Cadario Immagine Impero in Guerra 2012

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I GIORNI DI ROMAL’ETÀ DELL’EQUILIBRIO

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A cura diEugenio La Rocca, Claudio Parisi Presiccecon Annalisa Lo Monaco

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SAGGI

Società e arte nell’impero romano del II secolo d.C.Eugenio La Rocca

Vedrà i tempi aurei. L’età dell’oro dell’impero romano tra retoricae realiaMarco Maiuro

Da Traiano a Marco Aurelio: la belle époque di Roma imperiale

Domenico Palombi

 Architettura templare. Tipologia, decorazione e impiego dei marmi nella Roma del II secoloCinzia Corradetti

Monumenti statali fra Traiano e Marco Aurelio: esibizione del poteree provvidenze imperiali Stefano Tortorella

Sottomissione dei vinti, inclusione degli alleati: la ricerca di un nuovoequilibrio tra romanitas e barbaritasClaudio Parisi Presicce

La vita nelle ville dell’alta societàRichard Neudecker

 Adriano e le suggestioni del classicoElena Calandra

L’educazione dell’intelletto e la cura dell’impero nel II secolo d.C.Annalisa Lo Monaco

Cremare o non cremare? La lenta estinzione dei roghi e i sepolcrinel II secolo d.C.Massimiliano Papini

L’immagine dell’impero in guerra da Traiano a Marco AurelioMatteo Cadario

La famiglia degli imperatori da Traiano a CommodoFrançois Chausson

OPERE

I. I protagonisti 

II. Il linguaggio artistico

III. Ville e dimoreIV. I rilievi storici 

V. Vincitori e vinti 

VI. Le tombe

SCHEDE

Bibliografia

SOMMARIO

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S A G G I

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SAGGI | 105

«Volevo fare strage dei Daci, l’ho fatto; volevo sederesullo scranno della pace, mi ci sono seduto; volevo sfilarein grandi trionfi, è stato fatto; volevo i benefici del grado

di centurione primipilo, li ho ottenuti; volevo vederenude le ninfe, le ho viste.» (AE 1928, nr. 37, Aquae Fla-

vianae)«Qui giace l’uomo Prisco, (..) diede prova del suo va-

lore e compì tante imprese in battaglia quante un tempone faceva sempre Achille e quante ne compì il figlio diPriamo (...). Si stupì il grande imperatore Traiano dellasua bellezza, gioventù, forza e vigore e gli diede un grandecompito, lo premiò come portatore di vittoria in battaglia

e gli affidò un vessillo .... » (SEG, 43, 911, Kaisareia-Ha-drianupolis)

«Io sono colui che un tempo fu notissimo sulle spondepannoniche: per primo tra mille valorosi Batavi riusciiad attraversare a nuoto con indosso tutte le armi le pro-fonde distese del Danubio, avendo come giudiceAdriano.» (ILS 2558)

In Africa un anonimo centurione ricorda con accentientusiastici la sua partecipazione alle guerre daciche, inPaflagonia il signifero Prisco si vanta di essersi copertodi gloria come un nuovo Achille davanti a Traiano du-rante la guerra partica, lungo il Danubio Sorano, un sol-dato ausiliario di origine germanica, racconta in versi lasua vittoria in una gara disputata avendo come arbitroAdriano. Sono solo alcune delle voci di soldati dell’etàdell’equilibrio e, oltre a testimoniare il loro orgoglio direduci da guerre vittoriose, esse dimostrano anche l’im-portanza assunta dal legame diretto con l’imperatore,

giudice e testimone diretto delle loro imprese, in battagliae nelle esercitazioni. Nel corso del II secolo gli impera-tori, consapevoli dell’importanza della fedeltà delle le-gioni, furono infatti molto vicini al loro esercito fino alpunto di avere, come già Domiziano, una frequenteesperienza del campo di battaglia anche mentre eranoin carica. Traiano guidò di persona le campagne militariin Dacia e contro i Parti e lo stesso fecero Lucio Vero e

Marco Aurelio ancora contro i Parti e lungo il confinedanubiano; Adriano, che era stato uno dei principaligenerali di Traiano, ispezionava costantemente le legioni

e fu forse presente durante la repressione di alcune ri- volte come quella giudaica. In sostanza solo AntoninoPio non ebbe una carriera militare degna di nota. Propriola novità rappresentata da questo legame più stretto coni soldati fu recepita anche nella propaganda del tempo,che cominciò a insistere sempre di più sia sul raccontodella guerra, inventando per accoglierlo anche un nuovomonumento come la colonna coclide istoriata, sia sullapresentazione dell’imperatore come un effettivo com-

pagno dei propri soldati, ai quali lo avvicinava la condi- visione delle stesse fatiche. Anche l’esercito stesso ac-quistava così uno spazio maggiore nella propaganda:ormai i soldati non erano solo i (co)protagonisti delleazioni militari rappresentate ma anche tra i principalidestinatari del messaggio contenuto nelle immagini cheli raffiguravano.

L’immagine di un principe «amante della guerra»

Sulle qualità belliche di Traiano non c’erano dubbi:egli era il principe philopolémos, ossia amante della guerra(Dione Cassio, 68.7.4), un militare di carriera celebratoperché aveva abbandonato la politica di contenimentodei barbari in favore di quella di espansione (Floro, In-

troduzione, 8). Nei ritratti il ruolo militare di Traiano fuquindi sottolineato da scelte in parte consuete: la deci-sione di ricordare una grande vittoria come quella dacicacon una statua equestre colossale, l’Equus Traiani, erettonel suo Foro, guardava probabilmente all’Equus Domi-

tiani, mentre l’adozione della statua loricata era indi-spensabile per fare risaltare il possesso dell’imperium,eventualmente sfruttando il programma decorativo perillustrare i temi rilevanti della propaganda del tempo:nel loricato di Copenaghen (cat. I.1) l’imitazione delladecorazione della statua di culto augustea di Marte Ultoreevidenziava per esempio l’importanza del dio «vendica-tore» nella presentazione al popolo romano delle guerre

L’IMMAGINE DELL’IMPERO IN GUERRA

DA TRAIANO A MARCO AURELIOMATTEO CADARIO

Fig.1 Roma. Colonna Traiana. Dettaglio delfregio figurato

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daciche come punizione dell’infido Decebalo. La sceltadella nudità armata (tipo «Diomede» (fig. 2.A) e tipo«Herrscher»), che è testimoniata in primo luogo dallastatua posta sulla Colonna nel 113 d.C., era invece più

innovativa, perché, per mettere in evidenza il carismaguerriero dell’imperatore, recuperava quei modelli tar-dorepubblicani che erano stati abbandonati in età giu-lio-claudia a favore delle statue con il mantello cinto in-torno ai fianchi e solo parzialmente recuperati in etàflavia (cfr. Miseno). In età traianea e adrianea la citazionedei generali repubblicani come un esempio per gli im-peratori divenne del resto frequente e non sarebbe stranose fosse stata accompagnata dal recupero di tipi statuari

coevi (cfr. anche la frequente restituzione delle monetetardorepubblicane).

Un imperatore sul campo di battaglia

Il ruolo militare di Traiano era però mostrato soprat-tutto sul campo e in particolare durante le guerre daciche,che furono il fulcro della sua propaganda. Nel fregio dellaColonna Traiana (113 d.C.) l’imperatore è ritratto in una

molteplicità di ruoli: mentre ottiene l’appoggio divino(suovetauriliae l’omen iniziale), esorta e premia le truppe(adlocutio e la distribuzione dei donativi), le conduce inmarcia o in navigazione (e in tal caso è al timone di unatrireme), le fa esercitare e ne ispeziona i lavori, guida irinforzi, osserva i forti nemici, prende informazioni epianifica con i suoi generali le battaglie, e infine riceve leambascerie e accetta la sottomissione dei Daci (figg. 3 e4.D). Questa presentazione del  princeps in guerra, chesembra quasi illustrare le raccomandazioni della manua-listica romana sull’arte del comando, a noi nota soprat-tutto grazie allo Strategikon di Onasandro, trova un’equi-

 valenza quasi perfetta nelle parole con cui il Senato,all’inizio della guerra partica, giustificò il conferimentoufficiale allo stesso Traiano del titolo di Optimus (114d.C.): «aveva sempre marciato a piedi insieme a tuttol’esercito e durante l’intera campagna aveva deciso per-sonalmente lo schieramento delle truppe, guidandole aseconda delle circostanze ed aveva attraversato a piedi glistessi fiumi guadati dai soldati» (Dione Cassio, 68. 23).

Questa coincidenza tra testi e immagini mostra quanto

fossero nuove la presenza dell’imperatore sul campo e lacondivisione da parte sua delle fatiche dei soldati e quantoprofondamente influenzassero la costruzione stessa del-l’immagine bellica di Traiano e in fondo la rappresenta-zione della guerra stessa. Non sembra poi casuale chel’onore ufficiale del Senato abbia seguito di poco l’inau-gurazione della Colonna (113 d.C.), in cui l’impegno co-stante dell’optimus princeps era stato celebrato e mostratoal popolo. L’elogio ufficiale del Senato, di cui Traianoandava molto fiero perché si riferiva più ai suoi com-

portamenti che alle capacità militari, andava inoltre adaggiungersi a quelli analoghi di Dione di Prusa (Discorsi,1. 28-29) e di Plinio il Giovane, che aveva presentatoTraiano come un vero commilitone dei suoi legionari,capace persino di ricordarne i nomi (Panegirico 13; 15.3-5; 19. 3 e cfr. Frontone, Fondamenti della storia, 10,sugli scherzi). Del resto Traiano stesso definiva i suoisoldati commilitoni in documenti ufficiali (Digesto, 29.1. 1 e Plinio il Giovane, Lettere, 10. 20) ed è probabile

che questo aspetto fosse trattato anche nei suoi commen-tarii dedicati alle guerre daciche. Da allora la presenta-zione come un compagno d’armi dei soldati divennequasi obbligata negli elogi delle qualità militari degli im-peratori, sia scritti (cfr. Frontone, Fondamenti della storia,13, su Lucio Vero) sia illustrati (Colonna Aureliana earco di Settimio Severo).

Questa modalità di rappresentazione non era però

Fig. 2. L'immaginemilitare nei tipistatuariStatue nude e armate:

 Traiano, Copenaghen

(A); Adrianodall'Asklepieion diPergamo (B).Statue loricate:Adriano, ninfeo diPerge (C); Adriano,teatro di SessaAurunca (D).Statue loricate dalNinfeo di ErodeAttico, Olimpia: DivoAdriano (E); AntoninoPio (F); Marco Aurelio

(G); Lucio Vero (H)

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l’unica opzione. In effetti la sola cosa che Traiano non fanella Colonna è combattere in prima linea, una scelta diardore temperato la sua, che corrisponde ai consigli deitrattati di arte militare (Filone di Bisanzio, 99. 4 e 101.37-42 e Onasandro, 32-33), per i quali il generale nondoveva mettere inutilmente in pericolo la propria vita.

Mancava quindi nel fregio una vera e propria presenta-zione «eroica», alla maniera di Alessandro Magno, dellavirtus dell’imperatore. Essa si trova invece nel cosiddettoGrande Fregio di Traiano, oggi reimpiegato nell’arco diCostantino: l’imperatore, in prima linea, guida una caricadi cavalleria che genera l’immediata sottomissione deiDaci (Fig. 4). Tutta la scena è però costruita come unpanegirico in cui ogni dettaglio indica l’assenza di riferi-

menti a un avvenimento storico specifico. Lo mostranola presenza al fianco dell’imperatore di un soldato stanteche gli porta l’elmo e l’immagine del dace già suppliceprima ancora di combattere. Anche il costume di Traianoè coerente: mentre nella Colonna, come i suoi ufficiali,egli indossava realisticamente la corazza a corsetto «da

campo» e il pesante mantello militare frangiato, nelGrande Fregio sia nella carica equestre sia mentre unaVittoria lo incorona (cfr. anche la scena analoga sull’Arcodi Benevento), egli porta una corazza anatomica classi-cistica che lo colloca di per sé lontano dal campo di bat-taglia. Il sintetico elogio della virtus di Traiano, realizzatosfruttando la tradizione ellenistica, costituiva così un’im-magine sinottica alternativa all’illustrazione dettagliata

Fig. 3 L'immagine di Traiano nella Colonna Traiana Traiano parlaall'esercito (A);ispeziona i lavori (B);consulta gli ufficiali(C); pilota una nave

(D); interroga unprigioniero (E);osserva una battaglia(F); premia i soldati(G); compie unsacrificio(suovetaurilia) (H);conduce i rinforzi (I)

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delle qualità di comandante e di perfetto compagnod’armi messe in scena nella Colonna. I due temi colla-boravano però a costruire per Traiano l’identità dell’im-

 perator dotato di coraggio personale e capace di provarela fatica del soldato.

L’immagine dell’esercito e quella del «nemico»Il racconto delle guerre daciche riguardava anche

l’esercito, che, nel fregio della Colonna, svolgeva unruolo quasi da coprotagonista, ribadito nel Foro traianeodalle iscrizioni con i nomi delle legioni impegnate sulcampo. Oltre alle scene di battaglia vere e proprie, attentea illustrare anche l’impiego per esempio delle macchine

belliche, i soldati sono presentati mentre lavorano, ov- vero si tengono in esercizio (dalla costruzione dei castra

alle scene di disboscamento o mietitura), mentre si spo-stano ordinatamente (in marcia, sulle navi, su ponti oin guadi) e mentre vengono curati (fig. 5). Viene inoltresottolineato il loro rapporto con Traiano mediante lescene di «partecipazione passiva» nelle quali l’esercitoera chiamato a fare da spettatore/uditorio dell’impera-tore, ascoltando i suoi discorsi, assistendo alla sottomis-

sione dei nemici o alle premiazioni dei soldati migliori.Eccezionalmente si stabiliva anche una forma di intera-zione più stretta con il comandante nelle scene di salu-tazione imperatoria in cui, alzando il braccio destro, ilegionari rispondevano a Traiano acclamandolo. Questescene di assemblea (contio), collegate di solito ai discorsidell’imperatore, servivano a mostrare la solidità del le-game tra costui e i suoi soldati, ricondotti così all’antica

funzione di popolo in armi. La frequenza con cui questeimmagini erano riprodotte anche sulle monete deltempo intendeva rammentare la stabilità di tale legame

a tutto l’impero.Se la Colonna ricordava, esaltandolo, il ruolo e l’or-

ganizzazione dell’esercito al popolo romano, in altri mo-numenti, soprattutto nelle province di confine, l’esercitostesso era il destinatario principale del messaggio, chequindi assumeva una connotazione diversa. Nel trofeodi Adamclissi (Tropaeum Traiani), in cui il racconto eraorganizzato per metope e non in un fregio continuo, ve-nivano infatti messi in evidenza in modo più crudo la

 vittoria militare e l’annientamento del nemico, coeren-temente con la natura stessa di un monumento che erastato dedicato a Marte Ultore (107/8 d.C.) e destinato acommemorare la vendetta romana per i legionari caduti.Anche in questo caso Traiano è raffigurato sul campo,ma svolge meno ruoli, mentre le scene di battaglia, ancheper la natura stessa del fregio dorico, si risolvono subitonella sconfitta dei Daci (fig. 6.A). La stessa volontà dimostrare la strage del nemico si nota quando i soldati

stessi sono i committenti dei monumenti, come, per re-stare alle guerre daciche, si vede nella stele funebre delTiberio Claudio Massimo celebre per aver catturato De-cebalo o nella base di statua del  praefectus castrorum

Sextus Vibius Gallus trovata ad Amastris e oggi a Istanbul(CIL III. 454) (Fig. 6.B).

L’annientamento dei Daci visibile ad Adamclissi nonha riscontro nella Colonna, dove invece la presentazionedel nemico è più dettagliata e non passa sotto silenzio nél’organizzazione né il coraggio dei combattenti daci, seb-

bene destinati alla sconfitta. Anzi il loro re Decebalo èpresentato come un degno antagonista di Traiano, che,per quanto incline alla fuga, incita i suoi uomini e infinesi toglie la vita, come altri suoi compagni, pur di non es-sere catturato (Fig. 6.C). Sebbene il suo suicidio fosseprobabilmente letto dagli osservatori del fregio come unatto di disperato e barbarico furore e come la giusta pu-nizione di un sovrano infedele ai patti, non mancava nelmondo romano la consapevolezza che i Daci combatte-

 vano per la propria libertà (Dione di Prusa, Discorsi, 12.20; Plinio il Giovane, Lettere, 8. 4. 1-2), consapevolezzache in un monumento urbano destinato a narrare unaguerra di espansione si rifletteva in una presentazionepiù articolata del nemico e improntata all’antico precettodi annientare chi non si sottometteva (debellare superbos),ma di usare la clemenza con chi accettava il dominio ro-mano ( parcere subiectis).

Fig. 4 La carica dicavalleria guidata da

 Traiano nel «GrandeFregio di Traiano»

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SAGGI | 109

La nuova politica di Adriano

Le successive guerre partiche di Traiano non ebberola stessa fortuna iconografica di quelle daciche almeno aRoma, anche perché di fronte alle rivolte in corso inOriente nel 117 d.C., Adriano decise di abbandonare lapolitica espansiva, riportando in auge la strategia augusteadel contenimento dei «barbari» e abbandonando molte

delle nuove conquiste. Gli anni del suo regno non furonoperò affatto privi di tensioni e guerre (basti pensare allaspedizione in Britannia e alla grande rivolta giudaica del132-135 d.C.) e Adriano, generale preparato, fu sempreattento alle esigenze dell’esercito, come dimostra il suodiscorso alle truppe di Lambaesis (CIL VIII. 18042) incui esprimeva anche la continuità con le idee di Traiano

Fig. 5 L'immaginedell'esercito romanonella Colonna TraianaSoldati marciano (A);

sono medicati (B);lavorano (C);assistono alla resadacica (D);combattono (E);assistono a unsacrificio acclamando

 Traiano (F)

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sul ruolo chiave dell’addestramento (cfr. il riferimentoal bisogno di realismo nelle esercitazioni). È quindi digrande interesse che anche la disciplina e l’austerità di

Adriano fossero elogiate (Storia Augusta, Vita di Adriano,10. 2-8), così come la condivisione delle fatiche dei soldati,sia pure nel corso delle ispezioni (Dione Cassio, 69. 9. 2-4). Questa presentazione del legame di Adriano con isoldati ha un parallelo nella ricca serie di conii monetalicelebranti proprio gli incontri di Adriano con l’exercitus

in varie province dell’impero (Rezia, Dacia, Germania,Britannia e Mauretania). Il rapporto con le legioni restavaquindi un tema centrale della propaganda anche se l’im-

peratore non guidava i suoi soldati alla conquista dinuove province.

Di Adriano non si conservano rilievi storici di temamilitare, forse anche perché i conflitti affrontati furonoperlopiù «interni», ma si trovò comunque il modo diesaltare la sua virtus, sia pure spostandone la manife-stazione in ambito venatorio, come si vede nella cacciamultipla raffigurata nei tondi reimpiegati nell’Arco diCostantino. Egli fece comunque ampio ricorso all’im-

magine militare, sia a quella nuda e armata (fig. 2.B e vd. cat. V.3) sia a quella loricata (fig. 2.C-D). Anzi ilgran numero di statue loricate conservatesi fa pensareche egli desiderasse di vedere sottolineato il proprioruolo di generale nel momento stesso in cui il ritornoalla politica di contenimento poteva far nascere un con-fronto in negativo con il predecessore. Il frequente usonei sostegni delle statue di figure di prigionieri, perlopiùorientali, intendeva infatti sottolineare il successo diAdriano nel mantenere sottomessi i «barbari» in Oriente,

dove la nuova politica aveva imposto le rinunce più evi-denti. Anche Adriano sfruttò le statue loricate comemedium figurativo, adottando nuovi programmi deco-rativi nel tipo «Sessa Aurunca» (fig. 2.D), di stampo dio-nisiaco, e soprattutto in quello «Hierapytna/Atene» (vd.cat. V.2) la cui circolazione riservata al mondo greco fapensare che l’associazione della Lupa Romana e di Atenaintendesse esprimere quel filellenismo che fu una co-stante della politica adrianea.

Il regno pacifico di Antonino Pio e la fine della sta-

tua loricata come medium figurativo

Il regno di Antonino Pio ha fama di essere stato unperiodo di pace, come in fondo amava pensare lo stessoimperatore che ostentava l'affinità con il più pacifico deire, Numa Pompilio. Tuttavia non mancarono alcunecampagne militari, sempre condotte dai legati, e la testi-

monianza più significativa di questa attività sono oggi irilievi realizzati dalle legioni impegnate nella costruzionedel vallo di Antonino Pio nel nord della Britannia (142-

143 d.C.). Tra essi spicca quello di Bridgeness perché as-socia abilmente una scena bellica (fig. 6.D) e una scenadi sacrificio di purificazione sottolineando così il legametra suovetaurilia e vittoria presente già nel fregio dellaColonna Traiana. Colpisce in queste scene anche la rap-presentazione più cruenta della sorte dei «barbari» (cfr.il britanno decapitato a Bridgeness), dominati dalle figure«eroiche» dei cavalieri romani, secondo un’iconografiasimile a quella dei rilievi citati a proposito della vittoria

dacica, un segno che questa presentazione del nemicoera apprezzata nel mondo militare e quindi riapparivaquando erano i soldati stessi i principali destinatari delleimmagini di vittoria, come di solito avveniva nelle regionidi frontiera (cfr. anche la stele di Flavinus a Hexham,presso il Vallo di Adriano).

Naturalmente anche Antonino Pio non rinunciò al-l’immagine militare e in particolare a quella loricata. Ildocumento più interessante si riconosce nel Ninfeo di

Erode Attico a Olimpia (149-153 d.C.) caratterizzatodalla diversificazione dei tipi statuari usati per raffiguraree distinguere gli uomini della famiglia di Erode da quellidella «famiglia» imperiale: ai primi fu riservata l’imma-gine togata, con un’eccezione nel caso del padre e del fi-glio di Erode, e ai secondi quella loricata, con la distin-zione tra la corazza «da parata» degli Augusti DivoAdriano e Antonino Pio e quella «da campo» dei Cesari,Marco Aurelio e Lucio Vero, decorata solo dall’egida(fig. 2.E-H). La committenza da parte di personaggi di

rilievo come Erode Attico e la moglie Regilla e la desti-nazione a un santuario panellenico rendevano il mes-saggio significativo: l’opposizione tra loricati e togati sug-geriva infatti un’allusione alle diverse competenze, civichenel caso del gruppo dirigente senatorio, cui anche Erodeapparteneva, e militari, ossia connesse all’esercizio del-l’imperium, nel caso degli imperatori. Il messaggio eracompletato dalla scelta non casuale di riprodurre perAdriano e Antonino Pio il programma decorativo del

tipo «Hierapytna/Atene», il cui filellenismo doveva esseremolto gradito a Erode Attico e ai frequentatori del san-tuario di Olimpia.

L’età antoniniana segnò però anche un cambiamentoimportante proprio nelle statue loricate, perché sebbenesi riproducessero ancora alcuni programmi decorativipiù antichi, come quello appena citato o come il tipo«Sessa Aurunca» adottato per Lucio Vero ad Antiochia,

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il repertorio non fu più rinnovato e anzi si affermò la ri-proposizione incessante della corazza tipo «Afrodisia»(fig. 2.C e vd. cat. 1.36), che, con i due Grifi affrontatiparzialmente coperti dal cingulum annodato sullo sto-maco, segnò la fine dell’uso della statua loricata comemedium figurativo. L’ipotesi che questa rinuncia sia statadeterminata dalla contemporanea fine delle guerre di

espansione dell’impero, non convince perché gli Anto-nini e i Severi ottennero ancora successi importanti chesi sarebbero potuti sfruttare in modo analogo al passato.Si potrebbe invece pensare all’effetto di un mutamentopiù ampio del linguaggio della propaganda imperiale,che abbandonò definitivamente quello allegorico creatoin età augustea e adottato sulle corazze, facendo sì chenella scelta del loricato prevalesse il significato carismatico

di immagine capace di evocare di per sé il successo bellico,senza il bisogno di esprimere ulteriori messaggi medianteuna decorazione troppo complessa. Il ritorno in augedella corazza «da campo» andava nella stessa direzione.

Le guerre partiche e la provincia d’Asia

Dopo la morte di Antonino Pio, Marco Aurelio e Lu-

cio Vero dovettero affrontare di persona le gravi crisi inOriente, contro l’impero partico (162-166 d.C.), e lungoil confine danubiano, contro i Marcomanni, Quadi, Iazigie Sarmati (dal 168 al 180 d.C.). Entrambi gli imperatorifurono costretti a guidare l’esercito in campagna, venendoelogiati per l’impegno personale e ancora una volta perla condivisione delle fatiche dei soldati, vero leit-motiv del II secolo d.C. (su Lucio Vero: Frontone, Principia

Fig. 6 La sconfittadei barbariMetopa 28 daltrofeo di Adamclissi

(A); Base di statua diSex. Vibius Gallus(B); Suicidio del redace Decebalo (C);Pannello conbattaglia, dal rilievodi Bridgeness (D);Stele funeraria di C.Septimus (E); Stragedi prigionieri nellaColonna Aureliana(F)

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112 | L’ETÀ DELL’EQUILIBRIO

Historiae, 13; su Marco, Dione Cassio, 71. 6. 3 e 24. 4).La guerra partica aveva costituito l’ennesimo riacu-

tizzarsi dello scontro tra i due imperi. Le due grandi

campagne di Traiano e Lucio Vero dimostrarono da unlato la sostanziale superiorità delle armi romane ma dal-l’altro anche l’incapacità di giungere a una conquista de-finitiva delle regioni orientali. In ogni caso la vittoriapartica divenne un tema importante nella propagandaimperiale del II secolo d.C., anche se la sua fortuna ico-nografica risulta concentrata soprattutto nel mondo mi-crasiatico, forse perché dai tempi dell’invasione particaguidata da Labieno e Pacoro nel 40-39 a.C. esso faceva

quasi da retrovia alle campagne orientali. Vale quindi lapena esaminare le testimonianze più importanti. In unacasa di Efeso un fregio in avorio, appartenente forse auna sella curulis, raffigurava alcuni episodi delle campa-gne traianee, di cui si andava evidentemente elaborandouna narrazione, apparentemente mai tradottasi in grandimonumenti ufficiali: si sono conservate solo tre sceneche consentono però di riconoscere, oltre alla presenzadell’imperatore, forse un riferimento diretto a un episodiocitato da Cassio Dione (68. 18. 2), ossia il dono di un ca-

 vallo in segno di sottomissione da parte di alcuni satrapipartici. Se il contesto efesino è privato, il fregio del co-siddetto «tempio di Adriano» a Cizico, fondato dall’im-peratore nel 123 d.C. ma probabilmente concluso in etàantonina, costituisce un’importante testimonianza pub-blica dell’appeal dell’immagine della vittoria partica inAsia: in ciò che resta del fregio esterno sono infatti raffi-gurati alcuni cavalieri orientali in fuga (un motivo ricor-rente, cfr. Ovidio, Arte di amare, 1. 209-211) e almeno

un soldato romano. Un altro documento importantesono le due basi onorarie di Side, riferibili forse a statuedi Lucio Vero e Marco Aurelio e decorate da immaginidi prigionieri partici. Tuttavia il monumento più signi-ficativo è l’Altare di Efeso, in cui è rappresentata unagrandiosa scena di battaglia che sposta sul piano eroico(cf. i costumi dei soldati romani e «barbari») lo scontrocontro un nemico orientale da identificare con i Parti. Sitratta di una scena celebrativa e non narrativa, simile

nella concezione al Grande Fregio traianeo. L’altare riu-niva però al tema della guerra anche quello della fonda-zione della dinastia degli Antonini, della sovranità uni-

 versale di Roma (le personificazioni) e includevaprobabilmente un’apoteosi imperiale, scegliendo l’im-magine loricata (tipo «Afrodisia») per raffigurare almenodue volte un imperatore, purtroppo acefalo. Le discus-sioni sulla datazione che oscilla tra i primi anni del regno

di Antonino Pio e l’età aureliana non mutano l’impor-tanza ideologica ivi attribuita alla vittoria orientale, chenel primo caso sarebbe però ancora quella di Traiano e

nel secondo quella di Lucio Vero. Questa fortuna «re-gionale» della vittoria partica è un segno interessantedella pluralità delle voci che poteva assumere la propa-ganda imperiale.

La guerra di Marco Aurelio lungo il confine danu-

biano

Lo scontro lungo il confine danubiano ebbe inveceampia eco nei monumenti urbani, come dimostrano la

statua equestre di Marco Aurelio, i rilievi aureliani reim-piegati nell’Arco di Costantino e quelli conservati neiMusei Capitolini (cf. cat. IV.4.1-3) e soprattutto la Co-lonna, che fu costruita prima del 193 d.C. da Commodo(cf. fig. a p. 24). Essa narrava le guerre danubiane adot-tando il modello della Colonna Traiana, anche se il rac-conto risulta organizzato in modo meno chiaro e lineare,forse per la natura stessa di un conflitto fatto di incursionie imboscate senza una vera e propria occupazione delterritorio nemico. L’immagine dell’imperatore, mostratospesso insieme ai soldati e talvolta anche con indosso lacorazza «da campo», imita comunque quella di Traianonella volontà di dimostrare la sua competenza come co-mandante mediante lo svolgimento di più compiti (i di-scorsi e la frequente consultazione con i propri collabo-ratori; una diversificazione di ruoli anche maggiore sinota nei rilievi Aureliani). Lo stesso Marco si sarebbepresentato come un compagno d’armi alle truppe chearringava definendole commilitoni (Dione Cassio, 71.

24. 1; 26.1). Restano però diverse differenze e la maggioreè l’irruzione del divino nelle due scene dei «miracoli»del fulmine e della pioggia, che determinano la salvezzaimprovvisa dell’esercito; nella colonna di Traiano il ruolodell’imperatore nel conquistare il favore degli dei in bat-taglia era stato invece presentato mediante strumenti piùtradizionali (omina e sacrifici) e meno carismatici.

Nel fregio colpisce inoltre l’insistenza sul tema delladistruzione del nemico, quasi compiaciuta nella descri-

zione ricorrente delle esecuzioni dei prigionieri e nellescene di violenza estese a donne e bambini, ossia a quegliaspetti drammatici che, sebbene frequenti in ogni con-flitto, erano di solito passati sotto silenzio nelle immagini:potrebbe trattarsi di un effetto della natura stessa dellaguerra, non di conquista come quella dacica, ma inter-minabile e difensiva, presentata perciò come la punizionedi un nemico sempre fedifrago (Dione Cassio, 71. 13. 1-

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2 e 14. 1 per la politica di annientamento seguita daMarco Aurelio) e quindi raccontata con formule icono-grafiche che per brutalità ricordano quelle dei monu-

menti di frontiera, come Adamclissi e i rilievi del ValloAntonino. Se essi erano interessati a mostrare la totalitàdella vittoria delle armi romane a un pubblico formatospesso da militari o da vittime dirette delle incursionibarbariche, il messaggio era adesso rivolto all’intero po-polo romano: la «pace» regnava alle frontiere.

Il nesso tra le due tradizioni si osserva bene nel paral-lelo tra l’immagine estrema del grido di dolore di unbarbaro giustiziato dai soldati romani nella scena LXVIII

della Colonna e il rilievo funerario del Museo di Budapest(da Brigetio in Pannonia) raffigurante il soldato Caius

Septimus mentre pugnalava alla schiena un nemico ger-manico altrettanto sofferente (fig. 6.E-F). Vi si colgonola stessa disumanizzazione del nemico e la stessa violentariaffermazione dell’autorità (traballante) dell’impero.

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