Calcio 2000 n.206

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foto Andrea Ninni/Image Sport “VOGLIO ESSERE UN SIMBOLO” ESCLUSIVA MARCHISIO Esclusiva Tachtsidis Speciale Coppa d’Africa I Giganti del Calcio Tacconi “Verona, sono innamorato” Torneo strano, sublime magia Mai banale, sempre unico Mensile | FEBBRAIO 2015 | N. 206 | Italia | Euro 3,90 EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM CALCIATORI 2014-15 Calcio 2 OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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Esclusiva Tachtsidis

Speciale Coppad’Africa

I Giganti del CalcioTacconi

“Verona, sono innamorato” Torneo strano, sublime magia Mai banale, sempre unico

Mensile | FEBBRAIO 2015 | N. 206 | Italia | Euro 3,90

EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM CALCIATORI 2014-15

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il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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mente fiducioso per il 2015. Un nuovo anno è appena inizia-to e la speranza è che sia quello della svolta (in tutti i campi). Abbiamo bisogno di invertire la rotta, di tornare a divertirci. Il calcio è, a mio parere, il modo migliore per stranirsi dalla vita reale e concedersi qualche, meritato, momento di pura passione. Sento dire che il livello del nostro calcio è in cadu-ta libera. Potrebbe anche essere vero, ma almeno ci stiamo godendo una corsa a due per lo scudetto e una splendida bagarre per il terzo posto (tanti altri campionati, molto più blasonati del nostro, non hanno così tanti spunti di interes-se). Dai su, fiducia… Ma passiamo alla nostra/vostra rivista. Numero ricco questo: oltre al Marchisio, abbiamo incontrato Tachtsidis, giocatore che a Verona stanno iniziando ad ap-prezzare per davvero… Carinissima la storia di Aguirre che i più attenti ricorderanno in maglia viola (per pochi mesi). Da non perdere anche lo speciale dedicato alla prossima Coppa d’Africa, torneo sempre affascinante. Poi, per finire, un gigante del calcio come Tacconi e un re del mercato come Lippi. Ma prima di lasciarvi alla lettura, doveroso augurare a tutti un 2015 ricco di sorprese e felicità. Ne abbiamo biso-gno tutti quanti e il calcio, da questo punto di vista, può darci una grossa mano…

k, in Europa ci saranno pure squadre fuori dalla nostra portata, ma non mi pare che l’Italia sia sparita del tutto… Una squa-dra in Champions League, tra l’altro con diverse chance di passare gli ottavi (il Borussia di questi tempi non mi pare insu-perabile), e ben cinque rappresentanti in

Europa League, ognuna delle quali con le carte in regola per arrivare fino in fondo. Insomma, ci siamo anche noi e questo deve essere motivo d’orgoglio. Anche per questo abbiamo deciso di dedicare la copertina al “nostro” Marchisio. Cagni lo ha definito “il miglior centrocampista in circolazione” e, for-se, non ha tutti i torti. Italiano, con qualità tecniche uniche e un senso del gol fantastico, oltre ad una corsa inesauribile, il Principino è, ormai, una bandiera bianconera e pure del no-stro calcio. Ha sempre avuto ben chiaro cosa volesse diven-tare, sia dentro che fuori dal campo, e, alla fine, ha centrato tutti gli obiettivi (e altri ne ha nel mirino). Vederlo ancora in gioco nell’Europa che conta deve farci sorridere e sperare che il futuro sia ancora nostro. Non avremo più i soldi di un tempo, ma non possiamo esserci dimenticati di come si vince su un campo da calcio… Cari amici, voglio essere estrema-

EDITORIALE

di Fabrizio PONCIROLI

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“VOGLIO ESSERE UN SIMBOLO”

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Esclusiva Tachtsidis

Speciale Coppad’Africa

I Giganti del CalcioTacconi

“Verona, sono innamorato” Torneo strano, sublime magia Mai banale, sempre unico

Mensile | FEBBRAIO 2015 | N. 206 | Italia | Euro 3,90

EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM CALCIATORI 2014-15

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il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

www.calcio2000.it [email protected]

2015, CI SIAMO ANCHE NOI…

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Calcio2000 è parte del Network

Calcio2OOOANNO 19 N. 2 FEBBRAIO 2015

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Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione

al n. 18246

EDITORETC&C srl

Strada Setteponti Levante 11452028 Terranuova Bracciolini (AR)

Tel +39 055 9172741Fax +39 055 9170872

DIRETTORE RESPONSABILEMichele Criscitiello

DIRETTO DAFABRIzIO PONCIROLI

REDAzIONEMarco Conterio, Luca Bargellini,

Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei,

Lorenzo Marucci

HANNO COLLABORATOSergio Stanco, Simone Toninato,Stefano Borgi, Gabriele Porri,Antonio Vitiello, Tania Esposito,Thomas Saccani, Alessio Alaimo,

Paolo Bardelli

FOTOGRAFIE Image Photo Agency

(imagephotoagency.it), Liverani, Federico De Luca, Photoview, Balti/

Photoviews, Aleksandr Dal Cero

REALIzzAzIONE GRAFICATC&C S.r.l.

STATISTICHE Redazione Calcio2000

CONTATTI PER LA PuBBLICITà:e-mail: [email protected]

STAMPATiber S.p.A.

Via della Volta, 179 - 25124 Brescia (Italy) Tel. 030 3543439

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DISTRIBuzIONEPieroni S.r.l.

via Carlo Cazzaniga, 1920132 Milano

Tel 02 25823176Fax 02 25823324

www.calcio2000.it

6 LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli

8 INTERVISTA ESCLuSIVA CLAUDIO MARCHISIO di Cristina Guerri

18 INTERVISTA ESCLuSIVA PANAgIOTIS TACHTSIDIS di Lorenzo Marucci

28 INTERVISTA ESCLuSIVA DIEgO AgUIRRE di Marco Conterio

36 SPECIALE BOMBER gLI ARTISTI DI TESTA di Fabrizio Ponciroli

42 SPECIALE COPPA D’AFRICA 2015 di Fabrizio Ponciroli

52 SERIE B - MODENA di Alessio Alaimo

54 LEGA PRO - PISA di Sergio Stanco

56 SERIE D - LAVAgNESE di Simone Toninato

58 I RE DEL MERCATO DAVIDE LIPPI di Gaetano Mocciaro

68 I GIGANTI DEL CALCIO STEFANO TACCONI di Antonio Vitiello 78 STORIA CHAMPIONS LEAgUE 1972/73 di Gabriele Porri

82 ACCADDE A... FEBBRAIO di Paolo Bardelli

84 DOVE SONO FINITI? FRANCO SELVAggI di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI86 SPAgNA di Thomas Saccani88 INgHILTERRA di Luca Manes90 gERMANIA di Flavio Sirna92 FRANCIA di Renato Maisani

94 IL TIFO RACCONTA di Thomas Saccani

98 SCOVATE da CARLETTO RTL

NuMERO CHIuSO IL 30 DICEMBRE 2014

IL PROSSIMO NuMERO sarà in edicola il 15 FEBBRAIO 2015

SOMMARIO N.206

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UTILE CONSIgLIOCaro direttore,innanzitutto devo farle una doverosa premessa: non sono un abituale lettore di Calcio2000, lo compro una volta ogni 2/3 mesi. Non mi giudichi male, sono studente e non ho molto tempo libero. Quando lo compro però lo apprezzo molto e vorrei perciò cercare di dare il mio piccolo “contributo”: il mio consiglio è di indicare in copertina più articoli presenti nel numero. Ad esempio, di questo numero dalla copertina leggo solo di Pazzini, Maxi Lopez, Pasqualin e Robur Siena; ma a

me sono interessati molto anche e soprattutto l’intervista a Sarri e Panucci. Quindi, suggerisco di fare una copertina più “varia”. Ciao!Massimo, mail firmata

Caro Massimo, consiglio utilissimo e condivisibile. Ci provere-mo, anche se abbiamo sempre problemi di spazio e quindi non è semplice coniugare il tutto, ma la tua mail ci sarà sicuramente utile e ne parleremo internamente. Come sanno tutti, ascolto sempre il parere di chi legge la nostra/vostra rivista, anche se una volta ogni tanto…

HO RIPENSATO A LEI…Egregio Direttore,

seguo Calcio2000 dai tempi di Bartoletti, quindi mi posso permettere di darle del tu, vero? Mi mancano terribilmente le statistiche, spero troverai una soluzione in tempi brevi.

Pensa che dovevamo avere circa 20’ per fare tutto, intervi-sta e foto, ma è rimasto molto tempo di più, accontentandoci su tutto quanto e parlando di calcio amabilmente, come solo lui sa fare.

INTER, CHE DISASTRODirettore Ponciroli,sfogo veloce: Inter disastrosa. Mazzarri, Mancini, il Signore che ci comanda. Non cambierebbe nulla. Siamo SCARSI ed è un dato di fatto. Secondo me manco in Europa League finia-

mo. Se penso alla squadra che ha vinto il Triplete mi rattristo enormemente… Speriamo in un miracolo, ma ci spero poco!!!Luca, mail firmata

Troppo pessimista caro Luca. L’Inter non è scarsa, è il calcio italiano che si è livellato di molto negli ultimi anni. Ho paura che gli squadroni come la tua Inter del Triplete non li rivedremo per tanto tempo. Mazzarri non era uno stupido e Mancini non è uno sprovveduto e, soprattutto, ha l’ambien-te dalla sua. Secondo me l’Inter se la giocherà con tutte le altre per il terzo posto.

TOP 11 gIOVANIDirettore,la seguo su TMW e anche, ovviamente, su Calcio2000. Gesti-

sco un paio di blog e volevo un suo parere. Mi dice la sua Top 11 dei migliori giovani del nostro calcio? Italiani e stranieri,

non fa differenza. Mi farebbe veramente felice avere la sua Top 11, quella di un grande esperto di calcio. Scusi il disturboMattia, mail firmata

Grazie per “l’esperto” e non disturbi affatto. Allora vado secco con un 4-3-3 decisamente offensivo e, per scelta, a tinte piuttosto azzurre: Sportiello (Atalanta - 1992); Zappa-costa (Atalanta – 1992), Romagnoli (Sampdoria – 1995), Rugani (Empoli – 1994), Biraghi (Chievo – 1992), Bertolacci (Genoa – 1991), Pogba (Juventus – 1993), Kovacic (Inter – 1994), El Shaarawy (Milan – 1992), Destro (Roma – 1991), Morata (Juventus – 1992). Ho lasciato fuori diversi nomi importanti, impossibile metterli tutti.

ANCELOTTI TORNERA’ MAI?Buongiorno Direttore,non so cosa ne pensa lei ma è bellissimo vedere un italia-no trionfare nel mondo. Il Real Madrid sta vincendo tutto e Ancelotti è al comando di questa incredibile squadra. Io sono un vecchio tifoso rossonero e, lo ammetto, mi manca molto Ancelotti. L’ho apprezzato più quando se ne è andato, rispetto a quando era da noi. Le faccio una domanda: secondo lei tornerà mai ad allenare il Milan? Se sì, come lo vedrebbe? Grazie e si ricordi delle statistiche… Buone FesteEmo, mail firmata

Caro Emo (diminutivo di Emilio?), Ancelotti è un grandissi-mo… Sta tendendo alto il nome degli allenatori italiani nel mondo. Al Real Madrid hanno capito che uno come Ancelotti, capace di tenere saldo uno spogliatoio pieno di stelle, non lo si trova facilmente. Tornare al Milan? Mai dire mai anche se credo che ormai il suo tempo rossonero siano terminato… Comunque, dovesse tornare, credo farebbe bene, come ha fatto ovunque è stato, anche alla Juventus, dove non ha magari incantato ma ha pur sempre lasciato il suo segno, quello di un allenatore dalle qualità umane uniche (non ricordo un singolo suo giocatore che ne abbia mai parlato male).

LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio PONCIROLI - foto Image Sport

Veniamo a noi. So che sei un grande collezionista di figuri-ne. Qualche tempo fa mi è tornato tra le mani l’album dei Calciatori del 1982/83, quello post Mondiale vinto. Mam-ma quanti ricordi, Io ho 45 anni e mi ricordo perfettamente quel Mondiale. Ho sfogliato le varie squadre e ho notato che avevamo davvero tantissimi campioni fatti in casa. Credo che l’unica soluzione sarebbe tornare a 2/3 stranieri massimo per squadra. Solo così torneremmo grandi per davvero. Mi aspet-to una tua risposta, anche in privato…Leonardo, mail firmata

No, che bell’album… Io ho cinque anni di meno, ma ho perfettamente in mente quell’album e l’emozione che ho provato quando l’ho completato!!! Impagabile emozione. Tornare a due/tre stranieri per squadra? Impossibile, lo sai bene che il calcio è cambiato, come tutto il resto della nostra vita. Siamo in un mondo globale, non c’è modo di invertire la rotta. Ecco, da amante del patrimonio calcio azzurro, adoro vedere un Sassuolo pieno zeppo di italiani, questo non lo nascondo…

CHE BELLA L’INTERVISTA A ZEMANCaro Direttore,mi ha fatto contento. Fedele seguace di zeman dai tempi in cui faceva impazzire tutti al Foggia, mi ha fatto un piace-re enorme vederlo in copertina. Se lo merita, zeman è un vero maestro di calcio. In tanti non lo hanno capito e non lo capiscono ancora oggi. Non ha vinto nulla, non lo nascondo, ma chi ci ha fatto divertire più di lui? Secondo me nessuno. Davvero una bellissima intervista. Ma è davvero così calmo e tranquillo come appare ogni volta che lo intervistano? Mi racconti, la prego…

Federico, mail firmata

Bene, sono contento che sia piaciuta. Non è stato facile decidere di metterlo in copertina. È un anti personaggio, forse quello per eccellenza ma, come dici tu, meritava la cover, almeno una volta nella storia di Calcio2000. Vero, ci ha fatto divertire tantissimo (e ha scoperto tanti campioni) ma, nel calcio, conta soprattutto vincere. È stato gentilissimo.

PER SCRIVERCI: [email protected]

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IL PRINCIPE BANDIERA

FUORICLASSE DELLA JUVENTUS, HA UN SOGNO RICORRENTE: DIVENTARE IL NUOVO SIMBOLO

DELLA VECCHIA SIGNORA…

di Cristina GuERRI

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CLAUDIO MARCHISIOCOPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

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ANIMA BIANCONERAMarchisio è il presente

e il futuro della Juve

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

er diventare bandie-ra c’è tempo. Anche se si indossa la ma-glia della squadra del cuore, la Juven-tus, da ben 22 anni. Claudio Marchisio

incarna il DNA bianconero al cento per cento e quello del centrocampista dutti-le e completo. Testa sulle spalle, marito e papà di due bimbi. Pochi grilli per la testa, se non per l’abbigliamento, im-peccabile ed eccentrico. Tutto questo è il numero 8 della Juventus e della Na-zionale.

La prima parte del campionato è or-mai andata. Bilancio positivo?“I bilanci un calciatore li fa basandosi sull’annata precedente. La scorsa stagio-ne sono partito stirandomi il collatera-le, non posso quindi che essere felice di come stiano andando le cose adesso. Mi sono fatto trovare pronto, presente. Non sono solo soddisfatto a livello personale, però. Sono arrivati risultati importanti nonostante il cambio di allenatore e di staff tecnico”.

Da Conte ad Allegri il passo è stato breve e sorprendente.“Allegri ha ereditato una situazione im-portante, perché prendere in mano una squadra dopo tre Scudetti consecutivi, record di punti e quant’altro non sareb-be stato facile per nessuno. Anche per le tempistiche. Conte ha dato le dimissioni praticamente a stagione iniziata. Allegri e noi calciatori siamo stati bravi a legare fin da subito”.

PLA FORZA DELLA DUTTILITA’

Centrocampista completo,con anche il vizio del gol“”Ci sono talmente

tanti tifosijuventini fuorida torino, fuoridal Piemonte Che durante ogni trasferta

troviamo tanto seguito

Di una cosa, Allegri, è certo: l’impre-scindibilità di Claudio Marchisio.“Nasce tutto dalla duttilità che ho in campo. Ho ricoperto sempre più ruoli. E con il passare del tempo sono riuscito a migliorare sempre di più”.

Tra tutti i ruoli, vedi mezzala, trequar-tista, esterno e regista quello preferito rimane?“Mi considero sempre una mezzala per caratteristiche fisiche, corsa e capaci-tà tattiche. Anche se devo dire che ne-gli ultimi mesi le buone prestazioni mi hanno portato a credere che la posizio-ne davanti alla difesa possa piacermi. Cambiano i compiti che l’allenatore e i compagni ti chiedono, totalmente. Ma i risultati sono gratificanti”.

Altre differenze tra Conte e Allegri. Urla a parte.“Le urla sono una questione caratteria-le, né positiva né negativa. È cambiato il modulo, siamo passati alla difesa a quattro, ma anche il modo di interpre-tare la partita. Prima cercavamo di far male all’avversario il più in fretta pos-

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sibile, adesso costruiamo un calcio più ragionato. Gestiamo la partita con molta più tranquillità e non con la frenesia che, a volte, ci ha portato via energie impor-tanti, se guardiamo alle tante partite da giocare durante l’anno”.

Da allenatore a ct. Lo vede con occhi diversi Antonio Conte?“Per il tecnico della Nazionale cambia il rapporto con la squadra. Ha pochi gior-ni per lavorare assieme al gruppo, non può fare sul campo quello che farebbe in un club. Anche i discorsi non possono essere gli stessi che farebbe ogni giorno. In Nazionale è tutto molto concentrato, si giocano due partite in 10 giorni e ci deve essere la massima disponibilità da parte di tutti”.

I suoi compagni in azzurro cosa pen-sano di Conte?“Durante i suoi anni alla Juve c’era molta curiosità da parte del gruppo della Na-zionale nei confronti di un mister dipinto come uno maniacale sul lavoro e in un

certo senso rivoluzionario. Col 3-5-2 sia-mo arrivati a vincere tre Scudetti di fila. Adesso anche fuori dal blocco Juve tutti possono capire sulla loro pelle quanto sia preparato Conte”.

Dal fenomeno Conte al fenomeno Pogba.“L’esplosione sarebbe arrivata anche se non mi fossi infortunato. Stiamo parlan-do di un talento puro, che ha ancora tan-tissimo margine di miglioramento. Ha la fortuna di crescere in un ambiente giusto, perché la Juventus non sbaglia a far cre-scere i giovani talenti. Li fa maturare in maniera tranquilla, senza tanti grilli per la testa, e in questo senso anche la città di Torino aiuta”.

Più di 20 anni alla Juventus. Quando non ha più fatto effetto ritrovarsi nel-lo spogliatoio con grandi campioni?“Devo dire che ho sempre vissuto tutte le situazioni abbastanza serenamente. An-che se ero un ragazzino quando sono ar-rivato in prima squadra c’era il rischio di

“”Penso di avere anCora qualChe anno davanti,ma diventareil simbolo di questa squadraè il mio sogno

Data Competizione Partita Risultato Gol foto

24.01.2009 Serie A Juventus-Fiorentina 1-0 128.02.2009 Serie A Juventus-Napoli 1-0 124.05.2009 Serie A Siena-Juventus 0-3 119.09.2009 Serie A Juventus-Livorno 2-0 105.12.2009 Serie A Juventus-Inter 2-1 102.05.2010 Serie A Catania-Juventus 1-1 112.09.2010 Serie A Juventus-Sampdoria 3-3 119.09.2010 Serie A Udinese-Juventus 0-4 130.01.2011 Serie A Juventus-Udinese 1-2 102.02.2011 Serie A Palermo-Juventus 2-1 111.09.2011 Serie A Juventus-Parma 4-1 102.10.2011 Serie A Juventus-Milan 2-0 2 N29.10.2011 Serie A Inter-Juventus 1-2 120.11.2011 Serie A Juventus-Palermo 3-0 1 M04.12.2011 Serie A Juventus-Cesena 2-0 1 L08.12.2011 Coppa Italia Juventus-Bologna 2-1 117.03.2012 Serie A Fiorentina-Juventus 0-5 1 I22.04.2012 Serie A Juventus-Roma 4-0 102.05.2012 Serie A Juventus-Lecce 1-1 107.10.2012 Serie A Siena-Juventus 1-2 107.11.2012 Champions L. Juventus-Nordsjaelland 4-0 1 H01.12.2012 Serie A Juventus-Torino 3-0 2 G16.12.2012 Serie A Juventus-Atalanta 3-0 112.02.2013 Champions L. Celtic Glasgow-Juventus 0-3 1 F16.03.2013 Serie A Bologna-Juventus 0-2 1 E28.04.2013 Serie A Torino-Juventus 0-2 1 D12.01.2014 Serie A Cagliari-Juventus 1-4 116.02.2014 Serie A Juventus-Chievo 3-1 128.04.2014 Serie A Sassuolo-Juventus 1-3 1 C18.05.2014 Serie A Juventus-Cagliari 3-0 1 B13.09.2014 Serie A Juventus-Udinese 2-0 1 A

* Aggiornati al 18/12/14

TUTTI I gOL DI MARCHISIO

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UN VINCENTE NATODa quando calcia unpallone, sogna sempredi trionfare...

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

Estate 2007, l’Empoli fa grandi affari con la Juventus. A Torino, per nove milioni di euro, ci va Almiron, centrocampista di ottime qualità. Ai toscani finiscono Piccolo (compartecipazione), Volpa-to (compartecipazione), Giovinco (prestito) e un certo Marchisio (prestito). Il tecnico di quell’Empoli imbottito di giovani è Cagni. Sarà lui a forgiare il giovanissimo Marchisio, dandogli la pos-sibilità di cimentarsi con il grande calcio. Un’occasione che il Principino coglierà al volo, diventando, sin dalle prime giornate, un punto fermo della squadra toscana. Abbiamo sentito Cagni per farci raccontare di quel campioncino in erba che tanto gli è rimasto in mente…

Buongiorno Cagni, tuffo nel passato… Parliamo di Marchi-sio, giovanissimo suo giocatore ad Empoli…“Guardi, dopo una settimana gli ho detto che avrebbe giocato in Nazionale. Lo avrebbe detto chiunque vedendolo giocare e osser-vandone la grandissima personalità…”.

Era già così forte a 20 anni?“Non parlo tanto dal punto di vista tecnico che era già, a quel tempo, elevatissimo, mi riferisco soprattutto al carattere. Gran-dissimo professionista, sveglio, con una personalità fortissima e le idee chiare. Impressionante per un ragazzo di 20 anni”.

Quindi non si sorprende nel vederlo a questi livelli al giorno d’oggi?“Assolutamente no, lo si vedeva già allora che aveva qualcosa di speciale. Mi ricordo che, quando ci parlavo, restavo senza parole

nel vedere la sicurezza che aveva. Già allora aveva deciso tutto, sapeva cosa fare, dentro e fuori dal campo. E, signori, la perso-nalità non si compra, è una dote più unica che rara”.

Pensa che sia o sarà la nuova bandiera della Juventus?“Guardi, io credo che Marchisio sia un giocatore a cui interessa vincere. Se la Juventus gli permetterà di puntare in alto e non vedo perché non dovrebbe, allora resterà con felicità alla Juventus. Se mai dovesse capire di non poter vincere in bianconero, non penso che avrebbe problemi a rimettersi in gioco altrove. È un vincente e vuole vincere”.

Marchisio è un giocatore duttile, altra dote unica?“Beh, questo sa fare davvero tutto. Ovunque lo metti rende sem-pre al massimo. Sa difendere, impostare, corre come pochi altri e sa segnare con grande continuità. Mi dica lei se c’è qualcuno in giro come lui? Io non li vedo, anche se, a mio giudizio, lui è mo-struoso nel ruolo di mezzala di sinistra. In quel ruolo è devastante, il migliore al mondo, almeno a mio giudizio”.

E come lo vedrebbe come futuro capitano della Juventus?“Benissimo, è un ragazzo, anzi un uomo, che sa affrontare qual-siasi situazione, sempre a testa alta. Parliamo di una persona con valori veri che non avrebbe problemi ad interfacciarsi con nessuno, neppure con il presidente degli Stati uniti”.

Insomma, Marchisio era un predestinato, lo conferma anche Cagni…

“SI VEDEVA CHE ERA UN CAMPIONE”Di Fabrizio PonciroliCAGNI È STATO L’ALLENATORE DI MARCHISIO AI TEMPI DELL’EMPOLI E IL RICORDO È DECISAMENTE POSITIVO…

L’ANNO TOSCANOLa sua prima stagionein A è stata in maglia

Empoli nel 2007/08...

IL VECCHIO MAESTROCagni ha avuto Marchisio

all’Empoli, stagioneda applausi

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

Nato a Torino e stella della Juventus, di fatto il massimo… In un calcio, quello di oggi, in cui è sempre più difficile e complicato vedere giovani, del proprio vivaio, diventare titolari in Prima squadra, Marchisio è la classica eccezione che fa ben sperare. Considerato uno dei più forti e completi centrocampista in circolazione (non a caso è cercato, spesso, dai maggiori club europei), Marchisio ha avuto il primo approccio con il bianconero a soli sette anni. Le giovanili con la Juventus sono ricche di successi. Lui indossa anche la fascia da capitano, a conferma della sua enorme sicurezza, in campo e fuori. Complice la retrocessione in Serie B della Juventus, a 20 anni, viene lanciato in Prima squadra dall’allora tecnico Deschamps (prima gara, da titolare, in campionato, contro il Brescia). Alla fine saranno 26 le presenze (compresa una, la prima in assoluto, in Coppa Italia). L’anno successivo viene parcheggiato all’Empoli dove, nonostante la retrocessione del club in cadetteria, si diverte e diverte. Il 2008 è l’anno della svolta. La Juventus decide di puntare su Marchisio e la scelta si rivela azzeccata. Il 24 gennaio 2009 si regala una gioia immensa, ossia segnare la rete decisiva alla Fiorentina (suo primo gol da professionista), squadra non amatissima, per usare un eufemismo, dai bianconeri. Dalla stagione 2008/09 non gioca mai meno di 32 gare stagionali, diventando un giocatore essenziale. Segna tanto (ben 10 reti nella magnifica annata 2011/12, nove in campionato e tutte su azione) ed è sempre utilissimo in campo. Una manna. Normale che gli vengano aperte anche le porte della Nazionale (esordio, a Basilea, il 12 agosto 2009, contro la Svizzera). E anche la bacheca inizia a farsi importante. Ad oggi il Piccolo Lord si è già assicurato tre Scudetti e due Supercoppe Italiane e, l’impressione, è che sia solo l’inizio…

Stagione Squadra Presenze Gol Rigori Rossi Trofei

2006-2007 Juventus 26 - - 1 12007-2008 Empoli 26 - - - -2008-2009 Juventus 32 3 - - -2009-2010 Juventus 35 3 - - -2010-2011 Juventus 41 4 - - -2011-2012 Juventus 39 10 - - 12012-2013 Juventus 40 8 - - 22013-2014 Juventus 43 4 - - 22014-2015 Juventus 20 1 - - -

TOTALE 276 33 0 1 6

* Aggiornata al 18/12/14

LA CARRIERA DI MARCHISIO

BIANCONERO DA SEMPRE…Di Fabrizio PonciroliUNA STAGIONE LONTANO DALLA JUVE, PROPRIO COME DEL PIERO, MA SEMPRE CON LA VECCHIA SIGNORA NEL CUORE…

non sentirmi a mio agio, ma grazie all’a-iuto dei tanti campioni presenti in squa-dra, vedi Buffon, Trezeguet, Del Piero e Camoranesi, questo non è successo. A distanza di qualche anno, adesso questo ruolo lo stiamo ricoprendo io e Chielli-ni, i sopravvissuti alla Serie B. La nostra esperienza può servire ai vari Pogba, Coman, Mattiello, per fare qualche nome dei ragazzi che hanno più talento alla Juve”.

Ruolo di chioccia assodato,dunque. Quello di bandiera bianconera arri-verà?“Quando si parla di bandiera vuol dire che si è vicini alla pensione. Penso di avere ancora qualche anno davanti, ma diventare il simbolo di questa squadra è il mio sogno. L’essere bandiera non significa comunque passare tanti anni nella stessa società. Conta quel che dai, e come lo dai. E lo spirito che arriva ai tifosi. Mi ricordo di giocatori che sono stati pochi anni alla Juventus rispetto ad

altri, ma hanno fatto breccia nel cuore dei tifosi”.

Cosa significa giocare nel club allo stesso tempo più amato e odiato d’I-talia?“Siamo la squadra più contestata, ma c’è anche tanto affetto intorno a noi. Ci sono talmente tanti tifosi juventini fuori da To-

rino, fuori dal Piemonte che durante ogni trasferta troviamo tanto seguito. La Juve, del resto, o la si ama o la si odia. E quan-do giochiamo in casa possiamo sempre contare su uno stadio stupendo”.

Lo Juventus Stadium come simbolo di un progetto…“C’è voluto tempo e pazienza. Dopo la Serie B la Juventus ha vissuto sulla pro-pria pelle un lungo periodo di transizio-ne. E i risultati, non parlo solo di quelli sportivi, sono arrivati solo in questi ultimi anni. Adesso molte società cercano di intraprendere il nostro stesso percorso a livello manageriale; si parla di stadi nuo-vi, di marketing, di cercare di esportare il proprio marchio in altri Paesi”.

Insomma, tutti emulano la Juventus, una società con il DNA vincente, proprio come il suo Principe, quel Marchisio che, stagione dopo stagione, ne sta diven-tando la nuova bandiera. A volte i so-gni si avverano, basta crederci…

“”Prima CerCavamodi far male

all’avversario il Più in fretta Possibile, adessoCostruiamo un CalCio Piùragionato

ANCHE MODELLOMarchisio è ambitoanche da tante aziendeper la sua innegabileeleganza...

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GRECO DI QUALITA’Classe 1991, giocain Italia dallontano 2010...

INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS

IL gEOMETRA DELL’HELLAS

IN POCHI HANNO LA VISIONE DI GIOCO DI TACHTSIDIS, LO SANNO

BENE I TIFOSI DEL VERONA…

di Lorenzo MARuCCI

foto Aleksandr DAL CERO

INTERVISTA

PANAGIOTIS TACHTSIDIS

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n gigante buono. È l’impressione che dà di sé all’esterno Panagiotis Tachtsid-is, almeno fuori dal campo. Perché poi, quando arriva il fi-

schio d’inizio, non fa sconti a nessuno, contrastando, rubando palla e provan-do a gettarsi nell’area avversaria. Ma nei momenti liberi il giocatore greco sembra gradire la tranquillità, lonta-no dalle luci della ribalta. Non ama le interviste, preferisce far parlare il campo. In questa chiacchierata però racconta moltissimo di sé e dei suoi ini-zi in Italia. Senza tralasciare qualche curioso e gustoso aneddoto sul suo tra-sferimento alla Roma, avvenuto – pare – a sua insaputa. Seduto sulla panchina del centro sportivo del Verona, in mez-zo alla quiete di Peschiera del Garda, parla anche delle sue passioni extra-calcistiche, dei suoi sogni, delle sue aspirazioni.

Sei in Italia da quattro anni. Contento di essere nel nostro Paese?“Sono cresciuto nell’Aek Atene e da ra-gazzino dicevo sempre dentro di me che

un giorno mi sarebbe piaciuto andare a giocare all’estero. Nel 2010 scadeva il mio contratto con l’Aek e nessuno mi aveva ancora chiamato per rinnovarlo. A gennaio arrivò l’offerta del Genoa e ap-pena seppi questa notizia dissi,“Questo è il biglietto per il mio sogno. Lo prendo subito”, e infatti non persi l’occasione e oggi eccomi qui ancora in Italia, felice e pieno di energia”.

Ripartiamo proprio da quando sei ar-rivato nel nostro Paese. Come fu l’im-

patto?“Ero giovane, non avevo neanche vent’an-ni e volevo giocare subito. Sognavo di trovare spazio e di impormi velocemente all’attenzione generale. Speravo di ac-quistare subito la fiducia necessaria per partire bene. Dopo il primo mese di ritiro con il Genoa sono stato ceduto in prestito al Cesena. Ma era dura farsi largo in una squadra che aveva già le sue certezze”.

E dunque che successe?“Dopo sei mesi senza giocare, sono finito in Serie B al Grosseto. E mi sono accorto subito che le partite erano più difficili che in Serie A, più complicate. In A ci sono più spazi, la qualità è superiore e il cal-cio è un po’ più spettacolare”.

Ma l’esperienza al grosseto come è stata?“Non del tutto positiva, giocai poco e alla fine volevo addirittura lasciare l’I-talia. Durante l’estate avevo pensato che forse non era il caso di tornare e iniziare un’altra avventura. Non mi trovavo bene, non mi ero ambientato, avevo perso un po’ di convinzione. Credevo che forse sarebbe stato meglio restare in Grecia e attendere magari altre chance”.

INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS

A VERONA PER SFONDARECon l’Hellas ha

intenzione dilasciare il segno...

“”Zeman? mi ha insegnato tanto. fin dall’iniZiomi Chiedeva di attaCCare. ho imParato anChe l’idea di una

vertiCaliZZaZionePiù veloCe

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Che accadde allora?“Parlai con Mandorlini, e poi anche il mio procuratore mi convinse a provare al Ve-rona. Appena arrivai in squadra trovai subito organizzazione e serietà, oltre che un bellissimo gruppo. L’allenatore non guardava ai nomi dei giocatori ma mandava in campo chi stava bene e chi dimostrava di essere in forma durante gli allenamenti della settimana”.

Per te insomma è iniziata una nuova fase della tua carriera?“Sì, fin dal ritiro mi sono sentito bene, carico, entusiasta. E pian piano ho anche cambiato idea sull’Italia”.

Alla fine del campionato sei risultato il miglior giocatore della B, superio-re anche a Verratti. Che effetto ti ha fatto?“Fu una stagione bellissima, disputammo un campionato eccezionale arrivando ai play off. Peccato che qualche errore ar-bitrale ci penalizzò. Nella semifinale ad esempio il Varese doveva finire la partita in dieci, avremmo potuto vincere e poi giocarcela poi in finale. Quanto al resto, sono stato ovviamente contento di essere stato ritenuto il migliore della B, merito comunque anche della squadra”.

L’approdo alla Roma invece come fu?“In realtà io non sapevo assolutamente niente. Ero in vacanza in Grecia, a Skia-thos, con la mia fidanzata. Avevo il tele-fono con me, ma lo avevo messo da par-te, senza guardarlo per un po’. Quando andai a riprenderlo notai che c’erano state parecchie chiamate da parte del mio procuratore. Lo richiamai e gli chiesi che fosse successo. Mi disse di preparar-

“”sono innamorato di verona,

dell’ambiente,dei tifosi,della Città,della squadra, della dirigenZa.

mi fanno sentire bene

SEMPRE ITALIADopo l’esperienzaalla Roma potevaandare all’esteroma ha decisodi restare...

INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS

Ha 23 anni ma ha già una carriera di tutto rispetto alle spalle. Fa parte della nazionale greca e ha avuto la possibilità di giocare con grandi campioni. Se lo è meritato ovviamente, grazie alle sue qualità e alla sua voglia di imporsi. Alla Roma, naturalmente, ha avuto l’opportunità di entrare a far parte di un gruppo di assoluta qualità, ma ciò che colpisce, guardando le squadre in cui ha militato, è un altro par-ticolare: ha potuto giocare insieme ad attaccanti straordinari. Già al Grosseto - alla sua prima vera esperienza in Italia, in B - è potuto scendere in campo insieme a Ciro Immobile, ancora abbastanza giovane e che si stava lanciando nel grande calcio: non a caso quell’anno l’attuale giocatore del Borussia realizzò un solo gol. Alla Roma si è trovato accanto ad attaccanti di valore assoluto: non soltanto Totti ma anche Osvaldo, autore, in una stagione non straordinaria per la Roma, di ben sedici reti. E poi Erik Lamela il gioiellino che il club capitolino aveva acquistato per diciotto milioni dal River Plate e che in quella stagione realizzò quindici reti. Senza contare poi Mattia Destro, altro attaccante di gran valore. Al Torino l’anno passato ha ritrovato Immobile, stavolta attaccante maturo completo e non a caso capace di vincere la classifica cannonieri. E quest’anno al Verona, altra squadra, altri attaccanti. Su tutti, Luca Toni, un giocatore che ormai conosce l’area di rigore come pochi altri e che in quanto ad esperienza può regalarne in quantità industriali. Ma non basta, perché comun-que nel Verona ha trovato pure un altro calciatore dalla carriera straordinaria. Javier Saviola, arrivato al Verona in estate, è uno di quei giocatori in grado di insegnare tanto, sotto tutti i profili. A giudicare da tutti questi nomi, dalle loro qualità e dal loro curriculum c’è da credere che Tachtsidis possa aver appre-so qualcosa da ognuno di loro. I buoni maestri non gli sono mancati e anche se questi giocatori non hanno ricoperto e non ricoprono il suo stesso ruolo, l’insegnamento è stato utile lo stesso. Quanto meno potranno avergli suggerito qualche trucco per il gol. Non è un caso, del resto, se quest’anno la sua media-reti si è già alza-ta...

COMPAgNI DI VALOREDi Lorenzo MarucciNONOSTANTE SIA GIOVANISSIMO, HA GIOCATO AL FIANCO DI TANTI CAMPIONI, IN PARTICOLARE ATTACCANTI DI VALORE ASSOLUTO…

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GRANDE DUTTILITA’ E CLASSENonostante la giovane età,Tachtsidis sa fare di tuttoin mezzo al campo...

INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS

È arrivato in Italia nel 2010, Panagiotis Tachtsidis: dopo essere cresciuto nelle giova-nili dell’Aek Atene con cui ha esordito in campionato non ancora sedicenne, è stato il Genoa a portarlo nel nostro campionato. Nella stagione 2010-11 il club rossoblù lo ha acquistato, salvo poi girarlo al Cesena in prestito con diritto di riscatto. In Ro-magna però non ha trovato mai spazio e nel mercato di gennaio è stato ceduto al Grosseto in Serie B dove finalmente inizia a giocare, anche se non con continuità. Michele Serena, all’epoca tecnico del Grosseto, lo manderà in campo per otto volte. Nell’annata successiva, però, la situazione cambia completamente per Tachtsisdis: passa in prestito al Verona e diventa immediatamente titolare. Andrea Mandorlini lo promuove sul campo e alla fine il greco giocherà ben 37 partite segnando anche due reti. Alla fine risulterà pure uno dei migliori giocatori della Serie B oltre che uno degli assoluti protagonisti del campionato dei gialloblù. L’ottimo rendimento di Tachtsisdis non passò inosservato nel mondo del calcio e su di lui mise pesantemen-te gli occhi anche Zdenek Zeman che stava per iniziare una nuova avventura da tecnico della Roma. Il boemo indicò alla dirigenza giallorossa una lista di rinforzi che comprendeva anche il greco: e infatti il centrocampista arrivò alla Roma con la formula della comproprietà e fece il suo esordio contro l’Inter il 2 settembre 2012, nel match vinto tre a uno dai giallorossi. Alla fine Tachtsisdis colleziona 21 presenze in campionato realizzando due reti, la prima delle quali contro il Bologna (finì 3-3). Nell’estate 2013 il Genoa lo riscatta e poi lo gira al Catania nell’ambito dell’ope-razione che ha portato Lodi in rossoblù, ma dopo dodici gare di campionato viene girato in prestito al Torino, con cui finisce la stagione giocando undici gare (un gol). Da quest’estate è in prestito al Verona: un ritorno al passato che per lui ha signi-ficato solo soddisfazioni, in un ambiente in cui si sente completamente a suo agio.

UNA CARRIERADI CORSA…Di Lorenzo MarucciPORTATO IN ITALIA DAL GENOA, È ORMAI UN GIOCATOREAFFERMATO NEL NOSTRO CAMPIONATO…

INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS

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QUANTE ESPERIENZECesena, Grosseto, Roma,

Catania, Torino e Verona,le squadre del greco

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Intervista di Lorenzo Marucci

“”mi PiaCeandare alCinema Congli amiCi egioCare a biliardo.Piatto

Preferito?la moussaka.la mangio in greCia e basta

SCARPE DA URLOPer ogni campione, avere delle scarpe che facciano la differen-za è essenziale. adidas ha lan-ciato una versione aggiornata della Nitrocharge: l’arma scel-ta dai giocatori a tutto campo, in questa versione fornisce loro ancora più protezione nel cuore dell’azione, così da permettergli di essere precisi, funzionali alla squadra e, soprattutto, decisi-vi. Il nuovo posizionamento della fascia energy-sling e un incre-mento dell’area con cuscinetti e mesh protettivi, garantiscono una stabilità impareggiabile.

mi perché dovevamo andare in Italia, a Roma. Fissammo davanti agli uffici della Roma. Mi spiegò che aveva un appunta-mento con il club e mi chiese di seguirlo. “Vieni anche te”, mi pregò. Andai con lui e quando entrammo vidi che tutti ini-ziavano a salutarmi. Ma io non capivo il motivo di tutte queste attenzioni. Poi è arrivato anche Sabatini che mi ha det-to: “Benvenuto”. Siamo andati avanti così per un po’ mentre il mio procuratore rideva e mi prendeva in giro. Alla fine ovviamente ho capito e ho firmato il con-tratto. È stata una bellissima sorpresa”.

E la tua famiglia che ti ha detto?“Anche loro si sono meravigliati, perché non se l’aspettavano. Ma erano felici”.

Come è stato l’impatto con la nuova realtà?“È stato tutto molto particolare perché fino a qualche tempo prima molti di quei giocatori li vedevo in tv. Essere nello spogliatoio con loro era una sensazione quasi strana. Ma al tempo stesso ovvia-mente è stata anche e soprattutto una gioia enorme”.

E con Zeman come è andata?“Ovviamente mi ha insegnato tanto. Fin dall’inizio mi chiedeva di attaccare. At-taccare ogni pallone. Ho imparato anche l’idea di una verticalizzazione più velo-ce. Per quanto riguarda gli allenamenti dopo tre settimane forse non capisci più niente, ma poi la domenica voli”.

Però hai vissuto una situazione dif-ficile con De Rossi. Sei stato in con-correnza con lui, uno dei simboli gial-lorossi e spesso Zeman ti ha anche fatto giocare da titolare mettendolo in panchina…“Daniele è un ragazzo bravo e buono e devo dire che mi ha aiutato sempre, dan-domi suggerimenti preziosi su come gio-care e come muovermi in campo. Sono finito in mezzo alla questione De Rossi-Ze-man, ma io non c’entravo niente. Ho pa-gato una cosa che era al di sopra di me. Ricordo che all’inizio, in ritiro, in America giocai bene in amichevole e tutti erano contentissimi. Poi è spuntata quella querel-le e allora la situazione è cambiata anche

per me. Ovviamente non puoi arrivare in una nuova realtà e prendere stabilmente il posto di un capitano come De Rossi”.

Con Totti com’era il rapporto?“Molto bello, perché Francesco è così come lo vedi. Ce ne sono pochi come lui. un personaggio umano. E poi giocatori forti così non si incontrano più”.

Dopo l’esperienza alla Roma che pro-spettive c’erano per te?“Avevo offerte per andare a giocare in Germania o in Inghilterra, ma alla fine ho accettato di andare al Catania, anche perché speravo di mettermi in mostra in vista del Mondiale. Ma non è stata una bella avventura, tanti problemi anche fisici mi hanno condizionato e frenato. Maran ha lavorato bene ma i risultati non arrivavano”.

Cominciava a temere di perdere il Mondiale?“Ho parlato col CT e mi ha detto di tro-varmi un’altra sistemazione dove avrei potuto essere protagonista. Così ho pro-vato a vedere cosa potesse saltar fuo-ri. Sognavo di tornare a Verona, ma è spuntato il Torino e tutto sommato è stata una buona esperienza. Ventura aveva il suo modulo e le sue idee di gioco: ho im-piegato un po’ di tempo per integrarmi e inserirmi ma poi ho avuto spazio e ho giocato con discreta continuità”.

Adesso di nuovo Verona: è casa tua?

“Sì, perché mi sono innamorato di questa città, dell’ambiente, dei tifosi, della città, della squadra, della dirigenza. Mi fanno sentire bene, e si vede anche in campo”.

A proposito: qualche mese fa hai se-gnato il gol vittoria del Verona contro il Cagliari di Zeman…“È stato emozionante in tutti i sensi, fare gol al novantesimo non capita sempre… A fine partita ho visto Zeman negli spogliatoi e mi ha detto che era contento per me”.

Facciamo un passo indietro e raccon-taci dei tuoi idoli calcistici da bambino. “Guardavo il calcio alla tv e Ronaldo, all’Inter, mi faceva impazzire. Totti era e resta un fenomeno. In Italia però non ti-favo per nessuna squadra in particolare. Poi mi piacevano Vieira e zidane. Ecco, zizou era un mio idolo, ma più nel perio-do in cui giocava al Real Madrid. In Gre-cia invece mi piaceva molto Akis zikos (centrocampista che ha giocato nell’Aek Atene e in Francia nel Monaco, ndr)”.

Quali sono le tue passioni?

“Prima di tutto il mio cane Victor. Passo molto del mio tempo con lui, faccio di tutto per giocarci. È un rottweiler. Mi fa recuperare se la giornata è stata stres-sante, con lui i problemi passano”.

Fidanzato?“No, sono libero. Sto bene con il mio cane”.

Altri hobby?“Mi piace andare al cinema con gli amici e giocare a biliardo”.

Il piatto greco preferito?“La Moussaka (sformato di melanzane e carne, ndr). Ma la mangio in Grecia e basta”.

E in Italia cosa mangi?“La cucina è ottima. Mi piace la pasta, la carne, il pollo. A casa non sto quasi mai, vado sempre al ristorante vicino a casa mia, mi trovo benissimo”.

Hai comprato casa?“Sì, qui a Peschiera. Ormai sono diventa-

to uno del paese”.

Il calcio greco che momento sta vi-vendo?“In Europa le squadre cercano di riemer-gere. Purtroppo la crisi ha inciso, a livello europeo mancano grandi squadre come l’Aek o l’Iraklis. Ma ciò che non manca è il calore del tifo, la passione non cala”.

Ultima domanda: Verona a vita?“Qui sto benissimo. Certo, il calcio è stra-no e mi ha fatto vedere che possono ca-pitare tante cose. Ma Verona è Verona”.

CALCIO E VICTOROltre alla passioneper il calcio, adorapassare del tempo

con il suo rottweiler...

INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS INTERVISTA / PANAGIOTIS TACHTSIDIS

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ILTROTAMUNDO

HA SEGNATO IL GOL PIù IMPORTANTE DELLA STORIA DELLA LIBERTADORES. ED ORA È PRONTO PER UNA PANCHINA IN EUROPA.

di Marco CONTERIO

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IL PERSONAggIO

DIEGO AGUIRRE IL PERSONAggIO / DIEGO AguIRRe

SEMPRE ALL’ATTACCOEx bomber, anche datecnico gioca sempre

per vincere

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solo un caso che Diego Vicente Aguir-re sia seduto, in que-sto momento. Perché ha l’anima e gli occhi dell’uomo che non si ferma mai, che ha

voglia di conoscere. Di vivere. Dice “il calcio è la mia vita”, ma averne di storie così. Belle da ascoltare e da racconta-re. Una storia fatta di storie, dove tutto s’incrocia ed è nuova tappa, dove c’è una base del cuore chiamata Uruguay e tante tende piantate in giro per il glo-bo. Anche a El Salvador. “un’esperienza meravigliosa e straziante. una terra ric-ca di contraddizioni”. Ci arriveremo più tardi. Adesso sediamoci, una volta che Aguirre è qui per raccontare. Una volta che si è fermato, in una calda giornata di sole, a Roma.

Casa è sempre casa. E per lei sarà sempre l’Uruguay.“È una casa dove si respira calcio, dove c’è passione. L’unica cosa che muove i bambini fuori, per le strade, è la continua ricerca di un pallone. È una terra fatta di tradizione e storia, una miniera di gioca-tori. L’uruguay è il paese più futbolero del mondo”.

Così è stato per molti, così è stato per lei.“Mi piaceva giocare a calcio. Ed in uru-guay non è solo passione, è qualcosa che ti scorre nelle vene. Non facevamo altro e per questo decisi di farla diventare una professione. Studiavo medicina, ma il Peñarol mi prese dal Liverpool Mon-tevideo: smisi gli studi per dedicarmi al pallone ed è stata la miglior decisione della mia vita. E trent’anni dopo sono an-cora qui, non avrei immaginato di aver dedicato la mia vita al calcio. Ed è stato bellissimo”.

Il Peñarol, per l’Uruguay e per il Suda-merica, non è un club. È Il Club.“un sogno ed una grande responsabili-tà: il primo giorno non ci credevo, ero con campioni e miti assoluti come Bosio, Salazar, Sarallegui. Mi hanno permesso però subito di integrarmi, mi hanno dato l’opportunità di esser prima parte della squadra e poi della storia del club”.

Centoventi. Per lei, non è un numero qualsiasi.

“È il numero della Libertadores vinta con il Peñarol, con il mio gol. A quel minuto”.

È stato eletto il gol più pesante della storia della Libertadores.“Pareggiavamo zero a zero contro l’At-letico de Calì, in Colombia. Qualora fos-se finita così, avrebbero vinto loro. Era il centoventesimo minuto e nel tabellone scorreva il countdown che i tifosi colom-biani scandivano, tutti insieme. Dieci... Nove... Otto... Sette... Sei... Cinque... Quattro... Tre... Due... uno... Allo zero se-gnai, l’arbitro fischiò la fine e vincemmo noi la Libertadores. È stata un’emozione indescrivibile, sono hincha del club ed è stato pure il momento più alto, inimitabi-le, irripetibile, della mia carriera”.

Da lì, l’esperienza a Firenze.“Juan Figuer, l’agente, mi disse che c’era questa opportunità. Rimasi lì poco tem-po, non si potevano prendere più di due extracomunitari e la Fiorentina non poté tesserarmi. Però ho avuto modo di gio-care con grandi campioni”.

Baggio e Borgonovo.“Roberto era giovanissimo, ma già si in-travedevano le sue immense doti e quali-tà. E poi Stefano: un bravo ragazzo, una brava persona, un grande attaccante. Ho saputo in questi giorni della sua pre-matura scomparsa e della sua terribile malattia. Sono rimasto sconvolto. Ci al-lenava Eriksson, un grandissimo tecnico”.

Da lì altre esperienze in Europa, come Olympiakos e negli anni successivi Marbella.“Sono state esperienze belle, seppur bre-vi. In Grecia ero in un grandissimo club, in Spagna ero in Segunda, ma per ori-gini ed affinità mi sono trovato subito a mio agio”.

GRANDE CON IL PENAROLHa vinto sia da

calciatore che datecnico con il

“suo” club

“”baggio aveva qualità

infinite. borgonovo

era un grangioCatore e una grande Persona

ÈIL PERSONAggIO / DIEGO AguIRReIL PERSONAggIO / DIEGO AguIRRe

VISTO ANCHE IN ITALIAAguirre ha indossato,per un breve periodo,la casacca della Fiorentina

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“”doPo tanteesPerienZein giro Per il mondo,

sono Pronto Peruna PanChinain euroPa

Il suo giro del globo è fatto di tappe, di luoghi. Ma anche di grandi cam-pioni.“In Brasile, dove ho giocato con Interna-cional, San Paolo e Portugesa, ho gioca-to con campioni del mondo del calibro di Cafu, Rai, Leonardo, Taffarel. Leo l’ho rivisto in Qatar, durante un tour del suo PSG, mentre allenavo lì. Ci siamo rivisti dopo tantissimi anni ed abbiamo passato la serata insieme, a parlare come vecchi amici”.

Lei è un globetrotter, ma non ha mai messo radici.“Non mi sono mai consolidato come ban-diera, ho cambiato tanto perché a volte non giocavo, a volte non mi ambientavo, altre perché mi si presentavano nuove opportunità, altre perché avevo voglia di conoscere una nuova nazione. Però sono sempre stato parte di grandi spogliatoi, a contatto con grandi campioni e non ho rimpianti”.

Nel suo giro del Mondo, anche El Sal-vador, coi tigrillos del FAS.“Mi attraeva essere parte di un’altra sto-ria, far parte di quel mondo. È un paese con tante contraddizioni, con tanti con-trasti. La gente è amabile, meravigliosa, è stato un periodo di pochi mesi ma in-tenso. Ci sono tanti posti pericolosi, ma dei luoghi unici e splendidi, spiagge e

natura incontaminate”.

Cile con il Temuco. Argentina con In-dependiente e River Plate. Poi da alle-natore anche in Perù. Cosa le manca del Sudamerica?“Praticamente niente. Ho anche giocato a La Paz, in Bolivia, una gara in altura. È impossibile spiegare com’è giocare lì, se non ti prepari finisci subito le energie. Però è un’altra bella storia che posso raccontare”.

Una storia come quella della sua fa-miglia. Prima accennava ad origini europee.“In Spagna, a Bilbao. La mia famiglia viveva lì, ho tanti discendenti sempre nei Paesi Baschi, siamo sette fratelli ed io sono andato con la famiglia in uruguay. Sono molto legato alla Spagna, per af-

finità insieme all’Italia è una terra molto simile alla mia Montevideo. Ora sono sposato, con tre figli: due femmine ed un maschio, rispettivamente di diciassette, quindici e sette anni”.Dove ha conosciuto sua moglie?“In uruguay. Poi ci siamo spesso spo-stati insieme, anche se non nell’ultima esperienza in Qatar. Il mio paese, la mia base, è l’uruguay e nel calcio niente è fisso e certo. Poi non era così semplice trasferirsi in toto in un paese ed in una cultura così differenti dai nostri”.

Al Qatar arriviamo tra poco. Intanto, alla fine del millennio, appende le scarpette al chiodo.“Dissi ‘proviamo ad allenare’, visto che la vita da calciatore mi piaceva. Non avrei mai immaginato di vivere il calcio venti-quattro ore su ventiquattro da tecnico, ci sono infinite responsabilità. Smisi a tren-tasette anni, iniziando col Plaza Colona. È una città piccola e bella, in uruguay, facemmo subito un grande campionato. Così mi chiamò il Penarol”.

Il Club. Il Suo Club.“Ero impreparato, non mi sentivo pronto, ma non potevo dire di no. Per me fu stra-no, c’erano anche ragazzi che giocava-no con me e che poi allenavo”.

Era Mister o Diego?

IL PERSONAggIO / DIEGO AguIRReIL PERSONAggIO / DIEGO AguIRRe

UN GOL EPICOLa sua rete nella finaledella Libertadores del1987 è leggendaria...

Diego Aguirre è sempre stato, in campo, un giocatore dal fiuto del gol importante. Uno che segna “il gol più pesante della storia della Libertadores” non può essere scarso. Eppure, almeno nel nostro Paese, il bomber uruguaiano non è riuscito a lasciare il segno. Quel gol nella finale della Libertadores, anno 1987, lo ha reso famoso nel mondo ma, a soli 22 anni, in una Fiorentina piena zeppa di campioni (da Baggio a Pruzzo, passando per Borgonovo), non ha avuto, letteralmente, il tempo di mettersi in luce e, soprattutto, di crescere come giocatore. Non ci fosse stato il limite di extracomunitari, probabilmente la carriera italiana di Diego Aguirre sa-rebbe stata diversa. Invece, per lui, in viola, solo quattro presenze (tutte in Coppa Italia) ma, almeno, con la soddisfazione di aver segnato almeno una rete: 31 agosto 1988, 3-0 alla Virescit, ad aprire le marcature è proprio l’uruguaiano. Il suo contratto è stato rescisso ancor prima di cominciare la stagione (per volontà dell’allora tecnico dei gigliati Eriksson) ma Aguirre almeno un gol l’ha segnato, normale per uno con il suo fiuto del gol…

SEMPRE ALL’ATTACCODi Thomas SaccaniIN ITALIA SE LO RICORDANO IN POCHI, EPPURE ERA UNO CON IL VIZIO DEL GOL…

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“La verità? Per loro, ero inevitabilmente Diego. E non è facile, perché devi pren-dere delle scelte professionali, cosa che poi fai per serietà ed appunto professio-nalità, che alcuni possono vedere come tacche negative nel rapporto d’amicizia”.

Vince il campionato poi, negli anni successivi, guida anche l’Under 20 uruguagia.“Oscar Tabarez, che mi aveva allenato al Penarol, per me era ‘il Maestro’. E mi chiese di guidare la Sub-20, per me è stata un’esperienza straordinaria. Ho avuto l’opportunità di far crescere, e di crescere insieme, a talenti come Ramirez, Hernandez e non solo. Fu un apprendi-stato rapido, veloce, mi preparò al fu-turo”.

Poi, il ritorno alla base. Al Penarol.“È stato il miglior campionato della sto-ria del club. 43 punti su 45, solo vittorie eccezion fatta per un pari contro il Na-cional. Allora sì che mi sentivo pronto”.

Tanto che l’anno dopo perse la Liber-tadores, in finale, da allenatore.“Contro il Santos di un certo Neymar.

Avevamo eliminato l’Internacional di Porto Alegre, campione in carica, i cam-pioni d’Argentina del Velez Sarsfield. Avemmo comunque un grande riconosci-mento internazionale, nonostante il ko. Erano più forti, poco da dire”.

Poi, il Qatar.“È un calcio che sta crescendo e... Come sempre: un’altra storia da vivere, un’al-tra storia da raccontare. Fu un’occasione unica ed irripetibile. Ho firmato per la prima volta un contratto di un anno, poi prolungando volta volta ed allenando due club”.

Vincendo, anche lì, coppe di gran pre-stigio.“È stata un’esperienza bella, in una cul-

tura molto diversa. Convivi con altre cul-ture, religioni, ma è bello immergersi così in un altro mondo. Ti arricchisce. Il calcio ti dà la possibilità di vedere e vivere po-sti incredibili, non avrei mai pensato di farlo da giovane”.

L’ha portata a giocare anche gare in-credibili.“Penarol-Porto, finale di Intercontinen-tale, in Giappone. C’erano condizioni meteo assurde, una tormenta incredibile e noi uruguagi non avevamo mai visto la neve. Era la prima volta, quel 13 di-cembre 1987. Non volevamo giocare, non c’erano le condizioni per farlo, quel bianco ovunque era tanto abbagliante quanto limitante. Perdemmo, ma fu una partita paradossale”.

Ed ora?“L’Europa, da giocatore, l’ho già vissu-ta. Firenze, per esempio, è stata una città straordinaria dove vivere. Ed ora, come in passato, mi sento pronto. Sono pronto, per una panchina in Europa”.

Per una nuova storia da vivere. Per una nuova storia da raccontare.

IL PERSONAggIO / DIEGO AguIRRe

BEL RICORDO DI FIRENZECittà fantastica, bellissima

e speciale per viverci,parola di Aguirre

IL PERSONAggIO / DIEGO AguIRRe

A CACCIA DI UNA PANCHINAAguirre non vede l’oradi rimettersi in sella,possibilmente in Europa”

“”l’uruguay è il Paese Più futbolero del mondo

Intervista di Marco Conterio

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ARTISTI DI TESTA…C’È CHI INCANTA CON I PIEDI E CHI SA FARE LA DIFFERENZA USANDO LA TESTA. STORIA DI UN FONDAMENTALE DEL CALCIO SPESSO SOTTOVALUTATO…di Fabrizio PONCIROLI

SPECIALEBOMBER DI TESTA

SPECIALE/ BOMBER DI TeSTA

ai sottovalutare il colpo di testa. In un cal-cio sempre più caotico e frenetico, avere in rosa calciatori in grado di fare la dif-ferenza nel gioco aereo e, in particolare, con la testa, è una risorsa di notevole im-portanza. Ne sa qualcosa, ad esempio, la Juventus che, con gente come Llorente e

Morata in avanti, può sempre fare male, o la Lazio, abituata ad appoggiarsi su Klose o, ancora, l’Hellas Verona, “aiuta-ta” dall’eterno Toni. E dire che, storicamente, questo fonda-mentale del calcio non è mai stato decantato come avrebbe meritato. Forse perché, tra i più grandi fuoriclasse di sempre, gente del calibro di Maradona, Pelé, Ronaldo e, adesso, Messi, probabilmente solo O Rey sapeva colpire la palla di testa con chirurgica precisione. Eppure, anche in questa particolare specialità, ci sono stati (e ci sono) dei fenomeni. La lista è lunga e raccoglie giocatori che hanno lasciato il segno nella storia del calcio. Si prenda, ad esempio, Char-les. Quasi 190 centimetri d’altezza (189 per l’esattezza), il gallese della Juventus faceva del colpo di testa la sua arma principale. Dei 93 gol segnati in maglia bianconera (dal 1957 al 1962), tanti sono arrivati con la “capoccia”. Altro maestro era Bettega: il suo colpo di testa era tanto mortifero quanto elegante. Laudrup, uno che il talento lo conosceva ed apprezzava, un giorno disse: “Bettega sapeva colpire la palla di testa nel modo più elegante che abbia mai visto”. La sua capacità di impattare con il pallone ed indirizzarlo dove nessun portiere ci potesse arrivare era una dote unica, ecce-zionale, inimitabile. Tuttavia il primo (almeno secondo il pen-siero di molti) vero fuoriclasse di testa è stato Carlo Galli. Il soprannome con cui era conosciuto dice tutto: Testina d’oro. Centravanti moderno per l’epoca (anni Cinquanta), sapeva più di chiunque altro trovare la via del gol con perfetti e precisi colpi di testa. Ben 100 gol tra Roma e Milan (i due

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i tifosi dell’Inter, che lo hanno ammirato nella stagione del-lo Scudetto dei record (stagione 1988/89), annata in cui segna 22 gol. Indimenticabile la rete che decise il Derby dell’11 dicembre del 1988: cross di Bergomi e incornata, in tuffo, di Serena (la specialità della casa). In tempi più recen-ti, doveroso citare Batistuta, Vieri e Trezeguet. Veri e classici bomber, difficilmente si lasciavano scappare una palla alta in mezzo all’area… Al momento, abbiamo raccontato di veri e propri marcantoni. Giocatori alti e possenti che, grazie al proprio fisico, hanno saputo imporsi. Ma, per essere degli specialisti nel colpo di testa, non bisogna necessariamente essere dei giganti. Il pensiero corre subito a Riedle. Alto circa 175 cm, l’ex attaccante della Lazio era abilissimo a scegliere il tempo e ad anticipare il difensore. Si sa, il talento non è una scienza esatta…

club con cui si è distinto maggiormente), tantissimi dei quali di testa. Chi, invece, faceva del colpo di testa l’unica sua dote era Hateley. Ancora oggi, il suo colpo di testa, anticipando Collovati, che decise il Derby 1984/85 è nella mente di tutti gli appassionati del calcio italiano. Tassotti, ex milanista, ha fotografato così quel meraviglioso gesto tecnico: “uno stacco incredibile, che dimostrò quanto Mark possedesse un tempi-smo e una forza davvero rari. Di tipo inglese, alla Charles o alla Jordan contro un difensore, Collovati, che non scherzava quando c’era da saltare a stretto contatto con l’avversario. Ho ancora negli occhi la meraviglia di tutti noi che gli stava-mo intorno, gli applausi, l’entusiasmo, ma anche i complimenti sinceri che gli facemmo per un gesto atletico incredibile”. Altro ariete di rara efficacia è stato Serena. Oltre a piedi buoni, aveva una testa mortifera che tutti ricordano, in particolare

ROBERTO BETTEGA MARK HATELEy

BRAVO IN TUTTOPelé è stato unartista completo,anche di testa...

IL ROSSONERO HATELEyIl britannico aveva

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SPECIALE/ BOMBER DI TeSTASPECIALE/ BOMBER DI TeSTA

PARTITA GOL GOL SEGNATI DI TESTA

MILAN-BOLOGNA 3-0 2 1SALERNITANA-MILAN 1-2 1 1MILAN-FIORENTINA 1-3 1 0VENEZIA-MILAN 0-2 1 1MILAN-UDINESE 3-0 1 0SAMPDORIA-MILAN 2-2 1 1MILAN-PERUGIA 2-1 1 1MILAN-SALERNITANA 3-2 2 2MILAN-PIACENZA 1-0 1 1MILAN-BARI 2-2 1 0UDINESE-MILAN 1-5 2 2VICENZA-MILAN 0-2 1 1MILAN-EMPOLI 4-0 3 2PERUGIA-MILAN 1-2 1 1

TOTALE 19 14

OLIVIER BIERHOFF stagione 1998/99 - MILAN

BIERHOFF, IL VERO REMa chi è stato il più grande colpitore di testa? Difficile dare una risposta. Nel calcio ognuno ha la sua personale (e vali-da) opinione. Ci proviamo comunque: Oliver Bierhoff. Visto in Italia, con le casacche di Ascoli, Udinese e Milan (141 reti totali), il teutonico centravanti era un vero e proprio incubo per qualsiasi difesa. La sua abilità in acrobazia è diventata leggendaria a suon di capolavori di testa. Chi ne ha giovato maggiormente è stato sicuramente il Diavolo. Nella stagione 1998/99, conclusa con l’incredibile e inattesa vittoria dello Scudetto (ai danni della Lazio), i rossoneri dovranno ringra-ziare proprio la testa del tedesco. Ben 19 i centri in cam-pionato di Bierhoff, 14 dei quali grazie al suo formidabile colpo di testa. Il festival comincia a Bologna. Prima giornata, i rossoneri si impongono per 3-0, con doppietta del tedesco (uno di testa). Un’avventura lunga e gioiosa, conclusa con il tricolore e una rete, ovviamente di testa, nella decisiva tra-sferta in quel di Perugia (2-1 per il Diavolo, gol vittoria di Bierhoff). Numeri mostruosi (74% dei gol realizzati dal te-desco sono arrivati di testa) che, di fatto, confermano come il bomber teutonico fosse inarrestabile nel gioco aereo. Il tecnico Zaccheroni, in quella splendida cavalcata conclusa con lo Scudetto, lo mise nelle condizioni ideali per rendere al massimo. Uno Scudetto vinto, appunto, con la testa…

IL MIGLIORE DI TUTTIBierhoff era unfuoriclasse assolutonel gioco aereo...

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SPECIALE/ BOMBER DI TeSTASPECIALE/ BOMBER DI TeSTA

GOL DI TESTA NELLA STORIADA PELé A ZIDANE, QUANDO UN GUIZZO DEL CAPO HA DECISO PARTITE INDIMENTICABILI…

i sono colpi di testa che sono entrati, di diritto, nella storia dell’amato pallone. Non potendo in-cludere la rete di Maradona all’Inghilterra per ragioni oggettive (non a caso parliamo della Mano de Dios), concentriamo l’attenzione su al-

tre gemme. Partiamo da Pelé. Mondiali del 1970, O Rey fredda Zoff in una finale a tinte verdeoro. Un colpo di testa di rara precisione, ma anche di ragguardevole potenza, so-prattutto per un giocatore che non raggiungeva i 170 cm di altezza. Burgnich, il difensore azzurro che, in quell’azione, fu sovrastato da Pelé, qualche anno fa ha raccontato così l’an-tefatto: “Dalle immagini di quel gol, e dagli scatti fotografici, sembra che lui salga in cielo per colpire il pallone. In effetti mi sovrastò, ma mi prese in controtempo: avevo fatto un passo in avanti perché mi aspettavo che Rivelino crossasse basso, arrivò

C un pallone alto e Pelé era già in vantaggio. L’elevazione non fu straordinaria, ma il colpo di testa fu perfetto”. Perfetto è sta-to anche un certo Zidane. Nella finale del Mondiale 1998, Zizou si erge a protagonista assoluto della sfida contro il Brasile. Nel 3-0 che regala ai galletti il titolo mondiale e condanna i brasiliani ad una cocente sconfitta, Zidane segna una doppietta. I due gol, simili tra loro, arrivano entrambi di testa. Infine, omaggio a Messi. Finale di Champions League anno 2009. Il Barcellona della Pulce, allora 21enne, affron-ta il Manchester United nel teatro dell’Olimpico di Roma. I blaugrana vincono 2-0 con raddoppio firmato dall’argen-tino, incredibile ma vero, di testa. Lasciato completamente solo in area di rigore, Messi sale in cielo per raccogliere un cross di Xavi e superare Van der Sar. Una rarità per Messi, un capolavoro per la storia…

versario Kentaro Seki, nella sfida tra Fagiano Okayama e Yokohama FC, Ueda, di prima intenzione, colpisce la palla di testa con una forza tale da superare il colpevole portiere ed infilarsi in fondo al sacco: “Dopo aver colpito la palla, ho subito pensato a riprendere la mia posizione in campo. Non ho capito nulla, fino a quando la palla non è finita in rete”, il com-mento del recordman a fine gara ad una tv nipponica. Ueda ha superato, di circa un metro, il precedente record stabi-lito, sempre nel 2011 (esattamente il 25 settembre 2011, nella sfida, tutta norvegese, tra ODD Grenland e Tromsø Idrettslag), da Jone Samuelsen…

IL RECORD DI RYUJIRO UEDAGIAPPONESE, DIFENSORE, HA STABILITO UN PRIMATO NON FACILE DA SUPERARE…

yujiro Ueda è un giocatore giapponese. Milita, dal lontano 2009, nella squadra del Fagiano Okayama. Difensore centrale, nel 2011 è salito alla ribalta della cronaca per un gol davvero fuori dal comune. Una rovesciata spettacolare,

una rete dopo innumerevoli dribbling? No, nulla di ciò. Ueda ha segnato di testa. Niente di che? Tutt’altro, visto che il col-po di testa arriva da ben 58,6 metri (distanza effettiva mi-surata nel post match per l’omologazione all’Uefa). Un gol pazzesco, un vero e proprio primato (anche in virtù della complicità del portiere). Sul rinvio dell’estremo difensore av-

R testa: Pazzini ed Icardi. Meraviglioso è anche Klose, uno che sa coniugare, alla perfezione, eleganza ed efficacia. No-nostante il passare degli anni e lo stravolgimento del modo di interpretare il gioco del calcio, avere arieti in grado di trovare il guizzo giusto di testa resta un imperativo per ogni squadra che si rispetti. Il vero problema è riuscire a trovare professori laureati in questa difficile e complicata disciplina. Come per i piedi, non tutti sanno come si colpisce la palla di testa…

I CAMPIONI DI OggIUn’arte che, ancor oggi, regala artisti di pregevole fattura. Chi sa sfruttare al meglio la sua capacità aerea è sicura-mente Llorente. Il bomber della Juventus è straordinario sui cross. Conte ne ha fatto un’arma devastante, Allegri pure. Uno che si fa ancora rispettare di testa è sicuramente Toni. Gli anni passano, ma il Campione del Mondo 2006 e attua-le centravanti dell’Hellas Verona è ancora un problema per ogni difesa. Anche le milanesi hanno i loro centravanti forti di

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ZINéDINE ZIDANE

FERNANDO LLORENTE MIROSLAV KLOSE

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LLORENTE, FORZA BIANCONERAAllegri sa bene che,di testa, lo spagnoloè mortifero...

LA TESTA DI ZIDANEIl francese ha decisouna finale Mondialecon la testa...

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SPECIALE

COPPA D’AFRICASPECIALE / COPPA D’AFRICA

COPPAD’AFRICA,CI RISIAMO…

30ESIMA EDIZIONE TRIBOLATA. IL MAROCCO Dà FORFAIT, SIGIOCA IN GUINEA EQUATORIALETRA MILLE PERPLESSITà…

di Fabrizio PONCIROLI

foto Image SPORT e Agenzia LIVERANI

era una volta la Coppa d’Africa. Torneo dedicato ai Paesi iscritti alla CAF (Confederazione Afri-cana di calcio) rappresentava la vetrina perfetta per talenti scono-sciuti desiderosi di convincere i ric-chi club, soprattutto di stampo eu-

ropeo, a concedergli una chance. Tuttavia, negli ultimi anni, questa affascinante manifestazione ha iniziato a trasformarsi in un “problema internazionale”. Le so-cietà, anche qui solitamente europee, hanno iniziato a storcere il naso all’idea di inviare i propri giocatori a disputare la Coppa d’Africa. L’idea di dover fare a meno dei propri talenti nel bel mezzo della stagione (la Coppa d’Africa, storicamente, si disputa nei primi mesi dell’anno) non convince più nessuno. Che fare? In tanti spingono per la cancellazione del torneo ma, alla fine, la manifestazione prosegue nel suo corso, anche se le problematiche restano attuali. Come se non bastasse, anche la CAF ha avuto i suoi grattacapi. Oltre a diversi incidenti di percorso (ne parleremo più avanti), il massimo organo calcistico africano ha dovu-

C’SPERANZEE SOGNILa Coppa d’Africaè, da sempre,una vetrinaper giovanitalentisconosciuti...

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la Coppa d’Africa, uno dei quali (il Nuevo Estadio di Ebebiyin, città nel Nord-Est del Paese), con solamente 5.000 posti a sedere. Insomma, un’edizione decisa-mente atipica…

NESSUNA VERA FAVORITAL’appuntamento è per il prossimo 17 gennaio, gior-no in cui comincerà ufficialmente la Coppa d’Africa 2015. Un’avventura lunga e faticosa che si conclude-rà, l’8 febbraio, a Bata, sede della finale. Ben 16 le squadre al via. Oltre a Marocco (squalificato) ed Egitto, pesa l’assenza della Nigeria, vincitrice dell’ul-tima edizione. Difficile, se non impossibile, indicare un favorito per il successo finale. Storicamente la Cop-pa d’Africa ha dimostrato di essere un torneo pieno di sorprese. Ci proverà il Camerun, forte di quattro trionfi ma senza gioie dal 2002. Sogna l’exploit la Costa D’Avorio, alla 21esima partecipazione, ma con una sola vittoria alle spalle (1992). Sempre da tene-re d’occhio nazionali come Ghana, Tunisia ed Algeria ma, di fatto, nessuno parte con i favori del pronostico. Piuttosto intriganti anche i quattro gironi in cui sono state inserite le 16 nazionali partecipanti. Nel Grup-

in particolare il vincitore finale. Tra il 1970 e il 1980, ad esempio, sono ben sei i Paesi che si aggiudicano il trofeo, sei Paesi diversi tra loro, una sorta di record. Tra quella lista di vincitori a sorpresa figura anche lo Zambia. I Chipolopo, guidati da fuoriclasse assoluti come Chanda e Kaushi si aggiudicano, tra la sorpresa generale, l’edizione del 1974. Nello stesso anno si tol-gono anche la grandissima soddisfazione di essere la prima nazionale africana a disputare una fase finale della Coppa del Mondo. Un traguardo importantissi-mo che, di fatto, rende la Coppa d’Africa ancor più prestigiosa. Anche a livello di gioco, le migliorie sono evidenti. Nel decennio successivo, Camerun e Ghana mostrano di essere nazionali in rapida evoluzione e capaci pure di far crescere giocatori di interesse eu-ropeo. Madjer, Roger Milla, Abedì Pele, sono diversi i giocatori “da Coppa d’Africa” che lasciano il segno anche in Europa: il calcio africano è ormai sdoganato. Gli anni Novanta non sono altro che un ulteriore ac-crescimento del patrimonio calcistico legato alla Cop-pa d’Africa. Sempre più giocatori africani affollano i campionati europei e sempre più club attingono dal Continente Nero osservando i vari talenti grezzi pro-

to fronteggiare diverse problematiche per garantire l’edizione 2015. Il “caso Marocco” ha, infatti, fatto vacillare tutto il sistema organizzativo. Andiamo con ordine. Nell’ottobre del 2014, lo stato maggiore del Marocco, Paese ospitante, chiede alla CAF di rinviare la Coppa d’Africa. Il motivo? Epidemia di Ebola (uf-ficiosamente si vocifera di rallentamenti e ritardi nel-la macchina organizzativa maghrebina, oltre a costi economici insostenibili). La CAF non ci sta e conferma il tutto. Il Marocco, invitato a prendersi le proprie re-sponsabilità, si chiude in un silenzio assordante che, di fatto, porta alla squalifica della nazionale maghrebi-na dalla Coppa d’Africa e alla decisione, clamorosa, di trasferire la manifestazione in Guinea Equatoriale (l’unico Paese, insieme al Qatar, ad essersi proposto come organizzatore in corsa dell’evento, già Paese ospitante della manifestazione nel 2012, insieme al Gabon). Un incidente diplomatico di dimensioni stra-tosferiche (il Marocco ha rinunciato alla Coppa d’A-frica, ma ha confermato che ospiterà il Mondiale per Club) che, di fatto, ha costretto la CAF a soluzioni d’e-mergenza davvero singolari. Un esempio su tutti: solo quattro stadi ospiteranno l’edizione numero 30 del-

po A ci saranno Guinea Equatoriale, Burkina Faso, Gabon e Congo. Zambia, Tunisia, Capo Verde e DR Congo sono state inserite nel Gruppo B mentre, nel C, sono finite Ghana, Algeria, Sud Africa e Senegal. Infine da gustare il Gruppo D, formato da Costa d’A-vorio, Mali, Camerun e Guinea.

CHE LUNgA STORIA…Tutto ha inizio nel lontano 1957. Egitto, Sudan, Etiopia e Sudafrica, ossia le quattro nazionali che fondano la CAF, hanno un sogno: fondare un proprio torneo internazionale. Nasce la Coppa d’Africa. La prima edizione, proprio datata 1957, non va, per usare un eufemismo, benissimo. Il Sudafrica viene squalificato, si giocano, così, solo due gare, con l’Egitto che si lau-rea campione. Sembra un progetto destinato a fallire e, invece, nel 1962, alla terza edizione, sono già nove le nazionali che partecipano. Negli anni ’60, il fasci-no della manifestazione cresce ulteriormente, anche grazie alle prime stelle africane, come Laurent Pokou, punta della Costa d’Avorio capace di segnare 14 reti in due edizioni (1968 e 1970). Ciò che rende l’evento unico nel suo genere e che, ogni volta, nulla è scontato,

SPECIALE / COPPA D’AFRICASPECIALE / COPPA D’AFRICA

VOGLIA DIVITTORIALa Costa d’Avoriopunta ad esseregrande protagonistanell’edizione 2015...

MITO ETO’OIl camerunenseè sempre statolegatissimo al

torneo africano,di cui è il

capocannoniereassoluto...

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catore africano della storia, ha giocato 118 gare con il Camerun, segnando 56 reti. Soprattutto, è stato ca-pace di vincere due volte la Coppa d’Africa (2000 e 2002), regalandosi anche due titoli di capocannoniere del torneo (2006 e 2008). Recentemente ha dichiara-to ad un media sudafricano: “Vincere con la casacca del proprio Paese è fantastico, sai che hai fatto felice il tuo popolo”. Nulla da aggiungere. Proseguiamo con un altro mito come Roger Milla. Camerunense al pari di Eto’o, ha indossato la casacca dei Leoni Indomabi-li per 102 volte, vincendo due edizioni della Coppa d’Africa (1984 e 1988). Famoso per aver disputato un Mondiale a 42 anni, segnando anche una rete (alla Russia, a Usa 1994): Roger Milla è un punto di riferi-mento per tutti i giocatori del Camerun. Un’altra stella della Coppa d’Africa è stato Kalusha Bwalya. Con 100 presenze con lo Zambia (è stato anche allena-tore dei Proiettili di Rame), l’ex attaccante di Bruges e PSV (noto per aver segnato quattro reti, in una sola partita, a Seul 1988, all’Italia di Rocca) ha partecipa-to a sei edizioni della Coppa d’Africa, non riuscendo mai a vincere il trofeo. Più o meno quanto accaduto anche a Didier Drogba. Stella del calcio ivoriano, ha

prio durante le partite della Coppa d’Africa. Siamo, infine, ai tempi recenti con gente come Eto’o e Drogba a tenere alto il nome della Coppa d’Africa e l’Egitto a fare incetta di trofei (tre vittorie consecutive, 2006, 2008 e 2010). Nel 2010, la CAF prende anche una decisione importante, ovvero far disputare la manife-stazione negli anni dispari e non pari, questo per non “stancare” eccessivamente le nazionali africane, impe-gnate poi nella Coppa del Mondo. L’edizione 2012, disputata nel Gabon e nella Guinea Equatoriale è, quindi, l’ultima negli anni pari (vittoria dello Zambia). La “prima” del nuovo corso vede il trionfo della Nige-ria che conquista così il suo terzo alloro.

gLI ARTISTI DEL CONTINENTE NEROTantissimi i fuoriclasse che hanno impreziosito, con le loro giocate, la Coppa d’Africa. La lista è infinita e prevede stelle indiscusse del calcio mondiale. Iniziamo con chi, forse, ha vissuto la Coppa d’Africa con più passione di chiunque altro, ovvero Eto’o. Lo scorso 27 agosto, a 33 anni, l’ex fuoriclasse, tra le altre, di Inter e Barcellona, ha deciso di lasciare la Nazionale (con-trasti con il Ct Finke). Considerato il più grande gio-

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SPECIALE / COPPA D’AFRICASPECIALE / COPPA D’AFRICA

MILLA,INFINITO

In pochi hannosegnato il cacio

africano comeil bomber

camerunense...

L’ALGERIADI MADJER

Il Tacco di Allahha vinto la

Coppa d’Africanel lontano 1990...

Tanti momenti di gioia ma anche pagine che, anco-ra oggi, sono sinonimo di tristezza. Sono, purtroppo, diverse le tragedie che si sono consumate parallela-mente al torneo delle Nazioni africane. Il dramma più sconvolgente è legato allo Zambia. Il 28 aprile 1993, l’intero Paese viene distrutto da una notizia shock che, di fatto, spegne l’entusiasmo di un’intera nazione. L’aereo che trasporta la nazionale dei Chipolopolo (Proiettili di Rame) precipita, causando la morte di 18 calciatori, 5 membri dello staff e 7 funzionari della Federazione. Un colpo durissimo che segnerà, a lungo, la storia sportiva (e non solo) dello Zambia. Un evento orribile che la nazionale dello Zambia ricorda duran-te i festeggiamenti per la vittoria della Coppa d’Afri-ca nel 2012. Uno striscione con la scritta “In memory of 1993, you are playing home” è il giusto omaggio ai caduti del disastro aereo del 1993 a Libreville. In trionfo anche Kalusha Bwalya, leggenda del calcio dello Zambia, sopravvissuto a quel terribile incidente aereo per miracolo (era impegnato con il PSV, il suo club di allora): “un trionfo che va a quelli che non ci sono più”, le sue parole dopo l’impresa dello Zambia ai danni della Costa d’Avorio, nella finale del 2012. Nel 2010, alla vigilia dell’inizio della Coppa d’Africa, in Angola, l’autobus della nazionale togolese viene trivellato di proiettili. Un attentato a sfondo terroristi-co (rivendicato da guerriglieri della FLEC, Fronte Libe-razione Enclave Cabinda), in cui perdono la vita l’au-tista dell’autobus e due membri dello staff del Togo, a cui vanno aggiunti diversi feriti. Tutti i giocatori del Togo, Adebayor in testa, non si capacitano di quanto accaduto e, attraverso la Federazione del Togo, chie-dono la sospensione della manifestazione. La richiesta viene respinta e il Togo decide così di ritirarsi dalla competizione. Una maledizione per il Togo che, due anni prima, in un incidente d’elicottero, aveva per-so 20 persone della delegazione sportiva togolese.

CALCIO E SANgUE…Di Fabrizio PonciroliLA COPPA D’AFRICA È STATO TEATRO ANCHE DIDIVERSI EVENTI CHE BEN POCO HANNO A CHE FARE CON IL PALLONE…

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SPECIALE / COPPA D’AFRICASPECIALE / COPPA D’AFRICA

VITTORIA DI COLORI

La Coppa d’Africaè un perfetto

mix di culturee bandiere...

giocatori esperti a vanno sull’usato sicuro. I grandi club in ogni caso puntano a scoprire prima i possibili talenti, attraverso lo scouting”.

Il calcio africano è preda di stregoni e magie va-rie…“Ogni nazionale ha il suo stregone. Sono figure carat-teristiche, magari non si crede sino in fondo nei loro sortilegi ma non si rinuncia ugualmente. Meglio essere premuniti (ride, ndr)”.

Nuovo mondo. La trentesima edizione della Coppa d’Africa, al via il 17 gennaio dalla Guinea Equatoria-le, segnerà una nuova era del calcio africano. La sa-vana dovrà obbligatoriamente popolarsi di nuovi Re. Mancheranno le stelle principali delle ultime edizioni come Eto’o e Drogba, vuoti pesanti da colmare. Malù Mpasinkatu, volto noto di Sportitalia e Sky nonché primo direttore sportivo africano del calcio italiano, conosce bene la realtà calcistica del continente nero.

Malù, nella prossima edizione mancheranno big del calibro di Nigeria, Egitto e Maroccco. Quattro delle ultime cinque vincitrici non saranno presenti al via…“Significa che aumenta notevolmente l’incertezza. L’E-gitto è arrivato alla fine di un ciclo che ha portato tre titoli consecutivi, la Nigeria dopo aver vinto nel 2013 è la grande assente”.

Quali le sorprese che potrebbero arrivare in fondo?“Difficile capire quali saranno le outsider. La Repubblica Democratica del Congo dopo lo storico 4 a 3 sulla Co-sta d’Avorio ha entusiasmo da vendere, Capo Verde mi ha impressionato”.

Le favorite attese al varco?“Io metterei Costa d’Avorio, Camerun, Ghana e Algeria sullo stesso piano. I valori di queste nazionali sono su-periori alle altre, ma la verità è che la Coppa d’Africa è un torneo strano. Nulla è scontato, non sempre vince chi ha i nomi più altisonanti”.

Spesso i big fanno flop, per quale motivo?“In Coppa d’Africa giochi per un popolo, rappresenti una nazione che il più delle volte vede nel calcio speran-za e felicità, in una realtà di povertà e sofferenza. Le pressioni aumentano a dismisura, e anche a Drogba o Eto’o può capitare di non riuscire a mantenere le aspet-tative”.

Il calcio africano, in notevole espansione, può dav-vero avvicinare quello europeo?“Credo di si. Il livello atletico è sempre stato alto, ades-so anche le capacità tecniche e tattiche stanno aumen-tando sensibilmente. Non è più il calcio di una volta, infatti le nazionali più quotate spesso fanno fatica e non riescono a imporsi”.

Assenti Eto’o e Drogba, quali saranno le stelle della prossima Coppa d’Africa?

“OgNI NAZIONALEHA IL SUO STREgONE”Di Pasquale RomanoPOCHI I FUORICLASSE GIà AFFERMATI, L’OCCASIONE GIUSTA PER TANTI PER FARSI NOTARE, MAGIA PERMETTENDO…

# Nazione Vittorie Finali Edizioni Vinte perse1 EGITTO 7 1 1957, 1959, 1986, 1998, 2006, 2008, 20102 GHANA 4 4 1963, 1965, 1978, 19823 CAMERUN 4 2 1984, 1988, 2000, 20024 NIGERIA 3 4 1980, 1994, 20135 ZAIRE (ex Rep. 2 0 1968, 1974 Dem.Congo)6 COSTA D’AVORIO 1 2 19927 ZAMBIA 1 2 20128 SUDAN 1 2 1970 TUNISIA 1 2 200410 ALGERIA 1 1 199011 ETIOPIA 1 1 1962 MAROCCO 1 1 1976 SUD AFRICA 1 1 199614 CONGO 1 0 197215 MALI 0 1 -16 UGANDA 0 1 - GUINEA 0 1 - Libia 0 1 - SENEGAL 0 1 - BURKINA FASO 0 1 -

“Scommetto su Choupo-Moting, camerunense dello Schalke, e Brahimi, algerino del Porto. Non dimentico gli ‘italiani’ Keita e Gervinho, entrambi della Roma. Si tratta di giocatori affermati, pronti per questo tipo di manifestazione”.

Ci saranno talenti in rampa di lancio pronti a esplo-dere?“Sicuramente qualche giovane si farà notare, penso a Sadio Manè del Senegal. Spesso però i Ct privilegiano

BILANCIO NAZIONI IN COPPA D’AFRICA

CLASSIFICA MARCATORI ALL-TIME

GRANDE ESPERTONessuno conosceil calcio africanocome Mpasinkatu...

GOL GIOCATORE10 Kalusha Bwalya, Pierre Ndaye Mulamba, Francileudo Santos, Joel Tiéhi, Mengistu Worku9 Abdoulaye Traoré8 Pascal Feindouno, Wilberforce Kwadwo Mfum, Ahmed Hassan, Manucho

GOL GIOCATORE18 Samuel Eto’o14 Laurent Pokou13 Rashidi Yekini12 Hassan El-Shazly11 Hossam Hassan, Patrick Mboma, Didier Drogba

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U E F A C H A M P I O N S L E A G U E ® O F F I C I A L S T I C K E R C O L L E C T I O N

LE STELLE DEL CALCIO EUROPEO

TUTTE DA COLLEZIONARE!

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edizione 1982, con il Ghana (tre volte Pallone d’Oro Africano). Ammirato anche in Italia (nel Torino), Abedì Pele è il giocatore che ha fatto la storia del calcio ghanese, con 73 presenze e 33 reti all’attivo. Un fe-nomeno senza età. Chiudiamo con un nome pressoché sconosciuto ma, in realtà, di notevole importanza nel-la storia della Coppa d’Africa. Nella prima edizione della Coppa, anno 1957 (Sudan), si disputano solo due gare: una semifinale (tra Sudan ed Egitto) e la finale (tra Egitto e Etiopia, quest’ultima qualificata senza giocare, causa squalifica del Sudafrica). I due match si disputano, entrambi, allo Stadio Monicipal di Khartoum, con il successo finale dei Faraoni che vinco-no la sfida con il Sudan per 2-1 e la finalissima con l’Etiopia per 4-0). Se Rafaat Ateya, egiziano, passa alla storia per aver siglato la prima rete in assoluto della Coppa d’Africa, Mohamed Ad-Diba, anch’egli egiziano, diventa l’idolo di un intero Paese. Nelle due gare indicate, Ad-Diba segna ben cinque reti, laure-andosi capocannoniere e portando i Faraoni al suc-cesso. Inserito, nel 2007, nella Top 200 dei giocatori africani di tutti i tempi. Chi sarà il prossimo?

vinto tutto con le maglie dei club con cui ha giocato (anche una Champions League con il Chelsea) ma, in Coppa d’Africa, ha sempre visto gli altri festeggiare. Due le finali perse, compresa quella, del 2012, con lo Zambia, finale in cui ha calciato alle stelle un penal-ty che avrebbe potuto dare il successo agli Elefanti. Proseguendo nella nostra carrellata, segnaliamo an-che due algerini, ovvero Lakhdar Belloumi e Rabah Madjer. Il primo, 147 presenze con la nazionale delle Volpi del Deserto, è stato capocannoniere dell’edi-zione del 1988. Il secondo, Pallone d’Oro Africano nel 1987, ha vinto l’edizione del 1990. Importante il contributo dato anche da un certo George Weah, ben noto al pubblico italiano per i suoi trascorsi al Milan. Grazie alla sua classe, la Liberia ha potuto prendere parte a due edizioni della Coppa d’Africa (uscendo sempre al primo turno). Citazione doverosa anche per Rashidi Yekini (scomparso nel 2012). Nigeriano, ha vinto la Coppa d’Africa nel 1994, riuscendo a lau-rearsi capocannoniere della stessa, per due edizioni consecutive (1992 e 1994). Impossibile dimenticarsi anche di Abedì Pele, vincitore della Coppa d’Africa,

SPECIALE / COPPA D’AFRICA

NUOVO RECERCASINessuna favorita,tante pretendenti,è la Coppa d’Africa...

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SERIE B

MODENA

onti in ordine, bilanci in attivo e tanta voglia di crescere senza fare il passo più lungo della gamba. Il Modena sor-ride. E sorride anche il

suo presidente, Antonio Caliendo. Un passato da agente di successo, un pre-sente ed un futuro da proprietario di una squadra di calcio in Serie B che in futuro, chissà, potrebbe assaporare la Serie A. “Già ci siamo andati vicini”, confessa Caliendo in esclusiva a Cal-cio 2000. Il presidente della società emiliana racconta passato, presente e futuro della sua società. Una realtà cal-cistica che vuole tornare grande con il lavoro e la programmazione. Sotto la guida attenta di Walter Novellino, alle-natore d’esperienza che in Emilia s’è ri-lanciato dopo qualche scelta sbagliata. Novellino è la scommessa di Caliendo, l’uomo chiamato a guidare il Modena verso grandi traguardi nel tempo.

Caliendo dal suo arrivo al Modena ad oggi qual è il bilancio?“Positivo. Abbiamo preso una società che aveva una perdita di quasi sei milioni all’anno. Oggi posso dire che i bilanci

della società sono in attivo”.

Da agente di successo a presidente: chi glielo ha fatto fare?“Fa parte del mio carattere. Cerco sem-pre nuove sfide. Nuove emozioni. Dopo l’esperienza al QPR volevo provarne un’altra. Ed eccomi a Modena. Con un rammarico…”

Quale?“L’anno scorso avremmo potuto centrare la promozione in Serie A. Ma ai play-off ci sono mancati i giocatori migliori. E così abbiamo dovuto abbandonare un sogno. Ci riproveremo. Ma ogni anno le cose cambiano. Anche se siamo consa-pevoli di aver costruito una squadra che può giocarsela con tutti. E poi c’è una certezza”.

Cioè?“Walter Novellino. un grande allenato-re, una garanzia”.

Il giocatore a cui è rimasto più legato da presidente del Modena?“Lo dipingevano come un ragazzo su-perficiale. E invece con noi è diventato grande. Sto parlando, ovviamente, di

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MODENA, VOgLIA DI A PASSIONE, ESPERIENzA E uN DESIDERIO: SORPRENDERE TuTTI E TORNARE NEL CALCIO CHE CONTA…

LA CURA NOVELLINOEsperenza e determinazione,

le armi di un tecnicodi spessore...

che hanno dato quando c’è stato l’allu-vione. Questo è sport. Questo è il calcio che vogliamo”.

Programmi e comportamenti da Serie A. Quando rivedremo il Modena nel-la massima serie?“Non ci si arriva dalla sera alla mattina, le cose vanno programmate. E magari quest’anno, chissà… Ce la giochiamo, come sempre. Rimane un sogno”.

Un sogno che il Modena vuole coltivare, con calma e senza voli di fantasia. Pro-grammazione, l’esperienza di Caliendo e la tenacia di Novellino. Per un Mode-na che sogna la Serie A. Un obiettivo

per il futuro, un sogno per il presente…

Babacar. Visto che la mia attività è sem-pre stata quella di scoprire campioni, ho visto in Babacar un campione per il futu-ro. un Balotelli più maturo”.

Il Modena ha in cantiere diverse ini-ziative.“Sì. Approfittando del mio ruolo di presi-dente sto cercando di creare, attraverso le scuole, una nuova generazione di ti-fosi. Mi piacerebbe creare un rapporto diverso tra tifoseria e squadra. Ho un piano dettagliato, mi sto confrontando e prossimamente presenterò un progetto”.

Di che si tratta?“Voglio puntare su tutte le scuole per creare la nuova generazione di tifosi. A Modena già da due anni per esempio, i nostri calciatori, durante le ore di edu-cazione fisica vanno nelle scuole, accom-pagnati da due funzionari di Polizia che spiegano le regole e i comportamenti. I nostri ragazzi cercano di spiegare ai giovani gli aspetti tecnici. E con loro c’è anche un nostro dirigente, che par-la dei vari regolamenti. Poi c’è anche il Provveditorato agli Studi che ci dà una mano. Insomma, uno staff di livello. E c’è di più”.

Cioè?“L’anno scorso abbiamo vinto il premio fair play, mandiamo la nostra mascot-te a ricevere i tifosi ospiti e diamo loro il benvenuto. E poi abbiamo creato la commissione etica per un calcio più pu-lito. Vogliamo un calcio senza barriere, ci siamo quasi: la curva che veniva ri-tenuta pericolosa ha dato dimostrazione di grande civiltà e oggi la barriera non c’è più. Avete visto l’accoglienza per la partita contro il Bologna? I nostri tifosi hanno ringraziato i bolognesi per l’aiuto

SERIE B/ MODeNAdi Alessio ALAIMO

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PABLO GRANOCHEANTONIO CALIENDO

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IL GRANDESAGGIOCaliendo sa comesi vince, a Modenaringraziano

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e giochi a Pisa non ti sembra di essere in Lega Pro” - afferma Massimo Paci, uno che di campi ne ha calcati tanti, an-che in A. Ora, a 36 anni,

Massimo ha scelto di scendere di cate-goria, ma solo sulla carta: “Pensavo di subire di più il salto, ma mi sono accorto subito che qui l’ambiente vale molto di più della categoria in cui giochiamo. Non dico che è da Serie A, ma di sicuro in Se-rie B ci sono tantissime squadre che han-no meno seguito di noi. I nostri tifosi sono eccezionali, c’è molto calore e il Pisa per la città è un’istituzione. Qui ci sono tut-te le condizioni per fare bene”. E “fare bene” per una squadra come il Pisa si-gnifica solo una cosa: “Il nostro obietti-vo è vincere il campionato – ci raccon-ta Giuseppe Giovinco, fratello minore della “Formica Atomica” della Juventus – Non abbiamo paura di ammetterlo e non abbiamo intenzione di nasconderci. Siamo partiti un po’ lenti, abbiamo ac-cusato qualche passaggio a vuoto, ma fortunatamente il campionato è lungo e c’è tempo per recuperare”. Massimo Paci sottoscrive: “Abbiamo perso punti da stu-pidi, ma può capitare, perché ci vuole un

po’ di assestamento. Il problema è che costruire una squadra per vincere, non significa poi vincere automaticamente. Il nostro potenziale, però, lo conoscia-

mo, così come sappiamo qual è il nostro obiettivo”. Per raggiungerlo la società ha costruito un gruppo di giovani in-teressantissimi e giocatori esperti che si sta piano piano amalgamando, ma che può diventare un mix esplosivo a processo concluso: “Devo dire che Mor-rone (ex Parma, ndr) è stato bravissimo in questo – continua Paci – Ha lavorato da capitano vero affinché le due anime del gruppo si incontrassero e si integras-sero. Io sono più riservato, più per l’e-sempio sul campo, perché secondo me i giovani d’oggi hanno bisogno anche di questo: una volta noi eravamo mol-to più rispettosi degli “anziani”, nessuno si permetteva di mancare di rispetto ad un giocatore più esperto. Ora, invece, le parole se le porta via il vento. Loro sanno di aver acquisito importanza anche per le nuove regole, dunque a volte partono per la tangente (ride, ndr). Io credo che vedere gente come me, Morrone, Lisuzzo che ha giocato in Serie A, ma che anco-ra non molla nulla, dovrebbe insegnare loro qualcosa. Almeno spero (sorride, ndr)”. A quanto pare la ricetta funzio-na: “Si è creato un bel gruppo – con-ferma Giovinco, uno dei “ragazzi” del Pisa – Perché i più esperti, diciamo così,

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SENZA PAURADUE CHIACCHIERE CON MASSIMO PACI E GIUSEPPE GIOVINCO, DUE COLONNE DEL PISA, UNA DELLE MAGGIORI CANDIDATE ALLA PROMOZIONE IN B

sono “vecchi giovani”, soprattutto nella testa, per cui si sta bene insieme in campo e fuori e questo è importante”. “Vero – approva Paci – Ma questo non basta, perché poi serve anche altro. In campo non vince l’amicizia, ma una buona squa-dra”. Entrambi, comunque, hanno scelto Pisa convinti da un progetto ambizioso: “Quando il DS Vitale mi ha prospettato questa opportunità – ci racconta Paci – Non ho avuto dubbi. Avevo anche altre offerte, anche in Serie B, ma qui c’era un progetto intrigante e un ambiente caldo come quelli che piacciono a me”. “Io ero di proprietà dello Spezia – dice Gio-vinco – Ma a fine campionato, dopo il prestito al Viareggio, ho capito di non ri-entrare più nei piani della società. Il Pisa si era interessato a me fin dalla fine della scorsa stagione e per me è stato un onore poter venire a giocare qui, perché credo che si possa fare davvero bene. Diciamo che sono molto felice della scelta fatta, avrei solo voluto segnare qualche gol in più, ma spero di rifarmi nella secon-da parte (ride, ndr)”. Già perché a 24 anni anche per Giuseppe è arrivato il momento di fare il grande salto: “Eh sì, speriamo di vincere il campionato – ha detto – Così mi avvicino a mio fratello

(ride, ndr). Finora non abbiamo nean-che potuto parlare di calcio, perché sia-mo su due pianeti differenti (ride, ndr)”. Nel settore giovanile della Juve anche

Giuseppe era considerato un prospet-to interessantissimo, ma poi ci ha mes-so un po’ a carburare. Lui se lo spiega così: “Credo che tutti mi abbiano sempre guardato come fossi il fratello di Seba-stian e mai come Giuseppe – la sua idea – Le aspettative nei miei confronti erano sempre commisurate alla qualità di mio fratello. Col senno di poi, secondo me, avrei fatto meglio a fare un altro setto-re giovanile. Comunque, nessun proble-ma, ora sono qui e voglio fare bene con questa maglia”. Come detto, l’obiettivo è uno e soltanto uno: “Ora come ora vo-glio conquistare la Serie B col Pisa – dice Giovinco – Poi è chiaro che il sogno di tutti, un giorno, è arrivare in Serie A”. Paci, che in A c’è già stato, a 36 anni guarda anche al futuro: “Ho due anni di contratto, il prossimo voglio farlo in B. Poi il mio sogno è fare l’allenatore e cre-do che prenderò quella strada. Ho avuto tanti tecnici bravi, ma i migliori sono stati Guidolin e Giampaolo che mi hanno in-segnato cosa significhi veramente essere un professionista. Ne ho avuti tanti anche meno buoni e anche loro mi hanno in-segnato qualcosa. Quello che non devo fare quando diventerò allenatore (ride, ndr)”.

LEGA PRO/ PISAdi Sergio STANCO

VOGLIA DI TORNAREIl Pisa non vede l’oradi tornare nel calcio che conta...

TUTTO PER SFONDARERosa ambiziosa,

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SERIE D

LAVAGNESE

avagna è un comune di dodicimila anime. Iro-nicamente si potrebbe dire che è anche la prin-cipale causa delle pau-ra di qualsiasi studente:

è qui che si estrae la pietra lavagna, su cui tanti “condannati” di ieri e di oggi hanno consumato il gessetto prima di tornare al proprio banco. Un comune, dicevamo, con uno stadio da ottocen-to posti, sul cui terreno sintetico gioca-no i bianconeri della U.S.D. Lavagnese 1919. E allora poco importa se i vicini di casa dell’Entella quest’anno fanno la B, qui si ha già una squadra per cui tifare, è quella allenata da Andrea Dagnino, impossessatosi della panchina ben sei stagioni fa e per nulla deside-roso di lasciarla.

Mister, partiamo dal suo primato. Duecento panchine con la stessa squadra non è cosa da tutti. Ci rac-conta questo record?“Non lo vedrei sotto l’aspetto del prima-to, piuttosto come un percorso di cresci-ta personale. Ho fatto tutta la gavetta, tanto settore giovanile, poi promozione ed eccellenza. Partire dal basso per poi

crescere pian piano è un’esperienza ne-cessaria, la considero una vera e propria palestra”.

Ma in questo calcio in cui tutto muta così rapidamente, lei non ha mai pen-sato di cambiare?“A dire la verità no. Fortunatamente in questi cinque anni (con questo in corso fanno sei, ndr) siamo sempre migliorati a livello di risultati, trovando gli stimoli giusti per migliorare ancora. Poi questo è un ambiente in cui si lavora talmente serenamente che non potrei chiedere di meglio. Anche se magari la categoria

superiore farebbe piacere, non vedo per-ché cambiare”.

Categoria superiore, magari da rag-giungere proprio con questa Lava-gnese. Arrivati in prossimità del giro di boa siete alti in classifica e potete giocarvela. Che obiettivo avete per il prosieguo del campionato?“Questa squadra può arrivare in alto, ma anche in basso, non lo sappiamo nemme-no noi. Abbiamo posto delle basi senza fare follie. Si potrebbe provare a fare il grande salto, ma senza farlo diventare un assillo. Dipende da tanti fattori, com-prese fortuna, sfortuna ed eventuali in-fortuni. Penso che se non incapperemo in qualche imprevisto, potremmo anche riu-scire a chiudere nelle posizioni di testa”.

In vista del girone di ritorno, approfit-tando della finestra di mercato, avete preso Canu. Si aspetta qualche altro elemento per arricchire ulteriormente la rosa?“Se capiterà la possibilità di mettere a segno qualche colpo in grado di farci migliorare, la società lo farà. Abbiamo preso Canu che è un ’96 e dato via Ru-sca, un ’94 che aveva alle spalle già un

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centinaio di presenze come centrale di-fensivo. Non ne usciamo certo ridimensio-nati, ma al momento non abbiamo fatto nessuna operazione che ci possa far fare il salto di qualità”.

Ogni allenatore ha un suo credo cal-cistico ben preciso. A suo giudizio con quale modulo questa squadra può esprimersi al meglio?“È tanto tempo che lavoriamo sul 4-4-2, oramai lo conosciamo quasi alla perfe-zione. È un modulo che consente di essere molto compatti, soprattutto fuori casa, ed è facile assimilarne i meccanismi. Questa è una caratteristica fondamenta-le, considerando che ogni anno partiamo con tre o quattro giovani provenienti dal settore giovanile”.

Il 4-4-2 per trovare maggior compat-tezza in trasferta, però a dare un oc-chio alle statistiche, in casa andate meglio che fuori. Come si spiega que-sta differenza di rendimento?“Negli ultimi mesi ho studiato molto questo aspetto e sono anche arrivato ad una mia conclusione. Ho notato che, percentualmente, incontriamo maggiori difficoltà quando giochiamo su campi in

SERIE D/ LAVAgNeSedi Simone TONINATO

erba naturale. Al contrario sul sintetico rendiamo meglio. Probabilmente la velo-cità di scorrimento del pallone sul manto erboso è la principale causa della diver-sità di rendimento tra casa e trasferta. Non è facile dimostrarlo, ma le statistiche dicono questo”.

Prima di diventare allenatore è stato giocatore. Nel suo undici, chi incarna di più l’Andrea Dagnino calciatore? “Direi Boggiano. Si tratta di un giocato-re con tanta qualità e allo stesso tempo difficile da collocare nel calcio moderno. Non è una punta, non è un esterno e non

è un centrocampista. Insomma, un cal-ciatore che è allo stesso tempo difficile da mettere in campo ma con una qualità tale che è anche difficilissimo da lasciar fuori”.

Come tecnico, invece, trae o ha tratto ispirazione da colleghi del presente o del passato?“Sotto l’aspetto teorico, vorrei ispirarmi a tecnici che adottano moduli spregiudi-cati, ma quando poi nella pratica devo schierare la squadra in campo, scelgo concretezza ed equilibrio. Tra gli alle-natori attuali mi piace Montella per la fantasia e Conte, specie quando gioca su due linee anziché tre, per il tipo di calcio che propone: muscolare e concreto”.

E che ci dice del rapporto con la tifo-seria?“La nostra tifoseria è meravigliosa. Noi non abbiamo numeri incredibili come possono essere quelli di società più bla-sonate, ma in questi anni, in cui abbiamo anche passato dei momenti negativi, loro non ci hanno mai abbandonato. È uno dei fattori per cui in campo alle volte possia-mo rendere più di squadre che magari tifoseria non ne hanno proprio”.

DAGNINO ALLA GUIDA DI UNA SQUADRA CHE PUNTA IN ALTO, NEL SEGNO DEL 4-4-2…

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SEMPRE AD ALTI LIVELLILa Lavagnese disputala Serie D dallontano 2002/03...

BIANCONERI D’ASSALTOLa rosa della Lavagnese

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DAVIDE LIPPI È FIGLIO D’ARTE, MA NON SI È ACCONTENTATO. CON DETERMINAZIONE E

PASSIONE È RIUSCITO A DIVENTARE UN GRANDE AGENTE, GRAZIE ANCHE AI CONSIGLI DEL PADRE…

di Gaetano MOCCIARO

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FIGLIO D’ARTEDavide è figlio

del tecnicoMarcello Lippi...

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iamo nel cuore di Milano, Davide Lip-pi ci apre le por-te della sua “Reset Group”, l’azienda fondata con Carlo Diana - “figura im-

portantissima che mi ha insegnato tan-tissimo” - dichiara. Si occupano non solo di calcio, ma anche di marketing e comunicazione. Saltano all’occhio le riproduzioni dei propri calciatori in stile figurine Panini, le foto e i cimeli con tutti i più grandi del calcio, da Maradona a Messi, i sette biglietti delle partite di Germania 2006 esposti e una maglia di Gianluca Vialli autografata, lui che, come Lippi ammette: “E’ stato il mio ido-lo, che quando una volta era alla Samp e mi accarezzò il capo quasi non volevo più lavarmi i capelli”. Ci parla a 360° dai suoi inizi a come è nata la sua crea-tura. Passando per il ciclone Calciopoli.

Chi è Davide Lippi, giovane rampante della comunicazione?“Nonostante abbia 37 anni ho avuto la fortuna-sfortuna di incominciare presto e lo devo a tante persone, in primis la mia famiglia: mia madre, mio padre, che è stato fondamentale in tutto quello che ho fatto”.

Da figlio di un ex calciatore anche tu hai intrapreso da ragazzo quella stra-da?“Quando hai un padre così e giochi a pallone hai un sogno che è di quello di fare il calciatore. Io ebbi la sfortuna di avere un incidente stradale: mi ruppi tut-te e due le gambe, i legamenti crociati. Comunque ripresi a 19 anni, feci un paio di campionati in Interregionale, vinsi il campionato con Camaiore e Viareggio. Ho fatto diverse nazionali giovanili e non ero un cattivo giocatore, anche se un po’ lento. Ero mezz’ala”.

C’è qualche tuo ex compagno di squadra che poi è emerso?“Totò Di Natale giocava con me al Via-reggio. Fece 14 gol, era il più bravo di tutti e devo dire che all’epoca ancora non aveva questa sensibilità. Non avrei mai pensato potesse diventare fino a questo punto. Lui è maturato un pochino in ri-tardo, ma ha fatto una grande carriera”.

Poi come è andata a finire la tua car-

riera?“Con mio padre un giorno facemmo una camminata sul mare nella quale mentre si parlava a 360° di calcio, della vita e di tante cose. Mi disse che se avessi voluto avrei avuto la possibilità di seguire da vicino il mondo del calcio ma in maniera diversa dal campo, magari a livello ma-nageriale . Così mi disse che potevo fare uno stage alla Juventus”.

Aveva capito che avevi attitudini ma-nageriali?“Quello non lo so, mi fece un discorso di vita che avevo condiviso. A 20 anni un

giovane che non studia e fa una carriera di C1-C2, che poi quella di un calciatore è breve, fece dire a mio padre: ‘Comincia a fare un salto diverso’. L’ho ascoltato, anche se per 7-8 mesi ce l’avevo con lui. Entrai alla Juventus e così incominciai a conoscere persone come Giraudo e Mog-gi che sono diventate fondamentali”.

Di cosa ti occupavi alla Juve?“Mi misi a fare lo stage con la Juventus, lavoravo con Andrea Agnelli, avevamo le scrivanie vicine. Lavoravamo al pro-getto stadio”.

già all’epoca progetto stadio?“Giraudo guardava già avanti, era in-torno il 1995-1996. D’altronde parlia-mo di mostri sacri”.

Cos’altro ricordi di quell’esperienza alla Juve?“Ebbi la fortuna di conoscere Carlo Dia-na, il mio socio attuale, che era il re-sponsabile marketing e per volontà di Giraudo mi fece da tutor. Ho fatto 2 anni al marketing, al commerciale. Ho fatto tante, ma tante fotocopie (ride). Però è stata un’esperienza formativa strepitosa, soprattutto per me che non avevo fatto l’università. E lavoravo di giorno e stu-

SLA FORZA DEI SOGNI

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diavo la sera, perché Giraudo mi aveva messo un professore che mi insegnava bilancio, marketing e comunicazione. Mi ricordo che venivo sempre redarguito da Giraudo perché appena potevo, dal piano terra di piazza Crimea, andavo al primo piano dove c’erano Moggi, Perinetti, Leonardi. Mi piaceva stare con loro. E Giraudo ogni volta mi richiamava. Per me aver avuto la fortuna di essere cresciuto senza fare niente di particolare, semplicemente stando zitto ma vicino a queste persone è stata un’università, un master, un tutto insieme di livello impa-gabile. Non esiste scuola che ti può dare tanto quanto quello che mi hanno dato queste persone in 10 anni. Tant’è che dopo questi 2 anni mi occupavo anche di fare i colloqui a chi avrebbe poi fatto dopo gli stage. Vedevo i laureandi e lau-reati in economia, ma mi rendevo conto che ne sapevo più di loro, proprio per l’esperienza formativa che avevo fatto”.

Potevi restare a lungo alla Juve. E in-vece?“Mi resi conto che per me era difficile timbrare il cartellino. Passare dal cam-po alla scrivania era dura. Mi veniva da piangere perché io ero in giacca e cra-vatta e vedevo ragazzi che fino all’anno prima giocavano contro di me in Pri-mavera. Dissi: in ufficio non ce la faccio più, devo lavorare nel pallone, io devo andare nei campi. E devo dire, ancora una volta sono stato fortunato perché ho avuto la fortuna di scegliere e di essere scelto dai top, nel senso che ho comin-ciato la mia carriera collaborando con Paco Casal e Gustavo Mascardi, due mostri sacri e così sono stato due mesi in Sudamerica. Poi ho avuto modo di inizia-re con Alessandro Moggi, altra persona che mi ha dato questa opportunità. Co-

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minciai con lui quando ancora non aveva la GEA. Io collaboravo, non ero socio. Dopo qualche anno volevo crescere, non intendevo restare collaboratore e quindi avevo voglia di crescere e siccome alla GEA, che nel frattempo era stata costi-tuita, non c’era possibilità già prima che scoppiò Calciopoli comunicai ad Ales-sandro che me ne sarei andato comun-que. Volevo anche io fare l’imprenditore, non sono nato per stare sotto qualcuno, sono del Leone, voglio prendere decisioni e ne parlai con mio padre”.

Cosa ti disse?“Era gennaio 2006 e mi disse: vedo che c’è un po’ di confusione, non è corretto che tu te ne vada. Aspetta che si risolva-no i problemi, intanto comunica che tu te ne andrai. Pensavamo che i problemi che c’erano a gennaio fossero meno grossi, poi a maggio scoppiò il casino”.

Come hai vissuto quel periodo? Eri indagato“Fu davvero tosta, difficile. Quando ti trovi in questi casini e non sai perché e per come è dura. C’erano 60-70 articoli ogni giorno e sembravamo dei mostri. Vivevo a Roma e per me, figlio dell’al-lenatore che ha fatto della Juve in una città storicamente anti-juventina, fu mol-to dura nella misura in cui ogni volta che uscivo di casa mi dicevano ogni cosa. Il mondiale fu fondamentale perché partii e stetti un mese via, d’altronde non era possibile restare a Roma”.

Hai un ricordo particolare di quel mo-mento?“Ricordo che nel mio palazzo c’erano dei ragazzini che giocavano a pallone tutti i giorni con me. un giorno non li sentii, andai io a suonare. Il TG5 aveva appena detto che io e Alessandro Moggi era-vamo stati indagati per associazione a delinquere e questi bambini mi dissero: “Non scendiamo. La televisione ha det-to che sei cattivo”. E io ricordo che stetti seduto sulle scale di casa mia un’ora e mezzo chiedendomi: “cosa ho fatto?” Ero distrutto. Così decisi con mio padre di seguirlo ai mondiali in Germania. In quel momento mi sono accorto di chi ti è amico, chi ti ha usato. Vedi i calciatori che ti abbandonano. Oddo, Vantaggia-to, Soncin decisero di non essere più se-guiti da me. C’è poi chi ha continuato a seguirmi come Chiellini, Coda, Brocchi,

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SEMPRE IN PRIMA FILADavide ci mostra

la maglia di Brocchi...

MERCATO, CHE PASSIONEIl calcio, da sempre,

fa parte dellasua vita...

conoscenza calcistica dal punto di vista manageriale, nonché credibilità. Ovvia-mente quando un personaggio del ge-nere ti tiene vicino significa che non sei tanto una persona sbagliata ed in quel momento per me è stata fondamentale questa vicinanza, e per questo lo ringra-zierò per sempre, perché ho imparato e sto imparando molto, anche solo una cena con certi personaggi vale oro co-lato”.

In quei periodi sei stato anche socio di Briatore“Con la famiglia avevamo fatto l’investi-mento della discoteca Twiga a cui devo molto per le pubbliche relazioni. Grazie a Briatore che nel genere è il numero uno ho imparato molto. Ho fatto conoscere

Mannini, Potenza: gente che mi è stata vicino e che ringrazierò sempre”.

Non ti è mai passato in testa di mol-lare tutto?“Mai. Ed è lì che è nata l’idea di creare Reset Group. Lo dice proprio il nome, che indica la volontà di resettare tutto. Ero quindi molto amico di Carlo Diana, che era il mio tutor, chi mi ha insegnato alla Juve, mi ha dato libri di marketing spor-tivo da studiare, tra l’altro scritti da lui. Avevo un processo penale, non sapevo se fare ancora questo mestiere e allora ho detto: facciamo un’agenzia che ci per-metta di fare un lavoro di marketing e comunicazione a 360 gradi. Poi, una volta risolti i problemi con la giustizia, perché ero tranquillo di risolverli perché

la persona che sono, mi sono fatto cono-scere e apprezzare. Devo dire che alla mia età crescere come mio padre, Mog-gi, Briatore, Galliani è stato un grande privilegio. Non mi prendo tanti meriti se non quello di essere stato in silenzio ad apprendere”.

Torniamo un attimo indietro, dicevi che sei andato in germania nel 2006 per staccare la spina. L’Italia vince la coppa del mondo. Ciò ha cambiato l’opinione pubblica nei tuoi riguardi?“Persone che due mesi prima parlano male, poi diventano amici. Il mondiale non ha cambiato noi, ma l’atteggiamen-to degli altri nei tuoi riguardi sì. Io mi sono tolto qualche sassolino dopo e negli anni seguenti. Finti amici che sono tornati

non avevo fatto nulla, cominciammo con la divisione calcio che è il mio mestiere”.

Come sono stati gli inizi?“I primi due anni duri, abbiamo aperto questa società in un piccolo ufficio di 40 metri quadrati a Roma. È stato un lavoro di grande costruzione, abbiamo avuto tante porte chiuse, perché in quegli anni c’era il processo. E devo dire che questo è uno step importante, perché se oggi ho questa cattiveria imprenditoriale è per quello che è successo. Io nella vita sono nato fortunato e quando è così non hai quella fame e cattiveria. Mio padre mi disse un giorno: qualsiasi cosa avessi fatto all’epoca avrei potuto bussare por-ta a porta a tutti gli italiani e sarebbe stato inutile, tanto non mi credevano.

ma ho allontanato”.

Mondiale 2010 invece, Marcello Lippi criticato. Anche te di conseguenza? Il caso Cassano fece scalpore.“Intanto la smentisco subito questa cosa che è stata solo mediatica. Non ho avu-to alcun tipo di problema con Cassano, anzi. Gli ho dato una mano sul contratto con Diadora, abbiamo collaborato con lui e il suo agente Bozzo. Mai avuto pro-blemi con lui. Addirittura Striscia la Noti-zia disse che ci eravamo picchiati, quan-do non abbiamo nemmeno discusso”.

La brutta figura dell’Italia nel 2010 portò a capri espiatori.“Quando le cose non vanno bene ci sono questi pretesti. Mio padre è stato comun-

Perciò non mi rimaneva che lavorare a testa bassa e avere fiducia che si sarebbe risolto tutto, perché tanto la verità viene sempre a galla”.

E a lavoro quando hanno iniziato a dire sì?“Quando vinci il processo ti scrivono un piccolo articolino, il mondo cambia. E qua è entrata un’altra persona fonda-mentale nella mia vita: Adriano Galliani. lo chiamo scherzosamente “zio”. Mi ha conosciuto anche grazie ad un grande amico, il proprietario di “Giannino” Lo-renzo Tonetti. Mi ha apprezzato come persona in primis e mi ha dato la possibi-lità di stargli vicino, andavamo a pranzo e a cena spesso come succede tutt’oggi e mi ha aiutato ad acquisire sicurezza

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I RE DeL MeRCATO / DAVIDE LIPPII RE DeL MeRCATO / DAVIDE LIPPI

Intervista di Gaetano Mocciaro

“”rimPianti? uno solo. mi sento di non aver Provato

veramente a fare il CalCiatore. avevo le qualità Per fare una

disCreta Carrieraque un grande perché non è facile rifare un mondiale dopo quello che hai fatto e dopo 2 anni che sei stato fuori. Lui se n’era andato dalla Nazionale lo ha fatto per tutto quello che ci hanno fatto. Non è stato facile lasciare quella Nazionale, ma lui è stato coerente, un uomo con la u maiuscola. Ha deciso di tornare, le cose non sono andate come volevamo, ma in conferenza stampa dopo l’ultima partita si prese tutte le responsabilità nonostante alla fine chi è che va in campo è la squa-dra, ma fa parte del gioco”.

Tuo padre è reduce da una brillante esperienza in Cina: un mondo diverso“Questo mi inorgoglisce molto. Quando sono andato in Cina ho visto una persona che alla sua età metteva una voglia e una cattiveria fuori dalla norma. È vero, sem-bra facile dire: “con tutti i soldi che gli hanno dato…”. Ma andare a 20mila km dalla famiglia, senza necessità economi-che impellenti, solo per la voglia di fare una nuova esperienza ti inorgoglisce. Poi, vederlo allenare con quell’umidità, sotto l’acqua con l’interprete strillando mi fa-ceva venire la pelle d’oca. Mi dicevo: chi glielo fa fare? L’ho visto allenare come allenava la Juve e la Nazionale, con la stessa intensità e voglia. Potrebbe stare a casa tutta la vita a pescare e invece ha dimostrato una voglia e un’abnegazione che fa venir voglia di fare lo stesso”.

Hai preso da tuo padre?“È un piccolo complimento che mi fanno le persone. Tanti mi dicono: potresti fare qualsiasi altra cosa anziché romperti le scatole sempre al telefono, sempre in viaggio. Io sto dove ho più lavoro. Sono fortunato perché faccio quello che mi piace fare a questi livelli a 35 anni”.

Sulla divisione calcio avrai qualcuno a cui sei legato di più?“Luca Pennacchi e Claudio Chiellini sono stati fondamentali nel progetto, si sono occupati della divisione giovani e abbia-mo una serie di giocatori che io chiamo affettuosamente “i terribili”, perché sono di livello importante, come Caprari, Ver-re, Camporese, Bellomo, Galano, Sabelli, Iemmello, Spinazzola ma non solo. Dif-ficile dire a chi sono più affezionato ma certo penso a Brocchi, Coda o Chiellini che sono con me da sempre. Vedere Gior-gio, che hai conosciuto 16enne e vederlo capitano della Juve e della Nazionale è il massimo del massimo. Ma le soddisfa-zioni sono anche altre, come Berni che fa il migliore in campo e ti manda un mes-saggio dove ti ringrazia”.

Come definiresti la tua vita?“Nella mia testa dicevo: ho rapporti, co-noscenze tali che è come avere un maz-zo di carte pieno di jolly che non sapevo come utilizzare, come far fruttare. La co-noscenza di Carlo Diana, che è mio socio alla Reset, mi ha aiutato a creare questa struttura che mi dà modo di “giocare a carte”. Vedo così la mia vita. È una parti-ta a carte a cui sto giocando”.

Rimpianti?“uno solo. Mi sento di non aver provato veramente a fare il calciatore. Avevo le qualità per fare una discreta carriera. Il ragionamento di mio padre è stato cor-retto e lo penso anche io, cioè di provarci fino a 23-24 anni. Poi se vedi che puoi fare un’altra carriera che ti può sistema-re anziché fare una carriera di C1 o C2. Io ho smesso a 20, potevo andare avanti ancora un po’, però sottoscrivo ciò che ho fatto”.

IMPEGNATONEL SOCIALEIn campo per la partitabenefica contro la Sla“Tutti per StefanoBorgonovo”...

ED E’ SOLO L’INIZIODavide è giovane

ed ha ancora tantisogni da realizzare...

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SARACINESCA BIANCONERA

TACCONI È STATO UN’ICONA DEL CALCIO. PORTIERE ECCEZIONALE, SAPEVA FARE LA DIFFERENZA, SIA IN CAMPO CHE FUORI…

di Antonio VITIELLO

foto BALTI / PHOTOVIEWS

I gIgANTI DEL CALCIO

STEFANO TACCONII gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI

CLASSE PURISSIMAGrande portiere,

ha vinto tuttocon la Juventus...

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nato difficile con sedici squadre, ci dava-no già per spacciati, invece c’è stata la forza e un compattezza determinante tra squadra e tifosi che ci ha dato la forza di salvarci”.

Invece con l’Inter non è andata bene, hai mai pensato a come sarebbe po-tuta andare con la maglia nerazzurra per il resto della carriera?“Nel ‘74 sono arrivato a Milano e ho fatto la Primavera, ho vinto anche la Coppa Italia, ero interista, per me era il massimo giocare all’Inter. In seguito mi hanno mandato a giocare alla Pro Pa-tria, Livorno e Sanbenedettese, poi l’A-vellino stesso. C’erano le comproprietà e io alla fine del terzo anno scelsi di rima-nere ad Avellino, perché non mi andava di andare a fare la panchina a Bordon in Serie A. Li è stata anche la fortuna di zenga, Walter mi deve tanto (ride)”.

Quando la Juve ti ha chiamato per

rriva al bar del cen-tro con il suo Bigol al guinzaglio, in un pa-esino nella provincia di Milano con meno di quattromila ani-me. “Si sta tranquilli

qui a Cusago, ci vivo ormai da 20 anni”, esclama Stefano Tacconi appena seduti al tavolo. Jack intanto è molto vivace e scodinzola in cerca di carezze. Tac-coni accende una sigaretta e dopo uno sguardo al cielo plumbeo inizia a sfo-gliare l’album dei ricordi insieme a noi.

Come nasce la passione per il calcio e in particolare per il ruolo di portiere?“Prima di tutto devi averlo nel sangue, poi è normale che va modificata e model-lata questa passione. Col tempo miglio-rata e allenata, più giochi e più impari. Avevo due fratelli più grandi e avevano bisogno di sfogarsi e allora mettevano il pirla, che sarei io da bambino, davan-ti alla famosa saracinesca, da li è nato tutto. Qui sono cominciati i primi passi”.

È vero che per fare il portiere bisogna avere un carattere particolare?“Devi avere personalità ed è normale che durante gli anni la migliori e la modifichi. Ogni portiere è diverso da un altro. Non si è mai uguali, si hanno proprie caratte-ristiche e un proprio modo di parare, uno stile e un comportamento differente. Alla fine tutti sono diversi tra loro”.

gli inizi sono sempre più duri, avresti mai immaginato di arrivare a vincere la Coppa dei Campioni con la Juve?“Quando ero bambino e vedevo le prime partite negli anni 60 sono diventato ti-foso interista, perché fecero la finale nel 1964. Lì ho pensato che sarebbe stato meraviglioso un giorno vincere la Cop-pa Intercontinentale. All’epoca era una competizione molto più complicata, con gare di andata e ritorno contro le mi-gliori, non come la formula odierna. Ho raggiunto questo sogno qualche decen-nio dopo. Ce l’ho fatta insomma”.

Hai esordito in Serie A con l’Avellino, che ricordi hai di quell’esperienza?“È stato per me un lancio importante, perché l’anno prima ero in B con la San-benedettese, che tra l’altro retrocesse, e ad Avellino sono riuscito a modificare il mio carattere. Andavo a fare un campio-

sostituire un totem come Zoff eri pre-occupato per la pesante eredità?“Avevo timore di non essere in grado di sostituirlo. Avevo 26 anni, ero migliora-

to e l’Avellino mi aveva aiutato moltis-simo perché fare tre anni di Serie A in una piazza cosi calda ti fa crescere. Era fantastico andare alla Juve dove c’era-no 8 campioni del mondo, i due migliori stranieri, in pratica l’unico pirla ero io”.

Come fu l’impatto nell’ambiente bian-conero? C’era scetticismo?“Inizialmente sì, i giornalisti ogni volta facevano il ballottaggio tra me e Bodini per chi dovesse giocare titolare. Dovevo fare qualcosa di importante per prender-mi il posto. Ebbi la fortuna di parare un rigore a De Vecchi nel 7-1 con l’Ascoli e poi di vincere la Coppa delle Coppe e un campionato. L’anno dopo fu meno esaltante, perché feci 6 mesi di purga-torio e per tornare in pista ho dovuto nuovamente modificare qualcosa del mio carattere. Inizialmente mi ero abbattuto poi ho detto: “Adesso vi faccio vedere io”, e sono tornato tra i pali per la Cop-pa dei Campioni”.

AI gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI

“”noi eravamo la juve Che dominava il mondo. le altre

squadre erano grandi ma non vinCevano

niente, noitutto quello Che C’era

ICONA BIANCONERABen 254 presenze

in bianconero eanche la fascia

di capitano...

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Cosa ti ha insegnato Zoff?“Mi ha dato tranquillità. L’ho avuto come allenatore dei portieri subito dopo il suo ritiro, per me è stato un aiuto importante, anche per integrarmi meglio. Ho avuto la fortuna che la Juve perse la finale ad Atene, chissà cosa sarebbe successo se invece avesse vinto. Invece c’è stata una reazione importante e abbiamo trionfa-to in tutte le competizioni che potevamo giocare in tre anni”.

È vero che anche Napoli e Roma ti vo-levano?“Il presidente dell’Avellino, Sibilia, all’e-poca era solito vendere un giocatore a tre o quattro club diversi. una volta era così, succedeva spesso. Era l’anno buo-no per i portieri perché smettevano tre

I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI

grandi a Juve, Roma e Napoli e non si poteva perdere un treno così importante. Castellini smetteva con gli azzurri, Con-ti a Roma e zoff alla Juve. C’à stato il giro con Bordon alla Samp, io alla Juve e Galli al Napoli. Abbiamo preso il treno mentre altri sono stati fermi”.

Invece cosa successe con mister Mai-fredi a genova?“E’ successo quello che doveva succedere. Alla Juve mi odiava, poi al Genoa me l’ha fatta pagare però alla fine ho sem-pre vinto io. Dopo di lui è arrivato Fran-co Scoglio e grazie a lui ho vinto la top portieri a 38 anni, prima che smettessi. Mi ha rigenerato il mitico Scoglio, mi ha ridato voglia di chiudere degnamente la carriera”.

OPINIONISTA FICCANTEOvunque sia, Tacconi

non ha peli sulla lingua,come in campo...

ITALIA A SPRAZZIPer colpa di Gallie Zenga, ha avutopoco spazio in Azzurro...

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I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI

La tua Juve aveva una dimensione europea importante, ha vinto la Cop-pa Campioni nella stagione 1984/85, perché la Juve attuale non riesce a decollare in Europa?“Perché noi eravamo la Juve che domi-nava il mondo. Le altre squadre erano grandi, ma non vincevano niente, come il Barcellona o il Manchester united. Era-vamo quelli che oggi possono essere il Bayern Monaco o il Real Madrid. Sono generazioni e investimenti che oggi han-no portato queste squadre a vincere. Il presidente Agnelli oggi pensa a spendere poco e vincere qualcosa, forse è meglio così rispetto allo united, per esempio, che oggi spende tanto ma non vince nulla”.

Qual è stata la partita più bella della tua lunga carriera?“Ce ne sono talmente tante. Mi ricordo di più la finale della Coppa Intercontinen-tale quando parai due rigori. E’ normale che la senti più tua. Tutte le finali che ho fatto sono andate bene, a differenza di

“Perché fa sempre un investimento a lun-go termine. A parte Van der Sar gli altri hanno fatto lunghi cicli. Se pensi ai por-tieri storici della Juve ti vengono in mente zoff, Tacconi, Peruzzi e Buffon, gli altri sono stati momentanei. In cento anni di storia sono stati solo 5-6 i portieri a du-rare a lungo, inoltre vestire il bianconero non è facile, vuol dire che non devi mai sbagliare. Anche se bisogna ammettere che oggi è più complicato perché ci sono tante telecamere e l’errore diventa subito di dominio pubblico, invece ai miei tempi era un po’ più facile mascherarlo”.

Nella tua vita chi è stato l’insegnate di calcio per eccellenza che ti ha for-mato?“C’è stato Gino Merlo a Livorno, un por-tiere che ha giocato negli anni 40 arri-vando secondo dietro il grande Torino. Lo chiamavano il portiere ballerino, per-ché mi portava a ballare il valzer. Se-condo lui se non sapevi ballare non po-tevi fare il portiere. Per lui il tempo era

UN VINCENTEDi Antonio VitielloLA SUA BACHECA È PIENA ZEPPA DI TROFEI, TUTTI VINTI DA PROTAGONISTA ASSOLUTO…

Quando si pensa ad una leggende della Juventus, tra i nomi illustri c’è anche quello di Stefano Tacconi, unico portiere in grado di vincere tutte le competizioni internazionali a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Il suo palmares è infarcito di trofei conquistati in Europa: Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe, Supercoppa, Coppa Intercontinentale e Coppa Uefa, oltre due campionati e una Coppa Italia. Quasi dieci anni con la casacca bianconera e un ciclo vincente da entrare diritti nella storia del club piemontese. Tacconi però nasce nel settore giovanile dell’Inter, dove conquista anche una Coppa Italia di categoria, poi inizia a fare esperienza per i campi minori come la Pro Patria, Livorno, Sanbenedettese e poi i tre anni di Avellino saranno fondamentali per la maturazione e l’esperienza in Serie A. Una fase cruciale sia per il giocatore che per la crescita umana. Così decide di non tornare in neraz-zurro e aspettare la grande chance. La chiamata arriva infatti all’età di 26 anni, quando viene ceduto alla Vecchia Signora dal presidente Sibilia per sostituire un totem come Dino Zoff. Proprio lui lo accoglie alla Juve e diventa il suo preparatore di portieri. Zoff gli dà fiducia e sarà un fattore importante per superare lo scetticismo della piazza torinese. Inizia a fare parate decisive e a conquistare la fiducia di tutti, Stefano tra i pali vince e convince. Ha più volte sottolineato come tra i trofei conquistati e le tante finali disputate, la Coppa Intercontinentale del 1985 giocata contro l’Argentinos Juniors sia stata la gara più emozionante di tutte. Infatti in quella partita Tacconi parò due rigori e consegnò la coppa alla sua squadra. Negli ultimi anni della carriera alla Juve diventa anche il capitano. In Nazionale ha totalizzato solo sette presenze (due le reti subite), perché ha avuto sulla sua strada Giovanni Galli e Walter Zenga, di cui è stato il vice agli Europei del 1988 e ai Mondiali di Italia ‘90. Nel 1992 si trasferisce al Genoa dove non ha un gran rapporto con mister Luigi Maifredi, mentre l’anno seguente rinasce sotto la guida di Franco Scoglio e conquista anche una top portieri prima di chiudere la carriera. Nella vita privata Tacconi ha la grande passione per la cucina (possiede pure un diploma da cuoco) e recentemente ha scritto un libro “Sapori d’infanzia - ricette della mia umbria”, proprio sulle pietanze della terra d’origine. Ha più volte tentato la carriera politica senza ottenere grandi risultati. È sposato con Laura Spe-ranza da cui ha avuto quattro figli.

“”gara Più bella?mi riCordo di Più la finale della CoPPa

interContinentalequando Parai

due rigori. è normale Che la senti Più tua

Platini che le sbagliava tutte (ride). Co-munque vincere l’Intercontinentale con la Juve vuol dire essere nella storia, vieni ricordato per sempre”.

Prima Zoff, poi Tacconi e adesso Buf-fon, come mai la Juve ha una grande tradizione di portieri?

CAMPIONE VEROLa storia di Tacconiè degna di un libro...

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Intervista di Antonio Vitiello

I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI I gIgANTI DeL CALCIO / STEFANO TACCONI

“”traPattoniinveCe è stato

il tiPiCo allenatore

Padre-Padrone,è stato

imPortantePerChé mi ha dato fiduCia

e mi ha fatto CaPire tante Cose

capire tante cose. Lui guardava più la vita che il calcio, ti seguiva più fuori che dentro il campo. Quando c’era lui ricor-do che la Juve aveva una compattezza in dirigenza molto forte, Trapattoni aveva un grande rapporto con Boniperti”.

C’è un giocatore con cui avresti volu-to giocare?“Ho avuto il meglio del meglio in squadra. Facile pensare ai fuoriclasse della Juve, ma anche ad Avellino c’era gente arrab-biata che voleva combattere e vincere”.

Magari avere in squadra Maradona…“Se Maradona fosse stato nella mia squadra non sarei stato famoso per il

fondamentale, l’1-2-3 che si ripete. Sono i tempi proprio del portiere nelle uscite, nelle parate e nei saltelli. E se lo vedevi quando allenava sembrava un ballerino. Lui mi ha dato proprio l’importanza del tempo”.

Che messaggio si può lanciare ai gio-vani di oggi che puntano a diventare giocatori professionisti?“Di pensare a fare una carriera con sa-crifici, di non imitare nessuno. Spesso si vuole imitare Balotelli, o in passato Ma-radona, possono essere grandi giocatori ma nella vita privata hanno lasciato a desiderare. Ci vuole passione in questo sport, e oggi i ragazzi non sanno cose

vuol dire fare sacrifici”.

C’è un episodio o un gesto che cancel-leresti nel tuo passato?“Direi di no. Pensa che in tutta la mia car-riera ho ricevuto solo tre ammonizioni. Sono stato abbastanza leale con tutti, mai espulso. Probabilmente con il gioco attuale sarei stato espulso qualche volta in più. Ci sono regole diverse e se pro-vochi un rigore molte volte ti cacciano anche”.

Chi è stato l’allenatore più importante?“Sicuramente zoff perché l’ho avuto un anno come allenatore dei portieri, due anni allenatore della Nazionale Olim-

pica e due alla Juventus. Abbiamo vinto due coppe inaspettate, perché aveva-mo una squadra non brillantissima, ma quell’anno il gruppo si è unito e abbiamo vinto contro il Milan di Van Basten e di Sacchi, la Coppa Italia contro i rossone-ri, la Coppa uefa contro la Fiorentina, dopo aver fatto un miracolo perché fuori casa non abbiamo mai subito gol in tutte le partite. Ho conquistato due coppe da capitano che mi mancavano per chiudere il ciclo”.

Trapattoni invece?“Trapattoni invece è stato il tipico allena-tore padre-padrone, è stato importante perché mi ha dato fiducia e mi ha fatto

gol che mi ha fatto. Sono 26 anni che lo fanno rivedere. Ho avuto la fortuna di giocare contro la gente più forte al mondo e averne tantissimi anche come compagni. Paragonare quei nomi lì alla gente che c’è oggi. Ora con chi giochi? Acquafresca e Acquacalda? (ride). Si fa fatica anche a dire le formazioni, perché si cambia troppo ogni anno e non ci sono le radici in squadra”.

Hai vissuto l’epoca d’oro del calcio italiano, come si può tornare competi-tivi e uscire da questo momento buio?“Ci vogliono gli investimenti importan-ti e bisogna ripartire dai settori giova-nili. una volta erano migliori e molto

più sfruttati. Era fondamentale sfornare giovani perché soldi non c’erano. Basta guardare il Milan, l’Inter e la Juve stessa, sono venuti fuori tanti campioni. Oggi si punta solo a prendere il campione stra-niero e a vincere. Nonostante questo si vince poco, perché gli altri hanno investi-to molto di più”.

Prima di salutarci ci mostra il suo libro. Immaginiamo una biografia visti i tanti successi in carriera invece ci esibisce un ricettario dal titolo “Sapori d’infanzia - ricette della mia umbria”, con prefa-zione di Gianfranco Vissani. Parte del ricavato della vendita verrà devoluto a favore del progetto SOS Bambini in Uganda. “So cucinare molto bene, a casa se non lo faccio io…”. Scherzosa-mente ci saluta così.

INCUBO MARADONAIl gol su punizione

di Diego lo perseguitaancora oggi...

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vittoria dei bulgari, che hanno un 3 su 3. In teoria la sfida avrebbe potuto anco-ra finire in parità: viene quindi accolto il ricorso dei greci, che ottengono la ripe-tizione della gara, che però perderanno 2-0 in casa.Il primo turno non prevede grandi sor-prese, lo scontro più equilibrato è quello tra Marsiglia e Juventus, con i bianco-neri reduci da un discusso scudetto vinto in volata su Torino e Milan. La squadra bianconera, però, è forte e può ambire a fare strada nella competizione euro-pea. In estate arrivano dal Napoli gli esperti Zoff e Altafini, quest’ultimo cam-pione d’Europa nel 1963 col Milan. Con i giovani protagonisti dello scudetto, i due nuovi esordiscono sul neutro di Lione, visto che l’OM ha il campo squalificato, così come è sospesa la star della squa-dra, lo slavo Josip Skoblar. Nonostante il buon avvio dei torinesi, la partita viene decisa da una deviazione di Salvadore allo spalle di Zoff, su azione da corner. Al ritorno un Bettega in grande spolvero, dopo l’infezione polmonare che lo ave-va tenuto fuori dai campi per la seconda parte della stagione precedente, dà la vittoria ai bianconeri. Segna anche Hal-ler poco prima del riposo e Causio può prendersi il lusso di sbagliare un rigore.Passano tutte le grandi, nel Real Madrid brilla la stella di un attaccante ventenne fortissimo in elevazione, nato con un’ano-malia congenita ai reni, posti entrambi nello stesso lato. Si chiama Carlos Alon-so, ma in campo ha il soprannome “San-tillana” dal nome della cittadina in cui è nato, Santillana del Mar. Segna due del-le quattro reti al Keflavik, e rimarrà una colonna delle Merengues per 18 anni, fino al ritiro. È suo anche il gol decisivo all’Arges di Pitesti, a 3’ dalla fine, che regala il passaggio ai quarti. Va avanti senza problemi il Bayern, che rifila 13 reti all’Omonia Nicosia in due partite entrambe giocate in Germania (a Cipro la situazione è instabile e si gioca ad Au-gusta). L’esordio dell’Ajax con i già citati bulgari del CSKA è agevole, mentre la Juve deve vedersela con il Magdeburgo. I campioni dell’Oberliga hanno giocatori di cui si sentirà molto parlare in futuro, come Sparwasser e Pommerenke. La Juve vince entrambe le gare di misura e può così trascorrere un inverno tranquil-lo, in attesa dei quarti di finale dove tro-verà gli ungheresi dello Ujpest, che han-no avuto la meglio sul blasonato Celtic.

Insieme a Dinamo Kiev e Trnava, vinci-tori rispettivamente su Gornik Zabrze e Anderlecht, passa il turno una squadra inglese passata in pochi anni dalla Se-cond Division alla Coppa Campioni gra-zie al manager Nigel Clough: il Derby County, artefice di una vittoria incredi-bile, l’unica della sua storia, ottenuta con un punto solo di vantaggio sul trio Leeds, Liverpool e Manchester City. Dopo un primo turno agevole, il Derby raggiunge i quarti sconfiggendo il Benfica, con le sue stelle ormai al tramonto, incapace di rispondere al 3-0 subito al “Baseball Ground”.Ai quarti c’è uno scontro tra titani, ov-vero i campioni in carica e l’emergente Bayern. L’andata è ad Amsterdam, i te-deschi si mettono tutti in difesa e l’Ajax nel primo tempo raccoglie solo un’occa-sione con Krol, che colpisce il palo. Nella ripresa la resistenza bavarese ha bre-ve vita: Maier respinge corto un tiro di Schilscher e Haan realizza il tap-in. Lo stesso Haan segna di testa il terzo gol, prima c’è la rete di Mühren, chiude poi Cruyff a due minuti dalla fine. Il ritorno a Monaco, che il Bayern vince 2-1, pas-sa alla storia per il rifiuto dello stesso “Papero d’oro” di giocare per le scarse condizioni, in contrasto anche col medico sociale. Cruyff salta anche tre partite di campionato, ma sarà di nuovo in campo per la semifinale. Anomalo l’andamento di Juventus-Ujpest. Felici del sorteggio, i bianconeri dopo un pari in bianco in casa, vanno subito sotto di due reti al ri-torno. Sembrano spacciati, ma alla mez-zora il veterano Altafini infila il portiere ungherese e nella ripresa, nonostante un problema a una gamba, ancora Altafini lancia Anastasi per il gol del pareggio. La Juve controlla fino al termine ed è in semifinale.Lì trova il Derby, che ha in Kevin Hec-tor la sua arma vincente per ribaltare al “Baseball Ground” la sconfitta di misu-ra di Trnava: sua la doppietta a cavallo dell’intervallo, gli uomini di Malatinsky non riescono a bissare la semifinale del 1969. Ultima semifinalista il semprever-de Real Madrid, che sconfigge con au-torità la Dinamo Kiev, resistendo in casa dei sovietici e dominando al Bernabeu, con Santillana che avvia le danze. L’A-jax dunque, dopo il Bayern, trova un al-tro avversario di rango che pensa di po-ter passare il turno alzando le barricate ad Amsterdam. Il Real in effetti subisce

due reti, ma trova il gol su calcio piazza-to di Pirri, che gli permetterebbe di pas-sare anche solo con uno striminzito 1-0. Il risultato si verifica, ma per l’Ajax, con Gerry Mühren, che segna su una corta respinta dopo una sgroppata e un cross di Krol. L’Ajax è dunque in finale per la terza volta consecutiva e il suo avversa-rio, che sia Juve o Derby, sarà all’esor-dio. Il Comunale è pienissimo e la Juve trova il vantaggio con Altafini, servito da Anastasi, ma dura solo tre minuti, col gol di Hector dopo uno scambio veloce con O’Hare. Nella ripresa Causio e Al-tafini fissano il risultato su un confortante 3-1, gli inglesi protestano, perché Haller, quel giorno in panchina, a inizio partita e all’intervallo confabula con l’arbitro Schulenburg, suo connazionale. A desta-re sconforto per gli inglesi, inoltre, sono le ammonizioni di McFarland e Gemmill, che salteranno il ritorno.Le speranze del County si spengono a inizio ripresa della gara casalinga, con il rigore mandato a lato da Hinton e il rosso a Davies. Finisce 0-0 e la Juve è in finale. Un anno dopo, il “Sunday Times” parla di un tentativo di corruzione ju-ventino all’arbitro portoghese Marques Lobo, ma la persona che avrebbe avvi-cinato il direttore di gara è il faccendie-re Deszo Szolti, il cui nome era già emer-so per Inter-Liverpool del 1965. L’UEFA indaga e conclude, alla fine, che Szolti è un millantatore e la Juve è estranea ai fatti. Sul campo, prima della finale di Belgrado arriva lo scudetto numero 15 che i bianconeri festeggiano in ritiro mentre gli olandesi, col loro stile un po’ hippy, si avvicinano all’evento come sem-pre con mogli e fidanzate. Dall’Italia c’è un esodo verso Belgrado, ma i tanti tifosi bianconeri vedono la loro squadra subire un gol dopo soli 4’ per merito di Johnny Rep, l’ultimo arrivato. C’è ancora tutta la partita da giocare, la Juve ha già rimontato a Budapest. Tuttavia, è l’Ajax ad avvicinarsi al rad-doppio con Mühren che manda fuori con Zoff fuori causa e poi ancora con Rep. Gli stessi giocatori dell’Ajax ammette-ranno a fine gara di avere giocato male e che la Juventus ha perso una grande occasione. Dopo la storica tripletta nel ’72, per l’Ajax c’è il tris in Coppa Cam-pioni e l’ennesimo titolo nazionale, ma l’imminente partenza dei suoi migliori uomini rischia di diventare una minaccia per il dominio biancorosso in Europa.

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1972-1973SPECIALE STORIACOPPA DEI CAMPIONI

NIENTE gLORIA PER LA JUVE

I club olandesi stanno vivendo un momento magico con la terza Coppa Campioni di fila, ma la nazionale infarcita di giocatori di Ajax e Feyenoord

fallisce la qualificazione europea. Di contro, la Germania Ovest conquista il primo titolo continentale nel 1972, ma nessun club tedesco ha mai vinto il princi-pale trofeo Continentale a loro riserva-

to. Da qualche anno, però, in Bundesliga gioca una squadra destinata a dominare la scena: il Bayern Monaco. La squadra bavarese vince la Coppa delle Coppe nel 1967 e il campionato nel 1969, ma alla sua prima apparizione in Coppa Campioni usciva al primo turno contro il Saint-étienne. Stavolta, con Udo Lattek in panchina, già vice di Helmut Schön in Nazionale e la maturazione di elementi come Franz Beckenbauer, Gerd Müller, Uli Hoeness e Sepp Maier, le premesse

sono ben diverse e il 7-1 totale inflitto al Galatasaray nel primo turno di Coppa è solo il primo passo.Ci sono trenta squadre al via, l’Ajax (come detentore) e lo Spartak Trnava (per ritiro del Glentoran) ottengono il passaggio diretto agli ottavi. Un fatto curioso accompagna la sfida tra Pa-nathinaikos e CSKA Sofia, al momento dei rigori dopo 210’ di parità assoluta. Quando il Panathinaikos sbaglia il suo secondo rigore su 4, l’arbitro dichiara la

I BIANCONERI SI ARRENDONO ALFANTASTICO AJAX DI CRUYFF CHE

INFILA IL TRIS IN COPPA CAMPIONI…di Gabriele PORRI

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AD UN PASSO DAL SOGNOI bianconeri vengonobattuti solo dalgrande Ajax

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SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1972-1973

AJAX-REAL MADRID 2-1 (0-0)

Mercoledì 11 aprile 1973, ore 20:15AMSTERDAM (Stadio “Olympisch”)Arbitro: Rudolf GLÖCKNER (GDR)Spettatori: 53.234

AJAX: Heinz STUY, Heinz SCHILCHER [46’ Arnold MÜHREN], Wilhelmus SUURBIER, Horst BLAN-KENBURG, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN, Johannes NEESKENS, Johannes REP, Johannes CRUYFF (cap.), Petrus KEIZER Commissario tecnico: Stefan KOVACS.

ReAL MADRID: Mariano GARCIA REMON, José Luis LOPEZ, Juan Carlos TOURIÑO, José Antonio GRANDE, Gregorio BENITO, Ignacio ZOCO (cap.), AMANCIO, PIRRI, SANTILLANA, Manuel VELAZQUEZ, Francisco AGUILARCommissario tecnico: Miguel MUÑOZ.

Reti: 67’ Bernardus HULSHOFF, 77’ Rudolf KROL, 83’ PIRRI.Ammoniti: 38’ Petrus KEIZER, 71’ AMANCIO.

REAL MADRID-AJAX 0-1 (0-0)

Mercoledì 25 aprile 1973, ore 20:30MADRID (Stadio “Santiago Bernabeu”)Arbitro: Vital LORAUX (BEL)Spettatori: 95.000

ReAL MADRID: Mariano GARCIA REMON, José Luis LOPEZ, Juan Carlos TOURIÑO, José Antonio GRANDE, Gregorio BENITO, Ignacio ZOCO, AMANCIO [67’ ANDRES], Antonio GONZALEZ [51’ Rafael Carlos GONZALEZ], PIRRI, Manuel VELAZQUEZ, Francisco AGUILARCommissario tecnico: Miguel MUÑOZ.

AJAX: Heinz STUY, Wilhelmus SUURBIER, Horst BLANKENBURG, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Johannes NEESKENS, Arend HAAN, Gerardus MÜHREN, Johannes REP [75’ Jesaia SWART], Johannes CRUYFF (cap.), Arnold MÜHRENCommissario tecnico: Stefan KOVACS.

Rete: 49’ Gerardus MÜHREN.Ammonito: 5’ Johannes REP.

JUVENTUS-DERBY COUNTY 3-1 (1-1)

Mercoledì 11 aprile 1973, ore 15:30TORINO (Stadio “Comunale”)Arbitro: Gerhard SCHULENBURG (GER)Spettatori: 53.758

JuVeNTuS: Dino ZOFF, Luciano SPINOSI, Gian Pietro MARCHETTI, Giuseppe FURINO, Francesco MORINI, Alessandro SALVADORE (cap.), Franco CAUSIO, Antonello CUCCUREDDU [63’ Helmut HALLER], Pietro ANASTASI, Fabio CAPELLO, José ALTAFINICommissario tecnico: Cestmir VYCPALEK.

DeRBY COuNTY: Colin BOULTON, Ronald WEBSTER, David NISH, Alan DURBAN, Roy MC FARLAND (cap.), Colin TODD, John MC GOVERN, Kevin HECTOR, John O’HARE, Archibald GEM-MILL, Stephen POWELLCommissario tecnico: Brian CLOUGH.

Reti: 27’ José ALTAFINI, 30’ Kevin HECTOR, 65’ Franco CAUSIO, 84’ José ALTAFINI.Ammoniti: 24’ Archibald GEMMILL, 34’ Roy MC FAR-LAND, 39’ Giuseppe FURINO, 89’ Francesco MORINI.

DERBY COUNTY-JUVENTUS 0-0Mercoledì 25 aprile 1973, ore 18:30DERBY (Stadio “Baseball Ground”)Arbitro: Francisco MARQUES LOBO (POR)Spettatori: 38.444

DeRBY COuNTY: Colin BOULTON, Ronald WEB-STER, David NISH, Stephen POWELL [46’ Alan DURBAN], Peter DANIEL [70’ John SIMS], Colin TODD, John MC GOVERN, John O’HARE, Roger DAVIES, Kevin HECTOR, Alan HINTONCommissario tecnico: Brian CLOUGH.

JuVeNTuS: Dino ZOFF, Luciano SPINOSI, Gian Pietro MARCHETTI, Giuseppe FURINO, Francesco MORINI, Alessandro SALVADORE (cap.), Franco CAUSIO, Antonello CUCCUREDDU [67’ Silvio LONGOBUCCO], Pietro ANASTASI, Fabio CA-PELLO, José ALTAFINICommissario tecnico: Cestmir VYCPALEK.

Ammoniti: 46’ Alessandro SALVADORE, 57’ Luciano SPINOSI, 76’ José ALTAFINI.Espulso: 64’ Roger DAVIES.Note: 57’ rigore sbagliato da Alan HINTON (fuori)

SEMIFINALE 1 SEMIFINALE 2AJAX-JUVENTUS 1-0 (1-0)

Mercoledì 30 maggio 1973, ore 20:30BELGRADO (Stadio “Crvena zvezda”)Arbitro: Milivoje GUGULOVIC (SRB)Spettatori: 89.484

AJAX: Heinz STUY, Horst BLANKENBURG, Wilhel-mus SUURBIER, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN, Johannes NEESKENS, Johan-nes REP, Gerardus MÜHREN, Johannes CRUYFF (cap.), Petrus KEIZERCommissario tecnico: Stefan KOVACS.

JuVeNTuS: Dino ZOFF, Gian Pietro MARCHETTI, Silvio LONGOBUCCO, Giuseppe FURINO, Fran-cesco MORINI, Alessandro SALVADORE (cap.), José ALTAFINI, Franco CAUSIO [73’ Antonello CUCCUREDDU], Pietro ANASTASI, Fabio CAPEL-LO, Roberto BETTEGA [63’ Helmut HALLER] Commissario tecnico: Cestmir VYCPALEK.

Rete: 4’ Johannes REP.Ammonito: 66’ Giuseppe FURINO.

FINALE

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JOHAN CRUIJFF

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ACCADDE A/ FeBBRAIO

è stata un’era in cui il calcio italiano detta-va legge in Europa, la maggior parte dei lettori lo sapranno, ma questo dato con il passare del tempo

assume i connotati di un tesoro da cu-stodire e raccontare ai più giovani. Tor-niamo indietro di ben vent’anni, al feb-braio del 1994. Domenica 27, 26esima giornata di campionato, Kolyvanov al 66esimo realizza il gol che fissa Milan-Foggia sul definitivo 2-1. Quella rete non ha cambiato la storia della gara, ma ha fissato quella del calcio con un dato: 929 minuti, ecco per quanto tem-po Sebastiano Rossi era riuscito a tene-re immacolata la sua porta. E’ un Milan che corre spedito verso il terzo scudet-to consecutivo, il 14esimo complessivo, l’Europa e il mondo sono ai piedi del Diavolo. Questa stagione infatti vedrà i rossoneri vincere anche la Champions League, quattro gol per umiliare il Bar-cellona. Per chiarirci le idee, questa la formazione in campo ad Atene dall’uno all’undici: Rossi, Tassotti, Panucci, Alber-tini, Galli, Maldini, Donadoni, Desailly, Boban, Savicevic, Massaro. E manca-vano Costacurta e Capitan Baresi. Gli olandesi e lo scintillio dell’era Sacchi erano il passato, il presente aveva la faccia dura di Fabio Capello. Certa-mente meno spettacolare, ma forte di una solidità difensiva fuori dal comune, il Milan cambia volto, non cambia però il risultato. Ed eccoci tornati al punto di partenza, a quel record che 20 anni fa ha segnato un punto di riferimento per tutto il calcio italiano. UN RECORD IMBATTUTO - 19 dicem-bre 1993, San Siro, Massaro regola con un secco uno-due il Cagliari, al 37esimo

1990 al 2002: cinque campionati vinti, 1 Champions e un’Intercontinentale, in mezzo tre successi in Supercoppa ita-liana e due in quella europea. E poi c’è quel record, a renderlo unico, un prima-to ancora da battere.

DAL DIAVOLO ALL’INFERNO - In Na-zionale Rossi non è riuscito a replica-re le soddisfazioni rossonere, Arrigo Sacchi lo conosceva bene, ma gli ha concesso solo due convocazioni, senza mai mandarlo in campo, in questo caso i rivali si chiamavano Pagliuca, Mar-chegiani e Peruzzi. Difficili da scalzare. A frenare il portiere cesenate un tem-peramento bollente, nel ‘98 un colpo proibito rifilato a Bucchi gli costò cin-que giornate di squalifica e quello fu di fatto l’epilogo della sua carriera ad alti livelli. Zaccheroni affidò la porta ad Abbiati, decisivo nella vittoria tri-colore, da lì tanti dolori per Rossi. Una stagione a Perugia e poi una vita da affrontare senza i guanti addosso. La sua area ora sono le pagine di crona-ca. Rossi è stato coinvolto in varie situa-zione spiacevoli, nel 2007 la denuncia per porto d’armi improprie, violenza privata e sequestro di persona, nel 2011 l’arresto per aver aggredito un maresciallo dei carabinieri in borghe-se. Patteggiamento e pena pecuniaria. Quest’estate il coinvolgimento in un’in-dagine relativa a un giro di cocaina. Il volo di Seba finisce qui, una parabola triste che ricorda quella del calcio ita-liano. Un tempo i più ricchi, i più forti, adesso sgomitiamo per un raggio di luce. In mezzo a tanti guai, quel record però nessuno l’ha ancora tolto a Seba. “Quando eravamo Re”, film dedicato al grande Mohammed Alì, un titolo che racconta bene la storia di un signor Rossi, tutto fuorché comune.

C’

IL RECORDDI SEBA

LA STRISCIA DI IMBATTIBILITà PIù LUNgA APPARTIENE A ROSSI, PORTIERE DEL MILAN DEgLI INVINCIBILI…

Villa accorcia le distanze. Buffi intrecci del destino, il Cagliari a venti dal ter-mine fa alzare dalla panchina un certo Allegri. Chi l’avrebbe detto che Max un giorno si sarebbe seduto sull’altra. Da questo momento in poi lo schiacciasas-si rossonero non lascia neppure le bri-ciole agli altri, squadra a immagine e somiglianza del suo profeta. Vittoria di misura a Reggio Emilia, grazie a un gol di Marcel Desailly, uomo simbolo della gestione Capello. I muscoli del france-se, posti a schermo della difesa, erano le Colonne d’Ercole per gli avversari. Si tratta forse dell’uomo simbolo della gestione tattica targata Don Fabio. Tre zero a zero di fila, contro Udinese, Lec-ce e Genoa, Massaro e Papin riportano la vittoria ai rossoneri contro il Piacen-za il 23 gennaio. Spesso utilizzato come “dodicesimo uomo”, il Daniele del gol decide anche il match contro l’Atalan-ta a Bergamo. Si apre una striscia di vittorie, due gol all’Olimpico contro la Roma, successi di misura su Cremonese e Lazio. Nove gare senza subire gol, Ros-si è adesso a un passo dalla leggenda, parliamo di quel mito vivente chiama-to Dino Zoff. Il portiere della Juventus nella stagione 1972/73 mantenne can-dida la sua porta per ben 903 minuti, Rossi lo supera contro il Foggia. Seba è in cima al mondo, “Avrei preferito andare avanti con il record, ma ancora una volta si è messo in mezzo Kolyvanov. Dedico il primato a mia mamma, alla mia fidanzata e alla Curva”. Sebastiano Rossi potrà togliersi ancora tante soddi-sfazioni, forse non il giocatore più forte di quel Milan stellare, ma certamente una sicurezza, che i vari Lehmann, Taibi e Pagotto non sono riusciti a scalfire. Più volte infatti il portierone romagnolo si è trovato a fronteggiare la concorrenza di qualche nuovo arrivato. Al Milan dal

di Paolo BARDELLI ACCADDE AFEBBRAIO

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BALUARDO ROSSONERORossi quando difendevai pali del Diavolo...

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serissimo. In tanti dovrebbero prendere esempio dal suo spirito di sacrificio”.

Domanda secca: è meglio il calcio di oggi o quello dei suoi tempi?“Innanzitutto una precisazione: il mio calcio non è preistoria. Io ho giocato con Maldini, con Mancini, roba di appena 25 anni fa. E poi me lo lasci dire: da una parte il calcio è migliorato, si gioca di più, si segna di più. Dall’altra, mancano i grandi fuoriclasse. Io ho giocato con-tro zico e Maradona, nell’Inter ho avuto come compagno di squadra Rummenig-ge. Lo dico in senso tecnico, ma anche comportamentale. E non aggiungo altro”.

Lei, nella Ternana, ha giocato con Carlo Petrini, uno dei grandi accusa-tori del nostro calcio. Doping, partite vendute, ci dica la sua...“Guardi, Petrini era un bravissimo ragaz-zo, però in tante cose ha esagerato. Io dico solo questo: chi non voleva prendere certe sostanze, non le prendeva. Punto. Io me ne sono sempre tenuto lontano, e nessun dottore mi ha mai obbligato”.

Franco Selvaggi, oggi lei è fuori dalla mischia...“Da un anno non sono più capo degli osservatori del Cagliari. Gestisco un re-sidence con la famiglia a Metaponto, ma non sono vecchio (Selvaggi è un classe ‘53 ndr.) posso fare ancora molto. Dopo aver smesso di giocare ho fatto per anni l’allenatore, purtroppo non andavo d’ac-cordo con i direttori sportivi”.

Ce la farà il calcio italiano a risolle-varsi?“La sorprenderò, a me Tavecchio pia-ce. Forse non si esprime come dovreb-be, ma le idee sono buone. E mi piace il direttore generale Michele uva. Io ho fiducia. Per il resto dobbiamo ripartire dalla base, dobbiamo fare come la Ger-mania che dopo il fallimento del 2006 è ripartita dalle fondamenta. Ed ora è di nuovo campione del mondo. L’Italia deve fare la stessa cosa, ed allora tor-neranno i giorni felici anche per noi”.

convocava due giocatori per ruolo: Al-tobelli era l’alternativa a Graziani, io quella a Paolo Rossi. Il CT puntò tutto su Pablito, sul suo recupero, ed ebbe ragio-ne. La rivalità con Pruzzo non esisteva, è un’invenzione dei giornali”.

Torniamo alle origini. Come si fa ad emergere dalla profonda Basilicata?“Non è facile, specialmente ai miei tempi (Selvaggi è nativo di Pomari-co, provincia di Matera ndr.) Non si vedeva un osservatore manco a pa-garlo, le strutture non c’erano, si gio-cava solo per strada. Forse quello mi ha favorito la tecnica individuale”.

Però lei ce l’ha fatta“La mia fortuna fu trasferirmi a Matera con la famiglia. Lì mi notò un giocatore della Ternana, tale Angelino Rosa, che mi fece fare un provino. Da quel giorno è partito tutto, avevo nemmeno 16 anni”.

Ricapitoliamo: esordio in A con la Ternana, due partite con la Roma, poi Taranto, Cagliari e Torino. Infine Udi-nese ed Inter. Qual è stato il Selvaggi migliore?“Quello di Cagliari, senza dubbio. An-che se a Taranto sono tuttora un idolo. A Roma mi infortunai subito, però gli anni di Cagliari sono indimenticabili. Devo ringraziare Gigi Riva che mi portò sull’i-sola. Con Gigi ho un rapporto fraterno, a lui devo tanto...”

Rimpianti?“No, nessuno. Sono felice di quello che ho fatto. Se proprio devo dire, forse in nazionale ho avuto poca fortuna. Ho di-sputato solo tre partite, potevo giocarne di più. Però ripeto, avevo davanti Paolo Rossi, non uno qualunque”.

A proposito di Nazionale, lei per anni è stato l’unico rappresentante della Basilicata a vestire la maglia azzurra. Oggi invece...“Oggi c’è anche Simone zaza. E sono felicissimo per lui. Conosco il padre, Si-mone è una persona vera, professionista

DOVE SONO FINITI/ FRANCO SeLVAggI

Partiamo dal sopran-nome, ‘spadino’. Ri-cordate il telefilm “Happy Days”? Il pro-tagonista si chiamava Fonzie, che aveva un cugino di nome Cha-

chi, piccolo di statura, soprannominato guarda caso ‘spadino’. Franco Selvaggi, il suo nomignolo c’entra qualcosa con...? “Non credo proprio - ribatte - E non c’en-tra neppure la statura minuta, piuttosto che il piede piccolo. Al tempo si diceva avessi il 38, invece ho quasi il 40. Semmai c’entra che io, nonostante fossi una punta, giocassi più di fioretto che di sciabola. Da lì il soprannome “spadino”. L’ho sempre detto, sugli almanacchi c’era scritto: Fran-co Selvaggi, centravanti. Io però mi senti-vo più rifinitore che attaccante. In Serie A ho realizzato 49 gol, ma sapesse quanti ne ho fatti fare...” Proseguiamo il paral-lelo con la sit-com americana.

Ci dica, i giorni del mondiale spagno-lo possiamo definirli felici? Oppure... (la replica di Selvaggi è decisa, quasi infastidita): “E come li vuol chiamare? Solo perché rimasi sempre in tribuna? La stessa fine la fecero Baresi, Massaro, Vierchowod... un fuoriclasse come Cau-sio disputò appena un minuto, vogliamo dire che neppure lui è campione del mon-do? Io mi sento campione come gli altri, ai mondiali si vince in 22, io contribuii allenandomi seriamente e cementando il gruppo. E sopportando Tardelli...”

Prego?“Bearzot mi mise in camera con Tardelli, che non dormiva mai. In camera, Marco, era come in campo: elettrico, sempre in movimento. Spesso di notte si svegliava e diceva... “Franco, ti va di fare due paro-le?” Anche solo per quello sono campio-ne a pieno titolo”. (sorride, ndr.)

Togliamoci il dente: si dice che Bear-zot non convocò Pruzzo perché trop-po ingombrante, e chiamò lei perché era la riserva perfetta. “Chiariamo una volta per tutte. Bearzot

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DOVE SONO FINITIFRANCO SELVAGGI

di Stefano BORGI

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CAMPIONE DEL MONDO A SPAgNA ‘82SENZA MAI gIOCARE, OggI È FUORI DAL

CALCIO. LO CHIAMAVANO ‘SPADINO’,COME IL CUgINO DI FONZIE...

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MONDIALE IN SPAGNANel 1982 Selvaggi

fu preferito daBearzot al

bomber Pruzzo...

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MOYA, IL PORTIERE IMBATTUTO

L’ATLETICO È VOLATO AGLI OTTA-VI DI CHAMPIONS GRAZIE ANCHE AL SUO SUPER NUMERO UNO…

Neanche la Juventus è riuscita a sfondare la sua rete. In tutte le gare della fase a gironi in cui è sceso in campo (cinque, non ha giocato solo in Grecia, dove i colchoneros hanno subito tre gol), Moya, estremo difen-sore dell’Atletico Madrid, ha mante-nuto inviolata la sua porta. Una vera e propria saracinesca umana (ne sa qualcosa anche la Vecchia Signo-ra). Classe 1984, il numero uno dei biancorossi sembra aver raggiunto l’apice della sua carriera. Cresciuto nelle giovanili del Maiorca, ha fat-to i primi passi veri con il Valencia. L’esplosione è giunta con la casacca del Getafe (club con cui ha gioca-to dal 2011 al 2014). Poi, la scorsa estate, l’approdo alla corte di Sime-one. Contratto triennale e circa tre milioni di euro al Getafe. In tanti, al momento del suo arrivo, avevano storto il naso. Ora, dopo i miracoli in Champions (e pure nella Liga), si sono dovuti ricredere. Spettacolare in campo, ma anche fuori dal terre-no verde non scherza. Modello per una nota azienda d’abbigliamento, è attivissimo anche nel sociale. Moya non è il primo portiere che provie-ne dalle Isole Baleari. In passato ci sono stati altri numeri uno maiorchini come Mora, Caldentey, Gost, Mo-londro, Prats e Miki. Grandi por-tieri, tutti nati sulle Isole Baleari…

di Thomas SACCANILIgASPAgNA

A 2002/03. Due trofei che potrebbero già valere una carriera, ma per Carlo Magno (il suo soprannome in terra iberi-ca) sono solo i primi due di una serie in-finita. Vincer ovunque: Italia, Inghilterra, Francia e, ora, Spagna. Il recente Mon-diale per Club portato a casa con il suo Real Madrid è, udite udite, il 31° titolo della sua carriera (sommando i successi da calciatore e da tecnico) e, ancora più incredibile, il quarto titolo “mondiale”. Dopo le due Coppe Intercontinentali da giocatori (allora si chiamava così), con-quistate con il Milan nel 1989 e 1990, Carletto ci è riuscito altre due volte: nel

2007, alla guida del Milan, e adesso con il Real Madrid. Nessuno come lui. Tutti lo hanno celebrato all’indomani dell’ennesimo alloro, confermando come Ancelotti sia, al momento, il tecnico più rispettato e amato al mondo. Merito di un modo di porsi unico. Mai una paro-la sopra le righe, sempre l’incredibile capacità di portare serenità in qualsi-asi spogliatoio, anche in quello, decisa-mente non semplice, del Real Madrid. Ovunque c’è Ancelotti, nessuno si la-menta, neanche le prime stelle che non giocano. Non a caso la dirigenza del Real Madrid ha deciso di rinnovargli il

contratto sino al 2017 (manca solo l’uf-ficialità). Una vera e propria leggenda vivente che, fatto più unico che raro, ha la stima di tutti i colleghi. Speciali e pro-fetiche le parole spese, circa un anno fa, da Guardiola, attraverso Marca, nei suoi confronti: “Ancelotti è uno degli allenatori migliori al mondo. Ha la gran-de capacità, grazie alla sua esperienza, di far rendere al meglio i giocatori e sono certo che vincerà molti titoli con il Real Madrid”. Detto, fatto. Dopo aver sbaragliato anche il record di vittorie consecutive del Barcellona di Rijkaard, stagione 2005/06 (guarda caso anche l’olandese è un fido scudiero di Sacchi), Ancelotti punta ad alzare l’asticella e provare qualcosa di davvero stupefa-cente, ossia tentare di bissare il successo dello scorso anno in Champions League. Dopo aver regalato ai blancos la tanto agognata Decima, il nativo di Reggiolo punta ad entrare nella storia in maniera ancor più prepotente. Con tre Cham-pions League, come allenatore, già in bacheca (Milan, 2003 e 2007, e Real Madrid, lo scorso anno), il tecnico ma-dridista condivide il record di successi nell’Europa che conta con il mitico Bob Paisley, storico allenatore del Liverpool, capace di vincere tre Coppa Campio-ni alla guida dei Reds (1977, 1978 e 1981). Superarlo sarebbe l’ennesima gioia di una carriera straordinaria vis-suta sempre con la giusta serenità. Una serenità che ha contagiato tutti quanti, giocatori compresi. Cristiano Ronaldo, fuoriclasse e leader della squadra, non ha mai nascosto il suo piacere nel la-vorare alle dipendenze del tecnico ita-liano: “Rispetto a Mourinho ci parlo di più, con Ancelotti: è una brava persona e un buon allenatore. Quest’anno le cose sono cambiate poco, la squadra è rimasta praticamente la stessa, si lavora in modo simile all’anno scorso, ma sento che ormai tutto è possibile”, le sue parole dopo il successo al Pallone d’Oro 2013. La con-ferma che non bisogna necessariamen-te essere dei caterpillar alla Mourinho per vincere. In un calcio vorticoso e che ingloba tutto, non è affatto male farsi cullare dalla semplice e beata tranquil-lità che emana Ancelotti, colui che, per la quarta volta, si è seduto sul tetto del mondo a guardare tutti gli altri sbrai-tare e dimenarsi per provare a fare altrettanto. Il problema è che di Ance-lotti ne esiste solo uno in circolazione…

IL RE DEL MONDOUN ALTRO MONDIALE VINTO, IL QUARTO DELLA CARRIERA. ORA LA BACHECA DICE 31 TITOLI, NUMERI DA LEGGENDA…

nno 1992. Un giovanissimo (33 anni) ed ambizioso An-celotti decide di cimentarsi nel nuovo ruolo di allena-tore. Inizia al fianco del suo

maestro Sacchi. Gli fa da vice, per tre anni, in Nazionale. Impara molto e, nel 1995, è subito protagonista: panchina della Reggiana. Annata da incorniciare e promozione in Serie A. Fortuna? As-solutamente no. Va al Parma e scrive la storia con un secondo posto in campio-nato leggendario. Alla Juve fa benis-simo, ma non vince. Ci riesce al Milan. Champions League e Coppa Italia nel

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IL TECNICO PERFETTOAncelotti ha convinto tutti,

a Madrid è una leggenda...

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MIGUEL ÁNGEL MOyà

CARLO ANCELOTTI

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CIAO CIAO HENRY

IL FUORICLASSE DELL’ARSENAL, A 37 ANNI, HA DETTO BASTA. LAVORERà IN TV...

Henry ha detto basta. A 37 anni suo-nati, Henry ha deciso di smettere con il calcio giocato. Dal 2010 (tranne una parentesi nell’amato l’Arsenal) protagonista nell’MLS con i NY Red Bulls, il bomber francese, come ripor-tato da Sky Sport, inizierà una nuo-va avventura come telecronista spor-tivo. Campione del Mondo 1998, ha indossato tante maglie prestigiose, su tutte quella dell’Arsenal, il club con cui si è legato maggiormente. Visto, per pochi mesi, anche alla Ju-ventus, nel lontano 1999 (tre gol in 20 presenze totali). Ci mancherai…

di Luca MANESPREMIER LEAgUEINgHILTERRA

“N telli Neville. Ovvero i “ragazzini” del-la classe del 1992, l’anno del trionfo nella FA Youth Cup (l’equivalente della nostra Coppa Italia primavera) e dell’i-nizio dell’ascesa nel gotha del football internazionale, culminata nell’incredibi-le serata di Barcellona del 26 maggio 1999. Quando i ragazzini, ormai adul-ti, salirono sul tetto d’Europa.

Certo, non era una novità che lo United arruolasse in prima squadra i campion-cini delle giovanili. Basti citare i Busby Babes, immensi nella classe e nella sfor-tuna (furono decimati dal terribile inci-

dente di Monaco del febbraio 1958), per comprendere quanto dalle parti dell’Old Trafford abbia sempre conta-to l’Academy.

Anche in tempi di vacche grasse, “fo-raggiate” da lucrosissimi contratti tele-visivi e da sponsorizzazioni milionarie, Alex Ferguson ha creduto ciecamente nel coltivare in casa i talenti del futuro. I fatti gli hanno dato ragione, non solo grazie all’incredibile “infornata” della classe del ‘92.

Dopo il vorticoso calciomercato estivo, segnato da numerose cessioni, condotto la scorsa estate dal neo-manager Louis Van Gaal, in Inghilterra vari addetti ai lavori hanno criticato in maniera molto aspra la totale inversione di tendenza. Si comprano campioni già fatti, pagan-doli fior di quattrini (al 31 agosto 196 milioni di euro), e si arriva addirittura a cedere i prodotti dell’Academy, hanno tuonato vari esperti del football d’oltre

Manica. A giudicare dall’andamento di questo primo scorcio di stagione, hanno ragione, ma solo in parte. È indubbio che per ricostruire sulle macerie la-sciate dalla gestione Moyes, sono stati assoldati pezzi pregiati del mercato internazionale del calibro di Falcao e Di Maria e si sia puntato su giovani cre-sciuti in altri vivai, quali Luke Shaw e Daley Blind, cedendo Danny Welbeck e Tom Cleverley, ovvero i migliori espo-nenti dell’Academy degli ultimi anni. “Ferguson non l’avrebbe mai fatto”, si è detto. Non è proprio così. Tanto per citare un esempio, Keith Gillespie, altro vincitore della FA Youth Cup del 1992, per le sue spiccate doti tecniche a inizio carriera veniva paragonato a Giggs. Eppure Ferguson se ne privò, mandan-dolo al Newcastle nell’affare che fece approdare Andy Cole in biancorosso. Il mago scozzese ci vide lungo, come gli accadeva quasi sempre, dal momen-to che Gillespie non tenne fede alle aspettative, mentre Cole contribuì in maniera decisiva a una lunga striscia di successi, compreso il Treble del 1999.

D’altronde non sempre le ciambelle escono con il buco. Di Beckham, Giggs e Scholes ne spuntano fuori pochi e nell’arco di qualche decennio. Non è da escludere che Cleverley e Welbeck possano fare la fine di Gillespie. Spe-cialmente il primo, in realtà ancora di proprietà dello United (l’Aston Villa lo ha preso in prestito), sembra ormai destinato a un’aurea mediocritas in compagini di medio profilo. In parte differente il discorso per il secondo. Il potenziale c’è, manca la sagacia tatti-ca e la capacità di giocare di più per la squadra. Certo, di recente con la Nazionale e con l’Arsenal ha segnato i goal che spesso sono mancati all’Old Trafford, ma aspetteremmo prima di promuoverlo al ruolo di campione.

Nel frattempo, sebbene costretto dall’incredibile serie di infortuni che si è abbattuta sui Red Devils, Van Gaal non ha esitato a buttare nella mischia Tyler Blackett, Paddy McNair e James Wilson, forse il più promettente del trio. Attaccante veloce dotato di buona tec-nica, già segnalatosi per una doppietta all’esordio assoluto in Premier nel finale della scorsa stagione. Probabile che il buon James – che ha lo stesso cogno-

DOVE SONO I gIOVANI?UNA VOLTA LO UNITED ECCELLEVA NEL FORGIARE CAMPIONCINI, OGGI C’È NOSTALGIA PER I TEMPI ANDATI…

on si vince nulla con i ragaz-zini”. Parola di Alan Hansen, ex difensore del grande Li-verpool degli anni Ottan-ta, che così nettamente si

espresse durante una puntata della po-polare trasmissione della BBC Match of the Day all’inizio della stagione 1995-96. Per la precisione dopo che un Man-chester United infarcito di giovanissimi era stato preso a pallonate dall’Aston Villa. Come è andata a finire è storia nota: quei Red Devils vinsero il cam-pionato grazie alle prodezze dei vari Giggs, Beckham, Scholes, Butt e dei fra-

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C’ERANO UNA VOLTA I GIGGS...C’è stato un tempo

in cui lo Unitedsfornava fuoriclasse

in casa propria...

me del papà di Ryan Giggs, che poi preferì tenere quello materno – troverà sempre più spazio nella rotazione del manager olandese, anche se va detto che per gli altri le speranze di ritagliar-si uno spazio in squadra potrebbero ri-dursi già dalla prossima estate. Si voci-fera di fondi per 100 milioni di sterline a disposizione di Van Gaal per pun-tellare la difesa con gente del calibro di Godin, Clyne e Hummels. Insomma, l’Academy non sarà del tutto abbando-nata, ma è difficile che fra qualche de-cennio sarà realizzato un documentario come quello uscito giusto un anno fa e dal titolo “The Class of ‘92”.

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DAVID BECKHAM

THIERRy HENRy

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di’ sono, sino a questo momento, i primi dell’altro campionato, ossia quello che vale il secondo posto e gli accessi mate-matici alla Champions League. Rispetto ai più quotati Bayer Leverkusen, Schalke 04 e Borussia Dortmund, stanno riuscen-do ad esprimere maggiore spettacolo e concretezza in termini di risultati. Tutto merito della campagna acquisti ‘pre-ventiva’ effettuata dalla dirigenza del Wolfsburg, che ha in Klaus Allofs la sua mente. Nella scorsa stagione, quando le cose non stavano andando per il ver-so giusto, anche se è infine arrivata la qualificazione alla fase a gironi dell’Eu-ropa League (nei sedicesimi di finale se

suha Guilavogui in prestito dall’Atletico Madrid e Sebastian Jung a titolo defini-tivo dall’Eintracht Francoforte. I giocatori sopra citati rappresentano una parte dell’undici titolare, che Hecking schie-ra con un 4-2-3-1. In porta ci si affida all’esperienza di Benaglio: classe 1983, dopo un periodo di appannamento, è tornato ad essere affidabile. In difesa domina l’esperienza di Naldo: il brasi-liano classe 1982, che negli ultimi anni al Werder sembrava finito, ha saputo riprendersi. Non sempre eccelso in dife-sa, in fase offensiva è letale, come di-mostrano le 4 segnature in Bundesliga. Un suo ex-compagno di squadra tra i biancoverdi, nonché alter-ego, è Aaron Hunt. Prelevato a parametro zero, il dut-tile Hunt rappresenta il jolly che Hecking utilizza ogniqualvolta c’è da tappare qualche falla. Tornando alla difesa, ac-canto a Naldo sta crescendo nel migliore dei modi il classe 1992 Robin Knoche, cresciuto nelle giovanili dei Lupi. Sulle fasce arriva il bello: a sinistra spopola

la dovranno vedere contro lo Sporting Lisbona) Allofs ha piazzato il colpo che ha fatto la differenza: nel gennaio del 2014 ha sborsato 22 milioni di euro per prelevare dal Chelsea il classe 1991 Kevin De Bruyne. Il belga, che con Mou-rinho faceva panchina, ha ritrovato in Germania il suo ambiente ideale (si era già espresso ad ottimi livelli con la ma-glia del Werder Brema). Sei mesi prima di milioni ne erano stati sborsati 13 per acquistare dal Bayern Monaco il centro-campista brasiliano Luiz Gustavo. Gra-zie a questo nell’ultima sessione estiva di mercato le casse hanno subito un lieve scossone solamente per fare arrivare Jo-

SI RICOMINCIA DAL BRASILE

DAL CARCERE ALL’ESILIO, NUOVA VITA AL SAN PAOLO PER L’EX-BAYERN MONACO BRENO…

Era stato etichettato come uno dei migliori talenti del panorama calci-stico internazionale, ma il difensore brasiliano Breno si è perso all’apice della sua carriera, quando era al Bayern, tra depressione e manie da piromane che lo hanno fatto finire dietro le sbarre. Nel 2012 è stato condannato a scontare in carcere 3 anni e 9 mesi per aver dato fuoco alla propria abitazione: uscito nell’a-gosto del 2013 per buona condotta, ha scontato il resto della pena in li-bertà vigilata. Secondo le ultime in-discrezioni pare, però, che adesso la pena sia stata sospesa, motivo per il quale Breno sarà totalmente libero, ma ad una condizione: dovrà lascia-re la Germania e non potrà tornarvi per i prossimi tre anni. Un esilio vero e proprio per il centrale sudameri-cano (che la Lazio voleva acquistare poco prima che fosse condannato), che nel gennaio 2008 fu pagato ben 12 milioni dal Bayern al San Paolo. A 25 anni, Breno potrà così tornare nel suo Brasile e riabbracciare pro-prio il San Paolo, con cui aveva fir-mato un nuovo contratto nel 2012, prima di finire in carcere. Per lui, fortunatamente, c’è ancora tutto il tempo di iniziare una nuova vita, ol-tre che una nuova carriera calcistica.

di Flavio SIRNABUNDESLIgAgERMANIA

I LUPI SON TORNATIIL WOLFSBURG STA VOLANDO NEL CAMPIONATO TEDESCO. MERITO DI SOCIETà E DI UN TECNICO ALL’AVANGUARDIA...

T roppo forte il Bayern Mo-naco per sperare di poter ripetere l’exploit del 2008-2009, quando con il mago Felix Magath in panchina, i

Lupi della Volkswagen riuscirono a con-quistare il loro primo e sinora unico titolo della Bundesliga. Ma di sicuro l’edizione 2014-2015 della squadra della Bassa Sassonia, guidata da Dieter Hecking (meritatosi il salto di qualità grazie alle ottime stagioni sulle panchine di Hanno-ver e Norimberga), è degna di atten-zione per diversi motivi. Innanzitutto di classifica: con Robben e compagni che giocano un campionato a parte, i ‘Ver-

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il rossocrociato Ricardo Rodriguez. Stan-tuffo inesauribile, buona tecnica indivi-duale, freddezza nel calciare i rigori ed anche le punizioni, è forse la prima stella della squadra. Non a caso sulle sue trac-ce c’è mezza Europa (scadenza contrat-to giugno 2016, valutazione oltre i 20 milioni). A destra non è da meno Seba-stian Jung: strappato al Francoforte per 3 milioni di euro, il classe 1991 continua nella sua crescita. Capitolo mediani: Luiz Gustavo-Guilavogui, polmoni inesauribi-li. Quest’ultimo rappresenta il giocatore perfetto per gli amanti del 4-3-1-2: ca-pace sia di fungere da esterno che da seconda punta vera e propria, assicura qualità grazie a tecnica individuale e capacità di inserimento. Vierinha, ex-promessa del Porto, persosi per qualche tempo nei meandri del calcio greco con la maglia del Paok, è invece un ester-no più puro, con maggiore propensione alle scorribande sulla fascia piuttosto che al goal o all’inserimento in area di rigore. In avanti il punto di riferimento è rappresentato dall’intramontabile Ivi-ca Olic: classe 1979, il croato non ne vuole sapere di fermarsi, anzi in campo sgomita e macina chilometri, muovendosi continuamente su tutto il fronte d’attacco. Ogni tanto gli sta dando il cambio il redivivo danese Nicklas Bendtner o l’o-landese ex-Heerenveen Bas Dost, che con la maglia dei Lupi ha perso un po’ il vizio del goal (ne aveva firmati 45 in 66 partite in Eredivisie). Ovviamen-te, come capita in tutte le buone fami-glie, ci sono sempre le note dolenti. La prima, anche se parliamo di un classe 1994, è Maximilian Arnold. Avrebbe dovuto essere la stella della squadra, l’arrivo di De Bruyne e la cocciutaggi-ne di Hecking, che quando lo utilizza lo posiziona come centrocampista centra-le e non come trequartista, ne stanno frenando l’ascesa. Trova poco spazio, ma ne meriterebbe sicuramente di più, anche Daniel Caligiuri: l’ex-Friburgo paga forse il fatto di essere più punta e meno difensivo rispetto a Vieirinha. Lo dimostrano anche le tre reti messe a segno (una ogni 150 minuti in cam-po). Dalla descrizione appena effet-tuata e dalle capacità degli uomini a disposizione non ci sono dubbi quindi che il Wolfsburg abbia tutte le carte in regola, non solo per arrivare alla fine della stagione a piazzarsi per un posto in Champions League, ma anche per so-

gnare di poter arrivare in fondo all’Eu-ropa League, che quest’anno vedrà il suo atto conclusivo svolgersi a Varsavia. E i Lupi, in Polonia, troverebbero sicu-ramente un clima a loro congeniale...

BRENO

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ualche anno fa, proprio su queste pagine, parlavamo di una nuova realtà venuta fuori quasi dal nulla e pronta ad imporsi in fretta sul pal-

coscenico internazionale. Gli investimenti del magnate russo Dmitrij Rybolovlev sembravano ricalcare quelli dei vari Abramovich e Al-Khelaifi, ma – quasi improvvisamente - il tutto si è dissolto in fretta. O quasi. Il Monaco, infatti, dopo essere tornato in Ligue 1, ha dovuto fare i conti con un PSG stellare che, nell’anno del ritorno in massima serie, ha impedito ai monegaschi di conquistare il titolo.

Poi l’inattesa smobilitazione. Attratti dai milioni e dalle ambizioni delle big d’Eu-ropa, le due stelle sulle quali il Monaco puntava per costruire la propria for-tezza, vale a dire i colombiani Falcao e James Rodriguez, hanno lasciato Mon-tecarlo e, in un attimo, ridimensionato le ambizioni del club. Partite le due stelle, infatti, anche il mercato in entrata è sta-to condizionato in negativo: i campioni di tutto il Mondo hanno interpretato le cessioni eccellenti come un ridimensio-namento da parte della società bian-corossa, rifiutando il trasferimento nel Principato.

Incantesimo svanito, insomma, un po’ come accaduto in Russia, all’Anzhi se-dotto e abbandonato da un altro ma-gnate russo, Kerimov, che dopo aver re-galato al club stelle del calibro di Eto’o e Willian, ha poi abbandonato il pro-prio progetto smobilitando in quattro e quattr’otto.Il Monaco, però, forte ed orgoglioso dei suoi 90 anni di storia, ha saputo reagi-re in maniera inaspettata. Del resto, nel 2004, la squadra all’epoca guidata da Deschamps era stata in grado di rag-giungere persino la finale di Champions League. E di milioni russi non ce n’era ne-anche l’ombra. Progettando e lavorando con cura ed attenzione, tutto è possibile.Venuta meno anche la pressione di una piazza mai troppo calda e adesso nem-meno più troppo esigente, il Monaco si è rimboccato le maniche e giocando con la leggerezza di chi non deve fronteggia-re critiche ed interrogativi ad ogni passo falso, ha saputo pian piano ricreare se stesso. Senza lustrini né sensazionalismi,

ma semplicemente attraverso il lavoro quotidiano.

SOgNARE SI PUO’Dopo un avvio tutt’altro che semplice e due sconfitte rimediate nelle prime due gare di campionato, la reazione non è tardata ad arrivare. Gli exploit di Mar-siglia e Lione, uniti all’indiscutibile forza devastante del PSG, non permettono al Monaco di lottare per il titolo, ma il rendimento della squadra guidata da Jardim è in costante miglioramento e la conquista di un posto nella prossima Champions League appare tutt’altro che utopico. A proposito di Champions, è proprio sul palcoscenico internazionale che il Monaco ha saputo dare il meglio di sé, sicuramente agevolato da un sorteg-gio parecchio fortunato per una squa-dra inserita nella quarta urna. Il Benfica come testa di serie, il Bayer Leverkusen e lo Zenit a completare un organico sen-za ‘cenerentole’ né corazzate. Alla fine, a testimonianza del regnante equilibrio, proprio il Benfica testa di serie ha con-cluso il Gruppo C all’ultimo posto, mentre il Monaco è riuscito ad ottenere persino il primo posto. Una fase di qualificazio-ne quasi perfetta quella di Berbatov e compagni, praticamente imperforabili. Appena uno, infatti, è stato il goal subito nelle 6 gare del girone: nessuno ha sapu-to far meglio, né il ‘Galactico’ Real Ma-drid, né il Chelsea di Mourinho. In questo modo, le difficoltà in fase realizzativa sono state colmate e i 4 goal realizza-ti sono stati ampiamente sufficienti per conquistare qualificazione e primato. L’urna di Nyon, però, in occasione del sorteggio degli ottavi di finale non è stata generosa così come avvenuto nel sorteggio iniziale. Il Monaco, infatti, no-nostante il proprio ‘status’ di testa di serie, è stato accoppiato all’Arsenal di Wenger, la più temuta tra le compagini inserite nell’urna delle seconde. Monaco che si presenta al doppio match da sfa-vorito quindi, ma che, ancora una volta, potrebbe riuscire a sfruttare a proprio vantaggio l’elemento sorpresa. Del resto, se è innegabile che il Mona-co “versione 2014-2015” sia ridimen-sionato rispetto a quello ammirato in passato, è altrettanto vero che – nono-stante ciò – a mister Jardim non man-chino di certo i giocatori di spessore. Dagli affidabili Berbatov e Moutinho ai promettenti Bakayoko, Kondogbia

IBRA, ANCORAMILAN?

LO SVEDESE POTREBBE CHIUDERE LA CARRIERAANCORA AL DIAVOLO MA…

Parigi è già preoccupata. Una voce ha destabilizzato l’ambiente pari-gino. Ibrahimovic potrebbe lasciare il club dei principi. Destinazione? Ancora Milan. Ma non c’è fretta. Lo svedese si sente ancora in gran-de forma e vorrebbe giocarsi altre carte in maglia PSG (Champions in particolare). Tuttavia l’idea di tor-nare ad indossare la casacca rosso-nera non gli dispiacerebbe affatto. Tutti d’accordo? A Parigi sicuramen-te no. Ibra è un idolo assoluto a Parigi e nessuno vorrebbe vederlo andare via… Con 33 primavere sulle spalle, non è comunque che il popolo del Diavolo possa attende-re all’infinito il ritorno di Zlatan…

di Renato MAISANILIgUE 1FRANCIA

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SENZA SOLDI MA FELICIIL MAGNATE RYBOLOVLEV HA CHIUSO I RUBINETTI, TUTTAVIA I MONEGASCHI SONO ANCORA VIVI E SPERANZOSI…

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IL CAPOLAVORO DI JARDIMIl Monaco è

senza soldi manon senza idee...

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e Ocampos, passando per il portiere Subasic e i talenti dal sicuro avvenire Fabinho e, soprattutto, Yannick Ferrei-ra-Carrasco, probabilmente il giova-ne più talentuoso dell’intera Ligue 1. E chissà che la ‘corazzata Monaco’ non venga costruita facendo leva sui gio-vani piuttosto che in sede di mercato...

UN ALTRO ANNO ZEROPartiti Falcao e Rodriguez e solleva-to Claudio Ranieri dalla guida tecnica, quello del Monaco è un nuovo anno zero. In panchina arriva Leonardo Jardim, proveniente dallo Sporting Lisbona, ma l’organico non viene rafforzato a dove-re. I due colombiani non vengono sostitu-iti, quello di Stekelenburg (per di più in prestito e chiamato al ruolo di dodice-simo) è l’unico ingaggio degno di nota, il verdetto della stampa transalpina è unanime: il Monaco tornerà ben presto a navigare nelle parti medio-basse della classifica.

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PHOTOgALLERY

IL TIFO RACCONTA

di Thomas SACCANI

l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccon-tare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

IL CALCIO DEI TIFOSII

ATALANTA-Palermo 21.12.14 SERIE A 16a giornata

JUVENTUS-Atletico Madrid 9.12.14 Champions League GENOA- Milan 7.12.14 Serie A 14a giornata

PHOTOgALLERY / IL TIFO RACCONTA

CURVA SCIREA JUVENTUS-Atletico Madrid 9.12.14 Champions League

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Juventus 5.12.14 SERIE A 14a giornata

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Empoli 21.12.14 SERIE A 16a giornata

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PHOTOgALLERY / IL TIFO RACCONTAPHOTOgALLERY / IL TIFO RACCONTA

CURVA SUD MILAN-Napoli 14.12.14 Serie A 15a giornata

CURVA SUD ROMA-Milan 20.12.14 Serie A 15a giornata

CURVA SUD ROMA-Manchester City 10.12.14 Champions League CURVA FIESOLE FIORENTINA-Empoli 21.12.14 SERIE A 16a giornata

CURVA SUD ROMA-Milan 20.12.14 Serie A 15a giornata

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Empoli 21.12.14 SERIE A 16a giornata

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In Italia, a parte lo scudetto con

Ibra, non ha mai convinto del tutto.

In Brasile gli è tornato il sorriso.

Eccolo felice a bordo piscina con

alcuni amici

Che abbia cambiato sport e si sia dato alla nobile arte della pesca? Naaaaa…

Un romantico Dani Alves si

appresta a lasciare Madrid

senza suo fratel-lo Neymar: ce lo

dice mangian-dosi le unghie

Le foto che piac-ciono a me. Una bella immagine simpatica del Bayern Monaco alle prese con una pedalata molto particolare

Periodo natalizio e allora ecco un

estratto dalla cena di Natale del Chievo Verona che

ci regala dal suo profilo instagram

Paloschi

Bella immagine dei tre Campioni del mondo del 2006 in India. Matrix, Del Piero e Nesta, ancora tutti insieme.

Ricca rappresen-tanza del Parma

pronti a guardare X Factor tutti a

casa di Palladino

Anche l’ex campione juven-tino è un amante delle sale giochi. Chissà se sarà abile come con il pallone?

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLeTTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb

ROBINHO PATO

PALOSCHI NeSTA

DANI ALVeS BOATeNg

PALLADINO DeL PIeRO

scovate da CARLeTT

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