Calcio 2000 n.209

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INCHIESTA - PRO E CONTRO MOVIOLA SPECIALE 1980 - IL RITORNO DEGLI STRANIERI I RE DEL MERCATO - LA SCELTA DI ACCARDI GIGANTI DEL CALCIO - MANNINI, BANDIERA SAMP Mensile | MAGGIO 2015 | N. 209 | Italia | Euro 3,90 ESCLUSIVA PEPE & GILARDINO professione Calcio 2 OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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INCHIESTA - PRO E CONTRO MOVIOLASPECIALE 1980 - IL RITORNO DEGLI STRANIERII RE DEL MERCATO - LA SCELTA DI ACCARDI

GIGANTI DEL CALCIO - MANNINI, BANDIERA SAMP

Mensile | MAGGIO 2015 | N. 209 | Italia | Euro 3,90

ESCLUSIVAPEPE & GILARDINO

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il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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on ho compreso la vera ragione della nostra viscerale passione per i “grandi ritorni”. Quan-do un calciatore, infortunato o erroneamente dato per finito, torna in campo, è un tripudio di emozioni. Nella mente è forte il ricordo di Ro-naldo. Caduto (e pure in maniera rovinosa) a

terra e sempre rialzatosi. Forse sarà anche per questo che vado orgoglioso della cover di questo mese (al di là della bravura di Benny, artista vero), dedicata a Pepe e Glilardino, due veri “immortali”. Il bianconero, dopo mille e più infortuni, è tornato a correre sulla sua amata fascia, il Gila, dopo l’esperienza ci-nese, è tornato in Italia, alla Fiorentina, per dimostrare di non aver perso il grande fiuto per il gol che lo ha sempre contrad-distinto. Che belle storie di calcio. Ma andiamo oltre, visto che c’è dell’altro. Da buon amante del calcio che fu, non potevo perdere l’occasione di miscelare vecchio e nuovo. Ecco, quindi, lo speciale dedicato alla riapertura delle frontiere (mitico anno 1980) e, a fare da contraltare, l’inchiesta sulla Moviola in cam-po. Poi, come sempre, spazio a giganti del calcio e re del mer-cato e tanto altro. Vi informo che per lo scudetto della Juventus (comprendo la scaramanzia bianconera ma vado abbastanza sul sicuro), sto pensando ad una grande sorpresa. Ora, però, spostiamoci su altri temi. Vado sul personale. Sono stato ad as-sistere a Juventus-Genoa. Uno stadio vero, un luogo pensato per chi ama il calcio, l’apoteosi dell’idea di prodotto calcistico moderno. Poi ho osservato, alla TV, la Diretta della Serie B, con stadi vuoti e obsoleti e mi sono chiesto: ma è lo stesso sport? Non riesco a capire. Continuiamo a ripetere sempre le stesse cose ma, alla fine, abbiamo uno stadio moderno e tante realtà che nulla c’entrano con lo spirito del calcio. Non ripartiremo mai senza i mezzi giusti e, purtroppo, credo che pochi, pochissimi abbiamo la voglia (e le risorse) per fare ciò che è chiaro a tutti: modernizzare il calcio a partire dalle fondamenta, ovve-ro il luogo dove tutto si celebra… Spendo ancora due parole per rispondere ai tantissimi che mi hanno interpellato sul “caso Parma”. Se un personaggio come Manenti (per fortuna fermato in tempo dalle istituzioni) è riuscito a tenere in scacco l’intero mondo calcistico della Serie A significa che la professionalità, nel nostro ambiente, è pari a zero. Non c’è nulla da aggiunge-re… Chiudo con un proverbio che è anche un monito per chi ha in mano le redini del pallone italiano:

“Se ti fermi ogni volta che un cane abbaia, non arriverai mai a destino…”.

L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

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Calcio2OOOANNO 19 N. 5 MAGGIO 2015

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Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione

al n. 18246

EDITORETC&C srl

Strada Setteponti Levante 11452028 Terranuova Bracciolini (AR)

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DIRETTORE RESPONSABILEMichele Criscitiello

DIRETTO DAFABRIzIO PONCIROLI

REDAzIONEMarco Conterio, Luca Bargellini,

Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro,Chiara Biondini, Simone Bernabei,Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini,

Tommaso Maschio.

HANNO COLLABORATOSergio Stanco, Alessio Alaimo,

Stefano Benetazzo,Pasquale RomanoSimone Toninato, Gabriele Porri,

Luca Gangini, Stefano BorgiGabriele Cantella, Paolo Bardelli

Luca Manes, Renato Maisani, Flavio Sirna Carletto RTL, Thomas Saccani.

FOTOGRAFIE Image Photo Agency

(imagephotoagency.it),Federico De Luca, MassimoRana, Vincenzo Blandino,Agenzia Aldo Liverani.

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STATISTICHE Redazione Calcio2000

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Tel 02 25823176Fax 02 25823324

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6 LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli

8 INTERVISTA ESCLuSIVA SIMONE PEPE di Fabrizio Ponciroli

20 INTERVISTA ESCLuSIVA ALBERTO GILARDINO di Pietro Lazzerini

30 INCHIESTA MOVIOLA GOL LINE TECNOLOGY di Fabrizio Ponciroli

36 SPECIALE BOMBER INFALLIBILI RIGORISTI di Stefano Benetazzo

42 SPECIALE 1980 TORNANO GLI STRANIERI di Fabrizio Ponciroli

50 SERIE B - SPEZIA di Tommaso Maschio

52 LEGA PRO - REGGINA di Pasquale Romano

54 SERIE D - POGGIBONSI di Simone Toninato

56 I RE DEL MERCATO GIUSEPPE ACCARDI di Alessio Alaimo

66 I GIGANTI DEL CALCIO MORENO MANNINI di Gaetano Mocciaro 76 STORIA ChAMPIONS LEAGUE 1975/76 di Gabriele Porri

80 ACCADDE A... L'IMPRESA DEL PARMA di Luca Gandini

82 DOVE SONO FINITI? ROBERTO COLACONE di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI86 SPAGNA di Paolo Bardelli88 INGhILTERRA di Luca Manes90 GERMANIA di Flavio Sirna92 FRANCIA di Renato Maisani

94 IL TIFO RACCONTA di Thomas Saccani

98 SCOVATE da CARLETTO RTL

NuMERO CHIuSO IL 31 MARzO 2015IL PROSSIMO NuMERO sarà in edicola il

15 MAGGIO 2015

SOMMARIO N.209

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LA BOCCA DEL LEONEdi Fabrizio PONCIROLI - foto Image Sport e Federico De Luca

PER SCRIVERCI: [email protected]

ALLEGRI MEGLIO DI CONTEEgregio Ponciroli,dove sono tutti quelli che criticavano Allegri? Ora sono lì a dire che è bra-vissimo e che è la forza di questa Juve. Salvo lei e pochi altri, tutti l’hanno mas-sacrato prima di vedere come allena sul campo. In Italia tutti sono professori ma nessuno sa quello che dice. Direttore, mi faccia un piacere: lo intervisti lei Allegri, come sa fare lei le interviste che sono sempre originali e diverse dal solito. Simone, mail firmata

innanzitutto grazie per i tanti, troppi complimenti… Vero, ho sempre detto che Allegri sa il fatto suo. L’ho segui-to tanto ai tempi del Milan e mi è sempre piaciuto il suo saper gestire ogni situazione, oltre alla sua notevole capacità di adeguarsi ai giocatori che ha a disposizione. Sai che faranno quelli che l’hanno criticato al suo arrivo a Torino? Niente, ora lo celebreranno, in attesa di un suo passo falso per tornare a criticarlo. Purtroppo funziona così e, onestamente, non ho mai capito perché. Se uno è bravo, lo è per sempre poi, ovvio, può avere stagioni positive o negative. Comunque, oltre

ad Allegri, complimenti ad ogni singolo giocatore. Giocare con la determina-zione messa in campo dalla Juventus in tutti questi mesi è incredibile…

DELUSO DA GARCIABuongiorno Direttore,prima i complimenti per la rivista, ma mi mancano le statistiche. Sono un tifoso romanista e sono deluso da quello che ha fatto Garcia. Prima ci promette lo scudetto e poi perde di colpo la presa sulla squadra. Non bisogna mai esage-rare, perché poi ci rimetti del tuo. Non ho mai sentito Allegri dire che avrebbe vinto lo scudetto, anche se l’avevano già vinto. Chi verrà al posto di Garcia? Gianfranco, mail firmata

Caro Gianfranco, ci andrei piano con Garcia. Credo che le dichiarazio-ni, sicuramente forti, sul fatto che la Roma avrebbe vinto lo scudetto siano state fatte per spronare la squadra a crederci. Lo dico da anni, Roma è una piazza particolare. Si passa dall’esal-tazione massima allo sconforto totale in un battito di ciglia. Credo che Gar-cia sia un grande allenatore. Ricordia-mo che la Roma ha perso quasi tutta la

difesa titolare e, purtroppo, a gennaio non sono arrivati rinforzi utili alla cau-sa. io proseguirei con Garcia, mi pare l’uomo giusto per la Roma…

hO UNA DOMANDA PERSONALE…Buongiorno Dottor Ponciroli,leggendo i suoi editoriali su Tuttomerca-toweb ho scoperto che è anche il diret-tore di Calcio2000 e che fa tante altre cose. Ho una domanda per lei: come ha fatto? Sia sincero, mi raccomando. Ho 17 anni e mi piacerebbe una risposta sincera, visto che vorrei fare il giornali-sta da grande. Grazie e scusi il disturboMarcello, mail firmata

Caro Marcello, leva il Dottor… Allora, sincero e diretto: umiltà, fortuna e una passione che va oltre al lecito. Ritengo che sia questa la ricetta per almeno provarci. Il mondo del giornalismo è cambiato profondamente negli ultimi anni ma, alla fine, c’è ancora spazio per provarci. Ho dedicato tantissimo tempo a progetti non retribuiti, solo per imparare il mestiere e avere, un giorno, un’occasione. Bisogna sapersi adattare ed aver sempre voglia di imparare. Senza spirito di sacrificio e

volontà, non servirà nessun attestato o raccomandazione. Almeno questo è il mio pensiero…

PERChÈ IL NAPOLI NON DECOLLA?Direttore,non ci siamo! Qui a Napoli siamo dispe-rati. Tra arbitraggi e giocatori che non decollano, il Napoli s’è piantato. Ok, siamo ancora in gioco in Europa e in Coppa Italia ma così non va bene. Ma perché il signor Benitez non cambia un po’ il modo di giocare? Perché andiamo avanti sempre con gli stessi che fanno sempre i medesimi errori? Mi aiuti lei Di-rettore che io non capisco perché…Santino, mail firmata

Caro Santino, avessi la risposta, sarei un veggente… So solo che nel calcio ci sono momenti buoni e altri meno positivi. il Napoli, come tutte le altre squadre (Juve a parte), in campiona-to qualche passo falso l’ha fatto ma, come hai detto bene, è in corsa in altre competizioni (mi pare che inter, Milan e Roma non abbiano la stessa fortuna). Benitez è un signor allenatore, uno dei migliori in circolazione e credo che non cambierà mai le sue idee. Quando vin-

ci tantissimo come ha fatto Rafa, cam-biare è sempre rischioso… Giocano gli stessi? Quando hai delle certezze, non è semplice invertire la rotta. Mi auguro solo che Gabbiadini diventi sempre più una certezza…

ZAZA E' DA JUVENTUS?Direttore,si sente parlare tanto di zaza. Secondo lei farebbe bene ad andare alla Juven-tus? E' a livello dei bianconeri?Filippo, mail firmata

Caro Filippo, onestamente non credo sia una buona idea andare alla Juve per Zaza. Farebbe tanta, troppa pan-china e, uno come lui, deve giocare per crescere ulteriormente. Con un Morata così, diventa difficile trovare spazio in bianconero...

RICEVIAMO & PUBBLIChIAMO...MA VALE QUALCOSA?Gentile Direttore,la sua passione per le figurine mi ha contagiato e sono andato a cercare da mia madre i miei vecchi album. Purtrop-po non è andata benissimo, visto che la mia cara mamma me li ha gettati tutti

ma, per fortuna, uno si è salvato. Visto che lei è un esperto, magari mi sa dire, guardando la foto, se può avere un qualche valore. Non capisco perché non ci sia scritto Panini, magari è un falso. È completo, magari quindi può valere qualcosa di più. Scusi ma di lei mi fido, così so che fare.Ernesto, mail firmata

Ciao Ernesto, hai fatto benissimo a contattarmi. Allora si tratta di uno dei tanti album di figurine editi dalla Edi-zioni Lampo. Non è un “falso”. Fino a pochi anni fa, c’erano diverse aziende che realizzavano album dedicate ai calciatori, era la normalità (anche se, mio parere personale, Panini ha sempre avuto una marcia in più). Altri ti direbbero, invece, che la Lampo era decisamente più avvenente. Diciamo che sono punti di vista, entrambi rispet-tabili. il tuo album (non vedo l’interno ma mi auguro non ci siano strappi o scritte extra raccolta) ha un valore più che discreto. Completo e in buone condizioni non lo darei via per meno di € 150. Si tratta di una collezione molto ricercata, non avrai difficoltà a “piazzarla”…

MASSIMILIANO ALLEGRI RUDI GARCIA RAfAEL BENITEz SIMONE zAzA

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IL GUSTO DI PEPE

UOMO SPOGLIATOIO, RAGAzzO DIVERTENTE MA,

SOPRATTUTTO, UN CALCIATORE VERO…

di Fabrizio PONCIROLI

foto Massimo RANA

COPERTINA

SiMONE PEPE

COPERTINA / SiMONE PEPE

SEMPRE DI CORSAPepe non hamai smesso

di correre, in campo e fuori...

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COPERTINA / SiMONE PEPE COPERTINA / SiMONE PEPE

a neve cade copiosa su Torino. è una di quelle giornate in cui sarebbe preferibile restarsene a casa. Ma c’è una ragione importante per non

mancare. è il giorno dell’intervista a Simone Pepe. L’appuntamento è, iro-nia della sorte, al locale Pepe. Come tradizione, arriviamo in largo anticipo (nonostante la neve). Subito la sorpre-sa: Simone è già dei nostri. Un dettaglio che ci fa subito comprendere come sia uno che va di fretta. il tempo di due battute (ecco perché Marchisio l’ha de-finito il più simpatico dello spogliatoio) e si comincia…

Simone, sempre il pallone in testa o, da piccolino, hai avuto altri sogni?“Già mi viene da ridere… Da piccolo vo-levo fare il benzinaio. Ricordo che, dove andavo con mia mamma, il benzinaio aveva sempre il portafogli pieno e da lì mi è venuta la fissa…”.

Per fortuna poi ti sei dato al calcio…“Guarda, mio padre giocava a calcio,

mio fratello pure, quindi ero destinato a fare il calciatore… Ricordo che mi face-vano tanti regali ma, alla fine, giocavo sempre con il pallone”.

Quale è stato il momento in cui hai capito che avevi la stoffa per diventa-re un professionista?“Quando avevo 14/15 anni sentivo la gente parlare bene di me e lì ho iniziato a capire che potevo fare qualcosa di im-portante. Poi sai che nel calcio ci voglio-no tante altre componenti per arrivare a

certi livelli”.

A chi devi dire grazie? In particolare riferito agli inizi della tua carriera?“Direi mio padre. Mi è stato molto vicino, mi ha insegnato molto e mi ha permesso di non commettere certi errori”.

Simone mi racconti da dove arriva il tuo soprannome, Er Chiacchiera?“È nato a Palermo con Terlizzi e Berti. Io ero un ragazzino, loro più grandi ma rispondevo comunque sempre e da lì è nato il soprannome. Io sono diventato Er Chiacchiera mentre Terlizzi è stato Tre Mondiali… Comunque posso dire che è un soprannome che mi avrebbero potuto dare tutti, visto che parlo in continuazio-ne da sempre (Ride ndr)”.

Come mai hai fatto così tanta gavetta prima di sfondare?“Ad oggi, guardando indietro, credo sia stato giusto fare la gavetta che ho fatto. Gente come Totti o Del Piero è chiaro che la gavetta non la fanno, ma per me è sta-to giusto. Mi ha permesso di crescere”.

Poi, a Udine, sei esploso… Come mai

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RAGAzzO SPOGLIATOIOSimone sa come

farsi apprezzare,ha la battuta

sempre pronta...

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UNA VERA ISTITUzIONEAlla Juventus, Pepe

è diventato un giocatoredi fondamentale importanza

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COPERTINA / SiMONE PEPE COPERTINA / SiMONE PEPE

proprio all’Udinese?“udine è il luogo migliore dove crescere. C’è un’organizzazione perfetta alle spal-le, una grande società. Per me è stato il massimo”.

Mi racconti come è avvenuto il tuo passaggio alla Juventus?“Mi ha chiamato il mio procuratore pri-ma del Mondiale (2010 ndr). In effetti già Gino Pozzo mi aveva accennato che c’era una squadra che mi voleva. Poi il mio agente mi disse che c’era la Fioren-tina. Poi, però, arrivò la Juventus e, in un amen, ho accettato. Non potevo certo rifiutare la Juventus…”.

Incredibilmente, alla Juventus, hai fatto subito il botto…“Alla Juve mi sono trovato subito bene. Il mio primo anno, quello iniziato con Del Neri, è stato importante, è stato quello dell’inserimento. Purtroppo, nel girone di ritorno, è andata male a livello di risulta-to. Poi, con l’arrivo di Conte, tutto è an-dato a meraviglia. un anno magico…”.

Merito della tua duttilità… Sempre stato un giocatore duttile o ti sei “co-struito” nel tempo?“Io nasco come centravanti. Poi, a udine, ci siamo trovati in sei attaccanti, diversi dei quali con più fiuto del gol di me. Ma-rino, l’allenatore di allora, mi ha detto: ‘Guarda, se resti, parti come sesto attac-cante’. A me andava bene, con la pro-messa che, se avessi fatto bene, mi avreb-be dato spazio. Ho fatto bene e Marino

è stato di parola... Ricordo che, dalla gara di Firenze, non sono più uscito”.

Torniamo alla Juventus e, in partico-lare, allo Juventus Stadium…“Meraviglioso, un luogo spaziale. Tutti gli stadi dovrebbero essere così. Ricordo sia la mia prima amichevole allo Juventus Stadium, sia la prima con il Parma in cui ho anche segnato dopo la prima rete di Lichtsteiner. Qui è come è andare a tea-tro. Per fortuna altri ci stanno pensando, penso all’udinese che è già molto avanti nel progetto nuovo stadio…”.

E di Conte che mi dici?“Conte ci ha dato davvero tanto, sia a livello di gioco che mentale. C’è però da dire che ha anche trovato una rosa super disponibile a seguirlo. Bravo lui e bravi noi a seguirlo. un mix perfetto. Non era facile trovare giocatori, magari come Pirlo o Buffon, che, dopo aver vinto tut-to, vanno a 200% all’ora ad ogni al-lenamento. Comunque non si vincono tre scudetti di fila a caso…”.

“”contE ci ha dato davvEro tanto. c’è pErò da

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Mi sembra che, anche con Allegri, non sia cambiato nulla…“Guarda, prima avevamo bisogno di uno come Conte. Adesso, con tre anni di esperienza alle spalle, credo fosse giusto passare ad uno come Allegri. Parliamo di due allenatori diversi di carattere. Conte sempre sul pezzo, Allegri magari più disponibile alla battuta. Comunque ci tengo a dire che anche Conte, fuori dal campo, era molto piacevole. Stessa cosa per Allegri. È uno che magari scherza di più ma, quando arriva il momento di fare sul serio, non si tira mai indietro”.

Nel frattempo hai dovuto affrontare un bel calvario a livello di infortuni. Come ne sei uscito?“Ci vuole la testa. Credo che il mio carat-tere mi ha aiutato parecchio. Ti possono stare vicini in migliaia ma, se non hai la testa, non ce la fai. Io ho fatto 8/9 volte a rientrare e poi fermarmi nuovamente. Poi, ricordati che io, prima di questo cal-vario, non avevo mai avuto infortuni”.

Scherzando, hai avuto modo di vede-re da vicino Pogba…“uno che ha quelle qualità lì non può che diventare un grandissimo del calcio. Spesso gli dico: ‘A te il Signore ti ha pre-so e ti ha mandato sulla Terra ad inse-gnare calcio…’. uno che ha quella forza fisica e quella tecnica non s’è mai visto. È giovane, a fine allenamento, si mette a giocare. Ha ancora una passione paz-zesca per il gioco. È l’atleta perfetto e, pensa che ti dico, secondo me potrebbe fare ancora meglio”.

Anche a livello di testa mi sembra molto solido…“Non gli si può dire nulla. Alla sua età non è facile non farsi travolgere dai me-dia. Davvero un bravo ragazzo”.

Come sta il calcio italiano?

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COPERTINA / SiMONE PEPE COPERTINA / SiMONE PEPE

LA CARRIERA DI PEPE

SEMPREDI CORSADi Fabrizio PonciroliSIMONE PEPE hA SEMPRE SPINTO SULL’ACCELERATOREE NON hA INTENzIONE DI SMETTERE…

desso Llorente è più felice… Sono tornato a corre-re sulla fascia e qualche cross al bacio glielo farò avere…”. Fuori intervista, Pepe scherza. E’ il suo modo di fare ed essere. Tuttavia nello scherzo c’è

sempre un fondo di verità. Per fare cross al bacio devi sa-pere saltare l’uomo e, soprattutto, devi correre. E Pepe, da questo punto di vista, non si mai risparmiato. Già a 18 anni, nella sua prima esperienza da professionista, al Lecco, era uno che correva tanto, anche se giocava da centravanti puro. Poi, a Udine, l’hanno scoperto tutti. Grazie a Marino (e alla sua determinazione) si è trasformato in attaccante esterno. Ben 16 le reti in maglia friulana, sette delle quali nella ma-gica stagione 2009/10, quella che gli ha aperto le porte della Juventus. La Vecchia Signora, per portarlo a Torino, ha speso tanto (tra prestito oneroso e diritto di riscatto, siamo sui 10 milioni di euro). Soldi spesi bene. Nella prima annata bianconera gioca 42 partite, con sei gol (il primo, in maglia Juventus, contro la Sampdoria). L’anno seguente, con l’arrivo di Conte, è quello della consacrazione: 33 presenze, sei gol e lo scudetto da protagonista. Poi arrivano i tanti infortuni che, di fatto, lo tengono fuori gioco per due anni. Nelle nefaste stagioni 2012/13 e 2013/14, colleziona solo quattro presen-ze totali, colpito, in maniera incessante da continue ricadute. Poi, il 15 gennaio del 2015, la svolta. Nella rotonda vittoria

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Stagione Squadra Campionato Totale StagioneComp Pres Reti Pres Reti

2001-gen. 2002 Roma A - - - -gen.-giu. 2002 Lecco C1 5 . 5 -

2002-2003 Teramo C1 31 11 31 112003-2004 Palermo B 19 1 24 32004-2005 Piacenza B 30 12 32 13

2005-gen. 2006 Palermo A 3 - 6 -gen.-giu. 2006 Udinese A 6 - 9 -

2006-2007 Cagliari A 36 3 39 32007-2008 Udinese A 33 3 37 32008-2009 Udinese A 33 4 45 62009-2010 Udinese A 32 7 36 72010-2011 Juventus A 30 5 42 62011-2012 Juventus A 31 6 33 62012-2013 Juventus A 1 - 1 -2013-2014 Juventus A 2 - 3 -2014-2015 Juventus A 4 - 6 -

* dati aggiornati al 05/03/2015

della Juventus sul Verona in Coppa Italia (6-1 il finale), Pepe gioca, dopo quasi tre anni, da titolare, mostrando una con-dizioni fisica invidiabile. La prova che è finalmente tornato, voglioso di ricominciare a correre su quella fascia che tanto ama magari per rindossare anche la casacca della Nazio-nale, rapporto interrotto nel 2011, dopo 23 presenze…

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COPERTINA / SiMONE PEPE

QUESTIONE DI TESTADi Fabrizio PonciroliPEPE NON è L’UNICO CALCIATORE ADESSERE TORNATO AL TOP DOPO UNLUNGO CALVARIO…

ornare al top, dopo una lunga assen-za, non è impossibile. Pepe, costretto ai box, di fatto, per due anni, ha fi-nalmente visto la luce in fondo al tun-

nel. “Era durissima guardarsi tutti gli allenamenti e non poter giocare ma, alla fine, devi combattere per tornare ed è quello che ho fatto”, ci racconta. Pepe è uno di quelli che ce l’hanno fatta. Prima di lui altri si sono distinti per determinazione e voglia di tornare. Il primo nome che sovviene è quello di Ronaldo. Dopo due, gravissimi, infortuni ai tempi della militanza all’inter (tendine rotu-leo), Ronie non si abbatte e torna decisivo: Mon-diale vinto con il Brasile, Pallone d’Oro e quattro stagioni e mezza alla grande con il Real Madrid (104 gol in 177 partite). E che dire di Roby Bag-gio? Tantissimi gli infortuni alle martoriate ginoc-chia ma sempre capace di rientrare e giocare da Divin Codino. Altro gladiatore è stato Cech. Durante la stagione 2006/07, al top della sua carriera, durante la gara con il Reading, si pro-cura una frattura al cranio. Rischia di non poter più giocare. Resta lontano dai campi per sei mesi ma, anche grazie ad un caschetto protettivo, tor-na protagonista e lo è ancora adesso. Un duro lo è sempre stato anche Javier zanetti. Ancor di più se si pensa al suo infortunio: rottura del tendine d’Achille a quasi 39 anni. In tanti avreb-bero alzato bandiera bianca, non Zanetti che, 195 giorni dopo il crack, rimette piede in campo (contro il Livorno). Impressionante anche quanto compito da henrik Larsson. Durante la partita, di Coppa Uefa, tra Celtic e Lione, il bomber sve-dese, in uno scontro di gioco con Blanc, si rom-pe tibia e perone. Un dramma sportivo e fisi-co. Bene, la stagione successiva, Larsson rientra e segna 35 gol in 37 gare… Pensiamo anche a gente come Baresi e Maradona. il primo, al Mondiale del 1994, si infortuna al menisco. Tutto finito? No, 25 giorni dopo, Franco è in campo. Forza di volontà anche per il Pibe de Oro. Ai tempi del Barcellona, Goikoetxea gli rompe la caviglia. Maradona perde il 30% della mobilità ma sarà comunque il migliore di sempre. La lista è lunga, ci sarebbe da parlare dei vari Riva, Antognoni, Del Piero… La conferma che, se si vuole tornare, non c’è infortunio che tenga…

T

COPERTINA / SiMONE PEPE

“Beh, innegabile che il calcio italiano sia calato come qualità. Ti faccio un esem-pio: 10 anni fa, uno come Pepe nella Ju-ventus non avrebbe mai giocato. Prima c’erano Nedved e Camoranesi…”.

Eppure la Vecchia Signora continua a vincere…“È una questione di mentalità. Qui c’è la cultura della vittoria. Se pareggi una partita, il giorno dopo è un funerale… La società ha una mentalità vincente paz-zesca”.

Ma la voglia di vincere c’è ancora?“Ma scherzi? Quando cominci a vincere, vuoi subito riprovare quella sensazio-ne… Io, tra l’altro, ho iniziato a vincere tardi e, quindi, ho ancora più voglia di ri-vincere. Poi, come detto, quando sei alla Juve la respiri questa voglia di vincere, sempre, ogni giorno ed è qualcosa che mi piace molto”.

Peccato che in Champions non basti solo quella… Avverti qualche limite quando scendi in campo nell’Europa

che conta?“Ma no… Ci sono 3/4 squadre fuori ca-tegoria ma, con tutte le altre, te la puoi giocare secondo me. Credo che sia solo dovuto al fatto che è qualche anno che non si arriva in fondo. Dai su, chi ha il centrocampo che ha la Juventus in Euro-pa? Parliamo di un centrocampo top…”.

Lasciando stare il mercato, c’è un mer-cato estero che ti affascina più di altri?

“Io credo che, alla fine, il campiona-to italiano sia sempre il più difficile. I campioni che fanno 100 gol in Spagna, Inghilterra o Germania, non penso che farebbero 100 gol in Italia. Certo, il con-torno è diverso. Basti pensare al pubblico o agli stadi ma, ripeto, da noi è dura e quindi ci tengo a sottolineare il livello del nostro calcio”.

Simone quale è stata la più grande amarezza da quando sei alla Juventus?“Non posso non citare la sconfitta con il Galatasaray che ci è costata l’accesso agli ottavi di finale in Champions Lea-gue… Ero in tribuna, la situazione sur-reale, un campo impraticabile. Pensa che Mancini manco voleva scendere in cam-po. È stata una partita pesantissima per noi, una sconfitta davvero durissima da digerire”.

Fuori dal calcio?“Beh, ho qualche tatuaggio (Ride ndr). Mi diverte molto giocare a golf, uno sport che guardo anche tantissimo alla Tv…”.

SCARPE DACAMPIONEPER ESSERE DEI VINCENTI,è NECESSARIO AVEREi MEZZi GiUSTi…

on c’è calciatore che non ami le proprie scarpe. Senza la calzatura giusta, è impossibile raggiungere

certe performance e poter, sul campo, fare la differenza. Pepe, uomo abitua-to a correre sulla fascia, ha bisogno di una scarpa che gli dia garanzie eleva-tissime, sulla quale possa sempre conta-re, come la Nitrocharge. Per poter spri-gionare tutta l’energia che possiede, Pepe si affida a lei. Scarpa perfetta per "The Engine", il motore della squa-dra, ovvero per i centrocampisti e per tutti i giocatori d'azione (come il nostro Pepe), la Nitrocharge è la risposta a chi cerca affidabilità, confort e prestazioni importanti… il nuovo posizionamento della fascia di supporto energysling insieme a un incremento dell'area con cuscinetti e mesh protettivi sono stati uti-

lizzati per fornire una stabilità inegua-gliabile. Ecco uno dei segreti di Pepe e della sua incisiva corsa sulla fascia. il centrocampista/attaccante bianconero ha scelto adidas per, parole sue, “…la grande qualità che sanno mettere nelle

scarpe che realizzano. Per me è un onore indossare le scarpe adidas. Basta indos-sarle per farsi un’idea del livello del pro-dotto”. Come dargli torto? Quando sei legato alle performance, devi scegliere il meglio…

N

MAI ARRENDERSICi sono giocatori che

non alzano maibandiera bianca,

come Pepe...

“”pogba?è l’atlEtapErfEtto E,pEnsa chE ti

dico, sEcondo mEpotrEbbE farE ancora mEglio. gliElo dico

sEmprE

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intervista di Fabrizio Ponciroli

COPERTINA / SiMONE PEPE

“Nel calcio mai dire mai, anche se, ad agosto, farò 32 anni. E’ vero che ho di-mostrato di poter tornare a giocare a certi livelli e lo farò ancora per tanti anni ma è altrettanto vero che ci sono tanti giovani interessanti in circolazione. Co-munque, dovesse arrivare la chiamata, mi ci tuffo di testa”.

Simone, come vorresti essere ricorda-to quando non giocherai più?“Come una persona simpatica che stava bene nello spogliatoio. Tanto mi ricor-deranno per quello… I campioni, gente come Buffon, Pirlo o Tevez, resteranno nella memoria di tutti quanti per sempre ma Pepe se lo ricorderanno perché face-va fare due risate (Ride ndr)”.

E due risate, anzi decisamente di più, ce le siamo fatti. Come se non bastasse, abbiamo anche scoperto la grande vo-glia che anima un giocatore essenziale nei meccanismi, perfetti, della Vecchia Signora. Come dice Simone, dei cam-pioni si ricorderanno tutti ma, per vince-re, servono i Pepe..

re il protagonista?“Il Gladiatore. Mi sarebbe piaciuto esse-re il protagonista, un grande…”.

Futuro? Ci stai già pensando a cosa farai una volta smesso di correre sul-la fascia?“Prima pensavo alla figura dell’allenato-re… Poi però ho iniziato a rifletterci e, onestamente, mi pare un ruolo tosto. Devi stare sempre sul pezzo, entrare nella te-sta di 30 giocatori. Non stacchi mai. Da giocatore, una volta fatto il tuo dovere, puoi pensare ad altro, ho paura che per l’allenatore non sia così. Anzi ne sono si-curo…”.

A proposito di testa, come le vivi le grandi sfide? Ci pensi tutta la settima-na?“No, io posso scherzare anche cinque minuti prima della partita. Il problema è trovare con chi scherzare. Ormai hanno tutti le cuffie, guardano nel vuoto e sem-brano dei serial killer...”.

Nazionale capitolo chiuso?

Come può un calciatore, abitua-to all’azione, a cimentarsi con uno sport, come il golf, fatto di pause con-centrazione massima?“L’opposto ti attrae. Quando sei abitua-to a giocare davanti a 40.000 persone, magari che ti insultano, con scontri fisici pesanti, ecco magari ti può piacere l’i-dea di giocare su un campo verde, senza nessuno attorno e in totale relax… Poi sai, nel calcio sei in 11, a golf ci sei tu e la pallina ed è una bella sensazione esse-re da soli…”.

Un film in cui ti sarebbe piaciuto esse-

CON CALCIO2000Un flash dell'intervista,con la nostra/vostrarivista in primo piano...

Calcio2OOO18 Calcio2OOO

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di Pietro LAzzERINI

foto Federico DE LuCA

COPERTINA

ALBERTO GILARDINO

COPERTINA / ALBERTO GILARDINO

CASA DOLCE CASAGilardino: a firenzeper ritornare al top

IL VIOLINISTA DEL GOL

INTERVISTA ESCLUSIVA AD UNO DEI BOMBER PIù PROLIFICI DEL NOSTRO CAMPIONATO

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COPERTINA / ALBERTO GILARDINO COPERTINA / ALBERTO GILARDINO

alla Cina è tornato nel Belpaese dopo meno di sei mesi. Non che l'Oriente fosse brutto, ma la vacanza dal calcio che conta era finita

e di tempo, per tornare ai massimi li-velli, ce n'era in abbondanza. Alberto Gilardino ha girato l'italia segnando ovunque. Ha fatto esultare i tifosi di Piacenza, Hellas Verona, Parma, Milan, Fiorentina, Genoa e Bologna. Una me-lodia da bomber suonata sempre con il solito violino. Un marchio di fabbrica nato per gioco, che ha però accom-pagnato tutti i momenti più importanti della sua carriera, fino a quel gol agli Stati Uniti che gli permise di mettere il suo sigillo sulla vittoria del Mondiale in Germania. Alla fine era un prede-stinato fin dal giorno della sua nascita: il 5 luglio del 1982. Nelle stesse ore in cui piangeva per la prima volta culla-to dalla mamma, l'Italia di Paolo Rossi batteva in rimonta il grande Brasile, in una partita epica che potremmo met-tere a confronto con quella della Na-zionale di Lippi contro la Germania di Jurgen Klinsmann. Adesso di storie da raccontare ce ne sono tante, ma di fer-marsi non se ne parla: “Finché mi reggo-no le gambe continuerò a giocare – met-te subito in chiaro il Gila – La passione è sempre la stessa di quando ho iniziato e ho intenzione di segnare tanti gol prima di appendere le scarpette”.

Già tre anni fa a Firenze, qualcuno insinuò che la luce nei suoi occhi di bomber si era spenta, ma non ha an-cora smesso di fare gol, allora la bol-letta l'aveva pagata?“Quegli ultimi mesi con la maglia viola nel 2011 erano stati molto difficili. Tra infortuni e il gol che non arrivava, decisi di cambiare. C'era aria di cambiamento, un vero e proprio cambio generaziona-le. Mi dispiacque lasciare la squadra a metà stagione ma non potevamo andare avanti. La battuta della luce? Conosce-vo il mio valore e lo conosceva anche la gente. Non mi ha pesato, alla fine mi sembra di aver continuato a segnare come sempre e in qualsiasi squadra”.

Adesso è tornato a Firenze su espres-sa richiesta di Andrea Della Valle, la lampadina è sempre accesa?

“Direi di sì. Sono molto felice di essere tornato a Firenze, era quello che vole-vo, appena ho saputo che il patron ave-va intenzione di richiamarmi ho fatto di tutto per tornare. Qui sono sempre stato bene. In viola ho toccato il top, segnando gol importanti ed esultando con i tifosi. Sono contento anche perché mi ha voluto lo staff tecnico, sono qui per continuare dove ci eravamo lasciati, con il violino in mano sotto la curva”.

Ora tutti riconosco il campione, ma come è stato l'inizio della carriera? Quando ha capito di poter raggiunge-re questi livelli? “Ai tempi di Piacenza giocavo perché era la mia passione. Ho sempre amato il cal-cio e lo amo tutt'ora come la prima volta che ho messo le scarpette. Fino a Verona non mi ero reso conto di quello che avrei potuto fare, poi a Parma capii che il mio amore poteva trasformarsi in professione e fu uno dei giorni più felici della mia vita”.

Ci saranno stati grandi festeggiamen-ti in famiglia il giorno del primo con-tratto da professionista...“In realtà quando firmai con il Piacenza prendevo il minimo federale, ma ero già felicissimo. Poi arrivò il Verona che mi fece un contratto di quattro anni. Erava-mo tutti felici per questo traguardo, ma ho una famiglia molto tranquilla e a 18 anni il massimo del festeggiamento fu una cena fuori con i miei genitori”.

Stavamo parlando del Parma. Il club ducale è una vera e propria svolta nella sua carriera, quali sono i ricordi legati a quella esperienza? “Il primo anno avevo davanti campioni come Adriano e Mutu. Giocavo poco, ma

mi guardavo intorno e cercavo di im-parare dai giocatori con i quali avevo l'onore di allenarmi. Poi, grazie all'in-fortunio dell'Imperatore iniziai a trovare spazio e a segnare. Mi riusciva tutto, toc-cavo la palla ed entrava in rete. È sta-to un periodo fondamentale per la mia maturazione e Prandelli fu l'artefice di questa crescita”.

Si può dire che è stato l'allenatore che ha maggiormente segnato la sua car-riera?“In effetti sì. In quegli anni è vero che ero fortunato e che mi girava tutto bene, ma accadeva questo perché il mio allenatore aveva capito come esaltare le mie carat-teristiche. Mi ha insegnato i movimenti che poi mi sono portato dietro tutta la vita. Mi ha plasmato trasformandomi in una vera e propria macchina da gol”.

C'è tanta differenza dal Parma in cui giocava lei e quello che purtroppo vediamo adesso protagonista su tv e giornali, come vive questa tragedia sportiva? “Con sgomento e anche un po' di rab-bia. Qualcuno si poteva muovere prima, siamo nel 2015, mi pare assurdo che si arrivi a questa situazione. A gennaio potevo tornare proprio in gialloblu, ma quando mi sono informato sul progetto, nessuno si immaginava quello che sareb-be successo. Conosco tutti a Parma, dal magazziniere fino ai cuochi, e vederli in crisi mi fa stare male. Ai giocatori invece si deve solo fare un applauso perché si stanno comportando da veri professioni-sti. Stanno lottando per i propri diritti, ma mentre lo fanno lottano anche per co-loro che non hanno voce. Spero tanto che la situazione si risolva al più presto, la gente di Parma non merita tutto questo”.

Archiviato il discorso Parma, passò al Milan. Che emozione si prova ad entrare nella “Scala del Calcio” da pro-tagonista? “La prima volta è stata incredibile. Da bambino sognavo di vestire la maglia di una grande squadra e di entrare a San Siro con il boato del pubblico ad accom-pagnare i miei passi verso il centro del campo. Quando il sogno si è avverato l'emozione è stata di quelle indelebili, di quelle che non ti scordi mai”.

Un'esperienza che però ha vissuto di

GIGLIO SUL CUOREAlberto haraggiunto

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dovE ci Eravamolasciati.

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COPERTINA / ALBERTO GILARDINO COPERTINA / ALBERTO GILARDINO

come tutti i tifosi milanesi, sono di palato fine e vogliono sempre vedere vincere le proprie squadre a suon di gol. Mi vole-vano bene e sapendo cosa potevo dare cercavano di spronarmi. Negli ultimi sei mesi giocavo sempre meno, arrivarono anche altri grandi campioni come Ronal-dinho, a quel punto capii che era il mo-mento di cambiare”.

Mi sembra di capire che è un'espe-

“”vincErE a dortmundcontro la gErmania è

stata l'EmozionE più grandE dElmondialE 2006. QuElla sEra

rEstErà sEmprE nEl mio cuorE

L’AVVENTURA CINESE…Di Pietro LazzeriniChINESE SUPER LEAGUE, QUANDO IL CALCIO èDIVERTIMENTO (E POCO ALTRO)

l campionato italiano non lo ha mai vinto, ma in compenso, Alberto Gilardino ha vinto una Chinese Super League, ovvero il campionato cinese. 14 presenze e 5 gol il suo bottino nel

2014, un ottimo score che ha trascinato gli uomini di Lippi alla vittoria del torneo. "un'esperienza totalmente diversa - racconta l'attaccante - Non avevo mai provato così tanta fatica a giocare a calcio". il clima di Pechino e di qualsiasi città cinese è umidissimo e forse il ricordo più vivido nella mente del bomber è proprio quello legato alle condi-zioni ambientali pazzesche per rincorrere un pallone sul campo verde. Un cambio assimilato bene dalla famiglia, un po' peggio dallo stesso giocatore: "Mi sono divertito, ma a fine stagione ho capito che dovevo tornare nel calcio che conta". Il rapporto con Marcello Lippi è stato forse la molla che lo ha spinto a questa rivoluzione nella propria carriera, come lo è stata l'esclusione dai Mondiali in Bra-sile. "Mi porterò dietro le immagini di un popolo che ama il calcio in modo pazzesco - racconta il Gila - ma la nostal-gia di casa era veramente troppa per poter restare". il club cinese non si è certo lamentato del suo rendimento. Se è arrivata la vittoria finale è stato anche merito suo. è vero, come ci ha raccontato lui “ci è voluto un mese per entrare in forma”, ma una volta abituatosi al nuovo paese ha cam-biato anche la storia della sua squadra suonando il solito violino, quello che nonostante passino gli anni, continua a suonare una melodia celestiale, la canzone del gol. Finito il campionato con l'addio dell'ex Ct della Nazionale, an-che Gilardino decise di interrompere le ferie calcistiche per sposare nuovamente la Serie A. La famiglia amava stare in Cina: "C'era tutto per le mie figlie e per mia mo-glie, ci trovavamo benissimo", ma il cibo, la cultura e so-prattutto il calcio, non potevano vincere il confronto con il Belpaese. Insieme a Diamanti ha abbandonato l'Estremo Oriente e si è ripreso la maglia viola. La Cina è il passato, il presente (e forse anche il futuro) si chiama Fiorentina.

I

TUTTI I GOL DIGILARDINO IN SERIE A

CLASSIFICA ALL TIMEMARCATORI SERIE A

IN ATTIVITà

Stagione Squadra CampionatoComp Pres Reti

1999-2000 Piacenza A 17 32000-2001 Verona A 22+2 * 32001-2002 Verona A 17 22002-2003 Parma A 24 42003-2004 Parma A 34 232004-2005 Parma A 38+1 * 23+1 *2005-2006 Milan A 34 172006-2007 Milan A 30 122007-2008 Milan A 30 72008-2009 Fiorentina A 35 192009-2010 Fiorentina A 36 152010-2011 Fiorentina A 35 12

2011-gen. 2012 Fiorentina A 12 2gen.-giu. 2012 Genoa A 14 4

2012-2013 Bologna A 36 132013-2014 Genoa A 36 15

gen.-giu. 2015 Fiorentina A 4 -

Pos. Nome Reti Pres.1 Francesco Totti 240 581

2 Antonio Di Natale 203 4123 Alberto Gilardino 174 4544 Luca Toni 142 3105 Giampaolo Pazzini 98 3086 Sergio Pellissier 89 3627 Fabio Quagliarella 85 290

Amauri 85 3319 Alessandro Matri 75 24110 Marek Hamsik 72 27211 Marco Borriello 71 26012 Rodrigo Palacio 69 17713 Germán Denis 65 22114 Sergio Floccari 61 26815 Massimo Maccarone 58 196

* Spareggi salvezza - Dati aggiornati al 16/03/2015

Dati aggiornati al 16/03/2015

SVIOLINATAIl bomber vuoltornare a fareuna sviolinata

alla fiesole

alti e bassi, dai gol che non erano mai abbastanza ai fischi del pubblico.“è stata un'esperienza tosta, che mi ha forgiato. A 24 anni giocare nel Milan non è facile per nessuno. Quella squa-dra era composta da campioni. Aveva una mentalità vincente che mi ha ac-compagno tutt'ora. Nonostante tutto è stata una bellissima esperienza, non re-crimino nulla, perché penso che dovesse andare in quel modo”.

Qualcuno disse che il suo rapporto con Ancelotti si era incrinato, è vero? “È stato veramente bravo con tutti in quegli anni. È un allenatore dalla gran-de personalità. In quei tre anni abbiamo vinto tanto, è stato un periodo di trionfi importantissimi per il club. Guardando adesso al passato, in una squadra come quella, era normale passare un po' di tempo in panchina”.

Ma se tutto è andato così bene perché i tifosi la fischiavano? Cosa è andato storto? “Niente, semplicemente i tifosi rossoneri,

rienza che ha segnato la sua carrie-ra, c'è un aneddoto particolare che la lega al Milan? “La prima telefonata di Berlusconi. Il pre-sidente mi chiamò e mi disse: 'Sei arrivato in una grande famiglia, crediamo molto in te'. Mi fece molto piacere, perché fu una chiamata inaspettata, mi sentii molto orgoglioso”.

in quegli stessi anni Alberto Gilardino ha raggiunto l'apice della propria car-riera con il Mondiale in Germania. Un altro sogno che molti bambini cullano fin da quando iniziano a giocare.“Ci andò tutto bene. Siamo stati fortunati ma allo stesso tempo umili, determinati e pazienti. Ci davano tutti contro. Erava-mo nel bel mezzo di Calciopoli e anche i giornalisti ci andavano giù pesante. L'o-pinione pubblica era scettica e tutto que-sto non ha fatto altro che rafforzarci”.

Quando si parla di quel Mondiale si parla sempre del gruppo e mai di un singolo. Chi è stato il vero valore ag-giunto per la vittoria finale?

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Page 14: Calcio 2000 n.209

COPERTINA / ALBERTO GILARDINO COPERTINA / ALBERTO GILARDINO

CERTI AMORIFINISCONODi Pietro LazzeriniIL RICORDO DEL PERIODO ROSSONERO,TRA ALTI E BASSI…

G ilardino arrivò a Milano nell'estate del 2005 dopo aver segnato gol a grappoli nel Parma di Prandelli. il primo contratto da campione per il giovane Alberto, che da bambino non tifava

rossonero, ma che allo stesso tempo sognava di calcare il manto erboso di San Siro da protagonista. Arrivò tra gran-di aspettative, soprattutto da parte dei tifosi che impararo-no subito a volergli bene. il ragazzino pulito, appassionato e con quel modo di esultare così originale da entrare nel cuore degli appassionati sempre dalla porta principale. “Le prime due stagioni andarono alla grande – racconta l'attac-cante – poi iniziai a giocare meno. Nel 2007 potevo anda-re via, ma mi ero già affezionato a quel club così vincente”. Quella stagione fu condita da un insuccesso dopo l'altro. Po-

che presenze. Pochi gol, tanti fischi: “Lo facevano perché mi amavano e sapevano quanto potevo dare alla squadra, non me la sono mai presa con i tifosi, era un loro diritto fischi-armi”. Anche con Ancelotti sembrava cambiato il rapporto che inizialmente sembrava idilliaco: “Non ero contento, ma se mi guardo indietro adesso, restare fuori tra tutti quei cam-pioni era normale”. il Gila segue ancora il Milan e la battuta che gli esce spontanea appena si nomina i rossoneri la dice lunga: “Adesso è tutto cambiato da quando c'ero io, anche i fischi avevano un altro valore, perché la squadra aveva un altro valore. Mi dispiace per Pippo, è dura far bene in questo momento”. Certi amori non finisco, altri sì, e questo sembra proprio quel caso. Con la maglia del Diavolo il bomber di Biella ha vinto anche un Mondiale ma questo non basta per mantenere vivo l'affetto nei confronti di Milanello. Non che Gilardino pensi al Milan con risentimento, non è nel suo ca-rattere, non è nelle corde del suo violino, ma è evidente come siano altre le esperienze alle quali è rimasto affezionato nel corso della sua carriera. L'amore è stato forte per tanti motivi, dalle vittorie ai gol passando per la maglia azzurra, ma nonostante questo il cuore preferisce guardare altrove. in luoghi dove, per un motivo o per un altro, le sue qualità sono state apprezzate senza essere mai state messe in dubbio.

“Senza dubbio mister Lippi. Ha plasmato una squadra incredibile. un gruppo co-eso che riuscì a lasciar fuori dai cancelli di Coverciano tutti i problemi legati al nostro campionato. Cambiò la mentali-tà di ognuno di noi sia dentro che fuori dal campo trascinandoci alla vittoria. Ci aiutavamo l'un con l'altro e allo stesso tempo crescevamo anche singolarmente e Lippi fu la nostra guida”.

Lei è stato una sorta di predestinato per la vittoria del Mondiale, ci può raccontare l'emozione più forte che ha provato? “Vincere a Dortmund contro la Germania padrona di casa tra migliaia di tifosi tede-schi. Mi ricorderò per sempre quella notte, l'ansia e poi la gioia per la vittoria finale. Prima di partire nessuno pensò al fatto che ero nato il 5 luglio (il giorno della vittoria della Nazionale di Bearzot contro il Brasile n.d,r.), dopo me lo hanno ricor-dato in tanti. Forse era proprio destino”.

Quel giorno, come sempre quando ha potuto scegliere, indossava la maglia numero 11. Cosa la lega a quel parti-colare numero?“Ai tempi di Parma il figlio di Tanzi era molto legato a questo numero di maglia e mi chiese di indossarlo per la mia per-manenza in Emilia. Con quel numero in-

dosso ho segnato tanti gol e da lì non ho più voluto cambiare. Adesso vesto la nu-mero 9 in viola e sono contento lo stesso, considerando anche il valore di questa maglia per i fiorentini”.

Tornando al nostro campionato, un'al-tra squadra che è stata importante per la sua maturazione definitiva è stata il Bologna.“Ho vissuto anni importanti in rossoblu. Mi sono trovato subito bene, dopo un anno travagliato passato tra la Fiorentina e il Genoa e soprattutto fra mille infortuni. I miei 13 gol hanno permesso alla squadra di salvarsi. Pensavo che sarei rimasto più a lungo ma le società non si misero d'accor-

do. Ero arrivato in prestito dal Grifone e alla fine della stagione mi toccò tornare in Liguria. Non fu certo un peso, ma dovevo dimostrare a Preziosi e al pubblico geno-ano quanto valevo e grazie alla squadra e a Gasperini feci una delle più belle sta-gioni della mia carriera”.

Dalla rinascita in rossoblu alla par-tenza per la Cina, il passo non pare essere così breve, cosa è successo? “Al Genoa giocai per mesi con la mano fratturata solo per rispondere alla chia-mata della Nazionale. Avevo giocato tanto, Prandelli mi aveva chiamato spes-so durante la stagione, poi al momento delle convocazioni il mio nome non era in lista. Fu una grande delusione, rispetto le decisioni prese a suo tempo da Prandelli, ma fu comunque un momento molto de-ludente della mia carriera. In quegli stes-si mesi mi chiamò Lippi e mi propose di raggiungerlo in Cina. Presi la mia delu-sione, la misi da parte e decisi di provare questa nuova esperienza”.

Piccola digressione: anche Giuseppe Rossi rimase molto deluso dall'esclu-sione al Mondiale, perché come lei affrettò i tempi di recupero per rispon-dere alla chiamata di Prandelli, vi sie-te mai confrontati su questo tema? “Non abbiamo mai parlato di questo,

“”a milano mifischiavanopErché mi

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Page 15: Calcio 2000 n.209

COPERTINA / ALBERTO GILARDINO

Intervista di Pietro Lazzerini

ma le nostre situazioni sono diverse. Lui è ancora molto giovane. Ha grandi pro-spettive e credo che potrà essere ancora per molto uno dei pilastri della Naziona-le. Spero che rientri presto e che possa dare continuità alle sue stagioni, sareb-be importante per la Fiorentina e per la maglia azzurra. Poi è un bravo ragazzo, merita di tornare alla grande e di levarsi molte soddisfazioni”.

Tornando invece all'Estremo Oriente, esattamente, cosa ha trovato? “un popolo che ama il calcio, ma allo stesso tempo uno dei climi più assurdi per giocarlo. L'umidità ed il caldo ti am-mazzano, tanto che mi ci volle un mese prima di poter giocare senza problemi. È stata un'esperienza sicuramente diver-sa ed inusuale che però mi ha permesso di maturare altri aspetti del mio essere

calciatore. Al termine della stagione de-cisi di tornare in Italia ed aspettare una chiamata, ne sono arrivate tante, ma alla fine ho scelto la Fiorentina”.

Ma fuori dal campo cosa faceva? “Niente di che, il tempo lo passavo con la mia famiglia. Le mie tre figlie e mia moglie si sono ambientate benissimo. Ab-biamo passato un periodo felice, poi co-noscevo anche Alessandro Diamanti dai tempi di Bologna, anche questo ha signi-ficato tanto. Per le bambine poi era come un grande parco giochi, c'era veramente di tutto e questo ci ha fatto trascorrere quei mesi in modo molto sereno”.

Adesso è tornato in Italia, ha 32 anni e nessuna voglia di smettere di gio-care, ma di preciso, qual è il sogno di Gilardino dopo tutti i traguardi che ha raggiunto? “Sto giocando per continuare ad emo-zionarmi attraverso il gol. L'obiettivo è quello di mettere a segno il 200° in Serie A e in un modo o nell'altro ce la farò”.

Molti suoi colleghi, a fine carriera hanno subito fatto il grande salto in panchina, tra cinque anni si vede in quel ruolo? “Ho ancora tanta voglia di giocare, ma ogni tanto ci penso. Mi piacerebbe tanto allenare, ma partirei da una squadra del-

le giovanili, sarebbe troppo iniziare subi-to tra i grandi. Il mio amico Inzaghi ha fatto un'esperienza che ritengo incredibi-le anche se non riesce ad avere il succes-so che merita, ma nei suoi panni sarebbe andato in difficoltà uno con 30 anni di lavoro sulle spalle, figuriamoci uno che ha iniziato da un paio di stagioni”.

Ecco ma se la Fiorentina tra qualche anno le offrisse di restare a Firenze anche dopo aver lasciato il calcio gio-cato, rifiuterebbe per tornare a casa oppure ci farebbe un pensierino? “Sono tornato qui perché mi sento a casa. La mia famiglia è contenta e ab-biamo tanti amici in città. Nel calcio non si sa mai, però mi piacerebbe costruirmi una futura professione in viola. Starà a me essere bravo a crearmi delle oppor-tunità, ma adesso non ci penso, adesso penso al campo”.

Per concludere, siccome non ha nes-suna intenzione di smettere di segna-re, ci spiega perché quando esulta fa il gesto del violino? Sono nate tante leggende, dal fatto che ama la musi-ca classica ad un messaggio da lan-ciare ai tifosi, ma qual è il suo reale significato? “Nessuno (ride). Nel senso che una sera a cena con Marchionni in un ritiro con il Parma pensammo che sarebbe stato ori-ginale se io avessi mimato il violino e lui si fosse messo ad applaudire. Era un'e-sultanza tra amici che mi portò fortuna”.

Ma si sente pronto a suonarlo ancora?“Senza dubbio, ogni volta che manderò la palla in fondo alla rete”.

“”un giorno mi piacErEbbE allEnarE, ma adEsso non ci

pEnso. finché mi rEggono lE gambEcontinuErò a giocarE conla vogliadi farE gol

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Page 16: Calcio 2000 n.209

C’è UN METODO INFALLIBILE PER AIUTARE GLI ARBITRI E ARRIVA DAGLI STATES…

mmaginate i post partita senza di-scussioni su millime-trici fuorigioco o interventi al limite del rosso. Fantasia? No, affatto. Aiutare

l’arbitro, avvalendosi della tecnologia, è possibile. Nel calcio di oggi, gli er-rori arbitrali sono sempre meno tolle-rati. Una scuola di pensiero continua a ripetere che “errare humanum est”,

provando a togliere pressioni all’ope-rato del direttore di gara ma, in real-tà, in uno sport come il calcio, in cui si concentrano le attenzioni di milioni di appassionati, lo sbaglio arbitrale non ha più cittadinanza. Con tempi biblici, i massimi organi federali stanno cer-cando il modo di inserire la cosiddetta Moviola in campo. Uno stratagemma che potrebbe (o dovrebbe) limitare al massimo la possibilità di errore da parte dell’arbitro e, di conseguenza,

rendere le partite meno “condizionate” e più veritiere. Ma esiste una Moviola che possa, senza rallentare eccessiva-mente il gioco, diventare un supporto notevole per l’arbitro? La risposta è af-fermativa. C’è una Lega che, da anni, si avvale dell’occhio tecnologico, con risultati straordinari, tanto da essere accettata senza riserve. Stiamo par-lando dell’NBA, il gotha del professio-nismo cestistico. Per evitare discussioni e malintesi, l’NBA ha deciso di allestire

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l’NBA Replay Center, una struttura ubi-cata a Secaucus, NJ, in grado di sup-portare, istantaneamente, l’operato di qualsiasi direttore di gara impegnato su una delle 29 arene NBA. Grazie ad una rete di alta velocità e ad una tec-nologia da fantascienza, l’NBA Replay Center è una sorta di “chiama a casa” al quale gli arbitri si possono rivolge-re ogni qualvolta si sentono in dovere di far luce su un’azione di gioco non chiara. Grazie a ben 15 replay (da di-

verse angolazioni) e diverse funzioni di zoom, l’arbitro può vedere e rivedere l’azione incriminata, trovando così la risposta ad ogni sua perplessità. Tutto, ovviamente, in presa diretta, senza at-tese. E qui sta il vero upgrade. Secondo tanti detrattori della Moviola in campo, con l’introduzione della tecnologia nelle partite, ci sarebbero troppi tempi mor-ti. In realtà non è così e la conferma arriva direttamente dall’NBA Replay Center. Per capire se un tiro è stato da

tre o da due punti (paragonabile ad un caso calcistico di fuorigioco), avva-lendosi della tecnologia, gli arbitri han-no “speso” 33,7 secondi di media (377 casi “vivisezionati”). Circa mezzo minu-to di attesa concluso il quale, avendo una risposta certa, si eviterebbero una sequela infinita di discussioni da bar e, fatto più grave, incidenti tra tifoserie di opposto parere. Non basta? Altro esempio. Per decidere se una stoppata è valida o meno, gli arbitri, attraverso

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I SEGRETI DELL’NBAREPLAY CENTER

Andiamo a radiografare quella che è l’anima dellatecnologia statunitense applicata al basket…

94 monitor hD (di cui 32 touch screen)

20postazioni di lavoro (17 per i “replay operator” e 3 per i

“replay manager”)

29le arene NBA direttamente connesse all’NBA Replay Center

15le situazioni in cui gli arbitri possono rivolgersi all’NBA

Replay Center

1La decisione finale è presa del primo arbitro

10Connessione 10 gigabit Ethernet a 10 gigabit, che trasmet-te dati a 10 Gb/secondo da ogni arena al Replay Center

31.500Il numero di ore di video stimate che l’NBA Replay Center

dovrebbe analizzare in una singola stagione

560In una serata ricca di partite, l’NBA Replay Center archi-vierà oltre 28 terabyte di video, un equivalente di 560

DVD Blu-Ray double-sided

300miliardi - La facility ha la capacità di registrare hD video

stream multipli e simultantei, e scattare foto a velocità fino a 300 miliardi di bit di informazioni al secondo (300 Gbps)

17postazioni per i “replay operator”, assegnati ad una

singola partita. Ogni stazione ha uno schermo più grande e quattro monitor più piccoli, con almeno 9 inquadrature

distinte per replay

3postazioni per i “replay manager”, che monitorano più

match contemporaneamente e comunicano con gli arbitri quando il replay è richiesto. Se l’arbitro vuole un’altra

angolatura, il replay manager la trova

1telecamera per Borgia, per parlare ai referenti delle tv

locali o nazionali, per spiegare la decisione, se necessario

le immagini e i replay dell’NBA Replay Center, hanno impiegato 71,7 secondi di media. Traslando, visto che si parla di fase ascensionale o discendente di una palla, potremmo pensare al pallo-ne da calcio che supera o meno la linea di porta. Ecco, immaginate un sistema simile applicato al nostro calcio. in un amen, l’arbitro, attraverso tali occhi bionici, potrebbe comprendere se esi-

stono gli estremi per un rigore o valu-tare se la gomitata era reale o frutto di una simulazione ben orchestrata. Tut-tavia, per poter contare su un sistema valido ed efficiente come quello NBA, è necessario avere gli strumenti adatti e, soprattutto, investire sulla tecnologia. Per poter emulare l’NBA Replay Cen-ter, ogni stadio dovrebbe essere dota-to di computer e rete che permettano

una veloce consultazione. impensabile chiedere la totale efficienza alla tec-nologia se poi gli impianti si presentano fatiscenti. Infine c’è una regola d’oro che va sempre ricordata. Come negli States, nonostante la presenza, forte e costante dell’NBA Replay Center, la de-cisione finale è presa sempre dall’arbi-tro. La tecnologia può aiutare ma non può sostituire…

INChIESTA / GOAL LINE TECNOLOGYINChIESTA / GOAL LINE TECNOLOGY

CENTRO OPERATIVO ALL’AVANGUARDIAL’NBA sa come supportareil lavoro degli arbitri

IL CASO MUNTARI

Il famosogol non vistodel rossonero

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BASTA GOLfANTASMA…Di Thomas SaccaniLA GOAL LINE TEChNOLOGY è ATTESA, IN PIANTA STABILE, PER LA PROSSIMA STAGIONE…

nche se la Lega spinge per un suo esordio già nella prossi-ma finale di Coppa Italia (7 giugno), in realtà la Goal Line

Technology farà il suo debutto ufficiale a partire dalla prossima stagione. La conferma è arrivata di-rettamente da Tavecchio, stanco di casi di “gol fantasma”. La Lega, attraverso le parole del presidente Beretta, si è mo-strata entusiasta: “La Goal Line risolverà realmente il problema del goal non goal e ci è parsa la tecnologia migliore: ci saran-no 14 telecamere dislocate e non invasive che chiariranno tutti i dubbi”, le parole dello stesso presidente. Ma per i costi? Tutto chiaro… Circa 5/6 milioni di euro per implementarla in Serie A, con un esborso pari a circa 200/300 mila euro per singo-la società. Per singola annata, la spesa totale sarebbe attor-no ai 900 mila euro, con un esborso pari a circa 2500 euro a partita. Per il sistema operativo, tanti soluzioni tecniche, an-che se il Goalcontrol 4D, utilizzato dalla Fifa anche ai recenti Mondiali del 2014) pare il più affidabile. Insomma un primo passo verso la Moviola in campo. E quale futuro per gli ar-bitri di porta, vista l’imminente introduzione della Goal Line? La Federazione arbitrale dice che possono coesistere. L’ex arbitro Collina ci è andato giù ancor più pesante, spiegando come l’arbitro di porta sia utile per mille altre situazioni (falli, palla oltre la linea di fondo etc.). in realtà gli arbitri di porta costano alla Figc circa 800 mila euro all’anno e, quindi, po-trebbero essere sacrificati… A giugno la risposta definitiva.

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a Moviola in campo fa di-scutere. Abbiamo sentito Ti-ziano Pieri, ex arbitro, ora moviolista, per capire come

la tecnologia possa integrarsi, senza stravolgere nulla, nel calcio di oggi…

Buongiorno Pieri, da ex arbitro che idea si è fatto del possibile uso della Moviola in campo?“Da arbitro avrei accettato qualsiasi sup-porto che migliorasse le mie performan-ce e che togliesse un po’ di responsabili-tà all’arbitro che, fidatevi, sono davvero tante. Ma ci andrei comunque piano…”.

Si spieghi meglio…“Io sono favorevole ad una tecnologia che sia di supporto all’operato dell’arbi-tro, non che possa prendere il suo posto. Se così fosse, verrebbe ridotto e impove-rito il ruolo dell’arbitro. Non possiamo

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DUBBIENel corso della storia, si sono

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DELL'ARBITROTanta tecnologia

ma autorità del direttore

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CASI DAMOVIOLA…Di Thomas SaccaniTANTI I MOMENTI STORICI ChE, CON LA TECNOLOGIAIN CAMPO, AVREBBERO AVUTO UN ESITO DIVERSO…

“NON ROBOTIzzIAMO IL CALCIO”Di Thomas SaccaniTIzIANO PIERI FAVOREVOLE ALL’USO DELLA MOVIOLA IN CAMPO MA LASCIANDO ALL’ARBITRO L’ULTIMA PAROLA…

el nostro piccolo, ancora oggi ci interroghiamo sul famoso gol annullato al giallorosso Turone contro la Juventus (10

maggio 1981) o sul presunto rigore ne-gato al bomber dell’inter Ronaldo contro la Juventus (26 aprile 1998) o, ancora, la famosa rete annullata a Muntari nella sfida scudetto Milan-Juventus (25 febbraio 2012). Chissà come sarebbe andata con la Moviola in campo. Tuttavia ci sono altri casi, ancor più grandi che, probabilmente, avrebbero avuto esiti diversi, se l’arbitro fosse stato supportato dal mezzo tecnologico. La mente va ai Mondiali del 1966 e al gol fantasma più famo-so della storia del calcio. Durante la finalissima Inghilterra-Germania (finita 4-2 per gli inglesi), hurst, inglese, colpisce la traversa, la palla ricade in campo ma non varca la linea di porta. L’arbitro sarà di vedute diverse e convaliderà il gol. Nel 2010 è l’Inghilterra a gridare vendetta. Lampard, contro la Germania, colpisce la traversa, la palla ricade in campo ma dopo aver superato, abbondantemente, la linea di porta. il direttore di gara, l’uruguaiano Larronda, non vedrà il gol. Ancora protagonista gli inglesi: Europei 2012. L’Ucraina per-de 1-0 contro la nazionale dei Tre Leoni ma a Devic non viene assegnato un gol regolarissimo, visto che Terry toglie la palla dalla porta dopo che questa ha già varcato la linea. Esempi di come la storia del calcio, non solo italiano, sarebbe potuto essere riscritta se ci fosse stato l’ausilio di un occhio bionico…

Npensare di robotizzare il calcio”.

Insomma non bisognerebbe abusare del mezzo tecnologico…“Esatto. Non bisogna correre il rischio di stravolgere quello che è il calcio, fatto di situazioni complicate e decisioni non semplice. Pensiamo al fuorigioco. Se ci fosse sempre presente un occhio tecno-logico, l’arbitro potrebbe smettere di fi-schiarlo. Se poi arriva il gol, basterebbe guardare il replay ma, così facendo, si fermerebbe la partita ad ogni dubbio. Penso che la soluzione ideale sarebbe un numero massimo di chiamate da parte dei singoli allenatori”.

È prossimo l’esordio della Goal Line…“Favorevole. Solo contento che una tec-nologia mi possa aiutare a capire se la palla ha oltrepassato la linea oppure no. Se la mia percezione è stata sbaglia-

ta, giusto cambiare il fischio. Credo che la Goal Line sia un passo obbligato. Ci permetterà di elimi-nare parte della cul-tura del sospetto che tanto è di moda nel nostro Paese. Senza il classico “gol fan-tasma’, probabilmente ci saranno meno discussioni e polemiche nei post match”.

Pronto a questo nuovo calcio tecno-logico?“Ripeto, se non robotizziamo il calcio, credo sia importante introdurre la tec-nologia in campo. Comunque non è la prima volta che si prova a migliorare le prestazioni del direttore di gara. Ricordo l’esperimento del doppio arbitro, speri-mentato durante la Coppa Italia. Non andò bene, speriamo che con la tecnolo-gia l’esito sia differente”.

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EROIDAGLI11 METRI CALCIARE UN RIGORE SEMBRASEMPLICE MA, SUL DISChETTO,SEI COMPLETAMENTE SOLO…

di Stefano BENETAzzO

SPECIALE BOMBERINFALLIBILI RIGORISTI

SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI

ino non aver paura / di sbagliare un cal-cio di rigore / non è mica da questi par-ticolari / che si giudica un giocatore / un giocatore lo vedi dal coraggio / dall’al-truismo e dalla fantasia. Chi non conosce la famosissima canzone dal titolo “La leva calcistica del ‘68” di Francesco De Gregori

che racconta la storia di un dodicenne alle prese con un pro-vino, ma col cuore colmo di paure? Quanti calciatori vivono per vedere la palla in fondo al sac-co, quanti quelli che non vedono l’ora che l’arbitro fischi un rigore per posizionare la palla sul dischetto e gonfiare la rete e quanti sono quelli che nei momenti decisivi si sono tirati indietro un attimo prima di prendere la rincorsa e tirare il proprio penalty?Ogni giocatore è diverso, ognuno ha le sue caratteristiche, la sua tecnica, la sua pazzia, la sua fantasia ma anche i suoi timori e le sue paure, e tenere sotto controllo tutte le emo-zioni concentrandole in pochissimi secondi non è per niente facile, ancor più in uno stadio gremito e in partite chiave; serve massima concentrazione e freddezza, quella che solo i grandi campioni e/o i fuoriclasse posseggono in quantità industriale.Palla da una parte portiere dall’altra e il gioco è fatto; det-to così sembra facile, ma nella realtà le cose possono andare diversamente e prendere pieghe inaspettate, ecco perché non tutti i calciatori possono essere considerati dei cecchini infallibili dagli undici metri seppur di rigoristi ne è pieno il mondo.Stando all’interno dei confini nazionali, il miglior rigorista di sempre è Roberto Baggio, autore di ben 68 rigori realizzati nel massimo campionato con le maglie di Juventus (25), Fio-rentina (17), Bologna (11), Brescia (11), Milan (3) e Inter (1) ai quali si aggiungono quelli messi a segno in altre competi-zioni ovvero nel torneo cadetto e in Nazionale, il cui totale lo proietta a 108 penalty segnati.Tiro con il piede destro forte e potente o di astuzia e preciso,

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MISTER ELEGANzAVan Basten,dagli 11 metri,era uno spettacolo...

IL GRANDE ALEXfreddezza e lucidità,le armi di Del Piero

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SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTISPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI

Napoli (21 a testa).Ha alzato al cielo il Pallone d’Oro nel lontano 1969 – pri-mo italiano a vincerlo -, ha giocato un’infinità di partite, ha realizzato gol come se piovesse, è stato una grandissima bandiera rossonera e con il Milan ha vinto tutto quello che c’era da vincere: Gianni Rivera è stato un simbolo dentro e fuori dal campo per intere generazioni, e una piccola par-te della sua gloriosa carriera è rappresentata dai calci di rigore, anche se non ne ha calciati tantissimi ma la sua mira era eccellente. “Appena ho cominciato a sbagliarli ho smesso”, aveva rivelato Rivera poco tempo fa, infatti i più grandi ri-corderanno che l’anno dello scudetto della stella il rigorista designato era il povero Stefano Chiodi.Ovunque è andato ha lasciato un ricordo bellissimo, ha in-cantato la platea a suon di magie e realizzato reti impor-tanti; la sua specialità sono le punizioni, ma anche nei rigori non se la cava male: Andrea Pirlo ha fatto le fortune in particolar modo di Milan e Juventus ed è uno dei giocatori che riesce a realizzare gol su palla inattiva anche nelle si-tuazioni più complicate e difficili, grazie alla sua calma, alla sua freddezza e alle sue qualità fuori dal comune. Silvio Piola, attualmente – e per sempre? – cannoniere prin-cipe della Serie A, ha tirato un buon numero di calci di rigo-re, seppur non tutti andati a segno; dal dischetto non è stato proprio un cecchino infallibile. Lo abbiamo voluto inserire, però, poiché se rimane in cima alla classifica cannonieri di tutta la storia del maggiore campionato italiano un piccolo contributo è dato anche da quei 29 rigori realizzati in oltre vent’anni di carriera. italiani ma non solo, perché nel nostro campionato hanno gio-cato anche fior fiori di stranieri, alcuni dei quali specializzati proprio nei rigori: è il caso di Tevez, Ibrahimovic, Maradona, Shevchenko, Menez, solo per citarne alcuni, che dal dischetto difficilmente hanno sbagliato mira.Una citazione particolare la merita Marco Van Basten, idolo indiscusso dei tifosi rossoneri ma, più in generale, di tutti colo-ro che amano il bel calcio abbinato all’eleganza; l’olandese nonostante una carriera troppo breve causa una caviglia mal

la gamba d’appoggio del portiere e orientando il tiro di conseguenza, dalla parte opposta al tuffo dell’estremo di-fensore. I tifosi di Foggia, Lazio, Sampdoria e Bologna – solo per citare le principali squadre in cui ha militato – e della Nazionale non potranno certo dimenticarlo.il Bonimba, come lo chiamavano ai tempi di inter e Juve – alias Roberto Boninsegna – vantava un sinistro ai limiti della perfezione, potente e preciso che gli ha permesso di realiz-

zare ben 19 rigori consecutivi, ad oggi una delle serie più lunghe. Poco importa se ha cominciato a tirare dal dischetto più tardi rispetto ai coetanei, visti i numerosi centri e le in-numerevoli partite vinte anche grazie alle sue realizzazioni. A battere Boninsegna in questa speciale classifica ci ha pen-sato Mario Balotelli, che si è fermato a quota 21 tra squa-dre di club e Nazionale; a fermare l’attaccante italiano era stato il portiere del Napoli Pepe Reina, il primo a riuscire a neutralizzare un calcio di rigore di Balotelli, fino a quel momento imbattibile dagli undici metri grazie ad una breve rincorsa, una finta e un tiro non sempre potente ma il più delle volte preciso ed efficace. Tre sole squadre in 18 anni a cui si aggiungono le presenze in Nazionale: Giuseppe Savoldi ha lasciato ottimi ricordi sia all’Atalanta (squadra che lo ha fatto esordire in Serie A, ndr) che al Napoli ma soprattutto al Bologna che lo ricordano con piacere e ammirazione. Non solo un bomber di primo livello, capace di siglare gol a grappoli in qualsiasi situazione e in ogni modo, ma anche un grande rigorista: mister due mi-liardi – come venne soprannominato dopo il passaggio dal Bologna al Napoli – ha messo a referto 45 calci di rigore su 56 calciati, con i picchi massimi raggiunti con Bologna e

a mezza altezza, a destra, a sinistra, a incrociare; il cam-pionario di Baggio era infinito, la sua rincorsa poco oltre il limite dell’area e il suo passo cadenzato come una gazzella difficilmente lasciavano scampo al portiere avversario, che poteva solo raccogliere il pallone in fondo al sacco. Sublime sinfonia.è ancora in attività, ed è sempre un piacere vederlo su un rettangolo verde invece Francesco Totti, che vanta ben tre record di cui uno difficilmente battibile; è autore del mag-gior numero di rigori realizzati con la stessa squadra (64), del maggior numero di errori (17) nonché del maggior nu-mero di sbagli in un campionato (5) sempre con la maglia della Roma addosso (dati aggiornati al 14 marzo, ndr). Tanti i rigori segnati e, anche in questo caso, con tipologie diverse; su tutti spiccano i famosi “cucchiai”, che tante gioie hanno regalato non solo ai tifosi giallorossi, ma a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della Nazionale. Come dimenticare quello forse più importante nella carriera di Totti. Kaiserslau-tern, 26 Giugno 2006: vi ricorda qualcosa?Dalla Roma alla Juve, da una bandiera all’altra, il passo è breve e ha un sol nome: Alessandro Del Piero, autore di tiri precisi, potenti e imprendibili e di una mira quasi sempre in-fallibile. Rincorsa, tiro, palla in rete e lingua fuori nella tipica esultanza, Pinturicchio è stato in grado di far gioire i tifosi bianconeri per anni nonché quelli della Nazionale, vittoriosi del Mondiale tedesco anche grazie alle sue prodezze e ai suoi rigori.Ma non finisce qui, perché tra i migliori rigoristi italiani ci sono anche Giuseppe Signori, Roberto Boninsegna, Giusep-pe Savoldi, Gianni Rivera, Silvio Piola, Mario Balotelli, An-drea Pirlo e molti altri ancora.Squadre diverse, epoche e stili differenti, tipi di calcio e di calciatori distinti tra loro ma uguale fiuto del gol e precisione nei tiri dal dischetto.Brevissima, anzi, praticamente inesistente la rincorsa con la quale Beppe Signori si apprestava a calciare, con un for-midabile sinistro e una battuta implacabile: a fine carriera svelò il suo segreto, ovvero guardare fino all’ultimo secondo

MARIO BALOTELLIfRANCESCO TOTTI

ANDREA PIRLO

GIANNI RIVERA

IL RIGORE DI BALOSupermario si accinge

a calciare il penaltycontro il Genoa...

L'INfINITO TOTTILunga carrierae record assolutiper il Capitano

IL GENIO DI PIRLOBravo sulle punizioni,micidiale dal dischetto

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UN RIGORE MALEDETTO Di Thomas SaccaniIL RICORDO DEL PENALTY FALLITO A PASADENA,

FINALE DEL MONDIALE 1994, è ANCORA

FORTE NELLA MENTE DI ROBY…

i sono rigori e rigori. Ancora oggi, tra i più fa-mosi (e struggenti) penalty della storia del nostro calcio, è in pole position il rigore fallito, dallo specialista Roberto Baggio, a Pasadena, il 17 luglio 1994, giorno della finale del Mondiale

contro il Brasile. Un errore che permise alla nazionale brasi-liana guidata da capitan Dunga di portarsi a casa la Coppa

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del Mondo. La palla che va oltre la traversa, il sogno degli Azzurri che sfuma, proprio lì, dagli 11 metri. Recentemente, a Rete Globo, il Divin Codino è tornato su quel momento drammatico, rivelando il perché dell’errore: “Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa. Penso che quel giorno è stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l'alto. È stato lui a far vincere il Brasile (i giocatori verdeoro dedicarono il trionfo proprio al leggendario pilota brasilia-no ndr)”. L’ex stella, tra le altre, di Juventus, Milan, Inter e Fiorentina, ha poi aggiunto: “È una ferita che non si chiuderà mai. Avevo sempre sognato di giocare una finale mondiale e che l'avversario fosse il Brasile. Ma quando ho avuto questa opportunità ho sbagliato quel rigore…”. A volte quei fatidici 11 metri possono diventare un incubo…

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ROBERTO BAGGIO

L'ATTIMO DI PASADENARoby Baggio calciama la palla vaoltre la traversa

SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTISPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI

volte fino a quel momento. Non ce ne voglia l’immenso Paulo Roberto Falcao, l’ottavo re di Roma, ma lo citiamo per mostrare come non sia faci-le prendersi delle responsabilità in certi momenti: finale di Coppa dei Campioni ‘84, Roma-Liverpool decisa dai calci di rigori, una terribile roulette dalla quale il buon Falcao, si estromesse poco prima di andare sul dischetto, scelta quanto mai discutibile che in pochi apprezzarono. Si è discusso molto e si continuerà in eterno a chiedersi se sia stato meglio tirare e sbagliare il rigore come fecero Conti e Graziani piuttosto che chiamarsi fuori dalla mischia. Giusto per informazione, ad oggi in Serie A il portiere ita-liano che ha parato il maggior numero di calci di rigore è Gianluca Pagliuca, issatosi fino a 24 tiri fermati; del resto l’ex numero 1 di Sampdoria e Inter è stato uno dei più bravi estremi difensori che la nostra nazione può vantare, in attesa che altri lo possano raggiungere.Rigoristi si nasce, non si diventa.

curata, è stato probabilmente uno dei calciatori più comple-ti, eleganti, infallibili e migliori che il calcio possa vantare. Tra le sue innumerevoli reti ve ne sono molte anche su calcio di rigore: una normale rincorsa, un saltello prima di partire e…..GOOOLLL, il pallone andava a baciare la rete con una delicatezza degna di un quadro di Degas. A questi si aggiungono altri artisti del pallone che in italia vediamo solo da avversari, ma che sono dei cannonieri ec-cezionali, su rigore così come in tutti gli aspetti del gioco e i nomi parlano per le loro carriere: Johan Cruijff, Cristiano Ronaldo, Lionel Messi, Steven Gerrard.La potenza è nulla senza controllo, recitava una famosa pub-blicità; lo sapeva bene Istvan Nyers, attaccante francese di nascita ma ungherese d’adozione. Un nome che forse i più giovani faticheranno a ricordare, ma una presenza fissa per anni in Serie A, con Inter e Roma. Trentasette calci di rigore messi a segno su 51 calciati, trenta dei quali in maglia neraz-zurra e quasi tutti grazie ad una potenza vista poche altre

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BEPPE, CHE PERfEzIONEPotenza chirurgica

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SPECIALE

1980 TORNANO GLI STRANIERI

SPECIALE / 1980 TORNANO GLI STRANIERI

FRONTIERE (RI)APERTE20 MARzO 1980, LA SERIE ARIABBRACCIA GLI STRANIERI. SI TORNA A SOGNARE E DISPERARSI…di Fabrizio PONCIROLISi ringrazia PANiNi per la gentile concessione delle foto.

Icapace, con le sue arti pedatorie, di far sognare squadra e tifosi. C’è chi si butta sul Sudamerica, convinto che solo Brasi-le ed Argentina siano portatori di vero talento, altri guarda-no all’Europa, magari a campionati solidi, con giocatori già pronti per il duro torneo italiano. i primi 11 stranieri tesserati, alla fine, sono un perfetto mix di giocatori già noti per le proprie doti e scommesse dall’identità tutto da scovare. La li-sta è diventata, nel corso degli anni, leggendaria: Brady (Ju-ventus), Falcao (Roma), Krol (Napoli), Prohaska (Inter), Daniel Bertoni (Fiorentina) e qui pausa di silenzio… insieme a questi

cinque validissimi rappresentanti del calcio al di fuori dei nostri confini nazionali, si aggiungono, in ordine misto, Neumann (Udinese), Eneas (Bo-logna), Juary (Avellino), Van de Korput (Torino), Fortunato (Perugia) e, dulcis in fundo, Luis Sil-vio Danuello, giocatore (o meglio “mestieran-te”) di cui parleremo, abbondantemente… il fascino del calciatore esotico cattura, imme-diatamente, l’attenzione ogni singolo amante del pallone. Sono stranieri, portatori di nuo-ve culture e, ci si augura, giocate sopraffine. L’estate del 1980, famosa per il lancio del videogame Pac-Man e per il brano “Video killed the radio star”, diventa un susseguir-si di voci di mercato. La Vecchia Signora, dopo aver sondato mille piste, sceglie Brady, strappandolo all’Arsenal. il ricordo

della sua recente grande partita, nella se-mifinale di Coppa delle Coppe, proprio contro la Juventus (eliminata dai Gunners del regista irlandese) è decisivo per convincere i dirigenti bianconeri a puntare su di lui. A Roma sognano zico ma, alla fine, il patron Viola decide di portarsi nella capitale Falcao (non se ne pentiranno). La Fiorentina si assicura il Campione del Mondo 1978 Daniel Bertoni, ar-gentino che sa il fatto suo, mentre l’inter puntò su Prohaska, austriaco di buone qualità, voluto espressamente dall’allora tecnico nerazzurro Bersellini. in realtà la Beneamata stava trattando Platini, ma il tutto svanì e poi, ironia della sorte, Le

n origine furono 11. Correva l’anno di grazia 1980 e la Serie A si preparava, dopo 15 anni di proibizionismo, a riab-bracciare i calciatori stranieri. Ma andia-mo con ordine. Torniamo, con la mente, al febbraio del 1965. Per “aiutare” gli Az-zurri, pronti a farsi valere agli imminenti

Mondiali del 1966 (in inghilterra, la patria del calcio puro), il Consiglio Federale delibera il blocco delle importazioni di giocatori stranieri. Purtroppo le cose non vanno benissimo all’Italia in terra inglese. La rete di Pak Doo Ik, eroe per caso della Corea del Nord, manda al tappeto la Nazionale. Dramma nei confini nazionali. Lo “straniero” viene visto come un problema. Le proroghe si susseguono, senza indugi. La svolta giunge il 7 luglio 1979: il blocco viene abolito, frontiere (ri)aperte. il 20 marzo 1980 viene stilata la nuova normativa: le 16 squadre iscritte al massimo campionato italiano, stagione 1980/81, potranno tesserare un calciatore straniero. Uno e uno soltanto. Un’occasione sposata da 11 club su 16 (allora la Serie A era composta da 16 squadre). Ascoli, Bre-scia, Cagliari, Catanzaro e Como preferi-scono puntare sul Made in Italy. L’idea di at-tingere da altri campionati non li convince o, forse, non ci sono le condizioni economiche per potersi permettere stranieri di un certo livello, quindi meglio soprassedere e stare alla finestra, per capire cosa faranno le altre. Ecco, le altre… in un calcio ancora ferito dal “Calcio Scommesse” (Milan e Lazio retrocesse), le 11 squadre che scelgono di prendere in pugno la nuova normativa, sperano di riportare l’entusiasmo tra i tifosi con qualche colpo esotico e anche un pizzico di fantasia. Anche il calciomercato ha un’impennata imprevista. Il poter “pescare” in bacini off limits per anni stuzzica la mente di presidenti e dirigenti. Tutti si sentono in grado di individuare il fuoriclasse

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L'IRLANDESE BIANCONEROBrady, l'uomo scelto

dalla Juventusnell'estate del 1980...

UN AUSTRIACOA MILANOI nerazzurrisi affidanoal talento

di Prohaska

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fALCAO, ASSO DELLA ROMADoveva andare all'inter,poi ci ha pensato Viola...

DALL'OLANDA ALL'ITALIAKrol, scommessadel club partenopeo...

Roi fece grande la Juventus. Ci provò anche per Falcao, niente da fare… Ed ecco il perché di Prohaska, comunque elemento valido (ma non un fuoriclasse). Affascinante (e contro corren-te) la scelta del Napoli: Krol. Decisamente non più giovanis-simo (31 anni al momento del suo approdo al club parte-nopeo), l’ex stella dell’Ajax (protagonista delle tre Cop-pa dei Campioni vinte dai lancieri) sembrava destinato a concludere la propria car-riera in Canada. Ma, dopo 16 gare in NASL (l’ex MLS), ecco la chiamata del Napoli e la nuova avventura in Serie A. insomma, a modo loro, i primi cinque crack del nostro calcio, i primissimi di una lunga serie. Ovviamente, non tutto andò per il verso giusto. Al fianco dei cinque appena citati, s’infilano giocatori che, per usare un eufemismo, non incantano le masse. Se i vari Juary e Van de Korput non possiamo parlare solamente male, considera-te le discrete prove offerte sui terreni italiani, per i restanti quattro alfieri stranieri è difficile usare parole confortanti e rassicuranti. Per informazioni chiedere ad Udinese, Bologna, Perugia e Pistoiese. Ad Udine, del biondo Neumann, si ricor-dano l’avvenente moglie Maria Porto e la Ferrari GT 308 rossa fiammante, con cui amava gironzolare per le via della città. Di Eneas, oggetto di culto a Bologna, tutti rimembrano la sua idiosincrasia al freddo (giocava bardato come Bab-

ei primi anni ’80, con la riapertura delle frontie-re, si sente la necessità di figure che sappiano consigliare al meglio presidenti e allenatori, chi andare a prendere. Caliendo, in quegli anni, si dimostra uomo di grande influenza, diventando,

a tutti gli effetti, uno dei primi grandissimi procuratori del nostro calcio…

Caliendo, che effetto le fa pensare agli anni ’80 e alla riapertura delle frontiere?“Parliamo di un momento storico che ha cambiato il calcio in maniera profonda. Il poter inserire in rosa stranieri ha permes-so a tutti di allargare le proprie vedute e i propri interessi di calciomercato”.

Lei, allora, era già piuttosto influente…“Sì, operavo nel calciomercato già dagli anni ’70, nel corso degli anni ’80 c’è stata una sorta di impennata nella mia pro-fessione. Ora i giocatori si comprano su internet, allora dovevi avere delle persone di fiducia a cui rivolgerti e io ero uno di queste persone di fiducia. Ricordo che c’era tanta voglia di trovare il giocatore giusto e, essendoci uno o due posti in squa-

dra, non potevi certo andare a caso. Dovevi essere certo di quello che compravi”.

Come mai era così quotato?“Forse perché pensavano fossi argentino…”.

Si ricorda il suo primo straniero portato in Italia?“Ci avevo provato con un giocatore ad Avellino, ma non se ne fece nulla… Poi, parliamo del 1982, ci furono i primi veri colpi. Mi sto riferendo a zmuda, che andò al Verona, e, soprattutto, a Boniek, acquistato dalla Juventus. Quelli fu-rono i miei primi due veri stranieri nel nostro campionato”.

Tutta storia… Gli stranieri di oggi devono ringraziare i loro “antenati”, quelli che hanno aperto la strada…“Certamente, senza di loro e quello che di buono hanno fatto, molti non sarebbero qui adesso”.

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“I FAvOLOSI ANNI ‘80”IL RICORDO DI CALIENDO: “CON L’APERTuRA AL MERCATO STRANIERO, IL CALCIO CAMBIò PROFONDAMENTE”…

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SPECIALE / 1980 TORNANO GLI STRANIERISPECIALE / 1980 TORNANO GLI STRANIERI

ANTONIO CALIENDO

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SPECIALE / 1980 TORNANO GLI STRANIERISPECIALE / 1980 TORNANO GLI STRANIERI

resta affascinato da un ragazzino di 20 anni. Se-gna una doppietta, fa im-pazzire tutti gli avversari, è l’uomo giusto. Melani mette sul piatto 170 mi-lioni di lire per portarlo a Pistoia, rinunciando a Palinho, il vero obiettivo della missione brasilia-na di Malavasi. Firma un contratto (di sette lunghi anni) principe-sco: 26 milioni e 500 mila lire a stagione. L’atte-sa è enorme. I fan lo attendono gioiosi. “Sei più bello di Cabrini”, uno degli striscioni più eloquenti della grande attesa per il “fenomeno di Julio Mesquita”). Lui, Luis Silvio Danuello, ci mette del suo: “I difensori italiani non mi fanno paura. Li supererò con la mia velocità”, dichiara alla Gazzet-ta dello Sport (11 agosto 1980). Anche il tecnico Vieri crede nel brasiliano, nonostante Falcao, in un’intervista, fa sapere

bo Natale in inverno). Fortunato al Perugia costò un patrimonio (780 milioni di lire) e non rese nulla. Poi c’è Danuello, icona a Pistoia, al quale ab-

biamo dedicato uno spazio tutto suo, visto che, a conti fatti, si tratta del primo autentico “bidone del nostro amato calcio…”.

L’UOMO DA 170 MILIONI DI LIRE…Si dice che il personaggio di Aristoteles, nel film cult “L’Alle-natore del Pallone”, sia ispirato a lui (con esiti diametralmente opposti). Stiamo parlando di Luis Silvio Danuello, il primo vero, inimitabile, “bidone” del nostro calcio. La sua storia è degna di un romanzo a tinte di giallo, così come il suo arrivo alla Pistoiese. Estate del 1980, il patron del club di Pistoia Melani, desideroso di inserire un campione in squadra (per ben figurare in Serie A), invia il fidato Malavasi (vice dell’al-lora tecnico Vieri) in Brasile per scovare il talento del futuro. Assistendo alla partita Ponte Preta-Commercial, il tecnico

que, ha un impatto devastante sul nostro campionato. La gente si innamora, a di-smisura, del giocatore esotico. 11 non sono abbastanza, ne servono di più. La crescita è esponenziale, senza freni. Pri-ma due, poi tre, poi, complice la legge Bosman, apertura totale (con qualche limitazione al numero di extracomunita-ri). La globalizzazione è servita. Nella scorsa stagione (2013/2014), solo tra argentini e brasiliani, siamo giunti a

107 giocatori. Ai quali vanno aggiunti 18 uruguayani, 13 colombiani, 7 cileni, 2 paraguayani e 2 peruviani, oltre ad uno statunitense e un giocatore dell’Oce-ania (Valeri, ex Sassuolo, ora in forza al Melbourne Victory). Spostando l’attenzione all’Europa, ecco i 26 francesi, seguiti da Paesi come Spagna (16), Svizzera (15) e Croazia (12). Più distaccata la Germania (8). Da non dimenticare neppure i 10 africani… Tanti, troppi? Beh, solo un anno prima (sta-gione 2012/13), si è arrivati a quota 351 stranieri totali (su 581 giocatori impiegati in Serie A), quindi parlare di numero esorbitante, cifre alla mano, ha un senso. Che fare? Diffici-

di non averne mai sentito parlare: “Ha un bel controllo di palla, è velocissimo”, spiega a La Na-zione (11 agosto 1980). Che sia velocissimo non ci sono dubbi. Dopo pochi spezzoni di partita e tante critiche, messo fuori rosa, Danuello tornò in Brasile. in realtà si rivide (così si narra) a Pistoia, l’anno dopo, per riscuotere i soldi del contratto ma, diciamo così, non andò benissimo. Per anni, è circolata una voce secondo cui i dirigenti del Ponte Preta, desiderosi di vendere Luis Silvio Danuello, si misero d’accordo con il Commercial per fargli fare un figurone. C’è chi dice che abbia venduto gelati nelle strade adiacenti allo stadio di Pistoia. Racconti che lo stesso Luis Silvio, a distanza di anni, ha confermato essere bufale: “La balla più grossa è quella dei gelati allo stadio. Ho lasciato l’Italia nel 1981 e non ci sono più tornato. Il Ponte Preta non ha truccato la partita con il Commercial, non ne aveva bisogno, avevo mercato in Brasile”. Chissà, per noi resta un mito…

L’IMPORTANZA DELLO STRANIEROFatta eccezione per i cosiddetti “bidoni”, lo straniero, comun-

ALCHE QUALCHE BIDONEEneas, non un grandeacquisto per il Bologna

L'OLANDESE DEL TORINOVan de Korput, la sceltadei granata per rilanciarsi

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ra i leggendari 11 stranieri che ebbe l’onore (e l’onere) di mettere piede sul suolo italiano, alla riapertura delle frontiere, c’era anche lui. il nome è tutto un programma: Juary Jorge dos Santos Filho, per tutti Juary. è stato il primo straniero

dell’Avellino anni ’80 ma, attenzione, non era un signor nes-suno. Non giochi per caso nel Santos e non indossi la casacca della nazionale brasiliana se sei scarso. il suo sbarco nel club irpino, allora gestito dal patron Sibilla, è paragonabile ad una storia di gangster (per fortuna in salsa da commedia italiana). Juary, nella stagione 1979-1980, gioca in Messico, nell’UAG, acronimo di Universidad de Guadalajara, uno dei top team del calcio messicano. Si trova bene e non sta pen-sando a nessun’altra destinazione, ben che meno all’italia. Ma qualcosa accade e il racconto di Juary è tanto poetico quanto surreale: “La stagione era terminata e, infatti, stavo per andare in vacanza. Mi dicono che devo andare in Italia, a vedere alcuni giocatori, perché io ho fiuto per i talenti. Sull’a-ereo mi fanno bere un po’, alla fine sbotto e voglio sapere che succede. Mi rispondono: ‘Non puoi andare da nessuna parte, ti abbiamo venduto all’Avellino’… Mi spiegano che è una que-stione di soldi, che Luis Vinicio (brasiliano come Juary ndr) mi aveva voluto e altre storie ma, alla fine, si capisce che è per soldi…”. Inizialmente l’impatto con la squadra è terrificante. Lo vedono come troppo esile per fronteggiare la Serie A. Ma il campo dirà tutt’altro. In due stagioni con l’Avellino (34 partite totali), mette a segno 13 gol, diventando l’idolo as-soluto della curva che stravede per lui e, soprattutto, per il suo innovativo modo di esultare. Ad ogni gol, Juary si mette a gironzolare attorno alla bandierina del calcio d’angolo. Un’esultanza che lo rende famoso. Come è nata? Per caso, come racconta il diretto interessato: “È nato tutto ai tempi del Santos. Prima di una gara con il San Paolo mi chiedono come avrei esultato in caso di gol? Risposi che avrei improvvisato e così feci. Girai attorno alla bandiera al primo gol e così al secondo e al terzo… Quell’e-sultanza mi aveva portato fortuna e decisi di rifarla… Tutto qui, niente di studiato, solo improvvisazione ed istin-to”. Ma di istinto Juary ne aveva tanto. Gioca bene ad Avellino, poi così così ad Ascoli. Va all’inter (in realtà ci re-sta per circostanze particolari, visto che doveva essere parcheggiato al Cesena) ma non incanta e così anche alla Cre-monese. Nel 1985 lascia l’italia. Sem-bra destinato al dimenticatoio, anche se ha solo 26 anni. Sbagliato. Va al Porto dove vince tutto, compresa un’incredibile Coppa Campioni (1986/87). Geniale, non solo per la danza della bandierina…

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LA DANZA DELLABANDIERINA…Di Thomas SACCANIJUARY JORGE DOS SANTOS FILhO, NOTO A TUTTI COME JUARY. CINQUE ANNI IN ITALIA E UN’ESULTANzA MAI VISTA PRIMA…

le rispondere. il partito del “ridiamo spazio ai giocatori italiani” punta il dito sulla scarsezza di buona parte di questa ingente quantità di giocatori stranieri, mes-si sotto contratto solo per puro vantaggio economi-co (un prospetto italiano ha costi maggiori). il par-tito pro frontiere aperte, mostra, con orgoglio, l’e-sempio Udinese, società che, della valorizzazio-ne dei giocatori non italiani, ha fatto il suo punto di forza, nonché il proprio marchio di fabbrica. Probabilmente entrambe i partiti hanno licenza di

esistere. Il dibattito sarà eterno. L’unica certezza è che l’adrenalina che si avvertiva nell’estate del 1980 per il futuro campione straniero che avreb-be indossato la casacca della propria squadra del cuore è andato perso, probabilmente per sempre… Nel corso dei decenni a venire, lo stra-niero è diventato un “affare quotidiano”. La sua figura è stata sdoganata a tal punto che para-dossalmente, nel calcio italiano di oggi, il vero straniero sembra quasi il giocatore italiano. Ora, nelle rose dei vari club, gli italiani si con-tano sulle dita di una mano, ancora meno quelli che poi scendono in campo, mentre gli stranieri sono la casta forte. Poi, vuoi per nostro retag-gio culturale o per nostalgia del passato, tira sempre più un Cassaninho di un Cassano, pro-prio come accadeva nell’estate del 1980…

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ANDIAMO CON L'ARGENTINALa fiorentina pesca Bertoni,

Campione del Mondo...

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VOGLIA DI CRESCEREDatkovic hatanti obiettivida raggiungere...

esordio nella Serie A croata con l'HNK Rije-ka appena diciotten-ne, quello in Europa Lague ad appena venti e una fascia da

capitano dell'Under 21 croata por-tata con orgoglio durante le qualifi-cazioni europee fino all'amara elimi-nazione ai play off con l'Inghilterra. Questo è il difensore Niko Datkovic sbarcato in Italia, e più precisamen-te allo Spezia, nel gennaio del 2014 e diventato quasi immediatamente una colonna della squadra bian-conera con Devis Mangia prima e con Nenad Bjelica poi. A 22 anni ancora da compiere Datkovic è già il decano della colonia croata – Matija Katanec, Mario Situm, Mato Milos, Dario Canadija e Josip Brezo-vec gli altri membri - in Liguria, ma non guarda troppo avanti restando concentrato sul presente e sull'as-salto a una storica promozione in A dello Spezia.

Sei arrivato allo Spezia lo scorso gennaio. Qual è il tuo bilancio di questo primo anno?“Molto positivo. Mi piace molto la città, l'ambiente e mi sono trovato bene fin da subito. La società poi è seria e forte. Sono felice di essere qui”.

Dalla Croazia all'Italia. Come è sta-to l'impatto con la nuova realtà?“All'inizio un po' difficile perché sono due tipi di calcio diversi. Qui c'è molta più tattica e le squadre sono molto più equilibrate fra loro. In Croazia ci sono tre grandi club, che sono fortissimi, e poi tutte le al-tre che non sono altrettanto buone né paragonabili alle prime per for-za. Qui invece la prima può cadere contro l'ultima e le forze in campo sono più livellate”.

Il tuo primo allenatore è stato Devis Mangia. Che ricordi hai?“È una grande persona e mi ha aiuta-to molto quando sono arrivato. Non conoscevo l'italiano e lui è stato pa-ziente con me. Inoltre mi ha insegna-to molto sul piano tattico e lo devo ringraziare per quanto ha fatto”.

Ora c'è il tuo connazionale Nenad Bjelica. Cosa è cambiato con lui?“Non lo conoscevo di persona, ma solo attraverso i giornali. Devo dire che mi trovo benissimo. Anche lui mi sta aiutando molto a crescere e migliorare il mio gioco giorno dopo giorno. Sono contento di averlo come mister. È una bravissima per-sona e un gran lavoratore”.

Tu sei un centrale di difesa, ma in questa stagione hai giocato anche a centrocampo o come terzino. Dove ti trovi meglio?“Avevo già giocato da terzino de-stro con la Nazionale, per me non è un problema e penso che sia un bene saper fare più ruoli. Sono un centrale, ma sono anche a disposi-zione del mister e cerco di giocare al meglio ovunque venga schiera-to”.

Che obiettivi ti poni per questa sta-gione?“Il mio obiettivo è entrare nuova-mente fra le prime otto e giocare i play-off. Poi provare a conquistare quella Serie A che tutti vogliamo for-temente. Poi si vedrà. Nel calcio tut-to può cambiare in una frazione di secondo e ne sono consapevole”.

A fine anno scade il prestito allo Spezia. Speri nel riscatto?“Non ci sto pensando in questo momento, sono serio. Penso solo a dare il massimo per questa squadra e questa maglia senza ragionare sul

futuro. In estate vedremo e prende-remo tutte le decisioni del caso, ma non prima”.

Capitolo Nazionale. Con l'Under 21, di cui sei capitano, vi siete fermati a un passo dall'Europeo. Rimpianti?“Abbiamo affrontato le qualificazio-ni per l'Europeo con due allenatori: prima Niko Kovac, che ora allena la Nazionale maggiore, e poi con Nenad Gracan. Con entrambi ab-biamo lavorato bene e duramente vincendo il nostro gruppo e ferman-doci solo ai play-off contro l'Inghil-terra. È stata un'esperienza bella e importante che mi ha dato molto e insegnato altrettanto. Voglio rin-graziare sia Kovac sia Gracan che hanno creduto in me e mi hanno responsabilizzato con la fascia di capitano”.

Il sogno adesso è la Nazionale maggiore croata. Visto che c'è Ko-vac sulla panchina e ti conosce“Certamente è il mio obiettivo e spero di vestire quella maglia. Ma so di dover crescere molto, di dover fare ancora di più e impegnarmi al massimo per convincere il ct a chiamarmi. Lavoro per questo e un giorno spero di raggiungere questo traguardo”.

C'è un difensore a cui ti ispiri mag-giormente?“Il brasiliano Lucio mi è sempre pia-ciuto molto e mi piacerebbe asso-migliare a lui”.

Fra i tuo connazionali invece chi ammiri di più?“Credo che Dejan Lovren del Liver-pool e Vedran Corluka della Loko-motiv Mosca siano molto bravi e fra i più forti in Croazia nel ruolo. Io la-voro per raggiungere il loro livello e spero un giorno di riuscirci”.

DOPO UN ANNO ALLO SPEzIA E IN ITALIA NIkO DATkOVIC FA UN PRIMO BILANCIO DELLA SUAESPERIENzA, FRA SOGNI E OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE CON IL CLUB E LA NAzIONALE CROATA.

PARTENDO DALLA SERIE B ITALIANA PER RIPERCORRERE LE ORME DEI SUOI IDOLI: “MI ISPIRO A LuCIO,MA IN CROAzIA AMMIRO LOVREN E CORLukA. SPERO DI ARRIVARE AL LORO LIVELLO”.

IL GIGANTE DELLO SPEZIA

SERIE BSPEZiA

di Tommaso MASCHIO

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LEGA PRO/ REGGINA

CHE RIMPATRIATACerti amori non finiscono proprio mai...

Emanuele, il cerchio si chiude. Dopo vent´anni di attività chiuderai la carriera da dove hai iniziato...“Si, a giugno smetterò con il calcio giocato. La Reggina mi ha dato tanto, mi sembrava giusto dimostra-re riconoscenza verso la città e la società. Nelle situazioni difficili si ten-de a scappare, io sono tornato per dare una mano“.

In un calcio sempre più preda degli interessi, i sentimenti valgono anco-ra qualcosa?“Si tende sempre a dimenticare chi ti ha dato opportunitá importanti, a me non piace questa superficialità. Se si ha la possibilità di dimostrare riconoscenza, bisogna farlo a pre-scindere dalle difficoltà senza vol-tare lo sguardo altrove per como-dità“.

Quanto è possibile la missione sal-vezza della Reggina?“Ci proveremo fino all´ultima gior-nata. Noi siamo arrivati a gennaio per dare un po‘ di esperienza a un gruppo giovane. Vogliamo vedere la Reggina ancora tra i professioni-sti, la speranza non deve mai mo-rire“.

L´esordio in amaranto nel 1995, tra pochi mesi i titoli di coda. Tanti i tra-guardi raggiunti nel corso della car-riera, te l´aspettavi così?“Riguardo con soddisfazione a quello che è stato il mio percorso, i sacrifici sono stati pienamente ripa-gati. Quando mi aspettavo la gran-de occasione non è arrivata, poi a sorpresa è arrivata la possibilità di vestire la maglia della Juventus“.

Buffon il compagno di ruolo, Ned-ved e Del Piero e altri campioni in squadra. Cosa s‘impara da gioca-tori simili?“La schiettezza e l´umiltà, si è cam-pioni sempre e non per novanta minuti la domenica. Arrivavo pun-tuale all´allenamento e Nedved già sgobbava sul tapis roulant. Se fa così un Pallone d´Oro capisci che il sacrificio è tutto“.

Salvatore, ritrovi la Reggina dopo diversi anni. La prima volta fu nel 1998.“Arrivavo dalla Juventus, pochi mesi e poi il trasferimento al Crotone. In squadra c´erano Belardi e Cirillo, tutto mi sarei aspettato tranne di ritrovarli quasi diciotto anni dopo“.

In mezzo un´altra esperienza con la maglia amaranto. La cittadinanza onoraria il riconoscimento per una straordinaria stagione rimasta nella storia della Reggina.“La salvezza ottenuta nonostante gli undici punti di penalizzazione è uno dei ricordi più belli della mia carriera. In pochi credevano in una simile impresa, forse solamente noi e mister Mazzarri, splendido condot-tiero“.

Adesso il ritorno alla Reggina, c‘é bisogno di un altro miracolo ma la situazione è completamente diver-sa.“L‘affetto e la stima mi hanno ripor-tato qui. La piazza è già scossa per la retrocessione dello scorso anno, vogliamo evitare che la storia si ri-peta. Sappiamo che si tratta di un traguardo complicato da raggiun-gere, tutto è cambiato rispetto a pochi anni fa ma l´importante adesso è riuscire ad ottenere la sal-vezza“.

A Napoli le maggiori soddisfazioni della tua carriera. La Champions League con la maglia azzurra l´apice?“La Champions dà emozioni incre-dibili, uniche. In generale ho su-perato le mie aspettative, non mi aspettavo una carriera cosi felice e appagante“.

Già presa una decisione per il pros-simo giugno?“Ancora mi vedo in campo, mi au-guro di proseguire per un´altra sta-gione anche perché sono reduce da un anno di inattività forzata a Palermo. In futuro mi vedo ancora all´interno di questo mondo, ma an-cora non so in quale veste“.

Bruno, per te invece questa è l´ultima esperienza da calciatore?“Salvo sorprese sì, la voglia è anco-ra quella di un bambino ma molto probabilmente appenderò le scar-pette al chiodo“.

Prima peró c’è un obiettivo da rag-giungere. Cosa ti ha riportato in amaranto?“Il cuore, mi hanno guidato senti-menti importanti. Reggio Calabria e la Reggina mi hanno dato tutto, alla chiamata del presidente Foti ho det-to sì in un secondo. Qui sono cresciu-to e diventato uomo, è difficile descri-vere cosa provo per questa terra“.

Dagli splendori della Serie A, all´incubo dilettanti da scacciare. Con quale stato d´animo si vive questa diversità di emozioni?“Non è una bella sensazione, fa specie ripensare agli anni stupendi della Serie A. La situazione attuale è completamente diversa, stiamo provando tutti insieme a raggiunge-re l´obiettivo salvezza“.

Una carriera da giramondo. Gre-cia, Francia, Spagna, Cipro e India. Quali i bagagli ideali nella valigia?“Serve carattere, altrimenti si scap-pa dopo poche settimane. Non mi aspettavo di fare così tante espe-rienze fuori dall´Italia, sono partito dalla Grecia e da quel momento non mi sono più fermato“.

Hai indossato la maglia dell’Inter, vinto un Europeo con l‘Italia Under 21 e giocato in Champions League con l’Aek Atene. Traguardi raggiunti grazie a cosa soprattutto?“Ai sogni. Da bambino giocavo per strada, è stata una palestra di vita indimenticabile, mi è servita per fare una carriera che non mi aspet-tavo. Non ho nessun rimpianto, spe-ro che i giovani capiscano che bi-sogna avere umiltà e passione per raggiungere gli obiettivi. E non biso-gna mai smettere di sognare. Sono tornato in Lega Pro dopo tanti anni perchè, assieme a tutti i miei com-pagni, sogno di salvare la Reggina“.PER ALCUNI GIOCATORI, TORNARE A CASA è UN IMPERATIVO...

L’ULTIMA MISSIONE

LEGA PROREGGINA

di Pasquale ROMANO

omini veri. Emanuele Belardi, Bruno Cirillo e Salvatore Aronica sono tornati per aiutare una Reggina alle corde, nel momento di maggiore difficoltà della sua storia recente. Questione di coraggio e riconoscen-za, il senso di appartenenza supera ampiamente la consapevolezza di tuffarsi in un´ardua impresa. La so-cietà amaranto è alle prese con una doppia lotta disperata, condotta con orgoglio e passione. Da una parte la squadra proverà ad evitare la seconda retrocessione consecutiva, che farebbe sprofondare la Reggina nel baratro dei dilettanti. Al contempo, il presidente Foti è alla ricerca di soluzioni che possano

permettere di far respirare le casse sociali, la crisi economica infatti rischia di inghiottire la centenaria storia del club calabrese. Centouno gli anni della Reggina, complessivamente sono dieci in più quelli del trio composto da Belardi, Cirillo e Aronica, tornati tutti a vestire l´amaranto all´età di trentasette anni. BRUNO CIRILLOSALVATORE ARONICAEMANUELE BELARDI

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SERIE D/ POGGIBONSI

ATTENZIONE AI GIALLOROSSIIl Poggibonsinon ha voglia di accontentarsi...

Fusci, lei aveva già allenato il Pog-gibonsi, anche tra i professionisti. Quali sono stati i motivi che l’hanno spinta a tornare sulla panchina gial-lorossa?“Ho fatto la gavetta in tutte le ca-tegorie dilettantistiche. Qui avevo allenato anche in C2, ma per motivi legati al mio lavoro avevo deciso di abbandonare il calcio. Poi tutto si è sistemato, si è presentata l’occasio-ne e sono tornato. Sono qui perché la D è una categoria importante e perché questa è la mia città, ci sono cresciuto. Qui sono stato cal-ciatore e poi allenatore”.

Da poggibonsese avrà più stimoli, ma sente anche più pressione?“Indubbiamente sento più di altri la piazza e le responsabilità che il mio ruolo comporta. Per me allenare il Poggibonsi è una questione di cuo-re. Stiamo disputando un grande campionato, anche inaspettato per certi versi. Siamo ripartiti la scor-sa estate, abbiamo ricostruito e fino a qui siamo andati benissimo. È una grossa soddisfazione”.

Ha lasciato questa panchina nel 2007 e se ne è impossessato di nuovo prima che iniziasse questa stagione. Rispetto alla precedente esperienza è cambiato qualcosa?“Devo dire di si, con la famiglia Pianigiani al vertice della società, è cambiato molto. Adesso c’è un centro sportivo, un pullman di pro-prietà, è migliorato il settore marke-ting, insomma c’è stato un migliora-mento sotto tutti i punti di vista. Ad oggi il Poggibonsi Calcio è un’a-zienda cresciuta tantissimo, con una struttura importante. Parliamo di una società a tutti gli effetti da Lega Pro”.

A proposito di Lega Pro. Siete primi appaiati al Siena, chi la spunterà? “Spero il Poggibonsi, ma da qui al termine sarà difficile per tutti. Per chiudere bene conterà la condi-zione fisica, la qualità, specie sotto porta, e anche la componente for-tuna. Ma attenzione, perché non

ci siamo solo noi e il Siena: Rieti, Sansepolcro, Massese e Ponsacco lotteranno fino alla fine. Otto turni ancora da giocare, non sono pochi e domenica c’è Siena – Rieti. Non ci sono più vantaggi ad affrontare squadre con una classifica peggio-re, perché a questo punto c’è chi vuol salire, chi non vuole scendere, e la difficoltà delle partite sarà la stessa, perché tutti hanno grossi sti-moli”.

Attendiamo di sapere come finirà allora. Ma ad oggi il vostro campio-nato può definirsi esaltante. Ci dice il segreto del suo Poggibonsi?“Il segreto è un gruppo fantastico, composto da ragazzi in gamba, è stata questa la nostra arma in più. Ci sono state partite che ci hanno caricato, su tutte direi il pari a Siena e la vittoria a Gavorrano, ma più di tutto ha inciso il gruppo, che meri-ta questa classifica. Il primato ce lo siamo guadagnato, partendo da lontano e recuperando domenica dopo domenica fino a diventare primi”.

Il modulo con cui vi trovate meglio?“Giochiamo col 4-3-1-2, una sorta di 4-4-2 col centrocampo a rombo. È il nostro vestito da inizio anno, il mo-dulo con cui siamo cresciuti, con cui abbiamo fatto bene e trovato l’equilibrio giusto”.

Ma in casa andate meglio che fuori. Lei che vive la squadra ogni giorno, ha trovato una motivazione?“In casa abbiamo sicuramente fat-to meglio che fuori, è vero, ma non credo in realtà che ci sia un motivo particolare per questa differenza di rendimento. Sicuramente giocare davanti ai nostri tifosi ci dà una ca-rica in più”.

Lei è stato giocatore, quanto conta? Per allenare si ispira a qualcuno?“I campionati fatti da giocatore danno e insegnano molto. Ho visto come si lavora, come si imposta la settimana, come un tecnico si rap-porta ad un calciatore, anche nel

modo di parlare. Ho avuto tanti buoni allenatori: da Novellino, a Ca-stagner a Papadopulo. Da ognuno di loro ho imparato e ‘rubato’ qual-cosa, ma su ciò che ho appreso ho sempre cercato di metterci del mio”.

E del bomber Foderaro che ci dice? Ha già segnato dieci gol, può vin-cere la classifica marcatori?“Si, può farcela. Per noi sarebbe importante, innanzitutto perché Fo-deraro è un nostro calciatore e poi perché qualche marcatura in più potrebbe essere fondamentale per la nostra classifica”.

All’inizio abbiamo detto che lei è un uomo di queste parti. Ci parli dei suoi concittadini nei panni di tifosi.“C’è tanto entusiasmo intorno alla squadra e questa è già una vitto-ria, perché dopo la retrocessione la piazza era abbattuta e si era un po’ allontanata. Invece grazie al lavoro che stiamo facendo, l’ambiente si è compattato, i tifosi riempiono lo stadio e ci seguono in trasferta. Ora manca il finale, speriamo bene e in-crociamo le dita”.

NEL GIRONE E, I GIALLOROSSI SFIDANO IL SIENA NEL DERBY ChE VALE PRIMATO E LEGA PRO

IL RUGGITO DEI LEONI

SERIE DPOGGiBONSi

di Simone TONINATO

oggibonsi e Siena, una vita gomito a gomito, geograficamente e calcisticamente. Pari all’andata e al ritorno, sempre con lo stesso punteggio (0-0), le due squadre si equivalgono anche in classifica e si giocano la promozione in volata. I Giallorossi vincono tanto, perdono poco e vantano la miglior difesa dell’intera serie D, al pari della Maceratese (gir. F). In panchina è tornato Massimo Fusci, poggibonsese doc, che dei Leoni è stato giocatore ancor prima che allenatore. Oggi guida un gruppo affiatato, spinto dall’entusiasmo dei tifosi e dai gol del bomber Foderaro. Così il Poggibonsi ha dimenticato la retrocessio-

ne dello scorso anno ed è tornato a sorridere e sognare.

MASSIMO FUSCI

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ACCARDI,CITTADINO

DEL MONDO

AGENTE SUI GENERIS, CON UNA STORIAChE ASSOMIGLIA AD UN ROMANzO,SENzA ANCORA UN FINALE CERTO…

di Alessio ALAIMO

foto Vincenzo BLANDINO

I RE DEL MERCATO

GIUSEPPE ACCARDI

I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI

L'IMPORTANzA DEI VALORIPer Accardi i soldi

non sono lapriorità assoluta

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MILLE AVVENTUREDa calciatore,

ha sempre seguitoil suo istinto...

I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI

eppe Accardi è come lo vedi. Schiet-to, anche troppo. Senza peli sulla lin-gua e sempre con la battuta pronta. E una parola per tutti.

Da calciatore ha sfidato Trapattoni. “O gioco o me ne vado”, “…bene, quella è la porta…” e via, l’occasione della vita è persa. Ma non c’è mai tempo per avere rimpianti, perché il mondo va avanti. E i treni ripassano. Oggi Beppe Accardi, palermitano di nascita ma cit-tadino del mondo, è un agente Fifa in rampa di lancio, ha conquistato rispet-to, stima e simpatia da parte di tutti gli addetti ai lavori. Tutto guadagnato sul campo. E le origini non si dimenticano. Accardi ci apre le porte di casa sua, a Palermo. Poi fa un salto indietro nel tempo e ci conduce nel solco che gli ha dato i natali. “Il mio quartiere, la Ma-donna di tutto il mondo”, dice mentre i vecchi abitanti della zona lo incontrano dopo qualche anno. Tra abbracci, sorri-si e foto ricordo.

Beppe Accardi calciatore, come ini-zia? “Ho iniziato a giocare nella scuola cal-cio più prestigiosa di Palermo: l’Ac Baci-galupo, con Marcello Dell’utri presidente e Mormile allenatore. La struttura della società era eccezionale, organizzata, all’avanguardia. Ho fatto in tempo ad inaugurare il nuovo campo, dove adesso sorge il Velodromo, e poi a fine anni ’70 sono andato all’Amat, da dove siamo venuti fuori io, Totò Schillaci, Massimo Taibi, Carmelo Mancuso, Tommaso Na-poli.... E come dimenticare la nostra gui-da, Mario Falanga, quello che ci ha dato i principi basilari delle regole, del rispet-to. Il premio settimanale sapete qual era? Chi si comportava meglio andava a fare il raccattapalle. I nostri idoli in quell’epo-ca non erano i giocatori di Serie A, ma i giocatori più grandi dell’Amat, che gio-cavano in Serie D e il mio idolo non era il Facchetti di turno, ma Giuseppe Adelfio, da lui cercavo di studiare tutto. E dopo l’Amat, per me, il Bologna…”.

Dal Bologna poi all’Inter, anche se do-veva andare all’Udinese…“Con la Cavese giocai una grande par-tita contro l’Inter in Coppa Italia. Ricor-do che andai a Milano con il presidente

Amato, ma pensavo di andare a firmare per l’udinese… Sul taxi mi disse: ‘Bep-pe, lo sai dove stiamo andando?’, io non sapevo che lì ci fosse la sede dell’Inter e risposi ‘…a vedere la statua di Napoleo-ne?’. ‘No, stiamo andando all’Inter, ma tu devi dire che non ci vuoi andare perché l’udinese mi dà più soldi’. Figuriamoci… Arrivato in sede ad un certo punto si apre la sala delle coppe, entrai nell’ufficio del ds Beltrami, presi la penna e chiesi: ‘Dove devo firmare?’, senza sapere quanti soldi avrei preso e di quanti anni fosse il mio contratto. Impossibile dire di no all’Inter. Poi io sono tifoso interista, come mio padre, che avevo perso un anno prima. Il mio grande problema, subito dopo la firma, era telefonare a mia moglie e mia madre per dire che avevo firmato per l’Inter senza farmi ridere dietro…”.

All’Inter però non timbrò mai il cartel-lino: zero presenze.“E tanti riscaldamenti! Ma per non aspet-tare ebbi la stupidità di sfidare Trapatto-ni dicendogli ‘O gioco o me ne vado’…”.

Cosa le rispose il Trap?“Con un secco ‘Te ne puoi andare….” Il mio rimpianto più grande. Ma in quel momento non ero pronto, giocare all’In-ter o in piazza era uguale… gli errori li cominciai a capire quando dal paradiso mi stavo ritrovando all’inferno. Infatti oggi, ai miei giocatori, cerco sempre di fargli capire che bisogna sapere aspetta-re il proprio momento”.

Dopo l’addio all’Inter?“Andai al Campobasso in prestito, come allenatore c’era Tord Grip, un riferimento di Eriksson. L’Inter mi mandò lì in presti-to, perché voleva seguire il mio percorso

professionale. Quell’anno retrocedemmo ai rigori, sarei dovuto restare all’Inter. Ma ci fu l’avvento di Casillo nel calcio, al Foggia. Fece di tutto per comprarmi dall’Inter, inizialmente rifiutai. Poi ad un certo punto mi sembrava poco corte-se dire di no al direttore Pavone e così sparai una cifra talmente alta che pensai si tirassero indietro e, invece, il Foggia senza neanche parlare mi accontentò, paradossalmente mi fecero un contratto più alto rispetto a quello dell’Inter. Ma in quell’anno il Foggia era uno squadrone, voleva vincere. Non era una squadra da Serie C, ma da A. Tuttavia, un po’ per il carattere di Casillo e dell’allenatore le cose non andarono bene. Io presi le dife-se del mister e venni sbattuto fuori rosa, non andammo in Serie B. Volevo andar via ma arrivò Caramanno come allena-tore e mise come condizione imprescindi-bile la mia permanenza. Gli dissi ‘Mister, per lei mi faccio tagliare braccia e gam-be. Ma con questo presidente io qui non ci rimango’. Rinunciai ad un contratto da 140 milioni di lire all’anno per altri due anni, per andare a giocare a Licata in B per andare a prendere 65 milioni. Nella mia vita i soldi non sono mai stati una priorità. Se avessi seguito delle regole diverse dal mio modo di pensare avrei guadagnato di più, magari mi sarei di-vertito anche di più. Oggi non rifarei certe scelte. A Licata feci una stagione spettacolare, partimmo alla grande e tutti pensavano che potessimo andare in serie A. Poi ci furono una serie di incom-prensioni tra società e allenatore, ma ci salvammo tranquillamente. Avevo il con-tratto di un anno, mi volevano Lazio e Atalanta. Ma lì poi, anziché andare in serie A, feci una scelta di cuore”.

Andò al Palermo…“Sì, era l’anno della ricostruzione. Mio padre mi portava in curva, il mio legame con il Palermo è qualcosa che parte da lontano. Per me, giocare in rosanero, era un sogno. Tornavo a casa, da giocato-re affermato. Ma fu l’errore più grande della mia vita”.

Perché?“Ero l’unico palermitano della squadra dei titolari, la città aveva tante aspetta-tive. Non giocavamo alla Favorita, ma a Trapani e facemmo un’annata importan-te in cui però non riuscimmo a centrare l’obiettivo promozione in Serie B. E non

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I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI

giocatori che hanno fatto la storia del calcio: Mario kempes e Roger Milla. Con kempes nacque un’amicizia importante. Poi lì scoppiò la rivoluzione, fui costretto a ritornare in Italia. In Indonesia conobbi una persona, Roberto Regis Milano, che faceva trading in Indonesia. Mi contat-tò, chiedendomi quale fosse l’occasione migliore. Subito andammo a trattare la Reggiana, ma non trovammo l’accordo. Poi saltò fuori l’occasione Torino. Mi ri-trovai subito, da calciatore a dirigente del Toro: ero diventato il responsabile dell’area tecnica granata, nel 1996. Po-tevo decidere tutto quello che volevo, ma non avevo l’esperienza, la caratura, per gestire una società del genere. Mi acco-dai a delle persone che all’epoca erano più competenti. Ma ho un rimpianto…”.

Cioè? “un giorno andai a Parigi da un amico, che mi portò a vedere dei ragazzi di co-lore. Vidi un ragazzino che mi fece subito una buona impressione. Gli chiesi ‘Vuoi venire a provare a Torino?’. ‘Subito’, la sua risposta. Dissi ai responsabili del set-tore giovanile del Toro di provarlo. Dopo una settimana lo bocciarono, così mi feci mettere tutto per iscritto. Telefonai

solo, all’inaugurazione della Favorita prima del Mondiale del ’90, la squadra perse ai rigori contro la,Lucchese la fi-nale di Coppa Italia. Ma fu una serata spettacolare, allo stadio c’erano 43 mila spettatori. Ma quell’anno io capii che per me non era più il tempo di stare a Palermo: succedevano le cose positive ed era merito di chi veniva da fuori, quan-do c’erano i problemi invece dovevano risolverli i palermitani. E poi c’è una cosa che non ho mai sopportato: sono molto legato alla mia città, quando arrivano i giocatori da fuori, i tifosi si fanno am-mazzare per loro, poi ci sono i paler-mitani che non vengono amati. Dai suoi figli, Palermo, pretende tanto. La gente si ricorda di gente come Biffi, Chimen-ti… dimenticandosi di Schillaci, Tomma-so Napoli, Compagno, Parisi, Vasari. La gente ce l’ha con zamparini, ma il presi-dente al Palermo ha fatto vedere il calcio vero. I tifosi che cosa hanno fatto? Il pri-mo anno 38 mila abbonamenti, poi meno della metà. A Napoli invece lo stadio è sempre pieno. I palermitani dovrebbero ringraziare zamparini, che per dieci anni ci ha fatto divertire”.

Lei ama le sfide. Fu il primo giocatore

a Leo Mannone, presidente del Marsa-la, gli mandai questo ragazzino. Sapete chi era? Patrice Evra. Da lì cominciò la sua storia. Intanto il Torino fu venduto, Ciminelli e Luciano Moggi mi proposero il rinnovo di contratto. Ma li ringraziai e presentai le dimissioni. Da un po’ di tempo Beppe Galli e Antonio Caliendo mi stavano addosso, così mi convinsero ad andare a lavorare con loro. Facemmo una società, da cui andai via dopo sei mesi perché il mio modo di pensare era

italiano ad andare in Indonesia. Se le dico Pelita Jaya? “Correva l’anno 1995. Si era suicidato da poco mio suocero. L’anno prima ero stato dato in prestito dalla Reggiana al Venezia di Zamparini, a fine prestito ero in trattativa per la risoluzione del con-tratto. Trattavo con la Pistoiese, ma un mese prima dell’inizio del ritiro un procu-ratore italiano che viveva a Reggio Emi-lia, Salvatore Trunfio, venne al campo e mi disse: ‘Ci vuoi andare a giocare in

diverso rispetto a quello di Caliendo”.

In che senso? “Per me i soldi sono importanti, ma alcuni principi di più. Così facemmo una società io e Beppe Galli, che aveva il patenti-no da agente. Cominciammo una storia durata sei-sette anni. E io credo di aver fatto il trasferimento più incredibile della storia del calcio”.

Addirittura? “Sì, Ciccio Grabbi dalla Ternana al Blackburn, per 22 miliardi e mezzo. Quell’anno lo volevano tutte le squadre. Ma per 22 miliardi fu un trasferimento epocale, perché addirittura Vieri fu ven-duto all’Atletico Madrid per meno. Ma attenzione, io non mi definisco un pro-curatore”.

Ah no? “No, mi diverto di più ad andare in giro a vedere i ragazzi. E a farli crescere. Perché io ho fatto degli errori e vorrei che i giocatori che assisto adesso non li ripetessero. La prima cosa che ho detto a Ibrahima Mbaye, quando ci siamo cono-sciuti, è stata ‘Ibra, piano piano si arriva lontano’. Oggi è il suo motto”.

Indonesia?’. E sa perché andai a giocare in Indonesia?’…”.

Provo ad immaginare: Sandokan? “Sì, esatto. Davvero, non scherzo. Ero affascinato da Sandokan, pensai ‘…se mi danno i soldi vado in Indonesia’. In-credibile, accettarono le condizioni. Alle 23.45, una sera, mi arrivò il contratto via fax. Il rullo girava, andava avanti. C’era il contratto da 500 mila dollari. Chiesi scusa al ds Salvatori e presi l’a-ereo per l’Indonesia. Arrivai a Giacarta e subito, in aeroporto, fu come se fos-si a casa (ride, ndr). Iniziarono a dirmi ‘Suka’, che in siciliano è una parolaccia, ma in indonesiano vuol dire ‘Piacere di conoscerti’, all’epoca non lo sapevo. E ci fu un piccolo equivoco (ride, ndr). Mi ritrovai a firmare il contratto al 40esimo piano di un palazzo megagalattico. L’In-donesia mi ha cambiato la vita”.

Cosa si porta dietro di quell’esperienza? “Ancora oggi sono in contatto con del-le persone che conobbi all’epoca, me le sono ritrovate nel mio percorso futuro, appese le scarpe al chiodo. Sono sincero, lì trascorsi un anno e mezzo spettacolare, poi ebbi la fortuna di giocare con due dei

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Se Mbaye andasse dall’allenatore a dire ‘O gioco o me ne vado’ come fece lei con Trapattoni? “Lo prenderei a calci in culo. Ho capi-to l’errore, non devi sbagliare perché il calcio va veloce e non ti aspetta. Poi con Ibra ho un rapporto particolare, è il ma-schio che non ho mai avuto come figlio. Sono sempre stato contento di avere avuto due figlie, ma Dio mi ha mandato Mbaye, è come se fosse mio figlio”.

Beh, lo è a tutti gli effetti. Lo ha adottato.“Abbiamo iniziato la pratica d’adozio-ne, stiamo aspettando dei documenti dal Senegal per definire tutto. Era la giusta conseguenza del rapporto d’affetto che ci lega”.

Non capita tutti i giorni che un agente adotti un proprio assistito…“Io e la mia famiglia siamo molti legati ad Ibra. Le mie figlie l’hanno da sempre considerato come un fratello minore e sono state fondamentali in questa scelta”.

Come nasce il vostro rapporto?“una volta andai a vedere l’Etoile Lusi-tana, mi segnalarono un ragazzino di

14 anni. ‘E’ il più forte che abbiamo’, mi dissero. Lo vidi e lo proposi all’Inter. Pie-ro Ausilio mi disse ‘Ti faccio sapere…’, ma non mi dava risposte. Così tramite un dirigente dell’Etoile Lusitana contattai Mourinho. Il giorno dopo mi chiamò Au-silio, Mou gli aveva detto che se Mbaye non fosse andato all’Inter per una prova, lo avrebbe fatto cacciare. In quel mo-mento non avevo la certezza che l’Inter prendesse Ibra, così lo proposi anche al Palermo. C’era Walter Sabatini che mi disse: ‘Se l’Inter dà un milione all’Etoi-

le Lusitana, io te ne do due’. Ma ave-vo dato la parola all’Inter. E per me la parola conta più di ogni altra cosa. Nel periodo in cui stavamo preparando tutta la documentazione Ibra venne a stare a casa mia. L’Inter gli dava 150 euro al mese, io lo andai a prendere per fargli trascorrere il Natale con me e intanto fece un gesto incredibile, con suo padre: prese 200 euro e glieli mise in mano, senza far vedere niente a nessuno. Gli disse indicando me: ‘Papà, buon Natale. Io vado con lui…’. Il papà cominciò a piangere dall’emozione. Poi arrivammo a casa mia. E sapete come si presentò? Con un regalo per ognuno della mia fa-miglia. Anziché andare a spendere i pri-mi soldi, li ha raccolti per quattro mesi per comprarci i regali. E’ un ’94, in quel periodo aveva 14 anni. Oggi la perso-na con cui ha un rapporto incredibile è mia moglie, la considera sua madre. Non mi devo preoccupare degli altri procu-ratori, ma di mia moglie. E se devo fare una cosa per Ibra, quasi devo chiedere il permesso a mia moglie. Lui è destinato a fare bene, a diventare un giocatore im-portante. Dei soldi non gli interessa. Mi dice ‘Io gioco, penso solo a giocare’. un

I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI

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I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI I RE DEL MERCATO / GiUSEPPE ACCARDI

intervista di Alessio Alaimo

tra gli amici che ho nel calcio, cito Nicola Ferrante e l’avvocato Annalisa Rosetti. E poi Denis Gianni, un giovane ragaz-zo umile con cui lavorare è veramente un piacere. Nell’ambiente del calcio ho più amici che nemici. O meglio, più simpatie che antipatie. Anche se qualche volta mi sono arrabbiato quando qualcuno con delle bassezze ha provato a portare via qualche mio giocatore. Se hai la capaci-tà di prendere un giocatore da un altro agente senza tirare fuori i soldi vuol dire che qualcosa tra te e il calciatore non va. E quindi ti devi mettere in discussione”.

Dove andrà quando lascerà il calcio? “Tra Palermo e San Vito Lo Capo, ma-gari a fare il nonno. Quando smetterò di dedicarmi al calcio vorrei pensare alla famiglia e alle cose che magari sto tra-scurando a causa del mio lavoro”.

Se non avesse fatto prima il calciatore e poi l’agente? “Avrei fatto il ladro. A Palermo o fai il la-dro o fai il carabiniere (ride, ndr). Scher-

comportamento così ti dà forza…”.

Lei è anche il procuratore di Leandro Rinaudo, che per un periodo l’ha la-sciata. Poi è tornato sui suoi passi… “Con Leandro ho un rapporto affettivo. Si è trovato dal sogno di giocare alla Juve, a rischiare di perdere tutto. Andò alla Juve nel 2010 in prestito con dirit-to di riscatto l’ultimo giorno di mercato, arrivato in bianconero conquistò il posto da titolare. Ma durante un allenatore di rifinitura ebbe un problema alla schiena. Da lì cominciò la tragedia calcistica di Leandro, la schiena gli causò dei proble-mi al tendine. Quando è arrivato davanti alla porta del paradiso, ha trovato l’in-ferno. Era diventato meno riflessivo, ave-va voglia di giocare a tutti i costi, perché voleva dimostrare che stava bene. L’anno dopo quindi tornò a Napoli gli consigliai di non muoversi fino al suo recupero. Gli ultimi giorni di mercato discutemmo ani-matamente: correva il rischio di andare in un’altra squadra, farsi male e chiu-dere con il calcio. Per me il legame con

zi a parte, non ci ho mai pensato. Ma mi sarebbe piaciuto fare l’attore. Del resto, in tv vengo bene. No?”

Torniamo indietro di qualche anno: ci porta dove è nato? “Molto volentieri”.

L’automobile si mette in moto, Accardi ci conduce nel suo primo quartiere di Palermo. “Madonna di tutto il mondo”. Venti minuti dal centro del capoluogo siciliano e… ci siamo.

Che effetto le fa tornare qui? “Come se tornassi a casa. Sono andato via a 14 anni, ma è come se non aves-si mai lasciato. A volte, quando sono a Palermo, la notte vengo a fare delle pas-seggiate proprio qui. Ricordo i tornei, le partite con gli amici. Ricordi incredibili, belli, emozionanti. Anche se adesso con-duco una vita più agiata e ho casa in una zona magari migliore, qui ho il cuore. Quando nasci in un posto come questo non lo puoi dimenticare".

le persone conta più dei soldi, quindi a volte – sbagliando – penso che la gente debba accettare il mio pensiero quando sono convinto di una cosa. Finito il mer-cato Leandro era molto arrabbiato, in quel periodo era sempre alterato e così le nostre strade si divisero. Quando ini-ziai a leggere sul giornale che stava per andare a Novara, consigliai al fratello di suggerirgli di non andare. Aveva un problema al tendine, andare a giocare su un campo sintetico significava andare a complicare le cose. Poi un giorno mi chia-mò la moglie di Leandro e mi disse ‘Vuoi farmi un regalo? A maggio battezziamo i nostri figli, vieni al battesimo’, accettai di andare alla festa e quando Leo mi vide si staccò da tutti e ci abbracciamo. Poi mi chiese: ‘Ma perché quando non ragiona-vo non mi hai preso e sbattuto al muro?’, replicai dicendogli: ‘In quel momento eri diventato insopportabile’. Poi dopo l’abbraccio, tutto come prima. E oggi il nostro rapporto è ancora più forte”.

Schietto, sincero, mai banale. Il suo

E oggi ritornando qui, cosa direbbe ad un ragazzo che vuole fare l’agente? “Di cambiare mestiere”.

Esagerato… “No, dico davvero. Oggi devi partire con una base economica importante, pensa-re che i primi anni devi autofinanziarti senza pensare di andare a guadagnare chissà quali soldi. E soprattutto guarda-re anche a mercati come il Vietnam, il Bahrein, tutti posti che magari ora sono inesplorati. Perché nel calcio non ci sono solo gli slavi e gli indonesiani”.

carattere, nel calcio, è un pregio o un difetto? “A volte trovi ragazzi che pensano solo ai soldi. Ma con i soldi non vinci, sono una conseguenza. Non condivido che un procuratore chieda dei soldi quando un giocatore è ad inizio carriera. Magari con 1000 euro un ragazzino fa un re-galo alla madre… i soldi nella vita non sono tutto. Io sono fatto così e il mio ca-rattere, a me va bene così. Non riesco a fare come tanti procuratori, che vivo-no nel mio mondo e pur di prendere un giocatore in procura s’inventano chissà cosa. Si dice in giro che ci sono miei col-leghi che per prendere le procure van-no in giro e pagano i giocatori: questo, se fosse vero, non può mai diventare un rapporto vero e sincero. Queste cose non le accetterò mai”.

I colleghi che sono anche amici? “Il mio caporale quando facevo il milita-re: Alessandro Pellegrini. Con lui abbia-mo un rapporto di amicizia, è una perso-na per bene. Se devo fare qualche nome,

PAUSA CAffE' A PALERMOAccardi è legatissimoalla sua terra e agliamici di un tempo...

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MORENO, BANDIERA DORIANA

BEN 15 STAGIONI CON LA SAMPDORIA, CON LAGRANDE SODDISFAzIONE DELLO SCUDETTO 1990/91…

di Gaetano MOCCIARO

foto Federico DE LuCA

I GIGANTI DEL CALCIO

MORENO MANNINIUN DIfENSORE fURBO

15 anni alla Sampdoriae tante soddisfazioni...

I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI

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n un periodo dove a farla da padrona è il business e i perso-naggi del calcio di oggi sembrano quasi irraggiungibili, fare un tuffo nel passato

ci fa capire che c'è stato un mondo pal-lonaro diverso, dove c'era davvero chi rimaneva per la maglia e dove i pre-sidenti erano molto più umani. Moreno Mannini, bandiera della Sampdoria degli anni d'oro, ci accoglie nella sua imola, nella splendida struttura del Pa-lace Beach e ci racconta di un'epoca splendente per il calcio italiano e che sembra distante anni luce.

Moreno Mannini, la tua carriera na-sce dalla gavetta: dopo aver giocato a Imola e Forlì arriva, infatti, la chia-mata del Como come primo trampoli-no di lancio. Anno 1982.“Andai a fare un provino, accompagnato dal mio allenatore del Forlì e ricordo che giocai quest’amichevole dove non toccai un pallone. Tornai frustrato dalla mia prestazione, più che altro perché non me la passavano mai. Mi ero già vestito per tornarmene a casa mestamente, mentre

l'allenatore del Como Tarcisio Burgnich mi fermò e mi disse: “per la velocità che tu hai se ti insegno a marcare diventi uno dei migliori difensori italiani”. Mi prese e alla fine ha avuto ragione. Certo, fui fortunato perché lui essendo difensore della gran-de Inter fu un grande maestro per me”.

Due anni a Como e poi il grande salto alla Sampdoria."Anche qui, tutto nasce da un’amiche-vole. Nella fattispecie era Como-Sam-pdoria, presente Paolo Mantovani che voleva vedere Roberto Galia. Facemmo questa partita e alla fine presero me e la-sciarono Galia ancora un anno al Como. Insomma, una serie di circostanze fortu-nate anche mi hanno portato a questa carriera”.

Anno 1984: la Samp all’epoca stava costruendo la squadra più forte della sua storia.“C’erano le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e Pietro Vierchowod era impegna-to con la nazionale olimpica, per cui ho avuto l’opportunità di giocare tutte le partite di pre-campionato e quando tor-nò io che dovevo inizialmente essere pan-chinaro giocai titolare in coppia con lui”.

Al primo anno in blucerchiato sei agli ordini di Eugenio Bersellini. Che alle-natore era?“Apparteneva alla vecchia scuola alle-natori, stesso allenamento, un po’ mo-notono visto che non cambiava di una virgola. Lo dipingevano come sergente di ferro ma aveva un cuore anche lui”.

Il passaggio alla Samp dalla realtà piccola di Imola è stato traumatico?

II GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI

ANCHE ALL'ESTERONon un bel ricordo

l'avventura alNottingham forrest...

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una mattina alle 6 si presentò a casa sua Agnelli che voleva comprare me, Vier-chowod, Vialli e Mancini. Per noi quattro aveva messo sul piatto 50 miliardi di lire. Questo non ce l'aveva mai detto, lo fece solo anni dopo, una volta vinto lo scudet-to nel 1991. Ci confidò che aveva rifiu-tato quell'offerta perché voleva provare a vincere con la Samp".

Rimpianti per non essere andato alla Juventus?"No. Eravamo talmente legati tra di noi, d'altronde. Facemmo un patto dove nes-suno avrebbe lasciato la squadra prima di vincere lo scudetto. E poi c'era Boskov che ci faceva divertire. Lui non aveva la presunzione di dire cosa fare a grandi giocatori, li metteva semplicemente nelle condizione di far bene, gestiva la testa".

I maligni dicono che erano i senatori facevano la formazione…"Boskov era bravissimo a far credere questo. Poi alla fine faceva sempre quello che gli pareva. Mi ricordo che dovevamo fare una partita di Coppa delle Coppe contro il Malines, dove c'era una pioggia battente. Andammo a parlare con Boskov

"Sinceramente no. Semmai è stato stimo-lante e io ho avuto la fortuna di gioca-re in 10-15 anni dove sono passati dei grandi campioni. Adesso l'Italia non è più come una volta dove i migliori stranieri ambivano a venire in Italia. Poi una volta c'erano al massimo 2-3 stranieri, adesso è una cosa vergognosa. Accendo la tv e vedo partite della Serie A senza italiani. E pensiamo di fare una nazionale forte?"

In quella Samp il punto di forza era il presidente Paolo Mantovani. Si trove-ranno più presidenti come lui?"un presidente innamorato dei suoi gio-catori e della sua squadra. Lui ci voleva vedere felici, sapendo che se lo fossimo stati la squadra avrebbe fatto bene an-che in campo. Creò una squadra pren-dendo dei giovani giocatori come me, Vialli, Mancini, Salsano e negli anni la squadra è diventata fortissima. La sua soddisfazione era creare una squadra partendo da giocatori semisconosciuti e ci è riuscito. Quella Samp si divertiva e faceva divertire e anche i non sampdo-riani, ci tifavano in Europa, mica come adesso dove tra tifosi di squadre italiane ci si gufa. Noi eravamo per tutti la squa-

chiedendogli di non far giocare Cerezo, perché la domenica avevamo una partita più importante. Lui ci disse: sì sì, avete ragione. Andiamo in campo e vediamo nella formazione: Cerezo titolare".

Personaggio d'altri tempi, Vujadin Boskov."Non poteva non volergli bene, ma era furbo. Aveva capito di avere a che fare con dei giocatori bravissimi, però dove-va lasciargli una certa libertà e fare in

dra simpatia. Eccetto che per i genoani (ride, ndr)".

C'è un aneddoto legato a Paolo Man-tovani?"Paolo Mantovani era un personaggio che oltre a venire a giocare a carte con noi la sera, veniva al ristorante con noi. Quando partivamo per giocare in Euro-pa, quando passavamo con l'aereo so-pra Ginevra diceva: "Vedete? Chi sposa mia figlia quella casa laggiù è sua". Per-sonaggio fantastico, di una simpatia e di un affetto unico nei nostri confronti. Per lui noi eravamo la priorità: ad esempio diceva alla sua segretaria ogni volta che si presenta un giocatore, cancella tutti gli appuntamenti e fai venire il giocatore. Non come adesso che i presidenti sono irraggiungibili, devi prendere appunta-mento. E poi lui si divertiva a giocare con noi con i contratti".

In che senso?"Nessuno ha mai discusso un contratto con Paolo Mantovani. Arrivava con il contratto fatto e poi si divertiva a met-tertelo davanti, girato al rovescio e ti diceva: quanto pensi di valere? Quan-

modo di non segregarli negli atteggia-menti e nei comportamenti altrimenti non avrebbe ottenuto risultato. Arrivammo al punto che avevamo sette nazionali. E ricordo che Sacchi, che era il ct, diceva più di una volta: “se vi avessi allenato io per quanto eravate forti sapete quanto avreste vinto in più?” Vialli gli rispon-deva: Arrigo, chi lo dice che invece che fare l'allenamento alle 11 col sorriso sul-le labbra potevamo rendere allenandoci magari alle 9 in maniera più rigida? Non c'era la controprova!".

Che allenatore è stato Sacchi?"un allenatore incredibile, un perfezioni-sta. Ho imparato da lui tantissimo anche se avevo più di trent'anni. Ho visto curare i falli laterali, cosa mai vista nella mia carriera".

Insomma, un'altra scuola rispetto a Boskov."Boskov la domenica mattina faceva questo discorso: te Moreno, te Vier-chowod marcate questi giocatori, toglie-te palla e date a Toninho Cerezo. Poi lui butta avanti che tanto Vialli e Mancini fan gol. Era un grande a livello psicolo-

to vorresti guadagnare? E ti metteva in difficoltà, perché avevi paura di dire troppo, di dire una cavolata. Che poi il contratto era già firmato da lui, per cui se chiedevi una lira in più non te la dava mica, ma se ti aspettavi centomila lire in meno lui comunque ti dava quanto ave-va già stabilito. Il suo divertimento era cercare di capire quanto tu ti valutavi. A Cerezo gli portò un contratto scritto in un tovagliolo al ristorante, per dire. E poi odiava i procuratori, diceva sempre che chi doveva guadagnare erano i giocato-ri, non gli intermediari. L'unica volta che un nostro giocatore si presentò col pro-curatore, successe con Pellegrini, lo man-dò via. L'unica eccezione la concedeva ai giocatori stranieri, che magari non co-noscendo la lingua ne avevano bisogno".

Un gruppo storico che è rimasto unito nonostante le richieste dalle big. Siete rimasti per Mantovani?"Assolutamente sì. Eravamo talmente legati a lui che avremmo fatto qualsia-si cosa. Ai nostri tempi c'era più serietà. Le società non andavano a bussare dal giocatore, ma passavano prima dall'al-tro club. Mantovani ci raccontò dopo che

I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI

STIMA INfINITA PER MANTOVANIParole al miele per l'ex patron

della Sampdoria

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pErsonaggio chEoltrE a vEnirEa giocarE a

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ANCORA IN GRANDE fORMAMannini sa ancoradare del tu alla palla...

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“”sacchi? un allEnatorE

incrEdibilE, unpErfEzionista. ho imparato da lui tantissimo anchE sE avEvo

più ditrEnt'anni

I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI

gico: quando perdevamo si incazzava se non ridevamo, dovevamo andare fuori a festeggiare, mentre quando vincevamo ci massacrava. Diceva: se avete perso e in più infierisco non recuperate più; invece quando vincete posso pure massacrarvi perché dopo che avete vinto potreste fare anche un'altra partita dopo 2 ore".

Dopo Boskov, Eriksson. Due persona-lità diverse."Persona bravissima, un signore. Non l'ho mai visto arrabbiato. Pensa che lo chiamavi "mister" e lui diventava rosso. Molto bravo tatticamente".

Menotti invece è stato una meteora."Ha portato un paio di giocatori argen-tini sul quale è meglio lasciar perdere. Per fare bene doveva avere in mano una squadra superiore alle altre di due span-ne. Con lui abbiamo fatto una prepara-zione ridicola, subito col pallone mai fat-to una salita, mai fatto una corsa. Diceva che il campo non aveva salite quindi era inutile farle. Noi d'altro campo non era-

vamo più la stessa Samp, nonostante il figlio di Paolo Mantovani, Enrico, conti-nuasse a prendere buoni giocatori".

Enrico Mantovani molto sfortunato e nemmeno amato dai tifosi…"Sì è trovato lì, che in realtà il padre non voleva che i figli proseguissero la sua presidenza. Non si presentò bene in quel momento lì, ma secondo me ha dato tutto

LA CARRIERA DIMORENO MANNINI

STAGiONE SQUADRA SERIE PRESENzE GOAL

1980-1981 IMOLESE D 25 2

1981-1982 F.C. FORLI C1 10 1

1982-1983 COMO B 17 2

1983-1984 COMO B 36 3

1984-1985 U.C. SAMPDORIA A 24 -

1985-1986 U.C. SAMPDORIA A 26 1

1986-1987 U.C. SAMPDORIA A 28 1

1987-1988 U.C. SAMPDORIA A 29 2

1988-1989 U.C. SAMPDORIA A 18 -

1989-1990 U.C. SAMPDORIA A 29 -

1990-1991 U.C. SAMPDORIA A 26 2

1991-1992 U.C. SAMPDORIA A 28 -

1992-1993 U.C. SAMPDORIA A 27 -

1993-1994 U.C. SAMPDORIA A 30 -

1994-1995 U.C. SAMPDORIA A 28 -

1995-1996 U.C. SAMPDORIA A 27 1

1996-1997 U.C. SAMPDORIA A 22 -

1997-1998 U.C. SAMPDORIA A 25 -

1998-1999 U.C. SAMPDORIA A 10 -

1999-2000 NOTTINGhAM FORREST iNG 10 -

2000 IMOLESE C2 1 -

quello che poteva dare ma si è trovato in una situazione che non c'era dentro. Mentre la figlia, Francesca, faceva parte di noi, era sempre con noi, Enrico era in America a studiare e quando è tornato non conosceva l'ambiente. Si è anche do-vuto affidare a personaggi che non sem-pre erano all'altezza e siamo retrocessi con una squadra che non era nemmeno da retrocessione".

Allenatore Spalletti, com'era all'inizio della sua carriera?"Io ci ho litigato e ho lasciato la Samp. Eppure tecnicamente e come preparazio-ne lo ritengo il migliore che abbia avuto. Però ci siamo scontrati su situazioni più personali che altro. Mi spiace aver litiga-to, ci sono stato male e poi non andava niente a beneficio della Sampdoria. In quel momento mi disse cose che mi feri-rono, del tipo che giocavo solo per fare le presenze. Come, io che in questa squa-dra ci sono cresciuto? Adesso comunque abbiamo chiarito, siamo tornati in buoni rapporti".

DIFENSORE VERODi Fabrizio PonciroliCRESCIUTO AD IMOLA è DIVENTATO GRANDECON LA CASACCA DELLA SAMPDORIA…

oreno Mannini muove i primi passi nel cal-cio professionistico con la casacca dell’i-mola. Poi si cimenta con Forlì e Como pri-ma di passare, nel 1984, alla Sampdoria

di Mantovani. Con i doriani disputa ben 15 stagioni, collezionando 377 presenze totali, condite da sette gol. A Genova vince uno Scudetto (1990/91), quat-tro Coppa italia (1984/85, 1987/88, 1988/89 e 1993/94), una Supercoppa Italiana (1991) e una Coppa delle Coppe (1989/90). Nel 1999 lascia la Samp e si avventura in terra inglese, Gioca, per una stagione, al Nottingham Forrest (10 presenze), prima di tornare in italia per chiudere la carriera con l’imo-la. Si toglie la soddisfazione anche di giocare con la Nazionale (10 gettoni, esordio il 19 febbraio 1992, a Cesena, contro San Marino). E’ considerato uno dei difensori più tosti e duri della storia dei blucerchiati, di cui è considerato una vera e propria bandiera…

M

TANTI AVVERSARI IMPORTANTIMannini ha avuto la fortuna

di affrontare i migliori,come Maradona...

ANCHE SETTE GOLIn 377 presenze coni doriani, si è fattovedere pure inzona rete..

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I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI

intervista di Gaetano Mocciaro

I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI

IMOLA NEL CUOREMannini è legatissimo alla sua città natale...

“”a partE londra, in inghiltErra non c'è nulla. hanno comE

mEntalità QuElladi bErE, sindallE 4. poila sEra è

tutto chiuso

Sei così emigrato in Inghilterra, al Nottingham Forest."Avevo 38 anni, in realtà non volevo ne-anche andare. Ero ormai tornato a casa, mi è arrivata una telefonata il 31 luglio da David Platt che era diventato allena-tore e mi disse: vieni a giocare con me. Io ero stuzzicato dall'avventura in Inghilter-ra per imparare la lingua e chiedo: quan-do inizia il campionato? E lui: il 2 ago-sto. Cioè, due giorni dopo la chiamata".

Che esperienza è stata?"Platt mi voleva fare un quadriennale, io a 38 anni non avevo intenzione di stare così a lungo e ho optato per il primo, anche per vedere come mi sono trovato. E infatti mi sono trovato male, soprat-tutto con i giocatori. Attilio Lombardo, che all'epoca era al Crystal Palace, mi aveva avvertito. I giocatori per il fatto che io arrivassi dall'Italia e che David in un suo libro ha scritto che il difensore più furbo che abbia incontrato ero io, non mi vedevano bene. Quando gli spiegavo le cose facevano finta di non capire, mi hanno messo il bastone tra le ruote e io mi sono stufato, tanto che il 6 gennaio ero a casa".

Anche Nottingham non era il massi-mo…"Lasciamo perdere, a parte Londra in In-ghilterra non c'è nulla. Hanno come men-talità quella di bere, sin dalle 4. Poi la sera è tutto chiuso. Per non parlare del tempo, sempre piovoso".

E con l'inglese poi come te la sei ca-vata? L'hai almeno imparato?"Pochissimo, anche perché avendo il club preso anche Matrecano e Petrachi e an-

dando spesso a mangiare al ristorante italiano, non è che mettevamo in pratica molto inglese".

Soddisfazione più grande: scudetto o cavalcata in Champions?"Per lo scudetto ci stavamo preparando. Avevamo perso una finale di Coppa delle Coppe, poi vinta l'anno dopo con l'Ander-lecht, quindi eravamo consapevoli di po-ter vincere il campionato. Pensare invece di arrivare alla finale di Coppa dei Cam-pioni al primo anno è stata una sorpresa. Col Barcellona in quella finale a Wem-bley potevamo vincere, che peccato".

Avevate capito che il ciclo era finito?"Sì, sapevamo che a Wembley finiva il nostro ciclo. Vialli era ormai ceduto alla Juve, il nostro presidente stava morendo. Capimmo che in quella partita si chiudeva un cerchio. Quella partita fu un'esperien-za comunque indimenticabile. E nel calcio ci sono cose che non puoi comprare come le emozioni. Ricordo con piacere anche l'emozione che provai alla seconda par-

tita in Serie A al San Paolo a marcare Diego Armando Maradona. Quella era la sua prima partita in campionato a Na-poli e lo stadio era una bolgia, al punto che non riuscivi a sentire nemmeno il tuo compagno di squadra a dieci metri".

Capitolo Nazionale: rimpianti per aver iniziato tardi?"All'epoca erano molto conservativi, c'e-rano delle gerarchie. Con Vicini avevano la priorità i giocatori che avevano fatto l'under 21 con lui. Quando mi ha convo-cato Sacchi ero in un momento di forma tale che non potevano non chiamarmi. Diciamo che ci potevo stare prima in Na-zionale".

Di cosa ti occupi adesso? Sei rimasto nel mondo del calcio?“Ho dedicato il mio tempo alla famiglia. Avevo dei bambini piccoli e ho preferito non allontanarmi più. Sono molto legato a Imola. A Genova sono stato bene ed è la città dove sono nati i miei figli, ma è qui che ho radici e con tutto il rispetto le amicizie fatte a 20 anni sono diverse a quelle con le quali sei cresciuto”.

NIENTE COME LA SAMPHa vinto tutto in magliablucerchiata, lo Scudetto

resta il massimo...

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edizione 1975-76 della Coppa dei Campioni inizia con un primo turno completo, frut-to della vittoria del Borussia Mönchen-gladbach in Bundesli-ga. I neroverdi sono

guidati da Udo Lattek, mister della prima coppa del Bayern e hanno vinto anche la Coppa UEFA in finale con gli olandesi del Twente, con un 5-1 in Olanda dopo uno 0-0 in casa. Con Heynckes, Stielike, Bonhof, Vogts e il piccolo folletto danese Allan Si-monsen è potenziale candidata al titolo eu-ropeo, insieme a Bayern, Real e alle solite altre. In Italia, continua il dominio juventi-no in patria che, tuttavia, non si traduce in prestazioni convincenti in Coppa, nemme-no in questa stagione.Curioso come l’esordio del Borussia ricalchi la finale di Coppa UEFA. Contro il Wacker Innsbruck del portiere Koncilia e di un gio-vane Bruno Pezzey, il Borussia soffre in casa in modo davvero inatteso. Solo un rigore di Simonsen a sette minuti dalla fine permette ai tedeschi di pareggiare, dopo la rete di Welzl al 43’. In Austria le cose sembrano ripetersi, con il vantaggio tirolese del danese Flindt-Bjerg, ma Stielike riesce a trovare il pari allo scadere di tempo. Con la sfida in assoluta parità dopo tre quarti, si scatena l’enfant du pays Jupp Heynckes, che dopo il vantaggio di Simonsen cala il poker per l’1-6 finale.Grande equilibrio invece nello scontro che ha messo di fronte il Magdeburgo e il Malmö. I tedeschi raggiungono il 2-1 al ritorno, pareggiando i conti con la gara in Svezia, grazie a un rigore di Streich. Gli svedesi perdono l’espulso Sjöberg, ma resi-stono fino ai rigori che si rivelano la sagra dell’errore. Dopo quattro tiri dal dischetto, il Magdeburgo ne ha segnato solo uno con Steinbach, gli svedesi hanno fatto poco me-glio, con “Puskas” Ljungberg e Roy Ander-sson. Il quarto errore dei sassoni con Zapf dà il passaggio al Malmö agli ottavi, dove trova il Bayern. Il resto dei sedicesimi non vede sorprese, la Juve perde 2-1 in Bulgaria contro il CSKA, al ritorno Furino e anco-ra Anastasi danno il 2-0 decisivo. Passano facilmente il turno anche Bayern, Benfica, PSV Eindhoven, Hajduk, Rangers e Saint-Étienne. Rimonta il Derby County sullo Slovan Bratislava con Lee protagonista in cinque minuti di fuoco. Sull’1-1 complessi-vo, la punta a fine carriera segna al 78’, sba-glia un rigore due minuti dopo e segna il gol della sicurezza dopo altri due minuti. Man-ca di pochissimo una clamorosa rimonta lo Zurigo, che dopo aver perso 4-0 in casa dell’Ujpest pareggia i conti all’intervallo del ritorno. Al 57’, però, il portiere Grob com-mette un errore e Nagy segna il gol che per-mette agli ungheresi di andare avanti, anche

se con qualche sofferenza dopo il gol del 5-1 di Risi. Il primo turno non riserva sorprese, unica “piccola” che passa è l’IA Akranes, che ha usufruito di un sorteggio favorevole con l’Omonia. L’urna degli ottavi sorride alla Di-namo Kiev, che trova gli islandesi dopo ave-re eliminato in un primo turno equilibrato l’Olympiacos. I campioni sovietici battono l’Akranes con un 5-0 complessivo e passano quindi ai quarti.Le partite clou del secondo turno sono Borussia-Juventus e Derby County-Real Madrid. Il “Gladbach” è costretto a emigra-re in quel di Düsseldorf, ma non ne risente contro una Juve rimaneggiata poiché, oltre al previsto stop di Causio, squalificato, arri-va il forfait di Capello all’ultimo. Curiosa-mente, la notizia viene portata alla stampa da un tifoso, che lo viene a sapere proprio dallo stesso centrocampista goriziano, che ha un ginocchio gonfio per una botta presa a Como. Le assenze si fanno sentire e così, dopo un avvio discreto della Juve arriva il gol tedesco, con Heynckes che anticipa Spi-nosi e devia nella porta di un sorpreso Zoff. Altri dieci minuti e un lancio di Wittkamp viene arpionato da Simonsen che triangola con Heynckes e fa il 2-0. Nonostante il dop-pio svantaggio, c’è ottimismo per il ritorno a Torino con il rientro degli assenti. Non han-no torto, visto che con Gori (dopo tiro di Scirea ribattuto da Vogts) e Bettega (ancora sgroppata di Scirea e velo di Gori) ristabi-liscono la parità. Al 69’ però, un’incertezza di Zoff permette a Danner di segnare il gol decisivo. La rete di Simonsen a fine parti-ta è la ciliegina sulla torta del Borussia. Più controverso il confronto tra Derby e Real. In Inghilterra, il Derby ottiene due rigori e al Real viene annullato un gol regolare dal famoso Tofik Bakramov, il guardalinee di Inghilterra ’66 che concesse il gol fantasma di Hurst nella finale mondiale. «Non mi piace parlare di arbitri – ebbe a dichiarare Breitner – ma oggi l’arbitraggio ha rovinato il lavoro di un anno, ora capisco come si sentivano i giocatori del Leeds nella finale di Parigi.» Per sua fortuna, il Real al Bernabeu pareggia i conti a cinque minu-ti dalla fine e trova il gol qualificazione nei supplementari con Santillana. Peccato che il rigore del 4-1 di Pirri per fallo su Aman-cio non ci sia. Polemiche, ma anche onestà. David McKay, mister del Derby dichiara: “Il Real è stato penalizzato a Derby, noi siamo stati penalizzati qui e fa più male perché è successo a un passo dal traguardo.” Gli fa eco il suo collega madridista, Miljanic: “Sicura-mente non era rigore, ma questo sfortuna-tamente è il calcio.” Gli ottavi vedono il Ba-yern soffrire a Malmö, dove perdono 1-0 e ribaltare il punteggio con un 2-0 casalingo, l’Ujpest rimonta il 2-5 in casa del Benfica, va sul 3-0, ma Nené realizza il gol decisivo per il lusitani. Facili le qualificazioni di Saint-

Étienne, Hajduk e PSV. Sono proprio queste ultime due a scontrarsi in un entusiasmante quarto, con gli jugoslavi che vincono 2-0 in casa, ma sono eliminati dal gol del 3-0 olan-dese di van der Kuylen, ai supplementari. Identico l’andamento tra la Dinamo Kiev di Blokhin e Lobanovsky e il Saint-Étienne e in questo caso sono i francesi a passare. Guidati in panchina dal giovane Hervé Re-velli, trovano il gol qualificazione a opera di Rocheteau, giocatore di punta della squadra a soli 21 anni.A Düsseldorf, si gioca un quarto di presti-gio tra Borussia e Real. I tedeschi prendono due gol di vantaggio con Jensen e Wittkamp, ma nelle file Merengues emerge l’ex di turno, Netzer. Martinez di testa e Pirri dalla distan-za permettono al Real di rimontare. Al ritor-no, Heynckes porta avanti di nuovo i suoi, ma un’incornata di Santillana su cross di Amancio dà la qualificazione al Madrid gra-zie ai gol fuori casa. Non c’è solo Rocheteau, anche il Bayern ha un ventunenne emergen-te in attacco: è Karl-Heinz Rummenigge che, dopo i gol all’esordio contro la non irresisti-bile Jeunesse D’Esch, trova la rete anche nel 5-1 con cui il Bayern estromette il Benfica. Real-Bayern e PSV-Saint Étienne sono dun-que le semifinali. I francesi vincono l’andata in casa grazie a una punizione di Larqué, il PSV (con in formazione Portvliet e i gemelli van de Kerkhof) pensa di poter andare facil-mente a Glasgow, ma le parate di Curkovic ci mandano invece i biancoverdi. Lì trova-no nuovamente il Bayern, che in Bundesliga continua a cedere il passo al Borussia, ma in Europa resta al top. Col Real va subito sotto per merito di Roberto Martinez, ma trova il pari grazie a “Der Bomber”, Gerd Müller. Senza l’ex Breitner e Pirri, il Real attacca ma non trova il gol. A Monaco, Müller realiz-za due gol nel primo tempo, raggiungendo quota 50 e il Bayern va in finale per la terza volta di fila. Ad Hampden Park, i tedeschi hanno la grossa fortuna di trovare Roche-teau, infortunato, a languire in panchina. Il Verts sono seguiti da 30.000 tifosi e trova-no la traversa con Bathenay dai venti metri. Anche Santini colpisce la stessa traversa con un colpo di testa, cinque minuti dopo. Non sembra serata per i campioni di Francia, an-che se Curkovic salva su Rummenigge e an-ticipa all’ultimo Müller. Il gol-vittoria arriva a inizio ripresa, con una punizione dal limite di Roth che si infila all’angolino basso.Herbin gioca la carta Rocheteau nel finale, ma la mossa non cambia il risultato e Be-ckenbauer alza la coppa per la terza volta consecutiva, dimostrando come non sia fa-cile in Europa avere la meglio sui bavaresi, nonostante una certa dose di fortuna nelle tre finali. Per i Verts¸ che hanno portato una francese in finale 17 anni dopo il Reims, svanisce il sogno di diventare la prima squadra transalpina a conquistare il trofeo.

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1975-1976SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI

LA LEGGEBAVARESE

L’NIENTE DA FARE, IL SOGNO DEL SAINT ÉTIENNE SI SPEZZA ALCOSPETTO DEL BAyERN MONACO DELL’INOSSIDABILE BECKENBAUER

di Gabriele PORRI

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LA FORZA DEL KAISERBeckenbauer porta

il Bayern ad un altro grande

trionfo...

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SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1975-1976

SAINT ETIENNE-PSV EINDHOVEN 1-0 (1-0)

Mercoledì 31 marzo 1976, ore 20:30SAINT-ETIENNE (Stadio "Geoffroy Guichard")Arbitro: Alfred DELCOURT (BEL)Spettatori: 38.676

SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Gerard JAN-VION, Gerard FARISON, Osvaldo PIAZZA, Chri-stian LOPEZ, Dominique BATHENAy [84' Pierre REPELLINI], Dominique ROCHETEAU, Jean Mi-chel LARQUÉ (cap.), Hervé REVELLI, Christian SyNAEGHEL, Patrick REVELLICommissario tecnico: Robert HERBIN.

PSV EINDHOVEN: Jan VAN BEVEREN (cap.), Gerrie DEIJKERS, Peter DAHLQVIST [46' Henricus LUBSE], Ralf EDSTRÖM, Jan POORTVLIET [84' Nicholas DEACy], Huub STEVENS, Reiner VAN DE KERKHOF, Willhelmus VAN DE KERKHOF, Adrianus VAN KRAAy, Kees KRIJGH, Willhelmus VAN DER KUyLENCommissario tecnico: Cornelis RIJVERS.

Rete: 15' Jean Michel LARQUÉ.

Ammonito: 5' Adrianus VAN KRAAy.

REAL MADRID-BAYERN MONACO 1-1 (1-1)

Mercoledì 31 marzo 1976, ore 21MADRID (Stadio "Santiago Bernabeu")Arbitro: Erich LINEMAyR (AUT)Spettatori: 111.000

REAL MADRID: MIGUEL ANGEL, Juan Cruz SOL, José Antonio CAMACHO, Vicente DEL BOSQUE, Gregorio BENITO, Benito RUBIÑAN, AMANCIO (cap.), Manuel VELAZQUEZ [36' Alberto VITO-RIA], SANTILLANA, Günter NETZER, Roberto MARTINEZ [60' Carlos Alfredo GUERINI]Commissario tecnico: Miljan MILJANIC.

BAYERN MONACO: Josef MAIER, Johnny HANSEN, Udo HORSMANN, Georg SCHWAR-ZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Karl Heinz RUMMENIGGE, Bernd DÜRNBERGER, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOE-NESS, Hans-Josef KAPELLMANNCommissario tecnico: Dettmar CRAMER.

Reti: 8' Roberto MARTINEZ, 43' Gerhard MÜL-LER.

BAYERN MONACO-SAINT ETIENNE 1-0 (0-0)

Mercoledì 12 maggio 1976, ore 20:15GLASGOW (Stadio "Hampden Park")Arbitro: Karoly PALOTAI (HUN)Spettatori: 54.670

BAYERN MONACO: Josef MAIER, Johnny HANSEN, Udo HORSMANN, Georg SCHWAR-ZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Karl Heinz RUMMENIGGE, Bernd DÜRNBERGER, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOE-NESS, Hans-Josef KAPELLMANNCommissario tecnico: Dettmar CRAMER.

SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Gerard JANVION, Pierre REPELLINI, Christian LOPEZ, Osvaldo PIAZZA, Dominique BATHENAy, Patrick REVELLI, Jean Michel LARQUÉ (cap.), Hervé RE-VELLI, Jacques SANTINI, Christian SARRAMA-GNA [83' Dominique ROCHETEAU]Commissario tecnico: Robert HERBIN.

Rete: 57' Franz ROTH.

PSV EINDHOVEN-SAINT ETIENNE 0-0

Mercoledì 14 aprile 1976, ore 20EINDHOVEN (Stadio "Philips")Arbitro: John Keith TAyLOR (ENG)Spettatori: 20.000

PSV EINDHOVEN: Jan VAN BEVEREN (cap.), Ger-rie DEIJKERS, Huub STEVENS, Ralf EDSTRÖM [46' Nicholas DEACy], Jan POORTVLIET, Henri-cus LUBSE [65' Peter DAHLQVIST], Reiner VAN DE KERKHOF, Willhelmus VAN DE KERKHOF, Adrianus VAN KRAAy, Kees KRIJGH, Willhelmus VAN DER KUyLENCommissario tecnico: Cornelis RIJVERS.

SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Gerard JAN-VION, Gerard FARISON, Osvaldo PIAZZA, Chri-stian LOPEZ, Dominique BATHENAy, Dominique ROCHETEAU [55' Christian SARRAMAGNA], Jean Michel LARQUÉ (cap.), Hervé REVELLI, Chri-stian SyNAEGHEL, Patrick REVELLI [80' Jacques SANTINI]Commissario tecnico: Robert HERBIN.

BAYERN MONACO-REAL MADRID 2-0 (2-0)

Mercoledì 14 aprile 1976, ore 20MONACO (Stadio "Olympia")Arbitro: Clive THOMAS (WAL)Spettatori: 78.000

BAYERN MONACO: Josef MAIER, Johnny HANSEN, Udo HORSMANN, Georg SCHWAR-ZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Karl Heinz RUMMENIGGE, Bernd DÜRNBERGER, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOE-NESS, Hans-Josef KAPELLMANNCommissario tecnico: Dettmar CRAMER.

REAL MADRID: MIGUEL ANGEL, Juan Cruz SOL, José Antonio CAMACHO, PIRRI (cap.), Gre-gorio BENITO, Vicente DEL BOSQUE, AMANCIO (cap.), Paul BREITNER, SANTILLANA [61' José Luis LOPEZ], Günter NETZER, Carlos Alfredo GUERINICommissario tecnico: Miljan MILJANIC.

Reti: 9' e 31' Gerhard MÜLLER.

Ammonito: 60' AMANCIO.

Espulso: 90'+1 AMANCIO per doppia ammonizio-ne.

SEMIFINALE 1 SEMIFINALE 2 FINALE

Franz BeckenBauer

karl-Heinz rummenigge

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ACCADDE A/L'IMPRESA DEL PARMA

imentichiamoci per un attimo di tutte le disavventure di que-ste ultime settimane, dai beni pignorati alle partite saltate, dalla girandola di

presidenti alla prospettiva di un futu-ro che se va bene si chiama Serie B, per spostare indietro le lancette della storia di 20 anni. Un periodo in cui il Parma era la regina delle provincia-li del nostro calcio, espressione di una città ai primissimi posti nelle classifiche per qualità della vita, con alle spalle un colosso industriale (la Parmalat) pron-to a foraggiarne i sogni di gloria con poderosi investimenti. Tanto esaltante quanto effimera, la grande epopea dei ducali ebbe come palcoscenico quegli anni '90 in cui, almeno nel calcio, tut-to sembrava possibile. il vivaio italiano produceva talenti a getto continuo, la Serie A, non a caso definita “il campio-nato più bello del mondo”, era l'approdo ideale per i più grandi assi stranieri, che proprio qui da noi avrebbero raggiunto l'apice della maturazione. E poi l'Euro-pa, con le sue competizioni divenute ter-ra di conquista per i nostri club. Uno de-gli esempi più emblematici fu proprio la Coppa UEFA del 1994/95. Un'edizione che, per blasone e qualità, non aveva nulla da invidiare alla Champions Lea-gue attuale. Vi presero infatti parte Real Madrid, Juventus, Borussia Dortmund, Blackburn Rovers e Nantes, compagini che, proprio in quella stagione, avreb-bero conquistato il titolo nazionale in Spagna, italia, Germania, inghilterra e Francia rispettivamente. E poi ecco il Parma, la mina vagante più temuta d'Europa, che già nel 1992/93 aveva festeggiato il successo in Coppa delle Coppe per poi strappare la Supercop-pa Europea dalle grinfie del Milan degli “Invincibili” con una maestosa dimostra-zione di calcio-spettacolo a San Siro.

UNA COPPA FATTA IN CASANon poteva che essere dunque tra Juventus e Parma la finale della 24ª Coppa UEFA. La grande tradizione sabauda contro la novità dei ducali, una sfida infinita che quell'anno aveva visto le duellanti lottare fino alla fine sia in campionato che in Coppa italia. Fu la Juventus ad imporsi su entrambi i fronti, ma in Europa era diverso. il Par-

Baggio, abile a finalizzare di testa una splendida azione corale. La Juventus, ferita, andò vicina al 2-1 pochi minuti dopo, ma un dubbio fuorigioco di Vialli su sinistro vincente di Moreno Torricelli rese vano ogni sforzo. Nemmeno l'in-gresso in campo della baby stella Alex Del Piero, riuscì a dare lucidità e slancio al forcing juventino. il Parma, che aveva sfruttato al massimo le occasioni create nell'arco dei 180 minuti, chiudeva così in modo trionfale questa indimenticabi-le sfida. La Coppa UEFA era sua, ma entrambe le squadre, quella notte di maggio, avevano meritato gli applausi degli appassionati. La Juve si sarebbe consolata la stagione seguente, vincen-do la prima vera Coppa dei Campioni della sua storia. Tristemente note, inve-ce, le vicende legate a quel Parma, il cui sogno sarebbe naufragato insieme alle manie di grandezza del proprio patron, Calisto Tanzi, protagonista, in-sieme alla Parmalat, del più grande crac finanziario mai registrato in Euro-pa. Migliaia di risparmiatori truffati, i processi, le condanne e lo sconcerto di una piazza esiliata dai più prestigiosi palcoscenici pallonari. Sembrò torna-re un po' di serenità con la gestione di Tommaso Ghirardi, ma era solo un'illu-sione. Un nuovo viaggio nell'angoscia attende ora la regina delle provinciali. Con l'insopportabile sensazione che il peggio debba ancora venire.

Dma, sapientemente impostato secondo il celebre 5-3-2 di Nevio Scala, era una squadra compatta e sicura di sé. In porta Luca Bucci, estremo difensore agilissimo ed abile con i piedi. Antonio Benarrivo e Alberto Di Chiara frecce sulle fasce, con Lorenzo Minotti, l'ulti-mo grande libero del calcio italiano, a coordinare due gendarmi d'area quali Fernando Couto e Gigi Apolloni. in me-diana ecco la sostanza di Dino Baggio, il grande ex della partita, la generosità di Néstor Sensini e le geometrie di Ga-briele Pin. E poi l'attacco, con il genio di Gianfranco Zola ad ispirare le folate di Faustino Asprilla. Dall'altra parte, la Ju-ventus di Marcello Lippi, con il tridente Roberto Baggio-Gianluca Vialli-Fabri-zio Ravanelli, un undici sempre pronto ad imporre il proprio gioco dall'alto di un'inappagabile ferocia agonistica. Il 3 maggio 1995, nella gara d'andata al Tardini (all'epoca la finale era struttura-ta sui due incontri), il Parma trovò subito la rete con Dino Baggio, dopodiché la Juventus si svegliò e strinse gli avversa-ri nella propria metacampo. Solo alcuni miracoli di Bucci e la poca lucidità sotto porta degli attaccanti bianconeri impe-dirono un 1-1 che sarebbe stato tutto sommato meritato. Ritorno in program-ma due settimane dopo, il 17 maggio, a Milano. Era stata la Juventus stessa a de-signare San Siro come propria arena in luogo del mai troppo amato Delle Alpi. Altro mercoledì da leoni, dunque, in cui Madama era chiamata a gettare il cuo-re oltre l'ostacolo, al cospetto di un Par-ma che non ne voleva sapere di cedere.

DINO, L'ALTRO BAGGIOPur privi di Apolloni, Pin e Sensini, squa-lificati, gli emiliani potevano contare sul rientrante Massimo Crippa e sul giova-nissimo Stefano Fiore a dare vitalità al centrocampo, oltre che su Massimo Susic in difesa, un onesto gregario poi rivela-tosi tra i migliori. Se l'andata non ave-va deluso le attese, il ritorno fu ancor più esaltante. Vialli aprì le marcature al 35°, con una bomba mancina sotto la traversa, ma la Juve non sfondava. Troppo confuse le sue trame di gioco, troppo ispirato, dall'altra parte, Luca Bucci, che in più di un'occasione chiuse la porta in faccia ai bianconeri. Con pazienza e convinzione, intanto, il Par-ma tirava fuori gli artigli e, al 9° della ripresa, trovava il pari con il solito Dino

di Luca GANDINI ACCADDE AL'IMPRESA DEL PARMA

VITTORIA DEL GRUPPOUn Parma fantastico,un successo epico

PARMALAND, IL DUCATO

DELLE MERAVIGLIEA 20 ANNI DALLA FINALE UEFA TRA PARMA E JUVENTUS. DUE

MERCOLEDì DA LEONI ChE SOLO QUEL CALCIO POTEVA REGALARE foto

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LA fELICITA’ DI TINOAsprilla si gode lagrande vittoria…

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DOVE SONO FINITI/ ROBERTO COLACONE

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DOVE SONO FINITIROBERTO COLACONE

di Stefano BORGI

ChIAMATELO “COLAC-ONE”

IL NUMERO UNO NEL DESTINO: UNA PRESENZA IN SERIE A, UNAIN COPPA DELLE COPPE. E POI LA SCUOLA CALCIO INDIVIDUALE...

CLASSE DI fERROColacone è natonel 1974, l'annodi Del Piero

hi l'avrebbe mai detto? Ro-berto Colacone paragonato a Josè Mourinho. Non certo per la carriera di allenato-re ("Non ci penso nemmeno, e poi non mi vedo su una pan-china - precisa Roberto- Piut-

tosto vorrei fare il dirigente"), né per quella di calciatore. Ricordiamo infatti che il tecnico del triplete nerazzurro giocò a malapena nelle se-rie minori portoghesi, Colacone invece ha toc-cato la Serie A, addirittura ha esordito in Cop-pa delle Coppe. E poi ai tempi di Parma era una delle promesse del calcio italiano. insomma Colacone-Mourinho, tutta colpa di un neologi-smo... lo Special-one. Di un’assonanza fonetica che (guarda caso) fa rima con Colac-One. E allora partiamo proprio da quell'uno finale...

Roberto, una presenza in Serie A, un gettone in Coppa delle Coppe. E poi?"E poi tanta Serie B. Anche in piazze importanti: Foggia, Vicenza, Genoa, Ascoli. Però il treno del grande calcio era passato, ed io non ci sono più salito".

Colpa di qualcuno in particolare?"Nel calcio di adesso avrei fatto di più, non c'è dubbio. Oggi i giovani hanno più possibilità, ci sono le presenze imposte dai regolamenti. È più facile trovare spazio. Ai miei tempi era tosta in ogni serie: addirittura in C1, con la Carrarese, affrontai il Bologna di ulivieri. Diciamo che, ca-ratterialmente, giocavo più per la squadra che per me stesso. Dovevo essere più egoista".

Si spieghi meglio..."Dovevo fare più gol. Come caratteristiche ero una seconda punta, molto tecnica, ma realizzavo poco. Diciamo che potevo ricordare Montella e Del Piero. Certo loro erano dei fuoriclasse, e poi segnavano tantissimo..."

Abbiamo giocato col suffisso "One". Ce le racconta queste due partite?

"La mia unica presenza in Serie A fu col Parma di Scala, il 10 aprile 1994. Era la quart'ultima di campionato e perdemmo 2-0. Entrai al 70' al posto di zoratto, ricordo segnarono Balbo e Fe-sta. La settimana dopo esordii anche in Europa".

Lì invece andò meglio..."Le racconto un aneddoto. Dovevamo giocare la semifinale di ritorno col Benfica, Scala ci raduna e dice: zola ha la febbre, se non ce la fa gioca Roberto. Capito? Roberto ero io, in quel momen-to l'emozione salì a mille. Poi Gianfranco ce la fece, io entrai a partita in corso e giocai 35'. Perdemmo in finale con l'Arsenal, ma resta una grandissima esperienza".

Com'era il Parma di Scala?"Quel Parma giocava un grandissimo calcio. Tat-ticamente era molto avanti, la difesa a tre una delle prime in circolazione. Soprattutto, in quel Parma, c'erano grandi giocatori, uno spogliato-io eccezionale: Asprilla, Melli, Sensini, Benarrivo. Lo stesso zola..."

Dovendo sceglierne uno?"Senza dubbio sceglierei Apolloni. Giocavamo in ruoli diversi, ma Gigi ti dava indicazioni solo con lo sguardo. Tra l'altro l'ho ritrovato come allena-tore a Modena. Al tempo i giovani davano più rispetto, il posto te lo dovevi conquistare. Non come oggi..."

Da quel giorno Roberto Colacone (anzi... Co-lac-One) entra in un frullatore che ricorda il film "Sliding Doors". Occasioni perdute per un niente, trasferimenti sfumati all'ultimo secondo.

Tutto quello che può condizionare (in negati-vo) la carriera di un calciatore..."Allora andare a farsi le ossa era la prassi. Car-rarese, Spal, Foggia, Lucchese... A Lucca feci anche abbastanza bene, giocavo con Stellone. Eravamo entrambi del Parma, riscattarono lui ed io rimasi alla Lucchese in contropartita. Prima oc-casione persa".

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IL NUMERO 17Roberto ha indossato17 casacche diversein carriera...

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SEMPRE IN GIOCOOvunque è stato,ha dato il meglioche poteva...

SI DIVERTE ANCORA OGGI40 anni ma lapassione disempre peril pallone

Alla sua età?"Gioco a calcio a sette nei tornei amatoriali. A Milano c'è un giro eccezionale, con grandi ex-calciatori: recentemente ho giocato con Seedorf, Ganz, Cauet... Addirittura sono stato contattato da Lugano per fare dei tornei. Capirai, sono an-cora giovane, e gliel'ho detto... tecnicamente me la cavo egregiamente".

All'inizio ci ha detto che vorrebbe fare il diri-gente. Si riferiva a qualcosa di preciso?"Sto portando avanti un progetto innovativo. Si chiamerà: "Palestra del calcio", e sarà una scuo-la calcio individuale. Non ci sarà una squadra, al massimo un allenatore per quattro giocato-ri. Con attrezzi che importiamo dall'estero. Ad esempio, avremo delle reti di rimbalzo con l'I-phone che ti conta i palleggi. Faremo un lavoro parallelo con le altre squadre: loro ci mandano i ragazzi due volte la settimana, e noi con loro faremo un lavoro mirato".

Andiamo avanti..."A Como, dal 2000 al 2002. Due promozioni consecutive dalla C alla A. In rosa c'erano già due seconde punte, Oliveira e Carbone, quindi toccò a me andare a Vicenza. La sera stessa Oliveira fu venduto al Catania, ed in Serie A ci andò solo Carbone. Bastava solo qualche ora in più... Stessa cosa ad Ascoli, nel 2005, io e Bucchi segnammo 30 gol in due. Con Giampaolo disputai la mia stagione migliore, giocavamo un gran calcio. Però anche lì... Perdemmo i play-off col Torino per salire in Serie A, così l'Ascoli ci vendette entrambi al Modena. Pochi giorni dopo il Torino fallì e l'Ascoli fu ripescato, ma ormai la cessione al Modena era cosa fatta. Fino alla sta-gione 2008 quando con l'Albinoleffe perdemmo uno storico spareggio con il Lecce. Che dire? In certi casi ci vuole anche fortuna".

Nella sua carriera ha incontrato tantissimi al-lenatori. Uno a caso, Orrico..."Carattere esuberante, di grandissima personali-tà. Con lui, devo dire, andavo d'accordo, anche se non dovevi andargli contro. Se faceva già la famosa "gabbia"? Certo, facevamo gli allena-menti con i parastinchi per rinforzare le gambe.

Siete i primi a tentare un esperimento del ge-nere, ancora una volta torna il Colac-One..."Non ci sarò solo io. Con me ci sarà Davide Cat-taneo ex della Cremonese, e Matteo Lombardo ex della primavera dell'Inter e Cristian zenoni (ex Samp, Juve e Bologna). Poi avremo un avvo-cato sportivo per curare i servizi con le società. Il tutto a Paderno Dugnano. Gireremo con i pul-mini, andremo anche nei centri sportivi a fare gli allenamenti, insomma... ci daremo da fare".

Ultima... Da ex, che pensa della situazione del Parma?"una cosa tristissima. Ora che succede in Serie A, ad una grande come il Parma, tutti ne par-lano. Ma sapesse quante situazioni simili ci sono in Serie B, oppure in C. Per esempio il Monza, il Barletta. Lo dico non tanto per i calciatori, quan-to per i lavoranti: steward, magazzinieri, intere famiglie a rischio. Ci vorrebbero più garanzie, più controllo, ma le regole sono vecchie..."

E poi pressing esasperato, scambi strettissimi... un bel personaggio".

Apriamo il capitolo calcio-scommesse. L'in-chiesta è quella di Cremona, le lasciamo tema libero..."La sensazione più brutta è che non potevi difen-derti. Cioè... anche andare davanti ad un magi-strato a dire le tue ragioni serviva a poco. Sono stato squalificato per due accuse di Gervasoni, un pentito, su due partite partite del 2009. Su una hanno ascoltato la mia versione, sulla seconda non mi hanno neppure sentito. D'accordo col mio av-vocato non ho nemmeno fatto ricorso, inutile per-dere tempo... e soldi. Comunque l'inchiesta è stata chiusa, spero nell’archiviazione".

Passi il calciatore. Ma l'uomo Colacone quanto ha sofferto?"I primi mesi sono stati brutti, qualcuno si è allon-tanato. La famiglia? No, quella mi è stata vicina. Ho una moglie, un figlio di 5 anni, tanti amici sono rimasti. Ora aspetto la riabilitazione, man-ca poco più di un anno (la squalifica in primo grado, di 4 anni, finisce a maggio 2016 ndr.) e comunque continuo a giocare a calcio".

DOVE SONO FINITI/ ROBERTO COLACONE DOVE SONO FINITI/ ROBERTO COLACONE

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MALAGA ChE CAOS…

AL ThANI hA PRIMA PROMESSO MARE E MONTI, PER POI FINIRE NELLE AULE DI TRIBUNALE…

il calcio spagnolo paga (e pagherà) anni vissuti al di sopra delle pro-prie possibilità. Molti ricorderanno gli investimenti del Malaga targato Al Thani, un quadriennio durante il quale è stato imbastito e smontato uno quadrone. il club ha attraversato momenti difficili, è servito l'ingresso di Bluebay - società del settore al-berghiero - per evitare il fallimento. Al momento è in atto una battaglia legale, poiché lo sceicco controlla ancora il 51% della società Nas Spain 2000 SL, creata per salvare il club, a Bluebay il restante 49%. Al Thani cedette 565.861 azioni, adesso Bluebay reclama la propria percentuale del capitale azionario. iniziata a suon di milioni e gran-di acquisti per poi finire nelle aule di tribunale, passando per stipendi non pagati e conti a secco. Questa è stata la parabola del Malaga dello sceicco. Ci auguriamo che il calcio spagnolo non faccia la stessa fine.

di Paolo BARDELLILIGASPAGNA

I dirigenti, che la portano come esempio di bassa pressione fiscale e modello di business da seguire, la Liga presenta alcuni casi preoccupanti. L'economista José María Gay de Liébana già nel 2012 suonava l'allarme: "Il calcio spa-gnolo sta morendo, nel giro di cinque anni i fatti mi daranno ragione". L'Elche sicuramente non se la passa bene, la giunta straordinaria degli azionisti in-detta per fine mese è solo l'ultimo atto di una situazione drammatica, due anni con un bilancio preoccupante, stipen-di non pagati. Vi ricorda qualcosa? I biancoverdi rischiano forte, servono

nuovi investitori altrimenti la società verrà messa in liquidazione. è a rischio la permanenza nel professionismo, a complicare ulteriormente la situazione ci sono le indagini relative al calcio-scommesse, nel mirino la gara contro il Malaga dello scorso anno. Veniamo ora a un'altra squadra sul filo del rasoio, il Getafe. A spiegare le condizioni degli Azulones c'è il curioso caso di Pedro León. La Federcalcio spagnola a inizio stagione, ha imposto al club di non in-serire il giocatore in lista, considerato che il suo ingaggio avrebbe portato a sforare i 17 milioni complessivi previsti come tetto salariale. L'art. 22 del Rego-lamento di Controllo Economico parla chiaro: “È considerato indicativo di una possibile situazione di disequilibrio eco-nomico e finanziario futuro quando la spesa annuale legata alla prima squadra per i giocatori e i tecnici dei club supera il 70% delle entrate”. La LFP non ci va leggera - e fa bene - in casi come que-sto è prevista anche la retrocessione. Il

caso León è comunque stato risolto lo scorso 24 novembre, il giorno in cui il giocatore spegneva 28 candeline. Ad aver bisogno di auguri, oltre a Elche e Getafe, sono numerose squadre di Se-gunda Division, Real Saragozza, Recre-ativo Huelva e Sporting Gijon tra le più inguaiate. La Federcalcio ha bloccato il mercato invernale a tali società come misura cautelare, in attesa che venga-no saldati i debiti. Un tema spinoso è quello riguardante i diritti tv, il governo ha espressamente fatto sapere di vo-ler maggior mutualità tra i club di Liga, sulla falsa riga del modello inglese, al momento Real Madrid e Barcellona in-cassano il 46% degli introiti. Quello in questione è il campionato maggiore con le maggiori disparità di reddito a livel-lo continentale (Serie A seconda classi-ficata), i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli ultimi segnali ci parlano di un calcio spagnolo in leggera ripresa, al-meno per quanto riguarda i ricavi che hanno registrato un incoraggiate +9,4 ma crescono anche i costi (+7,6 %). A preoccupare sono comunque i debiti, il sistema ha rischiato il collasso nel 2013 con un buco da 750 milioni e società appese al filo. Si pensi al Valencia. I debiti sono in calo ma gravano anco-ra sul sistema, stando ai dati di pochi mesi fa l'arretrato dei club nei confronti del fisco ammontava a ben 500 milioni di euro. Real e Barça hanno la forza per restare a galla, grazie ad introi-ti e ad un peso politico che garantisce lo status di "intoccabili", ma neppure i blaugrana possono permettersi di ab-bassare troppo la guardia considerato il reato di evasione fiscale riconosciu-to all'ex presidente Bartomèu. Sotto la lente d’ingrandimento è finito l'acquisto di Neymar, caratterizzato da varie ir-regolarità, si è addirittura parlato di esclusione dalla Liga per il club catala-no, ma questo quadro pare francamen-te improbabile. è evidente però che al luccicare dei trofei non corrispondano conti altrettanto brillanti. Si pensi all'At-letico Madrid, competitivo sul campo ma con un bilancio tutt'altro che sano. Pre-occupa pure l'Espanyol, che ha chiuso in rosso l'esercizio 2013/2014. 134,4 mi-lioni a bilancio ma circa un terzo (43,2 per la precisione) sono da versare ad hacienda. La seconda squadra di Bar-cellona si è accordata con il fisco spa-gnolo per la rateizzazione dei debiti.

LIGA, CONTI IN ROSSOTANTI CLUB SPAGNOLI SONO IN CRISI, LA SITUAzIONEPOTREBBE PRECIPITARE PRESTO…

l calcio italiano ha tanti pro-blemi, spesso - vuoi per un eccesso di esterofilia, vuoi per semplice tafazzismo - ci piace immaginare le realtà

straniere come un paradiso lontano. in queste settimane tiene banco il caso Parma, una storia triste dai contorni quasi grotteschi, vicenda che ci porta a riflessioni sull'ecosistema calcio Italia. Mal comune non sarà mezzo gaudio, vi-sto che sta a noi risanare le paludi del nostro movimento, però in Spagna non se la passano meglio. Spesso conside-rata terra del bengodi da alcuni nostri

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bassa e alle piccole rimangono le bri-ciole. Tanto che quelle troppo picco-le c'è chi nell'èlite del calcio italiano nemmeno ce le vorrebbe – vero Lotito?

in Premier i (tantissimi) denari pagati da Sky e dalle altre emittenti satellita-ri avvicendatesi negli ultimi anni vanno divisi per il 50% in parti uguali, per il 25% in base alle apparizioni televisi-ve (da scegliere secondo l’andamen-to del campionato), mentre il restante 25% dipende dal piazzamento finale in classifica. Un buon incentivo per gio-carsi anche un apparentemente inutile ultima di campionato, per decidere un decimo o un undicesimo posto, verrebbe da dire. Forse si eviterebbero partite sospette – o truccate – come sembra sia accaduto dalle nostre parti. Per i diritti venduti all'estero la torta viene divisa in parti uguali tra tutte e 20 le squa-dre che partecipano al campionato.

Non a caso guardando la classifica dei

PARTITE IN TV

IN INGhILTERRA NON TUTTI I MATCh SONO IN DIRETTA TELEVISIVA…

Un’altra differenza tra l'italia e l'inghilterra sta nel numero di par-tite trasmesse. Così come nel resto d’Europa, anche oltre Manica i fre-quentatori di stadi si sono abituati a dover rinunciare all’orario canonico d’inizio match, il tutto per soddisfare l'appetito degli spettatori televisivi, che di solito cominciano l'abbuffata del week end all’ora di pranzo del sabato. Poi il turno si completa con altri posticipi rarefatti tra il tardo pomeriggio del sabato stesso, la do-menica e la sera del lunedì – anche se il Monday Night non è una regola fissa. Con il nuovo contratto si parla anche di gara da disputarsi il vener-dì sera, una novità assoluta per la Premier. Eppure c’è un dettaglio che forse troppo spesso viene ignorato, sottovalutato o semplicemente omes-so: a fronte di quattro, massimo cin-que partite della Premier trasmesse in diretta televisiva, per vedere tutte le altre non rimane che munirsi di bi-glietto di ingresso allo stadio. Alle 15 di sabato pomeriggio Sky e le altre televisioni britanniche non mandano in onda alcun match di nessuna divi-sione professionistica inglese. Un’al-tra buona ragione per cui gli impian-ti di provincia o delle grandi città sono tutti o quasi pieni, in Premier ma anche nei campionati minori, mentre da noi in tanti appassionati preferi-scono dotarsi di schede e decoder.

di Luca MANESPREMIER LEAGUEINGhILTERRA

“M Sky e BT – la piattaforma di Rupert Murdoch pagherà 4,2 miliardi di poun-ds per 126 match, la British Telecom 960 milioni per i rimanenti 42 incontri. Poi ci sono gli introiti che ogni squadra incassa per la vendita dei diritti all'este-ro. Un fiume di quattrini che ha contri-buito a rendere la massima divisione in-glese se non il campionato più bello del Pianeta, sicuramente quello più seguito.

Merito anche di una più equa distribu-zione del denaro incassato, una delle principali differenze tra la Premier e la Serie A, dove le grandi fanno man

guadagni legati agli introiti televisivi, si nota che tra il team che si laurea cam-pione d'inghilterra e quelli che retroce-dono il divario non è amplissimo. Nel 2013-14 il Manchester City ha incassa-to 96 milioni di sterline, il Cardiff (ulti-mo in classifica) 65. Da noi è stato cal-colato che, nel 2012-13, alla Juventus spettavano quasi 100 milioni di euro, al Pescara circa 20, ma soprattutto che 13 club non superavano i 35 milioni.

Non è un caso, infatti, che per la mag-gioranza dei club inglesi le tre princi-pali fonti di guadagno, ovvero tv, bi-glietti e merchandising, sono alquanto bilanciate, mentre in italia i club – so-prattutto le big – dipendono in maniera sproporzionata dalle entrate derivanti dai diritti televisivi. Non ci vuole un ge-nio per capire che così le società sono meno soggette agli sbalzi d’umore del mercato. Nello sfruttamento del mer-chandising, poi, il calcio d’oltre Manica è sempre stato all’avanguardia, oc-cupando subito le consistenti fette del mercato asiatico – dove la Premier può contare su milioni di appassionati. Noi siamo rimasti fin troppo indietro e non basta spostare a Doha la Super Cop-pa italiana per risolvere il problema.

Se provassimo a copiare un sistema del genere forse potremmo garantire mag-giore dignità e sostenibilità economica alle “piccole” tanto bistrattate da Lotito. Avremmo un campionato più competiti-vo e, forse, più equilibrato. Ma sicuri che sulla questione della spartizione dei di-ritti TV non siano anche altri a non vole-re l'introduzione del “modello inglese”?

MODELLO VINCENTELA PREMIER LEAGUE è FLORIDA, MERITO DI STRATEGIEPENSATE PER FAR CONTENTI TUTTI…

oney makes the world go round”. i soldi fanno gira-re il mondo, cantava Liza Minelli. Lo sanno bene gli spin doctor della Premier

League, che ormai a cadenza triennale portano a casa contratti televisivi sem-pre più ricchi. L'ultimo, siglato lo scorso febbraio, è relativo al periodo 2016-2019 e ammonta a 5,13 miliardi di sterline (oltre 7 miliardi di euro), circa 2 miliardi in più rispetto al precedente. E stiamo parlando solo dei diritti per trasmettere in esclusiva 168 partite nel territorio del Regno Unito acquistati da

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STRATEGIE VINCENTIIn Inghilterra

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prime quattro posizioni, che valgono un piazzamento in Champions League. Gli avversari principali, esclusi Bayern Monaco e Wolfsburg, hanno il nome di Bayer Leverkusen e Borussia Monchen-gladbach. Avversari a parte, c'è comun-que parziale soddisfazione per quanto Roberto è riuscito a fare sino a questo momento alla guida di Draxler e com-pagni. il rendimento in campionato ha mostrato una squadra più forte tra le mura amiche che fuori casa, dove come unico risultato di rilievo è arrivato il pa-reggio (nel girone di andata) all'Allianz Arena contro la corazzata guidata da Guardiola. Un’alternanza di prestazio-

le ultime partite, compresa la sfida di Champions col Real Madrid (incredibile vittoria per 4-3 e qualificazione sfio-rata dopo lo 0-2 dell’andata in terra tedesca), è stato lanciato il giovane ta-lento classe 1996 Leroy Sané. A centro-campo, sugli esterni, si è puntato spesso su Christian Fuchs a sinistra e lo svizzero Tranquillo Barnetta a destra. Ha comun-que trovato il suo spazio, nonostante si trovi meglio in una difesa a 4, il giap-ponese Uchida. Centralmente hanno invece impressionato le prestazioni del giovane Max Meyer: 19 anni, contrat-to sino al giugno del 2018, il ragazzo di Oberhausen nasce come trequartista ma (può essere adattato anche come esterno viste le caratteristiche fisiche, 173 cm di altezza), complice la pre-senza dell'inesauribile Marco Hoger, ha trovato la sua dimensione anche come regista. Meyer è inoltre molto abile in fase di conclusione, come dimostrano le cinque reti realizzate in campionato. A garantire protezione al reparto difen-

ni che va additata alla scarsa persona-lità di coloro che dovrebbero fungere da leader (Boateng su tutti) ed alla carta di identità di molti elementi del-la squadra, decisamente giovani (Sanè classe 1996, Goretzka e Meyer 1995, Draxler e Nastasic 1993, Ahyan 1994). A livello di modulo Di Matteo non ha voluto assolutamente adattarsi ai più importanti colleghi europei, che ora-mai optano per un classico 4-2-3-1. Al contrario ha schierato spesso la squa-dra con un innovativo 3-1-4-2. Accanto ad Huntelaar, sempre più cannoniere, è stato piazzato il veloce e guizzante camerunense Choupo Mouting. Nel-

PEP NON SE NE VA

GUARDIOLA-BAYERN MONACO, SEGNALI DI RINNOVO…

Nonostante il diretto interessato con-tinui a non volersi sbilanciare riguar-do quello che sarà il suo futuro dopo il giugno del 2016, in casa Bayern Monaco col passare dei mesi cresce l’ottimismo per il possibile prolunga-mento del contratto del tecnico Pep Guardiola. A far propendere per l’i-potesi della permanenza sono state soprattutto le dichiarazioni del mana-ger spagnolo sul Barcellona: ha infat-ti escluso categoricamente di tornare in Catalogna dopo le nuove elezioni presidenziali. L’unica ipotesi plausibi-le in piedi è quella che lo vorrebbe in Premier League a prendere il posto di Manuel Pellegrini sulla panchina del Manchester City. Supposizioni a parte, a parlare per ultimo, in ordine di tempo, delle sorti di Guardiola è stato l’amministratore delegato dei Campioni di Germania Karl-Heinz Rummenigge: “Pep è stato fondamen-tale per i successi del nostro club in questi anni e penso che resterà con noi anche dopo il 2016. Guardiola e la sua famiglia si trovano bene a Monaco quindi non c'è nulla che mi fa pensare ad un suo addio”. Chi invece certa-mente resterà al Bayern anche una volta appesi gli scarpini al chiodo sarà il capitano Lahm: "Gli ho già det-to in sede di rinnovo che se vuole reste-rà al Bayern con un ruolo dirigenziale".

di Flavio SIRNABUNDESLIGAGERMANIA

ANCORA LUI, DI MATTEOL’Ex ChELSEA STA FACENDO VEDERE DI SAPER ALLENAREDAVVERO. LO SANNO BENE QUELLI DELLO SChALKE…

D allo scorso 7 ottobre la Bundesliga ha nuovamente come protagonista, dopo i successi passati di Giovan-ni Trapattoni sulla panchina

del Bayern Monaco, un altro allenatore italiano. Parliamo dell'ex-Chelsea Ro-berto Di Matteo, chiamato al posto di Jens Keller per cercare di risollevare le sorti del club di Gelsenkirchen, che stava viaggiando nelle zone medio-basse della classifica. Contratto sino al 2017, al tecnico di origine svizzera è stato dato come incarico, perlome-no relativamente alla stagione in cor-so, quello di portare la squadra nelle

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sivo, oltre al citato hoger, c'è Roman Neustadter, che funge come una sorta di Desailly versione Milan di Capello. Davanti a Farhmann, portiere titola-re, costituiscono il trio di centrali l'ex-Fiorentina Nastasic, da poco rilevato a titolo definitivo dal Manchester City, il camerunense Matip e una delle ban-diere della squadra, ossia Benedikt Ho-wedes, allo Schalke dal lontano 2007. Ha trovato spesso spazio, perlomeno ultimamente, al posto di Matip, il gio-vane turco Kaan Ayhan: cresciuto nelle giovanili dello Schalke, possente dal punto di vista fisico (185 cm di altezza), si è fatto preferire per una maggiore adattabilità alla difesa a 3 rispetto a Matip, che si troverebbe probabilmente più a suo agio in un reparto a 4 o come protettore della difesa alla Neustadter. Altri hanno deluso. In primis c'è da se-gnalare la profonda crisi dell'ex-Milan Kevin Prince Boateng: quasi 1.000 mi-nuti giocati sino ad oggi e nessuna rete (la dirigenza tedesca ha sborsato 10 milioni di euro per averlo). Ad inizio anno si pensava che fosse tutta colpa di Keller, che lo aveva posizionato come centrocampista centrale, ruolo mai oc-cupato in carriera. L'avvento di Di Mat-teo ha invece confermato che il gioca-tore sta attraversando una fase calante dalla quale non sembra, almeno attual-mente, in grado di potersi risollevare. Deludente anche il rendimento dell'ex-Leverkusen Sydney Sam, che avrebbe dovuto essere sulla carta uno dei fiori all'occhiello della scorsa campagna acquisti estiva (costo del suo cartellino quasi 3 milioni di euro). Fermati invece dagli infortuni la stella Julian Draxler (lacerazione parziale al tendine dallo scorso ottobre) e colui che viene con-siderato il suo erede (Julian potrebbe finire all’Arsenal), ovvero Leon Goret-zka: dopo lo strappo alle fasce mu-scolari che lo ha tenuto fuori dai giochi sino a febbraio, adesso il ragazzo sta cercando di recuperare e di ritrovare la migliore condizione: al momento del suo rientro dovrà però fare i conti con Max Meyer. La situazione appena de-scritta fa presagire che se all'inizio del-la prossima stagione, la 2015-2016, nessuno di questi elementi, siano essi titolari o riserve, dovesse abbandonare la Veltins Arena, ci saranno oggettiva-mente tutte le condizioni per Di Matteo, a prescindere dal raggiungimento del

quarto posto e del relativo approdo in Champions League, di poter diventare, insieme al Borussia Dortmund, la prin-cipale avversaria del Bayer Monaco nella lotta al titolo della Bundesliga…

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JOSEP GUARDIOLA

L'ITALIANO DELLA BUNDESRoberto puntaa fare grandi

cose con loSchalke...

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ppena qualche mese fa, proprio su queste pagine, parlavamo del Monaco come di un progetto riavvia-to in maniera attenta e scru-

polosa, che aveva fatto seguito all’era dei Falcao e dei James Rodriguez e, più in generale, dei milioni spesi a cuor leg-gero qua e là.Il russo Dmitrij Rybolovlev, sulla scia del connazionale Abramovich e del ‘vicino’ di casa Al-Khelaifi aveva inizialmente – per lo meno in apparenza – tentato di lanciare in orbita il Monaco seguen-do la politica del sensazionalismo, degli

acquisti portati a termine senza badare a spese e della reazione a catena deri-vante dalla presenza di stelle in organi-co che, solitamente, non fanno altro che attirare altre stelle.Poi il cambio di rotta che, secondo molti, è figlio anche del ‘divorzio del secolo’, come è stato ribattezzato dal quotidiano svizzero ‘Le Temps’ quello tra Rybolovlev e l’ex moglie Elena. Più di 3 miliardi di euro la cifra che il magnate russo ha do-vuto versare alla sua ex signora, vale a dire la metà del suo intero patrimonio. Da lì il ridimensionamento del club che però, a conti fatti, è stato solo parziale.

dosi agli ottavi di finale come testa di serie. Stavolta, però, i sorteggi non sono stati benevoli con Berbatov e compagni, chiamati a sfidare la migliore dell’urna ‘delle seconde’, vale a dire l’Arsenal. Un inatteso 1-3 all’Emirates è valso una buona fetta di qualificazione, difesa – si fa per dire – in occasione del match di ritorno, perso in casa per 0-2. A poco sono servite le lamentele di Wenger in merito al regolamento: i goal fuori casa, per ora, valgono ancora ‘doppio’ e tanto basta al Monaco per accede-re ai quarti di finale. Adesso la strada del club del Principato si incrocerà con quella della Juventus di Allegri, da mol-ti data per favorita. E, in effetti, sem-brerebbe proprio così. Attenzione però all’aspetto mentale: i bianconeri, giocan-do col favore del pronostico, hanno tutto da perdere, i francesi – al contrario – giocheranno senza assilli, proprio come a Londra. La Champions 2014-2015 ha fin qui sorriso ai club francesi: ben due di essi infatti, PSG e appunto Mona-co, hanno conquistato l’accesso alla Fi-nal Eight. Soltanto la Liga (con 3) è più rappresentata della Ligue 1. Il Monaco, peraltro, è proprio l’ultimo club france-se ad aver partecipato alla finale di Champions, persa a Gelsenkirchen con-tro il Porto. Anche quell’anno la squadra all’epoca guidata da Didier Deschamps colse tutti di sorpresa, eliminando prima il Real Madrid e poi il Chelsea. Le ana-logie tra il Monaco di allora e quello di oggi non sono molte, ma le coincidenze piacciono anche in terra transalpina e qualcuno sogna già di volare a Berli-no, sede – nuovamente tedesca – che quest’anno ospiterà la finale. “Se la Juve ha Pogba, il Monaco ha kondogbia”, è stato il ritornello che con maggior fre-quenza ha presenziato sul web nelle ore immediatamente successive al sorteggio. in realtà, la Juventus non avrà Pogba per via del noto problema fisico, ma ad ogni modo il vero punto di forza di questo Monaco sembra non essere Kon-dogbia, bensì Anthony Martial. Per molti è il nuovo henry, paragone sicuramente azzardato, ma non certo inadeguato. Capace di ricoprire tutti i ruoli sul fronte offensivo, Martial – classe 95 - è stato l’assoluta rivelazione della squadra ed è pronto a dire la sua anche nella fase calda della stagione. Di Berbatov par-leremo a parte… Poi c’è Ferreira Car-rasco, invece, che è la ‘variabile pazza’,

ANCORA BERBATOV

DOVEVA GIOCARE A FIREN-zE, ORA SARà AVVERSARIO DELLA JUVE DI ALLEGRI…

Pericolo numero 1 del Monaco ri-mane tuttavia Berbatov, vicinissimo all’italia nell’estate del 2012 quan-do, conteso tra Fiorentina e Juven-tus, decise a sorpresa di firmare col Fulham, stufo dei dispetti vicendevoli tra i due club italiani. Adesso il bul-garo, 34 anni sulla carta d’identità, è il faro del gioco offensivo di Jar-dim. Sbarcato al Monaco nel genna-io del 2014 (dal Fulham, per sostitu-ire l’infortunato Falcao), l’ex United ha convinto tutti. Nove i gol lo scorso anno, con tanto di rinnovo di un anno. Quest’anno siamo già a otto reti e l’idea è di far male alla miglior di-fesa europea, quella della Juve…

di Renato MAISANILIGUE 1FRANCIA

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L’ABITO NON FA IL MONACOPRIMA C’ERANO I SOLDI MA NON I RISULTATI, ORA TUTTOVA PER IL VERSO GIUSTO…

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imprevedibile. Fenomenale nell’uno con-tro uno, alterna numeri da fenomeno a partite anonime: perderlo di vista, però, può sempre costare caro.Nonostante non disponga certo di un reparto offensivo ‘spuntato’, il vero punto di forza del Mo-naco è il reparto difensivo. Tra i pali, sufficienti sono le garanzie offerte da Subasic (l’affidabile Stekelenburg ne è infatti soltanto il vice), in difesa, pur non essendo presenti degli autentici ‘Top Pla-yer’, l’esperienza di Carvalho unita alle qualità indiscusse di Fabinho e Kurzawa fa il resto. Kondogbia, Toulalan e Mou-tinho, infine, danno qualità ed equilibrio ad una linea mediana senza particola-ri punti deboli. insomma, se nel cielo di Montecarlo non brillano più le stelle di Falcao e James Rodriguez, sul campo del Louis II le stelle non mancano di certo.

Anzi, per molti non ha rappresentato al-tro che il punto di partenza di una nuova rinascita. Mediante una gestione oculata ed un perfetto mix tra giovani talenti e cal-ciatori d’esperienza, la squadra adesso guidata dal portoghese Leonardo Jar-dim è riuscita ad arrivare laddove non era mai riuscita a fare nelle ultime die-ci stagioni, vale a dire a conquistare la partecipazione alla Champions League. Già, perché dalla finalissima persa con il Porto di Mourinho nel 2004, i mone-gaschi non erano più riusciti a centrare la qualificazione alla massima competi-zione europea per club, ritrovata soltan-to al termine della scorsa stagione con il 2° posto in classifica conquistato alle spalle del PSG. Poi, la favola. il Monaco, presentatosi ai nastri di partenza come la squadra col punteggio più basso nel ranking europeo ed aiutato anche da un girone non certo impossibile, ha vinto il Gruppo C avendo la meglio su Bayer Leverkusen, zenit e Benfica, presentan-

SORPRESA ASSOLUTAIl Monaco stadimostrandodi essere untop team...

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Dimităr BerBatov

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JARDIM LEONARDO foto

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di Thomas SACCANI

l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccon-tare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. i tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

IL CALCIO DEI TIFOSII

ATALANTA-Udinese SERIE A 15.03.2015

Roma-FIORENTINA EUROPA LEAGUE 19.03.2015

PhOTOGALLERY

IL TIFO RACCONTA

PhOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

BORUSSIA DORTMUND-Juventus ChAMPIONS LEAGUE 18.03.2015

LAzIO-hellas Verona SERIE A 22.03.2015

ROMA-Sampdoria SERIE A 16.03.2015

TORINO-Zenit San Pietroburgo EUROPA LEAGUE 19.03.2015

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PhOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTAPhOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

Sampdoria-INTER SERIE A 22.03.2015

MILAN-Cagliari SERIE A 21.03.2015

Lazio-hELLAS VERONA SERIE A 22.03.2015

Juventus-GENOA SERIE A 22.03.2015

SAMPDORIA-inter SERIE A 22.03.2015

JUVENTUS-Genoa SERIE A 22.03.2015

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Avendo rescisso con il Parma, il

campione barese si dedica ad una

bella vacanzaalle Maldive.

Qui ritratto dalla moglie Carolina con Jack Daniel

www.carlettoweb.com

Appena dato in prestito al Perugia, l'ex difensore della Fiorentina approfitta della pausa del campionato di serie B, per tornare a Firenze e regalarci un bellissimo scorcio dell'Arno

La forte ala della Roma

in un belritratto...allupato

Vecchia conoscenza del calcio italiano, l'attaccante brasiliano exMilan ci regala un'immagineinedita deglispogliatoibrasiliani

Gli artefici deidue gol allaRoma nella

trasferta vittoriosadella Sampdoria

all'Olimpico. il difensore romano

e tifoso lazialeDe Silvestri e

l'attaccante Muriel

i tifosi dell'inter si aspettano tantissimo dal suo arrivo, al momento, tranne qualche piccolo lampo di classe, non si può dire chestia facendola differenza

Molto attivosui social, il

centrocampistacolombiano

dell'interci regala

uno scatto...elegante!

Accoppiata vincente quella formata da Vieri e Bettarini.Entrambi hanno scelto di trascorrere gran parte dell'anno a Miami... Come contraddirli...

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb

CASSANO HEGAZY

DE SILVESTRI PODOLSKI

GERVINHO ROBINHO

GUARIN VIERI

scovate da CARLETT

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