Camilleri 1
-
Upload
alina-elena-durac -
Category
Documents
-
view
31 -
download
1
description
Transcript of Camilleri 1
Introduzzione su Camilleri e Montalbano
Le storie di Andrea Camilleri sono ambientate tra Vigata e Montelusa, luoghi immaginari
che non si trovano sulla carta geografica ma che geograficamente si collocano nel territorio
compreso tra la collina di Girgenti e il mare africano. Lo stesso scrittore li ha definiti luoghi
semifantastici che "esistono come struttura toponomastica di base" per tenere in qualche modo
sotto controllo i personaggi ma i cui confini sono a geometria variabile per soddisfare al meglio
le esigenze della narrazione. Luoghi che esistono veramente - Porto Empedocle - Vigata con le
sue strade, fabbriche in disuso, la Mannara, il faro, lo scoglio piatto, la Salita Granet, la spiaggia
di Marinella, il molo di levante, il commissariato di via Lincoln, il Monte Crasto, il Ristorante
San Calogero e la Trattoria da Enzo, le colline di bianca marna e Girgenti - Montelusa con la
questura, il quartiere Rabato- ma che si allargano e dilatano fino a inglobare vicende e fatti di
altri paesi siciliani e quindi finiscono col diventare paragdimatici della Sicilia stessa. In questo
senso Vigàta può essere definito come il "centro più inventato della Sicilia più tipica".
In questo territorio letterario e universale, ma geograficamente cartterizzato, facilmente
riconoscibile, si muovono agevolmente i personaggi storici e moderni di Camilleri (Zosimo "re
di Girgenti", Montalbano, Catarella, Mimì Augello) e diventano reali e plausibili le storie più
fantastiche e paradossali (1)
Per quanto riguarda i luoghi, il passaggio alla fiction ha decretato l’imporsi sulla scena di
paesaggi, abitazioni, scorci della provincia di Ragusa che è stata preferita alla provincia di
Agrigento, una scelta che, tutt’oggi a quasi dieci anni della messa in onda del Commissario
Montalbano, suscita polemiche e rivendicazioni da parte degli abitanti dell’agrigentino che
hanno capito di essersi sicuramente persi qualcosa di importante dal punto di vista del ritorno
turistico.
La scelta della provincia di Ragusa come sede della location non era scontata fin
dall’inizio ma è stata fatta in seguito a numerosi sopralluoghi dopo aver escluso proprio Porto
Empedocle per povertà scenografica, problema che ha riguardato tutta l’area dell’agrigentino.
Siamo di fronte ad un caso di doppia identità dei luoghi sulla quale Camilleri afferma che lui la
buona parola per svolgere gli episodi a Porto Empedocle ce l’aveva messa: “Però, se
tecnicamente le bellezze paesaggistiche di questo luogo sono state sporcate da costruzioni,
antenne parabole e quant’altro, che ci posso fare?”.(2)
Il Commissariato di Vigata è il Municipio della città, un edificio dei primi del ‘900 in
stile neorinascimentale. Teatro di molti dialoghi del Commissario Montalbano è stata Via
Francesco Mormina Penna, tra le più belle vie del tardobarocco italiano, ricca di chiese e di
palazzi, sintesi tra linguaggi alti e popolari e che ha ricevuto il riconoscimento, da parte
dell’UNESCO, di Patrimonio dell’Umanità. (3)
La Questura di Montelusa è invece a Ragusa Ibla e precisamente in Piazza Pola mentre in
Piazza Duomo, con la Chiesa di San Giorgio che svetta alle loro spalle Salvo Motalbano e i suoi
assistenti prendono il caffè in assolate mattine estive. (4)
Montalbano (5)
Camilleri non ci dà mai una descrizione fisica del suo commissario, salvo dirci in "La
voce del violino", 1997, che ha quasi 46 anni. Se leggiamo con attenzione i libri che lo hanno
come protagonista possiamo però conoscere questo personaggio molto più da vicino di quanto
non sembri a prima vista. Salvo Montalbano era uno scolaro "murritiusu", che studiava poco e
sedeva sempre nell'ultimo banco. Rimase orfano di madre da piccolo; l'unico ricordo che ha della
madre è la luce dorata riflessa dai capelli di lei. Un giorno il padre lo portò nella casa di una sua
sorella senza spiegargli che la nonna stava morendo e la madre si era gravemente ammalata;
quando tornò a riprenderselo, vestito a lutto, lui si rifiutò di seguirlo. In " Il ladro di merendine"
conosce Clementina Vasile Cozzo, una settantenne su seggiola a rotelle, ex maestra elementare,
intelligente e signorile, con la quale entra subito in sintonia, tanto che prende l'abitudine di
andarla a trovare una volta la settimana, raccontandole dell'inchiesta che ha per le mani. Tra loro
nasce un sentimento filiale; questa donna anziana rappresenta la madre che avrebbe voluto
scegliersi. Altre notizie sull'infanzia e giovinezza del nostro non ne abbiamo. Sappiamo però che
anche lui, prima di diventare commissario capo di Vigata fece la sua gavetta; a 32 anni era
vicecomissario e a ogni cambio di stagione lo trasferivano da un paese all'altro per sostituire
qualcuno o per colmare un buco. E' un uomo molto tradizionalista sotto certi aspetti, ma
estremamente progressista per tutto il resto. E infatti ama le tradizioni : pensa con nostalgia alla
trepidazione di quando era piccolo e la mattina del due novembre si alzava la mattina presto per
cercare il canestro di vimini nel quale durante la notte i morti avevano deposto i loro regali; la
festa è oramai andata perduta e sostituita "dalla banalità dei doni sotto l'albero di Natale". D'altra
parte non regge i rituali delle feste natalizie ed è convinto che una notte di capodanno passata in
un albergo con decine e decine di sconosciuti, a fingere allegria durante il cenone e il ballo, gli
provocherebbe la febbre. Non sopporta tutto ciò che è burocrazia, per cui gli riesce difficile in
caso di delitto accettare di perdere tempo in attesa del giudice, del medico legale, della
Scientifica, che sono capaci di metterci ore prima di arrivare sul posto. Così pure durante le
conferenze stampe si trova a disagio, si agita, diventa rosso, suda, non riesce a star fermo, si
esprime balbettando "con gli occhi sbarrati e le pupille che ballavano 'mbriache" (Il cane di
terracotta). In "Il ladro di medendine" veniamo a sapere che non crede nel soprannaturale. Non lo
si dice mai chiaramente ma si intuisce che è di idee politiche di sinistra; è amico del giornalista
di Retelibera, Nicolò Zito, "rosso di pelo e di idee" e, quando alcuni operai del Cementificio
vengono mandati in cassa integrazione e scoppia una rivolta, lui non se ne vuole immischiare,
sostenendo che quelli che "restano col culo per aria sono gli operai"; e non gli pare giusto
prenderli anche a manganellate (La voce del violino). Nega comunque di essere comunista e, in
ogni modo, non vuole parlare di politica. Sostiene piuttosto di provare simpatia, in un mondo di
politici corrotti, tangentari e ladri, per quelli onesti, indipendentemente dal loro colore politico;
anzi arriva a nutrire addirittura un senso d'affetto verso chi, pur non pensandola come lui, è pulito
e sinceramente convinto (Il cane di terracotta). E' un abitudinario. Per abitudine arriva al
commissariato con una decina di minuti di ritardo. Quando rientra a casa la sera, quasi
meccanicamente accende il televisore e si guarda il notiziario sulle due televisioni locali,
Televigata e Retelibera Ogni domenica compera un giornale di economia che immediatamente
butta perché non ci capisce niente, conservando le pagine culturali che legge la sera a letto prima
di dormire. Rifiuta sistematicamente una promozione che lo allontanerebbe da Vigata, perchè la
sola idea di un trasferimento e di un cambiamento di abitudini gli fa venire qualche linea di
febbre. Due o tre volte la settimana, quando vuole pensare meglio o prendere un po' di aria
buona, si concede una passeggiata lungo il molo di levante, fino al faro o sulla spiaggia ovest,
che è sempre deserta. Prima però acquista presso lo squallido negozietto, "la putìa", di Anselmo
Greco, calìa e semenza, cioè ceci abbrustoliti e semi di zucca salati; a volte compera anche
noccioline americane. Sappiamo che fuma, ma su questo fatto Camilleri sorvola. Detesta andare
dal barbiere per il taglio dei capelli e vedersi negli specchi con l'espressione inevitabilmente
ebete che ognuno assume in quell'occasione. Vive il rapporto con il proprio corpo con semplicità,
senza inutili pudori. Il suo abituale costume di spettatore televisivo è canottiera, mutande e piedi
nudi; in casa spesso sta nudo, oppure esce dalla doccia e si piazza davanti alla televisione "nudo
e gocciolante", né si fa problemi ad aprire la porta in costume adamitico. Il paesaggio della sua
isola che più gli piace è quello delle colline arse dalla siccità e che non ricordano più la mano
dell'uomo, interrotte qua e là da grigie rocce e da poche case di pietra messe di sghembo "quasi
che avessero fortunosamente resistito a una violenta sgroppata della terra che non voleva
sentirsele sopra"; è la Sicilia "aspra, di scarso verde, sulla quale pareva impossibile campare e
dove ancora c'era qualcuno, ma sempre più raro, con gambali, coppola e fucile in spalla, che lo
salutava di sopra la mula portandosi due dita alla pampera". Assapora con voluttà sapori e odori
della sua terra; così lo troviamo di notte, dopo una lunga giornata di lavoro, viaggiare lento,
mentre dai finestrini dell'auto aperti gli arrivano gli odori di una notte di mezzo maggio, ventate
di gelsomino dai giardinetti delle ville alla sua destra, folate di salmastro dal mare a sinistra ( Un
mese con Montalbano). Non è certo un uomo tranquillo, di quelli che si adattano alle circostanze
e alle persone. E' di umore fondamentalmente instabile, basta poco per innescare la miccia e farlo
infuocare. Anzitutto è meteoropatico, caratteristica che ha ereditato da parte di madre, che spesso
si chiudeva in camera da letto per la cefalea e non tollerava il minimo rumore. Un tempo
variabile fa si che anche il suo cervello cambi continuamente opinione: se, a causa di una forte
libecciata, il mare arriva fin sotto la verandina della sua casa, lui, che si sente in pace con sé
stesso solo quando può arrostirsi al sole, diventa "nivuro come l'inca"; se invece è una mattina
tersa e chiara, si sente disponibile a ogni situazione e a ogni incontro. L'umore nivuro comunque
lo accompagna spesso. E' nervoso quando deve viaggiare in uno scompartimento a due letti, il
che per lui significa una nottata intera da passare con uno sconosciuto in uno spazio più
soffocante di una cella di isolamento ( Un mese con Montalbano). E' nervoso quando fatica a
veder chiaro in un'inchiesta e allora si mette a "tambasiare" a casa sua; girella cioè di stanza in
stanza senza uno scopo preciso, occupandosi di cose di scarsa importanza., come riordinare la
scrivania o pulire i fornelli del gas; gli capita persino di non avere appetito e di non aprire
neppure il frigorifero per vedere quello che Adelina gli ha preparato (La forma dell'acqua).
Oppure si vuole "accuttufare", che significa tanto essere preso a legnate quanto allontanarsi dal
consorzio civile; in certi momenti per Montalbano sono validi tutti e due i significati. E' nervoso
quando dal commissariato arriva una telefonata che lo sveglia, notte o giorno che sia; allora si
alza "santiando" e guida verso Vigata dicendo parolacce a tutti gli automobilisti che incrocia "i
quali, a suo parere, col codice della strada, per un verso o per l'altro, usavano puliziarsene il
culo". Però (Il ladro di merendine) quando si sveglia alle quattro del mattino per cercare un libro
che può aiutarlo nell'indagine e ricorda di averlo prestato a Mimì, non si fa scrupolo di
telefonargli, svegliarlo e obbligarlo a riportarglielo immediatamente. Quando è nervoso, i suoi
uomini preferiscono tenersi alla larga; solo Fazio ha il coraggio di avvicinarlo. Per calmarsi a
volte si siede sulla verandina di casa sua, che dà sulla spiaggia, e, guardando il mare si fuma tre
sigarette di fila Oppure se è in ufficio e non ce la fa più a restarsene lì seduto, passa a comperare
il solito grosso sacchetto di "calìa e simenza", che sgranocchia avviandosi verso il molo. Durante
un interrogatorio (Il cane di terracotta), per dominare l'impulso di spaccare la faccia con un
pugno all'interrogato, fissa la penna a sfera che tiene in mano, si concentra sul cappuccio,
l'estrae, lo esamina dentro e fuori come se non l'avesse mai visto prima, soffia nella parte interna
del cappuccio per pulirlo da un invisibile granello di polvere, lo guarda di nuovo, non soddisfatto
vi soffia ancora, lo posa sulla scrivania, svita la punta di metallo, ci pensa su un po', la sistema a
lato del cappuccio, esamina la parte centrale che gli è rimasta in mano, l'allinea vicino agli altri
due pezzi, sospira profondamente. Possiede una buona cultura umanistica Spesso luoghi o
situazioni gli suggeriscono ricordi letterari. Coltiva raffinate letture. Possiede il Faust e
presumibilmente l'ha letto, nella versione di Manacorda. Ha letto Proust, Musil, Melville,
Simenon. Conosce il poeta inglese Dylan Thomas e cita Saba. Ha letto "Storia della morte in
Occidente" di Ariès. Tra i siciliani gli piacciono Consolo e Bufalino, ma detesta leggere libri che
parlano di mafia. Conosce i dipinti di Peter Bruegel e di Hieronymus Bosch. I suoi passatempi
preferiti sono due: mangiare e nuotare. Adora mangiare se è cucinato bene, seppur con
semplicità. In casa si affida "alla fantasia culinaria ma gustosamente popolare" di Adelina, la
vecchia domestica; quando apre il frigo o il forno, è trepidante e cerca il pasto che Adelina gli ha
preparato come fosse una sorpresa. Spesso va in trattoria, all'osteria San Calogero, dove lo
rispettano, non tanto perché è il commissario, quanto perché è un buon cliente, un intenditore
della buona cucina. Gli piace mangiare da solo o, se in compagnia, in perfetto silenzio. In "La
voce del violino" per evitare che gli squilli del telefono gli turbino la serenità indispensabile per
preparare gli spaghetti con la salsa corallina di Adelina, stacca la spina. In "Il ladro di
merendine" porta alla bocca il primo boccone, ma non lo ingoia subito; lascia che "il gusto si
diffonda dolcemente e uniformemente su lingua e palato, che lingua e palato si rendano
pienamente conto del dono che viene loro offerto". Nello stesso romanzo, per sottrarsi a un
pranzo mal cucinato, si inventa un impegno urgente e subito dopo si ferma a una trattoria in riva
al mare. Nuotare è un esercizio che lo rigenera in qualsiasi circostanza, sia quando è stanco dopo
una nottata di veglia, sia quando ha dormito troppo; se ha un caso che non riesce a risolvere, una
nuotata gli schiarisce le idee. Non importa se l'acqua è gelida, comunque una nuotata "lo rimette
in vita". E' incapace di mentire alle persone che stima e che considera oneste, mentre davanti ai
delinquenti o a gente che non rispetta sa inventarsi le fandonie più inverosimili. E infatti al
commissario Sciacchitano, che non ha mostrato considerazione per i suoi uomini, Montalbano
mente senza pudore, inventandosi che il questore ha scritto al ministro per lamentare i metodi da
lui usati (Il cane di terracotta). E sa anche ricattare: perché è ricatto quello che perpetra ai danni
del suocero di Ingrid (Il cane di terracotta), che abusa della nuora, facendogli recapitare
fotografie particolari e minacciandolo di spedirle ai giornali. E' vendicativo; quando gli viene
ingiustamente tolto un incarico, si vendica, cercando di creare problemi a chi l'ha sostituito;
giustificabile dal punto di vista professionale, in quanto lui avrebbe condotta meglio l'inchiesta,
molto meno dal punto di vista umano. Sa di possedere il sangue di sbirro, quell'istinto della
caccia che lo porta a non dormire se c'è qualcosa che non gli quadra; in tali circostanze qualsiasi
cosa faccia, leggere un libro o guardare il mare, non riesce a concentrarsi, continua a pensare a
che cosa non quadra. In "La voce del violino" la vista della Twingo e della villetta con le finestre
chiuse lo mettono a disagio; così, spinto da un'intuizione che non lo lascia dormire, commette
una grave infrazione, forzando l'entrata della villetta e scopre un delitto. Nello stesso romanzo,
intuendo che c'è qualcosa che non quadra ma non riuscendo a capire che cosa è, va a camminare
sulla battigia, con l'acqua che ogni tanto gli bagna i piedi; il "rumore cullante della risacca l'aiuta
a disporre in ordine i suoi pensieri" finchè capisce cosa lo sta angustiando. Non risolve i casi
secondo processi razionali, alla Van Dyne o alla Sherlock Holmes; la scoperta della verità gli
arriva come una rivelazione, "un flash accecante che gli esplode nel cervello". Montalbano vive
fisicamente questi momenti: "gli parse di essere diventato un personaggio dei fumetti che aveva
il potere degli occhi a raggi x, che riuscivano persino a vedere dentro alle cose." (La forma
dell'acqua). Oppure un'intuizione improvvisa lo sveglia, come un lampo che lo obbliga ad aprire
gli occhi (La voce del violino). Quando la rivelazione arriva, interrompe quello che sta facendo,
qualsiasi cosa sia, ad esempio esce dal bagno con i pantaloni sbottonati (La voce del violino). In
"Un mese con Montalbano", gli sembra di vedere un lampo accecante, come se un fotografo
avesse fatto esplodere un flash, si sente di colpo le gambe di ricotta, si deve sedere. Due questori
si avvicendano nella storia di Montalbano a Vigata. Il primo è il questore Burlado, che è persona
anziana e Montalbano lo considera amico. Nel 1996 (Il ladro di merendine) Burlado ottiene il
collocamento a riposo e viene sostituito (La voce del violino) da Luca Bonetti-Alderighi, "un
giovane e scattante bergamasco che era riuscito, in un mese, a crearsi ovunque antipatie da
coltello" e che andava sempre a cercare il pelo nell'uovo. A Montalbano non è simpatico; lo si
capisce da come lo vede fisicamente: "contemplò l'inquietante capigliatura del suo superiore,
abbondantissima e con un grosso ciuffo in alto, ritorto come certi stronzi lasciati campagna
campagna.". Anche il questore gli confessa, con estrema sincerità, di non avere un'alta stima di
lui. I suoi uomini invece sanno leggere al di là dei suoi scatti d'ira, lo rispettano e gli sono
affezionati. Sono difficili solo i rapporti con il suo vice, Mimì Augello, che stima ma considera
anche un rivale, tanto da tenerlo all'oscuro delle indagini (Il cane di terracotta). Montalbano
giustifica il suo atteggiamento dicendo che col tempo si è accorto di essere un cacciatore
solitario, "perchè mi piace cacciare con gli altri ma voglio essere solo a organizzare la caccia". In
"Il ladro di merendine", pur sapendo che non è vero, accusa Mimì di volergli fare le scarpe e
questi si difende rispondendogli che, se avesse voluto, in quattro anni che lavoravano insieme, a
quest'ora Montalbano sarebbe a dirigere il più sperduto commissariato della Sardegna; perchè
Montalbano, è un colabrodo che perde acqua da tutte le parti e lui, Mimì, non fa altro che
tappargli quanti più buchi può. E Montalbano è costretto a riconoscere tra di sé che il suo vice ha
ragione. A suscitare le ire e la gelosia del nostro commissario c'è anche il fatto che Mimì prova
simpatia per la sua donna, Livia, e ne è ricambiato. Mimì è comunque un grande amico sia per
Salvo che per Livia e sta molto vicino ad entrambi in un momento importante della loro vita,
quello relativo alla mancata adozione di François ; dimostrando di conoscere molto bene
Montalbano, gli dice che è meglio che le cose siano andate così, perchè lui, Salvo, non è portato
a fare il padre. Questo comunque non cancella in Montalbano la rivalità che prova sia nella
professione che in amore per Mimì. Montalbano è molto sensibile al fascino femminile fino a
provare un senso di vertigine al sentire "odore di fimmina e di letto"(Un mese con Montalbano).
L'ispettrice Anna Ferrara gli fa il filo; è figlia di un suo compagno di scuola che si era sposato
giovane, una ragazza gradevole e spiritosa, ma che a Montalbano proprio non interessa, anche se
a lei ricorre per informazioni e la "usa", professionalmente parlando, confidando sul debole di
lei. Conosce in "La forma dell'acqua" Ingrid Sjostrom, moglie svedese del figlio del professor
Cardamone, un galantuomo con una sola pecca, quella di andare a letto con la nuora. La donna,
che in Svezia faceva il meccanico, diventa amica e collaboratrice di Montalbano. In "La voce del
violino" conosce poi Anna Tropeano, durante l'indagine, e tra i due nasce naturale un'attrazione e
una confidenza particolare. Quando passa davanti alla sua casa, è più forte di lui, accosta, frena,
scende. Una sera fa una strada più lunga per evitare di passare davanti alla casa, sicuro che
altrimenti si sarebbe fermato. Una seconda vota sente il desiderio di stare un po' con Anna, ma
decide di non fermarsi. E' quindi un fedele per natura, fedele a Livia, la sua donna, che risiede a
Boccadasse in Liguria. Non sa come definirla di fronte agli altri; fidanzata, gli sembra termine
dell''800, ragazza, non è il caso per via dell'età; è il questore Burlado a suggerirgli il termine
"donna". E' un rapporto consolidato dal tempo, ma comunque difficile. Quando è lontana,
Montalbano la desidera, ma quando lei è vicina, la avverte come una presenza ingombrante, che
gli toglie la possibilità di vivere a suo modo e gli sconvolge le abitudini, anche culinarie. Eppure
a lei è legato. Prima di addormentarsi la pensa, nel sonno, "come presenza propiziatrice a ogni
viaggio"; a volte la sogna e il mattino le viene voglia di telefonarle, ma non le dice di averla
sognata, trattenuto da un assurdo pudore. Tiene sul davanzale della finestra in ufficio una pianta
grassa che lei gli ha regalato e alla quale presta molte cure; con lei si sente libero di "cantare la
messa intera e solenne" (La forma dell'acqua). Tra i tanti legami che ha con Livia c'è anche il
fatto che, quando mangia, Livia non apre bocca. Montalbano resta comunque un solitario, un
uomo che basta a sé stesso; qualche giornata ogni tanto da passare con la propria donna è per lui
la soluzione ottimale. Durante i tre giorni trascorsi da lei, a Boccadasse, dimentica quasi del tutto
la Sicilia, salvo qualche cedimento che lo prende a tradimento, quando sente qualche odore o la
parlata della sua terra (La forma dell'acqua). Ma troppo spesso si "dimentica" di lei. Le dice di
chiamarlo a mezzanotte precisa, promettendole il tempo per parlare a lungo, ma se ne dimentica,
prende un impegno di lavoro e, quando lei telefona, la liquida con poche, seppur cordiali parole;
ne prova "una punta di rimorso", ma proprio una punta (Il cane di terracotta). Così pure non è
affatto entusiasta che Livia abbia prenotato una vacanza insieme a lui (Il cane di terracotta).
Essendo nervoso pensa che forse la voce di Livia l'avrebbe calmato e le telefona, ma quando lei
si offre di raggiungerlo, si terrorizza e pensa "Ci manca solo Livia" e gli secca perfino dover
rinunciare per lei alla pasta al nero di seppia (Il ladro di merendine). In realtà poi la presenza di
Livia gli si rivelerà utile. Dimentica comunque che sarebbe arrivata all'ora di pranzo e, alle tre,
mentre sta seduto alla trattoria San Calogero, si precipita al telefono, immaginandosela furibona
Scopre che in realtà l'aereo ha avuto un ritardo e Livia è appena arrivata a Marinella; si inventa
così una preoccupazione che non ha mai provato, le dice di aver telefonato a casa ogni quarto
d'ora e infine di aver chiamato Punta Raisi nel sonno; si inventa anche un impegno in quel
preciso momento, impegno che gli proibisce di raggiungerla, e torna a sedersi al tavolo dove
l'aspetta "una mezza chilata di triglie fritte croccanti". Durante questo soggiorno a Vigata Livia
conosce François, un bimbetto tunisino rimasto orfano. Si affeziona molto al piccolo e
Montalbano, quando li vede dormire abbracciati, diventa cupo come per "un oscuro
presentimento". Solo a tavola la bontà del cibo gli impedisce di arrabbiarsi, mentre assiste al
parlottare dei due "chiusi in una invisibile complicità," dalla quale lui è completamente escluso.
Così pure si impietrisce quando sente che Livia non vuole far all'amore per non svegliare il
bambino: "quest'altro aspetto delle gioie familiari non l'aveva calcolato". L'esperienza che sta
vivendo con Livia e François gli sembra infatti "un assaggio, un anticipo dei quieti, familiari,
domenicali pomeriggi che l'attendevano……con un bambino che, svegliandosi, l'avrebbe
chiamato papà invitandolo a giocare con lui". Si lascia prendere da una "botta di panico" e
l'istinto che prova è quello di scapparsene da quella casa che "preparava agguati famigliari".
Dopo la partenza di Livia ripensa razionalmente a quanto ha vissuto e finisce col proporle, in una
lettera, di preparare le carte per il matrimonio, che avrebbe anche accellerato la pratica per
l'adozione di François. In "La voce del violino" 1997 sono nate delle difficoltà al proposito
perché i documenti per l'adozione di François non sono ancora pronti. Livia gli domanda,
telefonicamente, se la sua proposta di matrimonio resta ugualmente valida e lui approfitta di un
tuono fortissimo per prendere tempo e fingere che la comunicazione sia andata via. Livia non gli
pone più quella domanda e sembra più che altro interessata a non perdere François. Soffre molto
quando constata che il bambino preferisce stare dov'è (la scena è un po' melodrammatica) e
Montalbano si commuove al vederla così fragile e minuta. Il loro rapporto in questa circostanza
si incrina; Livia pensa che a Montalbano non importi nulla avere perduto il bambino,
Montalbano si risente che Livia veda solo la sua disperazione e non consideri che, al di là di
tutto, loro due sono sempre una coppia. Ha a sua volta un comportamento irrazionale: ingoia due
pastiglie di sonnifero, si scola un bicchiere di whisky e si getta sul letto. Alla fine c'è comunque
un riavvicinamento e Montalbano promette un viaggio a Boccadasse. In "Il ladro di merendine"
viene nominato per la prima volta il padre di Montalbano in quanto il nostro commissario viene
avvertito che il padre sta morendo di cancro. Scopriamo così, dopo due anni di romanzi che
hanno come protagonista Montalbano, che questi è rimasto orfano di madre da bambino ed è
stato allevato dal padre che era stato sempre un genitore "sollecito e affettuoso". Aveva
addirittura aspettato per risposarsi che il figlio si laureasse e trovasse lavoro. Ciononostante
qualcosa non aveva funzionato tra i due, c'era stata una quasi totale mancanza di comunicazione
e non erano mai riusciti ad esprimere vicendevolmente i reciproci sentimenti. Quando il padre
poi si era risposato, Montalbano ne era rimasto offeso. I loro incontri si erano diradati sempre più
e lui non sapeva neppure che il padre era malato. Veniamo però a sapere che, quando
Montalbano era rimasto ferito ed era stato ricoverato, il padre aveva telefonato tutti i giorni ed
era andato a trovarlo una volta; doveva essere già malato ma non gli aveva detto niente. Alla
notizia dell'imminente morte del padre Montalbano passa dalla vendita di "calìa e simenza" e
comincia la sua camminata sul molo, ma non apre il cartoccio perché c'è un groppo che gli
chiude la gola. Quando nella confusione dei pensieri riesce a coagularne uno, quello della morte
che avanza un poco tutti i giorni, riesce a sciogliere il nodo in un pianto liberatorio. Decide di
non andare a trovare il padre, e questo per tre motivi; vedendolo, il padre, avrebbe capito la
gravità del suo male e sarebbe stato peggio; non sapeva quanto suo padre avrebbe gradito la sua
presenza; a Montalbano i moribondi facevano paura, orrore, probabilmente sarebbe scappato via.
Già in "La forma dell'acqua" sostiene che in ogni morte, anche quella di un Papa, non riesce a
trovare niente di sacro. Confessa questa sua mancanza di coraggio a un anziano professore;
questi gli ricorda come, una volta, Montalbano abbia abbandonato un'indagine su un traffico
d'armi per occuparsi di un delitto avvenuto cinquant'anni prima e gli spiega questa scelta come
un tentativo di continuare "a fare il suo non piacevole mestiere scappando però alla realtà di tutti
i giorni", che evidentemente gli pesa troppo. Così, la morte del padre è un fatto reale che
Montalbano si rifiuta di avvallare constatandolo di persona. E' l'atteggiamento infantile di chi
chiude gli occhi per non vedere qualcosa di spiacevole. Quando trova il coraggio per andare a
trovare il padre, è troppo tardi perché il padre è morto da due ore e Montalbano ringrazia il
destino che non l'ha obbligato a sostenere una prova per lui così difficile. In "La voce del
violino", quando offre il vino, che faceva il padre, dice prima "fa" e solo in un secondo tempo
"faceva": non ha ancora preso consapevolezza o accettato la morte del padre. Eppure questo suo
atteggiamento risulta contraddittorio se si ha presente che nell'indagine de "Il ladro di
merendine" Montalbano ha modo di incontrare un pediatra, cui il padre, sentendosi in pericolo,
aveva domandato aiuto, ma che non era intervenuto perché al momento doveva partire;
Montalbano lo giudica assai severamente e arriva ad augurargli di non aver mai bisogno di suo
figlio, perché, se buon sangue non mente, "sarebbe fottuto". Non si comporta poi anche lui nello
stesso modo? Se vogliamo definire in poche righe il commissario Salvo Montalbano possiamo
dire semplicemente che è un uomo intelligente e volitivo, con molte qualità e qualche
umanissimo difetto. E soprattutto è un uomo con tutte le caratteristiche tipicamente maschili;
nella sfera professionale è generoso e si dà senza risparmiarsi; nella sfera privata è attento ad
assaporare tutto ciò che la vita di bello gli può offrire e molto impegnato a sfuggire i problemi e
le responsabilità personali che glielo possono impedire. Non è forse questa una caratteristica
molto comune nel sesso maschile? Nei romanzi-partiture di Andrea Camilleri i righi musicali
sono tanti e altrettanti i temi-personaggi. Ad esempio il surreale ma non troppo centralinista del
commissariato di Vigata, Catarella, che ha un suo musicale Leitmotiv corredato di vari segnali,
anch’essi ricorrenti, quali «Dottori! Dottori!» oppure «Signore e Questore». Il motivo
conduttore-capo è l’immancabile e inarrivabile “pirsonalmente di persona” vero e proprio
ritornello da Rondò brillante di Paganini: «La campanella» ad esempio. Su versanti opposti, altro
pentagramma, nei libri che hanno per protagonista il Commissario Montalbano, è quello che
echeggia e canta, sommessa, una Sicilia fatta di «ricordi e risonanze, pensieri e fantasie», per
dirla con Hesse. La Sicilia del cuore e della memoria; un paese sospeso nel tempo anzi senza
tempo e senza età, con le sue piazze quasi deserte, gli spazi ampi attraversati da una luce
inimitabile che si fa cantilena modulatissima quanto scabra: «una Sicilia sparita, dura e aspra,
una riarsa distesa giallo-paglia interrotta di tanto in tanto dai dadi bianchi delle casuzze dei
contadini» (Guardie e ladri in Un mese con Montalbano; Mondadori).
Ancora Un mese con Montalbano: Tocco d’artista. «Lo squillo del telefono non era lo squillo del
telefono, ma la rumorata del tràpano di un dentista impazzito che aveva deciso di fargli un
pirtùso nel cervello».
1. http://www.lavalledeitempli.it/Camilleri_luoghi.htm
2, http://it.wikipedia.org/wiki/Commissario_Montalbano
3. http://www.bed-and-breakfast.it/commissario_montalbano.cfm
4. http://www.bed-and-breakfast.it/commissario_montalbano.cfm
5. http://www.vigata.org/montalbano/montalbano.shtml
Il dialetto nei romanzi di Andrea Camilleri Nei lavori di critica letteraria italiana, il dialetto come
una varieta` usata assieme a altre varieta` linguistiche (italiano letterario, neostandard, pastiche,
ecc.) nella stessa opera non ha finora ricevuto l'interesse che si merita (si veda la Premessa in
Anceschi 1996).
Abbondano, e` vero, lavori critici che esaminano autori singoli e il loro rapporto artistico con il
dialetto. E` altrettanto vero che gli studiosi di dialettologia italiana non hanno ancora portato il
loro sguardo all'uso letterario del dialetto in concomitanza con altre varieta` della lingua.
Sembra allora che il dialetto, usato in letteratura insieme ad altre varieta` linguistiche, sia
un'orfana accademica. In questa relazione si vuole costruire il ponte tra la critica letteraria e la
dialettologia esaminando e distruggendo alcuni luoghi comuni ripetuti che banalizzano l'uso del
dialetto sfruttato soprattutto nella produzione letteraria prosastica contemporanea. Per
raggiungere questo scopo, e per tenere il discorso concreto, verra` analizzato l'uso del dialetto
siciliano nei romanzi polizieschi di Andrea Camilleri.
Prima di analizzare la convivenza del dialetto con l'italiano in questi romanzi e` d'obbligo
menzionare che le fonti attendibili che si occupano di questo scrittore sono poche. La mancanza
di analisi disinteressate la dice molto di piu` sulla cultura imperante italiana che non sull'autore,
sempre che non siamo incappati qui in una sorta di errore di deformazione prospettica (le parole
sono di Telmon 1993:100) che si teme comune per chi guarda l'uso dell'italiano, e dunque l'Italia
intera dal di fuori. Ci porterebbe lontano dal nostro scopo e sarebbe troppo lungo in questa sede
occuparsi del caso Camilleri (o, come si preferisce chiamarlo nel sito della Mondadori il
fenomeno Camilleri), un esempio di uno scrittore che gode di svariatissime centinaia di migliaia
lettori (stimato ora a due milioni: Malatesta), snobbato (o quasi) allo stesso momento
dall'egemonia imperante dei critici letterari di grido. La visione elitaria degli operatori culturali
italiani regna suprema nel considerare chiunque venda molte copie dei propri lavori un autore
solo popolare, di poca profondita` contenutistica e di poca innovativita` dell'espressione. Scrive
Roberto Cotroneo:<< ...i motivi del successo di Camilleri non vanno ricercati nel suo valore
letterario - spesso troppo altalenante e troppo di genere per dare una valutazione - ma nel suo non
essere letterato, nel suo modo di rassicurare il pubblico: con libri brevi, che della letteratura
prendono il meno possibile, e della vita il piu` possibile...>>.
Lingua di Camilleri
Le varieta` linguistiche usate da Camilleri sono almeno cinque, ognuna con una funzione precisa:
1. Dialetto siciliano locale
Il dialetto siciliano locale che ricalca quello di Porto Empedocle, usato
A. nel discorso diretto di vari personaggi, per es., donne del popolo (nel cane di terracotta:
Adelina; Mariannina, la sorella di Gege`), i mafiosi (ne Il cane di terracotta: Gege` 173;
Tano 'u grecu; o altri malviventi Giugiu`), dai coniugi siciliani, per es.:
i. Perche non ti sei fatta viva in questi giorni? Ca pirchi`! Ca pirchi` a la signurina
non ci piaci di vidirimi casa casa quannu ce` iddra. (Il cane di terracotta, p. 234).
ii. Madunuzza beddra! Pazzo nisci`! Losso du coddru si ruppe! (Il cane di terracotta,
p. 235).
iii. Vedi se sono astutati tutti e due, accussi` ce ne andiamo. (Il cane di terracotta, p.
174).
iv. Peju de li delinquenti! Peju de li assassini ci hanno trattato quei figli di lorda
buttana! E chi si credono dessiri? Strunzi!...Cosi di pazzi! Cosi di pazzi!. (Il cane
di terracotta, p. 49)
v. v. Ciccino, ma cu e` a chistura?. (Il cane, 112)
A. nelle formule magiche, proverbi:
Rapriti pipiti e chiuditi popiti (Il cane, p. 92)
Futtiri addritta e caminari na rina / portanu l'omu a la ruvina (Il cane, 143)
B. elenchi sinonimici (che, a proposito, ricordano quelle del maestro di questa trovata
stilistica, il napoletano Giambattista Basile), per es.:
vignarole, attuppateddri, vavaluci, scataddrizzi, crastuna (Il cane 129)
nirbusi, sconoscenti, sciarreri (Il cane 138)
arrinanzato, parvenu, semianalfabeta, mezza calzetta (Il cane 152)
aggrugnato, trubbolo (Il cane 158)
una sisiata, una pigliata pi fissa, un tiatro (Il cane 173)
E` stato detto che il dialetto e` un'alternativa all'italiano per chi si accinge alla produzione
letteraria (Corti in Beccaria 1975: 117).
Potrebbe darsi che questa affermazione appartenesse a chi scrive solo in dialetto. Non e` invece
per niente vera per chi usa il dialetto come una delle tante varieta`. E` emblematico l'esempio di
Gadda, il cui Pasticciaccio non avrebbe sicuramente quell'impatto stilistico e contenutistico che
ha senza l'apporto dialettale. Il dialetto, come lo intendono e usano i romanzieri moderni e
contemporanei, non e` un'alternativa all'italiano, se non altro per le circostanze sociolinguistiche
reali di un'Italia sempre meno diglottica.
2. Varieta` mista
Il dialetto siciliano che e` intimamente integrato nel discorso in italiano:
A. quando l'autore esprime gli stati d'animo o le azioni del commissario Montalbano, per es.:
i. [Montalbano] Dei morti se ne fotteva altamente, poteva dormirci 'nzemmula,
fingere di spartirci il pane o di giocarci a tressette e briscola, non gli facevano
nessuna impressione, ma quelli che stavano per morire invece gli provocavano la
sudarella, le mani principiavano a tremargli, si sentiva agghiacciare tutto, un
pirtuso gli si scavava dintra lo stomaco. (Il cane di terracotta, p. 75)
ii. Se ne stava li`, come affatato, a talia`re la scena, scantato che un suo minimo
gesto potesse svegliare dal sogno che stava vivendo (Il cane, p. 121)
iii. Riattacco` e esplose in un nitrito, altissimo, di gioia. Subito, nella cucina, si
senti` un rumore di vetri infranti: per lo spavento, ad Adelina doveva essere
caduto qualcosa di mano. Piglio` la rincorsa, sato` dalla veranda sulla rena, fece
un primo cazzicatummolo, poi una ruota, un secondo capitombolo, una seconda
ruota. Il terzo cazzicatummolo non gli arrinisci` e crollo` senza sciato sulla sabbia.
Adelina si precipito` verso di lui dalla veranda facendo voci...
(Il cane di terracotta, p. 235; v. anche 224, 240)
Il modo d'integrazione non e` certamente quello che si sente oggi in Sicilia, in altre parole
Camilleri non fa usare ai personaggi italiano regionale di Sicilia (Leone). L'italianizzazione
avviene chiaramente usando morfemi italiani attaccati alle basi siciliane, ma queste basi sono
quelle che l'autore sceglie, non quelle che uno si aspetterebbe in un discorso mistilingue.
Spesso, il termine dialettale non e` adattato all'italiano se si tratta di sostantivi femminili:
sabbia vagnata 174
rumorata 174
ca`mmara 9
rena sabbia 122
Nei sostantivi maschili, la -u finale del siciliano diventa -o:
il paro e il disparo 15; cinco 15
a meno che si tratti di nomignoli:
Tano u grecu 19
I termini dialettali si riferiscono alle pietanze regionali siciliane, per es.:
mostazzolo di vino cotto 18
pasta fredda con pomodoro, vasalico` e passaluna,
olive nere 41
pasta ncasciata 120
tinnirume 150
petrafe`rnula 155
Modi di dire o espressioni:
(sospetto di ) sconcica, di presa in giro 19
magari io 20
gli saltava il firticchio 25 [Vocabolario siciliano:
acchianarici u
furticchiu: andare in bestia]
capace che... 28
cinquantino
portargli adenzia 30 dargli adenzia 41
attaccare turilla 45, 86
pigliato dai turchi 69
rompere i cabasisi 99
notte funnuta 101
avere gana di Il cane 137
alla sanfaso` 137
si tiro` il paro e lo sparo 46
si fece papale papale 251
non era cosa 17
schina 35
magari 41
vasanno` 62
che fu 112
sintassi:
Io una tomba sono. 47
una poco di interrogativi 125
B. nel discorso diretto di vari personaggi (mafiosi, rappresentanti delle forze dell'ordine):
i. Eh no, duttureddru, non e` la stessa cosa, mi meraviglio di lei che sapi leggiri e scriviri, le
parole non sono uguali. Io mi faccio arrestare, non mi costituisco. Si pigliassi la
giacchetta che ne parliamo dintra, io intanto rapro la porta. (Il cane di terracotta, p. 20)
ii. (Lei non ci crede che io sono malato?.) Ci credo. Ma la minchiata che lei vuole farmi
ammuccare e` che per essere curato lei ha necessita` di farsi arrestare.... (Il cane di
terracotta, p. 22)( 6)
6. http://www.vigata.org/dialetto_camilleri/dialetto_camilleri.shtml