Campo Elettrico e Campo Magnetico

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Onda su onda – CAMPO ELETTRICO E CAMPO MAGNETICO IV B Elettronica e Telecomunicazioni 2004/05 - I.T.I. Aldini-Valeriani - Bologna 1 CAMPO ELETTRICO E CAMPO MAGNETICO 1. Premessa: il concetto di vettore e di campo vettoriale Lo scopo di queste brevi note è quello di fornire una breve e sintetica descrizione della natura e delle principali proprietà del campo elettrico e del campo magnetico. Tuttavia, prima di procede- re, si ritiene utile introdurre, in modo elementare, il concetto di vettore e di campo vettoriale. Esistono in natura molte grandezze che per essere completamente definite richiedono un unico parametro. Ad esempio, per definire completamente il volume di un serbatoio, sarà sufficiente dire che esso è di un certo numero di m 3 . Ma se pensiamo allo spostamento di un corpo non basterà dire che esso è di dieci metri. Infatti, per avere le idee chiare su tale spostamento, occorrerà sapere anche in quale direzione esso si è sviluppato e, lungo quella direzione, in quale verso. Se, ad esempio, lo spostamento è quello di un’automobile che si è mossa lungo un’autostrada, dovremo sapere: 1. se si è verificato sulla Bologna-Padova o su altre tratte (la direzione); 2. se è avvenuto da Bologna verso Padova o viceversa (il verso di percorrenza); 3. la lunghezza del tratto percorso (l’entità, o valore, dello spostamento effettuato). Analogamente, potremmo prendere in considerazione la velocità di quell’automobile (o di un qualunque altro corpo in moto). Ebbene, per essere completamente definita, anche quella velocità richiede la conoscenza di tre parametri: la direzione, il verso ed il valore (Km all’ora, ecc.). Un altro esempio di grandezza di questo tipo è dato da una forza: fino a che non avremo chiarito lungo quale direzione, in quale verso e con quanta “intensità” (il suo valore) una certa forza agisce su di un corpo libero di muoversi, non avremo le idee chiare sull’effettivo moto di quel corpo. Ebbene, nella fisica ogni grandezza di questo tipo è un vettore, termine generico con cui si indi- ca una qualunque grandezza che per essere definita richiede, come si è detto, la conoscenza dei tre parametri: direzione, verso e valore. Il simbolo grafico di un vettore è costituito da una freccia orientata (figura 1-a). La lunghez- za della freccia rappresenta, in una certa scala, il “valore” (comunemente noto come modulo) del vettore; la retta su cui giace la freccia rappresenta la direzione, mentre il verso è indicato dalla pun- ta della freccia. Quando un vettore deve essere citato nella completezza dei suoi tre parametri, si usa una lettera soprasegnata (ad esempio, V ), mentre quando si intende indicare solo il suo modulo si utilizza la stessa lettera non soprasegnata (nel nostro esempio, V). Se in un punto P sono applicati 2 vettori 1 V e 2 V , l’effetto complessivo è pari a quello di un u- nico vettore risultante r V (sempre applicato in P) ottenuto come somma vettoriale di 1 V e 2 V , ossia tracciando la diagonale del parallelogramma tracciato come indicato in fig. 1-b. Se ad ogni punto di una certa regione dello spazio è possibile associare un vettore, si dice che quel punto è il punto di applicazione del vettore e che quella regione dello spazio è sede di un campo vettoriale. Fig. 1 – a): simbolo grafico di un vettore – b): somma vettoriale di due vettori. P Modulo Direzione Verso P: punto di applicazione del vettore V a) V 2 b) P Costruzione del vettore risultante V 1 V r

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CAMPO ELETTRICO E CAMPO MAGNETICO

1. Premessa: il concetto di vettore e di campo vettoriale

Lo scopo di queste brevi note è quello di fornire una breve e sintetica descrizione della natura e delle principali proprietà del campo elettrico e del campo magnetico. Tuttavia, prima di procede-re, si ritiene utile introdurre, in modo elementare, il concetto di vettore e di campo vettoriale. Esistono in natura molte grandezze che per essere completamente definite richiedono un unico parametro. Ad esempio, per definire completamente il volume di un serbatoio, sarà sufficiente dire che esso è di un certo numero di m3. Ma se pensiamo allo spostamento di un corpo non basterà dire che esso è di dieci metri. Infatti, per avere le idee chiare su tale spostamento, occorrerà sapere anche in quale direzione esso si è sviluppato e, lungo quella direzione, in quale verso. Se, ad esempio, lo spostamento è quello di un’automobile che si è mossa lungo un’autostrada, dovremo sapere:

1. se si è verificato sulla Bologna-Padova o su altre tratte (la direzione); 2. se è avvenuto da Bologna verso Padova o viceversa (il verso di percorrenza); 3. la lunghezza del tratto percorso (l’entità, o valore, dello spostamento effettuato).

Analogamente, potremmo prendere in considerazione la velocità di quell’automobile (o di un qualunque altro corpo in moto). Ebbene, per essere completamente definita, anche quella velocità richiede la conoscenza di tre parametri: la direzione, il verso ed il valore (Km all’ora, ecc.). Un altro esempio di grandezza di questo tipo è dato da una forza: fino a che non avremo chiarito lungo quale direzione, in quale verso e con quanta “intensità” (il suo valore) una certa forza agisce su di un corpo libero di muoversi, non avremo le idee chiare sull’effettivo moto di quel corpo. Ebbene, nella fisica ogni grandezza di questo tipo è un vettore, termine generico con cui si indi-ca una qualunque grandezza che per essere definita richiede, come si è detto, la conoscenza dei tre parametri: direzione, verso e valore. Il simbolo grafico di un vettore è costituito da una freccia orientata (figura 1-a). La lunghez-za della freccia rappresenta, in una certa scala, il “valore” (comunemente noto come modulo) del vettore; la retta su cui giace la freccia rappresenta la direzione, mentre il verso è indicato dalla pun-ta della freccia. Quando un vettore deve essere citato nella completezza dei suoi tre parametri, si usa una lettera soprasegnata (ad esempio, V ), mentre quando si intende indicare solo il suo modulo si utilizza la stessa lettera non soprasegnata (nel nostro esempio, V). Se in un punto P sono applicati 2 vettori 1V e 2V , l’effetto complessivo è pari a quello di un u-nico vettore risultante rV (sempre applicato in P) ottenuto come somma vettoriale di 1V e 2V , ossia tracciando la diagonale del parallelogramma tracciato come indicato in fig. 1-b. Se ad ogni punto di una certa regione dello spazio è possibile associare un vettore, si dice che quel punto è il punto di applicazione del vettore e che quella regione dello spazio è sede di un campo vettoriale.

Fig. 1 – a): simbolo grafico di un vettore – b): somma vettoriale di due vettori.

P

Modulo Direzione

Verso

P: punto di applicazione del vettore V

a)

V2

b)

P

Costruzione del vettore risultante

V1 Vr

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Come esempio di campo vettoriale, si può fare riferimento allo spazio che circonda la terra: ad ogni punto di tale spazio è possibile associare il vettore “forza di attrazione” che la terra esercita su un qualunque corpo (più familiarmente, il peso). Il campo elettrico ed il campo magnetico, come vedremo nei prossimi paragrafi, sono grandez-ze vettoriali (o, più semplicemente, dei vettori) e trovano la loro sede nei rispettivi campi vetto-riali che circondano le sorgenti fisiche che li hanno generati (cariche elettriche e correnti elettriche). 2. Le cariche elettriche

Secondo il modello di Bohr, gli atomi di cui è costituita la materia sono formati da un nucleo attorno al quale ruota, seguendo opportune orbite, un certo numero di particelle elementari: gli elettroni. Il nucleo, a sua volta, è formato da altre particelle elementari note come protoni, accompagnate, in alcuni casi, da un terzo tipo di particelle dette neutroni. Oltre ad una propria massa, sia gli elettroni sia i protoni possiedono una particolare proprietà che prende il nome di carica elettrica. I neutroni, invece, non possiedono questa proprietà (non sono dotati, cioè, di carica elettrica) e per questa ragione si dice che sono neutri (da qui il loro nome). Dagli studi effettuati sui fenomeni elettrici è emerso che alcune particelle dotate di carica elettrica (o, più semplice-mente, cariche) si attraggono, mentre altre si respingono; si è quindi giunti alla conclusione (come verrà spiegato in se-guito) che in natura esistono due tipi “complementari” di cariche, convenzionalmente denominate cariche positive (quelle possedute dai protoni) e cariche negative (quelle

degli elettroni). Più precisamente, cariche di “segno” opposto sono soggette ad una forza di attra-zione reciproca, mentre cariche dello stesso “segno” si respingono. Questi fenomeni furono scoperti per la prima volta (anche se non spiegati) da Talete, filosofo e matematico greco di Mileto, vissuto attorno al 600 a.C.. Egli, infatti, osservò che strofinando con una pelle di gatto una barretta di ambra (in greco, elektron) era possibile attrarre, con quella resina fossile, piccoli frammenti di foglie secche, piume e pilucchi di lana. Il fenomeno fu considerato per millenni poco più che una curiosità e per averne una interpreta-zione scientifica si dovette giungere fino alla seconda metà del ‘700 quando, grazie alla legge di Coulomb illustrata nel prossimo paragrafo, furono chiarite e misurate le interazioni fra le cariche elettriche. In onore del grande fisico francese, all’unità di misura della carica elettrica è stato dato il nome di Coulomb [C]. La tabella che segue riporta la massa e la carica di protoni, elettroni e neutroni. Si noti che elet-troni e protoni possiedono la stessa quantità di carica, benché di segno opposto, mentre, come si è detto, i neutroni sono neutri. Gli elettroni, inoltre, possiedono una massa molto più piccola di quella dei protoni e dei neutroni che hanno, invece, masse praticamente uguali.

Particella Carica Segno Massa Protone 1,60206⋅10-19 C + 1,67252⋅10-27 kg

Elettrone 1,60206⋅10-19 C - 9,1091⋅10-31 kg Neutrone 0 Nessuno 1,67482⋅10-27 kg

Fig. 2 – L’atomo secondo Bohr.

Orbita più

esterna o di valenza

Orbita più

interna

Nucleo

Elettrone

Altre orbite intermedie

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Concluderemo questo paragrafo segnalando che la quantità di carica elettrica che, attraverso op-portune modalità, è possibile trasferire ad un corpo può essere solo un multiplo intero della carica dell’elettrone (o del protone, se positiva). Questo principio si enuncia dicendo che la carica elettri-ca è quantizzata. 3. La legge di Coulomb ed il vettore campo elettrico

Nel 1785 Coulomb (1736-1806) scoprì che fra due cariche si esercita una forza direttamente proporzionale al prodotto delle cariche stesse ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Indicando con F l’intensità della forza reciprocamente eserci-tata da due cariche Q e q poste a distanza d, la legge di Coulomb assume la seguente forma:

2r

0

dqQ

εkF ⋅

= 1)

dove εr è la costante dielettrica relativa del mezzo in cui si tro-vano le cariche e k0 è un coefficiente di proporzionalità che di-pende dal sistema di unità di misura; nel Sistema Internazionale (SI) si ha k0 = 1/4πε0, dove ε0 è la costante dielettrica assoluta del vuoto1.

In base alla legge di Coulomb, se in un punto P dello spazio si pone una certa carica Q, nello spazio circostante si crea un campo vettoriale di forze (più semplicemente, un campo elet-trico) in grado di agire su altre cariche elettriche, cosicché una carica puntiforme2 q (carica esploratrice o carica di prova) po-sta in un punto P’ distante d da P (fig. 3), risulta sottoposta ad una forza F causata da Q e valutabile con la 1). Q viene detta ca-rica generatrice del campo. Si può anche dire che una certa zo-na dello spazio è sede di un campo elettrico se si constata che

una carica esploratrice q, situata in un punto P’ di quella zona, è soggetta ad una forza F. Il campo elettrico è dato dal rapporto fra la forza F che agisce sulla carica q e la carica stessa:

EqFqFE ⋅=⇒= 2) Tenendo conto della 1) e ricordando che nel SI si ha k0 = 1/4πε0, si ottiene:

22r0

2r

0

d4Q

d4Q

qd

qQk

qFE

πε=

επε=

⋅ε

==

1 La costante dielettrica relativa εr di un mezzo è data dal rapporto fra la costante dielettrica assoluta ε di quel mez-zo e la costante dielettrica assoluta ε0 del vuoto. Ne consegue che la costante dielettrica relativa del vuoto vale 1. 2 Poiché anche la carica esploratrice q genera un proprio campo elettrico, occorre ipotizzare che essa sia puntiforme, ovvero tanto piccola da far sì che in ogni punto dello spazio siano possibili l’osservazione e la misura del campo elettri-co generato da Q senza che quest’ultimo risulti alterato in modo significativo da quello generato da q.

Q

P’

P

q

d

Carica esploratrice puntiforme

Carica generatrice del campo elettrico

Forza coulombiana esercitata da Q su q

Una forza identica, non indicata in figura, viene

esercitata da q su Q

F

Fig. 3 - La forza coulombiana.

Charles Augustin de Coulomb

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Se le cariche sono poste nel vuoto (ε = ε0 ovvero εr = 1), il modulo del campo elettrico diventa:

20d4π

QEε

= 3)

Si noti che E non dipende dalla carica di prova, ma solo dalla carica Q da cui trae origine. Se il campo nasce da più cariche, ad esempio Q1 e Q2, la forza F che agisce su q è uguale alla somma vettoriale delle forze 1F ed 2F esercitate separatamente da Q1 e Q2 su q, ovvero:

21 FFF += Si ottiene, allora:

22121

qF

qF

qFF

qF EEE 1 +=+=

+== 4)

Poiché entrambi i campi 1E ed 2E sono indipendenti dal valore di q, anche il campo risultante E dipenderà solo dal punto in cui viene misurato e dalle varie cariche che lo generano. Impiegando una carica esploratrice unitaria, le intensità di E e di F assumono lo stesso valore e quindi si può dire che l’intensità del campo elettrico in un punto è uguale alla forza che si e-sercita sull’unità di carica posta in quel punto.

Dato che EqF ⋅= (eq. 2), la direzione di F è la stessa di E , mentre il suo verso dipende dal segno di q: in particolare, fissa-to il segno (supposto positivo) di Q, se q è positiva (fig. 4-a) F ha lo stesso verso di E , altrimenti vale il contrario (fig. 4-b).

Ciò spiega quanto si è già detto in pre-cedenza, ossia che cariche di segno oppo-sto si attraggono, mentre cariche di ugual segno si respingono.

4. Linee di forza del campo elettrico

Le traiettorie descritte da una o più cariche libere di muoversi in un campo elettrico, prendono il nome di linee di forza. La figura 4 riporta alcune delle linee di forza radiali dei campi generati da una carica positiva Q (fig. 4-a) e da una carica negativa –Q (fig. 4-b)3. In generale, però, le linee di forza di un campo elettrico avranno un andamento più complesso e allora si può generalizzare il concetto di linee di forza dicendo che esse sono linee ideali tangenti alla forza che il campo esercita in ogni punto su una carica di prova q, ovvero che tale carica, posta in un punto a distanza d dall’origine di un campo elettrico, si muove seguendo le sue linee di forza.

3 Si noti che, per convenzione, le linee di forza di un campo elettrico divergono da cariche positive e convergono su quelle negative.

q: carica esploratrice positiva

Cariche di segno oppostosi attraggono

E-qF

Cariche di ugual segno si respingono

q E FLinee di forza

del campo elettrico

+Q +Q

a) b)

Fig. 4 - Forze di repulsione e di attrazione . tra cariche elettriche.

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5. Energia potenziale e differenza di potenziale

La presenza della forza data dalla legge di Coulomb denuncia il fatto che ogni punto di un cam-po elettrico è sede di una energia potenziale U che si annulla all’infinito dove si annulla campo E4. Ponendo la carica di prova q in punti a distanza sempre maggiore dall’origine del campo, quest’ultimo risulta sempre più affievolito (equazione 2) e la carica viene sottoposta a forze di mi-nore intensità (eq. 1); si può dire, allora, che ogni punto di un campo elettrico è sede di una certa energia potenziale la quale viene trasferita a cariche di prova poste in quel punto. Cariche positive non sottoposte ad alcun vincolo (ossia, libere di muoversi) si spostano da punti ad energia più alta verso punti ad energia più bassa, mentre per quelle negative accade il contrario (fig. 4). Poiché la forza con cui si manifesta l’energia potenziale dipende anche da q, per fissare un pa-rametro che fornisca una valutazione energetica del campo svincolata dal valore della carica di pro-va, si introduce il concetto di potenziale V, inteso come energia potenziale che assume una carica di valore unitario posta in un dato punto del campo elettrico. Due punti P e P’ a diversa distanza dalla sorgente del campo saranno allora caratterizzati da due diversi valori di potenziale e tra di essi esisterà la differenza di potenziale

qUU

VV∆V P'PP'P

−=−= 5)

che è il presupposto per il movimento di cariche, ovvero per la nascita di una corrente elettrica. 6. Il concetto di campo magnetico

E’ noto che in natura esistono materiali in grado di attrarne altri; questa proprietà può anche es-sere indotta artificialmente, come si può constatare ponendo una barretta di acciaio a contatto con

un pezzo di magnetite: la barretta si magnetizza diventando un magnete artificiale (una calamita) ai cui estremi, come accade in ogni materiale magnetizzato, si dà lo stesso nome dei poli terrestri: polo Nord e polo Sud (fig. 5). Poli magnetici omonimi si respingono, mentre poli eteronomi si attraggono, proprio come accade alle cariche elettriche. Tra i più noti ma-teriali magnetizzabili artificialmente, troviamo il ferro, l’acciaio, il cobalto ed il nichel. Essi sono chiamati materiali ferromagnetici e la loro principale caratteristica è quella di po-

ter raggiungere anche elevati gradi di magnetizzazione che sono spesso in grado di conservare (to-talmente o in parte, a seconda dei tipi) al cessare della causa magnetizzante (magneti permanenti).

Le più comuni forme di questi materiali sono: barrette rettilinee, ferri a U ed aghi magnetici; questi ultimi, impiegati nelle bussole, sono costituiti da una sottile lamina di acciaio avente la possibilità di ruotare attorno ad un perno verticale (fig. 6). Se si avvicina una calamita rettilinea ad un ago magnetico, si nota che quest’ultimo è soggetto a forze che la prima esercita sul secondo mettendolo in rotazione. Si può dire, allora, che la

calamita genera nello spazio circostante un campo di forze magnetiche o, più comunemente, un campo magnetico la cui direzione va dal Nord al Sud dell’ago magnetico, mentre il verso va da Sud a Nord.

4 Si ricordi che E risulta inversamente proporzionale al quadrato della distanza d dalla sorgente (equazione 3).

Nord Sud

N S

Fig. 6 - Ago magnetico di prova.

Fig. 5 – Un dipolo magnetico.

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La presenza di forze di natura magnetica rivela la natura vettoriale dei campi magnetici. Vo-lendo risalire sperimentalmente alle linee di forza, si può porre un ago magnetico di prova (fig. 6)

in loro prossimità e valutare, ad equilibrio raggiunto, la direzione ed il verso assunti dall’ago. Spostando di un breve tratto ∆s il centro di gravità dell’ago, questo raggiungerà una nuova posizione di equilibrio caratterizzata da una nuova dire-zione ed un nuovo verso. Ripetendo l’operazione si può costruire una poligonale a-vente tutti i lati di lunghezza ∆s; se i valori di ∆s sono molto piccoli, si può ottenere una linea continua orientata che rappre-senta una delle linee di forza del campo magnetico (fig. 7).

7. Confronto tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici

Il campo magnetico, come quello elettrico, è un campo vettoriale; inoltre, l’esistenza di poli omo-nimi che si respingono e di poli eteronomi che si attraggono, costituisce un’ulteriore analogia fra i

due fenomeni, fra i quali, tuttavia, esistono differenze sostanziali: infatti, mentre ca-riche positive e negative possono esistere separatamente l’una dall’altra, non è pos-sibile separare i poli magnetici; in sostanza, se si divide in due parti un dipolo ma-gnetico, si ottengono due nuovi dipoli (fig. 8). Effettuando ulteriori suddivisioni, si ottengono nuove coppie dipoli magnetici, e quindi, mentre un corpo può essere elet-trizzato in modo tale da presentare una carica di segno positivo o negativo, non è possibile magnetizzare un corpo con polarità solo Nord o solo Sud. Non potendo e-sistere poli magnetici isolati, le linee di forza di un campo magnetico sono linee chiuse5, al contrario di quanto accade per un campo elettrico le cui linee di forza ini-ziano e terminano in corrispondenza di cariche.

8. Il vettore campo magnetico H

I legami fra i fenomeni elettrici e magnetici furono scoperti, nel 1820, dal fisico danese Hans Christian Oersted (1777-1851). In un famoso esperimento, egli pose l’ago magnetico di una bus-sola in prossimità di un conduttore nel quale fece scorrere una corrente elettrica (vedi foto e fig. 9).

5 Questo fatto si esprime anche dicendo che il campo magnetico ha una natura solenoidale.

Fig. 7 – Le tipiche linee di forza. . di un campo magnetico.

Fig. 9 – Con questo esperimento (vedi foto) Oersted scoprì, nel 1820, i legami fra correnti . elettriche e campi magnetici. Era nato l’elettromagnetismo!

a)

S N

Nord geografico →← Sud geografico

+ −

b)

I N

S Nord geografico →← Sud geografico

+ −

Hans Christian Oersted

Fig. 8

S

N N

S

N

S

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Poiché in assenza di corrente l’ago della bussola si orientava lungo la direzione dei poli geogra-fici, Oersted orientò lungo la stessa direzione anche il conduttore in modo che, a pila scollegata, ago e conduttore risultassero allineati (fig. 9-a). Una volta collegata la pila, Oersted notò che l’ago si portava in posizione perpendicolare al conduttore (fig. 9-b), mentre, riaprendo il circuito, l’ago si riportava lungo la direzione originaria, riallineandosi al conduttore ed ai poli geografici. Da questa esperienza Oersted giunse alla conclusione che qualsiasi conduttore percorso da una corrente elettrica induce, nello spazio circostante o in sostanze e materiali posti in prossimità del conduttore, proprietà magnetiche la cui origine è dovuta al movimento dei portatori di carica. Questo esperimento risultò di importanza fondamentale, poiché chiarì che i fenomeni magnetici traggono sempre origine da una corrente elettrica6 e segnò la nascita dell’elettromagnetismo. Riassumendo, se in un conduttore si hanno cariche in movimento, allora nell’intorno di quel conduttore nasce un campo magnetico H. Viceversa, per generare un campo magnetico H oc-corre produrre una circolazione di cariche elettriche (cioè una corrente elettrica). Per comprendere meglio il fenomeno sopra esposto, consideriamo un conduttore percorso da una corrente I. In conseguenza della corrente elettrica, nell’intorno del conduttore nascerà un campo

magnetico le cui linee di forza sono delle linee chiuse concatenate con la corrente I (fig. 10). Dato che la corrente è la responsabile della nascita della forza ma-gnetica che si sviluppa lungo le linee di forza l1, l2, ... l, si dice che tale corrente possiede intrinsecamente una forza magnetomotrice F e si conviene di identificare l’intensità di tale forza con quella di I. Poiché, in generale, l’effetto magnetomotore di N conduttori per-corsi dalla stessa corrente è N volte quello di I, si dovrà associare il va-lore di F con il prodotto NI, misurando convenzionalmente F in “Am-perconduttori” o, come si dice di solito, in Amperspire.

Da quanto detto, dunque, F = I [Ampere] o, più in generale: F = NI [Amperspire] 6) Ritornando alla figura 10, si consideri una generica linea di forza l. L’azione della forza F si e-serciterà lungo tutta la linea l, per cui lungo un tratto infinitesimo dl si svilupperà un forza dF. Per convenzione, il valore del campo magnetico H assume il valore del rapporto dF/dl, ossia: H = dF/dl ⇒ dF = Hdl sicché, la forza magnetomotrice (o tensione magnetica) FAB che si sviluppa fra due punti A e B di una medesima linea di forza, varrà:

ldHFB

AAB ∫ ⋅=

Estendendo l’integrale a tutta la linea chiusa l concatenata con I (in generale, NI), si perviene alla seguente relazione che esprime il teorema della circuitazione di Ampere:

ldHNIFl∫ ⋅== 7)

6 Lo stesso campo magnetico terrestre è dovuto a correnti elettriche che scorrono nelle profondità del globo.

dl A

B l l1 l2

H

H

I

Fig. 10

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Se il campo magnetico H è uniforme, la 7) diventa NI = H⋅l, da cui:

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡=mA

lNIH 8)

9. Il vettore induzione magnetica B - Relazione fra B ed H

Se è vero che una corrente elettrica è in grado di generare un campo magnetico H, occorre rile-vare che, a parità di condizioni (intensità della corrente, distanza dal conduttore, ecc.), il livello di magnetizzazione raggiunto da materiali di diversa natura permeati da H non è quantitativamente lo stesso. Ad esempio, sostanze come l’aria, il vetro ed il legno si magnetizzano in modo trascurabile, mentre tutti i materiali ferromagnetici (ferro, nichel, cobalto, ecc.) assumono un notevole stato di magnetizzazione. Da quanto detto si deduce che, mentre la causa della magnetizzazione può essere la stessa (H), l’effetto dipende quantitativamente dalle proprietà magnetiche del mezzo. Si può introdurre, allora, il concetto di vettore induzione magnetica B (l’effetto), legato ad H (la causa) dalla relazione:

HµB ⋅= 9) dove µ è un parametro che prende il nome di permeabilità magnetica e che tiene conto delle pro-prietà magnetiche del mezzo in cui si sviluppa l’azione del campo magnetico H . Poiché µ è uno scalare, il vettore B ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore H 7. L’unità di misura di B è il Tesla [T]. 10. Alcuni campi magnetici caratteristici

10.1. Campo generato da un conduttore rettilineo - Legge di Biot-Savart Consideriamo un conduttore rettilineo percorso da una corrente co-stante I. Le linee di forza del campo magnetico H generato da I saranno delle circonferenze concentriche giacenti su piani perpendicolari al conduttore (fig. 11). Applichiamo ora il teorema della circuitazione ad una generica cir-conferenza l di raggio r, tenendo presente che il campo è costante (uni-forme) poiché tale è la corrente I per ipotesi. Per la 8) si avrà:

r2πI

lIH

⋅==

relazione che esprime la legge di Biot-Savart.

7 La permeabilità magnetica del vuoto assume il valore µ0 = 4⋅π⋅10-7 Henry/m.

r l

H

H

I

H

Fig. 11

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10.2. Campo magnetico generato da un solenoide rettilineo Consideriamo un solenoide rettilineo di raggio r e lunghezza l, costituito da N spire (fig. 12). Al suo interno il verso del campo coincide con quello di avanzamento di una vite destrorsa che ruoti nello stesso senso della corrente I. Se i solenoide è sufficientemente allungato e “snello” (cioè se l >> r) le linee di forza al suo in-terno assumono un andamento praticamente rettilineo ed il campo si può ritenere uniforme. Si può dimostrare che il campo magnetico H in un punto P dell’asse del solenoide è dato da:

)cosα(cosαl2

NIH 21 −⋅=

Se il solenoide è sufficientemente allungato (ossia se r < l/20), si avrà α1 ≈ 0 e α2 ≈ π ed il cam-po assumerà il valore:

lNIH ≈

10.3. Campo magnetico generato da un solenoide toroidale

Il campo si può immaginare come generato da un sole-noide rettilineo il cui asse sia stato curvato a circonferenza (fig. 13). Le linee di forza sono praticamente imprigionate all’interno del solenoide e si presentano anch’esse come circonferenze. Considerando una generica linea di forza di raggio rx, per il teorema della circuitazione si avrà:

∫ ∫ ⋅π⋅==⋅= xr2HdlHdlHNI da cui:

xr2πNIH⋅

= con 1

maxx2

min r2πNIH

r2πNIH

r2πNIH

⋅=≤

⋅=≤

⋅=

Se risulta r1 ≈ r2 ≈ r, il campo diventa praticamente costante ed assume il valore:

r2πNIH⋅

=

H

H

H H P H

r

l

α2 α1

Fig. 12

I r1

H r2

rx

N: numero spire

Fig. 13