Camilleri 1

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Introduzzione su Camilleri e Montalbano Le storie di Andrea Camilleri sono ambientate tra Vigata e Montelusa, luoghi immaginari che non si trovano sulla carta geografica ma che geograficamente si collocano nel territorio compreso tra la collina di Girgenti e il mare africano. Lo stesso scrittore li ha definiti luoghi semifantastici che "esistono come struttura toponomastica di base" per tenere in qualche modo sotto controllo i personaggi ma i cui confini sono a geometria variabile per soddisfare al meglio le esigenze della narrazione. Luoghi che esistono veramente - Porto Empedocle - Vigata con le sue strade, fabbriche in disuso, la Mannara, il faro, lo scoglio piatto, la Salita Granet, la spiaggia di Marinella, il molo di levante, il commissariato di via Lincoln, il Monte Crasto, il Ristorante San Calogero e la Trattoria da Enzo, le colline di bianca marna e Girgenti - Montelusa con la questura, il quartiere Rabato- ma che si allargano e dilatano fino a inglobare vicende e fatti di altri paesi siciliani e quindi finiscono col diventare paragdimatici della Sicilia stessa. In questo senso Vigàta può essere definito come il "centro più inventato della Sicilia più tipica". In questo territorio letterario e universale, ma geograficamente cartterizzato, facilmente riconoscibile, si muovono agevolmente i personaggi storici e moderni di Camilleri (Zosimo "re di Girgenti", Montalbano, Catarella, Mimì Augello) e diventano reali e plausibili le storie più fantastiche e paradossali (1)

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Introduzzione su Camilleri e Montalbano

Le storie di Andrea Camilleri sono ambientate tra Vigata e Montelusa, luoghi immaginari

che non si trovano sulla carta geografica ma che geograficamente si collocano nel territorio

compreso tra la collina di Girgenti e il mare africano. Lo stesso scrittore li ha definiti luoghi

semifantastici che "esistono come struttura toponomastica di base" per tenere in qualche modo

sotto controllo i personaggi ma i cui confini sono a geometria variabile per soddisfare al meglio

le esigenze della narrazione. Luoghi che esistono veramente - Porto Empedocle - Vigata con le

sue strade, fabbriche in disuso, la Mannara, il faro, lo scoglio piatto, la Salita Granet, la spiaggia

di Marinella, il molo di levante, il commissariato di via Lincoln, il Monte Crasto, il Ristorante

San Calogero e la Trattoria da Enzo, le colline di bianca marna e Girgenti - Montelusa con la

questura, il quartiere Rabato- ma che si allargano e dilatano fino a inglobare vicende e fatti di

altri paesi siciliani e quindi finiscono col diventare paragdimatici della Sicilia stessa. In questo

senso Vigàta può essere definito come il "centro più inventato della Sicilia più tipica".

In questo territorio letterario e universale, ma geograficamente cartterizzato, facilmente

riconoscibile, si muovono agevolmente i personaggi storici e moderni di Camilleri (Zosimo "re

di Girgenti", Montalbano, Catarella, Mimì Augello) e diventano reali e plausibili le storie più

fantastiche e paradossali (1)

Per quanto riguarda i luoghi, il passaggio alla fiction ha decretato l’imporsi sulla scena di

paesaggi, abitazioni, scorci della provincia di Ragusa che è stata preferita alla provincia di

Agrigento, una scelta che, tutt’oggi a quasi dieci anni della messa in onda del Commissario

Montalbano, suscita polemiche e rivendicazioni da parte degli abitanti dell’agrigentino che

hanno capito di essersi sicuramente persi qualcosa di importante dal punto di vista del ritorno

turistico.

La scelta della provincia di Ragusa come sede della location non era scontata fin

dall’inizio ma è stata fatta in seguito a numerosi sopralluoghi dopo aver escluso proprio Porto

Empedocle per povertà scenografica, problema che ha riguardato tutta l’area dell’agrigentino.

Siamo di fronte ad un caso di doppia identità dei luoghi sulla quale Camilleri afferma che lui la

buona parola per svolgere gli episodi a Porto Empedocle ce l’aveva messa: “Però, se

tecnicamente le bellezze paesaggistiche di questo luogo sono state sporcate da costruzioni,

antenne parabole e quant’altro, che ci posso fare?”.(2)

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Il Commissariato di Vigata è il Municipio della città, un edificio dei primi del ‘900 in

stile neorinascimentale. Teatro di molti dialoghi del Commissario Montalbano è stata Via

Francesco Mormina Penna, tra le più belle vie del tardobarocco italiano, ricca di chiese e di

palazzi, sintesi tra linguaggi alti e popolari e che ha ricevuto il riconoscimento, da parte

dell’UNESCO, di Patrimonio dell’Umanità. (3)

La Questura di Montelusa è invece a Ragusa Ibla e precisamente in Piazza Pola mentre in

Piazza Duomo, con la Chiesa di San Giorgio che svetta alle loro spalle Salvo Motalbano e i suoi

assistenti prendono il caffè in assolate mattine estive. (4)

Montalbano (5)

Camilleri non ci dà mai una descrizione fisica del suo commissario, salvo dirci in "La

voce del violino", 1997, che ha quasi 46 anni. Se leggiamo con attenzione i libri che lo hanno

come protagonista possiamo però conoscere questo personaggio molto più da vicino di quanto

non sembri a prima vista. Salvo Montalbano era uno scolaro "murritiusu", che studiava poco e

sedeva sempre nell'ultimo banco. Rimase orfano di madre da piccolo; l'unico ricordo che ha della

madre è la luce dorata riflessa dai capelli di lei. Un giorno il padre lo portò nella casa di una sua

sorella senza spiegargli che la nonna stava morendo e la madre si era gravemente ammalata;

quando tornò a riprenderselo, vestito a lutto, lui si rifiutò di seguirlo. In " Il ladro di merendine"

conosce Clementina Vasile Cozzo, una settantenne su seggiola a rotelle, ex maestra elementare,

intelligente e signorile, con la quale entra subito in sintonia, tanto che prende l'abitudine di

andarla a trovare una volta la settimana, raccontandole dell'inchiesta che ha per le mani. Tra loro

nasce un sentimento filiale; questa donna anziana rappresenta la madre che avrebbe voluto

scegliersi. Altre notizie sull'infanzia e giovinezza del nostro non ne abbiamo. Sappiamo però che

anche lui, prima di diventare commissario capo di Vigata fece la sua gavetta; a 32 anni era

vicecomissario e a ogni cambio di stagione lo trasferivano da un paese all'altro per sostituire

qualcuno o per colmare un buco. E' un uomo molto tradizionalista sotto certi aspetti, ma

estremamente progressista per tutto il resto. E infatti ama le tradizioni : pensa con nostalgia alla

trepidazione di quando era piccolo e la mattina del due novembre si alzava la mattina presto per

cercare il canestro di vimini nel quale durante la notte i morti avevano deposto i loro regali; la

festa è oramai andata perduta e sostituita "dalla banalità dei doni sotto l'albero di Natale". D'altra

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parte non regge i rituali delle feste natalizie ed è convinto che una notte di capodanno passata in

un albergo con decine e decine di sconosciuti, a fingere allegria durante il cenone e il ballo, gli

provocherebbe la febbre. Non sopporta tutto ciò che è burocrazia, per cui gli riesce difficile in

caso di delitto accettare di perdere tempo in attesa del giudice, del medico legale, della

Scientifica, che sono capaci di metterci ore prima di arrivare sul posto. Così pure durante le

conferenze stampe si trova a disagio, si agita, diventa rosso, suda, non riesce a star fermo, si

esprime balbettando "con gli occhi sbarrati e le pupille che ballavano 'mbriache" (Il cane di

terracotta). In "Il ladro di medendine" veniamo a sapere che non crede nel soprannaturale. Non lo

si dice mai chiaramente ma si intuisce che è di idee politiche di sinistra; è amico del giornalista

di Retelibera, Nicolò Zito, "rosso di pelo e di idee" e, quando alcuni operai del Cementificio

vengono mandati in cassa integrazione e scoppia una rivolta, lui non se ne vuole immischiare,

sostenendo che quelli che "restano col culo per aria sono gli operai"; e non gli pare giusto

prenderli anche a manganellate (La voce del violino). Nega comunque di essere comunista e, in

ogni modo, non vuole parlare di politica. Sostiene piuttosto di provare simpatia, in un mondo di

politici corrotti, tangentari e ladri, per quelli onesti, indipendentemente dal loro colore politico;

anzi arriva a nutrire addirittura un senso d'affetto verso chi, pur non pensandola come lui, è pulito

e sinceramente convinto (Il cane di terracotta). E' un abitudinario. Per abitudine arriva al

commissariato con una decina di minuti di ritardo. Quando rientra a casa la sera, quasi

meccanicamente accende il televisore e si guarda il notiziario sulle due televisioni locali,

Televigata e Retelibera Ogni domenica compera un giornale di economia che immediatamente

butta perché non ci capisce niente, conservando le pagine culturali che legge la sera a letto prima

di dormire. Rifiuta sistematicamente una promozione che lo allontanerebbe da Vigata, perchè la

sola idea di un trasferimento e di un cambiamento di abitudini gli fa venire qualche linea di

febbre. Due o tre volte la settimana, quando vuole pensare meglio o prendere un po' di aria

buona, si concede una passeggiata lungo il molo di levante, fino al faro o sulla spiaggia ovest,

che è sempre deserta. Prima però acquista presso lo squallido negozietto, "la putìa", di Anselmo

Greco, calìa e semenza, cioè ceci abbrustoliti e semi di zucca salati; a volte compera anche

noccioline americane. Sappiamo che fuma, ma su questo fatto Camilleri sorvola. Detesta andare

dal barbiere per il taglio dei capelli e vedersi negli specchi con l'espressione inevitabilmente

ebete che ognuno assume in quell'occasione. Vive il rapporto con il proprio corpo con semplicità,

senza inutili pudori. Il suo abituale costume di spettatore televisivo è canottiera, mutande e piedi

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nudi; in casa spesso sta nudo, oppure esce dalla doccia e si piazza davanti alla televisione "nudo

e gocciolante", né si fa problemi ad aprire la porta in costume adamitico. Il paesaggio della sua

isola che più gli piace è quello delle colline arse dalla siccità e che non ricordano più la mano

dell'uomo, interrotte qua e là da grigie rocce e da poche case di pietra messe di sghembo "quasi

che avessero fortunosamente resistito a una violenta sgroppata della terra che non voleva

sentirsele sopra"; è la Sicilia "aspra, di scarso verde, sulla quale pareva impossibile campare e

dove ancora c'era qualcuno, ma sempre più raro, con gambali, coppola e fucile in spalla, che lo

salutava di sopra la mula portandosi due dita alla pampera". Assapora con voluttà sapori e odori

della sua terra; così lo troviamo di notte, dopo una lunga giornata di lavoro, viaggiare lento,

mentre dai finestrini dell'auto aperti gli arrivano gli odori di una notte di mezzo maggio, ventate

di gelsomino dai giardinetti delle ville alla sua destra, folate di salmastro dal mare a sinistra ( Un

mese con Montalbano). Non è certo un uomo tranquillo, di quelli che si adattano alle circostanze

e alle persone. E' di umore fondamentalmente instabile, basta poco per innescare la miccia e farlo

infuocare. Anzitutto è meteoropatico, caratteristica che ha ereditato da parte di madre, che spesso

si chiudeva in camera da letto per la cefalea e non tollerava il minimo rumore. Un tempo

variabile fa si che anche il suo cervello cambi continuamente opinione: se, a causa di una forte

libecciata, il mare arriva fin sotto la verandina della sua casa, lui, che si sente in pace con sé

stesso solo quando può arrostirsi al sole, diventa "nivuro come l'inca"; se invece è una mattina

tersa e chiara, si sente disponibile a ogni situazione e a ogni incontro. L'umore nivuro comunque

lo accompagna spesso. E' nervoso quando deve viaggiare in uno scompartimento a due letti, il

che per lui significa una nottata intera da passare con uno sconosciuto in uno spazio più

soffocante di una cella di isolamento ( Un mese con Montalbano). E' nervoso quando fatica a

veder chiaro in un'inchiesta e allora si mette a "tambasiare" a casa sua; girella cioè di stanza in

stanza senza uno scopo preciso, occupandosi di cose di scarsa importanza., come riordinare la

scrivania o pulire i fornelli del gas; gli capita persino di non avere appetito e di non aprire

neppure il frigorifero per vedere quello che Adelina gli ha preparato (La forma dell'acqua).

Oppure si vuole "accuttufare", che significa tanto essere preso a legnate quanto allontanarsi dal

consorzio civile; in certi momenti per Montalbano sono validi tutti e due i significati. E' nervoso

quando dal commissariato arriva una telefonata che lo sveglia, notte o giorno che sia; allora si

alza "santiando" e guida verso Vigata dicendo parolacce a tutti gli automobilisti che incrocia "i

quali, a suo parere, col codice della strada, per un verso o per l'altro, usavano puliziarsene il

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culo". Però (Il ladro di merendine) quando si sveglia alle quattro del mattino per cercare un libro

che può aiutarlo nell'indagine e ricorda di averlo prestato a Mimì, non si fa scrupolo di

telefonargli, svegliarlo e obbligarlo a riportarglielo immediatamente. Quando è nervoso, i suoi

uomini preferiscono tenersi alla larga; solo Fazio ha il coraggio di avvicinarlo. Per calmarsi a

volte si siede sulla verandina di casa sua, che dà sulla spiaggia, e, guardando il mare si fuma tre

sigarette di fila Oppure se è in ufficio e non ce la fa più a restarsene lì seduto, passa a comperare

il solito grosso sacchetto di "calìa e simenza", che sgranocchia avviandosi verso il molo. Durante

un interrogatorio (Il cane di terracotta), per dominare l'impulso di spaccare la faccia con un

pugno all'interrogato, fissa la penna a sfera che tiene in mano, si concentra sul cappuccio,

l'estrae, lo esamina dentro e fuori come se non l'avesse mai visto prima, soffia nella parte interna

del cappuccio per pulirlo da un invisibile granello di polvere, lo guarda di nuovo, non soddisfatto

vi soffia ancora, lo posa sulla scrivania, svita la punta di metallo, ci pensa su un po', la sistema a

lato del cappuccio, esamina la parte centrale che gli è rimasta in mano, l'allinea vicino agli altri

due pezzi, sospira profondamente. Possiede una buona cultura umanistica Spesso luoghi o

situazioni gli suggeriscono ricordi letterari. Coltiva raffinate letture. Possiede il Faust e

presumibilmente l'ha letto, nella versione di Manacorda. Ha letto Proust, Musil, Melville,

Simenon. Conosce il poeta inglese Dylan Thomas e cita Saba. Ha letto "Storia della morte in

Occidente" di Ariès. Tra i siciliani gli piacciono Consolo e Bufalino, ma detesta leggere libri che

parlano di mafia. Conosce i dipinti di Peter Bruegel e di Hieronymus Bosch. I suoi passatempi

preferiti sono due: mangiare e nuotare. Adora mangiare se è cucinato bene, seppur con

semplicità. In casa si affida "alla fantasia culinaria ma gustosamente popolare" di Adelina, la

vecchia domestica; quando apre il frigo o il forno, è trepidante e cerca il pasto che Adelina gli ha

preparato come fosse una sorpresa. Spesso va in trattoria, all'osteria San Calogero, dove lo

rispettano, non tanto perché è il commissario, quanto perché è un buon cliente, un intenditore

della buona cucina. Gli piace mangiare da solo o, se in compagnia, in perfetto silenzio. In "La

voce del violino" per evitare che gli squilli del telefono gli turbino la serenità indispensabile per

preparare gli spaghetti con la salsa corallina di Adelina, stacca la spina. In "Il ladro di

merendine" porta alla bocca il primo boccone, ma non lo ingoia subito; lascia che "il gusto si

diffonda dolcemente e uniformemente su lingua e palato, che lingua e palato si rendano

pienamente conto del dono che viene loro offerto". Nello stesso romanzo, per sottrarsi a un

pranzo mal cucinato, si inventa un impegno urgente e subito dopo si ferma a una trattoria in riva

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al mare. Nuotare è un esercizio che lo rigenera in qualsiasi circostanza, sia quando è stanco dopo

una nottata di veglia, sia quando ha dormito troppo; se ha un caso che non riesce a risolvere, una

nuotata gli schiarisce le idee. Non importa se l'acqua è gelida, comunque una nuotata "lo rimette

in vita". E' incapace di mentire alle persone che stima e che considera oneste, mentre davanti ai

delinquenti o a gente che non rispetta sa inventarsi le fandonie più inverosimili. E infatti al

commissario Sciacchitano, che non ha mostrato considerazione per i suoi uomini, Montalbano

mente senza pudore, inventandosi che il questore ha scritto al ministro per lamentare i metodi da

lui usati (Il cane di terracotta). E sa anche ricattare: perché è ricatto quello che perpetra ai danni

del suocero di Ingrid (Il cane di terracotta), che abusa della nuora, facendogli recapitare

fotografie particolari e minacciandolo di spedirle ai giornali. E' vendicativo; quando gli viene

ingiustamente tolto un incarico, si vendica, cercando di creare problemi a chi l'ha sostituito;

giustificabile dal punto di vista professionale, in quanto lui avrebbe condotta meglio l'inchiesta,

molto meno dal punto di vista umano. Sa di possedere il sangue di sbirro, quell'istinto della

caccia che lo porta a non dormire se c'è qualcosa che non gli quadra; in tali circostanze qualsiasi

cosa faccia, leggere un libro o guardare il mare, non riesce a concentrarsi, continua a pensare a

che cosa non quadra. In "La voce del violino" la vista della Twingo e della villetta con le finestre

chiuse lo mettono a disagio; così, spinto da un'intuizione che non lo lascia dormire, commette

una grave infrazione, forzando l'entrata della villetta e scopre un delitto. Nello stesso romanzo,

intuendo che c'è qualcosa che non quadra ma non riuscendo a capire che cosa è, va a camminare

sulla battigia, con l'acqua che ogni tanto gli bagna i piedi; il "rumore cullante della risacca l'aiuta

a disporre in ordine i suoi pensieri" finchè capisce cosa lo sta angustiando. Non risolve i casi

secondo processi razionali, alla Van Dyne o alla Sherlock Holmes; la scoperta della verità gli

arriva come una rivelazione, "un flash accecante che gli esplode nel cervello". Montalbano vive

fisicamente questi momenti: "gli parse di essere diventato un personaggio dei fumetti che aveva

il potere degli occhi a raggi x, che riuscivano persino a vedere dentro alle cose." (La forma

dell'acqua). Oppure un'intuizione improvvisa lo sveglia, come un lampo che lo obbliga ad aprire

gli occhi (La voce del violino). Quando la rivelazione arriva, interrompe quello che sta facendo,

qualsiasi cosa sia, ad esempio esce dal bagno con i pantaloni sbottonati (La voce del violino). In

"Un mese con Montalbano", gli sembra di vedere un lampo accecante, come se un fotografo

avesse fatto esplodere un flash, si sente di colpo le gambe di ricotta, si deve sedere. Due questori

si avvicendano nella storia di Montalbano a Vigata. Il primo è il questore Burlado, che è persona

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anziana e Montalbano lo considera amico. Nel 1996 (Il ladro di merendine) Burlado ottiene il

collocamento a riposo e viene sostituito (La voce del violino) da Luca Bonetti-Alderighi, "un

giovane e scattante bergamasco che era riuscito, in un mese, a crearsi ovunque antipatie da

coltello" e che andava sempre a cercare il pelo nell'uovo. A Montalbano non è simpatico; lo si

capisce da come lo vede fisicamente: "contemplò l'inquietante capigliatura del suo superiore,

abbondantissima e con un grosso ciuffo in alto, ritorto come certi stronzi lasciati campagna

campagna.". Anche il questore gli confessa, con estrema sincerità, di non avere un'alta stima di

lui. I suoi uomini invece sanno leggere al di là dei suoi scatti d'ira, lo rispettano e gli sono

affezionati. Sono difficili solo i rapporti con il suo vice, Mimì Augello, che stima ma considera

anche un rivale, tanto da tenerlo all'oscuro delle indagini (Il cane di terracotta). Montalbano

giustifica il suo atteggiamento dicendo che col tempo si è accorto di essere un cacciatore

solitario, "perchè mi piace cacciare con gli altri ma voglio essere solo a organizzare la caccia". In

"Il ladro di merendine", pur sapendo che non è vero, accusa Mimì di volergli fare le scarpe e

questi si difende rispondendogli che, se avesse voluto, in quattro anni che lavoravano insieme, a

quest'ora Montalbano sarebbe a dirigere il più sperduto commissariato della Sardegna; perchè

Montalbano, è un colabrodo che perde acqua da tutte le parti e lui, Mimì, non fa altro che

tappargli quanti più buchi può. E Montalbano è costretto a riconoscere tra di sé che il suo vice ha

ragione. A suscitare le ire e la gelosia del nostro commissario c'è anche il fatto che Mimì prova

simpatia per la sua donna, Livia, e ne è ricambiato. Mimì è comunque un grande amico sia per

Salvo che per Livia e sta molto vicino ad entrambi in un momento importante della loro vita,

quello relativo alla mancata adozione di François ; dimostrando di conoscere molto bene

Montalbano, gli dice che è meglio che le cose siano andate così, perchè lui, Salvo, non è portato

a fare il padre. Questo comunque non cancella in Montalbano la rivalità che prova sia nella

professione che in amore per Mimì. Montalbano è molto sensibile al fascino femminile fino a

provare un senso di vertigine al sentire "odore di fimmina e di letto"(Un mese con Montalbano).

L'ispettrice Anna Ferrara gli fa il filo; è figlia di un suo compagno di scuola che si era sposato

giovane, una ragazza gradevole e spiritosa, ma che a Montalbano proprio non interessa, anche se

a lei ricorre per informazioni e la "usa", professionalmente parlando, confidando sul debole di

lei. Conosce in "La forma dell'acqua" Ingrid Sjostrom, moglie svedese del figlio del professor

Cardamone, un galantuomo con una sola pecca, quella di andare a letto con la nuora. La donna,

che in Svezia faceva il meccanico, diventa amica e collaboratrice di Montalbano. In "La voce del

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violino" conosce poi Anna Tropeano, durante l'indagine, e tra i due nasce naturale un'attrazione e

una confidenza particolare. Quando passa davanti alla sua casa, è più forte di lui, accosta, frena,

scende. Una sera fa una strada più lunga per evitare di passare davanti alla casa, sicuro che

altrimenti si sarebbe fermato. Una seconda vota sente il desiderio di stare un po' con Anna, ma

decide di non fermarsi. E' quindi un fedele per natura, fedele a Livia, la sua donna, che risiede a

Boccadasse in Liguria. Non sa come definirla di fronte agli altri; fidanzata, gli sembra termine

dell''800, ragazza, non è il caso per via dell'età; è il questore Burlado a suggerirgli il termine

"donna". E' un rapporto consolidato dal tempo, ma comunque difficile. Quando è lontana,

Montalbano la desidera, ma quando lei è vicina, la avverte come una presenza ingombrante, che

gli toglie la possibilità di vivere a suo modo e gli sconvolge le abitudini, anche culinarie. Eppure

a lei è legato. Prima di addormentarsi la pensa, nel sonno, "come presenza propiziatrice a ogni

viaggio"; a volte la sogna e il mattino le viene voglia di telefonarle, ma non le dice di averla

sognata, trattenuto da un assurdo pudore. Tiene sul davanzale della finestra in ufficio una pianta

grassa che lei gli ha regalato e alla quale presta molte cure; con lei si sente libero di "cantare la

messa intera e solenne" (La forma dell'acqua). Tra i tanti legami che ha con Livia c'è anche il

fatto che, quando mangia, Livia non apre bocca. Montalbano resta comunque un solitario, un

uomo che basta a sé stesso; qualche giornata ogni tanto da passare con la propria donna è per lui

la soluzione ottimale. Durante i tre giorni trascorsi da lei, a Boccadasse, dimentica quasi del tutto

la Sicilia, salvo qualche cedimento che lo prende a tradimento, quando sente qualche odore o la

parlata della sua terra (La forma dell'acqua). Ma troppo spesso si "dimentica" di lei. Le dice di

chiamarlo a mezzanotte precisa, promettendole il tempo per parlare a lungo, ma se ne dimentica,

prende un impegno di lavoro e, quando lei telefona, la liquida con poche, seppur cordiali parole;

ne prova "una punta di rimorso", ma proprio una punta (Il cane di terracotta). Così pure non è

affatto entusiasta che Livia abbia prenotato una vacanza insieme a lui (Il cane di terracotta).

Essendo nervoso pensa che forse la voce di Livia l'avrebbe calmato e le telefona, ma quando lei

si offre di raggiungerlo, si terrorizza e pensa "Ci manca solo Livia" e gli secca perfino dover

rinunciare per lei alla pasta al nero di seppia (Il ladro di merendine). In realtà poi la presenza di

Livia gli si rivelerà utile. Dimentica comunque che sarebbe arrivata all'ora di pranzo e, alle tre,

mentre sta seduto alla trattoria San Calogero, si precipita al telefono, immaginandosela furibona

Scopre che in realtà l'aereo ha avuto un ritardo e Livia è appena arrivata a Marinella; si inventa

così una preoccupazione che non ha mai provato, le dice di aver telefonato a casa ogni quarto

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d'ora e infine di aver chiamato Punta Raisi nel sonno; si inventa anche un impegno in quel

preciso momento, impegno che gli proibisce di raggiungerla, e torna a sedersi al tavolo dove

l'aspetta "una mezza chilata di triglie fritte croccanti". Durante questo soggiorno a Vigata Livia

conosce François, un bimbetto tunisino rimasto orfano. Si affeziona molto al piccolo e

Montalbano, quando li vede dormire abbracciati, diventa cupo come per "un oscuro

presentimento". Solo a tavola la bontà del cibo gli impedisce di arrabbiarsi, mentre assiste al

parlottare dei due "chiusi in una invisibile complicità," dalla quale lui è completamente escluso.

Così pure si impietrisce quando sente che Livia non vuole far all'amore per non svegliare il

bambino: "quest'altro aspetto delle gioie familiari non l'aveva calcolato". L'esperienza che sta

vivendo con Livia e François gli sembra infatti "un assaggio, un anticipo dei quieti, familiari,

domenicali pomeriggi che l'attendevano……con un bambino che, svegliandosi, l'avrebbe

chiamato papà invitandolo a giocare con lui". Si lascia prendere da una "botta di panico" e

l'istinto che prova è quello di scapparsene da quella casa che "preparava agguati famigliari".

Dopo la partenza di Livia ripensa razionalmente a quanto ha vissuto e finisce col proporle, in una

lettera, di preparare le carte per il matrimonio, che avrebbe anche accellerato la pratica per

l'adozione di François. In "La voce del violino" 1997 sono nate delle difficoltà al proposito

perché i documenti per l'adozione di François non sono ancora pronti. Livia gli domanda,

telefonicamente, se la sua proposta di matrimonio resta ugualmente valida e lui approfitta di un

tuono fortissimo per prendere tempo e fingere che la comunicazione sia andata via. Livia non gli

pone più quella domanda e sembra più che altro interessata a non perdere François. Soffre molto

quando constata che il bambino preferisce stare dov'è (la scena è un po' melodrammatica) e

Montalbano si commuove al vederla così fragile e minuta. Il loro rapporto in questa circostanza

si incrina; Livia pensa che a Montalbano non importi nulla avere perduto il bambino,

Montalbano si risente che Livia veda solo la sua disperazione e non consideri che, al di là di

tutto, loro due sono sempre una coppia. Ha a sua volta un comportamento irrazionale: ingoia due

pastiglie di sonnifero, si scola un bicchiere di whisky e si getta sul letto. Alla fine c'è comunque

un riavvicinamento e Montalbano promette un viaggio a Boccadasse. In "Il ladro di merendine"

viene nominato per la prima volta il padre di Montalbano in quanto il nostro commissario viene

avvertito che il padre sta morendo di cancro. Scopriamo così, dopo due anni di romanzi che

hanno come protagonista Montalbano, che questi è rimasto orfano di madre da bambino ed è

stato allevato dal padre che era stato sempre un genitore "sollecito e affettuoso". Aveva

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addirittura aspettato per risposarsi che il figlio si laureasse e trovasse lavoro. Ciononostante

qualcosa non aveva funzionato tra i due, c'era stata una quasi totale mancanza di comunicazione

e non erano mai riusciti ad esprimere vicendevolmente i reciproci sentimenti. Quando il padre

poi si era risposato, Montalbano ne era rimasto offeso. I loro incontri si erano diradati sempre più

e lui non sapeva neppure che il padre era malato. Veniamo però a sapere che, quando

Montalbano era rimasto ferito ed era stato ricoverato, il padre aveva telefonato tutti i giorni ed

era andato a trovarlo una volta; doveva essere già malato ma non gli aveva detto niente. Alla

notizia dell'imminente morte del padre Montalbano passa dalla vendita di "calìa e simenza" e

comincia la sua camminata sul molo, ma non apre il cartoccio perché c'è un groppo che gli

chiude la gola. Quando nella confusione dei pensieri riesce a coagularne uno, quello della morte

che avanza un poco tutti i giorni, riesce a sciogliere il nodo in un pianto liberatorio. Decide di

non andare a trovare il padre, e questo per tre motivi; vedendolo, il padre, avrebbe capito la

gravità del suo male e sarebbe stato peggio; non sapeva quanto suo padre avrebbe gradito la sua

presenza; a Montalbano i moribondi facevano paura, orrore, probabilmente sarebbe scappato via.

Già in "La forma dell'acqua" sostiene che in ogni morte, anche quella di un Papa, non riesce a

trovare niente di sacro. Confessa questa sua mancanza di coraggio a un anziano professore;

questi gli ricorda come, una volta, Montalbano abbia abbandonato un'indagine su un traffico

d'armi per occuparsi di un delitto avvenuto cinquant'anni prima e gli spiega questa scelta come

un tentativo di continuare "a fare il suo non piacevole mestiere scappando però alla realtà di tutti

i giorni", che evidentemente gli pesa troppo. Così, la morte del padre è un fatto reale che

Montalbano si rifiuta di avvallare constatandolo di persona. E' l'atteggiamento infantile di chi

chiude gli occhi per non vedere qualcosa di spiacevole. Quando trova il coraggio per andare a

trovare il padre, è troppo tardi perché il padre è morto da due ore e Montalbano ringrazia il

destino che non l'ha obbligato a sostenere una prova per lui così difficile. In "La voce del

violino", quando offre il vino, che faceva il padre, dice prima "fa" e solo in un secondo tempo

"faceva": non ha ancora preso consapevolezza o accettato la morte del padre. Eppure questo suo

atteggiamento risulta contraddittorio se si ha presente che nell'indagine de "Il ladro di

merendine" Montalbano ha modo di incontrare un pediatra, cui il padre, sentendosi in pericolo,

aveva domandato aiuto, ma che non era intervenuto perché al momento doveva partire;

Montalbano lo giudica assai severamente e arriva ad augurargli di non aver mai bisogno di suo

figlio, perché, se buon sangue non mente, "sarebbe fottuto". Non si comporta poi anche lui nello

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stesso modo? Se vogliamo definire in poche righe il commissario Salvo Montalbano possiamo

dire semplicemente che è un uomo intelligente e volitivo, con molte qualità e qualche

umanissimo difetto. E soprattutto è un uomo con tutte le caratteristiche tipicamente maschili;

nella sfera professionale è generoso e si dà senza risparmiarsi; nella sfera privata è attento ad

assaporare tutto ciò che la vita di bello gli può offrire e molto impegnato a sfuggire i problemi e

le responsabilità personali che glielo possono impedire. Non è forse questa una caratteristica

molto comune nel sesso maschile? Nei romanzi-partiture di Andrea Camilleri i righi musicali

sono tanti e altrettanti i temi-personaggi. Ad esempio il surreale ma non troppo centralinista del

commissariato di Vigata, Catarella, che ha un suo musicale Leitmotiv corredato di vari segnali,

anch’essi ricorrenti, quali «Dottori! Dottori!» oppure «Signore e Questore». Il motivo

conduttore-capo è l’immancabile e inarrivabile “pirsonalmente di persona” vero e proprio

ritornello da Rondò brillante di Paganini: «La campanella» ad esempio. Su versanti opposti, altro

pentagramma, nei libri che hanno per protagonista il Commissario Montalbano, è quello che

echeggia e canta, sommessa, una Sicilia fatta di «ricordi e risonanze, pensieri e fantasie», per

dirla con Hesse. La Sicilia del cuore e della memoria; un paese sospeso nel tempo anzi senza

tempo e senza età, con le sue piazze quasi deserte, gli spazi ampi attraversati da una luce

inimitabile che si fa cantilena modulatissima quanto scabra: «una Sicilia sparita, dura e aspra,

una riarsa distesa giallo-paglia interrotta di tanto in tanto dai dadi bianchi delle casuzze dei

contadini» (Guardie e ladri in Un mese con Montalbano; Mondadori).

Ancora Un mese con Montalbano: Tocco d’artista. «Lo squillo del telefono non era lo squillo del

telefono, ma la rumorata del tràpano di un dentista impazzito che aveva deciso di fargli un

pirtùso nel cervello».

1. http://www.lavalledeitempli.it/Camilleri_luoghi.htm

2, http://it.wikipedia.org/wiki/Commissario_Montalbano

3. http://www.bed-and-breakfast.it/commissario_montalbano.cfm

4. http://www.bed-and-breakfast.it/commissario_montalbano.cfm

5. http://www.vigata.org/montalbano/montalbano.shtml

Il dialetto nei romanzi di Andrea Camilleri Nei lavori di critica letteraria italiana, il dialetto come

una varieta` usata assieme a altre varieta` linguistiche (italiano letterario, neostandard, pastiche,

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ecc.) nella stessa opera non ha finora ricevuto l'interesse che si merita (si veda la Premessa in

Anceschi 1996).

Abbondano, e` vero, lavori critici che esaminano autori singoli e il loro rapporto artistico con il

dialetto. E` altrettanto vero che gli studiosi di dialettologia italiana non hanno ancora portato il

loro sguardo all'uso letterario del dialetto in concomitanza con altre varieta` della lingua.

Sembra allora che il dialetto, usato in letteratura insieme ad altre varieta` linguistiche, sia

un'orfana accademica. In questa relazione si vuole costruire il ponte tra la critica letteraria e la

dialettologia esaminando e distruggendo alcuni luoghi comuni ripetuti che banalizzano l'uso del

dialetto sfruttato soprattutto nella produzione letteraria prosastica contemporanea. Per

raggiungere questo scopo, e per tenere il discorso concreto, verra` analizzato l'uso del dialetto

siciliano nei romanzi polizieschi di Andrea Camilleri.

Prima di analizzare la convivenza del dialetto con l'italiano in questi romanzi e` d'obbligo

menzionare che le fonti attendibili che si occupano di questo scrittore sono poche. La mancanza

di analisi disinteressate la dice molto di piu` sulla cultura imperante italiana che non sull'autore,

sempre che non siamo incappati qui in una sorta di errore di deformazione prospettica (le parole

sono di Telmon 1993:100) che si teme comune per chi guarda l'uso dell'italiano, e dunque l'Italia

intera dal di fuori. Ci porterebbe lontano dal nostro scopo e sarebbe troppo lungo in questa sede

occuparsi del caso Camilleri (o, come si preferisce chiamarlo nel sito della Mondadori il

fenomeno Camilleri), un esempio di uno scrittore che gode di svariatissime centinaia di migliaia

lettori (stimato ora a due milioni: Malatesta), snobbato (o quasi) allo stesso momento

dall'egemonia imperante dei critici letterari di grido. La visione elitaria degli operatori culturali

italiani regna suprema nel considerare chiunque venda molte copie dei propri lavori un autore

solo popolare, di poca profondita` contenutistica e di poca innovativita` dell'espressione. Scrive

Roberto Cotroneo:<< ...i motivi del successo di Camilleri non vanno ricercati nel suo valore

letterario - spesso troppo altalenante e troppo di genere per dare una valutazione - ma nel suo non

essere letterato, nel suo modo di rassicurare il pubblico: con libri brevi, che della letteratura

prendono il meno possibile, e della vita il piu` possibile...>>.

Lingua di Camilleri

Le varieta` linguistiche usate da Camilleri sono almeno cinque, ognuna con una funzione precisa:

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1. Dialetto siciliano locale

Il dialetto siciliano locale che ricalca quello di Porto Empedocle, usato

 

 

A. nel discorso diretto di vari personaggi, per es., donne del popolo (nel cane di terracotta:

Adelina; Mariannina, la sorella di Gege`), i mafiosi (ne Il cane di terracotta: Gege` 173;

Tano 'u grecu; o altri malviventi Giugiu`), dai coniugi siciliani, per es.:

i. Perche non ti sei fatta viva in questi giorni? Ca pirchi`! Ca pirchi` a la signurina

non ci piaci di vidirimi casa casa quannu ce` iddra. (Il cane di terracotta, p. 234).

ii. Madunuzza beddra! Pazzo nisci`! Losso du coddru si ruppe! (Il cane di terracotta,

p. 235).

iii. Vedi se sono astutati tutti e due, accussi` ce ne andiamo. (Il cane di terracotta, p.

174).

iv. Peju de li delinquenti! Peju de li assassini ci hanno trattato quei figli di lorda

buttana! E chi si credono dessiri? Strunzi!...Cosi di pazzi! Cosi di pazzi!. (Il cane

di terracotta, p. 49)

v. v. Ciccino, ma cu e` a chistura?. (Il cane, 112)

 

A. nelle formule magiche, proverbi:

Rapriti pipiti e chiuditi popiti (Il cane, p. 92)

Futtiri addritta e caminari na rina / portanu l'omu a la ruvina (Il cane, 143)

 

 

B. elenchi sinonimici (che, a proposito, ricordano quelle del maestro di questa trovata

stilistica, il napoletano Giambattista Basile), per es.:

vignarole, attuppateddri, vavaluci, scataddrizzi, crastuna (Il cane 129)

nirbusi, sconoscenti, sciarreri (Il cane 138)

arrinanzato, parvenu, semianalfabeta, mezza calzetta (Il cane 152)

aggrugnato, trubbolo (Il cane 158)

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una sisiata, una pigliata pi fissa, un tiatro (Il cane 173)

 

 

E` stato detto che il dialetto e` un'alternativa all'italiano per chi si accinge alla produzione

letteraria (Corti in Beccaria 1975: 117).

Potrebbe darsi che questa affermazione appartenesse a chi scrive solo in dialetto. Non e` invece

per niente vera per chi usa il dialetto come una delle tante varieta`. E` emblematico l'esempio di

Gadda, il cui Pasticciaccio non avrebbe sicuramente quell'impatto stilistico e contenutistico che

ha senza l'apporto dialettale. Il dialetto, come lo intendono e usano i romanzieri moderni e

contemporanei, non e` un'alternativa all'italiano, se non altro per le circostanze sociolinguistiche

reali di un'Italia sempre meno diglottica.

 

2. Varieta` mista

Il dialetto siciliano che e` intimamente integrato nel discorso in italiano:

 

 

A. quando l'autore esprime gli stati d'animo o le azioni del commissario Montalbano, per es.:

i. [Montalbano] Dei morti se ne fotteva altamente, poteva dormirci 'nzemmula,

fingere di spartirci il pane o di giocarci a tressette e briscola, non gli facevano

nessuna impressione, ma quelli che stavano per morire invece gli provocavano la

sudarella, le mani principiavano a tremargli, si sentiva agghiacciare tutto, un

pirtuso gli si scavava dintra lo stomaco. (Il cane di terracotta, p. 75)

ii. Se ne stava li`, come affatato, a talia`re la scena, scantato che un suo minimo

gesto potesse svegliare dal sogno che stava vivendo (Il cane, p. 121)

iii. Riattacco` e esplose in un nitrito, altissimo, di gioia. Subito, nella cucina, si

senti` un rumore di vetri infranti: per lo spavento, ad Adelina doveva essere

caduto qualcosa di mano. Piglio` la rincorsa, sato` dalla veranda sulla rena, fece

un primo cazzicatummolo, poi una ruota, un secondo capitombolo, una seconda

ruota. Il terzo cazzicatummolo non gli arrinisci` e crollo` senza sciato sulla sabbia.

Adelina si precipito` verso di lui dalla veranda facendo voci...

(Il cane di terracotta, p. 235; v. anche 224, 240)

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Il modo d'integrazione non e` certamente quello che si sente oggi in Sicilia, in altre parole

Camilleri non fa usare ai personaggi italiano regionale di Sicilia (Leone). L'italianizzazione

avviene chiaramente usando morfemi italiani attaccati alle basi siciliane, ma queste basi sono

quelle che l'autore sceglie, non quelle che uno si aspetterebbe in un discorso mistilingue.

 

 

Spesso, il termine dialettale non e` adattato all'italiano se si tratta di sostantivi femminili:

sabbia vagnata 174

rumorata 174

ca`mmara 9

rena sabbia 122

 

 

Nei sostantivi maschili, la -u finale del siciliano diventa -o:

 

 

il paro e il disparo 15; cinco 15

 

 

a meno che si tratti di nomignoli:

Tano u grecu 19

 

 

I termini dialettali si riferiscono alle pietanze regionali siciliane, per es.:

 

 

mostazzolo di vino cotto 18

pasta fredda con pomodoro, vasalico` e passaluna,

olive nere 41

pasta ncasciata 120

tinnirume 150

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petrafe`rnula 155

 

 

Modi di dire o espressioni:

 

 

(sospetto di ) sconcica, di presa in giro 19

magari io 20

gli saltava il firticchio 25 [Vocabolario siciliano:

acchianarici u

furticchiu: andare in bestia]

capace che... 28

cinquantino

portargli adenzia 30 dargli adenzia 41

attaccare turilla 45, 86

pigliato dai turchi 69

rompere i cabasisi 99

notte funnuta 101

avere gana di Il cane 137

alla sanfaso` 137

si tiro` il paro e lo sparo 46

si fece papale papale 251

non era cosa 17

schina 35

magari 41

vasanno` 62

che fu 112

 

 

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sintassi:

 

 

Io una tomba sono. 47

una poco di interrogativi 125

 

 

B. nel discorso diretto di vari personaggi (mafiosi, rappresentanti delle forze dell'ordine):

 

 

i. Eh no, duttureddru, non e` la stessa cosa, mi meraviglio di lei che sapi leggiri e scriviri, le

parole non sono uguali. Io mi faccio arrestare, non mi costituisco. Si pigliassi la

giacchetta che ne parliamo dintra, io intanto rapro la porta. (Il cane di terracotta, p. 20)

ii. (Lei non ci crede che io sono malato?.) Ci credo. Ma la minchiata che lei vuole farmi

ammuccare e` che per essere curato lei ha necessita` di farsi arrestare.... (Il cane di

terracotta, p. 22)( 6)

6. http://www.vigata.org/dialetto_camilleri/dialetto_camilleri.shtml