Calcio 2000 n.210

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foto Blandino Esclusiva Sergio PELLISSIER Esclusiva Claudio VIGORELLI Speciale COPA AMERICA I Giganti del Calcio Pino WILSON IL SIMBOLO DEL CHIEVO UN PROCURATORE DOC MESSI VS SUD AMERICA IL LIBERO DELLO SCUDETTO Mensile | GIUGNO 2015 | N. 210 | Italia | Euro 3,90 SPECIALE PARARIGORI - CHI LI SA PARARE E CHI LI SA SEGNARE NAZIONALE - AZZURRI PER UNA SOLA VOLTA IN CARRIERA… ESCLUSIVA Franco VÁZQUEZ PARLA IL MUDO EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM COPA AMERICA Calcio 2 OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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ESCLUSIVAFranco VÁZQUEZ

PARLA IL MUDO

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il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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i risiamo, nuovamente a discutere su argomenti che, a mio avviso, hanno poca sostanza e solo tanta letteratura. Capitolo oriundi, ancora una volta… Lo sapete, io sono un patriota vero, di quelli che si augurano di vedere sempre più italiani nelle rose delle nostre squadre ma, sul

versante oriundi, serve una precisazione e una forte distinzione. Il rapporto tra l’Italia e gli oriundi è una storia con un più di 100 anni di vita. Mosso, Porta, Lojacono, fino ai più noti Sivori o Camoranesi, la lista è infinita. Giusto o sbagliato ricorrere a giocatori non al 100% Made in Italy? La risposta sta in un que-sito: questi giocatori hanno dei seri motivi per sentirsi italiani a tutti gli effetti? Prendiamo Vasquez, la nostra cover… È argen-tino? Certo ma anche italiano, visto che la mamma è padovana. Dargli la possibilità di scegliere quale Paese, calcisticamente parlando, voglia difendere è corretto, così come è da rispet-tare la sua scelta (per fortuna azzurra). Ovvio, qualcuno se ne approfitta, fa parte del gioco. E non si dica che troppi oriundi li-mitano le possibilità di emergere degli “altri”… Bestialità, come dice Mazzone, “… se uno è bravo, alla fine gioca sempre”. E poi, signori, la nostra storia ci ricorda che siamo viaggiatori, conqui-statori, gente che ha sempre preparato le valigie per scoprire il mondo. Sarebbe stupido diventare, di colpo, intolleranti verso chi ha ancora sangue italiano nelle vene. Sfogo a parte, ben ve-nuti a questo numero dai tratti tipicamente sudamericani. Album ufficiale Copa America, griffato Panini, in allegato e uno spe-ciale dedicato ad un torneo che, personalmente, mi affascina da sempre. Sono davvero curioso di vedere se, finalmente, Mes-si riuscirà a zittire tutti coloro che lo reputano decisivo solo in maglia blaugrana. Vi esorto a non perdervi la bella intervista a Pino Wilson, un simbolo che merita tutta la nostra attenzione. Prima dei saluti, digito ancora sui tasti per rispondere ai tanti che mi hanno chiesto (o attaccato) per la questione “Pallotta-Ultras”. Ribadisco il mio pensiero: il calcio è cambiato in campo e deve cambiare anche fuori dal campo. Per un certo tipo di tifo, basato più sull’insultare che sul sostenere, non c’è più spazio o, meglio, non ci dovrebbe essere più spazio. Pallotta sarà pure americano e abituato alla cultura sportiva statunitense, ma ha centrato il problema: fuori dagli stadi coloro che non possono più far parte di questo calcio…

“Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli o periremo insieme come stolti”

L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

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Calcio2OOOAnnO 19 n. 6 GIUGnO 2015

ISSN 1126-1056

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione

al n. 18246

EDITORETC&C srl

Strada Setteponti Levante 11452028 Terranuova Bracciolini (AR)

Tel +39 055 9172741Fax +39 055 9170872

DIRETTORE RESPONSABILEMichele Criscitiello

DIRETTO DAFABRIzIO PONCIROLI

REDAzIONEMarco Conterio, Luca Bargellini,

Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro,Chiara Biondini, Simone Bernabei,Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini,

Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.

HANNO COLLABORATOSergio Stanco, Alessio Alaimo,

Francesco Scabar, Alessandro Cosattini,Simone Toninato, Gabriele Porri,

Luca Gandini, Stefano Borgi, Paolo Bardelli,Luca Manes,

Flavio Sirna, Renato Maisani,Carletto RTL, Thomas Saccani.

FOTOGRAFIE Image Photo Agency (imagephotoa-gency.it), Federico De Luca, Federico Gaetano, Vincenzo Blandino, Agenzia

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STATISTICHE Redazione Calcio2000

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SOMMARIO N.2106 LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli

8 INTERVISTA ESCLuSIVA FRAnCO VázqUEz di Alessio Alaimo

20 INTERVISTA ESCLuSIVA SERGIO PELLISSIER di Sergio Stanco

30 SPECIALE ITALIA AzzURRI PER 1 GIORnO di Fabrizio Ponciroli

36 SPECIALE BOMBER PROFESSIOnE PORTIERE di Francesco Scabar

42 SPECIALE COPA AMERICA di Fabrizio Ponciroli

50 SERIE B - VIRTUS EnTELLA di Tommaso Maschio

52 LEGA PRO - nOVARA di Alessandro Cosattini

54 SERIE D - MOnOPOLI di Simone Toninato

56 I RE DEL MERCATO CLAUDIO VIGORELLI di Marco Conterio

66 I GIGANTI DEL CALCIO PInO WILSOn di Lorenzo Di Benedetto 76 STORIA ChAMPIOnS LEAGUE 1976/77 di Gabriele Porri

80 ACCADDE A... RUGGITO ITALIA di Luca Gandini

82 DOVE SONO FINITI? ALESSAnDRO SCAnzIAnI di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI86 SPAGnA di Paolo Bardelli88 InGhILTERRA di Luca Manes90 GERMAnIA di Flavio Sirna92 FRAnCIA di Renato Maisani

94 IL TIFO RACCONTA di Thomas Saccani

98 SCOVATE da CARLETTO RTL

NuMERO CHIuSO IL 28 APRILE 2015IL PROSSIMO NuMERO sarà in edicola il

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LA BOCCA DEL LEONEdi Fabrizio POnCIROLI - foto Image Sport e Federico De Luca

PER SCRIVERCI: [email protected]

KLOPP A nAPOLI?Direttore,ho appena saputo che Klopp lascia il Borussia. Lei come lo vedrebbe al Napoli? Secondo me Benitez ha fatto il suo tempo e se ne dovrebbe andare visto che non ha più saputo fare grande la squadra e ha sbagliato gli uomini su cui puntare. Klopp è bravo e sa far giocare la sua squadra bene. Io penso che sarebbe il tecnico giusto per vincere lo scudetto. Complimenti per il giornale.Maurizio, mail firmata

Allora, andiamoci con calma. Klopp è un allenatore di fascia top e, one-stamente, non credo che l’Italia se lo possa permettere. Parliamo di un tecnico che, lo scorso anno, ha rifiutato 12 milioni di euro lordi dal City, non so se mi spiego… Credo che andrà in Premier League o, se Guardiola dovesse lasciare, non lo vedrei male al Bayern Monaco. E, con tutto il cuore, non condivido la disamina su Benitez. Coppa Italia, Supercoppa italiana, non è che proprio non abbia fatto nulla, o sbaglio? A mio avviso resta uno dei 10 migliori allenatori in circolazione e mi spiacerebbe non vederlo più sulla panchina del Napoli…

FIOREnTInA, nOn CI SIAMOEgregio direttore,sono un suo lettore affezionato da sempre. La seguo sin dagli inizi e non ho mai scritto. Ci provo questa volta perché della mia Fiorentina ne parla sempre troppo poco. Bella l’ultima cover, spe-rando che il Gila inizi anche a giocare e segnare, se no che l’abbiamo comprato a fare? Fiorentina, non ci siamo. Mi pare che Montella, tutte le volte, arrivi vicino all’obiettivo e poi improvvisamen-te si smonta, si affloscia. Non so come mai ma mi pare un limite non da poco per una società che vorrebbe cominciare a vincere. Va bene giocare in maniera gagliarda ma se poi non si vince mai nulla, allora non va bene. Forse è sba-gliato l’allenatore? O sono i giocatori non all’altezza di certi obiettivi? Mi aspetto sempre più Fiorentina nella rivista, mi raccomandoVittorio, mail firmata

Piacere Vittorio. È semplice rispondere ai tuoi dubbi: in pochi vincono, gli altri partecipano. Con una Juventus can-nibale, lo scudetto è andato in tempi brevi. In Coppa Italia, ecco avete tro-vato proprio il cannibale e, in Europa League, nel momento in cui scrivo, tutto

è ancora in gioco. Non possono vincere tutti, tutto qua. Montella è bravissimo e i giocatori sono di qualità. Direi che, come infortuni, non è che siete stati for-tunatissimi negli ultimi anni, no?

VOGLIO FARE IL GIORnALISTADirettore,mi scusi se la disturbo ma ho una passio-ne che vorrei trasformare in un lavoro. Mi piace tantissimo il calcio, seguo tutte le partite e mi piace anche commentarlo. Ho fatto un mio blog ma mi piacerebbe diventare un vero giornalista, di quelli che vanno allo stadio e scrivono i pezzi sul campo, non so se sono stato chiaro. Avrebbe qualche consiglio da darmi? Mi piacerebbe molto veder realizzarsi il mio sogno, ci tengo davvero tanto. Ho 19 anni e ho tanta voglia di fare ma so che non sarà facile. Grazie dell’eventua-le rispostaFilippo, mail firmata

Che bell’entusiasmo, mi fa piacere che ci sia tanta verve in circolazione. Al-lora, i media sono cambiati moltissimo rispetto ai miei tempi. Io ho cominciato lavorando, gratis, per giornali locali, facendomi sempre trovare disponibile e non chiedendo mai nulla. Ho fatto

davvero di tutto, dalla cronaca nera al gossip, prima di scrivere di sport, una delle mie passioni. Comincerei con il propormi a grandi portali, magari non tanto come “esperto di calcio” ma foca-lizzandomi su qualche sport poco se-guito e, di conseguenza, meno coperto. Una volta messo dentro un piede, umiltà, tanta umiltà e ancora umiltà. Ovvio, poi ci sono scuole di giornalismo e altro ma, per assaporare il campo, io farei come ho spiegato… In bocca al lupo e non abbatterti mai.

FLIPPER SUL CALCIODirettore Ponciroli,ho visto su Facebook che è un appassio-nato di flipper. Io giocavo ad un flipper di calcio, mi pare sui Mondiali. Magari lo conosce. Dice che si trova ancora in giro, io nei bar non li vedo ormai più. Qualche volta al mare ma sempre meno. Magari lei ne sa di più…Dario, mail firmata

Beh, appassionato di flipper mi pare eccessivo, diciamo che, come la mag-gior parte delle situazioni vintage (anni ’80 e ’90) mi intrigano molto. Ho chiesto in giro, all’amico Andrea, e mi è stato detto che il flipper a cui ti

riferisci tu è World Cup Soccer, della Bally, realizzato nel 1994 in occasione dei Mondiali di Usa 1994. Si trovano in giro… Questo vale attorno ai 1500 euro, se vuoi anche una quotazione…

BELLO IL SERVIzIO SU FROnTIEREAnnI 80Direttore,finalmente mi ha colpito ed è tornato aggressivo come in passato. Bello il ser-vizio sugli Stranieri del 1980, che flash rivedere certe facce e figurine. Spero che sia uno di tanti e che, prima o poi, torneranno anche le statistiche, così da riavere un giornale completo in tutto e per tutto. Mi faccia gioire ancora, con-siderato che la mia Inter mi fa penare e non poco…Giancarlo, mail firmata

Grazie Giancarlo, sai che, alla fine, cerco sempre di portare a casa gli obiettivi prefissati, come credo farà la tua Inter anche… Guarda ti posso preannunciare che sulle statistiche qualcosa faremo. Intanto, il mese pros-simo, ci sarà un allegato spettacolare, con il Film del Campionato, ovviamente a tinte bianconere. E, presto, parlerà Prohaska, proprio uno di quei leggen-

dari uomini che sbarcarono nel Bel Paese nel lontano 1980…

InzAGhI nOn è Un TECnICODirettore,che ne pensa di Klopp? Io lo vedrei benissimo al Milan dove non capisco perché ci sia ancora Inzaghi. Ma l’han-no capito o no che non ha il carisma per tenere a bada il Milan? Insistono a puntare su questi ex giocatori che hanno fatto la storia del Milan ma è un errore. Bisogna prendere qualcuno fuori dall’ambiente per riscostruire lo stile Milan. Complimenti per la rivista, ma mi aspetto le statistiche.Marco, mail firmata

Klopp andrebbe bene ovunque. Il suo calcio è divertente e noi abbiamo bisogno di tecnici che promuovono il bel gioco ma, comunque, non credo che sceglierà l’Italia o, nello specifico, il Milan. Capitolo Inzaghi. Non penso che la colpa sia solo di Pippo. La rosa non è all’altezza di Milan, manca uno zoccolo duro che capisca il perché di essere parte del Diavolo. Fino a quan-do non ci saranno giocatori di un certo peso, soprattutto mentale, sarà dura tornare grandi…

JURGEN KLOPP VINCENZO MONTELLA FILIPPO INZAGHI

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L’ARTEDEL MUDO

DI POChE PAROLE MA CON TALENTODA VENDERE. ALLA SCOPERTA DI VázQUEz, L’UOMO NUOVO DEL CALCIO ITALIANO…

di Alessio ALAIMO

foto Vincenzo BLANDINO

COPERTInA

FRANCO VázQUEz

COPERTInA / FRANCO VázqUez

CAMPIONE ROSANEROVázquez sta bruciando

le tappe a Palermo

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COPERTInA / FRANCO VázqUez COPERTInA / FRANCO VázqUez

ntidivo. Franco Vázquez non ama le copertine dei gior-nali. Mudo fuori, lo-quace in campo. Il pallone il compagno di viaggio che lo ac-

compagna da una vita. L’Italia nel de-stino, fin dai primi calci al pallone, per gioco, con i suoi fratelli. Perché Franco ha origini italiane, la mamma Marina, è nata a Padova. E così senza riflettere più di tanto, appena ricevuta la convo-cazione da Antonio Conte, ha accettato di vestire la maglia della Nazionale Italiana. Basta poco per dire sì, an-che se sei Mudo. Prima di conquistare l’azzurro, Vázquez ha attraversato un periodo difficile. La sua carriera fin qui è una favola a lieto fine. Nella stagio-ne 2011/2012 lo compra il Palermo, arriva in Sicilia a gennaio 2012 su se-gnalazione dell’ex direttore sportivo Sean Sogliano, che intanto si era già dimesso. I primi mesi sono di ambienta-mento, in panchina c’era Bortolo Mutti, con lui il Palermo quell’anno ottenne il minimo indispensabile: la salvezza. E addio valorizzazione di giovani di bel-

le speranze. Vázquez intanto comincia ad ambientarsi, anche se parla poco. Tra sudamericani però ci s’intende, il Mudo inizia a prendere confidenza con l’ambiente e i giocatori con cui lega di più sono quelli che parlano la sua lingua. Da Ezequiel Muñoz a Nicolas Bertòlo, fino Ignacio Lores Varela e Abel hernández, passando per Aguir-regaray. La stagione 2012/2013 per Vázquez dovrebbe essere quella della consacrazione definitiva. E invece il Pa-lermo preferisce fare altre scelte. Fran-co vola in Spagna, al Rayo Vallecano in prestito. Merito di Fernando Cosentino, che di lì a poco sarebbe diventato il suo procuratore. Al Rayo Vázquez col-leziona diciotto presenze condite da tre gol. Un buon bottino, considerato che è

stato l’acquisto last minute e gli serviva del tempo anche per integrarsi. Poi il ritorno a Palermo. Da protagonista ma-gari per riportare la squadra in Serie B dopo la retrocessione? Macché. In Serie B bisogna fare delle scelte, ci sono le liste e non si può andare oltre. L’alle-natore è Gennaro Gattuso, fosse per lui Vázquez farebbe parte del gruppo. Insieme a Lores, Stevanovic, hernandez e Dybala nelle idee del tecnico, sareb-be potuto diventare un punto di forza. E invece no. zamparini vuole che Struna non perda il posto in lista, così Vázquez deve stare sei mesi fuori. Allenamenti costanti, senza mollare mai un attimo. La sua popolarità era arrivata al mi-nuto. “Non mi parlava neanche mio pa-dre”, confidò in una recente intervista. Era una battuta, perché il papà Oscar è molto legato al figlio. Anche lui, come Franco, timido e introverso. “Piacere, Vázquez”, si presenta il papà in spiag-gia a Mondello mentre accompagna il figlio per la chiacchierata con noi. Ma dall’essere praticamente isolato e cir-condato soltanto dalle persone che gli vogliono bene davvero, a diventare un idolo incontrastato di Palermo il passo

A

TALENTO PURISSIMOA suon di grandi

prestazioni, è diventato

uomo mercato

“”No, NoN mi seNto uN idolo. PeNso a giocare e fare beNe, ho semPre

fatto così

GRAZIE A IACHINIFondamentale la

fiducia del tecnicodel Palermo

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è breve. Arriva gennaio 2013, intanto il Palermo da qualche mese ha esone-rato Gattuso e sulla panchina rosane-ro c’è Iachini. Le liste, con la riapertura del mercato, possono essere rivisitate. Vázquez però dopo sei mesi in ombra vuole andare via, in Argentina ci sono tante squadre pronte a riportarlo a casa. Iachini intanto chiede a Perinetti Nicola Pozzi o Samuele Longo, proprio in sostituzione del Mudo. L’ex diretto-re rosanero suggerisce di recuperare

Franco che, convinto dal suo procurato-re Fernando Cosentino rimane in Sicilia. E il resto è storia recente. Il Mudo non parla molto con la gente, ma lo fa bene con il pallone. E mentre palleggia con il suo compagno di viaggio, si confessa in esclusiva per Calcio2000.

Timido, riservato e di poche parole. Come nasce il soprannome, Mudo?“Parlo poco. Il soprannome me lo diede un compagno al Belgrano, perché non

parlavo molto, proprio come adesso”.

Un salto indietro: come inizia a gioca-re a calcio?“Giocavo a calcetto, con i miei fratelli. Poi sono andato in una squadra di Cor-doba, il Barrio Parque. Da lì, dopo tre-quattro anni, il passaggio al Belgrano. E al Belgrano ho fatto prima le giovanili e poi la prima squadra. E dopo è arrivata la chiamata del Palermo”.

Sempre da trequartista o seconda punta?“A volte ho fatto anche il regista. Ma ho sempre giocato nel ruolo di trequartista o di seconda punta”.

Dal Barrio Parque al Belgrano. Dal Belgrano poi, la chiamata del Paler-mo. Cosa ha pensato quando ha sa-puto che avrebbe giocato in Italia?“Era un traguardo raggiunto, una meta che sognavo. Da sempre speravo di gio-care in Europa, poi il campionato ita-

“”giocare iN uNa squadra che fa la chamPioNs e gioca ad alti livelli credo sia il sogNo di

tutti

liano è importante, a casa guardavamo sempre la Serie A sulla Rai”.

Il suo idolo?“Mi piaceva molto Kakà, quando era al Milan guardavo sempre le sue giocate”.

Chi è Franco Vázquez fuori dal campo?“un ragazzo tranquillo. Sto con la mia famiglia e la fidanzata e quando sono in Argentina sto con gli amici”.

Lei arrivò al Palermo in un anno parti-colare, con Bortolo Mutti in panchina. Con chi legò di più quell’anno?“Con i ragazzi sudamericani. Quello che mi ha aiutato più di tutti è stato Nicolas Bertolo, già lo conoscevo. Ma in genera-le ho legato con tutti i ragazzi sudameri-cani. Da Barreto ad Aguirregaray”.

L’anno dopo in Sicilia arrivò Sannino. Lei non rientrava più nei piani. E non aveva un procuratore, se non Gusta-vo Mascardi che la portò in Italia…“Mascardi non era il mio agente, quando sono arrivato al Palermo non avevo un procuratore. un giorno mi hanno detto che Sannino non mi voleva, così ho chia-mato Fernando Cosentino e gli ho detto di trovarmi una squadra, in pochi gior-ni ha trovato il Rayo Vallecano e sono andato in Spagna. Per me è stato molto importante e ancora oggi è il mio pro-curatore”.

Com’è la Liga Spagnola?“un campionato diverso, i primi mesi sono stati difficili anche perché non ave-vo fatto il ritiro con la squadra. Poi da gennaio a giugno ho giocato e ho fatto bene”.

Insomma, un’esperienza da ripetere in futuro.

“”coNvocazioNe?ero felice,

davvero. se ti chiama uNa

NazioNale come l’italia NoN

Puoi dire di No

RAGAZZO TRANQUILLOPoche parole ma unadeterminazioneassoluta in campo

FUTURO ROSEOIn tanti sognano

di avere Vázquezin squadra...

COPERTInA / FRANCO VázqUez COPERTInA / FRANCO VázqUez

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COPERTInA / FRANCO VázqUez COPERTInA / FRANCO VázqUez

LA CARRIERA DI VázqUEz

GRAzIE ASOGLIAnODi Alessio AlaimoIL MUDO è APPRODATO IN ITALIA GRAzIE ALL’INTUIzIONE DELL’Ex DIRETTORE SPORTIVO ROSANERO…

e Franco Vázquez è arrivato in Italia i meriti sono da ascrivere a Sean Sogliano, direttore sportivo del Palermo per pochi mesi nella stagio-ne 2011/2012. Ma come nasce l’idea Vázquez?

"Ilicic era sul mercato perché zamparini aveva delle richieste così andai in Argentina a vedere un po’ di partite”, racconta l’ex ds rosanero a Calcio2000. “Vázquez giocava nel Belgra-no, tra l'altro veniva da partite che gli avevano dato risonanza, fece il gol che sancì la retrocessione del River Plate. Si vedeva che aveva qualità, per il fisico che aveva era un giocatore atipico, un trequartista particolare. Volevamo prenderlo al Pa-lermo in estate, invece il ragazzo aveva deciso di rimanere fino a gennaio al Belgrano, perché dopo la promozione in A voleva giocare con la sua squadra una parte di campionato. Lo avremmo voluto prendere subito, alla fine abbiamo accettato le sue condizioni”.

L’inizio con il Palermo però non è stato dei migliori. "Ci voleva del tempo per farlo ambientare, poi al Palermo c'e-rano anche altri giocatori. Iachini è stato bravo a credere in lui già in Serie B quando gli ha dato fiducia per far vedere che era un giocatore forte. E così Vázquez è stato apprezzato anche dal presidente”.

è vero che non lo ha voluto al Verona l’anno del Palermo in Serie B?"Vero, ma non per una questione tecnica. Figuriamoci, Vázquez l’ho portato io in Italia. Ma avevamo già troppi giocatori in prestito, non volevamo tanti prestiti. E poi nel suo ruolo aveva-mo già altri giocatori”.

Il Mudo ha raggiunto anche la nazionale. "Ha fatto una grande stagione. Come altri giocatori che hanno fatto bene, anche lui ha meritato la convocazione in azzurro”.

S

STAGIONE SQUADRA CAMPIONATO GARE RETI2008-2009 Belgrano Primera B Nacional 17 1

2009-2010 Belgrano Primera B Nacional 31 4

2010-2011 Belgrano Primera B Nacional 32 7

2011-gen. 2012 Belgrano Primera Division 18 3

gen.-giu. 2012 Palermo Serie A 14 0

2012-2013 Rayo Vallecano Primera Division 19 3

2013-2014 Palermo Serie B 19 4

2014-2015 Palermo Serie A 29 7* Dati aggiornati al 4/4/15

Ma è davvero pronto per una big?"Quando un giocatore passa da una squadra buona ad un top club c'è sempre un periodo di difficoltà. È normale. Ma Vázquez se sfruttato nel modo giusto e soprattutto se gli viene dato tempo, può fare bene anche in una squadra importante".

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ANCHE IN NAZIONALEEnorme la felicitàper la chiamatadel Ct Conte...

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DICOnO DI LUI…Di Alessio AlaimoBACCIN CI RACCONTA ALCUNI SEGRETI ChE RIGUARDANO VázQUEz…

ranco Vázquez parla poco, ormai è un fatto abbastanza noto. “Il suo sopran-nome la dice lunga, è un ragazzo abba-stanza schivo e introverso”, racconta a

Calcio2000 il responsabile dell’area tecnica del Pa-lermo, Dario Baccin. Vázquez parla poco, ma all’in-terno del club ha un ruolo fondamentale: “Sì, molto importante - conferma Baccin - per quello che riesce a dare in campo e per il coinvolgimento che ha con i suoi compagni. È stata una delle sorprese più belle del Pa-lermo di quest’anno”. E la storia del Mudo è di quelle da raccontare: nessuno credeva in lui, tanto da esse-re finito anche fuori dalla Prima squadra e costretto a giocare con i giovani rosanero. Un affronto non da poco, un “passo indietro” che avrebbe potuto smon-tarlo. Un chiaro segnale che prima di definire flop un calciatore, bisogna valutare attentamente. Provare e riprovare. “La sua storia è un po’ particolare, certo. Se pensiamo che un anno e mezzo fa era stato relegato a giocare con la Primavera qualche partita, magari era difficile credere che diventasse un pilastro del Pa-lermo, ma Franco ha grandi qualità e sono davvero contento per la sua consacrazione”. Una consacrazio-ne che è passata anche per un gesto poco gradito ai palermitani. Ottobre 2014, Iachini lo sostituisce, lui si arrabbia e getta la maglia per terra. “Di quel gesto – racconta il dirigente rosanero – Franco si pentì subito. L’episodio fu dimenticato velocemente, perché è un ragazzo corretto tant’è che venne a chiedere scusa in società. Questo fa capire chi è Franco Vázquez fuori dal campo”. Poi il rinnovo del contratto. “Ricordo che nel periodo natalizio stavamo affrontando l’argomen-to e Franco, anche in quel caso, parlava poco. Con il massimo rispetto verso la società, preferiva far parlare il campo”. Le giocate del Mudo riportano alla mente un altro giocatore del Palermo che fu: Lamberto zau-li. “Per caratteristiche fisiche e per il modo di stare in campo e di interpretare il ruolo è un giocatore abba-stanza unico nel suo genere. Se andiamo a scomodare qualche trequartista però – prosegue Dario Baccin - l’unico a cui paragonarlo per fisicità e qualità di gioco credo sia zauli, che è stato un giocatore importante per il Palermo degli anni scorsi. Anche se Franco ha acquisito una qualità di gioco da top club”. Dunque, pronto per una big? “Per quello che fa vedere in cam-po sicuramente sì e anche per quello che è fuori: un ragazzo serio, pulito. Merita un’occasione importante. Ma mi auguro che il Palermo se lo possa godere anco-ra un po'”. Doti importanti quindi, in campo e anche fuori. Baccin conclude così: “Di Franco colpisce la sua umiltà e timidezza al cospetto di un giocatore che sa farsi trovare sempre pronto. È una faccia d’angelo, che però - non si risparmia mai…”.

F

“Sì, perché no? La Liga mi piace, lì gio-cano i migliori”.

Dopo il Rayo Vallecano il ritorno a Palermo dal prestito. I rosanero gioca-vano in Serie B e bisognava fare delle scelte: la società vuole Struna in lista e lei va fuori per sei mesi. Ripensan-doci, com’è stare fuori per sei mesi?“Da settembre a gennaio 2012 è stato il periodo più difficile della mia carrie-ra. Ho lavorato tanto per dimostrare che potevo dire la mia. Iachini mi ha dato l’opportunità di dimostrare il mio valore e adesso siamo qui, a parlare di me”.

In quel periodo da fuori lista la sua popolarità era ai minimi. Come ha fatto a superare quel momento?“La mia famiglia è stata importante, quan-do non giochi i giornalisti non ti parlano. Non ti parla nessuno. Ti stanno accanto solo le persone che ti vogliono bene”.

Sa che anche il direttore sportivo che la portò a Palermo, Sogliano, quando lei era fuori lista non volle prenderla

al Verona?“Non lo sapevo. Ma sono scelte… e le scelte vanno rispettate”.

Che effetto le fa essere diventato un idolo dopo tante difficoltà?“No, non mi sento un idolo. Penso a gio-care e fare bene, ho sempre fatto così”.

Dove si vede in futuro?“Andare a giocare in una squadra che fa la Champions e gioca ad alti livelli credo sia il sogno di tutti”.

Come nasce la sua amicizia con

Dybala?“Al Palermo. Perché lui in Argentina gio-cava in un’altra squadra e non lo cono-scevo. Abbiamo legato subito, abbiamo tante cose in comune”.

Giocate molto alla play station: chi è più bravo?“Non giochiamo più come prima, ma qualche volta e soprattutto quando siamo in ritiro. A volte vince lui, altre volte io”.

Che squadra sceglie alla Play?“L’Arsenal, mi piace il suo modo di giocare”.

Due più due, l’Arsenal è la squadra dei sogni. “Sì, mi piace come gioca. Proprio come il Barcellona, perché la squadra tiene molto la palla”.

Cosa ha pensato quando ha ricevuto la chiamata della nazionale Italiana?“Ero felice, davvero. Se ti chiama una Na-zionale come l’Italia non puoi dire di no”.

Una curiosità, ma visto da vicino che

GIOCATORE UNICOPer caratteristiche,

Vázquez è consideratouna rarità...

“”alla Playscelgo sPesso,come squadra, l’arseNal. mi Piace il suo

modo di giocare

COPERTInA / FRANCO VázqUez COPERTInA / FRANCO VázqUez

SPIRITO INGLESEAlla Play sceglie

di giocare conl'Arsenal

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Intervista di Alessio Alaimo

dagli amici argentini per aver accetta-to la convocazione con l’Italia?“No, erano tutti felici per me. Si sono congratulati con me per la chiamata, an-che a Cordoba”.

Così ha perso qualsiasi chance per la convocazione con l’Argentina.“Non ci penso. Sono contento di aver giocato con la maglia dell’Italia e spero di poterci giocare anche in futuro”.

Iachini a parte, chi è l’allenatore che le ha dato di più?“Labruna, l’ex allenatore del Belgrano e quello attuale, zielinski. Loro due e Iachi-ni sono quelli che mi hanno dato di più”.

Il giocatore con cui sogna di giocare?“Messi, tutti vorrebbero giocare con lui”.

E la coppia Vázquez-Dybala, si può riproporre in futuro anche lontano da Palermo?“Sicuro! Certo, mi piacerebbe. Magari io e Paulo ci ritroveremo anche più avanti, chi lo sa?”.

andato via”.

Se le dico Sannino cosa mi risponde?“Niente. Non mi ha fatto giocare, che pos-so dire? Non voglio parlare male di nes-suno perché non mi piace fare polemica”.

Gattuso.“Con lui mi sono trovato bene. Mi pia-ceva il suo modo di allenare, per questo mi è dispiaciuta l’esclusione dalla lista. Penso che mi volesse bene. Ma le scelte vanno rispettate”.

Iachini.“Quando è arrivato volevo andare via, non giocavo da tanto tempo ed era nor-male che volessi cambiare aria. Poi mi hanno chiesto di rimanere, Iachini mi ha dato la fiducia che non mi aveva dato mai nessuno a Palermo”.

E Conte?“Mi è piaciuto il suo modo di allenare, è simile a Iachini per il modo di giocare e di vivere il calcio”.Ma davvero non ha ricevuto critiche

tipo è zamparini?“Sta vicino alla squadra, ci vuole bene. Poi magari quando parla fa un po’ di casino, però tutto quello che dice è per il bene del Palermo”.

Le faccio qualche nome, promette di non arrabbiarsi?“Ok…”.

Bortolo Mutti.“Il mio primo allenatore in Italia…”.

Tutto qui? non le ha lasciato nulla?“No, perché ho giocato poco. E poi lui è

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COPERTInA / FRANCO VázqUez

CON LA MAGLIA DEL PALERMO ALL'ESORDIO IN NAZIONALE LA GIOIA DOPO IL GOL

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di Sergio STANCO

foto Agenzia Image Sport

InTERVISTA

SERGIO PELLISSIER

CAPITAnO MIO

CAPITAnO

INTERVISTA A SERGIO PELLISSIER,“STORICO” BOMBER DEL ChIEVO

(36 ANNI E NON SENTIRLI…)

CUORE GIALLOBLùPellissier

è il simbolodel Chievo

InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR

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InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR

on serve una fascia al braccio per essere un capitano. Un lea-der lo è nell'animo. E certo, poi, se stai nella stessa squadra per 13 anni, ti pos-

sono chiamare in tanti modi: vecchio, esperto, esempio, bandiera. Sergio Pellissier da Aosta, simbolo del “Chievo dei miracoli”, è tutto questo messo assie-me: già, perché non c'è nulla di male ad ammettere che gli anni passano e non puoi più avere lo scatto di una volta, ma poi quando c'è da segnare il gol salvezza, è lui a bruciare i difensori e metterlo dentro. Non un gol banale, non un giorno banale, non un giocatore ba-nale: la rete che vale la permanenza in A, l'ennesima per un Chievo che ogni anno gli “esperti” danno per spacciato, nel giorno del suo 36esimo comple-anno, con i tifosi che a fine partita gli cantano “… tanti auguri”, 90° gol nella

massima divisione, come miti del calibro di Van Basten e zola. Basta per chia-marla una favola con il lieto fine? In re-altà non è corretto, perché Pellissier ha tutta l'intenzione di scrivere altri nuovi, emozionanti capitoli di questa splendi-da storia a tinte gialloblù.

hai realizzato il gol salvezza di Ce-sena, raccontaci le emozioni: è stato quello più importante della tua car-

riera? “No, forse il più importante della carriera no, perché ho avuto la fortuna di farne molti, alcuni anche pesanti che sono stati utili per promozioni, salvezze e così via. Di certo, però, è stato un bel momento per me perché non stavo attraversando un periodo facile, stavo giocando poco e avevo bisogno di una gioia simile, perché volevo essere partecipe e sentirmi prota-gonista dell’impresa della squadra. Poi, il fatto che fosse il mio compleanno ha reso tutto ancora più emozionante, con i tifosi che alla fine della partita mi can-tavano tanti auguri, non credo che di-menticherò facilmente le emozioni che ho provato quel giorno (sorride, ndr)”.

qual è il gol al quale sei più legato? “Ce ne sono tanti, ma probabilmente la tripletta messa a segno contro la Juve re-sterà indimenticabile (5 aprile 2009, Ju-ventus-Chievo 3-3 ndr). Segnare 3 gol ai bianconeri non è mai semplice, farlo

TANTE SODDISFAZIONICon il Chievo,

Pellissier si stadivertendo

ancora oggin “”momeNto toPdella carriera? ProbabilmeNte la triPletta messa a segNo coNtro la Juve resterà iNdimeNticabile

ATTACCANTE VEROIl gol, il pane quotidiano delbomber clivense

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InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR

e lo ha dimostrato anche quest’anno. A volte qui hai la sensazione di dover lot-tare contro i mulini a vento, ma è così, lo sappiamo, ormai ci siamo abituati. Ci dicono che pareggiamo troppo, ma io ri-spondo che in Serie A non è mica facile vincere. un pareggio è sempre un pun-to, serve per la classifica, ti dà fiducia. una squadra come la nostra è destinata a soffrire, non può pensare di salvarti senza sudare”.

qual è stata la svolta della vostra sta-gione? “Non c’è stato un momento preciso, ma

“”ho iNteNzioNe di giocare aNcora qualche aNNo egodermi questimomeNti, PoiquaNdo caPiròche NoN Ne avrò Più, vedremo

DICOnO DI LUIDi Sergio StancoBERETTA: “SERGIO È uN GRANDISSIMO PROFESSIONISTA,Può DIVENTARE ALLENATORE”

ario Beretta ha tenuto praticamente a battesimo un Sergio Pellissier giovanissimo in Serie C nel Varese (anno 1999-2000), quando il capitano del Chievo aveva solo 20 anni. E poi lo ha ri-

trovato un po' più grande proprio al Chievo nella stagione 2004-2005. A lui abbiamo chiesto di raccontarci l'attaccan-te Pellissier, ma anche il ragazzo Sergio.

Allora mister, com'era il giovane Pellissier? “Mi viene da dire innanzitutto un bravo ragazzo, serio, educato e che aveva tanta voglia di imparare. Professionista già da giovane. Era uno di quelli che a fine allenamento si fermava a fare tecnica e tattica perché voleva migliorarsi. Si vedeva già allora che aveva grandi qualità, quelle che poi ha effettiva-mente dimostrato nel corso della sua ottima carriera”.

Beh, ma lei si immaginava potesse essere un giocatore da 90 reti in Serie A come Van Basten e zola? “Certo non avrei mai potuto dire quanti, forse non avrei im-maginato 90, ma comunque non era difficile pronosticargli un radioso futuro perché aveva la tecnica ma soprattutto la testa per fare bene. Poi 60, 70, 90 gol, non è quello che fa la dif-ferenza o che certifica la qualità di un giocatore. O almeno non solo”.

Sergio ha detto che non ci sono più i ragazzi di una volta, quelli che rispettavano e ascoltavano i “vecchi”: è così? E lui li ascoltava i consigli dei più “anziani”? “In parte ha ragione, ma è anche un segno dei tempi. Quando lui era un giovane, parliamo di 15 anni fa ormai, non c'erano tutte le distrazioni che hanno i ragazzi di oggi, che a volte

MPELLISSIER In

magLIa dEL chIEvoStagione Serie Presenze Gol

2002-2003 A 30 52003-2004 A 29 32004-2005 A 34 72005-2006 A 36 132006-2007 A 38 92007-2008 B 38 222008-2009 A 39 142009-2010 A 36 122010-2011 A 35 112011-2012 A 36 82012-2013 A 25 62013-2014 A 23 12014-2015 A 21 4

Totale 420 116*Dati aggiornati al 20/04/2015

SEMPRE GOL PESANTIIl centravanti gialloblùha un feeling particolarecon la rete

in casa loro poi vale doppio. Anzi, triplo (ride, ndr)”.

quello che ti sarebbe piaciuto segna-re e che invece non ti è riuscito? “Sempre contro la Juve, sempre a Torino, nel 2011 (9 maggio, Juventus-Chievo 2-2). Eravamo sotto di due gol, siamo riusciti a pareggiare, poi nel finale scarto anche Buffon e ho la porta libera. Sono però un po’ defilato e vedo uribe piaz-zato meglio di me: in quel momento ho pensato solo a dargliela. Solo che uribe ha tirato addosso a Marchisio. Mi sono immaginato tante volte quella scena e anche ripensandoci oggi, forse avrei po-tuto concludere io e, chissà, magari avrei segnato e avremmo vinto. Sarebbe stata un’impresa storica, ma purtroppo non è andata così…”.

E’ stata l’ennesima stagione in cui in molti vi davano per spacciati, poi come al solito siete “risorti”: non vi siete stancati di essere considerati la “sorpresa” del campionato? “Ma no, dai, perché (ride, ndr)? E’ nor-male che una società “piccola” come la nostra non sia molto considerata, ma per noi questa società non è piccola, anzi,

è stata un’evoluzione e una crescita con-tinua. Diciamo che quando la società ha deciso di cambiare allenatore, ci siamo riuniti, abbiamo analizzato la situazione, ci siamo presi le responsabilità e siamo ripartiti. E’ una cosa che spesso succede in questi casi. Anche mister Maran è sta-to bravo a inquadrarci, a darci fiducia, ha puntato sul gioco, ha insistito perché ottenessimo risultati con la qualità. E ha avuto ragione”.

Tu ormai sei “l’esperto” del gruppo e a volte devi renderti utile più nello spo-gliatoio che in campo: come ti trovi in questo inedito ruolo? “Mi ci sto abituando. All’inizio non è stato semplice, ma poi quando capisci di non essere eterno, ti rendi conto di poter essere comunque importante. Quando sei giovane pensi solo a correre, quando l’e-tà avanza ti rendi conto che c’è di più, che ti devi gestire anche fuori se poi vuoi rendere in campo. E che spesso un sugge-rimento, una pacca d'incoraggiamento è importante come un gol”.

E nel ruolo di consigliere come te la cavi? Ti capita di dare qualche “dritta” magari ai più giovani?

si isolano tra telefonini, computer e playstation. una volta lo spogliatoio si viveva in maniera diversa, c'era più rispetto per i giocatori più esperti, ma questi erano anche più prodighi di consigli per le nuove leve. Oggi, sostanzialmente, c'è più egoi-smo da entrambe le parti”.

qual è la migliore qualità di Pellissier? “Attacca la profondità come pochi sanno fare, in questo è vera-mente un maestro. Ha un senso innato per il tempo di inserimen-to, gioca sempre sulla linea della difesa avversaria e spesso ri-esce a sorprenderla sbucando da dietro. Questa è sempre stata una sua caratteristica che prima ho apprezzato quando ero suo allenatore e spesso ho patito da avversario, perché era difficile trovare contromisure. Conoscendolo bene, mi raccomandavo con i miei difensori, cercavo di spiegar bene come opporsi, ep-pure lui trovava sempre il modo di sfuggire. Quando parte da dietro e azzecca i tempi è semplicemente immarcabile”.

Come si immagina Pellissier da qui a qualche anno, ma-gari allenatore? “Innanzitutto gli auguro di giocare ancora a lungo, anche per-ché – grazie alla sua professionalità e alla sua dedizione al lavoro – ha ancora un fisico eccezionale, che gli può con-sentire ancora qualche stagione da calciatore. Se lo guardi non gli daresti mai 36 anni. Poi, se vorrà, io credo che possa tranquillamente intraprendere la carriera di allenatore, perché ha grande esperienza, nella sua carriera ha avuto tanti ottimi allenatori da cui può aver appreso tanto e quindi ha un ba-gaglio tattico importante. Poi, conoscendolo bene, posso dire che ha anche un carattere che potrebbe agevolarlo molto nella professione”.Da mister a mister, dunque...

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InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR

L’UOMODEI RECORDDi Sergio StancoL’ATTACCANTE DEL ChIEVO NE hA VISTE TANTENEI SUOI ANNI DI CARRIERA E TANTE ANCORASPERA DI VEDERNE, MA hA GIà COLLEzIONATOQUALChE RECORD IMPORTANTE.

S ergio Pellissier può vantare alcune curiosità “ana-grafiche”: innanzitutto è uno dei pochi giocatori della Valle d’Aosta ad essere arrivato in Serie A (con lui anche De Ceglie, difensore della Juve),

ma è il primo della storia ad avere vestito la maglia del-la nazionale. Come dicevamo nell'intervista, lo ha fatto una sola volta, ma in quell’occasione ha trovato addirittura la via della rete. Era il 6 giugno del 2009, si giocava a Pisa in amichevole contro l'Irlanda del Nord, e al 17' del secondo tempo Pellissier ha rilevato Pazzini. Gli sono bastati 11 mi-nuti per segnare il gol che probabilmente non dimenticherà mai e racconterà certamente ai nipotini. In quella partita in

campo c’era anche Legrottaglie, un altro dei pochi giocatori del Chievo ad aver giocato in Nazionale: per il difensore 5 presenze in azzurro, il primatista è Perrotta con 19, poi Marazzina con 3, Semioli con 2 e appunto Pellissier. Il giova-ne calciatore Sergio cresce nelle giovanili del Torino, con le quali vince anche un Torneo di Viareggio, quello del 1998 (di quella squadra facevano parte anche Comotto e Tiriboc-chi, autori entrambi di una discreta carriera in Serie A) e in finale ha siglato il gol del 2-0 contro la squadra brasiliana dell'Irineu. Quello e il campionato di Serie B del 2007-2008 restano gli unici “titoli” del palmares di Pellissier, che però in carriera s'è tolto diverse soddisfazioni: delle tre reti in casa della Juve (e a Buffon) abbiamo già parlato, così come dei 90 gol realizzati in A come zola e Van Basten (non proprio due qualsiasi), ma quello che non abbiamo detto è che qual-che giorno dopo l'intervista e solo una settimana dopo aver realizzato il 90° gol in A a Cesena (quello della salvezza), Pellissier ha trovato di nuovo la via della rete e ha messo a segno il 91°, portandosi solo a -9 dal sogno 100. E per uno che è partito da Aosta ed è arrivato ad un passo dalla Champions League col Chievo (perso i preliminari nel 2006-2007 contro il Levski Sofia), cosa volete che siano 9 gol dopo averne realizzati già 91 solo in Serie A?

“Certamente, cerco di mettere a dispo-sizione dei compagni la mia esperienza: ovviamente ne so di più di attaccanti, quindi mi concentro su di loro. Il fatto è che devi essere bravo a capire chi hai di fronte e come prenderlo, a volte devi essere duro, altre più morbido. L’impor-tante è che dall’altra parte ci sia una persona che abbia voglia di ascoltarti, di imparare. A volte hai la sensazione di parlare con uno che sta pensando “Ma questo “vecchietto” cosa vuole da me”? Questa è gente che non migliorerà mai”.

A proposito di ragazzi: l’eterno Peter Pan Paloschi, crescerà? Cosa gli man-ca per fare il salto definitivo? “Ecco, Alberto è uno che ha tantissima voglia di imparare, infatti da quando è arrivato qui è migliorato tantissimo. Lui è uno che chiede, che si confronta, che si mette sempre in discussione, che se sbaglia qualcosa ti domanda come fare meglio la prossima volta. Questo per un ragazzo è fondamentale. Poi, ci sono qualità innate, che non puoi coltivare: lui per esempio vive per il gol, se ne fa uno, ne vuole fare un altro e poi un altro an-cora. Se c’è una palla che sembra morta, lui ci va lo stesso. Se c’è un rimpallo, una respinta del portiere, puoi star certo che lui si farà trovare pronto sulla ribattuta. Ha l’istinto dei grandi bomber come In-

zaghi e Trezeguet. E queste son cose che non puoi insegnare”.

A 36 anni si possono fare i “primi” bi-lanci: qualche rimpianto? “No, non posso assolutamente avere rim-pianti. Ho fatto una carriera che non mi sarei mai immaginato, avevo il sogno di diventare professionista, di giocare in Serie A, di esordire in Nazionale e li ho realizzati tutti. Come faccio ad avere rimpianti? E’ impossibile. Io dico sempre che ci sono solo ricordi belli o ricordi brutti, ma mai rimpianti e l’importante è godersi i ricordi belli”.

A proposito di nazionale: hai fat-to una presenza e un gol (6 giugno

2009, amichevole Italia-Irlanda del nord 3-0): più un orgoglio o un di-spiacere che quella sia rimasta l’uni-ca presenza? “Non scherziamo, un grandissimo orgo-glio, è stata la ciliegina sulla torta. Sarò sempre grato a Lippi per avermi fatto questo regalo (testuale, ndr). Io sono cresciuto negli anni ’80 e ’90, quando chi arrivava in Nazionale non ci anda-va per 2-3 partite fatte bene, ma perché era un grande giocatore e ci restava per anni. Io ho sempre saputo di non essere uno da Nazionale, sono comunque feli-cissimo di avere avuto questa opportuni-tà e sono orgoglioso di averla sfruttata”.

Di cos’altro vai veramente orgoglioso della tua carriera? “Direi dei due anni 2008 e 2009, quan-do prima ci siamo conquistati la pro-mozione in Serie A e poi nella stagione successiva abbiamo fatto una cavalcata impressionante e ci siamo salvati. Per me erano le prime stagioni da capitano e quindi un orgoglio e una responsabi-lità ancor più importanti. In quelle due stagioni ho segnato tanto (22 e 13 reti rispettivamente, ndr) dunque mi sono sentito veramente protagonista di quelle imprese”.

hai già pensato a cosa vorresti fare

“”obiettivo?sicurameNte quello di

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ANCHE LA NAZIONALEGrazie al Chievo,ha conquistatoanche l'Azzurro

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InTERVISTA / SERGIO PeLLISSIeR

da grande? “Ogni tanto ci pensi, sì, ma poi cerchi su-bito di concentrarti sul presente. Io amo troppo questo lavoro e mi piace proprio il campo, allenarmi, giocare, per cui fino a quando il fisico mi sorreggerà, non vo-glio fare, né pensare a nient’altro. Ho in-tenzione di giocare ancora qualche anno e godermi questi momenti, poi quando capirò che non ne avrò più, vedremo. Certamente mi piacerebbe rimanere in questo ambiente”.

Magari come allenatore... qual è il tecnico che ti ha dato di più e al quale sei rimasto più legato? “Devo dire che sono rimasto in ottimi rapporti con tutti, ma ci sono alcuni con il quale il legame è andato oltre la sfera professionale. Ad esempio con Pioli, Ia-chini e Di Carlo, che sento spesso ancora oggi. E’ chiaro che rimani in contatto con quelli con cui hai giocato di più (ride, ndr), ma se incontro Beretta o Delneri, ad esempio, ci salutiamo e scambio vo-lentieri due chiacchiere”.

E nella tua classifica ideale dei tuoi allenatori dove lo metti Maran? “Sicuramente in un posto molto in alto, perché si è dimostrato un tecnico prepa-rato, di personalità e intelligente. Ha una qualità molto rara e secondo me fonda-

mentale per un allenatore, sa ascoltare. Dà una precisa identità alla squadra, ha un modo di giocare per arrivare al risul-tato e non lo stravolge, ma se c’è qual-cosa che non funziona, chiede, s’informa, si confronta e a volte applica i suggeri-menti che gli arrivano”.

quest’anno hai raggiunto miti come Van Basten e zola come numero di gol realizzati in Serie A (90): se te l’a-vessero detto ad inizio carriera… “Non ci avrei mai creduto, sono sincero. Come dicevo in precedenza, ho davvero realizzato tutti i sogni e mi sento un gio-catore e un uomo veramente fortunato”.

L’obiettivo che vorresti raggiungere prima di ritirarti? “Sicuramente quello di arrivare a quota

100 reti in Serie A, sarebbe un traguar-do eccezionale di cui andare tremenda-mente orgoglioso. Mi piacerebbe rag-giungerlo”.

Mai perso il treno veramente impor-tante, quello che passa una sola volta nella vita? “Sì, negli anni ho avuto qualche offerta, anche importante, ma sono felice di essere rimasto. E' tanto che sono qui, non riesco neanche ad immaginarmi in un'altra squa-dra, in un'altra società. Per me qui è come essere in famiglia: il presidente mi ha sem-pre trattato come un figlio, mi ha dimo-strato un affetto eccezionale, cose che per me valgono più di soddisfazioni economi-che o materiali. Avrei potuto certamente guadagnare di più, ma non puoi mai sa-pere come sarebbe andata e probabil-mente non avrei vissuto le stesse emozioni che il Chievo mi ha regalato. Anche qui mi sono tolto le mie piccole, grandi soddisfa-zioni. L'amore dei tifosi, del presidente, di tutto l’ambiente, mi ha ampiamente ripa-gato. Sono davvero fiero di aver scritto un pezzo di storia di questa società”.

E poi dicono che il calcio moderno ha spazzato via le bandiere. A Verona ce n'è ancora una bella grande che conti-nua a sventolare e non ha nessuna in-tenzione di smettere...

“”è taNto che soNo qui, NoN riesco NeaNche ad immagiNarmiiN uN’altra squadra, iN

uN’altra società

MOMENTI DI GIOIAEsordio con laNazionale con gol, il massimo...

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La magLia DeLLa NazioNaLe, iL sogNoDi ogNi caLciatore che si rispetti…

SPECIALE

AzzURRI PER UN GIORNO

SPECIALE / AzzURRI PER UN GIORNO

ALMENO UNA VOLTA…

di Fabrizio PONCIROLI

“I

giocatore preseNze reti aNNo

rodolfo gavinelli 1 0 1911

Vittorio Faroppa 1 -4 1912

carlo De marchi 1 0 1912

Vittorio morelli di popolo 1 0 1912

marco sala 1 0 1912

Vincenzo Fresia 1 0 1913

carlo galletti 1 0 1913

attilio Valobra 1 0 1913

claudio casanova 1 0 1914

Biagio goggio 1 0 1914

eugenio mosso 1 0 1914

carlo capra 1 0 1915

angelo cameroni 1 -4 1920

giuseppe asti 1 0 1920

adevildo De marchi 1 0 1920

carlo ghigliano 1 0 1920

alessandro rampini 1 0 1920

rinaldo roggero 1 0 1920

giuseppe ticozzelli 1 0 1920

ercole carzino 1 0 1921

giuseppe giustacchini 1 0 1921

attilio marcora 1 0 1921

Luigi Vercelli 1 0 1921

cesare martin 1 0 1923

giovanni costa 1 -4 1924

Francesco Borello 1 0 1924

edoardo catto 1 0 1924

giuseppe grabbi 1 0 1924

Francesco mattuteia 1 0 1924

severino rosso 1 0 1924

giovanni Vincenzi 1 0 1924

giovanni Borgato 1 0 1926

alberto giordani 1 0 1927

antonio Busini 1 0 1929

abdon sgarbi 1 0 1929

marcello mihalich 1 2 1929

antonio Vojak 1 0 1932

octavio Fantoni 1 0 1934

Nereo rocco 1 0 1934

roberto porta 1 0 1935

alejandro scopelli 1 0 1935

mario Varglien 1 0 1935

Ugo amoretti 1 -2 1936

Francesco gabriotti 1 0 1936

alfonso Negro 1 1 1936

Bruno arcari 1 0 1937

pietro Buscaglia 1 0 1937

cesare gallea 1 0 1937

sergio marchi 1 0 1939

Vittorio sardelli 1 0 1939

héctor puricelli 1 1 1939

lini, ruotolo, parisi, invernizzi, asta, mascara e tanti altri… cosa hanno in comune tutti questi giocatori? semplice, hanno sperimentato la Nazionale ma solo una volta. ognuno di loro è stato chiamato ad indossa-re la casacca degli azzurri in una singola circostanza, avendo la fortuna di scendere in campo. Una presenza che, tuttavia, fa tutta la differenza del mondo perché, ognuno di loro, il sogno di giocare in Nazionale, seppur per un sol giorno, l’hanno realizzato e c’è da andarne fieri…

IL “CASO” BEARZOTtutti noi conosciamo enzo Bearzot per essere stato il ct che ha portato, o meglio, trascinato l’italia a vince-re il mondiale del 1982. stimato e amato, è stato un allenatore di primissimo livello. ma prima di dare con-sigli dalla panchina, il Vecio è stato anche un più che discreto giocatore di calcio. pro gorizia, inter, catania e torino, questi i club in cui ha militato. Dal 1946 al 1964, anno del suo ritiro, si è distinto come difenso-re/mediano di buona levatura, a tal punto da meritarsi

una sgambata in Nazionale. il lieto evento accade il 27 novembre del 1955 (allora Bearzot militava al toro). si gioca la coppa internazionale e l’italia deve affrontare la fortissima Ungheria, tra l’altro nell’imponente Nep-stadion di Budapest. Nell’undici titolare schierato dal ct Foni, nel pacchetto arretrato, c’è anche il 28enne Bearzot. gli azzurri resistono 80’, prima che puskas rompa l’equilibrio, mandando in frantumi il sogno del Vecio di fermarlo. Finirà 2-0 per gli ungheresi, ma per Bearzot, a distanza di anni, il ricordo di quella partita sarà tra i più belli della sua carriera, almeno da calcia-tore…

UNA PRESENZA, UN GOLa Verona, sponda chievo, pellissier è un’autentica isti-tuzione. Bandiera gialloblù, ha segnato tonnellate di gol con la maglia dei clivensi, eppure la sua rete più importante è colorata di azzurro. andiamo con ordine. stagione 2008/09, il chievo, al suo ritorno in serie a, disputa una super annata. pellissier va alla grande, segnando ben 13 gol in campionato. L’allora ct della Nazionale Lippi si accorge di lui e, in occasione del-la partita, amichevole, italia-irlanda del Nord, in pro-gramma a pisa, decide di convocarlo. È il 6 giugno del 2009. gli azzurri giocano un buon calcio e si portano, agevolmente, sul 2-0. al 62’, Lippi fa esordire pellissier (il primo valdostano a giocare con la casacca dell’i-talia). il bomber del chievo entra al posto di pazzini.

l mio sogno è indossare la maglia della Nazionale”. Quante volte abbiamo sentito queste pa-role… in effetti, per qualsiasi giocatore, il poter vestirsi d’azzurro equivale a rag-giungere il gotha, calcisticamente parlan-

do. rappresentare un intero paese, difendere i colori dell’italia, essere idolatrato da tutti. sensazioni splen-dide che, come si suol dire, danno un significato reale ad una carriera. in Nazionale, in oltre un secolo di sto-ria (l’esordio degli azzurri, allora in maglietta bianca, risale al lontanissimo 1910, con un rotondo successo sulla Francia), sono passati tantissimi giocatori. in questa particolare occasione abbiamo pensato di dare spazio a quelli (non tutti ovviamente) che hanno assa-porato la casacca azzurra per una sola volta. Un solo “passaggio”, ma ricco di fascino. Vi snocciolo una for-mazione, modulo 4-3-3: pizzaballa, Bearzot, carrera, gastaldello, marangon, Novellino, Ledesma, Baronio, padovano, pellissier, amauri. Non male vero? e, in panchina, potremmo farci sedere gente come castel-

iL sogNo Di tUttiLa maglia dellaNazionale, ilmassimo perun calciatore

aNche BearzotDa giocatore,

ha provatol'emozione

azzurra...

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SPECIALE / AzzURRI PER UN GIORNOSPECIALE / AzzURRI PER UN GIORNO

giocatore preseNze reti aNNo

pietro Ferrari 1 -1 1940

mario pagotto 1 0 1940

carlo reguzzoni 1 0 1940

secondo ricci 1 0 1940

guido corbelli 1 1 1940

ermando malinverni 1 0 1947

tommaso maestrelli 1 0 1948

cesare presca 1 0 1948

giuseppe Baldini 1 0 1949

rinaldo martino 1 0 1949

ivano Blason 1 0 1950

augusto magli 1 0 1950

Leandro remondini 1 0 1950

andrea Bonomi 1 0 1951

renato gei 1 0 1951

arnaldo Lucentini 1 0 1951

giovanni azzini 1 0 1952

giancarlo cadè 1 0 1952

sergio manente 1 0 1952

raoul Bortoletto 1 0 1953

Bruno mazza 1 0 1953

Dino Ballacci 1 0 1954

celestino celio 1 0 1954

enzo Bearzot 1 0 1955

Luigi giuliano 1 0 1955

marcello agnoletto 1 0 1956

giuseppe Farina 1 0 1956

mario tortul 1 0 1956

angelo Longoni 1 2 1956

Bruno pesaola 1 0 1957

celso posio 1 0 1957

Flavio emoli 1 0 1958

Bruno garzena 1 0 1958

giovanni invernizzi 1 0 1958

silvano moro 1 0 1958

Dino da costa 1 1 1958

pierluigi ronzon 1 0 1960

giuseppe Vavassori 1 -3 1961

Beniamino Di giacomo 1 0 1964

aurelio milani 1 0 1964

romano micelli 1 0 1965

cosimo Nocera 1 1 1965

roberto anzolin 1 0 1966

giovan Battista pirovano 1 0 1966

pier Luigi pizzaballa 1 0 1966

adolfo gori 1 0 1967

stelio Nardin 1 0 1967

gianfranco zigoni 1 0 1967

claudio merlo 1 0 1969

tazio roversi 1 0 1971

Domenico caso 1 0 1974

Passano circa 11’ e Pellissier trova la rete del definitivo 3-0 (girata acrobatica di sinistro). esordio in Nazionale con gol. il massimo per un attaccante. Dedica la rete alla moglie micaela ma, in cuor suo, sa che è il frutto di tanti anni di dura gavetta…

L’INTROVABILE PANINIQuando sei noto soprattutto per essere una figurina in-trovabile, è dura imporsi anche come portiere di livello. La storia di pizzaballa è tanto curiosa, quanto affasci-nante. Da decenni, il portiere bergamasco è noto per essere stato la figurina più difficile da trovare nella sto-ria dei calciatori panini. tuttavia, oltre ad essere stato un estremo difensore di notevole qualità (ha difeso la porta di atalanta, roma, Verona e milan), pizzaballa ha anche vissuto l’apoteosi della maglia azzurra. in po-chi sanno, ad esempio, che Fabbri lo ha convocato per i mondiali del 1966, dove, tuttavia, non è mai sceso in campo. comunque una presenza il buon “portiere in-trovabile” l’ha ottenuta: 18 giugno 1966, italia-austria. al 46’, albertosi, il titolare, lascia la porta degli azzurri a pizzaballa. il neo acquisto della roma (via atalanta) si dimostra pronto. La nostra Nazionale porta a casa la vittoria (decide una rete di Burgnich) e pizzaballa si gode il suo momento…

GIOIA & SFORTUNA DI PADOVANONon per tutti il ricordo della Nazionale è solo un’inde-scrivibile emozione. padovano, da questo punto di vi-sta, è un “caso anomalo”. Dopo anni a suon di gol in giro per l’italia, nel 1995, padovano approda alla Ju-ventus. si fa trovare pronto, segna gol importanti. Nor-male che arrivi la chiamata azzurra. si stanno dispu-

sergio peLLissier

peLLissier iN goLmaglia della Nazionale

con tanto di rete peril bomber del chievo...

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SPECIALE / AzzURRI PER UN GIORNOSPECIALE / AzzURRI PER UN GIORNO

all'estero. si scatena un putiferio. il ct Dunga rinun-cia, seppur scocciato, ad amauri. Fine di un sogno? No, circa 18 mesi più tardi amauri indossa la magliet-ta della nazionale ma di quella italiana. “Io mi sento calcisticamente italiano”, spiega, a chiare lettere, a chi pensa che abbia scelto l’italia per paura di non avere chance con il Brasile. gioca contro la costa d’avorio, a Londra. ironia della sorte sarà la sua prima e unica gara in Nazionale…

L’UOMO DELL’EXPLOITsolo due giocatori sono riusciti, nella loro unica pre-senza in azzurro, a segnare una doppietta. Uno ri-sponde al nome di mihalich, giocatore del Napoli ca-pace di mettere a referto, contro il portogallo (anno di grazia 1929), due reti (6-1 finale per gli Azzurri). L’altro è stato Longoni e la sua storia merita un minimo di attenzione. Longoni è stato una buonissima, come si diceva allora, ala. Nell’atalanta ha mostrato il meglio di sé, arrivando anche alla Nazionale. al Ferraris va in scena italia-austria, valida per la coppa interna-zionale. I riflettori sono tutti puntati su Boniperti ma, a sorpresa, nel 2-1 finale con cui gli Azzurri superano la nazionale austriaca, il protagonista assoluto è pro-prio Longoni, detto “Paperino” che firma entrambe le reti italiane. sulla rivista “Il Campione”, molto diffusa al tempo, c’è un bel servizio che ben testimonia l’impresa dell’esordiente ala atalantina. Non ci tornerà più in az-zurro, eppure quell’exploit è nei libri del nostro calcio, per sempre...

iL ricorDoDi aNtoNiNoDi thomas saccanitra i giocatori coN UNa preseNza iN NazioNaLec’È aNche L’ex graNata…

3 febbraio 2002, l’italia ospita, a catania, gli stati Uniti. È una gara amichevole. c’è un giocatore che vive quella partita trattenendo il fiato dall’e-mozione: antonino asta. per lui, siciliano di na-scita (è di alcamo), è il coronamento di una lun-

ga carriera, iniziata nel corbetta, nei dilettanti. Lo abbiamo sentito per farci raccontare quella grande emozione, la sua unica presenza con la Nazionale…

Se ti dico Italia-Stati Uniti, che ricordi ti vengono in mente?“Scherzi? Ricordo tutto di quella partita. Per me è stato un trionfo. La mia prima e unica volta in Nazionale. Da sicilia-no, ho giocato in Sicilia. Una soddisfazione enorme, in un periodo storico in cui, in Nazionale, ci andavano solitamen-te sempre gli stessi e quasi sempre gente che militava in grande squadre. Io, invece, arrivavo dai dilettanti, davvero pazzesco…”.

Hai anche giocato titolare…“Sì, è vero. Ricordo che fummo convocati, come esordienti, io e Marazzina. Io iniziai con la maglia da titolare, lui entrò a partita in corsa. Fu speciale per tutti e due”.

Ti ricordi come sei venuto a sapere che saresti andato in Nazionale?“Certo. Era un sabato pomeriggio e noi eravamo in ritiro per preparare Torino-Piacenza. Mi ricordi che il Team Manager Padovano mi chiamò in stanza e mi disse che ero stato con-vocato. Fu una soddisfazione che non si può descrivere. Ricordo che, alla sera, decisi di offrire da bere a tutti i miei compagni granata. Se ero arrivato alla Nazionale il merito era soprattutto loro e del mister Camolese, importantissimo per la mia carriera”.

Quindi è vero che la Nazionale è il massimo…“Sì, per me non c’è altro di meglio. Poi, ti ricordo, io ho co-minciato nelle categorie inferiori, mi sono conquistato tutto con tanta fatica e quella maglia indossata contro gli Stati Uni-ti mi ha ripagato di tutti i sacrifici di una vita. Ne vado molto orgoglioso”.

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giocatore preseNze reti aNNo

Vincenzo guerini 1 0 1974

Luigi martini 1 0 1974

salvatore esposito 1 0 1975

Luigi Danova 1 0 1976

Luciano castellini 1 -1 1977

Walter Novellino 1 0 1978

Domenico marocchino 1 0 1981

Luciano marangon 1 0 1982

gennaro ruotolo 1 0 1991

massimo carrera 1 0 1992

giorgio Venturin 1 0 1992

andrea Fortunato 1 0 1993

antonio manicone 1 0 1993

Daniele zoratto 1 0 1993

massimiliano cappioli 1 0 1994

andrea silenzi 1 0 1994

Fabio petruzzi 1 0 1995

Federico giunti 1 0 1996

pasquale padalino 1 0 1996

Fabio rossitto 1 0 1996

giampiero maini 1 0 1997

michele padovano 1 0 1997

stefano torrisi 1 0 1997

michele serena 1 0 1998

Damiano zenoni 1 0 2000

alessandro pierini 1 0 2001

antonino asta 1 0 2002

marcello castellini 1 0 2003

stefano Bettarini 1 0 2004

alessandro parisi 1 0 2004

roberto Baronio 1 0 2005

Dario Dainelli 1 0 2005

giampiero pinzi 1 0 2005

emiliano Bonazzoli 1 0 2006

cristian Brocchi 1 0 2006

gennaro Delvecchio 1 0 2006

giulio Falcone 1 0 2006

massimo gobbi 1 0 2006

christian terlizzi 1 0 2006

alessandro rosina 1 0 2007

max tonetto 1 0 2007

giuseppe mascara 1 0 2009

sergio pellissier 1 1 2009

amauri 1 0 2010

cristian Daniel Ledesma 1 0 2010

marco motta 1 0 2010

Daniele gastaldello 1 0 2011

Fabio Borini 1 0 2012

Diego Fabbrini 1 0 2012

ezequiel schelotto 1 0 2012

* Giocatori selezionati fino al 2012

tando le qualificazioni per i Mondiali del 1998. L’allora ct maldini decide di puntare anche sul bomber bianco-nero per il doppio impegno contro moldavia e polonia. il 29 marzo 1997, padovano, a trieste, è in campo (dal 23’ della ripresa) nel 3-0 con cui l’italia piega la mol-davia. tutto fa presagire che sia l’inizio di un duraturo rapporto con la Nazionale ma, in un allenamento pre-sfida con la Polonia, l’attaccante si infortuna, incredi-bile ma vero, calciando un rigore a fine allenamento. Non è uno stop di poco (il ginocchio fa crack) conto se si pensa che, di fatto, la sua carriera termina proprio in quel momento. “Era la vigilia dei Mondiali del 1998 ed il Mister Maldini mi teneva in grande considerazione. Dai, diciamo che sono stato la fortuna di Vieri. Perché, probabilmente, se ci fossi stato anch’io avrebbe gioca-to meno”, ci scherza qualche anno più tardi. Di fatto, non ritrova più l’italia e, soprattutto, la Juventus decide di privarsene. crystal palace, metz e como, dove il vero padovano non si vede più…

IL QUASI BRASILIANONel gennaio del 2009, l’italia del pallone si trovò a fare i conti con la questione Amauri. Il racconto è fiabesco. A fine gennaio il Ct del Brasile Dunga decide di con-vocare, per la prima volta in carriera, amauri. Lo vuo-le in Verdeoro per la gara, del prossimo 10 febbraio, a Londra, ironia della sorte proprio contro l’italia. La Juventus decide di non lasciar partire il bomber, forte del fatto che è già scaduto il termine legale stabilito dalla Fifa per la convocazione di calciatori che operano

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PARARIGORIE nOn SOLO…

ALCUnI LI SAnnO PARARE, ALTRI LI SAnnO AnChE CALCIARE…

SPECIALE BOMBERPROFESSIONE PORTIERE

SPECIALE BOMBER/ PROFESSIONE PORtIeRe

portieri hanno sempre visto nei calci di ri-gore una possibilità di riscattare la loro scomoda etichetta di ruolo più difficile e ingrato del gioco più popolare al mondo. Quando si trova faccia a faccia con l’av-versario, alla distanza canonica di undici metri, il portiere non ha nulla da perdere

e tutto da guadagnare: se subisce gol è la normalità, ma se vince il duello può diventare l’eroe della sua squadra. Il calcio di rigore è un momento d’irrazionalità allo stato puro, dove per essere protagonisti bisogna possedere una sorta di lucida follia: nervi saldi, concentrazione e un pizzico di sana sfrontatezza, sono gli ingredienti che un buon numero uno deve possedere quando si accinge, nella norma, a parare il tiro dal dischetto, oppure nell’eccezione, a cimentarsi lui stesso da giustiziere. Il nostro racconto sul rapporto tra i calci di rigore e i portieri, non può che iniziare con il mito per eccellenza dei pali, Ri-cardo zamora detto El Divino. Il portierone iberico, autentico mito del calcio degli anni Venti e Trenta, si dice che fosse tal-mente bravo da riuscire sempre a ipnotizzare gli avversari

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IL GRANDE TOLDOLa sua impresa

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di Francesco SCABAR

che si presentavano dal dischetto. Probabilmente si tratta di una leggenda, ma una cosa è certa: zamora, sviluppò una caratteristica fondamentale per il suo ruolo, cioè il saper leg-gere e anticipare mentalmente i movimenti dell’avversario. è proprio per questo che zamora può essere considerato il primo portiere moderno e il primo grande pararigori della storia del calcio.Un eccezionale sesto senso, unito a una follia quasi auto-distruttiva, erano elementi che caratterizzavano Giuseppe “Bepi” Moro, uno dei portieri più talentuosi, stravaganti e allo stesso tempo incompiuti della storia del calcio italiano. Moro, è stato senza dubbio il più grande pararigori mai apparso su un campo di calcio italiano: in carriera infatti ne parò ben 15 su 44! Fu tra l’altro il primo portiere a sviluppare una vera e propria tecnica per parare i rigori: prevedere le mosse del tiratore con delle finte e dei contro-movimenti. L’ir-requieto Bepi, vera testa matta che faticava a restare nella stessa squadra per più di una stagione nonostante il suo ta-lento cristallino, era particolarmente bravo a calcolare il mo-vimento delle gambe e del tronco degli avversari e proprio grazie a queste capacità spesso usciva vincente dalla sfida.

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SPECIALE BOMBER/ PROFESSIONE PORtIeReSPECIALE BOMBER/ PROFESSIONE PORtIeRe

Il più grande pararigori della storia è stato con ogni proba-bilità Lev Yashin: quello che viene considerato il più grande portiere di tutti i tempi detiene il record pressoché imbatti-bile di 150 rigori neutralizzati! Freddo, algido e distaccato, quasi in controtendenza con lo stereotipo del portiere folle, sfrontato e temerario, il russo era favorito anche dalla sua imponente stazza (189 centimetri, un’enormità per l’epoca) e per il suo carisma che, al pari di zamora, riusciva a spa-ventare anche i rigoristi più scafati. Ne sa qualcosa il gran-de Sandro Mazzola, che durante un match di qualificazione agli Europei del 1964, si fece ipnotizzare dal dischetto dal grande Ragno Nero: “Yashin era un gigante nero - ha detto Mazzola, ricordando l’episodio - lo guardai cercando di capi-re dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra, potevo tirare dall'altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin”. Gli anni Ottanta hanno consegnato agli annali due eccezio-nali guardiani, entrambi baffuti, protagonisti dagli undici metri e anche di vicende umane toccanti: lo zimbawese Bru-ce Grobbelaar e il rumeno (ma tedesco di etnia) helmuth Duckadam. Grobbelaar, che da giovane aveva combattuto nella guerra civile in Rhodesia, fu famoso per sue le “spa-ghetti legs” mostrate durante la finale di Coppa Campio-ni nel 1984 contro la Roma all’Olimpico: le danze quasi in stato di trance di Grobbelaar ipnotizzarono i campioni del Mondo Bruno Conti e Ciccio Graziani, regalando la coppa dalle grandi orecchie al suo Liverpool. Duckadam invece fu l’eroe assoluto della Coppa dei Campioni che la Steaua Bu-carest conquistò a Siviglia contro il Barcellona nel 1986. hel-muth riuscì a neutralizzare tutti e quattro i rigori calciati dai blaugrana Alexanco, Pedraza, Pichi Alonso e Marcos, anche se la sua breve ma folgorante carriera calcistica, finì, di fat-to, in quella notte andalusa. Duckadam infatti, nonostante le richieste di mercato da mezza Europa, a partire dalla sta-gione 1986/97 sparì letteralmente dai campi di calcio. Una leggenda dice che il team manager dello Steaua, Valentin Ceausescu, figlio del leader Nicolae, avrebbe ordinato agli agenti della temibile Securitate di spezzare le mani al suo valoroso portiere. La colpa? Duckadam avrebbe ricevuto in omaggio dal Real Madrid, acerrimi e storici rivali del Bar-cellona, una bella Mercedes che invece sarebbe spettata al rampollo dei Ceausescu. La storia, circolata anche nella de-cade successiva alla caduta del regime, è stata confutata di recente dallo stesso Duckadam, che ha rivelato come abbia smesso di giocare dopo il 1986 (anche se provò a rientrare tra i pali tra il 1989 e il 1991 con l’Arad) a causa di una trombosi che gli paralizzò l’arto superiore destro rischiando anche l’amputazione, l’eroe di Siviglia ha smentito anche al-terchi con Valentin Ceausescu, da lui definito un “gentiluomo e patriota” con l’unico difetto di essere diventato paranoico con il corso degli anni.Gli ultimi eroi della cinica lotteria dei rigori sono stati senza ombra di dubbio Francesco Toldo e Oliver Kahn, protagonisti assoluti del biennio 2000/01. Toldo è stato il protagonista indiscusso della semifinale degli Europei tra Olanda e Italia, sia durante i 120 minuti di tempo regolamentare sia durante i calci di rigori. Il portiere allora in forza alla Fiorentina, nel corso dei novanta minuti parò prima un primo rigore al capi-

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perché fu per anni portiere di squadre quotate come Juve e Lazio oltre che della Nazionale. Quando da giovane milita-va nel Modena, in una partita contro il Napoli, Cochi si rese protagonista di un episodio curioso proprio nei confronti del fratello maggiore Arnaldo; era il maggio 1942 e il quarto dei Sentimenti, si presentò sul dischetto per sfidare il fratel-lo maggiore: la battuta fu perfetta e il vecchio Chery (più anziano di sei anni) fu così beffato. Dopo questo fatto i due fratelli non si parlarono per anni, e furono riappacificati solo dall’intervento paterno, la colpa? Uno sfottó rivolto da Cochi al fratello maggiore, che sul dischetto aveva minacciato di spezzargli le braccia con la sua proverbiale cannonata. Sen-timenti IV, che nell’anomalo campionato 1945/46 giocò due partite come giocatore di movimento, in carriera realizzò, oltre al rigore accennato in questo episodio, altri quattro tiri franchi. Un altro numero uno italiano, meno famoso di Sentimenti IV,

tano olandese Frank De Boer e poi ipnotizzò Kluivert che cal-ciò il secondo tiro dagli undici metri sul palo. Durante l’ultima e definitiva resa dei conti, Toldo completò il suo capolavoro prima fermando nuovamente De Boer e poi Bosvelt. Kahn invece è stato l’eroe della finale di Champions League del 2000/01 quando neutralizzò tre rigori su sette, regalando così al suo Bayern il successo sul Valencia di Cuper. Ai giorni nostri, nessuno come Handanovic ma ne parleremo dopo…

DA PASSIVI AD ATTIVI…Alcuni portieri però, oltre che parare rigori, sono stati de-gli straordinari cecchini dagli undici metri. Il primo portie-re-rigorista che si ricordi, almeno nel nostro campionato, fu Lucidio Sentimenti IV, quarto appunto di cinque fratelli tutti calciatori professionisti: Ennio (l’unico a non aver esordito in A), Arnaldo detto Chery, Vittorio detto Ciccio e Primo, oltre naturalmente a Lucidio detto Cochi, il più famoso dei cinque,

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ANTONIO RIGAMONTI

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ma comunque prolifico dal dischetto fu Antonio Rigamonti, classe 1948, portiere che ha vestito le maglie di Atalanta, Cremonese, Como, Milan e Varese. Durante la sua esperien-za triennale in terra comasca, fu designato rigorista dall’al-lenatore Marchioro, tecnico dalle idee innovative, e realizzò ben sei rigori, tre dei quali nella massima serie.I più grandi portieri cecchini dal dischetto però sono stati tutti stranieri, specialmente del Sudamerica, terra che evoca sempre un football poetico e pittoresco, così diverso dall’au-sterità razionale del calcio europeo. Il recordman assoluto è tuttora il brasiliano Rogerio Mucke Ceni, autentica bandie-ra del Sao Paulo: il quarantaduenne Rogerio, conterraneo dell’ex milanista Alexandre Pato, difende infatti i pali del club paulista da ben 25 stagioni, nelle quali ha segnato la bellezza di 126 reti, 61 su punizione (la sua specialità) e 65 su calci di rigore… e non ha ancora intenzione di smettere! Rogerio Ceni è un vero e proprio macina record: di recente ha sfondato il muro delle 1200 presenze, diventando così il calciatore brasiliano ad aver collezionato il numero maggio-re di presenze nella massima serie e inoltre detiene pure il record di aver vinto più partite nel brasilierao!Un altro simbolo del calcio sudamericano è stato José Luis Chilavert, il secondo migliore portiere del continente dopo Amadeo Carrizo secondo l’IFFhS, e autentico simbolo del Ve-lez Sarsfield, club con il quale ha vinto una storica Libertado-res nel 1994. Il “Chila”, come Ceni, fu autentico specialista in rigori (45 le realizzazioni) e calci di punizione (ne ha segnati 15) e, rispetto al brasiliano, è riuscito a impreziosire le sue statistiche con due reti su azione e otto con la maglia della propria Nazionale (Rogerio invece è rimasto a secco con la maglia della Seleçao). Rispetto a Rogerio Ceni e Chilavert, il colombiano René hi-guita, altro mito del calcio anni Novanta, aggiunse un pizzico di sana follia. Famoso per le sue sgroppate palla al piede (ne sa qualcosa il Camerun a Italia 90) e per la mossa dello scorpione sfoderata in un’amichevole a Wembley contro l’In-ghilterra, il folle René che finì anche agli arresti anche per cocaina, può vantare 37 realizzazioni dal dischetto e 4 gol su punizioni.

nESSUnO COME SAMIRDi Thomas SaccaniIL MIGLIOR PARARIGORI IN CIRCOLAzIONE? hANDANOVIC, LO DICONO I NUMERI…

uando un giocatore si trova davanti Handano-vic, il dubbio di vedere il proprio pallone non superare la fatidica linea di porta diventa una quasi certezza. Difficile segnare a Samir, ormai lo sanno tutti. Con il capolavoro di Verona, il nu-

mero uno dell’Inter è salito all’incredibile cifra di 21 rigori parati in carriera nella massima serie italiana. Meglio di lui solo un altro grandissimo portiere come Pagliuca (24). Ma Handanovic sta facendo molto di più. In questa stagione, l’In-ter, tra campionato e coppe, ha subito otto rigore a sfavore. Bene, lo sloveno ne ha neutralizzati ben sette. L’unico a vio-lare la sua immacolata porta è stato Berardi. Sono caduti invece Maxi Lopez (Sampdoria), Cassano (Parma), Larrondo (Torino), Cossu (Cagliari), Toni (Hellas Verona, due volte) e Konopljanka (Dnipro). Impossibile non considerarlo il maestro del mestiere…

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SPECIALE BOMBER/ PROFESSIONE PORtIeReSPECIALE BOMBER/ PROFESSIONE PORtIeRe

Samir Handanovič

GIANLUCA PAGLIUCA ROGERIO MUCKE CENI

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* Dati aggiornati al 12/4/15

Nel continente europeo il primato di reti segnate è del bul-garo Dmitar Ivankov, 63 presenze con la Nazionale bulgara negli anni Duemila e 37 trasformazioni dagli undici metri. Il più celebre portiere rigorista del Continente è però il tede-sco hans Jorg Butt, autore di 32 reti su rigore e protagonista assoluto di un incredibile episodio in un match giocato nel febbraio 2007 tra il suo Bayer Leverkusen e lo Schalke 04: realizzato il rigore con la consueta freddezza, il prode Hans Jorg fu subito sommerso dai compagni esultanti, che però tardarono troppo i festeggiamenti. Nel frattempo l’arbitro aveva fischiato e i giocatori dello Schalke, vedendo Butt an-cora intento a festeggiare la segnatura, con una facile pa-lombella siglarono il più facile dei gol: per fortuna, di Butt naturalmente, fu il Bayer a vincere quella partita!

JOSE LUIS CHILAVERT foto

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UN NUMEROUNO ATIPICOC'è chi interpreta

il ruolo delportiere a

modo suo...

LA LEGGENDA CENIFuori dall'Europa,è lui il numerouno dei portieri

MISTER PARARIGORIHandanovic, un incubo peri rigoristi...

PAGLIUCA SUPERSTARNessuno ha respintopiù penalty in Serie A

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SPECIALE

COPA AMERICA

SPECIALE / COPA AMERICA

UnA DA URLOTUTTI IN CILE PER LA 44ESIMA EDIzIONE DIUN TORNEO DENSODI FUORICLASSE…di Fabrizio PONCIROLIfoto Image Sport e Agenzia Liverani

Copa America, basta la parola… Il mas-simo torneo continentale per nazionali iscritti al Conmebol è pronto a riaprire i battenti. L’appuntamento è fissato per il prossimo 11 giugno, data di inizio della 44esima edizione di un torneo storica-mente denso di fuoriclasse e talento. Per

la settima volta, la Copa America si disputerà in Cile. Inizial-mente doveva giocarsi in Brasile ma, causa i troppi eventi calcistici in terra brasiliana (non ultimo i Mondiali del 2014, oltre che i Giochi Olimpici del 2016), si è deciso di cambiare sede. Tutto è stato deciso ormai, dalla mascotte zincha al brano ufficiale (Contigo, di zaturno, Juan Magan e Denise Rosenthal). Ben 12 le nazionali presenti, con riflettori puntati soprattutto sull’Uruguay. La Celeste, oltre ad essere la squa-dra detentrice del titolo (splendida la cavalcata del 2011), è anche il Paese con più successi in Copa America: 15, ov-vero uno in più dell’Argentina, la cui ultima vittoria risale al 1993. Uruguay che, inoltre, è anche la nazionale con più partecipazioni nel torneo. Con la sua presenza in Cile, salirà a 42 gettoni (due in più dell’Argentina). Inserita nel grup-po B, insieme, ironia della sorte, ad Argentina, Paraguay e Giamaica (quest’ultima invitata alla competizione dopo il rifiuto di Giappone e Cina), la Celeste dovrà fare a meno di Forlan. L’ex nerazzurro ha, da poco, dato il suo addio alla nazionale, lasciando così il palcoscenico al duo Suarez-Cavani, i due nuovi punti di riferimento della squadra alle-nata da Tabárez. Come detto, nello stesso raggruppamen-to ci si potrà divertire con l’Argentina. Per Messi l’ennesima occasione per provare a vincere qualcosa con l’Argentina e smentire tutti coloro che credono sia meraviglioso (e vincente) solamente con la casacca del Barcellona. Tutte da scoprire Paraguay e Giamaica, indubbiamente le due realtà meno apprezzate del girone… Decisamente più equilibrato il gruppo A con Cile, Messico, Ecuador e Bolivia. Il Cile, padro-ne di casa, sogna il suo primo trionfo in Copa America (ad oggi, quattro finali perse, l’ultima nel 1987). Con gente come Medel, Vidal e Alexis Sanchez, l’impresa non pare impossi-

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IL COLPO DELL'URUGUAyNel 2011 la Copa America va alla Celeste di Forlan e Suarez...

individualità (Martinez, Salomon Rondon…). L’obiettivo è di-mostrare che il quarto posto del 2011 non è stato frutto del caso. Insomma 12 nazionali pronte a tutto per ben figurare in una manifestazione che sa regalare sempre grandi emo-zioni. Il sogno è uno solo per tutte: guadagnarsi il pass per la finale del 4 luglio, in programma a Santiago del Cile…

TORnEO AnTIChISSIMOQuasi un secolo di storia. Nata nel 1916, la Copa America è la competizione calcistica per nazioni più vecchia del mondo

bile. Tanta voglia di stupire anche da parte del Messico del Chicharito hernandez, desideroso di ben figurare in Copa America per rilanciare la propria carriera. Dubbi su Ecuador e Bolivia. La Tri(color) è reduce da cinque eliminazioni con-secutive al primo turno e non ha una rosa di grande qualità. Anche La Verde non pare capace di incantare. Anche per la Bolivia cinque eliminazioni al primo turno di fila e, come unico exploit, il successo del lontanissimo 1963. Chiudiamo con il girone C, composto da Brasile, Colombia, Perù e Venezuela. Nomi alla mano, la Seleção è la favorita per eccellenza del

torneo. Neymar si sente pronto per prendersi in mano la na-zionale e farle dimenticare la profonda delusione dell’ultimo Mondiale. Tuttavia, il ricordo dell’eliminazione ai quarti di finale del 2011, è ancora una ferita aperta in casa Brasile che deve far riflettere. Attenzione anche alla Colombia, pos-sibile mina vagante del torneo. Guarin, Cuadrado, Falcao, le stelle non mancano di certo ai Los Cafeteros. Un gradino più in basso ma pur sempre pericolose Perù e Venezuela. La Blanquirroja di Careca è piuttosto giovane ed ambiziosa, La Vinotinto è squadra equilibrata con tanta corsa e buone

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MOMENTI DI GIOIAParaguay battuto,15esima vittoriaper l'Uruguay...

e quella che ha visto disputarsi il maggior numero di edizioni. Inizialmente, fu deciso che il torneo si sarebbe disputato con frequenza annuale, cosa abbastanza insolita per una com-petizione per nazioni, anche se tale consuetudine fu spesso disattesa per vari motivi, soprattutto di carattere politico ed economico. Il trofeo vero e proprio vide la sua comparsa so-lamente dalla seconda edizione quando a sollevarlo fu l’U-ruguay, già vincitore nel 1916. Ben presto le grandi potenze del calcio sudamericano, Brasile ed Argentina, fecero sentire la loro voce, riuscendo ad imporsi rispettivamente nel 1919 e nel 1921. La formula del torneo era un girone all’italiana con partite di sola andata. Tale soluzione è stata ripetuta nel tempo senza particolari mutazioni fino all’epoca moderna, quando la competizione è stata divisa in fasi a gironi e ad eliminazione diretta. Le prime edizioni furono un alternarsi di successi di Argentina ed Uruguay ed un avvicendarsi con-tinuo delle squadre partecipanti e del numero delle stesse. Il record negativo appartiene al torneo del 1925 con solo tre formazioni al via. In quegli anni quello che veniva dispu-tato era il “Campionato Sudamericano delle Nazionali”, solo nel 1937 venne ribattezzato con l’attuale “Copa America”. La competizione, non subì cancellazioni nell’epoca della Se-conda Guerra Mondiale, ma continuò il suo danzare fra gli anni disputandosi sempre con varie cadenze e vedendo nel 1939 la vittoria del Perù e nel 1947 i festeggiamenti per il terzo titolo consecutivo, cosa poi non riuscita più a nessuna formazione, dell’Argentina. zona tormentata il Sudamerica, vittima di dittature terribili e feconda di rivoluzioni storiche. Terra di grandi sofferenze, ma anche capace di gioire nelle difficoltà. Guerre, golpe, crisi economiche hanno fatto spesso da cornice alla Copa impedendo a Paesi di organizzare la competizione o di farvi parte.

atistuta ne ha segnati 13, Ronaldo 10 ma ci sono due giocatori che ne hanno messi a referto ben 17. zizinho e Norberto Mendez, il primo brasi-liano, il secondo argentino, sono i detentori del titolo di massimi goleador della competizione.

Considerato da Pelè, uno dei giocatori più completi e de-cisivi della storia del calcio brasiliano, zizinho ha legato il suo nome principalmente alla maglia del Flamengo, con cui ha giocato dal 1939 al 1950. Vincitore dell’edizione della Copa America del 1949, un anno prima della disfatta del Mondiale del 1950, zizinho ha tenuto una media realizzati-va decisamente interessante in Copa America: in 34 presen-ze complessive (primatista assoluto, insieme al cileno Livin-gstone), snocciolate su sei edizioni complessive, il brasiliano ha siglato 17 reti, quindi un gol ogni due gare. Non male per uno che giostrava parecchio a centrocampo. Indimenticabile una sua partita nell’edizione del 1946. Il Brasile affronta il Cile e si impone con un secco 5-1, con quaterna firmata da uno scatenato zizinho. Curiosa anche la storia di Norberto Mendez, detto “Tucho”. Ex stella di huracan e Racing Club, il bomber argentino ha vinto tre edizioni della Copa Ameri-ca (1945, 1946 e 1947), risultando il capocannoniere della manifestazione nel 1945, in Cile (sei gol, come il brasilia-no Heleno). Anche Mendez ha la sua gara da incorniciare: Argentina-Brasile 3-1, del 1945. Tutti i gol argentini portano la sua firma... Famosa una sua massima “L’Huracan è stata la mia ragazza, il Racing mia moglie e la Nazionale la mia amante”

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LE STORIE DI zIzInhO E MEnDEzDi Thomas SaccaniIL RECORD DI GOL NELLA COPA AMERICA è NELLE MANI DI UN DUO DAVVERO INSOLITO…

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SPECIALE / COPA AMERICASPECIALE / COPA AMERICA

BATIGOL SUDAMERICANO13 i gol di Batistutain Copa America

ALBO D'ORO COPA AMERICA

TITOLI VINTI NAzIONALE EDIzIONI VINTE

15 URUGUAY

1916, 1917, 1920, 1923, 1924, 1926, 1935, 1942, 1956,

1959 (Ecuador), 1967, 1983, 1987,

1995, 2011

14 ARGENTINA

1921, 1925, 1927, 1929, 1937, 1941, 1945, 1947, 1955,

1957, 1959 (Argentina), 1991, 1993

8 BRASILE1919, 1922, 1949, 1989, 1997, 1999,

2004, 20072 PARAGUAY 1953, 19792 PERù 1939, 19751 BOLIVIA 19631 COLOMBIA 2001

* Dati aggiornati all'edizione 2011

DIEGO FORLAN ESULTA GABRIEL BATISTUTA

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SPECIALE / COPA AMERICA

C'è STATO ANCHE PELéLa Copa America èstata giocata ancheda O Rei

MANCA MARADONANessuna Copa Americaper l'asso argentino

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IL TIMBRO DI PELèIl 1959 vide la prima ed ultima partecipazione di Pelè. Era il Brasile campione a Svezia '58, era il Brasile di Garrincha di Didì, di Djalma Santos che arrivò però solo secondo superato dall’Argentina. Le partite si giocarono tutte a Buenos Aires, Pelè fu capocannoniere ma questo non bastò per portare i suoi al titolo. Il 1959 fu un anno particolare perché una seconda edizione venne disputata a dicembre per festeg-giare l'inaugurazione dello Stadio Modelo, a Guayaquil, in Ecuador. A trionfare fu l’Uruguay. Nel 1963 ecco il primo successo storico, sui campi di casa, della Bolivia. Le partite si giocarono ad altitudini proibitive e le squadre ospitate non riuscirono ad adattarsi all’aria rarefatta. La mancata pre-senza dei migliori giocatori di Brasile ed Argentina fece il resto. Grandi novità a partire dall’edizione del 1975 quan-do il torneo assunse davvero la forma di una Copa con gironi iniziali e scontri ad eliminazione diretta. Venne introdotta an-che la finale per il terzo posto in una competizione che, come accadde poi anche nelle edizioni del 1979 e 1983, non fu organizzata da una sola nazione.

LA PRIMA DEL PIBENell’edizione 1979 accade un fatto di notevole impatto me-diatico: scende in campo, per la prima volta, Diego Armando Maradona. Il 10 per eccellenza, come il suo predecessore Pelè, non riuscì a dare la spinta giusta alla sua squadra che venne eliminata subito nella fase a gironi. Maradona non conquistò mai la Copa America. L’edizione la vinse il Para-guay dopo aver battuto in semifinale il Brasile di Socrates, Falcao e zico. Nel 1983 iniziò a splendere la stella di Enzo Francescoli. Il futuro giocatore del Cagliari portò i suoi alla vittoria in coppia con l’ex di Torino e Genoa, Carlos Agui-lera. Con Francescoli in campo l’Uruguay divenne Campione

n Italia, zona Genova, il nome Guillermo Stabile è familiare. Nato a Buenos Aires nel lontano 17 gennaio 1905, ha, infatti, legato i migliori anni della sua vita da calciatore, al Genoa. Ingag-giato dal Grifone nel 1930, ha giocato cinque

stagioni in rossoblù (dal 1930 al 1936, con una breve pa-rentesi al Napoli), mostrando un grande feeling con il gol (16 reti). Non fosse stato per gli infortuni, sarebbe stato uno dei primi crack del nostro calcio. Per fortuna, da allenatore, la Dea bendata è stata spesso dalla sua parte. A capo della nazionale argentina, guidata dal 1939 al 1958, con anche un nuovo ritorno nel 1960, ha vinto ben sei Copa America (1941, 1945, 1946, 1947, 1955 e 1957), diventando, di gran lunga, il Ct più vincente nella storia della manifesta-zione. In realtà, assecondando il parere di molti statisti, le edizioni vinte da Stabile sarebbero sette. Tutto ruota attor-no all’edizione 1959. In quel particolare anno, a causa di

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MISTER SEI (O SETTE?)VOLTE…Di Thomas SaccaniGUILLERMO STABILE hA VINTO PIù DI TUTTI IN COPAAMERICA, MA C’è UN GIALLO ChE LO ACCOMPAGNA…

SPECIALE / COPA AMERICA

problemi interni al Conmebol, si disputano due edizioni del-la Copa America. La prima va in scena in Argentina, dal 7 marzo al 4 aprile. Vi partecipano “solo” sette nazionali, in un “tutti contro tutti” che, alla fine, regala il successo all’Al-biceleste (11 punti finali, uno in più del Brasile di Pelè). La gara decisiva è l’ultima, quella del 4 aprile a Buenos Aires, con l’Argentina che ferma il Brasile sull’1-1 (Pizzuti per gli argentini, O Rey per i brasiliani), risultato che incorona l’Ar-gentina. Nello stesso anno, in Ecuador, dal 5 al 25 dicembre 1959, cinque nazionali si giocano la seconda Copa America annuale e, questa volta, a spuntarla è l’Uruguay che, con la medesima formula della precedente edizione in terra argen-tina, ha la meglio proprio sull’Argentina… Ma dove sta l’in-ganno? Semplice, secondo diversi storici del calcio argentino, di fatto, quella nazionale vittoriosa nell’edizione primaverile della Copa America era guidata, in panchina, dal triunvirato Spinetto-Della Torre-Barreiro e non da Stabile che era solo formalmente ancora sotto contratto con la Federazione (ci tornerà, infatti, nel 1960). Quell’edizione, quindi, andrebbe, di logica, assegnata al terzetto Spinetto-Della Torre-Barreiro e non a Stabile. Un fatto è certo, dopo il “regno” di Stabile, l’Argentina ha vinto solo in tre occasioni: 1959 (stiamo dalla parte di chi assegna il titolo al triunvirato), 1991 e 1993… Su questo dato non ci sono dubbi.

anche nel 1987 e nel 1995. L’edizione del 1987 fu nuova-mente disputata in un solo paese e fu la prima edizione me-diatica, trasmessa in Europa e Nord America. Nel mezzo, nel 1989, s’interruppe il lungo digiuno del Brasile che tornò sul tetto del Sudamerica dopo quarant’anni dall’ultimo successo. L’edizione si svolse con tre gironi preliminari ed un girone finale che prese il via proprio in Brasile. La partita decisiva, risolta da un gol di Romario, e giocata al Maracanà, fu se-guita, record della manifestazione, da 170.000 spettatori.

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OSCAR TABAREZ

TIFOSI DELLA COLOMBIATIFOSA DEL CILE

NEyMARJAVIER HERNANDEZ

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SPECIALE / COPA AMERICASPECIALE / COPA AMERICA

a Copa America è anche la “patria” delle sto-rie impossibili ma incredibilmente vere. Una del-le più straordinarie riguarda ángel Napoleón Medina Fabre, uno dei portieri più leggendari della storia calcistica dell’Ecuador (scompar-

so, a 85 anni, nel 2006). Con humberto Vasquez e Ignacio Molina, eroi della nazionale ecuadoregna ormai al pas-so d’addio, nel 1942, a difendere i pali dell’Ecuador alla Copa America in Uruguay ci va lui, il nativo di Guayaquil. Le squadre partecipanti sono sette e per la Tri(color) l’im-perativo è non sfigurare. Le gare da disputare sono sei (si gioca al classico “tutti contro tutti”). L’inizio non è confortante. Nella gara d’esordio contro il fortissimo Uruguay, l’Ecuador e, di conseguenza, Medina, ne prende sette (7-0 il fina-le). Contro l’Argentina, quattro giorni più tardi, va ancora peggio: 12-0 con l’argentino Moreno mattatore con cinque reti. Trascorrono tre giorni e arrivano altri tre gol al passi-vo (da parte del Paraguay). La partita della vita è contro il Perù, squadra di egual forza ma Guzman, al 78’, porta in dote una nuova sconfitta per la Tri(color) e altri due gol sul groppone di Medina. Nel turno successivo c’è il Brasile: 5-1 e niente storia. Si chiude con il Cile, con “soli” due gol al passivo. Il totale, in sei gare giocate, fa 31 gol subiti. Un record impossibile ma, per sfortuna di Medina, reale…

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Un TORnEO DADIMEnTICAREDi Thomas SACCANI1942, L’URUGUAY STRAVINCE E NAPOLEON MEDINA PIANGE 31 VOLTE…

nOn SOLO COPA AMERICADall’edizione del 1993 in Ecuador, furono invitate formazio-ni non sudamericane. La prima squadra a partecipare fu il Messico, presenza poi fissa, seguita da honduras, Costa Rica, Stati Uniti e, dal 1999, Giappone. Il Brasile tornò campione nel 1997 riuscendo, per la prima volta nella sua storia, a con-quistare il trofeo lontano da casa. Fu la Copa di Ronaldo. Il Fenomeno, con Rivaldo, fu protagonista anche due anni dopo ed il Brasile riuscì a fare il bis. Il nuovo millennio si aprì con il primo successo a sorpresa di una Colombia guidata sempre dal grande guru Maturana, ma orfana delle sue stelle degli anni '90. A decidere la finale un gol dell’interista Ivan Ramiro Cordoba. Nel 2004 e nel 2007 trionfatore sempre il Brasile, un Brasile sperimentale, senza tutte le sue stelle, e sempre in finale contro l’Argentina. E siamo all’edizione 2011, con il successo dell’Uruguay. La Celeste viene decisa da Forlan, autore di una doppietta nella finale vinta, con un secco 3-0 (l’altra rete a firma di Suarez), sul Paraguay, quest’ultimo capace di eliminare il Brasile, ai rigori, nei quarti di finale.

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TANTI CAMPIONIOggi Messi, ieri Ronaldo,

la Copa non tradisce mai...

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JUAN CUADRADO

ARTURO VIDAL

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SERIE B/ VIRTUS ENTELLA

UN BEL NUMERO UNOParoni, giocatore con un talento tutto da vedere

barcato a Chiavari nel 2008 Andrea Pa-roni è stato uno dei protagonisti della ca-valcata della Virtus Entella, passata in cin-

que stagioni dalla Serie D alla Serie B, traguardo storico per la società del levante ligure. Stagioni vissute sempre da titolare per diventare uno dei leader di quel gruppo stori-co che è la forza del club.

appena maggiorenne ha lasciato la provincia di Udine per chiavari. che ricordi ha di quel trasferimento?“Quando arrivò la proposta non ci pensai molto e accettai quasi subi-to. Dopo l'esperienza con la Prima-vera dell'Udinese avevo voglia di giocare con continuità, da titolare perché a quell'età se non giochi non capisci quali sono i tuoi limiti e non puoi crescere. Per questo ac-cettai la Serie D e la Virtus Entella, non volevo fare la panchina in una serie superiore, non perché non ac-cettassi il ruolo di riserva, ma perché pensavo e penso ancora che a 18-19 anni si debba giocare. È stata inoltre un'esperienza di vita perché mi sono trasferito a 500km da casa lasciando famiglia e amici per tuf-farmi in una città che ora è casa mia da tanti anni”.

a chiavari subito una maglia da ti-tolare che non ha più lasciato fino alla B. Si capiva già allora che si po-teva fare la storia?“Il primo campionato fu di transizio-ne visto che la squadra era stata appena promossa dall'Eccellenza e c'era una nuova società, ma si capiva che il presidente aveva pro-getti importanti e ambiziosi. L'anno dopo infatti arrivammo a un soffio dalla promozione venendo eliminati solo dal Casale, ma poi a causa dei fallimenti di tante squadre arrivò co-munque la Lega Pro tramite il ripe-scaggio ed è iniziato il nostro cam-mino verso traguardi importanti”.

Il suo primo mister è stato Terzulli. Quanto è stato importante per la sua crescita?“Mi volle fortemente, così come il direttore sportivo, venendomi a ve-dere in diverse occasioni quando giocavo con la Primavera. Mi ha trasmesso fiducia e mi ha sempre dimostrato una grande stima fa-cendomi giocare subito da titolare e aiutandomi a inserirmi e ambien-

tarmi in un campionato vero dove contano i punti che si fanno e si gio-ca coi grandi. Lo ringrazio per tutto quello che ha fatto per me”.

In Lega Pro avete tenuto la media di una promozione ogni due anni. Quando avete capito di poter arri-vare in Serie B?“Dopo il primo anno in cui conqui-stammo la salvezza siamo sempre stati protagonisti nel nostro girone. Il secondo anno siamo arrivati a un passo dalla promozione venendo battuti dal Cuneo in finale, ma poi arrivò lo stesso la Prima Divisione grazie al ripescaggio. L'anno dopo partendo per salvarci siamo arriva-ti a un passo dalla Serie B uscendo contro un Lecce costruito per la promozione. Infine l'anno passato c'è stata una cavalcata incredibile conclusa con la storica promozione in Serie B. La società è stata brava a costruire la squadra nel tempo, attorno a un nucleo storico e miglio-rando anno dopo anno con l'inne-sto dei giocatori giusti”.

Quattro anni firmati Luca Prina.“Anche se come portiere sono più a contatto coi preparatori, il mister ha dato davvero molto in questi anni. È arrivato a stagione in corso nel pri-mo anno di Lega Pro e ci ha por-tati alla salvezza e poi ai traguardi che tutti conosciamo. Ha fatto cose importanti e tutti gli sono grati per il lavoro svolto”.

In questa stagione per la prima volta hai trovato la concorrenza di un portiere importante come Ivan Pelizzoli. com'è il vostro rapporto? cosa ha imparato da lui?“In estate la società ha fatto la scel-ta di puntare su un portiere esper-to come Ivan, che ha giocato con maglie importanti come quelle di Atalanta e Roma. Per me è stato uno stimolo e fin dal primo giorno ho cercato di imparare da lui e rubar-gli qualche segreto. Quando hai la possibilità di allenarti tutti i giorni con un portiere come Ivan sei fortunato e lo devi sfruttare per cercare di migliorati ulteriormente. Vorrei però spendere due parole anche per Achille Coser, altro portiere che co-nosce tanto la categoria e lo scorso anno ha contribuito alla promozio-ne del Cesena in Serie A. Anche da lui sto imparando molto e mi ri-tengo fortunato di potermi allenare con due portieri di questo livello e di

questa esperienza”.

Si mette spesso l'accento sulla forza del gruppo e il legame fra squadra e città. Sono questi i segreti della virtus?“Credo che per una realtà come Chiavari trovare un presidente come Gozzi che ha riportato la squadra a certi livelli ridando fidu-cia ed entusiasmo all'ambiente sia una fortuna. Il rapporto con la città è importante per un giocatore e qui non manca giorno in cui non si sen-ta la stima e l'affetto della gente nei nostri confronti. Per quanto riguarda il gruppo si è formato e consolida-to negli anni visto che diversi di noi hanno vissuto tutta la scalata. La so-cietà ha saputo scegliere bene non solo i giocatori, ma anche le perso-ne e sono stati ripagati”.

a livello personale che obiettivi si pone?“Ora l'unica cosa importante è la salvezza, perché questo è un gioco di squadra e non individuale. Se la squadra va male di conseguenza vai male anche tu. Ed è giusto così, prima vengono gli obiettivi di squa-dra e poi quelli personali altrimenti farei un altro sport, per esempio il tennis. Poi certo ora che sono arri-vato in Serie B dopo tanta gavetta spero di confermarmi in questa serie e di restarci ancora a lungo”.

In Italia si parla spesso di una crisi nel ruolo, ma negli ultimi anni tanti giovani si stanno mettendo in mo-stra fra i pali, anche se non sem-pre vengono considerati dai grandi club Secondo lei a cosa è dovuta questa scarsa fiducia?“I preparatori italiani sono i migliori al mondo e la nostra scuola resta sempre fra le prime, il problema è la mancanza di fiducia. Perché a un giovane serve sentire la fiducia per rendere al meglio e serve che questa ci sia anche quando inevi-tabilmente sbaglia. È un discorso che vale per noi portieri come per gli altri giocatori di movimento. In Italia questa fiducia spesso manca mentre all'estero c'è una mentalità diversa che spinge i tecnici e le so-cietà a far giocare i ragazzi giovani. Nonostante ciò in questa stagione ci sono tanti portieri promettenti che si sono messi in luce, penso ai fratelli Gomis, a Provedel fino a Ga-briel che sta facendo cose straordi-narie a Carpi”.

DALLA SERIE D FINO ALLA CADETTERIA, SEMPRE CON LA CONSAPEVOLEzzA DI DOVER MIGLIORARE. LA STORIA DI PARONI…

IL mURo dELLavIRTUS EnTELLa

SERIE BVIRTUS ENTELLA

di Tommaso MASCHIO

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LEGA PRO/ NOVARA

LA FORZA DI FREDDIIl Novara, a livello di risultati, sta stupendo tutti...

squadra azzurra possiede una delle difese meno perforate dell’intero girone A. Fondamentali per lo scac-chiere di Toscano, in zona difensiva ma anche offensiva, sono soprat-tutto gianluca Freddi, difensore-goleador con diversi gol all’attivo, arrivato la scorsa estate dal Brescia, e desiderio garufo, esterno destro proveniente dal Trapani, che ha già sfornato 5 assist vincenti per i propri compagni.

Intervistati in esclusiva da Cal-cio2000, i due hanno provato a spiegare le difficoltà che la squadra ha avuto nella prima parte di sta-gione. “All’inizio non è stato facile calarsi nella nuova categoria – ci dice Freddi - perché molti di noi provenivano dalla Serie B, altri ad-dirittura avevano giocato in Serie A. La squadra è stata modificata molto rispetto all’anno passato, per cui in un primo momento era im-portante conoscersi e soprattutto capire le richieste dell’allenatore. I risultati in quel periodo non arriva-vano, ma nonostante questo le pre-stazioni sono sempre state ottime”. Per Garufo, arrivato a Novara, “per puntare alla Serie A”, perché in un primo momento c’era la speranza di disputare il campionato di Serie B, in avvio ha pesato il fatto di aver perso una categoria. “L’esclusione dal campionato cadetto è stata una piccola delusione, ma le soddisfazioni raccolte in Lega Pro, soprattutto dalla fine del girone d’andata ad oggi, hanno già fatto dimenticare le vicende di fine estate. Non abbiamo trovato avversari che ci abbiano realmente messo in difficoltà. Negli scontri diretti contro le compagini più quo-tate abbiamo sempre avuto la meglio. Se dovessi fare il nome di un club che ci ha fatto sof-frire più degli altri direi la Feral-pisalò”.Non è sempre facile l’appro-do in una nuova società, ma “l’ambientamento è avvenuto senza alcuna difficoltà – conti-nua l’ex Brescia Freddi - Cono-scevo già Bergamelli, con cui ho un grande rapporto di ami-cizia anche fuori dal campo, e lui senza dubbio mi ha aiutato ad integrarmi con il gruppo. Molti compagni di squadra li avevo sfidati negli anni pre-cedenti, ma anche con loro mi sono trovato sin da subito a mio agio”.

La piazza novarese negli ultimi anni è stata abituata ad accogliere al Piola squadre come Inter, Milan e Juve tra le altre, ma i tifosi hanno dimostrato di essere molto lega-ti ai propri colori e il loro supporto, anche nei momenti meno felici, è stato fondamentale: “Io non ho mai sentito fischi verso la squadra, magari un po' di dissenso, ma non fischi. Purtroppo in alcune occasioni la fortuna non era dalla nostra par-te: creavamo occasioni, ma la pal-la non ne voleva sapere di entrare in rete. Da parte dei supporters c’è stato sempre incoraggiamento, poi una volta che siamo riusciti a sbloc-carci e a vincere più partite conse-cutivamente il loro tifo è stato anco-ra più importante per noi”.Per l’andamento del campionato, secondo Garufo, è stato fonda-mentale l’apporto dato dai giovani: “Molti di loro mi hanno stupito. Fara-gò e Vicari li conoscevo già dall’an-no scorso, avendoli sfidati quando giocavo nel Trapani, le sorprese quindi per me sono state Dickmann, Schiavi e Bianchi. Ma anche i ra-gazzi che ho citato in precedenza stanno confermando in Lega Pro quanto di buono fatto vedere l’an-no passato”.

I due difensori nella stagione hanno dimostrato di poter dire la loro an-

che in fase offensiva, contribuendo a siglare ben nove reti. “Io nella mia carriera ho sempre avuto un buon fiuto del gol – ci confida Freddi - no-nostante a Brescia non fossi riusci-to a segnare. Comunque il merito va condiviso con i miei compagni, che sono molto abili nel crossare. Io cerco sempre di smarcarmi al me-glio e farmi trovare nel punto giusto quando arriva il passaggio. L’alle-natore in seconda, Michele Napo-li, cura molto meticolosamente le palle inattive. Gran parte del merito per i gol che realizziamo in questo modo è da attribuire a lui”. Garufo, da parte sua, ha dichiarato che i cinque assist vincenti ai compagni sono frutto del calcio moderno, in-fatti “gli esterni sono fondamentali al giorno d’oggi, non solo nel mo-dulo di mister Toscano. Sia con la difesa a 3 che a 4, chi ricopre quel ruolo è molto importante per l’inte-ro gruppo. I laterali coprono tutta la fascia, sono i ‘polmoni’ della squa-dra”. Visto il recentissimo passato in Serie B, non poteva mancare un’opinio-ne sull’assoluta rivelazione dell’at-tuale campionato cadetto, il Carpi di Castori. “Già l’anno scorso era una buona squadra – l’opinione di Freddi - Sinceramente non pen-savo che quest’anno potesse fare un campionato di questo livello.

Noi abbiamo un gruppo che può emulare quanto fatto dal Carpi. La nostra rosa è compo-sta da 24 giocatori di assoluto livello, speriamo che anche il Novara in pochi anni possa tornare nella massima serie”. Secondo l’ex Trapani il merito del successo del Carpi, oltre che del tecnico, è soprattutto della dirigenza: “Nel merita-tissimo primato della squadra si vede la mano della socie-tà, che negli anni ha portato avanti un grande progetto: non sono mai stati acquistati giocatori con nomi altisonanti, bensì calciatori con fame e vo-glia di imparare e crescere. Se andiamo a vedere la maggior parte sono ragazzi che hanno fatto negli anni l’escalation con il Carpi, altri invece sono giocatori che in passato già militavano in Serie B con altre squadre. Questo è un mix vin-cente, e anche il Novara da anni porta avanti un progetto di questo tipo. Per questo mo-tivo non possiamo che essere ottimisti per il futuro”.

INTERVISTA A FREDDI E GARUFO, DUE COLONNE DEL NOVARA ChE VINCE

L’aLTRa novaRadI SUccESSo

LEga PRoNOVARA

di Alessandro COSATTINI

opo un inizio con il freno a mano tirato, in casa Novara da un po' di tempo a questa parte le cose vanno decisamente meglio (giustizia sportiva a parte). Molti giocatori, abituati a palcoscenici più importanti, inizialmente hanno sofferto l’approccio con la Lega Pro: tra questi Pablo Gonzalez, che nell’anno del No-vara in Serie A lasciò brutti ricordi ai tifosi nerazzurri, ma anche Pesce, che ha disputato la massima serie del calcio italiano con la maglia della società piemontese e anche con quella del Catania. I meriti dell’annata novarese sono, però, di tutto il gruppo creato dalla società nella scorsa estate: la DESIDERIO GARUFOfo

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SERIE D/ MONOPOLI

UN GRUPPO VINCENTEQuando si inizia a vincere si vuole sempre di più...

onopoli: lo dici e tutti pensano si tratti di un gioco da tavolo. Erro-re. Monopoli, oltre che una città, s’intende, è una casacca bianca

e verde a strisce verticali: “Con dei tifosi fantastici” – afferma capitan Esposito, difensore centrale, intervi-stato durante il viaggio di ritorno in pullman all’indomani della vittoria in finale di Coppa. Oltre settecento chilometri separano Firenze, sede dell’atto conclusivo, da casa, ma: “Ieri allo stadio, c’erano mille perso-ne per noi, per supportarci fino alla fine, non è cosa da tutti. La tifoseria ci è stata sempre vicina, mostrando un grande attaccamento, specie in trasferte incredibili come quella di Agrigento o nella semifinale gioca-ta a Roma. Non so quanti sarebbe-ro disposti a lasciare per un giorno il proprio posto di lavoro pur di segui-re la propria squadra, loro lo hanno sempre fatto”. Ma, asfalto a parte, la strada che ha portato alla vittoria sulla Correggese è stata lunga, an-che in campo: “È stato un percorso incredibile, iniziato ad agosto, che ci ha visti prevalere su squadre che adesso stanno vincendo il campio-nato nel proprio girone, è il caso del-la Lupa Castelli Romani o dell’Akra-gas… e che vittoria a Taranto. Turno dopo turno abbiamo preso sempre più coraggio e sentivamo di po-tercela fare. È stata fondamentale la vittoria in casa con il Terracina, perché è arrivata in prossimità del mercato: se avessimo ottenuto un risultato diverso, probabilmente la nostra storia sarebbe cambiata, in-vece abbiamo vinto e siamo andati avanti”. Poi una deviazione sfortu-nata in area e il sogno sembra in-frangersi proprio in vista del traguar-do: “Che sfortuna l’autogol in avvio.

È uno di quegli episodi che possono condizionare una partita intera”. Proprio come può essere condizio-nante un cartellino giallo per un di-fensore, anche se ha sempre avuto Alessandro Nesta come punto di riferimento: “Esatto, perché nel mio ruolo si è sempre costretti a rincor-rere l’avversario e a marcarlo, ed è facile beccarsi il cartellino. Essere ammoniti comporta una maggiore attenzione, devi essere in grado di rimanere calmo e gestirti per tutto il resto della gara, perché se sbagli rischi di lasciare la tua squadra in inferiorità numerica”. Poi l’interval-lo, le riflessioni e la rimonta: “Nello spogliatoio ci siamo riuniti e abbia-mo capito che non potevamo de-ludere il nostro pubblico e noi stessi. Avevamo puntato tutto sulla coppa e guardarci negli occhi ci ha fatto capire che insieme potevamo far-cela. Siamo rientrati con un piglio diverso e abbiamo ribaltato la par-tita con un gol su azione ed uno su palla inattiva. Da quel momento in poi non facevo altro che aspettare la fine. Non potevamo non farcela, abbiamo superato tante situazioni difficili che una squadra senza attri-buti non avrebbe retto. La vittoria ce la siamo meritata”. Una cavalcata trionfale, insomma, che fa a cazzot-ti con i risultati modesti ottenuti dai monopolitani in campionato: “Sono le cose inspiegabili del calcio. In campionato purtroppo abbiamo avuto delle difficoltà all’inizio e ad un certo punto il nostro obiettivo è diventato la coppa, puntando alla salvezza sull’altro fronte. Strano, piuttosto, è che una parte della ti-foseria ci chiese di vincere questa competizione fin dall’inizio, in tanti anni di calcio non mi era mai ca-pitata una cosa del genere”. Tifosi accontentati e primo trofeo in ba-

checa nella storia del club: “A con-clusione di una stagione più che po-sitiva, che ora ci vedrà protagonisti anche ai play off. La promozione è possibile, perché se qualche socie-tà non si dovesse iscrivere in Lega Pro, noi saremo tra le prime posizioni in caso di un eventuale ripescag-gio. La piazza lo merita, noi ce la metteremo tutta come abbiamo sempre fatto. Ci crediamo”. Intanto c’è da rispettare la seconda parte del motto “prima il dovere e poi il piacere”. Un piacere che si chiama festa, con annesse emozioni: “Ho avuto la fortuna di vincere qualche campionato e posso dire che si trat-ta di un momento fantastico, ma avere la possibilità di alzare un tro-feo, anche davanti alle telecamere (la partita era trasmessa in diretta tv nazionale, ndr) è un’emozione che solo chi fa parte di questo mondo può comprendere. La festa in cam-po è stata lunga, sia per noi che per i nostri tifosi. Poi siamo rientrati in albergo e abbiamo cenato tutti insieme, riservando anche un po’ di spazio a qualche coro. Alla fine era-vamo a pezzi per la stanchezza, ma non è finita, perché a Monopoli ci aspettano allo stadio e lì continue-remo”. Ma è chiaro che se si vince, il merito è sì di chi gioca ma anche di chi in qualche modo contribuisce o ha contribuito: “Il merito è di tutti. Ci sono calciatori con cui abbiamo iniziato questo cammino insieme e che poi nel mercato sono andati via, c’è il direttore sportivo che ha allestito la squadra e poi è andato via. Sono state tutte persone fonda-mentali per la nostra vittoria. E rin-grazio anche voi che avete portato bene, anzi benissimo, quando ave-te chiamato per fissare l’intervista (ride, ndr). Altrimenti oggi sarei stato tristissimo”.

COPPA ITALIA DI SERIE D IN BAChECA E ORA C’è UN ALTRO SOGNO…

monoPoLI, haI vInTo!

SERIE dMONOPOLI

di Simone TONINATO

GIOVANNI PINTO

PASQUALE ESPOSITO

TOMMASO MANZO

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L’AGEnTEDELLA

VIA GLUCK

CRESCIUTO A CALCIO E CELENTANO, VIGORELLI SI RACCONTA: DALLE GIOIE DEL1982 SINO ALL’INCONTRO CON MANDELA.

di Marco CONTERIO

foto Porta/Photoviews

I RE DeL MeRCAtO

CLAUDIO VIGORELLI

I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI

UN AGENTE ELEGANTEVigorelli ha una

passione visceraleper il proprio mestiere...

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PROCACCIATOREDI OSPITI

Ha cominciatoportando calciatori

nei programmi televisivi...

I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI

a vita è fatta d'in-contri straordinari, di attimi e di sem-plicità. Che in sé ha qualcosa di magico, che ti prende l'ani-ma e che ti fa senti-

re a casa. Per questo Claudio Vigorelli si sente “uno della via Gluck”. Definisce la sua vita e la sua carriera fatta da “tanti punti di svolta ed altrettanti di partenza”. Però c'è sempre una casa, quella dei grandi prati verdi, che non si può dimenticare. E da quelle speranze parte la storia di uno degli agenti ed intermediari più conosciuti del panora-ma italiano ed internazionale. Ma non aspettatevi che gloria faccia rima con boria. Non sempre è così, non in que-sto caso. Vigorelli non ama parlar di sé e per questo convincerlo a raccontar-si è stato tutt'altro che semplice. È una persona riservata, umile. Uno della Via Gluck, appunto.

quella di Adriano Celentano.“Quella dove sono nato, cresciuto. Via zuretti 33, una parallela. Da me si par-lava solo di Celentano. Per questo, anche oggi, mi sento più rock che lento. Mi feci anche regalare una batteria, da bambi-

no, perché i miei anni dell'infanzia erano i suoi ma anche quelli dei Beatles”.

La vita la porterà poi a girare il mon-do, ma sembra esserci sempre una costante. Milano.“Sono milanese ed orgoglioso di esserlo. È casa mia, dove sono cresciuto, dove ho studiato, dove ho le mie profonde radici”.

Dove è nato anche il suo amore per il football.“Ho sempre impressa nella memoria la mia prima partita. Mia madre era tifo-sissima del Milan, andammo a vedere la gara contro la Roma nel secondo anello dei popolari. In tram, passando a pren-dere mia zia: io, piccolo, con due donne allo stadio. Era il Milan di Rivera”.

Era un altro calcio, pure. Che lei, ai

tempi, osservava con occhi sognanti.“Intanto mi diplomai in ragioneria, poi iniziai a lavorare. Ho fatto il rappresen-tante di tessuti, l'agente di commercio, poi ho iniziato a lavorare in un'agenzia pubblicitaria. All'epoca il lavoro non mancava, negli anni '80 c'era la possibi-lità per realizzarsi e per cercar di seguire la propria strada”.

Di cosa si occupava, in particolare?“Portavo ospiti del mondo del calcio, da Signori a zola, da Peruzzi a tutti quelli di quegli anni, nei programmi televisivi. Fu il mio approccio lavorativo col pallone e non da appassionato, anche se non ho mai perso la voglia e l'amore per questo mestiere”.

Che l'ha portata a fare incontri impor-tanti, con grandi del pallone.“Nel mio studio ho un quadro che ritrae la maglia della Nazionale del 1982 con le firme di tutti i giocatori. Ecco: era l'anno della mia maturità, vedevo quei campioni come icone, come simboli, nel televisore in bianco e nero a casa. È stato un punto altissimo per l'Italia, non solo calcistica. Ed aver avuto, poi, il privilegio di lavo-rare e di conoscere, bene, persone come Oriali, Tardelli, Collovati e tutti gli altri,

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è stato splendido. È l'aspetto romantico che mi piace ancora del mio mestiere”.

Piccola parentesi, sempre sui Mon-diali: nel 2006, il 'suo' Materazzi vin-se il Mondiale da protagonista.“Immaginatevi l'emozione, la soddisfa-zione, per uno come me nato e cresciuto a Spagna '82”.

Ci ha provato anche da giocatore?“Sì, ma ero un terzinaccio e solo a livelli dilettantistici”.

Ok, andiamo oltre. Siamo al 1990, la-vora per IMG e cura il marketing spor-tivo dei calciatori.“un'agenzia americana, tra le prime a livello mondiale e globale. Gestivamo lo sport management a tutto tondo: io mi occupavo del calcio, ma aveva ed ha branche che riguardano tantissime disci-pline. È stata, a livello formativo, un'e-sperienza davvero importante, che mi ha fatto capire che lavorare oltre i confini è determinante per la crescita dell'uomo e del professionista”.

Da lì, inizia però a fare anche l'agente.“Il mio primo cliente è stato Michelan-gelo Rampulla. Adesso, nel 2015, posso dire di far questo mestiere da venticinque anni ma... Non sono mai contento, mai soddisfatto, mi lamento sempre. Tutto è sempre un nuovo punto di partenza, d'i-nizio, mai di arrivo”.

Il primo, però, è importante.“L'esame lo feci nel 1991, quando feci anche una breve esperienza con l'Avvo-cato Fornaro, agente all'epoca di zenga, Collovati ed altri campioni”.

Com'è stato passare dall'altra parte della barricata?“Ricordo benissimo la prima telefonata con Ariedo Braida, allora uomo mercato

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due anni vincere con Alberto è stata una grande soddisfazione. E dire che poteva andare alla Lazio”.

Prego?“Sì, Cragnotti voleva prenderlo, ma poi era impegnato a cercar di strappare Ro-naldo all'Inter. Per questo il ds del Mon-za, Terraneo, mi avvertì e chiudemmo ra-pidamente col Milan. Prima dicevo della soddisfazione: è questo il bello. È questa la magia. Quando sei intermediario, ok, c'è il business e c'è il lavoro. Ma quando vedi crescere i ragazzi e li vedi arrivare ai traguardi sognati, allora lì ti si riempie il cuore di gioia”.

Ed il portafogli, tanto che c'è chi vi de-finisce come i padroni del calcio.“È una cosa che non riesco, ancora, a capire. Il nostro lavoro comporta grandi rischi, sei imprenditore di te stesso. Ogni volta, cerchi di assistere un talento che non sai mai se arriverà. Non siamo tutti quelli del macchinone e delle sparate a microfoni accesi, ma dei professionisti. Io

del Milan. una persona eccezionale, ma avevo la voce tremante, imbarazzata al telefono e figuriamoci per il primo ap-puntamento. Era per Francesco Antonio-li. Sa, non è facile entrare in un mondo dove non sei mai stato calciatore, che non hai vissuto in precedenza. Devi ven-dere la tua professionalità e non hai le porte aperte, non ti conoscono e per que-sto, inizialmente, devi far più fatica. Ma c'è anche grande soddisfazione”.

La cosiddetta gavetta.“Vivo questo mestiere, ma pure la mia vita, con profonda umiltà. Credo che la serietà paghi sempre, anche se poi ci sono dei fattori esterni che mi hanno chiaramente aiutato: ho iniziato con gio-catori di alto profilo e vivere a Milano, tanto per non perdere il filo del discorso, è stato un vantaggio. È il centro del mon-do del calcio italiano, dove capita sem-pre di incrociare direttori o presidenti”.

non le piacciono però le luci della ri-balta.

non ho mai messo la pistola alla tempia di nessuna società per chiudere un affare, mi fa venir rabbia questa definizione an-che se ci sono alcuni fenomeni mediatici che certo fanno pensare che possa essere azzeccata. Ma non è così”.

Viriamo di rotta: prendiamo un aereo, voliamo in Africa, una terra che le ha regalato una grande soddisfazione professionale come Samuel Eto'o.“Mi permette prima uno 'scalo' in Suda-frica?”

Ci mancherebbe.“Perché questo lavoro è fatto anche di

“Mi piace farlo dietro le quinte, non es-sere protagonista. È il calciatore che fa diventare grande l'agente: puoi magari supportarlo cambiandogli strada inizial-mente, ma poi dipende tutto da lui”.

Postilla per chi non la conosce: è mol-to pacato, umile, ma nelle trattative ha la fama di essere uno tosto.“Credo che la negoziazione sia media-zione. A volte sei intermediario di un club che cede, un'altra di quello che vende, una del calciatore o a volte agente di un ragazzo. Amo il mio lavoro ed an-che quello di gruppo, però credo che sia un mestiere molto personalizzante. Però, per la filosofia americana che mi porto

belle storie, da vivere, da raccontare. Come una tre giorni in Sudafrica con Pantaleo Corvino, allora direttore spor-tivo del Lecce. Prendemmo un aereo per vedere un giocatore il venerdì da Mila-no. Arrivammo a Johannesburg, un mio contatto ci portò alla partita, a trecento chilometri di macchina di distanza. Dopo pochi minuti, il ragazzo si infortunò gra-vemente e... Non se ne fece di niente. Due giorni dopo, eravamo già in Italia”.

ne avrà, di storie come queste.“Prima mi chiedeva degli incontri. In Su-dafrica ho conosciuto Nelson Mandela. È stata un'emozione fortissima”.

Immagino. Parliamo di ben altra cosa, in quel caso.“una persona affascinante, in una terra splendida. Avrei voluto star lì delle ore”.

quelle che spende, solitamente, viag-giando. Come ha fatto in Russia, dove è stato uno degli intermediari dell'af-fare tra Eto'o e l'Anzhi.

dietro dai tempi della IMG, credo che debba venire prima l'agenzia, non il sin-golo agente”.

Come vive il rapporto con i giocatori?“Il discorso è tanto semplice quanto com-plesso: la vita lavorativa di un calciatore è relativamente breve. Per questo devi gestire a trecentosessanta gradi tutto quel che gravita attorno al campo da gioco. Ed a quello, come dicevo prima, deve pensare lui. Noi accompagniamo i ragazzi nelle carriere: a volte sei mental coach, altre un padre, altre un fratello, altre serve più distacco”.

Ci racconta i suoi punti di svolta?“uno, sicuramente, l'esordio di Antonioli con il Milan. La mia carriera è sempre andata per gradi, ma ci sono dei mo-menti che ti lasciano il segno. Come Chri-stian Abbiati che vince lo Scudetto con zaccheroni”.

Lei ed il Milan ci avete creduto davvero.“Giocava in Interregionale, vederlo dopo

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“È chiaro che i soldi siano stati una com-ponente importante, ma non solo. Samuel voleva una nuova sfida: avevo lavorato per portarlo all'Inter, dove vinse tutto e, una volta che ricevette lui la chiamata dalla Russia, mi contattò per curare la trattativa”.

ha portato Samuel anche alla Sam-pdoria.“Da diversi mesi aveva voglia di rientra-re in Italia dove si era trovato bene, la famiglia da tempo vive qua e se ci fosse stata l'opportunità l'avrebbe colta. Non è stata una cosa fatta in fretta. Siamo con-tenti del risultato finale. L'Africa, però, è anche Kallon”.

Ci mettiamo comodi.“Anzi, la Svezia. Le spiego: ho un caro amico che vive lì, a Stoccolma. Mi chia-mò per dirmi che c'era la nazionale del Sierra Leone in ritiro e che c'era un ra-gazzo fenomenale. Insistendo, mi convin-se: lo segnalai a Mazzola e l'affare si chiuse”.

Gli scherzi del destino.

“Credo molto nel carpe diem, nel co-gliere l'attimo. Male male avrei visitato Stoccolma...”.

Saliamo su un altro volo, purtroppo con l'immaginazione: andiamo a Londra?“Ho una sede in Baker Street con il mio partner inglese Charlie Driver, la E3 Sports”.

Deve ammettere che 'fa figo' avere una sede in una delle città più belle del mondo.“Non è stato per quello, però: come di-cevo, ho sempre voglia di mettermi in gioco, di ripartire. Era una mia neces-sità, per la mia crescita, voglio fare lì

quel che ho fatto e sto facendo qui in Italia. Cerco sempre nuove sfide che af-fronterò sempre con lo stesso spirito, con la stessa filosofia. Mi dà sempre tanta passione fare l'agente, l'intermediario, e vorrei avere anche in Premier qualche grande campione e, perché no, un Pallo-ne d'Oro”.

quante lingue parla, scusi?“Parlo male tutte le lingue del mondo (ride, ndr). Scherzi a parte, sono un au-todidatta, me la cavo con tutte le lingue, ho anche un insegnante a Londra per affinare l'inglese. Però, al di là di tutto, per fortuna c'è il calcio che è non solo un fattore d'aggregazione, ma pure un linguaggio universale”.

Ed i suoi modelli, chi sono?“Suonerà strano, ma sono uno fuori dal coro. Ho ammirazione per chi ha stile e competenza, per chi ha morale. Il mio obiettivo è far crescere i ragazzi con dei valori: sono sposato da venticinque anni e vedo questo lavoro come una missio-ne. Cerchi di trasmettere dei messaggi ai giocatori, di mantenere un'etica. Non

“”KalloN all'iNter grazie ad uN mio amico

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I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI

LA SODDISFAZIONE ABBIATI Dall'Interregionaleallo Scudetto conZaccheroni, graziea Vigorelli

COLPO ETO'OC'è Vigorelli dietro

al passaggio dell'exInter alla Sampdoria

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Intervista di Marco Conterio

voglio passare per il moralista di turno, ma non provo invidia per nessuno. Anzi: quando vedo qualche collega che rag-giunge un grande risultato, allora è uno stimolo per raggiungerlo. Sono per una competitività sana, genuina, vera”.

Le va di raccontarci le sue passioni?“Adoro viaggiare, ma immagino si sia capito. una volta che appenderò la vali-getta al chiodo, che smetterò di fare que-sto mestiere, allora farò il viaggiatore. Intanto adoro la campagna, ho una casa lì e vado quando posso. Poi amo i vini ed il basket”.

Scarpette rosse dell'EA7, c'è da imma-ginarlo.“Appena ho la possibilità vado a vedere l'Olimpia, sì. È bello anche perché lì sì che puoi essere tifoso, genuino, senza che il lavoro contamini la passione”.

ha dei rimpianti, Vigorelli?“Se parliamo di giocatori, sicuramente Francesco Coco. Ha vissuto una grande

carriera ma avrebbe potuto fare grandi cose. Purtroppo si è ritirato a soli ven-totto anni”.

E parlando di lei?“No, perché credo che la vita sia fatta di attimi, di momenti, di incontri. Tutto ti aiuta a crescere. Ogni step del mio per-corso è stato importante, anche quando ho iniziato col mondo del pallone e del marketing, anche quando assistevo Simo-na Ventura”.

Prego?“Sì: sono stato il suo primo agente. La-voravo per Giampaolo Fabrizio (il Vespa di Striscia la Notizia, ndr); collaborava con Galagol su Telemontecarlo e Simona stava per passare alla Domenica Sporti-va. Sono stato il suo agente, siamo tut-tora amici, legati, però la passione per il calcio era troppo forte. E quella ho seguito”.

E lo farà ancora?“Certo che sì. Sono un malato del calcio

romantico, ricordo ancora le trattative con la Cremonese negli anni '90 in trat-toria, davanti ad una bottiglia di vino col ds Favalli. Al calcio di oggi ci siamo adattati, e va bene così, ma quello lo ricordo con tanto sentimento, con tanta passione”.

quindi è ancora il ragazzo della Via Gluck, non di Baker Street?“Ci mancherebbe. Sono e sarò per sem-pre, quello della Via Gluck”.

UNA MAGLIA RICCA DI STORIA Tutte le firme dei

Campioni del 1982,la reliquia di Vigorelli...

I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI I RE DeL MeRCAtO / CLAUDIO VIGOReLLI

VIGORELLI, UOMO DI CALCIO In pochi sanno gestiretanto bene l'uomocalciatore...

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PER SEMPRE“IL CAPItANO”

WILSON, LA LAzIO, LA FASCIA E IL PRIMOSCUDETTO. UN’ESPERIENzA ALL’ESTERO ChE NON hA PERò INTERROTTO LA SUA VOGLIA

DI VIVERE NELLA CITTà ChE LO hA ADOTTATO

di Lorenzo DI BENEDETTO

foto Federico GAETANO

I GIGAnTI DEL CALCIO

PINO WILSONIDOLO LAZIALEWilson, ancora oggi,è un mito per ilpopolo biancoceleste

I GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON

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l capitano, con la C maiuscola. Giusep-pe Wilson, per tutti Pino, idealmente non si è mai tolto la fa-scia dal braccio. Lo scudetto del 1974

è ancora impresso nelle menti di tutti i tifosi della Lazio e anche lui non ha nessuna intenzione di lasciare il ruolo di uno degli uomini simbolo del primo tito-lo biancoceleste. Poi le lacrime, un mo-mento di forte emozione, al solo ripen-sare al condottiero di quella squadra che stupì tutti portandosi sul tetto d’Ita-lia per la prima volta nella sua storia, quel Tommaso Maestrelli che non potrà mai lasciare la sua mente, ma soprattut-to il suo cuore: “Quest’uomo mi ha dato tutto, sia a me che al resto del gruppo. Attraverso il suo modo di fare, di com-portarsi. Era un punto di riferimento”. La commozione nel suo volto, inequivocabi-le. “Devo fermarmi un attimo”. Ci man-cherebbe. Ma poi la sua forza riprende il sopravvento e riparte. Madre italiana e padre inglese: d’Italia per la prima volta nella sua storia, quel Tommaso Maestrelli che non potrà mai lasciare la sua mente, ma soprattutto il suo cuore.

Madre italiana e padre inglese: il suo cognome sotto questo aspetto certo non mente, ma il suo sangue appartiene al Bel Paese, visto che dopo soli sei mesi di vita si trasferì a Napoli, e da quel momento in poi non ha più lasciato il Bel Paese: “Sono nato in Inghilterra, ma il volere di mia madre ha fatto sì che tornassi fin da subito in Italia e da quel momento in poi è iniziata la mia vita da napoletano. Ho iniziato molto tardi a giocare a calcio, anche perché ai tempi in cui ho cominciato non esistevano le scuole calcio e insieme ai miei amici giocavamo per strada, con due sassi che ci facevano da porta. A quei tempi esistevano solo i palloni da calcio e tutti i ragazzi erano interessati soltanto a questo sport”.

Com’è iniziata la sua vera carriera da calciatore?“Insieme a quattro amici del mio quar-tiere andai a fare un provino. Non po-trò mai dimenticarmi quel giorno, era un giovedì, e ci allenammo in un campo disastroso, in una giornata molto brutta dal punto di vista meteorologico. Fummo presi in tre e da quel momento è iniziata la mia vita da calciatore. I primi sei mesi nascosi questa cosa ai miei genitori, vi-sto che pensavano al fatto che dovessi studiare prima di fare ogni altra cosa. Mi facevo lavare i panni dalla madre di un mio amico, ma poi arrivarono i primi articoli sui giornali, le prime telefonate a casa, e i miei si resero conto della mia nuova attività. Non mi hanno mai osta-

II GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON I GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON

AI TEMPI DELLA LAZIOWilson con la

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“Fin dalla mia prima gara nella Capitale ho avuto la fortuna di scendere in campo da titolare, e da quel momento in poi, lo sono rimasto per tutta la mia avventu-ra a Roma. Il mio obiettivo era quello di migliorare sempre, giorno dopo giorno”.

Poi l’incontro con Tommaso Maestrelli.“All’inizio non è stato semplice. Il primo approccio con l’ambiente della Lazio non fu dei migliori per il Mister. Andò subito in rotta di collisione con la tifoseria, ma proprio da questo capii subito la tempra di quest’uomo che riuscì a riconquistare l’affetto dei tifosi creando un legame in-dissolubile tra la squadra e i sostenitori biancocelesti. Maestrelli è rimasto nel cuore della gente e nessuno mai potrà cancellare questo sentimento”.

Che tipo di squadra era la Lazio del Tricolore?“Eravamo molto vivaci, ma lo stesso Ma-estrelli è riuscito a coniugare tutte le per-sonalità presenti nello spogliatoio crean-do una squadra molto competitiva sotto tutti i punti di vista fino ad arrivare al campionato 1972/73, quando chiudem-mo la stagione al terzo posto, a -2 dalla Juventus che vinse lo scudetto. L’ultima

colato, e soprattutto non si sono mai in-teressati. Per questo non sono mai stato influenzato dal loro, come invece accade oggi, dove i genitori, molto spesso, fini-scono per incidere troppo nella vita cal-cistica dei figli”.

Dalla strada al campo. Successiva-mente come si è sviluppato il suo per-corso professionale?“Fui convocato per la prima volta con la Rappresentativa della mia regione e lì iniziai a giocare con alcuni compagni che sarebbero poi arrivati in Serie A, come per esempio Juliano, Montefusco e Cor-dova. Eravamo una squadra molto forte, tant’è che non perdemmo neanche una partita per tre anni. Vincemmo un titolo italiano Juniores e già in quella squadra ero il capitano”.

Poi l’ulteriore salto di qualità?“Esattamente. Approdai alla Cirio, socie-tà campana che ha preso poi il nome di Internapoli, e il tasso di difficoltà della partite che giocavamo si alzò molto. Ci scontravamo contro formazioni calabresi e siciliane su campi molto difficili sia dal punto di vista del terreno di gioco che

giornata giocammo e perdemmo a Na-poli, in un clima surreale, non riuscendo a raggiungere i bianconeri in classifica. Nessuno si sarebbe potuto immaginare un exploit di quel tipo dalla Lazio, anche perché eravamo una neopromossa”.

L’anno seguente invece, è arrivato il primo scudetto.“È stata un’emozione incredibile, inde-scrivibile. Anche oggi, a distanza di 40 anni, il gruppo è molto unito, pur con le defezioni che sappiamo tutto. Il successo è scaturito in modo inconscio, e abbiamo concluso il ciclo lo scorso anno, quando eravamo terzi in classifica nel periodo di Pasqua. In quel momento il mister si è ammalato e da allora nessuno di noi ha

del clima sulle tribune. In questo modo mi sono fatto le ossa, soprattutto dal punto di vista ambientale, ma anche da quello tecnico, visto che ho avuto la fortuna di aver avuto sempre allenatori molto bravi”.

Ce n’è uno in particolare, di quel pe-riodo, che ricorda più degli altri?“Sicuramente Luis Vinicio, ovvero l’ulti-mo che ho avuto all’Internapoli prima del mio arrivo alla Lazio. Avevo sempre pensato al calcio come un gioco, la Se-rie C era già un punto di arrivo per me, anche perché mi ero iscritto all’università e non avrei mai pensato di lasciare la mia città”.

più pensato a giocare a calcio. Perdem-mo in casa con il Torino per 5-1. Aveva-mo staccato la spina”.

Durante la stagione successiva però Maestrelli è tornato.“Esattamente. Il male che lo ha colpito ce lo ha concesso per un altro anno e mezzo. Ci ha portato alla salvezza, ma poi, sfortunatamente, ci ha lasciato per sempre”.

qual era il suo rapporto con Chinaglia?“Ho conosciuto Giorgio nel 1966, veniva dalla Massese e arrivò a Napoli. Faceva molto caldo, ma lui arrivò con l’imperme-abile verde, i pantaloni rossi e la bom-betta. un tipo molto stravagante. Ab-biamo fatto il nostro percorso calcistico praticamente parallelo, dall’Internapoli alla Lazio, fino alla Nazionale e ai New York Cosmos. Ci siamo sempre rispettati e non ho mai avuto neanche uno screzio con lui, a parte quando decisi di tornare in Italia dagli Stati uniti mentre lui vole-va che restassi e mi offri tantissimi soldi. Io però avevo già preso la mia decisione, dettata dal cuore e non dalla ragione. Non ci siamo parlati per sei mesi, ma dopo tutto è rientrato”.

Cosa le ha fatto cambiare idea?“Si fece largo la notizia, veritiera, del mio passaggio al Napoli. Non potevo immaginare niente di meglio per me, vi-sto che avrei giocato in Serie A con la maglia azzurra. Il tempo di fare pochi chilometri in macchina però, che il mio vice Presidente mi telefonò dicendomi che la trattativa con il Napoli era saltata e che ero invece stato ceduto alla Lazio”.

Fu contento di ricevere questa telefo-nata?“Assolutamente no. Mentre tornavo a casa avevo dentro di me una tristezza incredibile. Mi ero sposato da soli 3 mesi e sapevo che sarebbe stata dura lasciare la mia casa. Arrivai tardi in Serie A, vi-sto che avevo già 23 anni, e la cosa più strana è che ci arrivai con la maglia del-la Lazio che mi aveva già cercato quan-do ero appena maggiorenne ma rifiutai proprio per la mia volontà di non voler partire da Napoli. Probabilmente però il destino ha voluto che la mia vera pelle diventasse biancoceleste”.

Una carriera iniziata nel 1969, fino ad arrivare allo scudetto del 1974?

I GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON I GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON

GRANDI AVVERSARIWilson ha affrontato

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è stato lui il giocatore più forte con il quale ha giocato?“Devo dire che sotto il profilo della per-sonalità sicuramente sì. Ha cambiato an-che il rapporto della Lazio con i suoi ti-fosi. Sotto il piano tecnico però devo dire che D’Amico è stato il migliore. Non ha ottenuto ciò che meritava, forse a causa del suo carattere”.

qual è stata la partita più bella dispu-tata con la maglia della Lazio?“Ce ne sono tante, ma se devo dirne una penso ad un derby finito 0-0. Ho ancora a casa un giornale del giorno dopo che diceva che il primo tempo era terminato Roma 0 – Wilson 0”.

Una carriera terminata però in manie-ra brusca, con lo scandalo legato al calcio scommesse.“Dal punto di vista giuridico siamo stati tutti assolti e anche per quel che riguarda le squalifiche legate al campo io fui quel-lo che prese meno di tutti. L’unica parti-ta nella quale ero indagato era quella contro il Milan, dove non abbiamo fatto niente di male. Questo avvenimento ha sconvolto la mia vita: quando dissi a Chi-naglia che non sarei rimasto ai Cosmos lo feci perché avevo in mano un contrat-to di tre anni, prolungabile a cinque, per

fare il Direttore Generale alla Lazio”.

Adesso i calciatori chiudono le loro carriere nei campionati minori, molto spesso di fronte a contratti faraonici. Cosa la convinse a lasciare l’Italia per andare negli Stati Uniti?“Volevo semplicemente provare una nuo-va esperienza. Sapevo già che sarei tor-nato alla Lazio e mi allontanai soltanto per l’estate. A distanza di anni forse ri-vedrei la mia scelta”.

Com’era il rapporto tra i giocatori e i giornalisti negli anni ‘70?“Avevamo il massimo rispetto l’uno dell’altro. Noi calciatori davamo l’op-portunità ai cronisti di entrare anche nel-lo spogliatoio, ma dall’altra parte loro

LA CARRIERA DIPInO WILSOn

STAGIONE SQUADRA PRESENzE GOL1965-1966 INTERNAPOLI 18 01966-1967 INTERNAPOLI 34 01967-1968 INTERNAPOLI 34 01968-1969 INTERNAPOLI 38 01969-1970 LAzIO 29 01970-1971 LAzIO 34 01971-1972 LAzIO 48 01972-1973 LAzIO 34 01973-1974 LAzIO 42 11974-1975 LAzIO 34 01975-1976 LAzIO 41 21976-1977 LAzIO 33 11977-1978 LAzIO 37 2

1978 N.Y. COSMOS 16 01978-1979 LAzIO 33 21979-1980 LAzIO 29 0

sapevano che alcune cose sarebbero do-vute rimanere all’interno di esso”.

Adesso né i giornalisti né i tifosi han-no rapporti con i giocatori. Le sembra giusto?“Assolutamente no. La gente deve vedere all’opera i calciatori, avendo però ri-spetto del loro lavoro. Io parto sempre da un presupposto: il giocatore è un pa-trimonio del tifoso. Il rapporto tra le due parti non deve essere inficiato dalla so-cietà, tranne che in alcuni periodi molto particolari”.

Come descriverebbe la tifoseria della Lazio?“Innanzi tutto devo dire che è molto pas-sionale, tiene molto all’appartenenza. Il tifoso interpreta il calcio come qualcosa che gli appartiene, sente propria la squa-dra e credo che vada rispettato per que-sto. L’atto di violenza è da condannare, ci mancherebbe, ma la contestazione va accettata”.

Il suo rapporto con la nazionale ita-liana?“Sono arrivato tardi in Serie A e di con-seguenza anche in Nazionale. Avevo tan-tissimo rispetto di Burgnich che faceva il mio ruolo. Sono felice di aver fatto parte

LA FORzADI GIUSEPPEDi Thomas SaccaniDA DARLINGTON ALLA CONQUISTA DELLA CAPITALE,LA STRANA STORIA CALCISTICA DI WILSON…

l cognome è già un indizio: Wilson. Assonanze tipicamente britanniche, dovute al padre, un sol-dato inglese, innamoratosi di una bella figliola del Vesuvio. In Inghilterra, per fortuna del calcio

italiano e, in particolare, della Lazio, Giuseppe ci resta poco. L’Italia lo abbraccia da bambino. L’amore per il pallone è forte (in famiglia preferirebbero che si dedicasse allo studio e non a dare calci ad una palla), normale che si dedichi alla pratica, anche se cercando di non farlo sapere in giro. Comincia con il Cirio, società con una valenza decisamente aziendale. Quando il consorzio italiano specializzato nelle conserve alimentari (Cirio appunto), cede il titolo sportivo all’Internapoli, c’è anche Giuseppe nel pacchetto. In serie C, questo difensore (terzino, libero, e, in qualche caso, anche abile a centrocampo) molto attento a quello che accade in campo, mostra un talento interessante. La Lazio decide di puntare su di lui. E’ il 1969. Sin dalla prima stagione è un titolare (si toglie anche la soddisfazione di segnare il suo primo gol in biancoceleste in Coppa Italia). E’ l’inizio di una lunga storia d’amore con il club capitolino che troverà il suo apice nella stagione dello scudetto (1973/74). Un’avventura mitica, con Wilson sempre al centro del progetto. Ben 30 le presenze in quel campionato irripetibile, con anche la sod-disfazione di segnare un gol decisivo. Accade il 14 ottobre

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DOLCI RICORDIPino insieme a fuoriclasse

del calibro di Riva, ReCecconi,Bearzot e l'amico Chinaglia...

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1973. I biancocelesti ospitano la Sampdoria. La partita non si sblocca, fino all’83’ quando proprio Wilson trova il guiz-zo che vale il successo (conclusione all’altezza del dischetto del rigore che trafigge Cacciatori, estremo difensore della Samp), uno dei tanti dell’annata. “Al momento del tiro, ero così emozionato e poco ci è mancato che lo sbagliavo”, dirà, nel dopo partita del match, lo stesso capitano biancoceleste. Con la Lazio colleziona, in 11 anni di militanza, ben 394 pre-senze, con anche otto reti all’attivo. Grande amico di China-glia (gli cederà anche la fascia di capitano nella cavalcata al Tricolore), lo segue anche negli States, per giocare con i mitici NY Cosmos, una formazione davvero leggendaria. Lo scandalo scommesse gli chiude qualche porta ma, alla fine, la sua classe resta immacolata. Secondo tanti addetti ai la-vori, Wilson ha interpretato il ruolo di difensore come pochi altri. La sua grande capacità di stare in campo senza mai dare l’impressione di essere in difficoltà, davanti a qualsiasi avversario, è una foto indelebile nella mente dei tanti tifosi laziali che, insieme a lui, hanno vissuto le gioie della Lazio de-gli anni ’70, quella del mitico scudetto targato Maestrelli…

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LA FORMAZIONE CAMPIONE D'ITALIA '73/'74

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I GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON

Intervista di Lorenzo Di Benedetto

I GIGAnTI DeL CALCIO / PINO WILSON

UOMO DI GRANDE SPESSOREIn campo e fuori,Wilson è semprestato una personaelegante

di quella selezione, anche se il Mondiale del 1974 fu uno dei più sfortunati per l’Italia. Non perdevamo mai, ma alcu-ni fattori esterni hanno portato quella squadra a fallire”.

Com’è cambiato il calcio da quando ha smesso di giocare fino ad oggi?“È cambiato come tutto il resto del con-testo sociale. Faccio un esempio molto banale: una volta nel condominio di un palazzo si conoscevano tutti, oggi invece è il contrario. Non è questo l’unico aspet-to. Ci sono tanti soldi in più rispetto al passato e anche questo ha inciso molto”.

Chi è oggi Pino Wilson?“Sono rientrato nel mondo del calcio e a Roma, ancora oggi, non vengo chiamato per nome ma sono sempre ‘il capitano’. Questa cosa mi gratifica. Da 8 anni fac-cio l’opinionista sia in radio che in televi-sione. La Lazio è sempre al centro della mia vita”.

Le piacerebbe rientrare dentro il vero mondo del calcio?“Ho già detto no tempo fa, mi sembrava

di tradire qualcosa. Nei miei tanti difetti ho un pregio che è la riconoscenza. Ri-mango dove sono, anche perché sto bene”.

Tornando a parlare della sua carriera da calciatore, ha un rimpianto?“Il rimpianto è sempre qualcosa di nega-tivo, ma io ho sempre fatto le mie scelte con la mia testa. Nessuno ha mai messo bocca. Quando uno prende una decisio-ne senza influenze esterne quella è sem-pre la più giusta. Se però devo dirne uno penso al 1980: in quel caso sono stato troppo superficiale”.

qualcuno ha mai provato a portarla via dalla Lazio?“Si. Nel 1971 la Fiorentina mi voleva. A quei tempi la squadra viola era molto forte, Firenze era una piazza voluta da molti giocatori, ma il mio destino era un altro, tant’è che dissi all’allora presidente della Lazio che se mi avesse ceduto gli avrei messo contro tutta la curva”.

Lei ha vissuto in un periodo nel quale il campionato italiano era il migliore al mondo, oggi invece non è più così.

Cosa si dovrebbe fare per tornare al top?“Per prima cosa credo che si dovrebbe tornare a puntare sui giovani italiani e non sugli stranieri. Oggi ce ne sono trop-pi, soprattutto nei vivai. Non esistono più i settori giovanili, perché anche i più piccoli vengono acquistati per tanti soldi. Si dovrebbe tornare a investire su tutto il movimento dei giovani, solo in quel modo si può sperare che il nostro calcio torni ad essere quello di un tempo. Penso alla Lazio, che in questa stagione ha tro-vato Cataldi. Sono queste le vittorie di una società”.

INSIEME A LOVATIAltra foto d'epoca

per il capitanodella Lazio

di Maestrelli

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opo l’Ajax, anche il Ba-yern ha raggiunto la sua terza vittoria di fila con l’obiettivo dichiarato di raggiungere le cinque iniziali del Real Madrid. Non sarà facile, poiché la concorrenza è vali-

da: con l’altra tedesca di Mönchengladbach, ci sono il solito Real, il Saint-Étienne finali-sta uscente e il Liverpool, portato in alto da Bill Shankly dopo gli anni bui della Second Division, lasciata definitivamente nel 1962 dopo otto stagioni di fila. Lo scozzese ha conquistato tre titoli nazionali e due Coppe UEFA, gli mancherebbe all’appello solo la “European Cup” che però non vincerà mai, poiché nel 1974 sorprende tutti ritirandosi e lasciando la panchina al vice Bob Paisley, al Liverpool già dal 1939, come giocatore.Per l’Italia c’è il debuttante Torino, reduce dal primo, storico scudetto dopo Superga. Dopo il titolo sfiorato con nel 1972, a un punto (in-sieme al Milan) dalla Juventus, sotto la guida di Radice il Toro stavolta supera di due punti i “cugini”. Con Pulici e Graziani, ribattezzati dalla stampa e dai tifosi “I gemelli del gol” a ragione, visti i 36 gol in due, ci sono l’ottimo portiere Castellini detto “Giaguaro”, Claudio Sala all’ala destra, Pecci regista, Zaccarelli in rifinitura e una batteria di solidi difensori e mediani. Al primo turno, il Toro riesce con fatica a liberarsi dei bravi svedesi del Malmö, per poi incappare nel temibilissimo ostacolo Borussia. Nonostante la partecipazione di due squadre tedesche occidentali, non è ne-cessario alcun turno preliminare, le squadre sono 32 poiché continua l’isolamento politi-co-calcistico dei club albanesi. Nel turno inaugurale la rivelazione sono gli svizzeri dello Zurigo che, trascinati dal bomber di origini siciliane Franco Cucinot-ta, fanno fuori inaspettatamente i Glasgow Rangers, con un pareggio a Ibrox per 1-1 e un successo di misura in casa, 1-0 con gol di un altro italiano, il bergamasco Rosario Mar-tinelli. Il Bayern esordisce con un 5-0 in casa dei dilettanti danesi Køge Boldklub. Bene anche il Liverpool contro il Crusaders, fati-ca invece il Saint-Étienne ad avere la meglio del CSKA Sofia e deve ribaltare la sconfitta dell’andata il Mönchengladbach contro l’Au-stria Vienna. Tutto sommato, gli ottavi vedo-no in lizza il meglio del lotto e vedono l’elimi-nazione del Real Madrid di fronte a un’altra realtà emergente, il Bruges allenato dal “san-tone” austriaco Ernst Happel, una sorta di Re Mida del calcio europeo. Dopo avere resistito al Bernabeu, i campioni belgi trovano il gol di LeFevre e l’autorete di Rubiñan, ininfluen-te l’errore dal dischetto di Lambert. Dicevamo del Torino. Nella gara casalinga contro il Borussia, già assente Pecci, è fuori dopo un quarto d’ora anche Claudio Sala so-stituito da Pulici, lasciato in panchina in fa-

vore di Garritano, perché anch’egli reduce da un infortunio. Il Toro soffre gli inserimenti di Vogts, che porta in vantaggio i suoi alla mez-zora. Pareggia nella ripresa Patrizio Sala, con un tiro dal limite deviato da Wittkamp, ma prima della fine Klinkammer batte Castellini per l’1-2, dopo una serie di sfortunate azioni dei granata, sfumate a tu per tu col portiere tedesco Kneib. A Düsseldorf, un Torino de-cimato dall’arbitro belga Delcourt termina in otto, con Caporale, Zaccarelli e Castellini espulsi, Graziani finisce in porta e ne sorti-sce un eroico 0-0, troppo poco per passare. Ai quarti il Borussia è raggiunto dai conna-zionali del Bayern e dal Liverpool, costretti alla rimonta casalinga rispettivamente con Banik e Trabzonspor. Zurigo, Saint-Étienne, e le due Dinamo, quella di Dresda e quella di Kiev, completano il lotto. Al terzo turno, arriva la sorpresa più grande. Il Bayern, accoppiato ai campioni sovietici, deve fare a meno di Gerd Müller per entram-be le sfide, ma all’Olympiastadion a fare gol ci pensa il suo sostituto, Künkel. Al ritorno, di fronte ai 100.000 del Zentralny a sette mi-nuti dalla fine è ancora 0-0, con Maier che devia sul palo un rigore di Blochin al 39’. Quando l’arbitro Linemayr, qualche minuto più tardi, indica nuovamente gli undici metri è Burjak a presentarsi davanti a Maier e sta-volta segna. Altri quattro minuti e il suben-trato Slobodian devia di testa una punizione dalla sinistra. Con l’eliminazione del Bayern, c’è una sola certezza: avremo un nuovo vin-citore, visto che le restanti sette squadre sono ancora all’asciutto in questa competizione. A sorpresa arriva in semifinale anche lo Zurigo, che trova nuovamente in Cucinotta il matta-tore. Il 24enne, prelevato dal Sion, è al suo primo contratto da professionista e a fine primo tempo va in rete contro la Dinamo Dresda. Pareggia Kreische, ma è l’altro bom-ber del FCZ, Peter Risi, a trovare il gol vitto-ria all’89’. A Dresda la squadra di Konietzka trova una storica semifinale grazie ai gol in trasferta. A parte il rigore iniziale di Schade, i protagonisti sono gli stessi dell’andata: l’1-1 è di Cucinotta, poi la doppietta di Kreische e il 3-2 ancora decisivo di Risi.Il Liverpool ha raggiunto senza intoppi i quarti. Qui trova i Verts di Saint-Étienne, do-minatori del calcio francese nel decennio. Un gol di Bathenay nelle fasi finali dà la vittoria agli uomini di Herbin all’andata e ad Anfield dopo soli due minuti pareggia i conti Kee-gan. Nella ripresa, ancora Bathenay da fuori costringe i Reds a dover segnare due reti per passare. Al 54’, Kennedy realizza il 2-1, ma il gol decisivo arriva a una manciata di mi-nuti dal termine con Fairclough. Nell’ultimo quarto, parte bene il Bruges che a Düsseldorf va sul 2-0 contro il Borussia. Le reti di Kulik e Simonsen riportano la sfida in parità, ma ai renani tocca vincere nelle Fiandre per otte-nere la semifinale. Happel e i suoi resistono

finché Lattek non trova il coniglio nel cilin-dro con il giovane Hannes, che realizza il gol decisivo.Zurigo-Liverpool e Dinamo Kiev-Borussia sono dunque le semifinali. La prima si rive-la poco equilibrata nonostante il vantaggio zurighese all’andata, con il rigore segnato da Risi dopo soli sei minuti: botta centrale, Cle-mence la tocca ma non la ferma. Suonano i campanacci, ma il Liverpool non si scompo-ne e trova il pari con Phil Neal, che sbuca da destra dopo una punizione di Kennedy, stop-pa e batte Grob. Nella ripresa segnano Hei-ghway e ancora Neal su rigore e il Liverpool può tornare tranquillo ad Anfield. Lì trova una doppietta del giovane Case e una rete di Keegan, già promesso sposo dell’Amburgo, ed è finale. Il Liverpool ha già vinto il titolo in-glese e vuole il Treble, ma pochi giorni prima della finale europea perde quella di FA Cup con il Manchester United. A Roma, però, i Reds ci vanno comunque carichi di speranze.Lì trovano il Borussia ed è il quarto anno di fila con una tedesca in finale. La sfida con gli uomini del giovane Lobanovsky è mol-to equilibrata, a Kiev la Dinamo ottiene un successo di misura con Onischenko e avendo subito un solo gol in tutta la coppa spera di farcela. Tuttavia, al Rheinstadion Bonhof se-gna su rigore, dopo una ventina di minuti e a soli otto dal termine Wittkamp, in tuffo di testa, regala la finale ai suoi. Non c’è un vero favorito nella gara dell’Olimpico, come i suoi avversari anche il Borussia ha riconquistato il proprio campionato. La mossa vincente di Paisley è mettere Keegan a disturbo di Vogts per impedirne gli inserimenti, il gol arri-va verso la mezzora con Terry McDermott, che dopo una lunga sgroppata batte Kneib su assist di Heighway. Prima c’era stato un palo di Bonhof. L’ottimo lavoro degli ingle-si è sprecato da un retropassaggio sbagliato su cui si inserisce Simonsen con un potente diagonale: è 1-1. I tedeschi sperano di ribal-tare il punteggio, ma Simonsen di testa spre-ca a lato, poi Stielike si trova solo davanti a Clemence, ma il portiere inglese in uscita disperata respinge il suo tiro. Arriva invece il 2-1 del Liverpool e lo segna un difensore centrale, Smith (unico reduce della semi-finale nel 1965), nel più classico dei modi: di testa su corner. A otto minuti dalla fine Vogts stende Keegan in area e Neal segna il 3-1 su rigore, Emlyn Hughes alza la prima storica coppa del Liverpool. “Era la nostra diciassettesima partita in sei settimane – di-chiarerà alla fine Paisley – è stata dura. Al primo errore ci hanno puniti, ma i ragazzi non si sono abbattuti e hanno portato a casa la coppa”. Lattek, che non riesce così a vince-re la seconda coppa con due squadre diverse, si lamenta per i troppi errori. Il Liverpool, con Keegan partente e alcuni pilastri a fine carriera, per smentire i pronostici nefasti per il futuro dovrà rinnovarsi: ci riuscirà?

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1976-1977SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI

L’EUROPA è REDS

DIL LIVERPOOL DEL PARTENTE KEEGANSI PORTA A CASA UN SUCCESSO INATTESO…

di Gabriele PORRI

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VERDETTO INATTESOBorussia al tappeto,

trionfo per il Liverpool...

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Giocatore N° Minuti% Titol.Rig. N°Partite Giocate

CLASSIFICA MARCATORI

N° OgniRig. Falliti

RetiMaxReti

Franco CUCINOTTA (Zurigo) 7 595 0,0 7 0 0 5 119' 1

Gerhard MÜLLER (Bayern Monaco) 4 360 0,0 4 0 0 5 72' 2

Kevin KEEGAN (Liverpool) 8 720 0,0 8 0 0 4 180' 1

Philip NEAL (Liverpool) 8 720 0,0 8 3 0 4 180' 2

Tibor NYILASI (Ferencváros) 3 270 0,0 3 0 0 4 68' 2

Conny TORSTENSSON (Bayern Monaco) 6 528 0,0 5 0 0 4 132' 2

Reiner VAN DE KERKHOF (PSV Eindhoven) 4 360 0,0 4 0 0 4 90' 4

Leonid BURJAK (Dinamo Kiev) 8 720 0,0 8 1 0 3 240' 2

Stephen HEIGHWAY (Liverpool) 9 772 0,0 9 0 0 3 257' 1

David JOHNSON (Liverpool) 6 390 0,0 4 0 0 3 130' 2

Hans-Jürgen KREISCHE (Dinamo Dresda) 6 466 0,0 5 0 0 3 155' 2

Peter RISI (Zurigo) 5 450 0,0 5 1 0 3 150' 1

Petr SLOBODIAN (Dinamo Kiev) 6 368 0,0 4 0 0 3 123' 1

Realizzazione grafica e statistiche a cura di

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1976-1977

DINAMO KIEV-BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH 1-0 (0-0)

Mercoledì 6 aprile 1977, ore 19KIEV (Stadio "Zentralny")Arbitro: Pablo SANCHEZ IBAÑEZ (ESP)Spettatori: 102.000

DINAMO KIEV: Evgeny RUDAKOV, Anatoly KONKOV (cap.), Viktor MATVIENKO, Mikhail FOMENKO, Stefan RESHKO, Vladimir TRO-SHKIN, Vladimir MUNTYAN, Vladimir ONI-SCHENKO, Leonid BURJAK, Aleksandr BE-REZHNOI [63' Petr SLOBODIAN], Oleg BLOKHINCommissario tecnico: Valery LOBANOVSKYI.

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KNEIB, Hubert VOGTS (cap.), Hans KLINKHAM-MER, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS, Allan SIMONSEN, Herbert WIMMER, Christian KULIK, Ullrich STIELIKE, Josef HEYNCKESCommissario tecnico: Udo LATTEK.

Rete: 71' Vladimir ONISCHENKO.

Ammoniti: 42' Mikhail FOMENKO, 70' Hubert VOGTS.

ZURIGO-LIVERPOOL 1-3 (1-1)

Mercoledì 6 aprile 1977, ore 20ZURIGO (Stadio "Letzigrund")Arbitro: Babaçan DOGAN (TUR)Spettatori: 30.000

ZURIGO: Karl GROB, Pierre Albert CHAPUISAT, Max HEER, Hilmar ZIGERLIG, Pius FISCHBACH, Ernst RUTSCHMANN [46' Urs DICKENMAN], Jakob KUHN (cap.), René BOTTERON, Hansjörg WELLER [58' Georg ALIESCH], Peter RISI, Alfred SCHEIWILERCommissario tecnico: Friedhelm KONIETZKA.

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Joseph JONES, Thomas SMITH, Raymond KENNE-DY, Emlyn HUGHES (cap.), Kevin KEEGAN, James CASE, Stephen HEIGHWAY, David FAIRCLOUGH, Terence MC DERMOTTCommissario tecnico: Robert PAISLEY.

Reti: 6' rigore Peter RISI, 15' Philip NEAL, 47' Stephen HEIGHWAY, 67' rigore Philip NEAL.

Ammoniti: 11' Thomas SMITH, 26' Hilmar ZIGER-LIG.

LIVERPOOL-BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH 3-1 (1-0)

Mercoledì 25 maggio 1977, ore 20:15ROMA (Stadio "Olimpico")Arbitro: Robert WURTZ (FRA)Spettatori: 52.078

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Joseph JONES, Thomas SMITH, Raymond KENNE-DY, Emlyn HUGHES (cap.), Kevin KEEGAN, James CASE, Stephen HEIGHWAY, Ian CALLAGHAN, Terence MC DERMOTTCommissario tecnico: Robert PAISLEY.

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KNEIB, Hubert VOGTS (cap.), Hans KLINKHAM-MER, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS [79' Wilfried HANNES], Allan SIMONSEN, Herbert WIMMER [24' Christian KU-LIK], Ullrich STIELIKE, Frank SCHÄFFER, Josef HEYNCKESCommissario tecnico: Udo LATTEK.

Reti: 27' Terence MC DERMOTT, 51' Allan SIMON-SEN, 65' Thomas SMITH, 82' rigore Philip NEAL.

Ammonito: 86' Ullrich STIELIKE.

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH-DINAMO KIEV 2-0 (1-0)

Mercoledì 20 aprile 1977, ore 20DÜSSELDORF (Stadio "Rhein")Arbitro: Francis RION (BEL)Spettatori: 70.000

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KNEIB, Hubert VOGTS (cap.), Hans KLINKHAM-MER, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS, Allan SIMONSEN, Herbert WIMMER, Christian KULIK, Ullrich STIELIKE [78' Wilfried HANNES], Herbert HEIDENREICH - Commissario tecnico: Udo LATTEK.

DINAMO KIEV: Evgeny RUDAKOV, Anatoly KONKOV (cap.), Viktor MATVIENKO, Mikhail FOMENKO, Stefan RESHKO, Vladimir TRO-SHKIN, Valeri ZUEV [54' Vladimir MUNTYAN], Vladimir ONISCHENKO, Leonid BURJAK, Aleksandr BEREZHNOI, Oleg BLOKHINCommissario tecnico: Valery LOBANOVSKYI.

Reti: 21' rigore Rainer BONHOF, 82' Hans Jürgen WITTKAMP.

Ammonito: 79' Anatoly KONKOV.

LIVERPOOL-ZURIGO 3-0 (1-0)

Mercoledì 20 aprile 1977, ore 19:30LIVERPOOL (Stadio "Anfield Road")Arbitro: Sergio GONELLA (ITA)Spettatori: 50.611

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Joseph JONES, Thomas SMITH, Raymond KENNE-DY, Emlyn HUGHES (cap.), Kevin KEEGAN, James CASE, Stephen HEIGHWAY [71' Alan WADDLE], David JOHNSON, Terence MC DERMOTTCommissario tecnico: Robert PAISLEY.

ZURIGO: Karl GROB, Max HEER, Pius FI-SCHBACH, Hilmar ZIGERLIG, Pierre Albert CHA-PUISAT, Jakob KUHN (cap.), Pirmin STIERLI, Franco CUCINOTTA, Peter RISI, Hansjörg WEL-LER, René BOTTERONCommissario tecnico: Friedhelm KONIETZKA.

Reti: 32' e 76' James CASE, 79' Kevin KEEGAN.

SEMIFINALE 1 SEMIFINALE 2 FINALE

Udo Lattek

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Giocatore N° Minuti% Titol.Rig. N°Partite Giocate

CLASSIFICA MARCATORI

N° OgniRig. Falliti

RetiMaxReti

Franco CUCINOTTA (Zurigo) 7 595 0,0 7 0 0 5 119' 1

Gerhard MÜLLER (Bayern Monaco) 4 360 0,0 4 0 0 5 72' 2

Kevin KEEGAN (Liverpool) 8 720 0,0 8 0 0 4 180' 1

Philip NEAL (Liverpool) 8 720 0,0 8 3 0 4 180' 2

Tibor NYILASI (Ferencváros) 3 270 0,0 3 0 0 4 68' 2

Conny TORSTENSSON (Bayern Monaco) 6 528 0,0 5 0 0 4 132' 2

Reiner VAN DE KERKHOF (PSV Eindhoven) 4 360 0,0 4 0 0 4 90' 4

Leonid BURJAK (Dinamo Kiev) 8 720 0,0 8 1 0 3 240' 2

Stephen HEIGHWAY (Liverpool) 9 772 0,0 9 0 0 3 257' 1

David JOHNSON (Liverpool) 6 390 0,0 4 0 0 3 130' 2

Hans-Jürgen KREISCHE (Dinamo Dresda) 6 466 0,0 5 0 0 3 155' 2

Peter RISI (Zurigo) 5 450 0,0 5 1 0 3 150' 1

Petr SLOBODIAN (Dinamo Kiev) 6 368 0,0 4 0 0 3 123' 1

Realizzazione grafica e statistiche a cura di

Giocatore N° Minuti% Titol.Rig. N°Partite Giocate

CLASSIFICA MARCATORI

N° OgniRig. Falliti

RetiMaxReti

Franco CUCINOTTA (Zurigo) 7 595 0,0 7 0 0 5 119' 1

Gerhard MÜLLER (Bayern Monaco) 4 360 0,0 4 0 0 5 72' 2

Kevin KEEGAN (Liverpool) 8 720 0,0 8 0 0 4 180' 1

Philip NEAL (Liverpool) 8 720 0,0 8 3 0 4 180' 2

Tibor NYILASI (Ferencváros) 3 270 0,0 3 0 0 4 68' 2

Conny TORSTENSSON (Bayern Monaco) 6 528 0,0 5 0 0 4 132' 2

Reiner VAN DE KERKHOF (PSV Eindhoven) 4 360 0,0 4 0 0 4 90' 4

Leonid BURJAK (Dinamo Kiev) 8 720 0,0 8 1 0 3 240' 2

Stephen HEIGHWAY (Liverpool) 9 772 0,0 9 0 0 3 257' 1

David JOHNSON (Liverpool) 6 390 0,0 4 0 0 3 130' 2

Hans-Jürgen KREISCHE (Dinamo Dresda) 6 466 0,0 5 0 0 3 155' 2

Peter RISI (Zurigo) 5 450 0,0 5 1 0 3 150' 1

Petr SLOBODIAN (Dinamo Kiev) 6 368 0,0 4 0 0 3 123' 1

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ACCADDE A/RuGGITO ItALIA

l 19 giugno 1938, sconfiggendo per 4-2 l'Ungheria allo Stade de Colombes di Parigi, l'Italia si laureava per la se-conda volta consecu-

tiva campione del mondo. Dopodiché, per 30 anni, il buio. Prima la Seconda Guerra Mondiale, poi la tragedia di Superga, con la scomparsa del Gran-de Torino, quindi le figuracce in serie collezionate nei più importanti tornei internazionali. Come “ciliegina” sulla torta, ecco lo smacco dell'eliminazione dal Mondiale di Inghilterra '66 ad ope-ra dei dilettanti della Corea del Nord, forse il momento di maggior ignominia vissuto dal nostro calcio. I pomodori e le uova marce con cui i tifosi inferoci-ti accolsero gli Azzurri all'aeroporto di Genova, fecero capire che ormai il tempo della pazienza era finito. Rivo-luzione doveva essere e rivoluzione fu, dunque, a cominciare dai vertici del-la Federcalcio, con il toscano Artemio Franchi, uomo colto e rispettato anche a livello internazionale, eletto presidente. Novità anche sul campo, con la gestio-ne tecnica affidata alla strana coppia Helenio Herrera-Ferruccio Valcareggi. Mago dell'Inter euromondiale, il primo; tecnico di grande buon senso ma dal curriculum piuttosto modesto, il secondo. La terza edizione del Campionato d'Eu-ropa per Nazioni bussava prepotente-mente alle porte, e l'Italia non voleva più farsi trovare impreparata.

OBIETTIVO: nOn FALLIRE31 squadre ai nastri di partenza, sud-divise in 8 gironi all'italiana con partite di andata e ritorno. Le prime classifica-te venivano poi sorteggiate per i quarti di finale, con le semifinali e le finali da disputarsi in un'unica nazione. Per gli Azzurri le cose si misero bene: Romania, Svizzera e Cipro vennero regolate sen-za troppi problemi nel raggruppamen-to eliminatorio. Poi, ai quarti, ecco la Bulgaria, forse l'avversario meno quo-tato rispetto agli altri 6 giganti rimasti in corsa: Inghilterra, Spagna, Germania Ovest, Unione Sovietica, Ungheria e Ju-goslavia. Eravamo ormai nel 1968. Il 6 aprile, nell'andata di Sofia, i bulgari ci sorpresero, ma il 3-2 restava piena-mente recuperabile. E difatti, al ritorno a Napoli, il 2-0 firmato Pierino Prati e

proprio campione più rappresentativo. Primo tempo sofferto, ma con l'URSS che non riuscì a sfondare la nostra Li-nea Maginot. Molto meglio la ripre-sa, con i nostri che tennero testa agli avversari in una lotta senza esclusione di colpi. Poche, tuttavia, le occasioni da rete, favorite anche dalla serata storta di Mazzola e Prati. 0-0 dopo i 90 minuti; supplementari. E anche qui, altra tegola per gli Azzurri. Stavolta a farsi male fu il difensore Bercellino, pure lui rimasto comunque stoicamente in campo. Sarebbe stata la sua ulti-ma presenza in nazionale. Poco prima del triplice fischio, ecco l'occasione più ghiotta dell'incontro: fucilata di destro di Domenghini, palla sul palo interno e poi fuori. Evidentemente era desti-no che le porte rimanessero inviolate. Eravamo però a Napoli, e San Gen-naro, specialista in miracoli, doveva ancora metterci lo zampino. I capitani, Giacinto Facchetti per l'Italia e Albert Shesternyov per l'URSS, vennero convo-cati dall'arbitro, il tedesco Kurt Tschen-scher, per l'ultimo verdetto. Impugnata una vecchia monetina francese da 10 Franchi, lasciò la scelta ai duellanti. Facchetti scelse testa, Shesternyov cro-ce. Cuore in gola e poi l'urlo liberato-rio del Giacinto nazionale: testa! Era-vamo in finale, e nemmeno la temibile Jugoslavia sarebbe riuscita a soffiarci la Coppa. San Gennaro non ci aveva abbandonati, e grazie a lui tutti noi, in quell'interminabile serata napoletana, capimmo quanto fosse bello, una volta tanto, essere italiani.

IAngelo Domenghini, permise ai nostri di qualificarsi per la semifinale. Grazie ai buoni uffici di Franchi e al 70° anniver-sario della FIGC, fu proprio l'Italia ad ospitare la fase decisiva dell'Europeo. Ai campioni del mondo inglesi toccò la Jugoslavia, a noi, invece, l'Unione Sovie-tica, già vincitrice della prima edizione e seconda alle spalle della Spagna nel 1964. Un avversario ostico, dunque, privo sì di 4 titolari infortunati e senza il portierone Lev Yashin, ormai alle so-glie della pensione, ma non per questo disposto ad alzare bandiera bianca. Si giocava al San Paolo di Napoli, ore 18 di mercoledì 5 giugno 1968. Parti-ta secca: in caso di parità, tempi sup-plementari e poi, eventualmente, lancio della monetina. Valcareggi, rimasto nel frattempo solo come c.t. dopo l'iniziale convivenza con Herrera, schierò l'Italia con Dino zoff in porta preferito a Ricky Albertosi. Poi, due difensori in marca-tura (il terzino destro Tarcisio Burgnich e lo stopper Giancarlo Bercellino), con Giacinto Facchetti terzino sinistro flui-dificante e il libero Ernesto Castano a spazzare l'area. Centrocampo con l'ala tornante Angelo Domenghini a destra, il mediano Giorgio Ferrini a correre per tutti, il regista idolo di casa Anto-nio Juliano e il sommo Gianni Rivera in appoggio alle punte, ovvero Sandro Mazzola e il giovane Pierino Prati. Era, in pratica, un puro e sano catenaccio, un sistema di gioco spesso vilipeso, ma che in realtà ha dato al calcio italiano alcu-ni dei suoi più memorabili trionfi. Tanto per chiarire: il Milan di Nereo Rocco e la stessa Inter di Herrera, che in quegli anni facevano gara a chi vinceva più Coppe dei Campioni, utilizzavano pro-prio questa filosofia. Una casa solida, del resto, la si vede anzitutto dalle fon-damenta. Gli uomini in grado di trovare il gol in qualsiasi momento li avevamo, quindi prima meglio coprirsi e poi via, a colpire in contropiede.

BEnEDETTA MOnETInAIl problema, semmai, era che quella contro l'Unione Sovietica parve subito una sfida in salita. Dopo pochi minuti, infatti, Rivera si procurò uno stiramen-to alla coscia. Non essendo previste le sostituzioni per i giocatori di movimen-to, decise di proseguire ugualmente la gara, ma solo per fare numero. Una te-gola, per gli Azzurri, privati di fatto del

di Luca GANDINI ACCADDE ARUGGITO ITALIA

MONETINA FORTUNATAL'Italia torna a vincere anchegrazie alladea bendata...

IL MIRACOLO DI SAn GEnnARO

DOPO 30 AnnI DI DELUSIOnI, LA nAzIOnALE ITALIAnA TORnA A RUGGIRE. MERITO DI UnA InDIMEnTICABILE GEnERAzIOnE

DI CAMPIOnI E DI UnA VECChIA MOnETInA... foto

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GIACINTO FACCHETTI

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DOVE SONO FINITI/ ALESSANDRO SCANzIANI

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DOVE SOnO FInITIALESSANDRO SCANzIANI

di Stefano BORGI

COPPADEL

CAPITAnOGIOCATORE UnIVERSALE, VInSE DUE COPPE ITALIA. SOPRATUTTO

FU IL CAPITAnO DELLA "PRIMA" SAMP DEL PRESIDEnTE MAnTOVAnI...

TALENTO A DISMISURA Scanziani eraun giocatoredi notevoleclasse...

ancini, Vialli, Vierchowod, Pari e Mannini. Più due stra-nieri, Souness e Francis. E poi il capitano, Luca Pellegrini. Alt! Pellegrini fu il capitano dello scudetto blucerchiato, ma la sera del 3 luglio 1985

ad alzare la coppa fu Alessandro Scanziani. "È la soddisfazione più bella della mia carrie-ra - racconta Scanziani. Aver riportato la Samp in Serie A, aver vinto la prima coppa Italia con la maglia doriana. Indimenticabile". Perchè pro-prio lei capitano? "Forse perchè ero il più anzia-no, o forse perchè ero un esempio per tutti quei ragazzi. Non so... L'importante è che quella sera la fascia al braccio ce l'avevo io". Alessandro Scanziani si racconta con semplicità, ma anche con orgoglio, e individua il suo periodo miglio-re nei cinque anni trascorsi a Genova, sponda blucerchiata. "Tutto questo nonostante Bersellini allenatore, con il quale non ho mai legato. Era successo anche nei due anni all'Inter. Poi nell'86 arrivò Boskov che non mi voleva, e me ne andai. Peccato perchè sarei voluto rimanere a Genova fino al termine della carriera. E magari avrei vin-to anche lo scudetto del '91..."

Come nasce lo Scanziani calciatore?"Come tutti, all'oratorio. A Verano Brianza, dove sono nato, ero molto richiesto tanto che giocavo in due squadre. In una usavo addirittura un nome fittizio. Andavo a scuola, ma non avevo tanta voglia. Comunque ho fatto il liceo scientifico e mi sono iscritto a farmacia. Ho dato anche due esami..."

quand'è che per lei il calcio diventa un la-voro?"A 19 anni il Livorno mi offriva 300.000 lire al mese, i miei genitori erano disposti a darmi gli

stessi soldi purché restassi a casa e continuassi a studiare. A quel punto mi detti un anno di tempo per vedere se potevo diventare calciatore a tutti gli effetti, e infatti..."

Prima squadra e primo grande allenatore..."Osvaldo Bagnoli a Como. Era molto preparato, anche dal punto di vista umano. un tipo molto alla mano. Ottenemmo subito una promozione in Serie A, conobbi Galia, Fontolan, in prima squa-dra si affacciava un giovanissimo Vierchowod... Insomma, una bella squadra".

Con l'Inter la grande occasione. Ma anche le prime delusioni..."Soprattutto volevo giocare, ed invece Bersellini mi usava col contagocce. E spesso in ruoli sba-gliati. Io ero un centrocampista e lui mi faceva giocare terzino sinistro, esterno di destra, addi-rittura una volta stopper... A posteriori devo dire che tutto questo servì alla mia formazione di cal-ciatore, ma sul momento scalpitavo".

Rimpianti?"Non direi. Nelle due stagioni nerazzurre vinsi una Coppa Italia, giocavo con gente come Al-tobelli, Beccalossi, Oriali, Facchetti... Certo, me ne andai nel 1978 e l'anno dopo vinsero lo scu-detto. Forse arrivai all'Inter troppo giovane, però ripeto: io volevo giocare, e quando si presentò l'Ascoli non ebbi dubbi".

nelle Marche incontra un altro grande alle-natore, G.B. Fabbri."Il migliore che ho avuto. Fabbri mi teneva in grande considerazione, con lui segnai anche tan-ti gol, maturai definitivamente come calciatore. Arrivò a dirmi che se mi fossi chiamato Scan-zianovski ci sarebbe stata la fila per comprarmi. E poi il suo era un Ascoli bellissimo. Giocavamo

iN carriera ha avuto graNdi alleNatori: bagNoli,

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DUE COPPA ITALIANella sua bachecadue trionfi, con Inter e Samp...

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SEI ANNI BELLISSIMI Ben 152 presenze,e 25 gol, con lamaglia dellaSampdoria

sco, all'improvviso Nassi ed Agroppi lasciano la Fiorentina e chi arriva al suo posto? Bersellini. Mi casca il mondo addosso, fino a strappare il contratto. Il problema è che, con un ginocchio in-fortunato, non mi voleva nessuno. Si fece avanti il Genoa del presidente Spinelli. Si rende conto? Dopo 5 anni di Sampdoria sarei andato al Genoa..."

Chi la convinse?"Chiesi consiglio a Mantovani, ovviamente. No-nostante non fossi più un giocatore della Sam-pdoria chiesi aiuto a lui. Devo dire che con i tifo-si genoani non ebbi particolari problemi. Quelli della Samp, invece, non la presero bene. Ero sta-to il capitano, per loro ero un simbolo..."

Un anno ad Arezzo, poi le fatidiche scarpette al chiodo. Da allenatore, invece, poca fortuna..."Ho sfiorato una volta la Serie B col Como nel '96 (sconfitta ai play-off, ndr.) poi niente di spe-ciale. Diciamo che, a volte, sono stato troppo in-transigente..."

un calcio semplice, ordinato, con una sola punta (si alternavano Anastasi e Iorio, ndr.) però tutti dovevamo partecipare all'azione... un po’ sullo stile olandese. Quell'anno vincemmo a Torino con la Juve, battemmo l'Inter campione d'Italia a San Siro, ricordo anche un 3-0 al Del Duca contro la Roma. Arrivammo 4° in classifica, ad un passo dalla coppa uefa. Anzi, se il Torino avesse vinto la Coppa Italia (i granata persero in finale con-tro la Roma ai rigori, ndr.) si sarebbe liberato un posto e toccava a noi. E invece restammo fuori..."

Perchè andò alla Sampdoria?"Chiesi io di essere ceduto. L'ultimo anno di Asco-li Fabbri fu esonerato, ed arrivò Mazzone. Nien-te da dire come allenatore, ma con me ebbe dei comportamenti che non mi andarono giù. uno, addirittura, investì la mia vita privata e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Fu Adelio Moro, mio compagno all'Ascoli, a parlarmi della Samp, del direttore generale Nassi e di Manto-vani. un presidente che non conoscevo..."

Il miglior calciatore col quale ha giocato?"Trevor Francis. Grande tecnica, grande intel-ligenza, quando in allenamento ti puntava non sapevi mai se andava a destra oppure a sinistra. E poi Beccalossi. Il "Beck" in carriera poteva fare molto, molto di più..."

Oggi Alessandro Scanziani come passa le sue giornate?"Guardi, sono in pensione. A 62 anni faccio il team-manager dell'under 17 e 18 dilettanti, ogni tanto faccio il commentatore televisivo. E poi ho investito nel mattone, affitto degli appar-tamenti".

Potrebbe buttarsi in politica. Ci risulta ci ab-bia già provato..."Questa è buona (ride, ndr.) Ho fatto una volta il consigliere comunale a Verano, ero all'opposi-zione. Quando ho visto che ogni mia proposta veniva bocciata, ho capito che non era per me. Meglio il calcio, mille volte".

E invece fu un colpo di fulmine..."Me lo lasci dire, Paolo Mantovani è "il Presi-dente". Persona fantastica, rimasi affascinato dalla sua voglia di affermarsi. Pensi che quando arrivai a Genova nel 1981 la Sampdoria era in Serie B, e lui mi parlò di scudetto. Io pensai: questo è “fuori”. E invece... Con ulivieri allenato-re salimmo subito in Serie A e disputammo altre due ottime stagioni. Poi arrivò Bersellini e comin-ciarono i dubbi. Ebbi un'offerta dalla Roma, ca-pirai... scudetto, Coppa dei Campioni, ne parlai con Mantovani che mi convinse a restare. Lo devo ringraziare perché diventai capitano e vincemmo la Coppa Italia".

Di Boskov abbiamo detto. Ci racconti invece la storia con la Fiorentina..."Sfortuna allo stato puro. Boskov non mi vo-leva, Nassi era andato a Firenze con Agroppi e mi chiamò. Era tutto fatto, contratto firmato, addirittura mia moglie aveva già scelto la casa. Alla penultima di campionato mi faccio il meni-

DOVE SONO FINITI/ ALESSANDRO SCANzIANI DOVE SONO FINITI/ ALESSANDRO SCANzIANI

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e arrivi ad indossare le casacche di Inter e Samp, non puoi essere scarso. Chi l’ha visto giocare sa che Scanzia-ni era uno di quei giocatori che, se

in giornata, poteva davvero fare la differenza. Nato centrocampista, in realtà sapeva fare di tutto (chiedere a Bersellini per informazioni) e, appunto, quando aveva la giusta voglia, pote-va davvero diventare devastante, complice un mix di estro e fantasia decisamente intrigante. Dopo Meda e Livorno, a Como dimostra di po-ter diventare un giocatore importante. Tre sta-gioni con i lariani (dal 1974 al 1977), con 18 gol all’attivo e tante belle prove che gli aprono le porte dell’Inter. Con la Beneamata non gioca tantissimo ma si toglie la soddisfazione di vin-cere la Coppa Italia nel 1978. Nell’estate del 1979 passa all’Ascoli dove resta per due anni, prima di sbarcare a Genova, sponda Sampdo-ria. Gioca tanto e bene (152 presenze e 25 gol), alzando la seconda Coppa Italia della sua carriera. Nel 1986, in un periodo in cui non era affatto facile cambiare sponda nella stessa cit-tà, si trasferisce al Genoa, dove resta per due stagioni, prima di chiudere con l’Arezzo. Insom-ma, non proprio una carriera da comprimario…

ESTRO EFAnTASIADi Thomas SaccaniIN ITALIA SE LO RICORDANO IN POChI,EPPURE ERA UNO CON IL VIzIO DEL GOL

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IL RInnOVO

SIMEONE E L'ATLETICO MADRID ANCORA INSIEME

Il mese scorso è stato reso noto il rinnovo contrattuale fino al 2020. Il precedente accordo sarebbe sca-duto nel 2017, la società ha voluto estenderlo per altre tre stagioni in modo da difendere il proprio con-dottiero dalle avanches che arri-vavano da più fronti, nazionale ar-gentina in pole. Non c'è chiarezza riguardo alle cifre, ma si parla di un ingaggio intorno ai sei milioni di euro. Stipendio da top player, solo Ancelotti in Spagna guadagna di più ma i blancos non fanno testo. Un segnale chiaro, all'insegna del-la continuità, Manchester City e Psg hanno provato a ingolosire il Cholo, ma lui pensa solo all'Atleti. I tifo-si possono stare tranquilli, il futuro è già iniziato. Le parate di Oblak, i gol di Griezmann e soprattutto la grinta del Cholo in panchina. Questa è la base per i successi che verranno.

di Paolo BARDELLILIGASPAGnA

L tempi di recupero. Sei mesi ed era di nuovo in campo. Questo è Diego Simeo-ne, un cuore antico come il soprannome che l'ha reso celebre, Cholo, che deriva dalla lingua azteca e significa "incrocio di razze". Appellativo che condivide con una tipologia di cane a pelo corto. In ogni caso, parliamo di animali di razza. Questo nomignolo gli è stato assegnato ai tempi delle giovanili del Vélez, per la sua grinta che ricordava quella di Carmelo Simeone, difensore negli anni '50 e '60. La carriera di calciatore del Cholo dei tempi nostri è strettamente legata al nostro paese, a soli vent'an-

ni il vulcanico presidente Anconetani lo porta al Pisa e da qui è un crescendo. Siviglia, Atletico Madrid, Inter, Lazio, Atletico Madrid, per finire la carriera al Racing. C'è una sola squadra che ri-corre nel curriculum del centrocampista, non è un caso. Il Calderon infatti diven-terà la sua casa, qui ha vinto da calcia-tore ma ancora meglio ha fatto seduto in panchina. Appesi gli scarpini, dopo tanti successi, il Cholo ha prontamente intrapreso la carriera di allenatore, gavetta (vincente) in Argentina e poi di nuovo l'Italia nel suo destino. Come nel 1990, anche in questo caso è la pro-

vincia ad accoglierlo. Catania 13esimo, mai gli etnei avevano raggiunto quo-ta 45 punti. Non ci possono essere più malintesi, Simeone è nato per allenare e, dopo un'esperienza sulla panchina del Racing (terminata anzi tempo causa rapporti tesi con la società), il 23 dicem-bre 2011 prende il posto di Manzano sulla panchina dell'Atletico Madrid. I tifosi biancorossi riscuotono in anticipo il loro regalo di Natale. “Da giocatore non scambiavo la maglia dell'Atletico, dovevano darmene due, la mia valeva di più”, ipse dixit. Viene in mente lo spot nel quale un bimbo chiede: "Por qué somos del Atleti?" ricevendo dal padre un silenzio eloquente come risposta. Il Cholo ci mette un attimo a presentarsi, prende la squadra al decimo posto e chiude in quinta piazza, vince l'Europa League, aggiudicandosi nove gare su nove. A cambiare non sono tanto gli uo-mini eccezion fatta per il grande Falcao ma la mentalità, alcuni giocatori sono trasformati. è il caso di Gabi e di Sua-

rez, che diventano elementi chiave di un 4-4-2 che più semplice non si può. Più facile a dirsi che a farsi, certo, anche perché non è tanto lo schema a fare la differenza, bensì la logica che lo nutre. Idee. Dopo anni all'insegna dell'este-nuante possesso palla di marca Barça, la Spagna si inginocchia di fronte a una squadra che lascia - almeno in appa-renza - il pallino agli avversari, ade-guandosi sempre alle varie situazioni. “Non vincono sempre i buoni, vince chi sa lottare”, Simeone questa frase la vive e sa trasmetterla. Adeguarsi all’avver-sario sì, ma senza mettere in dubbio i propri precetti, è infatti tratto distin-tivo del primo Atletico targato Cholo un assetto chiaramente a zona, con gli uomini che non si lanciano in pressing anarchico ma aspettano la prima mos-sa avversaria. Un guerriero che gioca a scacchi, un “incrocio” tenendo fede al soprannome che ha reso celebre Die-go. Le squadre avversarie vanno nel pallone e il Cholo continua a vincere, il secondo anno di gestione porta in ba-checa Supercoppa europea e Coppa di Spagna, terzo posto in campionato che vale la Champions. Un'annata che ha visto il contributo determinante di un giocatore che fino a pochi mesi prima lottava per la salvezza con la maglia del Rayo, parliamo di Diego Costa. Il nazionale spagnolo (o brasiliano penti-to, se preferite) non è mai stato troppo amato dalla tifoseria, il suo incedere brutto e una tecnica non sopraffina lo rendono sgradevole agli occhi, ma Si-meone mira al sodo. Vuole una bestia là davanti e Costa è l'uomo che fa per lui. 43 centri in 94 gare, basta questo dato per spiegare quanto il Cholo sia capace di vedere ciò che gli altri nep-pure sanno immaginare. Il popolo col-chonero è pazzo per il suo condottiero, l'amore è ricambiato ed è la stagione 2013/2014 quella del delirio. Una cavalcata trionfale, coronata dal pa-reggio con il Barcellona del 17 maggio 2014, ennesima prova senza sbavatu-re, per gli avversari solo briciole. La regina blaugrana, abituata a dettare legge, cade nella trappola biancoros-sa, finisce un’era. Le lacrime in campo per una gioia "che non si può spiegare", per dirla con la parole del Cholo. Sime-one è fatto così, sa dire la cosa giusta al momento giusto e ottiene grandi sforzi da chi gli sta intorno, il massimo però lo

chiede sempre a se stesso e una vittoria come questa ha un sapore particolare per chi è abituato a sudarsi tutto. Una settimana dopo la finale i Champions, a coronamento di una stagione irripetibi-le, purtroppo Lisbona vede sorridere i cugini del Real ma questo non sminuisce il lavoro svolto. I Colchoneros quest'an-no non bisseranno il successo in campio-nato, tanti nomi illustri hanno cambiato aria, basti pensare a Courtois e Costa solo per citarne due, ma per i denti si Simeone nessun osso è troppo duro.

InSIEME PER SEMPRESIMEONE E L’ATLETICO MADRID, CRONACA DI UN AMOREINFINITO

a rottura del crociato non è uno scherzo, recupero lento e faticoso, chi ha giocato a calcio lo sa bene. Quando sei alle prese con infortunio

di questo tipo devi far vedere non solo che sportivo sei, entra in gioco altro. Diego Simeone il 2001 si è trovato ad affrontare questo problema e l'ha fron-teggiato seguendo i consigli di mamma. Dieta a base di cartilagini e zampe di maiale, rimedio indio che fa venire i conati solo a sentirlo nominare, il guer-riero Diego però non fece una piaga, ingurgitando tutto e divorando pure i

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NELLE MANI DEL CHOLOI Colchoneros credono

ciecamente nel tecnico argentino

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del numero dei partecipanti (tanto che passeranno automaticamente anche le seconde dei gironi) semplifica le cose. Tuttavia va detto che da parecchio tempo, se si escludono i Tre Leoni, le bri-tanniche rimediavano figuracce in serie e si piazzavano molto lontane dalla vetta dei gironi in cui venivano inserite.

IL RICORDO DEL PASSATO

NEGLI ANNI SETTANTA E OTTANTA LA SITUAzIONE ERA DIAMETRALMENTE OPPOSTA

A cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si verificò una situazio-ne specularmente opposta rispetto a quanto sta accadendo adesso. No-nostante potesse contare su campioni del calibro di Kevin Keegan, l'Inghil-terra mancò le qualificazioni a due mondiali consecutivi (1974 e 1978). A quelle competizioni iridate pre-se parte, come unica britannica, la Scozia, pronosticata come possibile squadra rivelazione in entrambe le occasioni. Invece i vari Dalglish, Sou-ness e Jordan non riuscirono mai a passare il primo turno, rimediando anche la storica figuraccia del pa-reggio con l'Iran in Argentina. Nel frattempo, le squadre della First Division, in cui figuravano parecchi calciatori delle altre nazioni bri-tanniche, dominavano in lungo e in largo nelle coppe europee. Fra il 1977 e il 1984 vinsero sette edizio-ni su otto della Coppa dei Campio-ni, con il Liverpool e il Nottingham Forest a farla da padrone. Più o meno nello stesso periodo arrivaro-no un paio di Coppe Uefa, mentre il team scozzese dell'Aberdeen si aggiudicò la Coppa delle Coppe battendo in finale addirittura il Real Madrid. Chi era l'allenatore di quel-la squadra dei miracoli? Un signore che poi farà incetta di trofei in 27 anni di carriera all'Old Trafford...

di Luca MAnESPREMIER LEAGUEInGhILTERRA

L (Ronaldo e Messi) veste casacche di team di altri paesi, ma ciò non giustifica che in due delle ultime tre Champions League tutte le inglesi siano andate fuori a livello di ottavi di finale. Oltre Manica, come si può immaginare, ferve il dibattito. C'è chi parla di appanna-mento passeggero, dovuto soprattutto a elementi congiunturali – per esempio la rifondazione del Manchester United dopo l'addio di Alex Ferguson – chi ini-zia a dubitare sull'effettiva qualità di giocatori e allenatori strapagati come non mai. Noi appoggiamo più la pri-ma ipotesi. Anche quest'anno numerose

sono state le partite molto spettacolari proposte dalla massima divisione ingle-se. Sebbene sempre polarizzato – nelle prime posizioni ci sono le solite note – sul campo si è visto più equilibrio e non sono certo mancati i risultati a sorpresa.Un segnale incoraggiante per il pub-blico britannico proviene invece dalle nazionali che, dopo anni di magre, vi-vono ben altra tendenza rispetto alle compagini di club. Allo stato attuale Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord hanno ottime chance di qua-lificarsi in blocco per la fase finale dell'Europeo francese. è vero, l'aumento

Il Galles può contare su due campioni – Bale e Ramsey – che sembrano voler prendere sul serio il loro impegno per la nazionale, Scozia (cui è capitato il girone più difficile) e Irlanda del Nord hanno fatto passi da gigante da tutti i punti di vista, mentre l'Inghilterra ha vinto tutti i match disputati finora ed è virtualmente approdata a Euro 2016. Un torneo che, secondo Wayne Rooney, i Bianchi potrebbero addirittura vince-re. Dando un'occhiata all'attacco ver-rebbe da pensare che la stella dello United non abbia tutti i torti. Oltre a lui – ormai a un passo del record di goal di Bobby Charlton con i Tre Leoni – ci sono Danny Welbeck, Dean Sturridge e soprattutto i giovanissimi e prometten-tissimi Raheem Sterling e harry Kane. Quest'ultimo è considerato ormai un po' da tutti gli addetti ai lavori l'erede di Alan Shearer. E se il buongiorno si vede dal mattino – prima rete al terzo tocco di palla di sempre in nazionale – c'è di che essere ottimisti. A nostro mode-sto parere, al netto dei dubbi su Roy Hodgson, manca ancora qualcosa in mezzo al campo e alla difesa. Jordan Henderson non ha la classe e il piglio adatto, mentre accanto a Tim Cahill né Phil Jagielka né il duo dello United Jo-nes-Smalling danno sufficienti garanzie. Nel reparto arretrato le buone notizie giungono dai terzini (Nathan Clyne po-trebbe occupare la corsia destra per lungo tempo) e dal portiere. Non dicia-molo troppo forte, ma Joe hart sembra finalmente aver acquisito continuità e sicurezza. Non sarà l'erede di Gordon Banks e Peter Shilton, ma forse può far dimenticare incubi del recente passa-to come David James e Robert Green.

ALMEnO I TRE LEOnI…MENTRE I CLUB DELLA PREMIER FALLISCONO NELLE COPPE, LE NAzIONALI BRITANNIChE VANNO A GONFIE VELE...

a stagione che volge al termine sarà ricordata sen-za ombra di dubbio come quella del grande flop in Europa dei team della Pre-

mier. Era dal 1992-93 che nemmeno una squadra della massima divisione inglese riusciva a raggiungere almeno i quarti di finale di una coppa continen-tale. A quell'epoca, poi, c'era la par-ziale attenuante del lungo isolamento post heysel (1985-1991), adesso la Premier è il campionato più ricco del Pianeta e i campioni – soprattutto stra-nieri – abbondano. Certo, il top del top

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NAZIONALE INGLESE DA URLOI tifosi inglesi

sognano un grande Europeo..

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KEVIN KEEGAN

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pre e solo pesanti e cocenti eliminazioni agli ottavi di finale (molti tifosi ricordano ancora il 7-1 (totale 10-2) subito contro il Barcellona al Camp Nou). Per cercare di raggiungere questi obiettivi in estate la società ha riscattato il promettentissi-mo turco Hakan Calhanoglu (spesa tota-le di circa 15 milioni di euro), acquistato dal Gremio per 6,5 milioni di euro il ter-zino Wendell e dal Norimberga (per 7 milioni) l'attaccante svizzero Josip Drmic. Inoltre ha preso in prestito, rispettiva-mente dalla Roma e dallo Schalke 04, i difensori centrali Tin Jedvaj e Kyriakos Papadopoulos. Per tenere a posto i conti

sono stati ceduti Emre Can al Liverpool ( 12 milioni di euro incassati) e Sydnei Sam allo Schalke 04 (operazione da 3 milioni). Schmidt, in carica dall'aprile del 2015, ha così trovato a sua disposizio-ne una rosa in grado di poter dire la propria (e non sfigurare), sia in ambito tedesco che internazionale. In Bundesli-ga l'obiettivo minimo era, vista l’impossi-

Un GESTO ASSURDO

AGGREDISCE UNO STEWARD, SPAhIC LICENzIATO IN TRONCO DAL LEVERKUSEN…

È durata meno di due anni (luglio 2013-aprile 2015) l'avventura del difensore bosniaco classe 1980 Emir Spahic con il Bayer Leverkusen, squadra con la quale ha collezio-nato in totale 71 presenze e 3 reti (16 presenze in Champions League). Tutta 'colpa' di uno steward e di una reazione esagerata: in occasione del match di Coppa di Germania con il Bayern, l'ex-Siviglia ha aggredito uno degli addetti alla sicurezza della Bayarena, 'reo' di non aver consentito l'ingresso di alcuni suoi amici all'inter-no dello spogliatoio nel post-partita. Per Spahic, dopo la sospensione, po-chi giorni dopo è arrivata la rescis-sione del contratto (piccola buonusci-ta per evitare vie legali), che era in scadenza nel giugno del 2016. Ad annunciarlo è stato il direttore ge-nerale del club Schade: "Abbiamo trovato un accordo con Emir, è molto dispiaciuto per le sue azioni. Gli au-guriamo il miglior futuro". Ha voluto commentare quanto accaduto anche il diretto interessato: "Sono molto di-spiaciuto per il mio comportamento, chiedo scusa alle persone coinvolte e alle loro famiglie. Ho creato dei gros-si problemi al club. E' stato un onore fare parte di questa società. Auguro uno splendido futuro ai miei compa-gni, al club e ai suoi fantastici tifosi".

di Flavio SIRnABUnDESLIGAGERMAnIA

MALEDETTI RIGORIBAYERN LEVERKUSEN IN AFFANNO, COLPA DELLAFEBBRE DA PENALTY…

I n casa Leverkusen, dopo il 4° posto della scorsa sta-gione e la prematura elimi-nazione in Champions Le-ague negli ottavi di finale

(sconfitte per 4-0 e 2-1 contro il Paris Saint-Germain di Ibrahimovic), l'obiet-tivo dichiarato era quello di fare me-glio, cercando se possibile di portare a casa un trofeo che manca dalla stagio-ne 1992-1993 (Coppa di Germania) o perlomeno risultare maggiormente competitivi, in particolar modo in ambito europeo; finale del 2001-2002 a parte, negli anni successivi sono arrivate sem-

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bilità di avvicinarsi al Bayern Monaco, la qualificazione Champions: un traguardo che, a meno di clamorosi capovolgimenti di fronte, Kiessling e compagni riusciran-no a raggiungere anche in questa an-nata. A recitare il ruolo da protagonisti, in termini di realizzazioni, sono stati il coreano heung-Min Son e il forte ester-no sinistro classe 1990 Karim Bellarabi. Impossibile però non sottolineare le pre-stazioni di Calhanoglu, diventato in poco tempo un trascinatore della squadra con le sue giocate ed anche con la sua capacità di andare a segno (6 goal). Non è difficile pensare che la prossima estate qualche big europea (Barcellona in primis) possa bussare alla porta del-la società con una bella somma, di gran lunga superiore ai 15 milioni spesi la scorsa estate per riscattarlo dall'Ambur-go. Capitolo europeo: superata la fase a gironi con inaspettata facilità (qualifi-cazione arrivata con un turno di antici-po contro i più quotati, perlomeno sulla carta, zenit e Benfica), i rossoneri hanno trovato sulla loro strada l'Atletico Ma-drid, finalista dell'edizione 2013-2014. Il pronostico non era certo dalla parte di Leno (segnalatosi come uno dei miglio-ri portieri della competizione, tanto da suscitare l'interesse del Real Madrid) e compagni, ma il campo ha dato delle risposte opposte: dopo l'1-0 della Ba-yarena, firmato Calhaloglu, in Spagna i Colchoneros hanno pareggiato i conti e si sono imposti solamente ai calci di rigore. Decisivo l'errore dello storico bomber Kiessling. Eliminazione a parte, c'è però da segnalare come la squadra abbia dimostrato di avere finalmente la maturità per giocarsi determinati scontri ad alti livelli, e soprattutto ab-bia perso quella sorta di complesso di inferiorità che l'aveva contraddistinta negli anni scorsi. I rigori sono risultati fatali anche in occasione dei quarti di finale di Coppa di Germania contro il Bayern Monaco, dopo aver concluso i 120 minuti di gioco sul risultato di 1-1. Segno che manca ancora qualcosa, ol-tre che un pizzico di fortuna, per fare quel salto di qualità che si spera po-trà portare tra qualche anno Schmidt e i suoi uomini a lasciarsi del tutto alle spalle lo scomodo soprannome di 'per-denti di successo'. Ecco, se poi, dagli 11 metri, la dea bendata decidesse di dare una mano alle aspirine, tutto po-trebbe cambiare in tempi brevi…

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EMIR SPAHIC

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ino a qualche mese fa, su queste pagine (ma non sol-tanto) era l’Olympique Mar-siglia di Marcelo Bielsa il padrone della scena. L’OM,

dopo un più che positivo avvio di sta-gione, sembrava in grado di tener testa al PSG e di poter provare a riconqui-stare quel titolo che nella bacheca dei marsigliesi ha fatto capolino per l’ul-tima volta nel 1989. Col passare dei mesi, però, la splendida alchimia, che sembrava tenere insieme la compagi-ne guidata dal ‘Loco’, si è pian piano dissolta: l’OM ha iniziato a rallentare la propria andatura già ad inizio feb-braio, subendo il ritorno delle rivali, per

poi sciogliersi definitivamente nel mese d’aprile. A preoccupare i tifosi del ‘Velo-drome’, però, non è soltanto la classifica. A questo punto della stagione è infatti l’intero progetto-Bielsa a scricchiolare ed è proprio il timore di dover salutare il tecnico argentino la preoccupazione più grande dei sostenitori marsigliesi. Approdato in Costa Azzurra al termine della scorsa stagione, Bielsa ha scelto di firmare un contratto annuale e adesso, quel rinnovo che sembrava essere qua-si scontato per lo meno fino a febbraio, sembra ormai lontanissimo. Qualcosa si è rotto. E come spesso capita l’origine delle difficoltà va ricercata nella man-canza di risultati. Proprio nelle scorse

settimane è diventato virale, sul web, un video ‘rubato’ all’interno dello spoglia-toio marsigliese: protagonista, neanche a dirlo, Marcelo Bielsa che, dopo il fi-schio finale del match pareggiato contro il Lione, rincuora i suoi ragazzi: “É difficile accettare le ingiustizie – spiega con de-terminazione il tecnico – ma ascoltatemi: se giocherete come oggi da qui alla fine del campionato otterrete ciò che meritate. So che adesso nulla riesce a calmarvi, ma accettate l’ingiustizia perché alla fine tutto si equilibra”. Il suo Marsiglia, però, forse proprio in seguito a quel pareggio frutto anche di un goal ingiustamente annullato nel finale ad Ocampos, non è più riuscito a giocare sui livelli della prima parte di

stagione e dopo il rotondo successo ma-turato sul campo del Lens, sono arrivate le tre sconfitte consecutive che sembra-no aver segnato la stagione dell’OM. Su tutte, quella del ‘Velodrome’ nello scontro diretto contro il PSG, davanti a 65.000 spettatori euforici dopo le dure reti realizzate da Gignac (l’1-0 e il 2-1) e ammutoliti dal ritorno del PSG, capace alla fine di imporsi per 2-3.Poche settimane dopo, la resa. Lo stesso Bielsa, un lottatore nato, un motivatore abituato a non fermarsi mai di fronte a nulla, ha gettato la spugna. E lo ha fatto pubblicamente, in maniera decisa-mente inaspettata: “É triste dirlo, ma non lottiamo più per il titolo. Abbiamo avuto la possibilità di farlo, ma adesso non ce l’abbiamo più”. Con queste parole, pro-nunciate in conferenza stampa, il ‘Loco’ ha spento la luce. Un’autentica resa, lon-tana anni-luce dallo stile del tecnico.Come detto, però, le parole che preoc-cupano maggiormente l’ambiente marsi-gliese, sono quelle arrivate subito dopo e relative al futuro: “La mia permanenza a Marsiglia – ha proseguito il 59enne argentino - non dipende dalla qualifica-zione alla prossima Champions League. La società mi ha detto che vuole che io rimanga qui, ma io lo farò soltanto se mi arriverà una buona proposta. Il mio con-tratto scade al termine del campionato e fino a quel momento non voglio parlare di altre offerte”. Insomma, lo stesso Biel-sa – forse – ha percepito che qualco-sa si è rotto e si prepara a cambiare aria. Del resto, anche l’ala della stam-pa francese maggiormente affascinata dalle gesta del ‘Loco’, non ha potuto esimersi dal tirare delle parziali somme della stagione dell’OM ed evidenziare come, a conti fatti, non si possa certo parlare di un successo. Il PSG ha infatti balbettato ed il Lione, che non dispo-ne certo di un organico paragonabile a quello del club marsigliese, è riuscito a tenere testa ai campioni in carica. Il Marsiglia sarebbe dovuto riuscire per lo meno in questo. Ed invece, a poche settimane dal termine del campionato, Mandanda e compagni restano in lotta soltanto per un piazzamento ai prelimi-nari di Champions League, un obiettivo sicuramente inferiore rispetto a quello fissato ad inizio stagione. Comunque vada, non sarà un successo. E Bielsa lo sa bene. Così come sa che forse, stavolta, da qualche parte ha sbagliato anche lui.

BASTA GOLFAnTASMA

ANChE IN LIGUE 1ARRIVA LA 'GOAL-LINE TECHNOLOGY'...

Lo spartiacque della stagione dell’Olympique Marsiglia è stato probabilmente rappresentato pro-prio dal match pareggiato al ‘Velo-drome’ contro il Lione. E l’ingiustizia alla quale ha fatto a più riprese riferimento Carlos Bielsa, altro non è che un goal negato ad Ocampos a pochi minuti dal fischio finale e sul punteggio di 0-0. “Goal-fantasma” è il termine spesso utilizzato in casi analoghi. Ma di “fantasma”, stavolta, c’era ben poco. Ocam-pos, infatti, fiondatosi sul pallone a pochi metri dalla porta lo ha spinto in rete nonostante il tenta-tivo di salvataggio in extremis da parte di Anthony Lopes. A nulla è valso però il brillante gesto atletico del giovane argentino, poiché il direttore di gara Benoit Bastien, tra gli emergenti più stimati in patria, ha lasciato proseguire il gioco non convalidando la rete. Un errore che ha inevitabilmente cambiato le sorti del campionato. Forse anche in seguito a questo episodio, la LFP ha lasciato cadere gli ultimi veli di titubanza in merito all’utilizzo della tecnologia e, per voce del presiden-te Frederic Thiriez, ha reso noto che a partire dalla prossima stagione anche la Ligue 1, così come Serie A, Premier League e Bundesliga, utilizzerà la ‘Goal-Line Technology’. Era ora, viene da dire.

di Renato MAISAnILIGUE 1FRAnCIA

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IL LOCO InDECISOIL PROGETTO OM è AD UN BIVIO: COSA FARà BIELSA?

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DUBBI IN CASA OMBielsa potrebbe

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di Thomas SACCANI

l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccon-tare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

IL CALCIO DEI TIFOSII

INTER-Milan SERIE A 19.04.2015

Inter-MILAN SERIE A 19.04.2015

PhOTOGALLERY

IL TIFO RACCONTA

PhOTOGALLERY / IL tIFO RACCONtA

EMPOLI-Parma SERIE A 19.04.2015

LAzIO-Chievo Verona SERIE A 26.042015

Empoli-PARMA SERIE A 19.04.2015

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PhOTOGALLERY / IL tIFO RACCONtAPhOTOGALLERY / IL tIFO RACCONtA

TORINO-Juventus SERIE A 26.03.2015

FIORENTINA-Juventus COPPA ITALIA 07.04.2015

Torino-JUVENTUS SERIE A 26.03.2015

hELLAS VERONA-Sassuolo SERIE A 26.04.2015

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Bel primo piano dell'attaccante del

Liverpool reduce da un'esperienza

non molto positiva questo anno

www.carlettoweb.com

Rimaniamo in casa Chelsea con unpranzetto tracompagni disquadraimmortalati sulprofilo di hazard

Continua il giro del mondo

dell'ex capitano della Juventus.

Qui ritratto in posa tipica da surfer alle

hawaii

Molti giocatori si dedicano ad altre discipline nel tempo libero, sicuramente tra le meno pericolose c'è il golf, praticatoda Rooney

Vera rivelazionedel Genoa, il

centrocampista ci regala uno scatto casalingo mentre si riprende da un

infortunio

Due mitidel calcio.Puyol dell'ultimadecade,Cantona degli anni '90.

Dopo il matchcon il Manchester

United,l'attaccante del

Chelsea si regala un primo piano in

un hotel di lusso

All'estero sono molto più attivi sui social rispetto ai nostri giocatori italiani, ecco il trio delBarca capitanato da Suarez sulpulmino chedall'aereo portaal gate!

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLettO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb

BALOteLLI HAzARD

BeRtOLACCI PUYOL

DeL PIeRO ROONeY

DROGBA SUARez

scovate da CARLett

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