più specifi co per le forme ischemiche sottocorticali: marcia a piccoli passi, disartria, segni “pseudo-bulbari”, disturbi urinari, disturbi cognitivi e comportamentali.

Sul piano neuropsicologico vi sono defi cit eterogenei, a seconda della topografi a e dell’estensione delle lesioni vascolari, nelle lesioni corticali possono essere presenti afasia e defi cit visuospaziali e/o prassici. Nelle lesioni ischemiche sottocorticali (quadri più omogenei e rilevanti per il pattern cognitivo, che confi gurano le sindromi cliniche chiamate stato lacunare caratterizzato da piccoli infarti multipli diffusi ai gangli della base, capsula interna e talamo bilateralmente), nell’ encefalopatia arterio-sclerotica sottocorticale o encefalopatia di Binswanger e nella demenza da infarto strategico singolo o multiplo (per per esempio del talamo) sono preminenti i defi cit esecutivi (prefrontali), delle funzioni visuocostruttive, della rapidità psicomotoria e dell’attenzione, mentre di solito sono sfuma-ti o assenti i defi cit simbolici (Gallassi et al, 1988). Questi aspetti neuro-logici e cognitivi rifl ettono prevalentemente le alterazioni della sostanza bianca sottocorticale.

Ai sintomi neurologici e cognitivi nella DVa si associano qua-si costantemente disturbi neuropsichiatrici.

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16 PARTE II PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA

Si osservano sia alterazioni della personalità, con comparsa di apatia, abu-lia, aspontaneità e inerzia, sia dell’affettività. I disturbi dell’umore sono infatti molto comuni (cfr. Capitolo 14), soprattutto la depressione (presente nel 60% dei casi, talora anche di tipo maggiore, non correlata con il grado di compromissione e spesso “mascherata”; Erkinjutti, 1987). Il sintomo depressione è più persistente nelle DVa rispetto alla MA (Starkstein et al, 2006). La labilità emotiva e la disforia sono anch’esse di frequente osserva-zione in queste sindromi vascolari sottocorticali. Non sono infrequenti an-che disturbi di tipo psicotico, soprattutto deliri (che nell’encefalopatia di Binswanger sono precoci) a contenuto vario (infedeltà, gelosia, presenza di intrusi).

Per la diagnosi di DVa sono necessari anche esami cardiova-scolari (eco-Doppler dei vasi cerebroafferenti, ECG, ecocar-diogramma, Holter-ECG anche per evidenziare eventuali fonti emboligene ecc.). Oltre agli esami ematochimici di routine, in casi selezionati è utile il dosaggio degli autoanticorpi e la valu-tazione degli indici di infi ammmazione (per sospette forme autoimmuni, vasculiti cerebrali primarie o secondarie), biopsie arteriose, muscolari, cutanee o eventualmente cerebrali.

Per la diagnosi sono fondamentali la TC ma soprattutto la RM (per evidenziare infarti e alterazioni diffuse della sostan-za bianca sottocorticale); talora si rende necessaria l’angio-RM (per evidenziare malformazioni vascolari eventualmente trattabili chirurgicamente) o la PET, per valutare in maniera approfondita la perfusione del tessuto cerebrale.

All’esame neuropatologico è possibile riscontrare infarti grandi e piccoli, lacunari, corticali e/o sottocorticali, alterazioni della sostanza bianca sottocorticale (demielinizzazione, perdita assonale, fi brosi), verosimilmente di rilevanza cruciale per l’espressione dementigena; atrofi a corticale, specie temporale mediale e possibile coesistenza di lesioni di tipo Alzheimer.

DEMENZE DEGENERATIVE EXTRAPIRAMIDALI

DEMENZA A CORPI DI LEWY, MALATTIA DI PARKINSON CON DEMENZA E ATROFIE MULTISISTEMICHE La trattazione unitaria di queste forme è dovuta al fatto che il quadro neuropsichiatrico è sostanzialmente omogeneo, e ciò si spiega anche alla luce delle recenti scoperte di biologia molecolare (queste malattie sono oggi inquadrate come sinu-cleinopatie ). Peraltro queste forme sono talora diffi cilmente distinguibili sul piano clinico poiché, in realtà, le differenze tra le varie serie di sintomi e segni neurologici “classici” (coinvolgimento di vie extrapiramidali, piramidali, cerebella-ri, autonomiche) sono soprattutto di tipo quantitativo oppure riguardano la loro cronologia di comparsa (tempo d’insorgen-za dei sintomi nella storia di malattia).

Soprattutto la forma a corpi di Lewy diffusi (DLB) e la ma-lattia di Parkinson con demenza (PDD) (entrambe non rare: tra un quarto e un un quinto di tutte le demenze la prima, 1% di prevalenza nell’età senile la seconda) hanno aspetti clinico-neuropatologici in comune e sono da alcuni considerate ap-partenenti allo spettro di un unico disordine (Emre et al, 2007; DeVos et al, 1995; Perl et al, 1998). Al di là di aspetti noso-grafi ci ancora controversi, nella pratica clinica risulta talora diffi cile distinguere i due quadri, specie in fase non iniziale (vedi la recente review di McKeith, 2006).

La diagnosi di DLB viene posta sulla base di criteri proposti da un Consortium ad hoc (McKeith et al, 2005).

La diagnosi di DLB probabile richiede la presenza di un deterioramento cognitivo progressivo di entità tale da interferire con lo svolgimento delle normali attività sociali e lavorative ( caratteristica centrale ) associato a due tra le seguenti manifestazioni cliniche ( caratteristiche core ): anda-mento fl uttuante dei disturbi cognitivi; allucinazioni visive ricorrenti; se-gni e sintomi extrapiramidali. Elementi clinici suggestivi e di supporto ai fi ni diagnostici sono rappresentati da: disturbi del sonno REM; ipersensi-bilità ai neurolettici; cadute ripetute; disfunzione autonomica.

La compromissione cognitiva nella DLB è caratterizzata da un preva-lente coinvolgimento, soprattutto nelle fasi iniziali, delle funzioni esecu-tive e visuospaziali; i disturbi mnesici compaiono invece più frequente-mente con la progressione della malattia. L’andamento di tali disturbi è spesso fl uttuante, anche nell’arco della stessa giornata; fl uttuazioni mar-cate possono riguardare anche lo stato di vigilanza. I segni extrapiramida-li, rappresentati principalmente da rigidità e bradicinesia, sono spesso bilaterali, scarsamente responsivi alla terapia dopaminergica, e insorgono generalmente a distanza di mesi o anni rispetto alla compromissione delle funzioni cognitive. Le allucinazioni visive, tipicamente complesse e det-tagliate, compaiono invece precocemente e rappresentano utili elementi ai fi ni diagnostici. I pazienti con DLB presentano spesso una spiccata sensibilità agli effetti antidopaminergici e anticolinergici dei farmaci neurolettici (D2-bloccanti); la somministrazione di tali farmaci può infat-ti determinare la comparsa o il peggioramento dei sintomi extrapiramida-li nonché dei disturbi cognitivi e provocare gravi effetti indesiderati. Frequen-ti, infi ne, sono le manifestazioni disautonomiche (ipotensione ortostatica, incontinenza urinaria, stipsi, impotenza) e i disturbi del sonno REM, consi-stenti principalmente in sogni vividi a contenuto terrifi co.

La malattia di Parkinson (PD), caratterizzata clinicamente da preminenti sintomi motori (tremore a riposo, bradicinesia, rigi-dità), si associa frequentemente a disturbi cognitivi: la preva-lenza di una franca demenza (PDD) è del 30%; nel 15% dei casi una compromissione delle funzioni cognitive è presente sin dall’esordio della malattia. Una maggior incidenza di demenza è stata descritta in forme familiari di PD associate a mutazioni dei geni PARK1 e PARK8 . I principali fattori di rischio per la comparsa di PDD sono rappresentati da: età avanzata, severità dei disturbi extrapiramidali, presenza di instabilità posturale e di una riduzione delle performance cognitive sin dall’esordio clinico. La compromissione cognitiva, a esordio insidioso e andamento lentamente progressivo, insorge generalmente dopo anni rispetto ai sintomi motori e ciò viene considerato un im-portante elemento differenziale rispetto alla DLB.

Il quadro clinico della PDD è caratterizzato, soprattutto nelle fasi iniziali, da un preminente defi cit delle funzioni esecutive con diffi coltà attentive, spesso fl uttuanti nell’arco della giornata, nella programmazione, nella soluzione di problemi, nella formulazione di concetti; possono anche comparire disturbi mnesici, generalmente della memoria a breve termine e delle capacità visuospaziali. Le funzioni fasiche e prassiche sono invece generalmente risparmiate. Molto rilevanti, sia in termini di incidenza sia di impatto per pazienti e caregiver, sono i disturbi affettivo-comportamen-tali quali apatia, depressione, allucinazioni (meno frequenti rispetto alla DLB), agitazione, aggressività, disturbi del sonno.

Sintomi neuropsichiatrici sono presenti nella DLB e nella PDD ma sono simili in entrambe le patologie.

In entrambe le malattie (anche nella PD senza demenza) sono presenti disturbi psicotici (allucinazioni e deliri) e depressione preminenti. I pochi studi disponibili in letteratura sui disturbi psicotici in queste patologie (Aarlsand et al, 2001; Klatka et al, 1996) hanno evidenziato che tali

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16NEUROPSICHIATRIA DELLE DEMENZE

manifestazioni cliniche sono dello stesso tipo nella DLB e nella PDD, anche se quantitativamente maggiori nella prima (Emre et al, 2007). Le allucinazioni sono in grande prevalenza di tipo visivo e riguardano esseri viventi: in ordine di frequenza, persone adulte, animali, bambini; meno frequentemente oggetti inanimati, fuoco; sono ricorrenti, durature, varia-mente criticate dai soggetti. I deliri riguardano più frequentemente idea-zioni paranoidi e il fenomeno dell’intruso (per esempio, “c’è qualcuno in casa”). La depressione maggiore non è preminente in entrambi i quadri (meno di un quinto dei casi), mentre sintomi depressivi (depressione mi-nore o distimia) sono molto frequenti soprattutto nella PDD. Nei pazienti parkinsoniani è stato riportato anche un aumento della vigilanza e/o del-l’impossibilità di rilassarsi (Stacy e Jankovic, 1992), in parte da collegare all’aumentata attività autonomica, con disturbi gastro-enterici.

A questa serie di disturbi sono probabilmente collegate anche le altera-zioni del sonno REM riportate in letteratura in un quarto di pazienti parkin-soniani ( REM sleep behavior disorder ; Comella et al, 1998), caratterizzate da vocalizzazioni notturne e combattività, talora antecedenti i disturbi mo-tori (vedi Capitolo 8). Tali alterazioni sarebbero molto più costanti nei pa-zienti affetti da DLB (Boeve et al, 1998) ed esprimerebbero un defi cit dei sistemi colinergici sottocorticali del tronco con riduzione dell’input coli-nergico alla corteccia, cosa che spiegherebbe anche la fl uttuazione dei sin-tomi cognitivi e le allucinazioni visive fl oride. Sul versante opposto, estre-mamente frequente è l’eccessiva sonnolenza diurna, presente nel 57% dei pazienti affetti da PDD e nel 50% dei soggetti con DLB (Gjerstad et al, 2002) tanto da essere stata recentemente considerata come un fattore di ri-schio per l’insorgenza di demenza nei soggetti parkinsoniani (Gjerstad et al, 2002), una caratteristica di supporto nei criteri diagnostici per la PDD, e un possibile elemento distintivo tra PDD e MA (Emre et al, 2007).

Anche nelle forme degenerative comprese sotto il termine più generale di atrofi a multisistemica (MSA) sono descritti di-sturbi neuropsichiatrici caratterizzati da apatia, labilità emoti-va e psicosi similschizofrenica (Cohen e Freedman, 1995).

Con il termine MSA si identifi cano una serie di patologie neurodegenerative accomunate clinicamente dalla presenza di una combinazione variabile di sintomi e segni extrapiramida-li, cerebellari, disautonomici e piramidali, e sotto il profi lo neuropatologico da una degenerazione dei sistemi striato-ni-grico e olivo-ponto-cerebellare associata alla formazione di numerose inclusioni citoplasmatiche gliali costituite da alfa-sinucleina. È pertanto considerata, così come la PDD e la DLB, una sinucleinopatia. Una Consensus ad hoc (Gilman et al, 2008) ha proposto i seguenti criteri diagnostici.

Si ipotizza una MSA probabile in presenza di una sindrome clinica a esordio in età adulta e andamento progressivo, caratterizzata necessaria-mente da manifestazioni disautonomiche (incontinenza urinaria, disfun-zione erettile, ipotensione ortostatica) associate a un parkinsonismo pre-valentemente acinetico-rigido scarsamente responsivo al trattamento con L-dopa o a una sindrome cerebellare con atassia assiale e segmentale, disartria, nistagmo. Si parla invece di MSA possibile quando il parkinso-nismo o l’atassia cerebellare si accompagnano a sfumate manifestazioni di disfunzione autonomica (per esempio, urgenza minzionale, lieve ipo-tensione ortostatica). Sono inoltre frequenti segni piramidali (Babinsky, iperrefl essia), disartria, disfonia e disfagia, movimenti involontari. La MSA è infi ne classifi cata in rapporto alla prevalenza dei sintomi extrapi-ramidali o cerebellari rispettivamente in MSA-P e MSA-C.

Nonostante siano riportati defi cit di entità variabile delle funzioni esecu-tive, la presenza di una franca demenza è estremamente rara, tanto da essere considerata come un elemento che rende inverosimile la diagnosi di MSA. Più frequenti, seppure scarsamente caratteristici, sono invece i disturbi com-portamentali e del tono dell’umore come apatia, labilità emotiva, psicosi.

La compromissione cognitiva è qualitativamente assimilabile in tutte queste patologie: defi cit di funzioni esecutive e visuo-

spaziali ma, mentre nella DLB l’evoluzione dementigena è co-stante, nella PD (e in minore misura nelle MSA) è presente solo in una parte dei casi. Inoltre, nella prima forma possono in real-tà esserci aspetti che richiamano anche la MA (era stata in pas-sato chiamata Lewy body variant della MA ; Hansen et al, 1990), con sintomi di tipo “corticale” oltre a quelli sottocorticali già detti. In questa prospettiva, il discorso clinico-patogenetico tende a complicarsi perché le sovrapposizioni clinico-neuropa-tologiche tra queste forme hanno portato alcuni autori (Kaufer, 2002; Perl et al, 1998) a ipotizzare un unico, ampio spettro de-generativo con la MA e la PD ai due estremi e la DLB in mezzo a condividere le caratteristiche di entrambi i quadri.

Per gli aspetti di neuroimmagine e neuropatologia della DLB, della PDD e della MSA consultare la tabella 16.2 .

PARALISI SOPRANUCLEARE PROGRESSIVA E DEGENERAZIONE CORTICO-BASALE Queste due malattie degenerative con parkinsonismo, la para-lisi sopranucleare progressiva (PSP) e la degenerazione corti-co-basale (CBD), il cui legame è da alcuni anni noto (Litvan, 2002), sono sostenute, sul piano biologico, da alterazione del-la proteina TAU, così come riscontrato nelle DFT familiari (Houlden et al, 2001). Pur avendo differenze che li rendono distinguibili tra loro sul piano clinico, i disturbi neuropsichia-trici presenti nella quasi totalità di queste forme (anche in quei casi che non sviluppano demenza) sono omogenei ed essenzialmente riconducibili all’apatia e alla disinibizione, considerati i disturbi affettivo-comportamentali più caratteri-stici delle taupatie. Tali manifestazioni sono secondarie a di-sfunzione dei circuiti orbito-frontali (disinibizione) e fronto-mediali (apatia) e sul piano neuropatologico, insieme al quadro motorio, richiamano a un coinvolgimento dei nuclei della base più massivo rispetto ad altre sindromi parkinsoniane. Nella CBD, oltre a queste strutture, sono coinvolte anche aree corticali (parietali e frontali).

La PSP è una taupatia caratterizzata sotto il profi lo clinico da paralisi so-pranucleare dello sguardo, interessante prevalentemente i movimenti di verticalità verso il basso, segni extrapiramidali spesso simmetrici e assiali scarsamente responsivi al trattamento con L-dopa, instabilità posturale con cadute precoci, segni e sintomi bulbari (disfagia, disartria, disfonia), ad andamento rapidamente progressivo. Accanto a questa forma “classica”, nota come sindrome di Steel-Richardson-Olszewski , sono state recente-mente identifi cate e defi nite alcune varianti cliniche “atipiche” accomuna-te dalla patologia neurofi brillare e dalla storia naturale che evolve nelle fasi terminali in quadri comuni e porta generalmente al decesso dei soggetti affetti in 6-12 anni. La PSP-Parkinsonism (PSP-P) si manifesta, soprattut-to nelle fasi iniziali, con tremore a riposo, buona risposta alla terapia dopa-minergica, in assenza di una marcata compromissione della motilità ocu-lare rendendo diffi coltosa la diagnosi differenziale con la PD; la PSP-pure akinesia with gait freezing (PAGF) si presenta con precoci disturbi della marcia con esitazione iniziale e freezing, micrografi a, ipofonia, in assenza di tremore, rigidità, paralisi di sguardo (Williams e Lees, 2009).

La PSP si accompagna costantemente a un decadimento cognitivo con caratteristiche “sottocorticali” (rallentamento ideativo, defi cit delle fun-zioni esecutive, dismnesie), raramente presente sin dall’esordio clinico, e a disturbi affettivo-comportamentali quali irritabilità, apatia, defl essione del tono dell’umore. Nella PSP la RM può mettere in evidenza una mar-cata atrofi a del tegmento mesencefalico rostrale e caudale ( segno del coli-brì ), del corpo calloso e del giro del cingolo anteriore.

La CBD si caratterizza clinicamente per la combinazione di sintomi e segni motori e disturbi cognitivi indicativi di un diffuso coinvolgimento di aree corticali e sottocorticali. Da un punto di vista neuropatologico, rientra

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nella categoria delle taupatie ed è caratterizzata da estesa rarefazione neuronale a carico di strutture corticali e sottocorticali (talamo, striato, amigdala, nuclei troncali), comparsa di neuroni rigonfi e vacuolati, in-clusioni intracitoplasmatiche costituite da proteina TAU.

Nella maggior parte dei pazienti è presente un parkinsonismo acineti-co-rigido, inizialmente asimmetrico e successivamente bilaterale, talvolta associato a movimenti involontari quali tremore posturale/cinetico, mio-clonie, distonie. L’aprassia ideomotoria rappresenta un elemento clinico distintivo e si manifesta con una grave diffi coltà nella programmazione dei movimenti volontari; meno frequenti sono l’aprassia bucco-facciale e dello sguardo. Possono essere presenti disturbi sensitivi corticali (arto alieno, fenomeno dell’estinzione, alterazioni della discriminazione tatti-le), turbe fasiche e gnosiche, alterazioni della motilità oculare ( PSP-CBD ) (Williams e Lees, 2009). Sul piano cognitivo, in aggiunta alle manifesta-zioni aprassiche, molto frequente è la compromissione delle funzioni esecutive con marcate diffi coltà attentive, a fronte di un iniziale risparmio mnesico; il progredire della patologia conduce tuttavia a una franca de-menza (Kompoliti et al, 1998).

I pazienti con CBD, infi ne, presentano spesso rilevanti disturbi neu-ropsichiatrici quali depressione, apatia, irritabilità, disinibizione.

La neuroimmagini morfologiche evidenziano, nelle fasi iniziali, un’atrofi a focale corticale asimmetrica a carico delle regioni frontali po-steriori e parietali e, meno frequentemente, del corpo calloso. La PET mostra una signifi cativa riduzione del metabolismo nella corteccia sensi-tivo-motoria e nello striato, mentre la SPECT con iodobenzamide può svelare una severa deplezione di recettori D2 post-sinaptici a testimonian-za di una marcata degenerazione striatale.

Nella PSP e nella CBD, oltre ai sintomi emotivo-comporta-mentali analizzati, sono stati descritti anche aspetti ossessivo-compulsivi e raramente psicosi schizofreniformi.

Per quanto riguarda il quadro neuropsicologico, si ricorda che la PSP è stata la prima forma per cui si è coniato il termi-ne di demenza sottocorticale (Albert et al, 1974), poi usato per varie altre forme a diversa eziologia.

A questo modello di disfunzione sottocorticale diffusa, che ha avuto mol-to successo in letteratura, ci si è riferiti per interpretare i quadri cognitivi di varie patologie sottocorticali a differente eziologia: gli aspetti salienti sono l’alterazione dell’ information processing , in contrasto con i defi cit più contenuto-specifi ci nel linguaggio o nei processi percettivi che carat-terizzano le demenze corticali prototipiche come la MA. Anche i disturbi dell’area mnestica sono differenziabili (con apposite procedure testisti-che, per esempio l’analisi del riconoscimento): le demenze sottocorticali sono caratterizzate non da defi cit di apprendimento ( learning ) come nelle forme corticali, ma da incapacità di far riemergere la traccia mnestica precedentemente appresa ( retrieval ) (Della Sala, 1990).

COREA DI HUNTINGTON La corea di Huntington ( Huntington’s Disease , HD) è una malat-tia neurodegenerativa rara del sistema nervoso centrale caratte-rizzata da movimenti coreici involontari, disturbi comportamen-

Tab. 16.2 Correlati morfofunzionali e neuropatologici della DLB, della PPD, della MSA

Neuroimmagini Neuropatologia

Demenza a corpi di Lewy diffusi (DLB)

Le metodiche di neuroimaging strutturale mostrano un relativo risparmio delle strutture temporo-mesiali. Gli esami morfofunzionali mostrano ipoperfusione/metabolismo occipitale in studi SPECT con 99mTc-HMPAO e PET con 18F-FDG; ipocaptazione a livello striatale nella SPECT con DAT-SCAN; ridotto uptake di 123I-metaiodobenzilguanidine (MIBG), analogo della noradrenalina, nella scintigrafi a miocardica (a differenza della MSA in cui l’innervazione simpatica è conservata)

La DLB viene considerata come una sinucleinopatia in quanto caratterizzata dalla formazione di inclusioni citoplasmatiche eosinofi le costituite prevalentemente da alfa-sinucleina, che si localizzano, nelle prime fasi del processo patologico, a livello dei nuclei neuronali monoaminergici (locus coeruleus, nucleo basale di Meynert) e che successivamente interessano diffusamente le regioni neocorticali. In un’elevata percentuale di casi, tuttavia, è stata dimostrata la contemporanea presenza di alterazioni neuropatologiche analoghe a quelle che contraddistinguono la MA, costituite principalmente da placche amiloidi e in minor misura da grovigli neurofi brillari. Nella DLB è stato infi ne evidenziato un marcato defi cit colinergico e dopaminergico

Malattia di Parkinson con demenza (PPD)

Le metodiche di neuroimaging, sia strutturale sia funzionale, non permettono di evidenziare reperti patologici specifi ci e sono dotate di scarsa sensibilità nel discriminare la PDD dalla DLB e dall’AD (Emre et al, 2007)

Sotto il profi lo neuropatologico la PDD è caratterizzata dalla presenza di corpi di Lewy, costituiti prevalentemente da alfa-sinucleina, localizzati diffusamente a livello corticale, e da numerosi nuclei troncali

Atrofi a multisistemica (MSA) Le metodiche di neuroimaging consentono spesso il riscontro di reperti patologici utili ai fi ni diagnostici: la RM mostra una signifi cativa atrofi a a carico di putamen, peduncolo cerebellare medio, ponte e cervelletto associata, nelle metodiche SPECT e PET, a una condizione di ipoperfusione/metabolismo. La scintigrafi a cardiaca con MIBG consente invece di discriminare con buona sensibilità la MSA, caratterizzata da relativa integrità dell’innervazione simpatica, dalla PD e dalla DLB dove si osserva invece una disfunzione noradrenergica post-gangliare

Sotto il profi lo neuropatologico la MSA è caratterizzata da una degenerazione dei sistemi striato-nigrico e olivo-ponto-cerebellare associata alla formazione di numerose inclusioni citoplasmatiche gliali costituite da alfa-sinucleina

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16NEUROPSICHIATRIA DELLE DEMENZE

tali e psichiatrici e demenza. La prevalenza nella popolazione caucasica è stimata in 1/10.000-1/20.000.

La HD è una malattia autosomica dominante ereditaria causata da una ripetizione di CAG allungata (36 ripetizioni o più) sul braccio corto del cromosoma 4p16.3 nel gene HTT . Più lunga è la ripetizione di CAG, piu giovane sarà l’età d’esordio della malattia. Nei casi di HD giovanile ( Ju-venile Huntington Disease , JHD) il numero delle triplette ripetute è supe-riore a 55 ripetizioni. La diagnosi si basa sui sintomi e sui segni clinici in un individuo con un genitore con comprovata HD, ed è confermato dalla determinazione del DNA da campione sierico.

L’età media di esordio dei sintomi è di 30-50 anni. In alcuni casi la sintomatologia esordisce prima dell’età di 20 anni con disturbi del comportamento e diffi coltà di apprendimento a scuola (JHD). Il segno classico è la corea che si estende progressivamente a tutti i muscoli, accompagnata da disturbi cognitivi progressivi con deterioramento costante e disturbi psichiatrici rilevanti, an-che precoci (talora costituiscono gli unici sintomi di esordio) (Cummings, 1995). Al momento non esiste una terapia e la pro-gressione della malattia porta inevitabilmente alla totale perdita dell’indipendenza nella vita quotidiana, che si traduce in pazien-ti che necessitano di cure a tempo pieno. La causa più comune di morte nei pazienti con HD è la polmonite, seguita dal suicidio.

Il quadro clinico è dominato dalla corea che è il sintomo classico (parola di etimologia greca che signifi ca danza ), diffusa e progressiva, associata ad atetosi, distonia, mioclono e segni parkinsoniani tipici (tardivi): bradi-cinesia, rigidità ecc. Nelle prime fasi della malattia i sintomi più frequenti sono: goffaggine, agitazione, apatia, irritabilità, accessi d’ira, oscillazioni dell’umore, ansia, disinibizione, deliri, allucinazioni, compromissione dei movimenti rapidi oculari (saccadici), depressione e tendenza al ritiro so-ciale. Con la progressione della patologia i disturbi motori divengono più evidenti con distonia, compromissione severa dell’equilibrio statico e di-namico, disturbi dell’andatura con frequenti cadute, corea delle mani e dei muscoli facciali, bradicinesia, rigidità, diffi coltà ad apprendere nuove abilità motorie, problemi di coordinazione agli arti superiori e inferiori. Altri possibili riscontri clinici sono disartria (linguaggio indistinto, lin-guaggio interrotto e incerto) e disfagia con un’importante compromissione della capacità di alimentarsi (spesso i pazienti con HD hanno un indice di massa corporea ridotto). Tra gli altri disturbi neuropsichiatrici, gli indivi-dui con HD sviluppano signifi cativi cambiamenti di personalità, psicosi affettive, o psicosi schizofrenica (vedi capitoli 12, 13, 14, 15).

Sul piano neuropsicologico sono presenti defi cit di memoria (specie procedurale con modalità motoria), defi cit nella fl uenza verbale, falli-menti in compiti esecutivi (prefrontali), calcolo e compiti visuospaziali

(parietali), compromissione della soglia di attenzione, perdita della me-moria a breve termine. Le funzioni linguistiche sono relativamente pre-servate, ma si nota un livello ridotto di complessità sintattica, parafasie e afasia nominum sono comuni nelle fasi avanzate.

Per gli aspetti di neuroimmagine e neuropatologia della HD consultare la tabella 16.3 .

DEMENZE SECONDARIE

DEMENZE POTENZIALMENTE REVERSIBILI Si defi niscono così quelle forme di demenza, spesso reversi-bile, sostenute da fattori endocrini, dismetabolici e da insuffi -cienza cronica d’organo; sono compresi nel gruppo anche al-cuni quadri carenziali, da farmaci e da fattori tossici. A questo gruppo appartiene anche la demenza alcool-correlata che vie-ne trattata a parte (vedi oltre).

Ci sono varie encefalopatie secondarie il cui protrarsi nel tempo del fattore patogeno può confi gurare un quadro di demen-za, spesso con disturbi neuropsichiatrici, potenzialmente rever-sibile, parzialmente o anche totalmente, se si adottano tempe-stivamente i trattamenti specifi ci (Adams e Victor, 1993).

Tra queste forme di encefalopatia si deve citare, con un’in-cidenza epidemiologica non trascurabile nell’anziano, quella da ipotiroidismo (3% di prevalenza secondo Bahemuka e Hod-kinson, 1975). A tale riguardo è importante, dinanzi a una so-spetta sindrome “psicorganica”, inserire sempre un dosaggio degli ormoni tiroidei tra gli esami bioumorali di screening. L’insuffi cienza tiroidea cronica è caratterizzata da preminenti disturbi dell’attenzione e della vigilanza (ipersonnia), con ral-lentamento psicomotorio, irritabilità, apatia e possibile esito nel coma mixedematoso (caratterizzato da ipotermia marcata) se non si interviene con la terapia sostitutiva adeguata; tale quadro può talora fare seguito alla cosiddetta tiroidite autoim-mune di Hashimoto (nei casi sospetti è utile il dosaggio degli anticorpi antitireoperossidasi e antitireoglobulina) ed essere parte di un’encefalopatia caratterizzata anche da crisi convul-sive, episodi similictali e spasticità bilaterale. L’ipertiroidismo invece può, raramente, dare luogo a una vera e propria psicosi (secondaria), con allucinazioni (visive e uditive), depressione ansiosa oppure mania; può esserci anche corea generalizzata; tale condizione, che non è direttamente correlata alla severità della tireotossicosi, è per lo più di osservazione psichiatrica:

Tab. 16.3 Correlati morfofunzionali e neuropatologici della corea di Huntington (HD)

Neuroimmagini Neuropatologia

Studi di imaging comprendenti MRI, TC, SPECT e PET forniscono un ulteriore supporto per la diagnosi clinica di HD e sono strumenti preziosi per studiare la progressione della malattia. Si osserva una signifi cativa atrofi a del nucleo caudato, di solito bilaterale (con aspetto allargato, balloniforme dell’adiacente corno frontale del ventricolo laterale); ipometabolismo sottocorticale alla SPECT e alla PET e nelle fasi avanzate anche corticale. Le neuroimmagini hanno rivelato cambiamenti signifi cativi nello striato prima della comparsa dei sintomi: esami RM hanno evidenziato una signifi cativa atrofi a striatale molti anni prima della comparsa clinica della malattia. Numerosi studi negli ultimi anni hanno utilizzato la neuroradiologia per chiarire la patogenesi e la progressione della HD, con specifi co interesse per eventuali sperimentazioni clinico-terapeutiche

La HD presenta perdita neuronale prevalente nello striato e nel nucleo caudato; dal punto di vista biochimico vi è defi cit di GABA sottocorticale; è possibile solo un trattamento parzialmente sintomatico (per il disturbo del movimento).Altre regioni del cervello che possono essere colpite comprendono la sostanza nera, l’ippocampo e le varie regioni della corteccia; si è notato anche un coinvolgimento dei tessuti periferici. Inclusioni intraneuronali contenenti huntingtina, la proteina espressa dal gene HTT , sono anche una caratteristica neuropatologica importante della malattia anche se non è ancora chiaro il ruolo della proteina mutata e la relazione tra la comparsa di inclusioni di huntingtina e la degenerazione selettiva della patologia

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16 PARTE II PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA

l’obnubilamento del sensorio con perplessità e confusione è in questo caso indicativo appunto di “delirium”.

È da ricordare anche l’ encefalopatia da ipocalcemia cronica , che può essere indotta da ipoparatiroidismo, acquisito o idiopa-tico (Hylstrup et al, 1981). In questa forma, nota anche come morbo di Fahr (vedi Capitolo 14 e Capitolo 15), è stata docu-mentata una reversibilità duratura della compromissione co-gnitiva (di tipo sottocorticale) e del quadro neuropsichiatrico, dopo adeguato trattamento metabolico sostitutivo, anche in età senile e con sintomatologia insorta anni prima (Lorusso et al, 1994). Nella sindrome di Cushing (ipercortisolismo, che può anche essere iatrogeno in trattamenti steroidei prolungati), vi sono disturbi neuropsichiatrici (depressione, episodi psicotici) e cognitivi (disturbi mnesici e anche deterioramento mentale), spesso con presenza di dilatazione ventricolare al neuroima-ging, in circa la metà dei casi (Momose et al, 1971).

Tra le patologie da insuffi cienza d’organo sono da ricorda-re le malattie renali croniche (Marshall, 1979) in cui possono aversi i quadri dell’encefalopatia uremica (con graduale insor-genza prima di astenia, apatia, irritabilità, quindi confusione, allucinazioni, deliri, fi no allo stupor e anche al coma uremico) e la cosiddetta demenza dialitica , caratterizzata da disturbi del comportamento e della personalità, disturbi dell’eloquio (lieve disfasia, balbuzie, irregolarità nel ritmo d’emissione vocale) e compromissione cognitiva progressiva. Quest’ultimo quadro, che si accompagna anche a disturbi del movimento e ad ano-malie specifi che all’EEG, è a patogenesi non chiarita, proba-bilmente multifattoriale, non è esclusivo dei soggetti dializzati e non è in realtà reversibile.

Un’altra condizione rilevante per la sua sintomatologia pe-culiare è la cosiddetta demenza epatica , causata dalla cirrosi e/o dall’alterazione circolatoria porto-cavale, con presenza di sostanze tossiche in circolo e insuffi ciente sintesi di elementi necessari al metabolismo cerebrale. Tale quadro spesso è pre-ceduto da episodi di encefalopatia epatica, caratterizzati, in sequenza progressiva (stadi) e in tempi variabili, da prevalenti sintomi neuropsichiatrici: apatia, irrequietezza, depressione dell’umore o euforia, alterazione del ritmo sonno-veglia, con rallentamento psicomotorio e ridotta attenzione (e tremore); in un secondo tempo intervengono cambiamento della perso-nalità, comportamento inadeguato, sonnolenza, defi cit della memoria e dell’orientamento (con accentuazione dei disturbi motori e dell’equilibrio), e successivamente crisi di panico, sintomi psicotici, con peggioramento dei disturbi cognitivi (e anche motori), fi no alla letargia e al coma epatico come stadio fi nale. L’insuffi cienza epatica cronica può essere causa di le-sioni cerebrali prevalenti in sede sottocorticale nel corpo stria-to, chiamata degenerazione epatolenticolare acquisita , per distinguerla da quella congenita (morbo di Wilson; cfr. oltre) (Victor e Rothstein, 1992). Questo quadro morboso – caratte-rizzato da disturbi comportamentali, cognitivi e anche motori del tipo sopradescritto, che talora possono manifestarsi anche in modo subdolo ed evolvere lentamente, in modo progressivo o con peggioramenti “a gradini” – è potenzialmente reversibi-le: vi sono segnalazioni di regressione clinica completa e sta-bile dopo il trapianto epatico (Stracciari et al, 2001).

Simile a queste forme è, appunto, la forma congenita, ma-lattia detta morbo di Wilson , un disordine genetico (autosomi-co recessivo) che è responsabile di una diminuita sintesi di ceruloplasmina, proteina che trasporta il rame, la quale si ac-cumula nei tessuti. I sintomi neuropsichiatrici costituiscono spesso l’esordio (nella seconda o terza decade) della malattia,

possono essere di ogni tipo ma prevalgono i disturbi dell’af-fettività e quelli di tipo psicotico (episodi deliranti o quadri stabili di psicosi); i disturbi cognitivi, talora presenti anch’es-si all’esordio, sono più frequentemente tardivi e confi gurano, in fase avanzata, una demenza di tipo sottocorticale. In questa malattia sono sempre presenti anche disturbi del movimento (distonie e ipercinesie) e segni d’insuffi cienza epatica (questi ultimi fi n dall’infanzia). Si conferma la diagnosi prevalente-mente attraverso il riscontro sierico di diminuzione della ce-ruloplasmina, aumento del rame e anche aumento della cu-pruria (nelle urine delle 24 ore). Vi è un trattamento medico specifi co, basato sui chelanti (essenzialmente penicillamina) e su provvedimenti dietetici, che va protratto a lungo, oltre all’opzione chirurgica (trapianto epatico) nei casi che si scom-pensano.

Tra i quadri “carenziali” è da ricordare la forma da defi cit di vitamina B

12 , che può instaurarsi in condizioni di malassorbi-

mento (per esempio, a seguito di interventi di chirurgia ga-stro-intestinale), oppure da inadeguata produzione di fattore intrinseco (per esempio, per gastrite atrofi ca), e probabilmen-te esplica effetti clinicamente evidenti solo in concomitanza con un inadeguato apporto di folati (Moretti et al, 2002). Le manifestazioni “cerebrali” (che sono parte di un quadro sin-dromico neuroematologico) consistono in defi cit cognitivi (prevalentemente dell’attenzione e delle funzioni esecutive), che possono confi gurare anche una demenza, e in alterazioni psichiche (irritabilità, sospettosità, apatia, labilità emotiva, depressione maggiore, che portano spesso nelle fasi iniziali a un’osservazione psichiatrica), reversibili in toto se si intervie-ne con la corretta supplementazione. Da queste considerazio-ni deriva la raccomandazione di eseguire dosaggi di vitamina B

12 e acido folico nello screening bioumorale delle demenze

(The Dementia Study Group of the Italian Neurological So-ciety, 2000). Le fi gure 16.2 e 16.3 documentano il recupero delle prestazioni cognitive e del fl usso cerebrale, in un pazien-te affetto da demenza da ipovitaminosi B

12 dopo la terapia so-

stitutiva vitaminica. Tra questi quadri di demenza cosiddetti reversibili occupano

un posto rilevante per la loro incidenza le forme farmacologi-che : sono molti, infatti, i farmaci che, assunti cronicamente su prescrizione medica o per “automedicazione” (pratica sempre più frequente), sono potenzialmente in grado di causare, con vari meccanismi, encefalopatie anche assimilabili a demenza e disturbi neuropsichiatrici (Lowenthal e Nadeau, 1991). In que-

a b

Fig. 16.2 Demenza da ipovitaminosi B 12 . La fi gura evidenzia le prestazioni di un paziente affetto da demenza da ipovitaminosi B 12 al test dell’orologio, prima ( a ) e dopo la terapia ( b ) con vitamina B 12 parenterale. (Blundo et al, 2011.)

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sti casi la reversibilità (totale o parziale) dipende dalla durata dell’esposizione e da vari fattori biologici individuali (patologie concomitanti, altri farmaci assunti ecc.). Innanzi tutto le benzo-diazepine, di cui viene fatto spesso un uso improprio a scopo ipnoinducente, possono provocare soprattutto nell’anziano (in cui è più frequente e stabile l’accumulo nel sangue) stati con-fusionali protratti o eccessiva sonnolenza-sedazione, per azio-ne diretta sul sistema nervoso centrale; imputate sono soprat-tutto le benzodiazepine a lunga emivita (per esempio fl urazepam, fl unitrazepam) e quelle che danno più facilmente assuefazione (diazepam, lorazepam). Anche i neurolettici, specie quelli tipi-ci con più spiccati effetti anticolinergici (ma non sono del tutto esenti nemmeno quelli atipici di più recente introduzione) pos-sono causare quadri psicorganici (oltre ad acatisia e altri effet-ti extrapiramidali); così pure gli antidepressivi triciclici classi-ci, per lo stesso meccanismo. Tutti i farmaci antiparkinsoniani possono dare come effetti collaterali disturbi neuropsichiatrici (allucinazioni, specie visive, deliri, ipersessualità, ansia, de-pressione) e cognitivi (disturbi dell’attenzione e delle abilità psicomotorie): gli anticolinergici (che erano al primo posto, ora non sono più consigliati per queste forme), la L-dopa (spe-cie nella fase di “saturazione dei recettori” dopo 5-7 anni di trattamento), e i dopaminoagonisti. Anche farmaci di altro ge-nere (non a connotazione “neuropsichiatrica”) possono avere effetti collaterali di questo tipo: tra questi, per citare quelli di uso più comune, vi sono gli antistaminici, alcuni farmaci ga-stro-enterici (ranitidina, cimetidina e antispastici), alcuni far-maci cardiocircolatori (digitale, diuretici, amiodarone, beta-bloccanti, clonidina), antidiabetici e antitussigeni (codeina).

È nota la possibile presenza di disturbi cognitivi e talora anche di vere sindromi demenziali in corso di malattie psi-chiatriche primarie: depressione maggiore e anche distimia,

disturbo bipolare, psicosi dissociative. Vi sono problemi di nosografi a e di diagnosi, specie per l’età senile, con molte so-vrapposizioni tra depressione e demenza, com’è stato detto nella parte iniziale di questo capitolo.

Anche nelle psicosi dissociative, peraltro spesso diffi cili da valutare con un esame neuropsicologico formale, possono essere presenti defi cit cognitivi (a carico delle funzioni di con-trollo come pure di quelle esecutive, con funzioni simboliche conservate, anche se la produzione linguistica può essere ri-dotta). Possono più facilmente andare incontro a un vero pro-cesso demenziale (con riscontro al neuroimaging di dilatazio-ne ventricolare) le forme dissociative con sintomi “negativi” nel quadro dell’adinamia cronica (Goldberg et al, 1987).

Sono di rilievo in questo campo anche le encefalopatie cro-niche da sostanze neurotossiche (Solaumburg e Spencer, 1987), oppure gli esiti di intossicazioni acute, che si estrin-secano con prevalente sintomatologia neuropsichiatrica e cognitiva (si sta sviluppando una branca delle neuroscienze chiamata appunto neurotossicologia comportamentale con applicazioni connesse a malattie professionali). Alcuni quadri cronici sono pressoché standard, sul piano clinico, per danni da agenti di varia natura (piombo, solventi organici, bisolfuro di carbonio, pesticidi). In questi casi si ha una prima fase ca-ratterizzata da sintomi lievi e reversibili (che durano per setti-mane o mesi e spesso sono notati solo dai familiari): cambia-mento dell’umore, disordine del sonno, diffi coltà di memoria. Successivamente compare una seconda fase più breve, carat-terizzata da disordini di personalità, disturbi dell’umore più rilevanti, alterazione della vigilanza, dell’attenzione, delle prestazioni psicomotorie a tempo e delle abilità visuospaziali. Un simile quadro è di solito a reversibilità incompleta, anche rimuovendo la causa. La terza e ultima fase di questa pro-

a

b

Fig. 16.3 Demenza da ipovitaminosi B 12 . a. SPECT cerebrale del paziente effettuata prima del trattamento con vitamina B 12 . Sono presenti ipoperfusione frontale e retrorolandica, notevole ipoperfusione a livello del lobo frontale destro, minore a livello del lobo parietale superiore bilateralmente, soprattutto a destra, scarsa rappresentazione del caudato e del putamen a destra. b. SPECT cerebrale effettuata dopo 6 mesi, che indica un aumento del fl usso ematico in particolare a livello della corteccia cerebrale frontale di destra. (Blundo et al, 2011.)

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16 PARTE II PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA

gressione sintomatologica è caratterizzata da disturbi lingui-stici (ridotta fl uenza verbale e diffi coltà di comprensione), grave defi cit mnestico e quadro neuropsicologico e funzionale compatibile con demenza. Una situazione di questo tipo, che ancora oggi purtroppo si verifi ca, è dovuta a intossicazione acuta o cronica da monossido di carbonio (spesso per piccole perdite continuate da impianti di cucina o riscaldamento ob-soleti), che si accompagna di solito a segni extrapiramidali e sintomi neuropsichiatrici, tra cui sono pre minenti il rallenta-mento psicomotorio e l’apatia (cfr. Capitolo 10). Sono pecu-liari i quadri professionali da intossicazione cronica di piombo organico, tetraetile o tetrametile (in lavoratori addetti alla pu-lizia di taniche di benzina) caratterizzati da allucinosi e stati maniaco-depressivi, scarsamente rispondenti ai composti che-lanti (antidoti); le inalazioni croniche di polvere di manganese (in minatori) con disorientamento, allucinosi (“follia da man-ganese”) e sintomi parkinsoniani (oltre a segni di interessa-mento di vari distretti neurologici). Non è rara l’intossicazione cronica da tricloroetilene (solvente organico molto diffuso, presente in collanti per scarpe, grondaie ecc.), caratterizzata da disturbi comportamentali, defi cit psicomotori (attenzione e concentrazione) e visuospaziali (Baker, 1983).

Demenza alcool-correlata La defi nizione del DSM-IV di demenza persistente alcool-correlata (ARD) richiede i criteri per la demenza con evidenza anamnestica e conferma all’esame fi sico o alle indagini stru-mentali che i defi cit siano eziologicamente correlati agli effet-ti persistenti della sostanza. Non è una demenza rara, specie nei Paesi nordeuropei e nordamericani.

La ARD è annoverata tra le demenze “reversibili” per la pos-sibilità di remissione, di solito non completa, con l’astinenza.

L’esame clinico evidenzia segni fi sici di abuso etilico ed epatopatia con associata una possibile polineuropatia. In ag-giunta alla generica sindrome demenziale alcolica, non molto caratterizzata, anche sul piano neuropatologico, si associano sindromi peculiari correlate (da carenze anche nutrizionali le-gate alla condizione e, talora, anche osservabili isolatamente al di fuori dell’alcolismo): sindrome di Wernicke-Korsakoff (da defi cit di tiamina, con tipico disturbo dell’oculomozione); ma-lattia di Marchiafava-Bignami (sofferenza del corpo calloso e del cervelletto); cerebromielopatia con anemia megaloblastica (defi cit di vitamina B

12 ); encefalopatia da pellagra (da defi cit

di niacina); degenerazione epato-cerebrale acquisita (da pas-saggio anomalo dal circolo portale a quello sistemico).

Peculiare nell’alcolismo è la cosiddetta psicosi di Korsa-koff , spesso causata da astinenza: il quadro è caratterizzato da disturbi della memoria (amnesia di fi ssazione e per gli eventi recenti, confabulazioni, pseudoreminiscenze di attività moto-rie), suggestionabilità, manie di grandezza, alterata consape-volezza del sé.

I defi cit cognitivi sono molto frequenti (nel 50% dei pazienti ultraquaran-tacinquenni che abusano di alcool etilico cronicamente), di solito lievi o moderati con disfunzione esecutiva preminente o compromissione co-gnitiva diffusa.

Alla TC e alla RM è frequente il riscontro di atrofi a cerebrale diffusa, cortico-sottocorticale, prevalentemente a carico dei lobi frontali; talora si associano segni di pregressi traumi cra-nici o sanguinamenti intracranici.

DEMENZE POTENZIALMENTE TRATTABILI Sono forme caratterizzate da patologie intracraniche, lesioni postraumatiche, processi espansivi, infezioni, infi ammazioni, patologie disimmuni (comprese le forme paraneoplastiche) e tossiche (Wells, 1977). In questo gruppo rientrano l’idrocefa-lo normoteso, la demenza da prioni e da HIV che vengono trattate a parte.

Il concetto di demenze “trattabili” è storico e rifl ette un’im-postazione precedente all’introduzione di farmaci che hanno, in un certo modo, modifi cato la storia naturale di alcune de-menze degenerative, come la MA considerata fi no a poco tempo fa “non trattabile”. Il termine è comunque suffi ciente-mente chiaro per defi nire, in modo semplifi cativo, quelle for-me in cui la diagnosi tempestiva e il trattamento specifi co, medico o chirurgico, che ne consegue possono portare a un miglioramento del quadro (di solito, tuttavia, senza una resti-tutio ad integrum ), la cui entità dipende dal tipo e dall’esten-sione del processo patologico sottostante, oppure dalle sue caratteristiche biologiche (per esempio, dall’andamento ricor-rente) e/o dalla possibilità di effettuare interventi specifi ci.

I traumi cranio-cerebrali con lesioni parenchimali, come noto, danno frequentemente come sequele defi cit cognitivi multipli (variabili a seconda della sede e dell’estensione delle lesioni, durata e profondità del coma e trattamenti rianimatori praticati, età del soggetto, stato mentale precedente ecc.), talo-ra anche demenza e disturbi neuropsichiatrici (apatia, depres-sione, mania, disturbo del controllo dell’impulso). In questi casi la valutazione cognitiva formale (con test neuropsicologici standardizzati) e quella comportamentale, data anche la rile-vanza medico-legale, devono essere effettuate quando il qua-dro clinico si è stabilizzato (in media a 1 anno di distanza) e ripetute nel tempo.

Peculiare è il quadro dell’ encefalopatia da traumi cranici chiusi ripetuti (non frequente), chiamata anche demenza pugi-listica ma osservabile anche in altri sportivi (Jordan, 1987): insorge anni dopo la cessazione dell’attività, talora non in correlazione diretta con il numero e l’entità dei traumi, è ca-ratterizzata da amnesia, disturbi linguistici, rallentamento ideativo, apatia-abulia (con sintomi parkinsoniani).

Il concetto di demenza da processo espansivo cerebrale è un po’ obsoleto, viste le possibilità di neuroimaging attuali e di intervento, ma ancora di possibile osservazione in casi par-ticolari (anche di non operabilità). Si tratta di lesioni solide, a crescita lenta, che raggiungono dimensioni tali da produrre demenza per “demolizione” di massa cerebrale (possono in-tervenire come fattori patogenetici anche l’edema e le altera-zioni di fl usso). Tra le neoformazioni tumorali possono causa-re quadri dementigeni i gliomi frontali e quelli talamici, i meningiomi orbito-frontali e parasagittali (Knoefel e Albert, 1985). Manifestazioni neuropsichiatriche comuni di queste forme sono la disinibizione (con moria), la labilità emotiva, le alterazioni della personalità e anche la mania qualora la neo-plasia si sviluppi a livello del terzo ventricolo e/o di strutture adiacenti. Non rara, specie nell’anziano con atrofi a cerebrale ma anche talora in età non senile, l’evenienza dell’ematoma subdurale cronico spontaneo, di solito legato a condizioni di alterata coagulazione anche iatrogena, o di natura post-trau-matica (a insorgenza anche dopo traumi non rilevanti), in ge-nere per lacerazioni venose, a crescita lenta e sintomatologia che può comparire con latenza di diversi mesi dall’evento traumatico.

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Le infezioni croniche possono tutte, teoricamente, dare un quadro dementigeno; la possibilità e l’entità della remissione dipendono dalla tempestività degli interventi diagnostico-te-rapeutici.

Due quadri morbosi tipicamente cronici, ora entrambi piut-tosto rari ma ben conosciuti in passato (trattati ampiamente nei testi classici) e non scomparsi, meritano di essere citati per la sintomatologia neuropsichiatrica: la meningoencefalite da tu-bercolosi cronica (con prevalente distribuzione delle lesioni a livello della base cranica), caratterizzata da modifi cazioni della personalità e quadri confuso-amnesici, e quella da neurosifi li-de (lue in fase terziaria), che può dare una sindrome demenzia-le caratterizzata, sul piano cognitivo, da amnesia severa e, sul piano psichico, da idee paranoiche (megalomania), aspetti psicotici (deliri) e alterazioni dell’umore con ipocondria (qua-dro chiamato paralisi progressiva nella neurologia classica, pur in assenza di un vero e proprio defi cit motorio).

Anche nelle malattie infi ammatorie croniche della sostanza bianca, di cui il prototipo è la sclerosi multipla , vi sono spesso sintomi neuropsichiatrici e cognitivi (in quasi la metà dei casi) (McKahn, 1982). Nella slerosi multipla, senz’altro la più stu-diata di queste forme, i sintomi cognitivi sono usualmente as-sociati a lesioni periventricolari della sostanza bianca frontale (evidenziabili alla RM); tra i sintomi neuropsichiatrici, pur nell’ambito di una notevole variabilità individuale, sono pre-senti innanzitutto disturbi affettivi. Si osserva principalmente depressione, presente in più della metà dei casi prevalentemen-te femminili, che può essere di tutti i tipi, non correlata con la durata della malattia, di solito accompagnata da labilità emoti-va; talora è presente un disturbo bipolare, sebbene il vero stato euforico sia raro, tranne nei casi avanzati con marcata disfun-zione frontale, in cui sono comuni anche disforia e incontinen-za emotiva. Sugli aspetti neuropsichiatrici di questa malattia possono incidere anche i trattamenti farmacologici (soprattutto il cortisone può dare stati subeuforici, specie per dosi elevate in acuto, come quelle che si usano nelle riacutizzazioni) come pure, indubbiamente, lo stato di disagio e frustrazione secon-dario a sintomi inabilitanti funzioni come la motilità o la ses-sualità, in soggetti giovani. Per questi casi è sicuramente consi-gliabile un supporto psicosociale. I disturbi cognitivi, in questa forma, possono essere fl uttuanti a seconda dell’andamento della malattia (che spesso è recidivante-remittente), sono scar-samente correlati a quelli neuropsichiatrici e anche con i sinto-mi neurologici classici (da coinvolgimento di più sistemi in tempi e modi diversi); sono evidenziabili all’esame neuropsi-cologico formale nella maggior parte dei soggetti, in pochi casi si ha un’evoluzione dementigena (in questi si riscontra di solito maggiore atrofi a del corpo calloso e maggiore carico globale di lesioni alla RM rispetto ai non dementi). Il pattern cognitivo tipico esprime una disfunzione sottocortico-frontale, con defi cit in funzioni di controllo (attenzione e concentrazio-ne) ed esecutive (programmazione, applicazione di strategie, fl essibilità mentale), specie nelle forme cronico-progressive; nei compiti mnesici si riscontra prevalentemente defi cit di re-trieval (estrazione della traccia mnesica dal magazzino di me-moria), con eventuali differenze per la modalità verbale o vi-suospaziale nei casi con lesioni lateralizzate; relativamente conservati gli altri ambiti di memoria.

Un pattern cognitivo di tipo sottocorticale, con maggiore probabilità di evoluzione dementigena, si riscontra anche in altre malattie della sostanza bianca, talora scambiate per scle-rosi multipla, ma molto più rare, dovute ad accumulo patolo-

gico, geneticamente determinato, di sostanze metaboliche (prevalentemente lipidi) come le leucodistrofi e metacromati-che, le adrenoleucodistrofi e, le sfi ngolipidosi e le lipofuscino-si (Adams e Victor, 1993). Queste forme possono avere anche un esordio nell’età adulta, oltre a quello più comune infantile-giovanile, e sono caratterizzate sul piano neuropsichiatrico da disturbi della personalità e dell’umore (con elevata frequenza di aspetti maniacali: impulsività, ipersessualità, disinibizione) e psicosi (oltre a un’ampia gamma di disordini neurologici).

Altre condizioni infi ammatorie non rare, con sintomatologia neuropsichiatrica talora d’esordio, sono le connettiviti (disor-dini autoimmuni), in particolare il lupus eritematoso sistemico (Sergent et al, 1975), alla cui base vi è verosimilmente un pro-cesso vasculitico. Sono frequenti quadri di rallentamento psi-comotorio, con disturbi della personalità, affettività e anche di tipo psicotico, ad andamento fl uttuante e remittente.

Devono essere menzionati altri due quadri che si ritiene siano dovuti ad alterata immunità: la cosiddetta encefalite lim-bica e la leucoencefalopatia multifocale progressiva (Critchley, 1988).

L’ encefalite limbica è una rara forma paraneoplastica (asso-ciata soprattutto a neoplasie polmonari a piccole cellule, ma descritta anche in corso di altri tumori solidi), caratterizzata da un disturbo mnestico preminente a rapida progressione verso una demenza ed exitus (in media dopo 1 anno), con de-pressione e letargia, nell’ambito di una sintomatologia neuro-logica polimorfa (con neuroimaging negativo e possibilità di riscontro biochimico di anticorpi antineuronali).

La leucoencefalopatia multifocale progressiva è una com-plicanza di malattie del sangue e altre forme infi ammatorie e infettive croniche, compreso l’AIDS (nell’ambito del quale è un’entità distinta dall’AIDS- dementia complex ; Navia et al, 1986): il quadro neurocomportamentale è polimorfo in rap-porto alla sede delle vaste lesioni della sostanza bianca sotto-corticale (oltre al disturbo dell’attenzione e della vigilanza sono possibili anche sintomi cognitivi focali quali afasia e cecità “corticale”) mentre la progressione è rapida, con crisi epilettiche e defi cit neurologici multifocali (con aree multiple ed estese di demielinizzazione alla RM cerebrale).

Idrocefalo normoteso L’idrocefalo normoteso consiste in una dilatazione dei ventri-coli cerebrali determinata da un aumento liquorale ma caratte-rizzata da un equilibrio tra la produzione di liquor e il suo riassorbimento, con diminuzione della pressione endocranica.

Si tratta di un’entità non molto frequente, da alcuni conside-rata anche di origine vascolare, ma l’eziopatogenesi è ancora dibattuta: si discute se sia secondario a traumi cranici, meningi-te o emorragia subaracnoidea, oppure idiopatico. Sono spesso presenti ipertensione arteriosa, disturbo del cammino lentamen-te progressivo con perdita dell’equilibrio, incontinenza urinaria e sincopi; disturbi cognitivi e neuropsichiatrici. Nell’ idrocefalo normoteso che incide verosimilmente per il 3-4% di tutte le demenze, il quadro cognitivo e neuropsichiatrico è assimilabile a quanto sopra descritto per le forme vascolari sottocorticali, con un decorso un po’ più rapido. Il quadro non va tuttavia con-fuso con quello dell’encefalopatia vascolare sottocorticale.

All’esame neurologico sono presenti aprassia della marcia, segni extrapi-ramidali, specie nella metà inferiore del corpo, talora anomalie dell’ocu-lomozione e del fondo dell’occhio (papilledema); alterazioni sensitive.

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Dal punto di vista neuropsicologico vi sono rallentamento ideativo e alterazione della vigilanza, defi cit di attenzione e memoria (sia fi ssazione sia richiamo) con aspetti di tipo “sottocorticale”; lo spettro di compromis-sione cognitiva è ampio, da lieve fi no alla demenza conclamata; i disturbi sono fl uttuanti e la progressione è lenta. Si ha una maggiore compromis-sione della memoria verbale (Gallassi et al, 1991). Sul piano neuropsi-chiatrico, nell’idrocefalo normoteso non sono riportate alterazioni timi-che all’esordio; sono stati descritti quadri con accessi di aggressività ed euforia o mania (Gustafson e Hagberg, 1978).

La RM dinamica costituisce un valido ausilio diagnostico. È presente una dilatazione ventricolare diffusa, tipicamente in assenza di atrofi a cerebrale, ovvero con solchi corticali non dilatati e piccole alterazioni periventricolari (iperlucentezze alla RM da riassorbimento subependimale del liquor).

L’intervento neurochirurgico di derivazione ventricolo-pe-ritoneale può far regredire in parte la sintomatologia, anche quella cognitiva e neuropsichiatrica, specialmente se i sintomi sono di recente insorgenza (idrocefalo normoteso è annovera-to tra le demenze potenzialmente reversibili) e in assenza di lesioni della sostanza bianca e di atrofi a corticale. La rachi-centesi evacuativa e il monitoraggio della pressione liquorale hanno un’utilità diagnostico-prognostico-terapeutica.

Demenze da malattie da prioni Si tratta di forme non comuni di demenza (a quanto oggi noto vi è una prevalenza di 1/1.000.000 di soggetti), ma invariabil-mente letali, che causano degenerazione cerebrale dovuta ad accumulo di una proteina anomala (la proteina prionica, PrP). Costituiscono un interessante modello di studio per le loro peculiarità. Possono avere varia origine: spontanea (for-me sporadiche), familiare (forme genetiche) o acquisita (tra-smissibilità); hanno un lungo periodo di incubazione (anni). Le sindromi cliniche sono diverse in base all’eziologia.

Esistono forme sporadiche (conversione spontanea della PrP da normale a patogena) tra cui vi è la malattia di Creutz-feldt-Jakob (CJD) classica, caratterizzata spesso all’esordio da disturbi psichici non specifi ci come depressione maggiore, disturbo d’ansia con aspetti somatoformi talora inusuali, cam-biamenti di personalità, irritabilità, ansietà, apatia, fi no ad al-lucinazioni e deliri che rendono comune la presa in carico del paziente da parte dello psichiatra, poi compromissione co-gnitiva a rapida progressione, disturbi motori (mioclono) e dell’equilibrio (atassia), ed exitus entro 1 anno dall’esordio. All’esame neurologico è possibile il riscontro di paralisi so-pranucleare dello sguardo, rigidità, segni cerebellari (più co-muni nella forma variante della CJD), disturbi di memoria, stati confusionali, disturbi cognitivi ingravescenti, afasia, di-sturbi piramidali. Si possono individuare inoltre alterazioni spongiformi, degenerazione diffusa delle cellule nervose, proliferazione gliale e placche cerebrali di amiloide immuno-reattive-PrP (nel 10% dei casi sia in pazienti con la forma sporadica sia con la forma variante di CJD). Frequenti sono le anomalie all’EEG con complessi punta-onda lenta periodici (“periodismo”) e al neuroimaging usualmente è riscontrabile atrofi a corticale con, talora, riscontro alla RM di iperintensità in T

2 a livello dei nuclei grigi centrali.

Oltre alle forme sporadiche si hanno anche le forme atipi-che con sintomatologia neurologica polimorfa (agnosia visiva progressiva, afasia, sindromi cerebellari pure a più lungo de-corso). In questi casi è di notevole utilità il dosaggio liquorale della proteina 14-3-3.

Vi sono inoltre forme familiari (autosomiche dominanti, dovute a diverse mutazioni del gene che codifi ca la PrP): vari fenotipi (con caratteristiche clinico-patologiche peculiari in parte sovrapposte) comprendenti l’ insonnia fatale familiare , una malattia a trasmissione autosomica dominante a insorgen-za in età adulta. È caratterizzata da disturbi del sonno con in-sonnia progressivamente ingravescente, disautonomia, mio-clono, atassia, disatria e demenza. Altri segni e sintomi che si possono riscontrare sono perdita di peso, diplopia intermitten-te, episodi di apnea, disfagia, costipazione, ritenzione urinaria, diaforesi, febbre. Le alterazioni neurovegetative in particolare del ciclo sonno-veglia sono dovute a una grave degenerazione talamica, in particolare del nucleo dorsale mediale; anche il tronco cerebrale può mostrare la perdita di cellule neuronali.

La malattia di Gerstmann-Straussler (GSS) è una rara ma-lattia da prioni ereditaria, caratterizzata da un esordio in età adulta con disturbi di memoria, decadimento cognitivo, atas-sia e deposizione di placche amiloid-like nel parenchima en-cefalico. Evolve con progressiva atassia del tronco e degli arti, segni piramidali, disartria e demenza; la durata media della malattia è di 7 anni. La GSS può essere distinta dalla CJD dalla più giovane età di esordio, dalla maggiore durata della patologia e dalla prominente atassia cerebellare. La GSS può essere classifi cata in tre forme: una forma con atassia , una forma con demenza e una forma con demenza accompagnata da numerosi grovigli neurofi brillari (NFTs). Queste distinzio-ni sottolineano la variabilità fenotipica nella presentazione e nella progressione della malattia.

Tra le forme acquisite vi è il kuru (ha un valore storico, essendo ora praticamente scomparso) che veniva contratto mediante pratiche tribali di cannibalismo con ingestione di materiale cerebrale; la malattia è caratterizzata da diffi coltà a mantenere l’equilibrio, atassia, abnormi movimenti oculari e compromissione cognitiva. Inoltre, si possono notare un au-mento del numero degli astrociti e degenerazione neuronale con vacuolizzazioni citoplasmatiche.

Tra le forme acquisite vi è anche la malattia di Creutzfeldt-Jacob iatrogenica (da contaminazione accidentale di prioni umani attraverso l’ormone della crescita estratto da cadaveri, trapianti di cornea, prelievo a fi ni chirurgici di dura madre da cadavere, strumenti neurochirurgici) e la forma variante di Creutzfeldt-Jacob ritenuta la variante umana dell’encefalo-patia bovina spongiforme, dovuta ad assunzione alimentare della proteina bovina patogena, che interessa individui più gio-vani rispetto alla CJD, esordisce con disturbi psichiatrici, si esprime anche con disturbi sensitivi rilevanti e ha un decorso generalmente meno rapido, senza le tipiche anomalie EEG, con possibilità di diagnosi mediante biopsia tonsillare.

DEMENZA DA HIV Riguardo alle forme correlate all’infezione da HIV, circa un terzo dei soggetti con questa infezione sviluppa demenza; è un fenomeno in calo nei Paesi avanzati, anche per i progressi nel-le terapie, ma è in aumento nel Terzo mondo. Si tratta di un quadro cronico progressivo di solito tardivo nell’AIDS, che appare in soggetti severamente immunodepressi ed è caratte-rizzato da un tipico deterioramento mentale con rapido aggra-vamento (settimane o mesi), raramente anche come sintomo isolato, con disturbi neuropsichiatrici (ottundimento, stato confuso-agitato, apatia, depressione ansiosa, mania), poten-zialmente reversibile. Frequenti sono anche le infezioni cere-

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brali opportunistiche, con sindromi focali varie a seconda della sede colpita, e la leucoencefalopatia multifocale progressiva.

Nell’AIDS- dementia complex la sintomatologia neurologi-ca e neuropsicologica è composita.

Si osservano disturbi del movimento (atassia e mioclono), segni piramida-li, alterazione e fl uttuazione della vigilanza, sintomi cognitivi e comporta-mentali (irritabilità, depressione). L’esame neuropsicologico evidenzia defi cit dell’attenzione e della memoria a breve termine; compromissione cognitiva, quando presente, con caratteristiche “sottocorticali”; rari ed eventualmente tardivi i sintomi “corticali”.

Alla RM si evidenziano atrofi a cortico-sottocorticale, altera-zioni della sostanza bianca sottocorticale, e/o altre patologie HIV correlate (lesioni focali da infezioni opportunistiche va-rie, leucoencefalopatia multifocale progressiva ecc.).

Sono colpite soprattutto le regioni sottocorticali; si hanno quadri di demielinizzazione e rarefazione della sostanza bian-ca, con gliosi e astrocitosi reattiva.

DEMENZE “A ESORDIO GIOVANILE” Infi ne, si deve ricordare come la demenza possa colpire anche soggetti relativamente giovani (sotto i 65 anni) nei quali i qua-dri di deterioramento cognitivo secondario alle patologie de-generative e vascolari sopra esposte possono presentarsi con manifestazioni diverse dalle forme a esordio in età senile. Inoltre, in questa fascia di età, vi sono numerose forme di demenza trattabili e reversibili. In sintesi, la diagnosi delle forme di demenza “a esordio giovanile” (termine che ha so-stituito quello di “demenza presenile”) deve essere accurata e prendere in considerazione un ampio spettro di patologie non solo degenerative o vascolari ma a carattere infi ammatorio, metabolico ecc. (vedi Rossor et al, 2010).

SCALE DI VALUTAZIONE DEI DISTURBI NEUROPSICHIATRICI

In questo campo oltre, ovviamente, all’anamnesi, al colloquio clinico e ai test neuropsicologici (cfr. Capitolo 5), il cui ruolo è insostituibile, sono disponibili numerose scale per meglio

precisare i vari sintomi neuropsichiatrici. Alcune di queste, nate per esigenze di ricerca, si sono poi dimostrate di utilità nella pratica clinica quotidiana. Tra queste la più rilevante è la UCLA NPI (Cummings et al, 1994), strumento ideato proprio per i pazienti affetti da demenza di diversa origine. Essa va-luta 12 tipi di disturbi neuropsichiatrici comunemente de-scritti nella demenza; di questi è prevista la graduazione per frequenza e gravità, sulla base di domande poste al caregiver del paziente e inerenti alle modifi cazioni comportamentali insorte dopo l’inizio della malattia in questione (osservate indicativamente nell’ultimo mese prima della valutazione). Viene riportato un punteggio per ogni sintomo, risultante dal prodotto della frequenza per la gravità; anche lo stress emoti-vo o psicologico del caregiver per ognuno di questi sintomi viene graduato (in scala da 1 a 5, come gli altri due parame-tri): si ottengono così punteggi totali sia per i domini neuro-psichiatrici sia per lo stress dei caregiver. Tale scala è stata ampiamente validata, anche in una versione italiana (Binetti et al, 1998).

Scale specifi che vengono frequentemente impiegate nella valutazione della depressione, sia come supporto per la dia-gnosi differenziale con la demenza, sia per la quantifi cazione di questo sintomo quando si trova associato a demenza, come pure per il follow-up. Sono più utili in questo campo scale specifi catamente elaborate per il soggetto anziano, come la Geriatric Depression Scale , autosomministrata (Yesavage et al, 1983) oppure, per il paziente affetto da demenza, la Cornell Scale for Depression in Dementia (Alexopulos et al, 1988), che comprende anche il rilievo di disturbi comportamentali e del-l’ideazione.

Per una trattazione estesa e completa delle molte scale di-sponibili per la valutazione dei sintomi neuropsichiatrici si rimanda a testi specifi camente dedicati all’argomento (tra gli altri: Bianchetti et al, 2001; Lezak, 1995; Masur, 1999).

In questo campo, comunque, le scale hanno sempre dei li-miti non trascurabili sia di tipo generale, valevole per tutti gli aspetti psichiatrici, sia di tipo particolare, per la diffi coltà di ottenere risposte attendibili a quesiti auto- o eterosommini-strati ai pazienti, come pure ai caregiver (le cui risposte sono spesso infl uenzate dal coinvolgimento personale e dalla rea-zione emotiva).

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