Calcio allenamento funzionale premessa Capanna_Onofri_Ancona

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Premessa Con una breve storia iniziamo questo nuovo libro. Il racconto vuole rappresentare la chiave di comprensione del libro stesso, in quanto pone il lettore di fronte ai vari modi di interpretare l’allenamento che, raccontati con una vena ironica, sono appositamente descritti in termini paradossali. Si evidenziano inoltre, gli innumerevoli luoghi comuni che aleggiano nel mondo dello sport ed è descritta una metodologia di insegnamento-allenamento che, come si potrà notare, lascia un po’ perplessi. Ma è così diversa la realtà? Si può fare qualche cosa per cambiare? La risposta speriamo sia chiarita al termine della lettura del libro, che ci auguriamo possa essere piacevole ed interessante. Come insegnare a bere con un bicchiere di carta Questa breve storia racconta i fatti svolti nel periodo di “preparazione” ad un evento capitato ad un ragazzo di povere origini. L’evento a cui faccio riferimento è la prima festicciola fra compagni di classe a cui partecipava Luigi, detto Gigino, figlio di un bracciante che abita e lavora in una piccola fattoria nei pressi di un minuscolo paese, sui colli ai margini della città di Genova. La località dove vive la famiglia di Gigino è amena e ben organizzata socialmente. C’è la scuola elementare, la casa Comunale, la farmacia, un piccolo negozio che vende dalla frutta ai detersivi, la chiesa con attiguo un piccolo campo da calcio in terra battuta, costruito per volontà del parroco ed i soldi dei fedeli. Il fattore, padre di Gigino, in previsione della partecipazione di suo figlio alla festa del settimo compleanno di Raffaele, figlio del farmacista-sindaco, compagno di banco di Gigino ed alla quale era stato invitato per il mese successivo, si preoccupò che il piccolo fosse in grado di non combinare guai in casa altrui e che fosse, autonomo, oltre che per mangiare i pasticcini, la qual cosa sapeva già fare, soprattutto per bere l’acqua o le bibite che gli potevano essere offerte presumibilmente, visto la presenza di numerosi bambini, in un bicchiere di carta (quelli usa e getta per intendersi), esperienza che il bimbo non aveva mai fatto. Il bicchiere era considerato un lusso per la famiglia di Gigino. Pensate che alla fattoria l’acqua si raccoglieva ancora da un pozzo con un secchio, dal quale ogni componente la famiglia poteva bere utilizzando direttamente un mestolo. Questo accadeva anche durante il pranzo e la cena.Preoccupato, quindi, che il figlio non fosse in grado di utilizzare un attrezzo mai usato, appunto un bicchiere di carta, e non sapendo neppure lui come sarebbe stato più proficuo insegnarglielo nel breve tempo che mancava alla fatidica data, pensò di rivolgersi a chi poteva avere la preparazione idonea a risolvere tale dilemma. Era casualmente venuto a conoscenza che, tre volte a settimana, veniva al paese un “prof” ad insegnare a giocare a calcio ai bambini della parrocchia. Si diceva che era un ragazzo in gamba; sui manifestini fatti distribuire dal parroco dopo la messa domenicale c’era scritto che aveva fatto l’ISEF, poi aveva proseguito gli studi laureandosi in Scienze Motorie, aveva partecipato con successo al corso per preparatori atletici professionisti di calcio a Coverciano ed era, inoltre, un tecnico patentato dalla Federazione Gioco Calcio ad insegnare ai bambini. Senza aver capito molto di ciò che il volantino spiegava, il padre e la madre di Gigino acquisirono inconsciamente il concetto che il mister-prof. fosse senza dubbio una persona preparata e colta. E poi se l’aveva scelta il parroco, avrà avuto anche capacità morali salde ed inoltre il suo metodo di insegnamento non poteva che dare ottime garanzie di riuscita. VIVA IL PARROCO!! Il prof. si chiamava Renato Cartus, di madre francese e padre sardo. Il mister-prof. Cartus presentava, quindi, per il buon fattore tutti i requisiti pedagogici, didattici e tecnici utili per insegnare a Gigino, oltre che a giocare a calcio, anche a bere con un bicchiere di carta. Il fattore si fece coraggio e con qualche titubanza dovuta alla insolita richiesta che doveva fare, domandò al giovane insegnante se voleva occuparsi del problema relativo al

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L'allenamento funzionale per i giocatori ed il portiere Riccardo Capanna http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/lallenamento-funzionale-per-i-giocatori-ed-il-portiere

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Premessa

Con una breve storia iniziamo questo nuovo libro. Il racconto vuole rappresentare la chiave di comprensione del

libro stesso, in quanto pone il lettore di fronte ai vari modi di interpretare l’allenamento che, raccontati con una

vena ironica, sono appositamente descritti in termini paradossali. Si evidenziano inoltre, gli innumerevoli luoghi

comuni che aleggiano nel mondo dello sport ed è descritta una metodologia di insegnamento-allenamento che,

come si potrà notare, lascia un po’ perplessi.

Ma è così diversa la realtà?

Si può fare qualche cosa per cambiare?

La risposta speriamo sia chiarita al termine della lettura del libro, che ci auguriamo possa essere piacevole ed

interessante.

Come insegnare a bere con un bicchiere di carta Questa breve storia racconta i fatti svolti nel periodo di “preparazione” ad un evento capitato ad un ragazzo di

povere origini.

L’evento a cui faccio riferimento è la prima festicciola fra compagni di classe a cui partecipava Luigi, detto

Gigino, figlio di un bracciante che abita e lavora in una piccola fattoria nei pressi di un minuscolo paese, sui colli

ai margini della città di Genova.

La località dove vive la famiglia di Gigino è amena e ben organizzata socialmente. C’è la scuola elementare, la

casa Comunale, la farmacia, un piccolo negozio che vende dalla frutta ai detersivi, la chiesa con attiguo un

piccolo campo da calcio in terra battuta, costruito per volontà del parroco ed i soldi dei fedeli.

Il fattore, padre di Gigino, in previsione della partecipazione di suo figlio alla festa del settimo compleanno di

Raffaele, figlio del farmacista-sindaco, compagno di banco di Gigino ed alla quale era stato invitato per il mese

successivo, si preoccupò che il piccolo fosse in grado di non combinare guai in casa altrui e che fosse, autonomo,

oltre che per mangiare i pasticcini, la qual cosa sapeva già fare, soprattutto per bere l’acqua o le bibite che gli

potevano essere offerte presumibilmente, visto la presenza di numerosi bambini, in un bicchiere di carta (quelli

usa e getta per intendersi), esperienza che il bimbo non aveva mai fatto.

Il bicchiere era considerato un lusso per la famiglia di Gigino. Pensate che alla fattoria l’acqua si raccoglieva

ancora da un pozzo con un secchio, dal quale ogni componente la famiglia poteva bere utilizzando direttamente

un mestolo. Questo accadeva anche durante il pranzo e la cena.Preoccupato, quindi, che il figlio non fosse in

grado di utilizzare un attrezzo mai usato, appunto un bicchiere di carta, e non sapendo neppure lui come sarebbe

stato più proficuo insegnarglielo nel breve tempo che mancava alla fatidica data, pensò di rivolgersi a chi poteva

avere la preparazione idonea a risolvere tale dilemma.

Era casualmente venuto a conoscenza che, tre volte a settimana, veniva al paese un “prof” ad insegnare a giocare

a calcio ai bambini della parrocchia. Si diceva che era un ragazzo in gamba; sui manifestini fatti distribuire dal

parroco dopo la messa domenicale c’era scritto che aveva fatto l’ISEF, poi aveva proseguito gli studi laureandosi

in Scienze Motorie, aveva partecipato con successo al corso per preparatori atletici professionisti di calcio a

Coverciano ed era, inoltre, un tecnico patentato dalla Federazione Gioco Calcio ad insegnare ai bambini.

Senza aver capito molto di ciò che il volantino spiegava, il padre e la madre di Gigino acquisirono

inconsciamente il concetto che il mister-prof. fosse senza dubbio una persona preparata e colta. E poi se l’aveva

scelta il parroco, avrà avuto anche capacità morali salde ed inoltre il suo metodo di insegnamento non poteva che

dare ottime garanzie di riuscita.

VIVA IL PARROCO!!

Il prof. si chiamava Renato Cartus, di madre francese e padre sardo. Il mister-prof. Cartus presentava, quindi, per

il buon fattore tutti i requisiti pedagogici, didattici e tecnici utili per insegnare a Gigino, oltre che a giocare a

calcio, anche a bere con un bicchiere di carta. Il fattore si fece coraggio e con qualche titubanza dovuta alla

insolita richiesta che doveva fare, domandò al giovane insegnante se voleva occuparsi del problema relativo al

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bicchiere di carta. Il prof. Cartus non ci pensò molto e dopo aver concordato una richiesta economica equa per

lui, ma non so se era lo stesso per il fattore, accetto senza indugio l’incarico.

Le lezioni di 1/2 ora l’una sarebbero state impartite tre volte a settimana (il minimo per assicurare un sufficiente

apprendimento) per sei settimane, quelle rimanenti, appunto, alla data della famosa festa di compleanno.

Molto ligio e grazie alle sue conoscenze nel campo dell’anatomia,

della fisiologia, della biomeccanica, della psicologia e della pedagogia, il mister-prof. Cartus non si fece cogliere

impreparato, anche perché pensò di risolvere il problema-bicchiere “trasferendo” per Gigino il metodo

“scientifico” di insegnamento che utilizzava di solito con i bambini che volevano imparare il gioco del calcio

nelle scuola di avviamento alla pratica sportiva, che aveva organizzato in paese insieme al Parroco (del progetto

cristian-pedagogico Cartus era il “corpo” operante, il parroco era “l’anima”, nel senso che contemporaneamente

avviava catechisticamente i piccolini alla prima Comunione). Inoltre, il prof. per dimostrare che non aveva

accettato l’incarico per fini di lucro, ma che anzi ci teneva veramente ad assolvere il compito affidatogli, si

procurò in città, ed a sue spese, un bicchiere di carta. In questo modo anche il necessario materiale per la parte

“pratica” era assicurato (nulla doveva essere trascurato o lasciato al caso).

L’obiettivo da perseguire non era semplice. Era chiaro che dovevano essere organizzati degli esercizi che

potessero preparare il bambino a tutte le evenienze e possibilità che si fossero verificate durante la festa, per

prevenire schiacciamenti o gli scivolamenti del bicchiere con la conseguente caduta del suo contenuto sul bel

parquet del soggiorno del Sindaco che, sicuramente lucidato per l’occasione, dava un tocco di classe ed eleganza

a tutta la casa.

La programmazione e la pianificazione del lavoro da effettuare fu precisa e molto accurata. Come esercizi

iniziali furono adottate delle estensioni e delle flessioni delle dita e del polso a mano libera, per far “capire” al

bambino quale fosse la forma del bicchiere e quale fossero i “movimenti di base” che Gigino avrebbe dovuto

conoscere prima di impugnare il vero bicchiere.

Rese poi più difficile il compito, chiedendo al fanciullo di ripetere i movimenti appena effettuati con gli occhi

chiusi per sollecitare, diceva (ma il bambino non capiva nulla), “l’analisi percettiva attraverso la sensibilità

propriocettiva”. Verificava poi lui stesso l’impugnatura, infilando il bicchiere di carta fra le dita del bambino.

Qualche volta era troppo stretta, qualche volta troppo larga; il bambino per questo rideva divertito (l’attività era

ludica e perciò corretta in riferimento all’età). Quando l’impugnatura si avvicinava abbastanza a quella ipotizzata

ed il bicchiere si infilava senza troppo sforzo, era mister Cartus che sorrideva soddisfatto, in quanto l’allievo

dimostrava di cominciare ad imparare uno dei “modelli motori di base” (la presa) e con ciò di star sviluppando

uno “schema corporeo” più complesso ed articolato, utilizzabile poi anche per la vita comune in chissà quante

altre opportunità. Ad esempio per stringere posate, avvitare lampadine e, da grande, tenere il volante dell’auto.

Ad un certo punto di questa prima fase di insegnamento, per verificare la fondatezza della sua ipotesi, il prof.

passando per un aia (proprio quella in cui vivono gli animali da cortile) e senza chiedere il permesso al

contadino, si procurò un pulcino. Un espediente fenomenale ai fini della sua impresa.

Chiese così al fanciullo di tenere prima nella mano destra e poi nella sinistra la povera bestiola senza farla

soffrire con una stretta troppo intensa od, al contrario, senza lasciarla scappare con una presa troppo debole.

Pensava: se Gigino impara anche con la mano “non dominante” migliorerà molto di più anche con la mano

“dominante”.

Il pulcino così, senza aver troppo aumentato il baget iniziale di spesa, si era dimostrato un ottimo “strumento” di

insegnamento. Dopo qualche tempo però e sempre senza farsene accorgere, il pulcino fu riportato nei luoghi di

origine in quanto, essendo cresciuto di peso e volume, era diventato una gallina inservibile allo scopo didattico.

Ecco gli esiti.

Dopo questo training, “immaginare” il pulcino, anche senza averlo più nella mano, dava dei grandi risultati, visto

che dopo questo tipo di esercitazioni, che comportavano l’ideazione di “immagini mentali” (si pensa al pulcino

avendo in mano un bicchiere), il bambino, a detta del mister, aveva avuto un grande miglioramento nella

sensibilità delle dita. Era sufficiente, infatti, ricordare a Gigino di comportarsi con il bicchiere come se avesse in

mano il piumato, perché si verificasse veramente una presa ne troppo intensa, che potesse determinare lo

schiacciamento inevitabile dello strumento specifico, ne l’allentamento eccessivo della tensione dei polpastrelli,

che determinasse la caduta del bicchiere.

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Dopo le suddette lezioni mirate allo sviluppo della “coordinazione generale”, diverse esercitazioni furono rivolte

poi a sensibilizzare la “coordinazione specifica” dei muscoli della mano allo scopo di abituarsi alle diverse

“tensioni isometriche” necessarie a mantenere il bicchiere fermo mentre veniva riempito.

1° esercitazione – bicchiere riempito di 1/4;

2° esercitazione – bicchiere riempito a metà;

3° esercitazione – bicchiere riempito a 3/4;

4° esercitazione – bicchiere riempito al 100%.

Dopo questa fase di apprendimento, il mister-prof. Cartus passo ad insegnare al bambino a distinguere le diverse

tensioni che la mano doveva esercitare mentre il bicchiere veniva riempito non più con modalità standardizzate,

bensì con “modalità alternate”.

Le esercitazioni “intermittenti” consistevano nel riempimento del bicchiere a metà poi, dopo una breve pausa al

100%, quindi, con lo stesso processo al 75%, poi di nuovo vuoto e così di seguito, variando ad ogni ripetizione la

percentuale di “carico”. Per non creare confusioni percettive nella “testa” del bambino, dopo ogni esercizio di

riempimento, lo svuotamento del bicchiere era effettuato dal professore in persona.

Questa attività divertiva Gigino perché ogni tanto fingeva di sbagliarsi

e stringendo più forte del necessario il bicchiere lo faceva scricchiolare. Tale cosa però innervosiva l’insegnante,

che non capiva l’intendimento scherzoso e si faceva assalire dal dubbio di essere un po’ in dietro con il

programma.

Bisognava insistere con esercitazioni più mirate. Ebbe a questo proposito una folgorazione. Pensò: riuscirà

Gigino a reggere il bicchiere se il liquido gli verrà versato da un compagno invece che da un adulto? Ovvero,

riuscirà a reggere il “peso variabile” del bicchiere se la bevanda gli sarà servita velocemente e senza troppa

continuità, magari a spruzzi, oppure se gli verrà versato con la dolcezza che solo la mamma dell’amico potrà

fare? Bisognava esercitarsi in tal senso, senza perdere tempo. La “velocità della versata” andava curata e

preparata a dovere.

Il mister ideò un esercizio giocoso, perché sapeva che Gigino divertendosi poteva imparare meglio. Finse di non

saper fare troppo bene a versare da una bottiglia una miscela formata da acqua, bicarbonato

ed un po’ di limone (fa la schiuma come fosse Coca Cola) facendola uscire a sbuffi dal collo della bottiglia od,

esagerando, facendola anche un po’ fuori uscire dal bordo del bicchiere. Il bimbo reagiva

abbastanza bene anche se dalle risate non riusciva a tenere fermo il bicchiere (l’apprendimento in fase ludica era

a buon punto ma bisognava insistere ancora un po’).i giocatori ed il portiere

Pensava il mister mentre teneva la bottiglia della finta Coca Cola in mano: questo è senza dubbio un ottimo

esercizio, visto che in pochi giorni di esercitazione ho raggiunto lo scopo di riempire tutto il bicchiere

curando anche che non cada la schiuma a terra. Posso così ritenermi abbastanza tranquillo, senza la grossa

preoccupazione che Gigino alla festa possa sporcare i preziosi tappeti della casa in cui si

celebrerà la sua entrata ufficiale in Società. I dubbi però attanagliavano il prof. anche perché in questo impegno

metteva in gioco, per i paesani, un po’ del suo prestigio professionale. Non si perse d’animo e prevedendo che

ulteriori difficoltà avrebbero potuto sopravvenire durante la festa, pensò che bisognava insistere

con esercitazioni ancora più specifiche. Approfittando della grande capacità del bicarbonato di sodio acidificato

con limone di produrre una ricca schiuma di bollicine, il prof. Cartus sollecitò Gigino a “capire un concetto

astratto” che gli sarebbe servito a migliorare la prestazione prensile: nonostante il maggior volume (il bicchiere

si riempie velocemente di schiuma), il peso totale non corrisponde ad un bicchiere pieno di liquido. Questa

pensata riempì di orgoglio il mister che, grazie a tale intuizione era sicuro di aver previsto, ora, quasi

tutto ciò che avrebbe potuto accadere durante la festa (anche le “finte”). Un ulteriore ed ultimo dubbio riferito

alla tecnica però lo assalì: sarebbe riuscito Gigino a non schiacciare il bicchiere mentre beveva e quindi, mentre

andava diminuendo il peso del liquido dentro il contenitore di carta che si stava svuotando?

Bisognava provvedere anche in tal senso.

Gli esercizi di svuotamento in bocca furono fatti seguire a quelli di riempimento del bicchiere, con tutte le varie

possibilità illustrate in precedenza (bicchiere vuoto, bicchiere leggero, pesante, etc.). Un successone. Queste

esercitazioni “di sintesi” dettero dei buoni risultati, anche se nelle prime prove “la velocità” con cui Gigino

trangugiava il liquido risultò esagerata e buona parte del contenuto del bicchiere cadeva sulla sua maglietta.

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Nonostante queste iniziali difficoltà coordinative, l’obbiettivo che si era proposto il mister, dopo qualche tempo,

fu quasi raggiunto. Quasi, perché rimaneva ancora una piccola imperfezione tecnica: un leggero scricchiolio, che

denotava una presa imperfetta, che si sentiva verso la fine della bevuta quando il bicchiere era quasi vuoto.

Per far fronte a questo problema, il prof. Cartus ipotizzò alcune esercitazioni che chiamò di “bevuta ombra”,

utilizzando il bicchiere ma senza l’acqua. Questo servì ad abituare il fanciullo a gestire al “meglio delle

possibilità” il peso del solo contenitore.CALCIO 15

Il tempo frattanto passava, la festa si avvicinava.

Una ulteriore domanda balenò in testa al nostro prof-pedagogo-allenatore: quante volte Gigino avrebbe bevuto

durante la festa e con quale alternanza (recupero) riferita ai pasticcini ed alla torta?

Bisognava a questo punto migliorare oltre la tecnica anche un po’ la “prestazione fisica” che il bimbo doveva

fornire per tutta la durata dalla festa.

Detto, fatto. Il nostro allenatore s’inventò “la festa psicodinamica”. Per trenta minuti a lezione e per tutte le

rimanenti lezioni, propose un esercizio in cui vennero ipotizzate tutte le possibili varianti che

potevano verificarsi durante la fatidica festa.

L’esercizio è chiamato psicodinamico perché ad una sollecitazione acustica fornita dal prof., Gigino deve reagire

con una attività motoria “ragionata”.

Dopo la spiegazione teorica, ecco la pratica.

Il prof. ordinava, il bimbo eseguiva.

“Fai finta di mangiare una pasta, chiedi una bibita, fai finta di bere metà liquido, fai finta di andare a giocare,

torna a bere, vuota il bicchiere, chiedi che ti sia riempito il bicchiere, fa finta di mangiare un po’ di torta, vai a

giocare, fai finta di sudare, bevi tutto in un sola volta, fai finta di essere contento, attento sorridi ti fanno una

foto, hai sete fatti riempire il bicchiere di Fanta, stai attento alla schiuma, canta “tanti auguri a te…”, bevi a sorsi.

Così di seguito per, appunto, trenta minuti, variando sempre le combinazioni (non sapendo come sarebbe andata

l’alternanza degli eventi, la festa era a tutti gli effetti un evento “in situazione” ). Compiendo questo esercizio il

bimbo non rideva per niente (se le settimane precedenti c’era stato il piacere adesso gli toccava il dovere), ma

l’esigenza dettata dalla necessità di verificare il grado di apprendimento e di rendimento, per così dire di

superare un “test da campo”, era più importante e pressante. L’ipotesi da sviluppare attraverso “la festa

psicodinamica in regime di resistenza” era: se Gigino regge ad un gran ritmo di bevute (vere) e pasticcini (finti),

per trenta minuti, siccome il ritmo-festa sarà decisamente inferiore, Gigino sarà senza dubbio in grado di

protrarre lo sforzo dalla sua mano destra per tre ore e forse più, senza perdere nel tempo l’ottimale rendimento

(continuerà a bere fin che vuole e non combinerà guai).

Venne finalmente il gran giorno. Il giorno della festa di compleanno. Vi fu un ultimo incontro fra Gigino ed il

suo pigmalione, non previsto dagli accordi iniziali. Con una lieve incremento del pattuito economico, il padre di

Gigino fece venire il mister, qualche ora prima della festa per fare la “rifinitura”, utile per ricordare, per così

dire, il da farsi. Per meno di dieci minuti e quindi per non stancarsi troppo, Gigino fece le ultime prove pratiche e

rilesse “con rapidità” su una lavagnetta portata dal prof. tutte le fasi tecniche della bevuta, “immaginando” cosa

avrebbe dovuto fare con la mano destra, sia mentre gli versavano una bibita riempiendogli il bicchiere che

mentre gli gorgogliava la fresca bevanda dentro la gola svuotandosi il bicchiere. Cartus gli raccomandò inoltre,

di fare attenzione soprattutto “ai tipi di tensione” che le dita avrebbero attuare nelle varie fasi che avevano così

meticolosamente preparato: non stringere troppo, non stringere poco. Sentenziò infine che riconsegnare a fine

festa un bicchiere stropicciato sarebbe stato di cattivo gusto ed avrebbe eventualmente rivelato lasua incapacità

e, peggio ancora, avrebbe dichiaratamente svelato l’insuccesso dell’operato del suo insegnante che, invece, era

stato cosi solerte nel fare “il meglio che si poteva fare”.

Finalmente, senza avere ne mangiato ne bevuto, alle ore quattordici, battuto un “cinque” al padre ed uno al prof.,

Gigino venne “liberato” per avviarsi verso una delle più grandi esperienze motorie che mai aveva affrontata fino

a quel momento della sua breve vita.

Durante il pomeriggio le ore in casa del fattore non passavano mai. Si aspettava con ansia il risultato. La madre

di Gigino fece giurare il padre che se le cose fossero andate per il verso giusto avrebbe comprato

un bicchiere affinché tutta la famiglia potesse esercitarsi. Uno stress così intenso era impossibile da sopportare

anche per il secondogenito, che l’anno successivo sarebbe andato in prima elementare ed avrebbe avuto una

grande opportunità di partecipare, a sua volta, ad una festa di compleanno.

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Dopo quattro ore di grande tensione, finalmente il padre sentì sbattere le portiere dell’auto dei genitori

dell’amichetto che avevano riaccompagnato Gigino. Si precipitò alla porta curioso di avere la conferma della

bontà degli insegnamenti che aveva con grande impegno ed anche con notevole sacrificio economico,

organizzato per il piccolino di casa.

Appena aperta la porta non si accorse quasi dell’entrata del figlio in casa, visto la grande corsa intrapresa da

Gigino verso la cucina. Con grande stupore, che riuscì a mimetizzare con un radiante e stirato sorriso per salutare

e ringraziare l’altro genitore al volante dell’auto, raggiunse il figlio che nel frattempo era salito su una sedia ed

abbarbicato alla tavola stava letteralmente con la testa immersa nell’acqua contenuta in un secchio.

Il padre aspettò ansioso che il bimbo terminasse l’operazione, che si risolse con una madornale bevuta e poi

chiese: Gigino mio, come mai hai bevuto tanto?

Gigino dopo aver trattenuto a bocca chiusa un singulto determinato dall’aver inghiottito tutta l’acqua che il suo

stomaco poteva contenere in quel momento, rivolto al padre quasi per scusarsi, ma con l’aria di chi non aveva

avuto altra scelta disse: BELIN!!! papà, alla festa non ho neanche provato a bere, mi hanno dato un BICCHIERE

DI CRISTALLO!!!!