CagliariPad_12

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La rivista free press di Cagliari e dintorni

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Un caso clinico di Guido Garau

Far finta di essere sani, cantava Giorgio Gaber. Fingere per na-scondere il mal di vivere, preferire l’anestesia sociale a un’esi-stenza autentica - un autentico dolore - solo per apparire, per nascondere la propria morte interiore. Altri tempi.

Oggi non possiamo più permetterci simili sottigliezze, proprie di una borghesia ricca e matura. In un’epoca di decadenza anche fingere di esser sani è diventato un lusso. Zeno Cosini avrebbe smesso di fumare (senza rimorsi di coscienza) per mancanza di contanti per comprare le sigarette. Oggi essere sani è diventa-to obbligatorio, altro che finzione. Nessuna ironia: o si vive o si muore. Se ti ammali perdi il lavoro, la casa, i figli. Sei fottuto.

Ecco: in un mondo alla fine del mondo, mantenere ossa, cuo-re e polmoni al loro posto è l’unica garanzia di sopravvivenza. La sovrastruttura (un mondo culturale fatto di dover essere) non esiste più: si torna alla lotta per restare in vita.

Eppure l’offerta di illusioni e di dolci inganni che circonda la fab-brica della salute è immensa e si declina nei mille desideri di integrità fisica e di lunga vita. Alla medicina si chiede, ora più che mai, ciò che un tempo si chiedeva alla religione, seppure in riferimento alla vita: la piena felicità terrena.

Così ci troviamo a un bivio: da un lato la sensazione fortissima di essere sempre più precari, gettati nel mondo, dall’altra l’illusione di poter prolungare la vita all’infinito. Nel mezzo sta la Cura.

E allora cerchiamo di fare il punto: sullo stato di salute della Sa-nità sarda e su alcune importanti questioni che riguardano e ca-ratterizzano il mondo della medicina. Dagli ospedali alle cellule staminali, dagli sprechi del sistema sanitario fino ad arrivare alla salute mentale. Consapevoli di un fatto: oggi la vera malattia è la «disarmonia sociale». Di fronte alla quale siamo in attesa di una panacea epocale, possibilmente duratura: la nostra nuova concezione di salvezza.

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INDICE

Infermieri in attesa di concorsoun precariato da tre milioni all’anno

di Claudia Sarritzupag. 4-5

Intervista con Gisella Trincasla sofferenza mentale e la speranza

di Maria Grazia Pusceddupag. 6

Il San Giovanni si trasferisce o si rinnova?Intanto arrivano due milioni per il restauro

di Michela Seupag. 7

“Cagliari non ha una Banca del sanguequella del Binaghi non è a norma”

di Carlo Poddighepag. 8

Mai più mostro Marinol’ex ospedale diventa un centro benessere

di Laura Puddupag. 9

pag. 3

Pag. 15: la famiglia Usai “alla neve”di Alessandra Ghiani

EDITORIALE

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InfermIere: posto pubblIco, contratto InterInale un precarIato che costa tre mIlIonI all’anno

di Claudia [email protected]

AC a g l i a r i , non tutti gli i n fe rmier i ,

ausiliari, amministrativi e paramedici rischiano di an-noiarsi con il posto fisso. Il precariato in corsia, infatti, inizia con l’approvazione del pacchetto Treu nel giu-gno 1997 che, modifican-do radicalmente i rapporti di lavoro, crea le figure del lavoratore socialmente uti-le con mansioni di pubblica utilità. Ma mentre in quella legge il rapporto di lavoro dopo sei mesi doveva sfo-ciare in una assunzione a tempo indeterminato, con la legge Biagi del 2003 e la nuova disciplina delle agenzie di somministrazio-ne del lavoro, questa con-clusione felice per il lavora-tore sparisce.

I concorsi però (se si esclude il Policlinico uni-

versitario di Monserrato che selezionerà 19 pro-fessionalità) non vengono quasi più praticati dalle aziende sanitarie. Incapaci di assicurare la presenza costante di un numero di operatori che si assentano per malattie, usufruiscono dell’interazione dell’agen-zia per le sostituzioni, cosa che non può accadere quando si assume un lavo-ratore a tempo indetermi-nato per concorso. Fabrizio Anedda, segreta-rio provinciale del Nursind (Sindacato delle professio-

ni infermieristiche), spiega: “Abbiamo diffidato le tre Direzioni generali delle tre grandi aziende Sarde (A.O. Brotzu, ASL 8, A.U.O.) a provvedere al ripristino della corretta dotazione organica del personale in-fermieristico e di supporto in tutte le UU.OO., nonché al rispetto delle specifiche competenze professionali. Se ci sono posti vacanti, che bisogno c’è di attivare o prorogare ulteriori pro-cedure di reclutamento di risorse umane tramite agenzie esterne, quando

si ha a disposizione una graduatoria aperta? Tanto più se la soluzione prefe-rita risulta maggiormente onerosa da un punto di vi-sta economico.”

Il costo dell’operazione è di 3.270.000 euro di cui 152.900 euro più 20 per cento di Iva sono l’effettivo compenso all’agenzia. La diffida citata da Anedda ha come oggetto la grave ca-renza di personale di sup-porto e l’illegittimo deman-sionamento del personale infermieristico, si afferma

Gli operatori sanitari cagliaritani aspettano da tempo un concorso che regolarizzi la loro posizione. Il segretario del sindacato di categoria Anedda: “Situazione ingiusta, abbiamo inviato una diffida alle Asl”

CAGLIARIpad.itANNO II • Numero 12 • 14 febbraio 2012EditoreGCS Green Comm Services S.r.l.

Direttore responsabileGuido Garau

Hanno collaborato:Alessandra GhianiLexaCarlo PoddigheLaura PudduMaria Grazia PuscedduClaudia SarritzuMichela Seu

FotografieGuido GarauAlessandra GhianiProgetto grafico e impaginazioneCesare Giombetti

VignetteBob Marongiu

StampaGrafiche Ghiani • Monastir

Sede legaleVia Giotto, 5 • 09121 • CagliariRedazioneLargo Carlo Felice, 1809124 [email protected]. 070.3321559 • 366.4376649Autorizzazione Tribunale di Cagliari15/11 del 6 settembre 2011

PRIMO PIANO

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inoltre che se mancano gli ausiliari l’infermiere sarà costretto a svolgere anche ruoli che non sono di sua competenza e a distrarsi dalle attività proprie. Il segretario provinciale del Nursind rincara: “Se parliamo di un operatore ausiliario, può accadere che verranno anche scelti lavoratori che ogni mese cambiano lavoro, che ma-gari non hanno fatto il cor-so di OSS, che un mese lavorano in un cantiere e l’altro in una corsia ospe-daliera.” Ma allora perché si reperisce personale tra-mite agenzia? “Il lavorato-re interinale lavora anche se per poco e continua a sopravvivere - conclude Anedda - l’ospedale ha tutte le sostituzioni che gli interessano senza alcun problema mantenendo lo stesso numero di operatori 24 ore su 24.

Sull’argomento, il diret-tore generale del Brotzu Tonino Garau replica: “Al Brotzu purtroppo non c’è

più possibilità di assu-mere per concorso per-ché la pianta organica è al completo. Per questo finché non viene rivista e ampliata dall’Assessora-to noi siamo costretti ad attingere dalle agenzie per le sostituzioni tempo-ranee. Io sono convinto che non c’è un istituto migliore del concorso per ridare dignità profes-sionale e migliori servizi all’interno dell’ospedale, bisogna finirla con que-sto uso indiscriminato del lavoro interinale, non c’è alcun risparmio e la qua-lità è peggiore.” Dall’altra parte l’assessorato alla Sanità, che dopo aver già chiesto informazio-ni lo scorso novembre, afferma di aver inviato una nuova sollecitazione all’Azienda Brotzu a for-nire aggiornamenti e tut-ta la documentazione sul bando di gara, per fare chiarezza e stabilire con certezza le esigenze del personale.•

All’agenzia interinale ogni anno vanno 150mila euro più Iva

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di Maria Grazia [email protected]

La sofferenza mentale è una condizione che può colpire chiunque in qualsiasi momen-to. Da più di 25 anni l’Asarp (Associazione sarda per l’at-tuazione della riforma psichia-trica) si impegna per garantire a queste persone e ai loro fa-miliari una vita normale. Spes-so un parente che si trova a vivere questo dramma non sa cosa fare. L’Asarp nasce in Sardegna come associazione di familiari e utenti per rivendi-care la piena attuazione della Legge di riforma psichiatrica (n. 180 del 1978) che preve-deva la chiusura degli ospe-dali psichiatrici e imponeva alle Regioni la costruzione sul territorio di una serie di servizi e di interventi contro qualsiasi forma di internamento. “Ho fondato l’Asarp – ha dichiara-to il presidente Gisella Trincas – perché una mia sorella con sofferenza mentale non rice-veva le cure adeguate che l’a-iutassero ad uscire da questa condizione”.

Grazie all’associazione, una famiglia che si trova ad af-frontare questo dramma non si sente più sola e viene ac-compagnata in un percorso di comprensione e di attivazione nel chiedere ai servizi quello di cui ha bisogno. Sono mol-tissime le vittorie conseguite dall’Associazione in questi anni

ma tante ancora le sfide da af-frontare. Innanzitutto quella che riguarda il blocco dei locali da parte della Asl 8 per la costru-zione del caffè letterario, una grande opportunità di lavoro per i soci svantaggiati.

Gli obiettivi e le attività. Uno degli obiettivi più importanti dell’Asarp è sicuramente quello di fare in modo che le istituzioni facciano le leggi che servono e le rispettino, attivando pro-getti terapeutici personalizzati che coinvolgano attivamente i familiari. Un ulteriore obiettivo

è poi quello di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso una serie di iniziative culturali e di dibattito che permettano alla gente di avere una visio-ne corretta e rispettosa della questione “salute mentale”. “Cerchiamo di garantire – ha aggiunto Gisella Trincas – una consulenza intensiva, dando

informazioni corrette sul proble-ma della salute mentale e dei diritti umani”. Sono tantissime le persone che entrano in contat-to con l’Associazione, spesso anche solo per una consulen-za. Alcune scelgono invece di rimanere all’interno dell’A-sarp, seguendo i numerosi laboratori. C’è quello di pittura collettiva e quello di trash art in cui si realizzano opere con l’utilizzo di materiali di scarto. Ci sono poi il laboratorio di musica e quello di auto mutuo aiuto tra utenti che si incontra-no con un volontario e fanno

letture e discussioni collettive. Tutte queste attività servono naturalmente per reinserire le persone in un contesto di vita normale. Lo stop al caffè letterario. Un’altra importante vittoria conseguita dall’Asarp è stata la realizzazione di due co-operative: l’Asarp Uno che gestisce il servizio di assisten-za domiciliare e “il giardino di Clara” nata per realizzare, all’interno della struttura in cui ha sede l’Associazione, un caffè letterario. I locali da dedi-care a questo progetto erano già stati individuati negli spazi dell’ex direzione e ristrutturati. Gli accordi erano già stati pre-si, mancavano solo gli arredi. Poi però qualcosa non è an-data come doveva. Quando nel maggio scorso è cambiata la Giunta comunale di Cagliari e con essa anche la direzio-ne della Asl 8, il progetto che doveva dare lavoro ai soci svantaggiati della cooperati-va, è stato bloccato. La mo-tivazione? I locali devono es-sere destinati ad altro. “Destra o sinistra non c’entra– dice la Trincas – ma di una mancan-za di sensibilità. Questi temi non sono la loro priorità anche perché non conoscendo l’As-sociazione, non ne conosco-no le potenzialità”. Nell’attesa che la situazione si sblocchi, tante persone con sofferenza mentale aspettano un’impor-tante occasione di lavoro e di reinserimento sociale.•

ASARP, UNA STORIA LUNGA VENTICINQUE ANNINELLA SPERANZA DI UNA VITA NORMALEL’Associazione per l’attuazione della riforma psichiatrica lotta per le persone con sofferenza mentale la presidente Trincas: “Lo faccio per mia sorella”. La delusione dei soci per lo stop al caffè letterario

Fino alla seconda metà del XIX secolo, le persone che soffrivano di disturbi psi-chici venivano abbandonate a se stesse. Nel 1859, nel nuovo ospedale civile S. Giovanni di Dio fu aperta la prima clinica psichiatrica. Nel 1907 venne edificato il nuovo Ospedale psichiatrico, che prese il nome della villa preesistente, Villa Clara

Nel 1800 i primi ricoveri in cliniche dedicate poi la nascita della casa di cura Villa Clara

L’INCHIESTA

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L’INCHIESTA

di Michela [email protected]

Dislocazione dell’ospe-dale San Giovanni di Dio? Certamente sì. Anzi no. Diciamo forse. A qua-si quattro anni dal trasfe-rimento del primo repar-to, quello di Neurologia, al Policlinico di Monser-rato, tante sono ancora le incertezze sul futuro dell’ospedale più antico di Cagliari. A cominciare dai lavori di ristrutturazio-ne previsti per l’edificio ormai obsoleto.

A settembre furono stanziati 2,3 milioni di euro: fra le priorità del progetto due nuovi ascensori, la sistemazio-ne di pavimenti e faccia-te interne, i parcheggi e la ristrutturazione dell’ex Scuola infermieri, dove attualmente hanno sede Diabetologia, Asl e i ser-vizi tecnici. Lavori che, tuttavia, non sono mai partiti e che, con tutta probabilità, mai partiranno. “Ha veramente poco senso spendere denaro su una struttura così vecchia – fa sapere il direttore gene-rale Ennio Filigheddu – che per diventare accreditabile necessiterebbe di troppi in-terventi”. D’accordo, ma i 2,3 milioni? “Per il momento sono custoditi dentro una cassafor-te che tiene la Regione – pro-

arrIvano due mIlIonI dI euro per Il restauroIl san gIovannI sI trasferIsce o sI rInnova?

Il direttore Ennio Filigheddu: “Ha poco senso spendere denaro su una struttura così vecchia che per diventare accreditabile ha bisogno di troppi interventi”

segue Filigheddu – ma entro luglio dovremo stabilire come impiegarli. La nostra idea è di dirottarli verso Monserrato”.Sembrerebbe questo il de-stino dell’ospedale Civile di Cagliari, almeno sulla carta. Dopo il trasferimento di Neuro-logia è stata la volta, a settem-bre del 2011, di un reparto di Chirurgia: il 31 gennaio scorso

due ditte, la Imma e la Vitale Micconi, hanno vinto la gara d’appalto per la rea-lizzazione dell’ormai famoso (più volte annunciato e non ancora realizzato) Blocco Q, sempre a Monserrato. Si trat-terebbe di un mo-derno edificio in cui verrebbero trasferiti per primi i reparti di Ostetricia e Patolo-

gia neonatale che attualmente risiedono alla clinica Macciot-ta, e poi, a seguire, l’intero Ci-vile vecchio.

L’ottimismo è di casa nello studio di Filigheddu: “I cittadini potranno presto usufruire di numerosi vantaggi: parcheggi liberi e quasi certamente co-perti (verranno anche installati

pannelli fotovoltaici), il traspor-to pubblico Ctm, la metropo-

litana di superficie che dal 2013 rag-giungerà l’ingresso del Policlinico, e un collegamento stra-dale, la 554, facil-mente percorribile a maggior ragione da quando un incrocio a raso è stato elimi-nato”. Impossibile tuttavia

sapere che ne sarà del ma-estoso edificio ottocentesco.

Dal Comune di Cagliari sarebbe stata avanzata l’i-potesi di un campus univer-sitario, ma di volta in volta si è pronosticato anche un mu-seo, o un ospedale comuni-tario, e persino un albergo: “Il Comune non ha, però, voce

in capitolo – precisa il direttore generale – poi-ché l’ospedale è gestito da un’azienda mista, Università e Regione. Attualmente non esiste un piano di ristrutturazio-ne, in quanto bocciato al Tar nel 2008, e pertanto indiremo un concorso di idee”. L’ipotesi più verosimile secondo Fi-ligheddu è quella di re-alizzare, al piano terra, un centro che rimanga in qualche modo anco-rato alla sanità pubblica, come un poliambulato-rio. I restanti piani della struttura restano invece un’enorme incognita.

Una certezza, tuttavia, appare evidente: biso-gna fare presto. Perché venga terminato il Poli-clinico o perché venga ristrutturato il San Gio-vanni di Dio. Per garan-

tire assistenza ai pazienti in uno stabile decoroso e per-ché i 2,3 milioni di euro stan-ziati per l’ospedale non ven-gano, come troppo spesso accade, buttati al vento di maestrale che spira forte nel capoluogo isolano. •

ZOOM

Ospedale civile, le ipotesi di riqua-lificazione: un campus univer-sitario, ma anche un museo, o un ospedale comu-nitario, o persino un albergo

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di Carlo [email protected]

Il sangue del cordone ombe-licale è la terza fonte di cel-lule staminali, dopo il midollo osseo e il sangue. Le sta-minali sono “cellule il cui de-stino non è ancora deciso”, cellule neutre che possono originare altri tipi di cellule. Sono perciò utili nella cura di numerose patologie come leucemie, linfomi, alcuni tu-mori solidi, deficit immunitari, patologie genetiche come la talassemia. Ma smisurate sembrano essere le poten-zialità di queste cellule con il progredire delle conoscenze medico-scientifiche. È perciò comprensibile l’interesse a ri-guardo non solo da parte dei malati di gravi patologie, che sperano di trovare una cura ai loro mali, ma anche di chi ha intravisto un’opportunità di business senza limiti. Andrea Corda, ginecologo cagliaritano, opera nel repar-to di Ginecologia e Ostetricia

del San Giovanni di Dio dagli anni 90, è officer del distret-to 108 dei Lions per il servi-ce sulle cellule staminali dal sangue del cordone ombe-licale e mette in guardia dai facili entusiasmi e dai possi-bili rischi.

Come si ottengono le sta-minali dal cordone ombe-licale?

Al momento del parto si re-cide il cordone e da questo si prelevano dai 50 ai 100cc di sangue ricco di cellule. Il sangue viene poi subito con-servato in apposite sacche. Dal sangue vengono infine estratte le staminali che, at-traverso un processo di cri-oconservazione, vengono conservate nell’azoto liquido a temperature di -180° C.

In Italia vengono conser-vate presso le Banche del sangue cordonale. Da ot-tobre anche Cagliari ha la sua, al Bina-ghi.

Sì. Il problema è che esiste una procedu-ra da seguire nel prelievo e nella conser-vazione delle

cellule del cordone ombeli-cale. L’intera filiera deve es-sere attuata secondo precisi parametri internazionali, solo seguendo i quali la Banca del sangue ottiene la certificazio-ne Gmp: Good medical prac-tice (Corretta prassi medica). Senza l’attestato Gmp le banche non possono utilizza-re le cellule che conservano.

La “Banca” del Binaghi può vantare questa certifi-cazione?

No, per niente. Su circa venti Banche del sangue cordona-le presenti in Italia solo due hanno la Gmp. Le altre con-servano le cellule, ma non possono utilizzarle, perché non hanno cellule certificate. Esistono per garantire uno stipendio al solito codazzo di Presidenti, Consigli di ammi-nistrazione e dipendenti vari.

Nessuna speranza per un malato sardo, allora?

Solo intrapren-dere l’ennesimo viaggio in strut-ture pubbliche certificate in Continente o andare all’este-ro, dove, però, molte strutture

private hanno trasformato in un vero e proprio business l’utilizzo delle staminali. Qui in Italia, dai danni fatti dalle scelte della Bindi in poi, scon-tiamo un ritardo normativo di dodici anni che in medicina sono un era geologica. Pra-ticamente per le donne oltre all’emigrazione per avere figli, si aggiunge quella per conservare le cellule stami-nali che potrebbero curare le patologie dei propri familiari.

Perché una madre può scegliere che le staminali del proprio cordone siano esclusivamente a disposi-zione sua o dei familiari? All’estero sì. È la cosiddetta donazione autologa, vietata in Italia, che di fatto permette la cura solo a chi ha la possi-bilità di conservare le proprie cellule in costose banche pri-vate oltre confine. Qui in Italia esiste la donazione dedica-ta, consentita dalla legge in singoli casi ben specificati. I risvolti etici dell’uso delle sta-minali sono, d’altronde, quasi orwelliani. Una volta termina-ta la mappatura del genoma si può arrivare alla clonazio-ne o alla selezione della spe-cie. Il rischio già attuale è che nasca uno scontro a discapi-to della ricerca. •

AndreaCordaGinecologo e officer del distretto 108 Lions

“la banca del sangue del bInaghI? è InutIle: non è certIfIcata”

“Conservano le cellule ma non potran-no utilizzarle: così l’unica speranza per i sardi resta quella di andare all’estero”

“Su circa venti Banche in Italia solo due sono a norma. Le altre? Servono a garantire incarichi e

stipendi.”

L’INTERVISTA

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ADDIO MOSTRO “MARINO”

molti luoghi per la riabilitazio-ne. Non solo: fornirà un’op-portunità di lavoro in più per i sardi, che avranno la prece-denza rispetto agli altri. Sa-ranno a tal fine avviate delle intese con l’Università, la Regione e il Comune. Ser-viranno almeno centodieci specialisti tra medici, fisiote-rapisti, infermieri e ammini-strativi.

La Prosperius, società lea-der nelle terapie e tecniche di riabilitazione in Italia, tramite il suo responsabile Mario Bi-gazzi ha fatto sapere che la scelta è ricaduta su Cagliari perché il Golfo degli Angeli è ritenuto un posto bellissimo, comodo ed economico; il clima e la posizione lo ren-dono poi perfetto soprattut-to per passare le stagioni intermedie. La spiaggia dei centomila dunque, dopo la demolizione dei chioschi, si appresta a cambiare anco-ra volto. La speranza è che possa rappresentare per Cagliari un’ottima occasione di sviluppo. •

Tra due anni il rudere che si trova sulla spiaggia del Poetto diventerà un polo

dedicato alla cura e al benessereSi prenda un edificio carico di storia. Si aggiunga il fatto che si trovi in una posi-zione in-

cantevole e goda di un clima senza uguali e si otterranno le condizioni ottimali per pun-tare al turismo della salute. A questo mira la città di Cagliari attraverso la trasformazione dell’ex ospedale Marino in un centro di riabilitazione. Se tutto procederà per il verso giusto, tra due anni il rude-re che si trova sulla spiaggia del Poetto diventerà un polo dedicato alla cura e al benes-sere. Sarà possibile eliminare, finalmente, uno degli esem-pi di abbandono e degrado presenti da decenni nel ca-poluogo sardo. Il progetto, che contempla una spesa di circa venti milioni di euro, pre-vede degli spazi dedicati alla

riabilitazione intensiva, quella estensiva e anche sportiva; non mancheranno una se-zione di eccellenza per il rico-vero, una parte dedicata alla formazione al lavoro del disa-bile, un centro termale e una sezione Antiaging (assieme a una di dietologia e di intol-leranza alimentare). Ci sarà spazio per una palestra e per servizi di ristorazione e bar e, all’esterno, per una zona rivolta alla ginnastica acqua-tica, con tende e ombrelloni.

La gara d’appalto per la riqualificazione dell’ex ospe-dale marino era stata vinta, nel Maggio del 2010, dalla società Prosperius di Firen-ze. Mancava soltanto una modifica al Puc e la variante urbanistica è stata approvata dal Consiglio comunale alla fine di Dicembre.

La società toscana avrà la concessione per mezzo se-colo, mentre la proprietà re-sterà della Regione. I lavori cominceranno alla fine dell’e-state prossima e saranno ultimati entro Aprile del 2014, anche se non si esclude lo slittamento di alcuni mesi onde evitare rischi per i ba-gnanti.

Il risultato finale sarà una struttura a metà tra clinica e albergo, a disposizione so-prattutto di sportivi e anziani tedeschi, del nord Europa e dei paesi baltici, che potran-no venire in Sardegna invece di andare a Tenerife, come è loro consuetudine. Non un centro esclusivo per soli ricchi comunque, ma un’in-teressante soluzione anche per la popolazione sarda che per ora non può contare su

di Laura Puddu

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OPINIONI

LA BATTAGLIA DELLE PAROLE

Jean-Paul Sartre*

L’uomo, essen-

do condannato ad essere libero, porta il peso del mondo

tutto intero sulle spalle; egli è responsa-bile del mondo e di se stesso in quanto modo d’essere. Prendiamo la parola ‘re-sponsabilità’ nel suo senso banale di ‘co-scienza (di) essere l’autore incontestabi-le di un avvenimento o di un oggetto (...) Quello che mi accade, accade per opera mia e non potrei affliggermi né rivoltarmi né rassegnarmi. D’altra parte, con ciò bi-sogna intendere che sono sempre all’al-

tezza di quello che mi accade, in quanto uomo, perché ciò che accade agli uomi-ni per opera di altri uomini e di se stesso non potrebbe essere che umano. Le più atroci situazioni della guerra, le peggiori torture non sono stati di cose inumani: non ci sono situazioni disumane; è solo per paura, fuga o ricorso a comporta-menti magici che deciderò dell’inuma-no; ma questa decisione è umana e ne sopporterò tutta la responsabilità. Ma la situazione è mia inoltre, perché l’immagi-ne della mia libera scelta di me stesso e tutto ciò che mi presenta è mio in quan-to mi rappresenta e mi simbolizza. Non sono forse io che decido del coefficiente di avversità delle cose, e persino della loro imprevedibilità, decidendo di me

stesso. Così non ci sono accidenti in una vita; un avvenimento sociale che scoppia improvvisamente e mi trascina non viene dall’esterno; se sono mobilitato in guerra, questa guerra è mia, essa è a mia im-magine e la merito. La merito dapprima perché io potevo sempre sottrarmici col suicidio o la diserzione: queste possibilità estreme devono sempre esserci pre-senti allorché si tratta di considerare una situazione. Non essendomi sottratto l’ho scelta: questo può essere per debolez-za, per vigliaccheria di fronte all’opinione pubblica, perché preferisco certi valori a quello del rifiuto di fare la guerra. In ogni modo si tratta di una scelta.

* tratto da “L’essere e il nulla”

scrivici: [email protected] manda un sms al 342.5995701

L’uomo è responsabile del mondoL’angolino del filosofo

Eliminate i parcheggi bluDalla parte dei consumatori

AndreaPusceddu*

I parcheggi blu sono ra-dicalmente i l legitt imi.

Nascono con l’obiettivo di re-golamentare il traffico, limitare gli accessi nel centro cittadino e incentivare l’uso dei mezzi pubblici.

Ma di fatto non assolvono a nessuno dei tre compiti. In-centivano, tut-tavia, le soste in doppia fila, nei parcheggi carico-scarico e riservati ai disabili, mentre fioccano le sanzioni per la permanenza nei blu oltre il tempo stabilito

dai tagliandi.Le aree di sosta a pagamento si trovano nelle vie più ambite del centro, con l’unico risultato che proprio in quei punti il traffi-co è maggiormente congestio-nato; servizio pubblico, infine. A Cagliari il Ctm avrebbe inte-resse a incrementare il servi-

zio di trasporto pubblico: pec-cato solo che sia, contempo-raneamente, gestore di buo-na parte delle aree di sosta privilegiata. Che dovreb-bero garantire altrettanti par-cheggi bianchi

nelle immediate vicinanze. In teoria.

* Federconsumatori

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caglIarI sI veste dI grIgIoIstantanee dal freddo sIberIanoLa città resiste alla neve ma tutt’intorno i paesaggi si tingono di bianco. Gelo, pioggia e ventoaccompagnano l’ultimo colpo di coda di quest’inverno. Di Alessandra Ghiani

REPORTAGE

Raffiche di vento al Bastione di Saint Remy Mareggiata al Poetto

Burcei: stalagmiti di ghiaccio Poco prima della tempesta a Marina Piccola

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pag. 13

È nata a Carbonia, ventuno anni fa, nella regione più po-vera d’Italia, il Sulcis, dove un giovane per emergere e tro-vare la sua strada deve esse-re molto più che bravo, deve essere una persona speciale, forte e anche coraggiosa.

Eleonora Di Marino nei presi-di della Rockwool, nei pressi di Iglesias, dava speranza ai cassintegrati in lotta e con la GiuseppeFrau Gallery collaborava a un progetto di sensibilizzazione sui temi del lavoro ma soprattutto sulla perdita del lavoro e della di-soccupazione attraverso mo-stre, rappresentazioni teatrali spontanee. Proviene da una situazione familiare difficile, economicamente disastrosa, come tante altre nel suo terri-torio e ha imparato a capire la sua gente e a incanalare tutta quella disperazione, vista e toccata con mano, nel suo ta-lento artistico attraverso i suoi studi. Ha fatto il liceo artistico ad Iglesias, viaggiando tutti giorni sulle nostre “efficien-

ti” linee ferroviarie. Per lei lo studio ha significato da subi-to il riscatto. Grazie alla sua innata sensibilità ha deciso che la storia non poteva pas-sare sopra le sofferenze del suo territorio senza che l’arte reinterpretasse i tempi difficili

e raccontasse ai posteri cosa ha significato la crisi. “I miei primi tentativi erano orientati a un recupero dell’orgoglio della cultura locale e popo-lare. Mi sono concentrata nel Carnevale Iglesiente, ma intanto dipingevo quadri che raccoglievano la mia rabbia e i miei desideri. Farò la pittrice e lo farò a qualsiasi costo, mi ripetevo, dedicando i pochi soldi che avevo a tele e co-lori, qualche volta rubando le lenzuola di casa perché le tele erano troppo costose.”

Oggi studia a Milano all’Ac-cademia delle Belle Arti, la-vorando per mantenersi agli studi. Non ha dimenticato le sue radici. “Nel 2009, quando terminai il primo anno d’Ac-cademia a Milano, nacque la GiuseppeFrau Gallery (uno spazio no-profit, un colletti-vo, un centro di ricerca per l’arte pubblica e sociale con sede, nei pressi di Iglesias, nel più piccolo dei villaggi mi-nerai abitati), con l’obiettivo di crescere a contatto con le

migliori energie internazionali e di metterle a disposizione da subito nel territorio, senza aspettare il ciclo tradizionale di laurea fuori e ritorno a casa.”

Recentemente, dopo aver trascorso al Binario 21, con i lavoratori licenziati da Treni-talia, il Capodanno più bello della sua vita, mettendo in atto durante la serata una se-rie di azioni performative, ha realizzato un’opera-azione con le lavoratrici Omsa, invi-tandole ad indossare le calze sul volto, ribaltando il valore estetico e seducente dell’in-dumento, trasformandolo in un inquietante e minaccioso avvertimento. Eleonora Di Marino fa parte di un gruppo di giovani che hanno deci-so di non lasciarsi sopraffa-re da un’economia spietata ma di cambiare il destino di tanti attraverso nuove forme di presidi, dove l’arte ripren-de la sua funzione socia-le come nei primi del ‘900.

di Claudia Sarritzu

Questo spazio è dedicato alle persone che quotidianamente conducono una battaglia silenziosa. Racconta anche Tu la tua storia. Le migliori verranno pubblicate. Scrivi a:

[email protected] o manda un sms al 342.5995701

“HO MESSO UNA CALZA IN FACCIA ALLA CRISI” COSÌ IL DRAMMA DEL SULCIS DIVENTA ARTE

Eleonora di Marino, studentessa in Belle Arti, racconta con la creatività la crisi del Sulcis-Iglesiente

CHI È

STORIE

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CURIOSITÀ

Il primo trapianto di cuore fu eseguito nel 1989 a Cagliari dall’allora giovane cardiochirurgo Valentino Martel-li. Il primo in as-soluto, in Italia, avvenne quattro anni prima, a Padova. Il primo trapianto di cuore al mondo invece fu eseguito il 3 dicembre 1967 dal

chirurgo sudafricano Christiaan Barnard a

Città del Capo, su Louis Wa-

shkansky, di 55 anni, che morì 18 giorni

dopo. Negli ospedali

sardi vengono oggi eseguiti trapianti di rene, di cuore, di rene-pancreas, di fegato, di cornea e di midollo osseo.

A QUANDO RISALEIL PRIMO TRAPIANTO DI CUORE NELL’ISOLA?

DOMANDE E RISPOSTE

Juan Perón fu un militare e politico argentino. Fu presidente dell’Argenti-na dal 1946 al 1955 quan-do venne rovesciato da un golpe militare. Secon-do una teoria sostenuta e argomentata da alcuni studiosi sardi (Peppino Canneddu, Gabriele Ca-sula), Perón sarebbe sta-to, in realtà, un emigrato sardo, Giovanni Piras

di Mamoiada, inventa-tosi natali argentini per sfuggire alla coscrizione durante la prima guerra mondiale. La notizia del Peron sardo appare per la prima volta nel marzo del 1951, in un articolo a firma Nino Tola, avvoca-to-giornalista di Mamoia-da. L’enigma non è stato ancora risolto: recenti documenti, però, sem-brano attestare che il Giovanni Piras emigrato in Argentina, che avreb-be preso il nome di Pe-ron, fosse di una piccola frazione del comune di Torpè, nella costa orien-tale della Sardegna.

Giovanni Piras e Juan Peron:la stessa persona?

Juan Perón fu un militare

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pag. 15

di Alessandra Ghiani

Giorni di freddo stravvanato in Sardegna e un po’ dovun-que. Gli Usai sono entusiasti-camente in subbuglio perché a Fonni (e non solo) è arri-vata la neve. Giro veloce di telefonate e per domenica è organizzata la gita in quel di Bruncu Spina. Solo Marietto, come al solito il più avanti di tutta la famiglia, conosce un po’ il posto perché una volta, ai tempi delle scuole elemen-tari, lo avevano portato in gita a Belvì a vedere il Museo di scienze naturali.

In fase organizzativa Marietto inizia ad impartire disposizioni per i preparativi:

“O pà, domani vai a compra-re le catene per l’auto che io ho gente a lavoro e non me ne posso uscire!”

“Tre metri ne bastano?” chie-de Peppi che non aveva mai sentito parlare di catene per le automobili.

“O pà, ma itta ses narendi! Là che le catene per auto non si comprano al metro da Brico, sono quelle già pronte che si usano per la neve! In un ne-gozio di autoricambi deppisi andai!”

Domenica mattina Marietto guarda nervosamente l’orolo-gio, l’appuntamento è alle 9 a casa di Peppi e Pinuccia, ma Peppi Junior e famiglia non si vedono ancora.

“O mà, prova a telefonarlo a Peppixeddu per vedere cosa sta facendo”.

“Prestamì su celluleddu Ma-

riè, che il mio è screditato” chiede Pinuccia al figlio che prontamente glielo porge.

“Pronto! Pronto Teresina, che fine avete fatto?? E itt’ei? Ah,

va bene dai, non preoccupa-tevi, digli a Peppi di mangiare riso in bianco e limonata!Ci sentiamo stasera!” .

Pinuccia parla al telefono con Teresina (moglie di Peppi Ju-nior), poi si rivolge al marito e a Marietto “Mischino, Peppi è a punte di pancia, non vengo-no più”

Gli Usai si mettono così, di-mezzati, finalmente in viag-gio. Per far vedere un po’ di nuovi posti ai familiari Mariet-to alla guida decide di pas-sare per le strade interne. La

neve non tarda troppo a farsi vedere e in territorio di Aritzo Pinuccia si esalta

“Lillo a nonna, guarda quan-ta neve ne è caduta! Frimarì Marietto dai, è pren’e nì! Così Lillo gioca!”

Il tempo di fermare l’auto e trovare un posteggio, Lillo scende al volo senza pensa-

re al freddo e si butta sul man-to bianco. Di colpo comincia a strillare e piangere lamentan-do il freddo, sale in auto e non vuole più scendere.

Improvvisamente nota con la coda dell’occhio un gruppo di bambini che stanno facendo un pupazzo di neve. Accanto a loro una schiera di mamme, messe in riga come dei gene-rali che non perdono di vista un istante i loro bambini. Lillo si avvicina e senza dire nulla inizia a prendere parte all’atti-vità con molta calma.

Ad un certo punto iniziano a volare palle di neve a destra e a manca e una di queste arri-va in mezzo ai bambini che di colpo si fermano per cercare di capire cosa stia succeden-do. Peppi e Marietto hanno iniziato a giocare con molta discrezione e nel giro di po-chi secondi è una battaglia generale. Tutte le mamme in schiera scandalizzate da tanta baraonda e confusione cominciano a sbraitare ai loro bambini:

“Ti ho detto di non buttarti per terra, non bagnarti, non su-darti e non sporcarti!!!”

Pinuccia, che nel frattempo si era seduta su un tronco di legno per imbottire panini, sentendosi molto infastidita da tutti quei rimproveri mossi ai bambini, cerca Lillo con lo sguardo e gli grida:

“O Lillo a nonna, tu gioca pure quanto vuoi, fullia a terra, sciundidì, sudadì, e imbruttarì ché n unu proccu. TANTO DOPO NONNA GIA’ TI LAVA!”.•

Ayò ALLA NEVE La famigLia Usai sUL gennargentU

Peppi e la sua sterminata prole tra Aritzo e Fonni “Ma di catene per la macchina quanti metri ne devo comprare da Brico?”

LAIF STAIL

Vignetta di Bob Marongiu

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In ciascuno di noi c’è una parte irrazionale di senti-

menti, conoscenza e memoria che supera la nostra necessi-tà di controllo sulle cose. È da pazzi esigere di pesare, stabili-re, costruire tutto. Fortunata-mente qualcosa ci ricorda che il nostro contratto di gioventù è a tempo determinato: questo qualcosa è la vecchiaia.

Gli anziani sono la nostra misura, la testimonianza

chiara dell’efficienza parziale dell’uomo. Fermarsi a pensa-re, chiedersi quale sia davvero lo scopo di tutto questo correre e affannarsi, è un pensiero che dovrebbe venir naturale alla vista di una vita consumata.

Figure deboli, segnate e pie-gate dal peso degli anni, gli

anziani portano con loro la no-stra memoria, la nostra storia. Mani come mappe, occhi come instancabili reflex, parole come pagine di enciclopedie: una se-rie di fatti diventa storia solo con un legame, una continui-tà tra persone che intrecciano i loro racconti con sentimenti,

fatiche, sofferenze, speranze. La città è ricca di tracce e se-gni antichi che cerchiamo in tutti i modi di valorizzare. La stessa cosa dovremmo farla con gli anziani.

Sono gli uomini che fanno la storia, non le pietre. I no-

stri vecchi sono la cerniera tra noi e il nostro passato, senza loro non ci sarebbe memoria. E non ci sarebbe, soprattutto, la gratuità, il loro regalo più bello. Il regalo di un racconto è un gesto semplice, è un rap-porto di vicinanza e prossimità che non ha niente a che vedere con la logica del dare per ave-re.

Tutto quello che dura, quan-to resta in noi, è ciò che vale

e dà senso alla vita. Gli anziani hanno questo dono da portarci proprio perché il cambiamento li lascia fuori dai meccanismi del commercio.

A loro dovremmo concedere spazio e possibilità di la-

sciarci la mitezza di cui sono grandi portatori, della loro

immensa abilità nel mettersi in sintonia con l’altro, dell’a-scolto vissuto volentieri che dà importanza all’altro in un contatto di dolcezza. Si sco-pre qualcosa di nuovo in chi ha qualcosa da dire. Vivendo i nostri vecchi si afferra in loro una voglia disperata di parla-re, di trovare qualcuno che li ascolti. Dargli attenzione, non per pietà, ma per nostra ric-chezza, è un dovere perché po-tremmo imparare molto dalla loro sobrietà.

Ecco, questo dovremmo af-ferrare mentre osserviamo

un paio di gracili braccia con la pelle che avanza ma che un tempo hanno sudato e sacrifi-cato: la moderazione. È facile ricusare una cosa che non c’è, difficile è saperci rinunciare quando è a nostra disposizio-ne. La sobrietà è una libertà.

Dei vecchi vediamo la ma-lattia, la debolezza, la vul-

nerabilità, la fine, ma ci sfugge la cosa più importante, sono liberi, e lo sono perché hanno conosciuto il sacrificio.

“Dignità del vecchio è la sua canizie:e la vecchiaia è corona al suo capo, se accompagnata a bontà.”

Niccolò Tommaseo

Qualcuno da ascoltare

Il corsivo