Buon Natale OGNI GIORNO NATALE · Signore”, nostra gioia. Francesco Carrozzo e Cosimo Melcarne Mi...

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Anno XXXII 11 15 Dicembre 2009 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Dossier Una riflessione sul dono della vita Nelle scorse settimane l’opinione pubblica si è ritrovata a riflettere sul senso della vita e sul significato del dolore e della morte. La vicenda di Mirna - la donna di 60 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica ricoverata all’Ospedale “Perrino” di Brindisi per sottoporsi ad intervento di tracheotomia - e il dibattito sul cosiddetto testamento biologico, hanno riaperto la discussione e gli interrogativi. Speciale alle pagine 12 e 13 Quei bimbi violati due volte Angelo Sconosciuto L a Parola si è fatta uomo: si è fatta bambino e quel bambino noi adoriamo nella grotta di Betlem, perché è il Dio-con-noi, che ha cambiato il corso della storia. È un modello quel bambino: è un esempio. Il Natale ci dice anche questo e, dopo qualche giorno, la celebrazione dei San- ti innocenti induce a riflettere sulle aberrazioni della mente umana, capace di commettere i crimini più efferati sugli in- difesi, sugli inermi, nel caso di specie accomunati solo da un fattore anagrafico al Dio che Erode voleva uccidere. E sarà proprio Gesù ad in- dicare, nella sua missione, da adulto, lo stile del bambino, quale il più consono al cristia- no: «se non sarete come questi bambini…». Ma di quali bambini parlia- mo? Forse di quelli, che hanno subìto, senza nemmeno cono- scere cosa stesse loro accaden- do, le più atroci mortificazioni e le più inenarrabili violenze? Anche loro sono vittime senza colpa se non quella di aver tur- bato – ce ne convinciamo leg- gendo le cronache dei media – il normale corso della giorna- ta di chi aveva il compito di af- fiancare le famiglie nell’aperu- ra alla vita, di far sì che questa iniziasse a sorridere loro. Ed invece, a dieci mesi alcuni sono già bimbi violati, traumatizza- ti, persone da ricostruire, pri- ma ancora di aver iniziato ad abbozzare un loro progetto. E se i bimbi sono incappati in cattivi maestri, la televisione ha fatto il resto. Mostrando, di domenica e all’ora di pranzo, le immagini di quei bimbi («Quel- le che si potevano mostrare», è stato anche detto) non ha fatto giornalismo, non ha informato nessuno: li ha violati due volte, dando soddisfazione a quan- ti morbosamente non hanno avuto il coraggio – sì, il corag- gio – di spegnere l’apparecchio o di mutare canale. Molti cat- tivi maestri a soli dieci mesi di vita sono un autentico peccato commesso da noi adulti. Che il Bambino che nasce ci perdoni. EDITORIALE VITA DIOCESANA Santi giovani per giovani santi. L’Arcivescovo incontra i giovani della Diocesi Servizi a pag. 16 GIUSTIZIA Nostre interviste al Procuratore Capo e al Presidente del Tribunale Morelli a pag. 20-21 TERRITORIO Inaugurato a Brindisi l’anno accademico dell’Università del Salento Negro a pag. 19 D io Padre volle mandare il Fi- glio. Gesù volle servire. Lo Spirito volle soffiare amore in tutte le direzioni. E abbiamo visto tante meraviglie. Il Natale è l’Evento che manifesta la volontà divina come amore – Deus caritas est – che in Gesù diventa ser- vizio per una vita nuova. A Natale Gesù è un Bambino, piccolo, debole, solo. I pastori, inondati di luce e col- mati di gioia, sono i primi volontari: hanno saputo di Lui e sono andati, offrendo i loro doni. Un giorno Gesù dirà: «Quello che avrete fatto al più piccolo tra voi l’avete fatto a me» (Mt 25,40). È l’in- vito ad avere attenzione al “piccolo” , al debole, al malato, all’emarginato, all’emigrato, al carcerato, al tossico- dipendente, alla mamma in difficol- tà, al denutrito, all’uomo, ad ogni uomo. Il Volontariato è proprio questo: attenzione al prossimo che diventa servizio. Questo è vero a livello oc- casionale o sistematico, personale o associato, civile o ecclesiale, mate- riale o spirituale, sociale o morale, culturale o educativo: un tempo ri- dotto e un tempo pieno. Sì, anche a tempo pieno quando uno vive il suo lavoro quotidiano come servizio al prossimo. La volontà “forte” di Dio sostiene la volontà debole dell’uomo: in questa siamo immagine, nell’amore siamo figli di Dio. Gesù, il Maestro d’Israele, non è stato forse il Volontario dell’amore? È stato il Samaritano lungo la strada, il Visitatore delle case degli uomini, l’Ascoltatore delle esigenze umane. Ha fatto bene ogni cosa. Si è speso per gli altri. Ha donato se stesso sul- la croce. È morto, solidale con ogni uomo. È risorto, datore della vera speranza. Anche la prossima Giornata Mon- diale della Pace ci inviterà alla forte valorizzazione del volontariato nel tempo della globalizzazione, alla so- lidarietà di fronte ai disastri naturali, indicando come via di pace la custo- dia e la salvaguardia del creato e il rispetto della “ecologia umana” che afferma la vita, insieme alla “ecologia ambientale” che la rende vivibile. La pace si rende visibile nei volon- tari, che sono costruttori della civiltà dell’amore. Il mondo terreno è la nostra vita oggi: spendiamola bene vedendo Gesù che amiamo in ogni uomo. Il mondo celeste è la nostra felicità senza tramonto: costruiamola e me- ritiamocela con i gesti d’amore. Ci chiediamo ogni giorno cosa fare per guadagnare la felicità eterna? Il Natale fa passare l’amore in mez- zo a noi e dà senso alla nostra esi- stenza. Il Volontariato è una forma speciale per costruire l’amore e do- nare speranza. Buon Natale a tutti. Il vostro Arcivescovo + Rocco Talucci Brindisi, 25 dicembre 2009 Prosegue la rubrica che vuole aiutarci a riflettere su alcune parole-chiave pronunciate dal Papa a Brindisi nel corso della sua Visita Pastorale avvenuta il 14 e 15 giugno 2008. C os’è Natale se non l’ir- rompere di Dio nel- la storia? «In un preciso momento, se è permesso dire così, (Egli) valicò una frontiera, una frontiera che nessun pensiero sa afferrare; egli, l’Eterno- Infinito, il Santo Inaccessi- bile, entrò personalmente nella storia», scrisse Ro- mano Guardini, autore molto caro a Papa Bene- detto XVI, riferendosi al Prologo del vangelo di Giovanni. E il Pontefice a Brindisi, nell’omelia di domenica 15 giugno 2008, sul Piaz- zale di Sant’Apollinare ha ribadito: «Lo stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere le cose più grandi in modo povero e umile» e poco oltre: «Que- sto è, quindi, il disegno di Dio: diffondere sull’uma- nità e sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Non è un processo spettacolare; è un pro- cesso umile, che tuttavia porta con sé la vera forza del futuro e della storia. Un progetto, quindi, che il Signore vuole attuare nel rispetto della nostra libertà, perché l’amore di sua natura non si può im- porre». Ecco perché, se lo vo- gliamo davvero, è Natale ogni giorno. a. scon. Buon Natale Natale e Volontariato. Il Messaggio dell’Arcivescovo Nella foto il particolare di un presepe realizzato da don Vittorio Trotto La Parola del Papa NATALE OGNI GIORNO

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Anno XXXII n° 11 15 Dicembre 2009 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Dossier

Una riflessione sul dono della vita

Nelle scorse settimane l’opinione pubblica si è ritrovata a riflettere sul senso della vita e sul significato del dolore e della morte. La vicenda di Mirna - la donna di 60 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica ricoverata all’Ospedale “Perrino” di Brindisi per sottoporsi ad intervento di tracheotomia - e il dibattito sul cosiddetto testamento biologico, hanno riaperto la discussione e gli interrogativi.

Speciale alle pagine 12 e 13

Quei bimbi violati due volte

Angelo Sconosciuto

L a Parola si è fatta uomo: si è fatta bambino e quel bambino noi adoriamo

nella grotta di Betlem, perché è il Dio-con-noi, che ha cambiato il corso della storia.

È un modello quel bambino: è un esempio. Il Natale ci dice anche questo e, dopo qualche giorno, la celebrazione dei San-ti innocenti induce a riflettere sulle aberrazioni della mente umana, capace di commettere i crimini più efferati sugli in-difesi, sugli inermi, nel caso di specie accomunati solo da un fattore anagrafico al Dio che Erode voleva uccidere.

E sarà proprio Gesù ad in-dicare, nella sua missione, da adulto, lo stile del bambino, quale il più consono al cristia-no: «se non sarete come questi bambini…».

Ma di quali bambini parlia-mo? Forse di quelli, che hanno subìto, senza nemmeno cono-scere cosa stesse loro accaden-do, le più atroci mortificazioni e le più inenarrabili violenze? Anche loro sono vittime senza colpa se non quella di aver tur-bato – ce ne convinciamo leg-gendo le cronache dei media – il normale corso della giorna-ta di chi aveva il compito di af-fiancare le famiglie nell’aperu-ra alla vita, di far sì che questa iniziasse a sorridere loro. Ed invece, a dieci mesi alcuni sono già bimbi violati, traumatizza-ti, persone da ricostruire, pri-ma ancora di aver iniziato ad abbozzare un loro progetto.

E se i bimbi sono incappati in cattivi maestri, la televisione ha fatto il resto. Mostrando, di domenica e all’ora di pranzo, le immagini di quei bimbi («Quel-le che si potevano mostrare», è stato anche detto) non ha fatto giornalismo, non ha informato nessuno: li ha violati due volte, dando soddisfazione a quan-ti morbosamente non hanno avuto il coraggio – sì, il corag-gio – di spegnere l’apparecchio o di mutare canale. Molti cat-tivi maestri a soli dieci mesi di vita sono un autentico peccato commesso da noi adulti.

Che il Bambino che nasce ci perdoni.

editoriale❑ vita diocesanaSanti giovani per giovani santi.L’Arcivescovo incontra i giovani della Diocesi

Servizi a pag. 16

❑ giUstiziaNostre interviste al Procuratore Capo e al Presidente del Tribunale

Morelli a pag. 20-21

❑ territorio Inaugurato a Brindisi l’anno accademico dell’Università del Salento

Negro a pag. 19

Dio Padre volle mandare il Fi-glio. Gesù volle servire. Lo Spirito volle soffiare amore

in tutte le direzioni. E abbiamo visto tante meraviglie.

Il Natale è l’Evento che manifesta la volontà divina come amore – Deus caritas est – che in Gesù diventa ser-vizio per una vita nuova. A Natale Gesù è un Bambino, piccolo, debole, solo. I pastori, inondati di luce e col-mati di gioia, sono i primi volontari: hanno saputo di Lui e sono andati, offrendo i loro doni.

Un giorno Gesù dirà: «Quello che avrete fatto al più piccolo tra voi l’avete fatto a me» (Mt 25,40). È l’in-vito ad avere attenzione al “piccolo”, al debole, al malato, all’emarginato, all’emigrato, al carcerato, al tossico-dipendente, alla mamma in difficol-tà, al denutrito, all’uomo, ad ogni uomo.

Il Volontariato è proprio questo: attenzione al prossimo che diventa servizio. Questo è vero a livello oc-casionale o sistematico, personale o

associato, civile o ecclesiale, mate-riale o spirituale, sociale o morale, culturale o educativo: un tempo ri-dotto e un tempo pieno. Sì, anche a tempo pieno quando uno vive il suo lavoro quotidiano come servizio al prossimo.

La volontà “forte” di Dio sostiene la volontà debole dell’uomo: in questa siamo immagine, nell’amore siamo figli di Dio.

Gesù, il Maestro d’Israele, non è stato forse il Volontario dell’amore? È stato il Samaritano lungo la strada, il Visitatore delle case degli uomini, l’Ascoltatore delle esigenze umane. Ha fatto bene ogni cosa. Si è speso per gli altri. Ha donato se stesso sul-la croce. È morto, solidale con ogni uomo. È risorto, datore della vera speranza.

Anche la prossima Giornata Mon-diale della Pace ci inviterà alla forte valorizzazione del volontariato nel tempo della globalizzazione, alla so-lidarietà di fronte ai disastri naturali, indicando come via di pace la custo-

dia e la salvaguardia del creato e il rispetto della “ecologia umana” che afferma la vita, insieme alla “ecologia ambientale” che la rende vivibile.

La pace si rende visibile nei volon-tari, che sono costruttori della civiltà dell’amore.

Il mondo terreno è la nostra vita oggi: spendiamola bene vedendo Gesù che amiamo in ogni uomo.

Il mondo celeste è la nostra felicità senza tramonto: costruiamola e me-ritiamocela con i gesti d’amore. Ci chiediamo ogni giorno cosa fare per guadagnare la felicità eterna?

Il Natale fa passare l’amore in mez-zo a noi e dà senso alla nostra esi-stenza. Il Volontariato è una forma speciale per costruire l’amore e do-nare speranza.

Buon Natale a tutti.

Il vostro Arcivescovo+ Rocco Talucci

Brindisi, 25 dicembre 2009

Prosegue la rubrica che vuole aiutarci a riflettere su alcune parole-chiave pronunciate dal Papa a Brindisi nel corso della sua Visita Pastorale avvenuta il 14 e 15 giugno 2008.

Cos’è Natale se non l’ir-rompere di Dio nel-

la storia? «In un preciso momento, se è permesso dire così, (Egli) valicò una frontiera, una frontiera che nessun pensiero sa afferrare; egli, l’Eterno-Infinito, il Santo Inaccessi-bile, entrò personalmente nella storia», scrisse Ro-mano Guardini, autore molto caro a Papa Bene-detto XVI, riferendosi al Prologo del vangelo di Giovanni.

E il Pontefice a Brindisi, nell’omelia di domenica 15 giugno 2008, sul Piaz-zale di Sant’Apollinare ha ribadito: «Lo stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere le cose più grandi in modo povero e umile» e poco oltre: «Que-sto è, quindi, il disegno di Dio: diffondere sull’uma-nità e sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Non è un processo spettacolare; è un pro-cesso umile, che tuttavia porta con sé la vera forza del futuro e della storia. Un progetto, quindi, che il Signore vuole attuare nel rispetto della nostra libertà, perché l’amore di sua natura non si può im-porre».

Ecco perché, se lo vo-gliamo davvero, è Natale ogni giorno.

a. scon.

Buon Natale

Natale e Volontariato. Il Messaggio dell’Arcivescovo

Nella foto il particolare di un presepe realizzato da don Vittorio Trotto

La Parola del Papa NATALE

OGNI GIORNO

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PaginAperta2 15 dicembre 2009

Noi studenti dell’Istituto Superiore di Scien-ze Religiose abbiamo pensato di inviarvi questo articolo, augurando, sin da ora, a tutta la redazione e ai lettori di Fermento, un Felice e Santo Natale:

“Gioite nel Signore sempre; ripeto, gioite. La vostra mansuetudine sia conosciuta da tut-ti gli uomini: il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5). Con le parole dell’apostolo Paolo noi studenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose de-sideriamo augurarvi un santo e felice Natale. Scambiarsi gli auguri sembra non sia più il gesto concreto di chi desidera il bene e la gio-ia dell’altro. L’attuale contesto sociale ha ba-nalizzato l’atteggiamento rendendolo “sdolci-nato” e poco autentico. Siamo specchio della società in cui viviamo, stressati dalla continua ricerca di cose (il più delle volte inutili), schia-vi di quell’ospite inquietante che Nietzsche chiama nichilismo. In questo supermarket delle fedi, che è il nostro quotidiano, spesso preferiamo seguire la corrente, molte poche volte lavoriamo per comprendere di più, per discutere senza pregiudizio, per stare dalla parte di chi non ha voce, per mostrarci uomi-ni e donne…secondo l’esempio della “mitezza e della mansuetudine di Cristo” (2Cor 10, 1).

L’uomo, creato ad immagine di Dio, vivente in questo mondo per un tempo finito e per una personale missione, non può prescinde-re da Dio, nella sua origine e nella sua fine e, di conseguenza nelle scelte di vita. Egli è chiamato a destarsi dal sonno dell’abitudine, della monotonia, della superficialità per met-tersi in cammino alla sequela di Gesù Cristo, morto e risorto nostrae salutis causa. Quanti vogliono “rendere ragione della Speranza che è in loro” (1Pt 3, 15) possono mettersi accanto a noi in questo cammino di approfondimento e di ricerca, di dialogo con i fratelli e le sorel-le nella fede, di conoscenza più approfondita delle scienze sacre e della persona di Gesù Cri-sto. “È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di Salvezza…per insegnarci a vivere in que-sto mondo” (Tt 2, 11-12). Ridesti il Natale, con tutti i suoi segni esteriori, la nostalgia di Dio per scoprirci capaci di “umanizzare” i luoghi vitali delle nostre giornate. Allora sì che acqui-sterà senso l’augurio di un felice Natale “nel Signore”, nostra gioia.

Francesco Carrozzo e Cosimo Melcarne

Mi chiamo Francesca, ho 32 anni e ciò che mi fa battere il cuore di gioia senza fine è portare l’Amore,la gioia, l’allegria,la felicità vera nei cuori di tutti gli uomini,le donne,i ragazzi,i bambini..mi piace portare la gioia vera e pura che solo Gesù può dare.Gesù è Colui che mi ha dato la gioia vera e un senso alla vita. E’ colui che mi ama così come sono, è Colui che mi dà il coraggio di andare avanti e superare con gioia e con il sorriso sulle labbra gli ostacoli che incontro nella mia vita!E’ grazie a Lui che ognuno di noi può Risorge-re nella vita non solo in un domani,quando tutti risorgeremo dalla morte, ma oggi nel nostro mondo dove viviamo ,in famiglia, al lavoro , a scuola ,con gli amici,non dobbiamo fare altro che una cosa semplicissima:”aprire il nostro cuore a Dio”! Come? Essere noi stessi e saremo felici, perchè secondo me in ognu-no di noi c’è un grande dono,l’importante è saperlo tirare fuori con coraggio e soprattut-to credere che in ognuno di noi c’è Dio che vuole portare e donare Amore a tutti !!!Siamo tutti diversi e abbiamo doni diversi ma ciò che ci unisce tutti è l’Amore. Siamo nati dall’amore, siamo amore e saremo e porteremo amore perchè Dio è Amore!Solo così saremo felici! Secondo me possiamo portare amore, gioia, pace a tutti nei piccoli

gesti: per esempio quando parliamo e ascol-tiamo qualcuno. Tante volte ci accorgiamo che non è felice oppure che gli manca qual-cosa, gli manca una piccola parola di con-forto e tante volte gli serve un sorriso piccolo per aprirgli la porta del coraggio e subito in lui si accende la scintilla della gioia.E’ questo che mi ha spinto a donare a tutti (in famiglia, tra gli amici, nell’ambiente di la-voro..) questo grande dono che ha fatto l’Ar-civescovo ai giovani, così come mi è stato do-nato e ne farò tesoro. La gioia di Gesù invade di grande gioia il profondo del mio cuore:ho seguito semplicemente il mio cuore che non desidera altro che anche gli altri incontrino la dolcezza e la gioia infinita di Gesù !Per arrivare a Dio abbiamo bisogno di una mano e quindi cosa c’è di più bello che chie-dere aiuto ai Santi? E conoscerli? Poi Santi giovani,come me, come noi!!La vita dei Santi mi ha sempre affascinata! I Santi ci aiutano ad amare Gesù!Auguro dal profondo del mio cuore una vita santa e vera ! Gesù ne è la via,la verità e la vita da seguire qualunque sia la nostra vo-cazione ! Perchè la prima vocazione di ogni uomo è Amare, ovunque siamo!!

Francesca, Brindisi

Lettera alla redazione Lettera alla redazione

Fermento torna a Gennaio La redazione ricorda che è possibile inviare articoli, foto, lettere e riflessioni entro e non oltre il 5 gennaio 2010.Il tutto può essere spedito all’indirizzo e-mail [email protected], oppure al numero di fax 0831/524296 o, in alternativa, in busta chiusa indirizzata a: Redazione Fermento - Piazza Duomo, 12

72100 Brindisi

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Primo Piano 315 dicembre 2009

giornata mondiale della pace Il Messaggio del Santo Padre Bendetto XVI

Se vuoi costruire la pace, custodisci il creato

C’è un legame intimo e stretto tra il perseguire la pace e la custodia del creato. Lo afferma Benedetto

XVI nel suo annuale messaggio per la Gior-nata mondiale della pace. Un legame che ha radici profonde, nella stessa opera crea-trice di Dio: “e vide che era cosa buona” (Cf. Gn 1,1-31). Mantenere l’armonia creatrice di Dio, che nel creato trova una delle sue espressioni più alte e più belle, è garanzia di una pace vera e duratura. Non si può sottovalutare che i numerosi problemi che riguardano l’ambiente naturale dell’uomo - come l’uso delle risorse, i cambiamenti climatici, l’applicazione e l’uso delle bio-tecnologie, la crescita demografica – siano spesso, ancora oggi, pretesto di prevarica-zione, di situazioni di ingiustizia, di pover-tà assoluta, di guerre per la sopravvivenza. Ed ecco che quell’ordine primordiale viene sconvolto, e si rischia di seminare violenza tra i popoli, per le generazioni presenti e per quelle future.

Il monito del Papa sottolinea l’urgenza di cominciare ad avere uno stile di vita so-brio, essenziale, che non misuri il benessere solo sui consumi e sul Pil. È tempo di scel-te coraggiose, che partano dal rinunciare al superfluo permettendo al centro il valore

dell’essenzialità della vita.La tutela dell’ambiente deve costituire una

sfida per l’umanità intera: si tratta del do-vere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo. Nulla ci appartiene, ma tut-to riceviamo come dono gratuito; per que-sto nessuno ha il diritto di accaparrarsi per il proprio tornaconto personale quello che è di tutti, sia esso un singolo o un popolo, una famiglia o un’istituzione.

Il dovere di tutelare l’ambiente è una re-sponsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla glo-balmente. Se si vuole coltivare il bene della pace si deve favorire, infatti, una rinnovata consapevolezza dell’interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra. Tale consapevolezza concorrerà ad eliminare di-verse cause di disastri ecologici e garantirà una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori.

L’Azione Cattolica, come ogni anno, conti-nua il suo costante impegno per la promo-zione della pace, provando a declinare in percorsi, iniziative quello che il Santo Padre dice a tutta la Chiesa nel suo messaggio.

Che legame c’è tra il percorso formativo che l’Ac ha pensato per i suoi soci e questo

messaggio? In tutto questo anno associativo stiamo riflettendo sulle relazioni, sul modo con cui vanno vissute e alimentate. Ogni buona relazione con gli altri parte innanzi-tutto da una buona relazione con se stessi, con il mondo in cui si vive, con quello che c’è intorno a noi, anche con le cose. Chi ha la pretesa di riuscire a costruire relazioni di pace con gli altri bypassando completamen-te il rapporto con il creato, con l’ambiente in cui abita, vive in maniera disincarnata, alimentando sempre più la dicotomia tra la vita e l’esperienza daccettabile, è importan-te cominciare a fare scelte coraggiose nella vita di ogni giorno, che possano dire quanto i cristiani vogliano prendere sul serio l’esse-re costruttori di pace.Insieme al percorso formativo, l’AC con-

cretizza ogni anno un’iniziativa di pace che possa aiutare i ragazzi a vivere l’attenzione non solo ai vicini, ma anche ai fratelli meno fortunati di loro. L’iniziativa “Carica la pace”, è finalizzata a sostenere l’Azione Cattoli-ca di Betlemme (CAB) e le sue finalità for-mative anche attraverso la ristrutturazione dell’auditorium per: fornire ai ragazzi e ai giovani un luogo dove crescere dal punto di vista educativo; dove divertirsi, dove pra-ticare sport e altre attività extrascolastiche;

fornire alle famiglie un luogo adatto per at-tività sociali e comunitarie; proporre attività culturali e di intrattenimento attraverso la visione di film, spettacoli teatrali e momenti di danza folcloristica.Mettersi in relazione con Betlemme sarà

l’occasione per tutti i ragazzi dell’ACR (ma anche per i più grandi) di conoscere la real-tà del luogo in cui Dio ha scelto di comuni-carsi all’uomo attraverso l’incarnazione del suo Figlio.Un forte impegno ci attendo allora. Forse

non semplice, forse per alcuni troppo ar-duo. Ma cosa vorrà dire, allora, nei prossi-mi anni, dare una risposta come Chiesa alla sfida educativa dell’oggi se non comincia-mo seriamente a proporre dei cammini che possano far intravedere che è possibile vi-vere in modo diverso, secondo la logica del Vangelo? Incamminarci verso il prossimo decennio pastorale con questa consapevo-lezza, forse potrà farci evitare il rischio di finire a parlare di educazione, senza essere capaci di proporre davvero uno stile di vita differente.

Cominciamo a custodire il creato dunque. Cominciamo da qui. E forse, se lo saremo bene, custodiremo anche la pace.

Giorgio Nacci

azione cattolica dei ragazzi Come ogni anno l’associazione prova a declinare il messaggio in percorsi concreti

Quello stretto legame che ci fa sperare in un mondo diverso

E’ stato presentato il 15 dicembre scorso il Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2010. Ve ne proponiamo ampi stralci:

1. [...] Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le ope-re di Dio» (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 198)e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica conviven-za dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. [...]

4. Pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzio-ni tecniche, la Chiesa, «esperta in umanità», si premura di richiamare con forza l’attenzione sulla relazione tra il Crea-tore, l’essere umano e il creato. Nel 1990, Giovanni Paolo II parlava di «crisi ecologica» e, rilevando come questa avesse un carattere prevalentemente etico, indicava l’«urgente ne-cessità morale di una nuova solidarietà» (cfr Messaggio per la Giornata della Pace, 10). Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria con-siderazione. Come rimanere indifferenti di fronte alle pro-blematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di pro-duttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equa-toriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti «profughi ambientali»: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’ac-cesso alle risorse naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo.

5. [...] Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversan-do – siano esse di carattere economico, alimentare, ambien-tale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune cammino degli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla sobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle esperienze positive compiute e rigettando con decisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità.

6. [...] L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva [...] L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, vo-lendo esercitare su di esso un dominio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel

Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferi-mento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla re-sponsabilità [...] Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, «piuttosto tiranneggiata che governata da lui» (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, 48). L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo respon-sabile della creazione, custodendola e coltivandola (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, 50).

7. [...] L’eredità del creato appartiene, pertanto, all’intera umanità. Invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seria-mente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future. (cfr Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34). Non è difficile allora costatare che il degrado ambientale è spes-so il risultato della mancanza di progetti politici lungimiran-ti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato. Per contrastare tale fenomeno, sulla base del fatto che «ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere mora-le», (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, 37) è anche necessario che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre preoccu-parsi della loro salvaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce es-senziale degli stessi costi dell’attività economica. [...]

8. Sembra urgente la conquista di una leale solidarietà inter-generazionale. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle ge-nerazioni future. [...] Oltre ad una leale solidarietà inter-ge-nerazionale, va ribadita l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati. [...] È infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in par-ticolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci

appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assistenza, nel trasfe-rimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.

9. [...] È necessario che le società tecnologicamente avan-zate siano disposte a favorire comportamenti improntati alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo utilizzo. Al tempo stesso, occorre promuovere la ricerca e l’applicazione di energie di minore impatto ambientale e la «ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi» (cfr Lett. enc. Caritas in ve-ritate, 49). [...] Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla respon-sabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere doma-ni.

10. [...] Occorre incoraggiare le ricerche volte ad individua-re le modalità più efficaci per sfruttare la grande potenzialità dell’energia solare. Altrettanta attenzione va poi rivolta alla questione ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idroge-ologico globale. Vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale incentrate sui piccoli coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre approntare idonee politiche per la gestione delle foreste, per lo smaltimento dei rifiuti, per la valorizzazione delle sinergie esistenti tra il contrasto ai cam-biamenti climatici e la lotta alla povertà. Occorrono politiche nazionali ambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che apporterà importanti benefici soprattutto nel medio e lungo termine. [...] La questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il de-grado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve esse-re soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimen-sione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune.

11. [...] Sempre più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, fami-liare, comunitario e politico. [...] Occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale ambito, proponendo mo-delli positivi a cui ispirarsi

12. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la per-sona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Volen-tieri, pertanto, incoraggio l’educazione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica Caritas in ve-ritate, salvaguardi un’autentica «ecologia umana» e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nel-la quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura (cfr Lett. enc. Centesimus annus, 38.39).

14. Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto, dovere di ogni persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovato e corale impegno; ecco una provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore per tutti.

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Speciale Anno Sacerdotale4 15 dicembre 2009

Diciamocela tutta, non è che il padre della narrativa italiana li abbia trattati molto bene, i preti, non per-ché fosse un miscredente, tutt’altro: Boccaccio, da

credente, voleva colpirne gli esempi negativi, però anche quelli positivi, come il frate che confessa ser Cepparello, “un frate antico di santa e buona vita, (…) nel quale tutti i cittadi-ni grandissima e speziale devozione avevano” non fanno una gran figura, perché presi in giro dai furbi. In compenso Petrarca ci aveva consegnato una bellissima immagine di religioso quando ci mette di fronte alla figura del fratello Gherardo: entrando in monastero questi diviene la paolina spina nella carne per il fratello, in quanto esempio di abbandono a Dio e nel contempo modello irraggiungibile.

Anche se andiamo a vedere la letteratura moderna, ci ren-diamo conto che se non ci fosse stata, la figura del prete avrebbe dovuto essere inventata, tanta è la dovizia di per-sonaggi con la tonaca o il saio. Intanto guardiamo al Victor Hugo dei Miserabili (1862), che pur nel suo radicalismo so-ciale, fa di una figura “istituzionale” come quella del vesco-vo Myriel il modello della carità e del perdono: pur derubato da Valjean, finge di avergli donato i candelabri, spingendolo con questo atto di misericordia verso la redenzione.

Padre Brown è diventato quello che oggi chiameremmo un must, anche grazie alla serie televisiva che vide Renato Ra-scel nelle vesti del personaggio di Chesterton, prete-investi-gatore teso più a cogliere le risonanze profonde dell’anima dei colpevoli che alla loro punizione; pochi però conoscono i preti, “inventati” dallo scozzese Bruce Marshall (1899-1987). Padre Malachia, per esempio, che deve fare i conti con l’in-credulità della gente e con il razionalismo dei protestanti (ra-zionalismo che scherzando e ridendo l’autore avvicina molto all’incredulità), tanto da dover chiedere al buon Dio di “riti-rare” (in Il miracolo di padre Malachia) un prodigio a causa delle paradossali reazioni di coloro che pure ne constatano l’evidenza. O padre Smith (Il mondo, la carne e padre Smith) che alla fine deve accorgersi di quanto sia poco prevedibile il progetto di Dio, tanto da non chiedersi più “perché sceglies-se spesso gli uomini brutti ed ottusi a fare il lavoro degli an-geli”, o padre Arturo che deve affrontare la sua crisi vocazio-

nale proprio durante le carneficine della guerra di Spagna, o un ennesimo don, Gaston, stavolta, che in A ogni uomo un soldo attraversa i due conflitti mondiali in Francia cercan-do semplicemente di alleviare le sofferenze anche a costo di prendersele lui.

Anche Graham Greene (1904-1991) è stato alle prese con personaggi di religiosi dilaniati dal dubbio, come nel roman-zo Il potere e la gloria, dove il prete, in un Messico in cui es-sere cattolici era reato, lascia andare le ultime possibilità di salvarsi per aiutare l’altro.

Non si può ovviamente far finta di nulla davanti alla testi-monianza di Georges Bernanos (1888-1948), anche lui cre-atore di figure di preti nei suoi romanzi Sotto il sole di Sata-na e Diario di un parroco di campagna: preti che sembrano schiacciati dall’enigma dell’esistenza del male e che invece alla fine trovano uno spiraglio di luce nello scendere negli stessi abissi dei diseredati, condividendo con loro non solo il male materiale, ma anche la disperazione.

Ci sono ovviamente anche i preti visti grottescamente o am-biguamente, come Il prete bello, edito nel 1954, di Goffredo Parise (1929-1986), schiacciato dal provincialismo dell’epoca fascista, o Il prete lungo di Luciano Bianciardi (1922-1972), ma erano gli anni dell’acre polemica contro la borghesia e il conformismo in tutte le salse, cui rispondeva polemicamente il Don Camillo (1948) di Giovanni Guareschi, contrapposto al sindaco comunista Peppone. Da mettere nel conto “laico” i frati talmente razionali da far nascere il sospetto di incredu-lità, come il francescano Guglielmo di Baskerville in Il nome della rosa (1980) di Umberto Eco.

Anche se poi alcuni preti riescono a donare la fede perfino in absentia, come il misterioso sacerdote (non compare mai) del Quinto Evangelio (1975) di Mario Pomilio che attraverso le tracce da lui lasciate spinge l’agnostico Bergin alla ricerca del vangelo perduto.

Il protagonista del Diario di un parroco di campagna –lo stesso titolo del romanzo di Bernanos che però era uscito nel 1936- di Nicola Lisi (1893-1975), scritto nel 1942, è capace di cogliere i bagliori dell’Eterno anche nelle piccole cose, appa-rentemente periferiche e marginali.

E oggi? Come prima, più di prima: un prete è descritto da Ferruccio Palazzoli mentre affronta il male e il bene di Mila-no in Per queste strade familiari e feroci (risorgerò), 2004, e per compensazione geo-politica (stavolta andiamo a Taran-to) un prete ancora è il protagonista di Il ragazzo che credeva in Dio, di Vito Bruno, fresco di uscita. Un prete per tutte le stagioni, come si vede, al centro dell’at-tenzione letteraria, perché nel bene e nel male la sua figura richiama l’originale: la ricerca dell’altro fino a condividerne gli abissi.

Marco Testi

E’ difficile parlare del sacerdote. Egli è un mistero d’amore: quello di Cristo per l’umanità. E’ il pro-lungamento di Cristo stesso nella storia dell’uomo

di tutti i tempi e di tutti i luoghi.Di lui si sono scritti libri, trattati, articoli e basterebbe ri-

copiare qualche stralcio per poterlo fotografare o indicare i connotati di qualcuno per ben conoscerlo: di Sant’Antonio, per esempio, di San Camillo di Lellis, di San Giovanni Ma-ria Vianney, di San Lorenzo da Brindisi, San Giovanni Bo-sco, San Pio da Pietrelcina e di tanti, tantissimi altri segnati dal calendario o nascosti nell’anonimato della quotidianità della vita o addirittura sconosciuti agli occhi di tutti e che operano nei luoghi di grandi difficoltà e a rischio della stes-sa vita.

Il sacerdote è anche colui davanti al quale, come diceva San Francesco, bisognerebbe prostrarsi per il solo fatto che le sue mani toccano e stringono il Verbo di Dio incarnato.

Tuttavia egli è un uomo come tanti altri ma scelto e chia-mato a una missione speciale. Ne consegue che grande è la sua responsabilità.

Ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo atteggiamento buono o cattivo potrebbe costruire o distruggere le aspetta-tive del singolo o di una comunità.

E’ necessario perciò pregare sempre per la sua santifica-zione, aiutarlo con ogni mezzo a diventare sempre più con-forme a Cristo, anzi, come ci dice la teologia “Alter Cristus”

Chiedendo un po’ in giro, il parere di alcune persone del-

la comunità parrocchiale di età diverse sull’argo-mento, ne è venuto fuori il concetto che il sacerdote rappresenta: il Ministro di

Cristo; la guida spirituale delle anime; la voce stessa di Dio; la chiave di collegamento tra la Chiesa e il popolo; colui che guida le anime verso la salvezza eterna; colui che non dovrebbe mai perdere la propria identità secolarizzandosi con le mode del tempo.

Perciò, da tutto questo ne deriva, che il sacerdote, oggi più che mai è chiamato a riscoprire e riaffermare la propria identità e, sull’invito del Santo Padre Benedetto XVI, pren-da come esempio la figura del santo Curato d’Ars sacerdo-te semplice, ma attento alla cura delle anime a lui affidate, uomo di preghiera e di sacrificio.

Pensando ai vari disagi che un sacerdote incontra nel suo ministero, mi viene spontaneo pensare al mio parroco che vive, anzi viviamo insieme con lui, un disagio nelle struttu-re di ministero che ancora non abbiamo, visto che la comu-nità vive il suo momento celebrativo in un locale adibito a luogo di culto che ormai non riesce a contenerci.

Nonostante questo nella mia parrocchia, per riscoprire il valore della preghiera anima e sostegno di ogni ministero, si sta celebrando ogni settimana “il Giovedì Sacerdotale” con l’adorazione Eucaristica per la santificazione di tutti i sacerdoti, per le vocazioni sacerdotali, missionarie e reli-giose. Infine a tutti i suoi fedeli il mio parroco ha lanciato l’appello di offrire sacrifici rinunzie e atti di carità personali sempre per la medesima intenzione.

Voglia il Signore in questo anno sacerdotale voluto dal Santo Padre, accogliere gli sforzi e i sacrifici di tutta la Chie-

sa, illuminare ogni suo ministro, da lui scelto e chiamato a riscoprire, il significato di una risposta data con amore, il giorno dell’ordinazione, ma attuata nella quotidianità di un ministero, che riposa tra le loro mani e le nostre preghiere.

Rosa Gallone

cultura Spulciando tra secoli di libri

Il sacerdote nella letteratura

testimonianza Dalla parrocchia San Leucio

Il sacerdote, un mistero d’amore

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Speciale Anno Sacerdotale 515 dicembre 2009

riflessioni Prosegue il nostro cammino di approfondimento

Il Concilio Vaticano II e la vita dei sacerdoti

Non è un luogo comune. Tra tanti messaggi e docu-menti che si moltiplicano di continuo, anche noi, anziché orientarci, rischiamo di confonderci. Meglio

andare alle fonti e attingere proprio alle sorgenti. Per la Chie-sa del nostro tempo una fonte imprescindibile è il Concilio Vaticano II. Personalmente sono persuaso che in tante occa-sioni sarebbe preferibile prendere in mano semplicemente i testi del Vaticano II e farne tesoro, senza coprirli sotto gli strati delle successive voluminose produzioni. Ad esempio, un proposito di facile attuazione e di probabile efficacia in quest’Anno sacerdotale, potrebbe essere quello di andare alla fonte del magistero contemporaneo sul sacerdozio ministe-riale, aprendo e meditando la Presbyterorum Ordinis (P.O.) Questo decreto che il Vaticano II ha dedicato specificamente al ministero e alla vita dei presbiteri, costituisce realmente una trattazione completa e approfondita sull’argomento. In questo breve articolo vorrei sottolinearne solo tre punti, che mi sembrano rilevanti anche per il nostro personale itinera-rio verso Dio.

Anzitutto, una verità fondamentale, da cui scaturiscono tante applicazioni pratiche: “è attraverso il ministero dei pre-sbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell’unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sa-crificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sa-cramentale, fino al giorno della venuta del Signore. A ciò ten-de e in ciò trova la sua perfetta realizzazione il ministero dei presbiteri” (P.O. n.2). Chiarissimo e verissimo! Nell’Eu-carestia trova senso e perfezione il nostro sacerdozio (tendit et consummatur). Ciò naturalmente non significa escludere o mettere tra parentesi tutti gli altri aspetti del nostro mini-stero, ma dare il giusto ordine alle cose, e soprattutto signifi-

ca ancorare la nostra vita, spesso sballottata tra incombenze diverse e non sempre di sicuro valore, un punto fermo che non viene meno, un punto-luce che illumina tutto il resto, un punto di forza, anzi il punto di forza, su cui fare leva quando anche per noi, come per tutti, viene il momento della prova. Qualunque sacerdote, giovane o meno giovane, sa bene per esperienza che, se perdiamo il riferimento all’Eucarestia, le nostre giornate di colpo risultano vuote, anche se la nostra agenda fosse fitta di impegni e la nostra testa fosse piena di pensieri d’ogni genere. Non posso soffermarmi sulle applica-zioni pratiche di questo principio basilare della nostra vita, ma la prima ovvia conseguenza dovrebbe essere quella di dare decoro, calma e cuore alle nostre celebrazioni eucaristi-che festive e feriali.

Nell’Eucarestia dunque la fonte e l’apice di tutta la nostra vita presbiterale. In mezzo c’è tutta la gamma delle nostre at-tività. Possono essere, come di fatto sono, le più disparate: la vita di parrocchia, la cura di un ufficio diocesano, l’impegno specifico per un settore o per una categoria ecc. Ma se l’Eu-carestia resta il vero riferimento di tutto, rimarrà chiara an-che la finalità del nostro agire. Al riguardo,ecco l’altro punto della Presbyerorum Ordinis che desidero sottolineare: “Il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l’opera di Dio realizzata in Cristo e la manifesta-no in tutta la loro vita. Perciò i presbiteri, sia che si dedichino alla preghiera e all’adorazione, sia che predichino la parola, sia che offrano il sacrificio eucaristico e amministrino gli altri sacramenti, sia che svolgano altri ministeri ancora in servizio degli uomini, sempre contribuiscono all’aumento della gloria di Dio e nello stesso tempo ad arricchire gli uomini della vita divina” (ibidem).

Dunque, non è la gloria nostra che dobbiamo cercare, ma quella di Dio. La tentazione è ricorrente, e lo sappiamo. Non è nuova, perché c’è sempre stata, e Gesù stesso ha racco-mandato di non fare le cose per essere ammirati dall’uno o dall’altro. Ma forse alcuni contesti storici possono essere più a rischio da questo punto di vista, anche nella Chiesa. Credo che si spieghi così un recente intervento del Papa. Nel set-tembre scorso, conferendo l’ordinazione in S.Pietro a 5 nuovi vescovi, tutti provenienti dalla Curia romana, Benedetto XVI ha toccato un tasto dal suono non molto frequente sotto le volte delle nostre chiese:“La prima caratteristica, che il Si-gnore richiede dal servo, è la fedeltà. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chie-sa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato. Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, pre-stigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introducia-mo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità”. Queste parole così esplicite di Benedetto XVI hanno avuto un’ovvia

risonanza mediatica. Ci si è chiesto perché il Papa ha voluto dire queste cose e si sono fatte delle illazioni. Ad ogni modo, facendo le debite proporzioni, possiamo certamente riferire anche noi ciò che Benedetto XVI ha detto agli ordinandi in S. Pietro.

Dalla Presbyerorum Ordinis,infine, estraggo un terzo pas-saggio che mi sembra saliente. Dopo aver considerato la na-tura del sacerdozio nel suo rapporto con Cristo, il Vaticano II passa a trattare delle condizioni concrete in cui i presbiteri devono svolgere il loro ministero, e in particolare della loro presenza tra gli uomini. Come deve essere questa presenza ? Quali forme concrete deve assumere ? Il Concilio dice: “I pre-sbiteri del Nuovo Testamento, in forza della propria chiamata e della propria ordinazione, sono in un certo modo segrega-ti in seno al popolo di Dio: ma non per rimanere separati da questo stesso popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consa-crarsi interamente all’opera per la quale li ha assunti il Signo-re. Da una parte, essi non potrebbero essere ministri di Cristo se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena; ma d’altra parte, non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente. Per il loro stesso ministero sono tenuti, con speciale motivo, a non conformarsi con il secolo presente ma allo stes-so tempo sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini” (P.O. n.3). Ecco l’autentico orientamento del Conci-lio, equilibrato come sempre, non per calcolo e diplomazia, bensì per l’intento di tenere insieme aspetti diversi, ma com-plementari e coessenziali. D’altronde questo decreto, come tutti gli altri testi conciliari, porta come prima firma quella di Ego, Paulus. Mantenere la giusta rotta fra contrapposti estremismi è stata la fatica e il merito più grande di Paolo VI nel Concilio e nel post-Concilio. Né monaci né mondani, dice dunque il Concilio circa i preti diocesani. “Nel mondo ma non del mondo”, possiamo dire con Gesù. Deve esserci e risultare sempre qualcosa di diverso nella vita del sacerdo-te, altrimenti egli viene fagocitato dal mondo, nell’accezione negativa di questo termine. Al tempo stesso il presbitero non deve vivere sulle nuvole o in un mondo artificiale, altrimenti non potrà servire adeguatamente gli uomini del suo tempo. Al riguardo possiamo chiederci ad esempio: sono nel mondo o fuori del mondo certe nostre cose in tipico “ecclesialese” ? A volte sembra che viviamo in un mondo tutto nostro, molto rifinito a livello cartaceo, ma non corrispondente alla realtà effettiva. In questo modo siamo davvero presbiteri diocesa-ni, che vivono nel mondo ?

Per riflettere su queste cose, l’arco di un anno – l’Anno sa-cerdotale - può essere utile. Di certo non basterà un anno per conformare la nostra vita a ciò che viene chiesto. Ci vorrà un’esistenza intera. Tuttavia, sapere dove tendere ci aiuterà a camminare sulla strada giusta.

don Fabio Ciollaro

Il testImonemons. Giuseppe Cavaliere

Tratteggiare un profilo biografico di Don Giuseppe Ca-valiere in poche righe, tralasciando molti particolari,

è alquanto riduttivo. Ci proverò con grande emozione e lucidità a confezionare un passato che per me suona an-cora presente.

Chi era don Giuseppe Cavaliere? Era un sacerdote sem-plice, uomo di preghiera, servitore umile e paziente, nemico delle apparenze, estremamente sincero, cultore dell’amicizia, strumento essenziale per seminare la pa-rola evangelica.

Mons. Semeraro lo definì «un grande bambino e un grande amico dei bambini. La semplicità e la carità pro-pria dei piccoli hanno dato alla sua anima sacerdotale una squisita bellezza evangelica».

Le sue origini sono sanvitesi. Inizia la sua attività pastorale presso la chie-sa degli Angeli come Rettore. E’un periodo storico difficile, perché appena ordinato Sacerdote nel giugno del 1942 da Mons. De Filippis, incontra le miserie umane del dopoguerra.

Coraggiosamente metterà in campo tutto il suo zelo sacerdotale, l’ama-bilità del carattere, la parola illuminante per ricomporre gli sbandamenti morali, le lacerazioni familiari, la miseria materiale facilmente contrab-bandata con la coscienza.

«Sono gli anni più belli e più difficili», scrisse nel suo diario. Il suo en-tusiasmo apostolico, le sue capacità organizzative non potevano passare inosservate, sicché il 31 maggio del 1954 Mons. Margiotta lo nominò Par-roco della Cattedrale. Ha appena 35 anni, ma ha tante energie fisiche e spirituali da sprigionare.

Allarga i suoi programmi, fioriscono nuove iniziative: l’Associazione dei Maestri cattolici, l’Azione Cattolica, il gruppo Scout, il catechismo ai bambini e agli adulti, ma punta particolarmente alla famiglia portandosi nei vari plessi della parrocchia interessandosi ai vari problemi che talvolta allontanano dalla fede e dalla frequenza dei sacramenti.

Altra iniziativa fu quella di organizzare un ciclo di con-versazioni religiose presso il salone della Provincia, con l’apporto di sacerdoti e laici qualificati e l’inserimento nella parrocchia dell’associazione degli universitari.

Una grande attenzione la rivolse agli emarginati, ai poveri, ai figli della strada, tanto che davanti alla bara più di qualcuno smozzicava delle frasi in preda al pianto “abbiamo perduto il nostro papà”.

Vi pare che il suo dinamismo sacerdotale potesse finire qui? Allargò ancora i confini costruendo due Istituti per ospitare i ragazzi abbandonati, privi di affetto e di com-

prensione. Tali luoghi diventarono una seconda Parrocchia, laddove tra sacrifici per-

sonali a tutti i livelli cercò di offrire il suo cuore, rinunziando alle proprie comodità, ad una vita agiata consumandosi di amore per chi ha avuto la sventura di nascere senza il conforto di una mamma e un papà.

Il primo Istituto fu edificato a Laureto di Fasano, ideato come casa fami-glia, accogliendo bambine e bambini.

Nel 1964 nacque l’Istituto Margiotta per i ragazzi di scuola media e con-temporaneamente istituì a Brindisi il C.I.F. con l’annesso consultorio.

Purtroppo il microfono si spense improvvisamente il 16 novembre del 1980 nell’Istituto Margiotta, fra i suoi ragazzi.

don Vittorio Papadia

Monsignor Giuseppe Cavaliere

Benedetto XVI: «Imparare dagli apostoli del confessionale

San Giovanni Maria Vianney, san Giuseppe Cafasso, san

Leopoldo Mandic, san Pio da Pietrelcina. Sono alcune «figure straordinarie» di «apostoli del confessionale», «instancabili dispensatori della misericor-dia divina», ricordate dal Papa al termine dell’udienza del 2 dicembre. Benedetto XVI ha ricordato il 25° anniversario di promulgazione dell’Esorta-zione apostolica “Reconciliatio et paenitentia”, che «richiamò l’attenzione sull’importanza del sacramento della penitenza nel-la vita dalla Chiesa». «L’esempio di questi Santi, assidui e fedeli ministri del perdono divino, sia per i sacerdoti e per tutti i cristiani un invito a confidare sempre nella bontà di Dio, ac-costandosi e celebrando con fiducia il Sacramento della Ri-conciliazione».

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15 dicembre 20096 Speciale Caritas in veritate

Le ha divorate quelle pagine. Chi lo conosce bene sa quanta cura ha dedicato ai singoli paragrafi della Ca-ritas in Veritate. E con la signorilità e squisitezza, che

lo contraddistinguono, il prof. Gian Cesare Romagnoli, Ordi-nario di Politica Economica e Presidente del corso di laurea magistrale in Politiche Pubbliche, nonché Coordinatore del-la Sezione Governo e Istituzioni della Scuola Dottorale in Scienze Politiche della omonima Facoltà nell’Università di Roma Tre, decide di rispondere alle nostre domande. In tutte le università dove ha insegnato, egli ha lasciato traccia, a Pisa come a Firenze, a “La Sapien-za” di Roma come ad Urbino, e nella Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale.

Professor Romagnoli, quale, secondo lei, l’autentica no-vità della Caritas in Veritate nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa?

«Quella di riproporre la questione della diffusione dello svi-luppo economico indicando una nuova via per attingerla. Essa non passa solo per le regole, per quanto nuove, bensì attraverso una conversione dell’uomo. In altre parole, questa lettera pastorale indica che le regole sono necessarie ma non sufficienti per questo obiettivo. Infatti, anche se esse fossero perfette, potrebbero non essere rispettate. La soluzione non può dipendere solo dalle istituzioni di cui le regole sono par-te insieme alle organizzazioni.”Il sabato è stato fatto per l’uo-mo, non l’uomo per il sabato”(Mc 2,23-28)».

Tra i commenti della prima ora, c’è stato quello di Stefa-no Fontana che ha osservato: “L’enciclica sociale Cari-tas in veritate trasforma la dottrina sociale della Chiesa nientemeno che nel rapporto tra la Chiesa e il mondo”. Penso a quanto ha scritto Giovanni Paolo II nella Solli-citudo al nr.41 e chiedo: l’ambito le sembra più ampio o più ristretto?

«Questa enciclica testimonia la continuità dell’attenzione che la Chiesa ha posto sui temi dell’economia e della società. la Sollicitudo rei socialis, scritta contro il crescente predomi-nio dell’avere sull’essere el ventesimo anniversario della Po-pulorum progressio di Paolo VI, e come la Centesimus annus dove si esprime, dopo la delusione del socialismo reale, il pericolo di affidare al libero mercato la soluzione di proble-mi tanto vasti, anche la Caritas in Veritate è ia tutti i popoli della Terra. Carità e verità possono essere compresi e condivi-si anche dalla ragione umana che anzi può farne una “base” universale, globale, di dialogo tra tutti gli esseri umani, le na-zioni, le culture. Il Papa si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti, e quindi all’umanità intera. Ma è arduo sostituire un’etica deontologica a quella conse-quenziale prevalente con una filosofia materialista, in assen-za dell’amore divino e quindi di un orizzonte temporale infi-nito per gli individui».

Annunciata per il 40° della Popolorum progressio, que-sta enciclica è stata pubblicata a ridosso di una riunione del G8, che invece affrontava le questioni della crisi eco-nomica mondiale che ora giunge al suo secondo anno di vita. E’ stata considerata da una lettura frettolosa indiriz-zata ai grandi della terra, mentre papa Benedetto l’ha in-viata a “tutti gli uomini di buona volontà”. Quali impegni questi ultimi traggono da quelle pagine?

«Non mi pare che questa enciclica abbia destinatari privi-legiati. E’ un messaggio per tutti sul futuro umano mentre è in via di globalizzazione. Ma questa ha avvicinato uomini e donne rendendo intollerabili le differenze e le disparità. La crisi finanziaria in atto è stata causata dal venir meno della fiducia che è alla base degli scambi. La lettera avverte che anche i sistemi economici dei paesi ricchi sono vulnerabili agli sprechi, al degrado morale, alla speculazione. Ogni de-cisione economica ha conseguenze di carattere morale. La delocalizzazione produttiva è eticamente lecita per gli im-prenditori se e quando interagisce positivamente con le eco-nomie e le popolazioni locali, invece molte imprese multi-nazionali non rispettano questo principio. Anche i sindacati dei lavoratori si devono aprire alla parte meno privilegiata del mondo. Ogni lavoratore deve poter creare e diventare imprenditore. Un compito enorme, complesso, audace ma di grande portata perché dal suo successo dipende la giusti-zia e la pace nel mondo. Gli ostacoli principali sono costitui-ti dal condizionamento degli interessi in gioco e dal peso che la tradizione scientifica della teoria economica neoclassica individualista porta con sé. Infatti, se da una parte è vero che grandi economisti liberali da Nassau Senior a Friedrich Von

Hayek hanno visto con chiarezza la palingenesi dello Univer-sal Bogey o dell’homo oeconomicus considerandolo la “ver-gogna di famiglia”, è difficile ampliare il senso dell’economia e dei suoi fini per un ritorno all’etica e al perseguimento del bene comune. A questo deve essere mirata una rifondazione economica centrata sulla responsabilità sociale dell’impresa e sulla riduzione dell’asimmetria informativa che dovrebbe coinvolgere tutti».

La Chiesa non è contro il mercato, purchè esso non si ri-duca solo alla ricerca del profitto e ammetta la presenza di più forme economiche, ed anche di più Stato e società civile. Sembra, questo, il messaggio della Caritas in veri-tate: quale distanza esiste tra il nostro vivere quotidiano e questa visione della società?

«Tra i modelli economici alternativi, solo quello keynesia-no, soppiantato trenta anni fa dalla Nuova Macroeconomia Classica che assume un mercato in grado di curare i suoi fallimenti e dall’approccio delle rules vs discretion che ha delegittimato metodologicamente la decisione politica di-screzionale, condivide molti strumenti e obiettivi di politica economica della Dottrina sociale della Chiesa. Esso può an-cora offrire delle speranze a questo riguardo proprio mentre la crisi mondiale ha demitizzato i successi del liberismo eco-nomico. Il compito di chiedere agli economisti di cimentarsi su un paradigma più complesso, ma più completo di quello che ha dominato il pensiero economico fino alla crisi, spetta alla politica. Questa lettera pastorale affronta tre questioni: una prin-cipale, l’uomo, e due subordinate, l’ambiente e la tecnica. E’ chiaro nel testo che la preoccupazione dominante del Papa è quella antropologica, matrice della questione socia-le mondiale dello sviluppo ma anche di quella ambientale e di quella tecnica dove la libertà di azione non si coniuga alla responsabilità. Essa è legata al riduzionismo derivante dalla rescissione del legame tra economia e scienze morali che ha lasciato crescere, negli ultimi due secoli, una discipli-na scientifica non per l’uomo ma per l’homo oeconomicus il cui comportamento è basato sull’assunto di razionalità e di

massimizzazione del profitto e della sua utilità individuale. I risultati drammatici di questa perdita di visione dell’umane-simo integrale, in nome dei benefici di una specializzazione disciplinare artefatta, ad hoc, e quindi strumentale ma non vera, che privilegia una morale consequenziale egoistica sono sotto gli occhi di tutti, non solo nei paesi poveri ma an-che in quelli ricchi toccati dalla crisi economica mondiale. A questa insipienza epistemologica l’enciclica addebita la povertà di senso e le contraddizioni delle società occidenta-li individualiste e sazie che stentano a riconoscere l’impor-tanza fondamentale di alcuni beni in sé quali la relazione, la reciprocità, il volontariato inteso come vocazione personale all’amore nella verità e quindi alla giustizia e alla pace».

Alcuni media hanno parlato dell’enciclica della crisi eco-nomica. Poniamo che sia anche così, quando invece, ci si spende espressamente per uno “sviluppo umano inte-grale nella verità e nella carità”. Ma passata questa crisi economica, che rappresenta il contingente, cosa resterà di queste pagine quale patrimonio perenne?

«La crisi economica viene richiamata più volte nel testo. La sua sottolineatura appare come un appello al cambiamento, alla metanoia anche per uno “sviluppo umano integrale nella verità e nella carità”. La globalizzazione ci porta l’interazione ma anche la necessità di governo al fine di attenuare gli squi-libri distributivi che sono aumentati tra paesi e all’interno di essi. Ma questa speranza rimane debole finché i paesi ricchi non riconosceranno parità di diritti, a partire da quello della vita ma anche dell’accesso all’acqua, alle medicine e all’ali-mentazione, da parte degli abitanti dei paesi poveri, soprat-tutto dell’Africa. Il dialogo presuppone l’incontro di sogget-tività diverse e rispettate. Il metodo del dialogo presuppone però una parità di strumenti e di opportunità, altrimenti esso maschera un confronto e uno scontro in cui si impone il più forte dando luogo a un nuovo e forse ancor più crudele colo-nialismo mascherato ed anonimo. Le situazioni di sottosviluppo non sono frutto del caso o di una necessità storica, ma dipendono dalla responsabilità umana. Nonostante i recenti successi delle economie dei BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), i poveri totali nel mon-do sono aumentati di 200.000 unità tra il 2007 e il 2009. Le esternalità ambientali si moltiplicano a un ritmo che solo pochi decenni fa era impensabile (si pensi al caso del clima). Nell’assolutismo della tecnica è lecito fare tutto ciò che si può fare separando il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla sua responsabilità che invece viene rimossa dal relativismo. “L’azione dell’uomo sulla terra, quando è ispi-rata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale Città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana”(7). Di qui l’esigenza sottolineata dal Papa di un cambiamento nell’agire umano che sia aperto all’Assoluto e di un governo planetario che dia luogo a un Nuovo Ordine Economico Mondiale. Esso dovrebbe dare una risposta effi-cace anche alla crisi attuale usando il metodo della sussidia-rietà. Seguendo questo principio, la potestà decisionale va attribuita al livello su cui principalmente ricadono gli effetti delle decisioni prese. La ricerca della verità conduce a indicare le contraddizioni nell’azione delle istituzioni internazionali che hanno fallito sovente nei loro obiettivi più nobili e condivisi proprio per-ché la loro proposta di regolamentazione obbedisce a un’eti-ca consequenziale gerarchizzata dagli interessi costituiti e dal potere contrattuale che manca ai più deboli. Per questo esse tendono a dare vantaggi a chi ne ha già e chiederne a chi non ne ha. Esse trascurano la dipendenza delle istitu-zioni dei paesi poveri dal loro grado di sviluppo, impongono la contraccezione o il controllo delle nascite quando è noto che è lo sviluppo il principale regolatore del tasso di natali-tà, strumentalizzano gli standards internazionali (le forme politicamente corrette della protezione produttiva e com-merciale), incoraggiano i trasferimenti bilaterali che spes-so nascondono scambi ineguali, o il fair trade che si presta a fungere come nuova forma di marketing contrapposto alla contraffazione che sovente è rischiosa.Uno sviluppo di lungo periodo non è più possibile senza l’etica ma la parola etica è inutile se manca il riferimento ai suoi valori fondanti. Dobbiamo chiederci di quale civiltà superiore siamo portatori se lasciamo che prevalga l’attuale distribuzione del reddito e della ricchezza nel mondo e se siamo capaci di esportare nelle aree meno favorite le crisi fi-nanziarie da noi originate».

Angelo Sconosciuto

intervista A colloquio col prof. Gian Cesare Romagnoli, ordinario di economia politica

«Serve un agire umano aperto all’Assoluto»

Benedetto XVI firma la Caritas in veritate

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715 dicembre 2009 Speciale Scuola

Tutti alla ricerca del crocifisso

La sentenza delle Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che il 3 novembre scorso ha stabilito

che “la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secon-do le loro convinzioni e una violazione alla libertà di religione degli alunni”, non poteva non suscitare polemiche e dibattiti tra l’opinione pubblica, mondo cattolico e non, riguardo ad un segno che rappresen-ta le nostre radici cristiane e che fa parte della nostra cultura. Ma, come spesso ac-cade, è proprio dal male che emerge il lato positivo. Infatti, a ridosso della decisione della Corte europea si è verificato un vero e proprio boom nell’acquisto di crocefissi, in particolare a Brindisi, come ci raccon-ta Patrizia Colaluce della Libreria Paoline del centro cittadino: «Si è registrata una grande vendita di crocefissi, ne sono stati acquistati circa un centinaio, destinati sia a scuole che ad uffici pubblici e privati, ambienti di lavoro in generale e case, so-prattutto per coloro che si sono accorti di non averlo». E, tra tutti gli interessati al crocefisso da tenere nelle proprie case e nei luoghi di lavoro, non è mancato an-che chi ha voluto fare dono della croce ad amici e familiari: si è risvegliato, insom-ma, il senso di appartenenza alla nostra cultura cristiana, testimoniando la pro-pria fede e facendosi quasi testimoni del crocefisso, come è accaduto in una scuola media e come ci spiega Patrizia: «La gente sta testimoniando una grande fede, come ad esempio una catechista che, dopo un incontro con alcuni ragazzi di una scuola, i quali hanno sollevato l’argomento sulla presenza o meno della croce negli istitu-ti scolastici, ha voluto donarla a tutti loro come simbolo di testimonianza tra i ra-gazzi e i loro coetanei. Ma anche dirigenti scolastici, uffici del Comune e della Pre-fettura hanno provveduto ad avere anche loro nel proprio ambiente il crocefisso al muro». Di fronte alla privazione del segno cardine della nostra fede, si sono mobili-tate anche le mamme di una scuola che hanno persino intrapreso una raccolta fir-me per impedire che vengano tolti i cro-cefissi dalle aule: un’altra testimonianza di quanto sia inaccettabile per i cristiani la sentenza emanata dalla Corte europea e di quanto, invece, la fede cristiana sia profondamente radicata e testimoniata soprattutto quando si rischia di perdere ciò che fa parte dell’identità di un popolo.

Daniela Negro

La Corte europea vorrebbe “cancellare” il crocifisso dalle scuole. Dopo aver letto molti articoli tutti sappiamo che, an-che negli altri anni, ci sono state alcune lamentele da parte

di famiglie che hanno protestato per togliere il crocifisso nelle aule delle scuole italiane. Ma il Consiglio di Stato non ha accettato que-sta sentenza perché il crocifisso deve essere un simbolo di unio-ne e non di divisione; inoltre esso indica il nostro Credo religioso quindi è considerato un maestro di vita per gli italiani e per gli altri popoli.

Tutti, quando viaggiamo o visitiamo una città che non conoscia-mo, cerchiamo in essa qualcosa di familiare. Sicuramente per tutti ciò che ci fa sentire a casa nostra è il campanile: si riconosce su-bito per via dell’altezza e del crocifisso posto su di esso. Perché, altrimenti, l’Italia sarebbe chiamata il Paese dei campanili? Ora, insieme proviamo a pensare a come sarebbe la nostra Italia senza campanili: un Paese “triste”, “spoglio”. Insomma, tante piccole cro-ci fanno del nostro Paese un’Italia più bella: il crocifisso, simbolo che ormai si tramanda di padre in figlio, è la storia di un Dio che si è fatto uomo e che si è sacrificato, come una persona qualunque, sulla croce, per dare a noi un mondo migliore. Per questo io, come molti italiani, credo che la sentenza della Corte europea di togliere i crocifissi dalle aule sia una pessima idea anche per chi non crede. Proprio come ha detto Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI: “La croce di Gesù unisce tutti i popoli in un solo grande abbrac-cio”. Secondo i Vescovi italiani la sentenza europea è “miope”, per-ché non riesce a guardare lontano. Secondo me non si dovrebbero assolutamente togliere i crocifissi dalle aule perché allora non ci dovrebbe più neanche essere la bandiera europea ispirata dall’au-reola della Madonna, dipinta da un impiegato francese della Co-munità europea

Corrado D’AmicoClasse VB 3º Circolo didattico

“Giovanni XXIII” - Ostuni

In relazione alla recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sull’illegittimità della presenza dei croci-fissi nelle scuole, la sezione UCIIM (Unione Cattolica Inse-

gnanti Medi) di Brindisi esprime, ancora una volta, sdegno e rammarico per prese di posizione a livello giudiziario che san-no tanto di livore antireligioso, come avvenne in occasione di un’analoga sentenza del giudice Luigi Tosti nel lontano 2003.

Lo sdegno è giustificato dal fatto che la Corte ha completa-mente tralasciato di considerare che la civiltà europea (non solo quella italiana)è figlia del cristianesimo,che, pur talvol-ta con eccessi e contraddizioni, ha permeato dei suoi valori l’etica pubblica e privata dei popoli europei. Questo è tanto vero che il crocifisso ha superato la mera simbologia religio-sa per assurgere a testimonianza visiva della cultura e della storia dell’umanità, pur conservando il suo significato ori-ginario del Figlio di Dio morto in croce per salvare l’uomo. E comunque,anche se rappresentasse solo un simbolo cattolico o cristiano, in Italia questa è ancora la religione prevalente e non si vede perché i supposti diritti della minoranza debbano essere tutelati a detrimento di quelli della maggioranza, al-trimenti la scelta europea diverrebbe una gabbia costrittiva e non un’occasione di crescita.

Il rammarico nasce dal constatare che la sentenza aprirà la strada a nuove battaglie ideologiche,ad un muro contro muro che non aiuta a costruire libertà e verità per tutti ma che può solo generare l’intolleranza suscitata da altra intolleranza.

L’UCIIM, pertanto, auspica che la sentenza venga riformata in appello e che prevalga il buon senso in tutte le scuole ove la presenza del Cristo in croce è fonte di ammaestramento sulla natura salvifica della sofferenza.

L’UCIIM di Brindisi

Nell’anno scolastico 2008/2009, la scuola primaria “G. Marconi” di Locorotondo ha partecipato al con-

corso provinciale “Religioni in dialogo” pro-mosso da Regione Puglia, Prefettura di Bari, Ufficio Scolastico Regionale, Provincia, Uni-versità e Comune di Bari.Tale concorso è stato indetto in seguito all’avvio di un sito web dedicato al dialogo interreligioso, con la finalità di promuovere e approfondire, in particolare tra i giovani, la conoscenza della propria e altrui religione e favorire una convivenza solidale.

Ai partecipanti era richiesta l’elaborazio-ne di un logo per il sito; scopo del concorso era, infatti, l’individuazione della soluzione grafica che meglio riuscisse a rappresenta-re l’idea del dialogo tra le religioni. Le classi quinte del “ Marconi” hanno partecipato in-viando elaborati realizzati in gruppo sia su cartaceo, che in formato elettronico.

La soddisfazione è stata grande, quando all’inizio del nuovo anno scolastico è arriva-ta la comunicazione che una delle opere, re-alizzata da un gruppo di alunni della ex 5ªE del plesso “G. Guarella”, in base alla gradua-toria stilata dalla commissione esaminatrice, si era classificata al secondo posto. Infatti, nel bando, era prevista la premiazione delle

prime tre opere classificate. I premi consi-stevano in una targa ricordo per tutte e tre le opere e un premio di 2.000,00 euro per la scuola a cui afferiva il primo classificato, di 1.500,00 euro per la scuola a cui afferiva il secondo classificato, e di 1.000,00 euro per la scuola a cui afferiva il terzo classificato. La premiazione è avvenuta il giorno 8 ottobre c.a., presso la Prefettura di Bari.

La cerimonia si è svolta nella sala degli Specchi del Palazzo del Governo dove erano presenti tutti i rappresentanti degli enti che hanno promosso questo concorso. Ha aper-to la cerimonia, il Prefetto, Carlo Schilardi che ha sottolineato l’importanza del dialogo tra le religioni per superare ogni forma di in-tolleranza e come l’opera della scuola sia de-terminante per educare al rispetto delle dif-ferenze. Il Prefetto ha poi fatto notare come questo concorso sia nato nell’ambito del grande progetto del Tavolo Interreligioso che si sta portando avanti. Dopo l’intervento del Prefetto, hanno espresso il loro pensiero, gli altri rappresentanti dei diversi enti promoto-ri, ribadendo l’importanza dell’educazione al dialogo e a saper considerare le differenze come ricchezza. È stato sottolineato, anche, che per educare alla legalità è bene parlare di religione e che per poter progettare il futu-

ro, punto nodale è il pensiero religioso.L’Ufficio Scolastico Regionale, nella perso-

na del prof. Rocco di Vietro, si è impegnato a continuare a porre in atto tutti gli sforzi pos-sibili per promuovere iniziative che possano educare al dialogo. A concludere gli inter-venti è stata la Prof.ssa L. Santelli Beccegato, coordinatrice del Laboratorio di Pedagogia Interculturale dell’Università di Bari che ha espresso i ringraziamenti più sentiti a tutti coloro che hanno partecipato e soprattutto ai rappresentanti del Tavolo Interreligioso presenti, mettendo l’accento sulla possibilità di intendersi per vivere in pace, riconoscen-dosi e rispettandosi.

Si è passati infine alla premiazione e il Dot-tor Fornasari, del Laboratorio di Pedagogia Interculturale dell’Università di Bari, ha il-lustrato le motivazioni che hanno portato a dichiarare i tre vincitori, sottolineando che il lavoro della commissione non è stato sem-plice poiché ben 138 scuole hanno risposto al concorso.

Si è proceduto poi alla consegna delle tar-ghe ricordo; ha ritirato il nostro premio, la dirigente Dott.ssa Adele Quaranta, accom-pagnata dagli alunni componenti il gruppo che ha realizzato l’opera.

La dirigente, nel ritirare il premio, ha espresso la sua gioia e soddisfazione, sotto-lineando l’importanza della realizzazione in gruppo, che già di per se costituisce, educati-vamente parlando, confronto e dialogo.

A cerimonia ultimata il gruppo ha ricevuto un vivo apprezzamento da parte della Prof.ssa Santelli Beccegato, che si è complimen-tata con la dirigente e con la docente D’Igna-zio, per aver realizzato questo lavoro durante l’ora di religione cattolica, a dimostrazione che uno degli obiettivi che si vuole persegui-re in detta ora, è quello dell’apertura al dialo-go e al confronto, e non dell’indottrinamento fine a se stesso.

Maria Antonietta D’Ignazio

locorotondo Prestigioso riconoscimento per la “Marconi”

Lavorare per l’unità premia

crocifisso a scuola La testimonianza di alunni e insegnanti

Un abbraccio d’amore

Gli alunni premiati a Bari

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8 15 dicembre 2009Vita di Chiesa

Sarà licenziato dal Consiglio episcopale permanente, nella prossima sessione di gennaio 2010, il testo definitivo del-

la nota su “Chiesa e Mezzogiorno”, approvata “a larghissima maggioranza” dai vescovi nel corso dell’ultima assemblea generale (Assisi, 9-12 novembre). È quanto si legge nel comu-nicato finale dell’assemblea. La versione de-finitiva della nota, preparata a vent’anni dal documento “Sviluppo nella solidarietà. Chie-sa italiana e Mezzogiorno”, e alla luce degli esiti del convegno “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud”, svoltosi a Napoli nel febbraio scor-so, è stata rimandata a gennaio “per recepire le osservazioni emerse durante il dibattito di Assisi”. L’intento è “pubblicare un documen-to che sia espressione dell’intero episcopato, così da ribadire la nota della reciprocità, per cui solo insieme si affrontano i problemi e le sfide del Paese”. “I tratti caratteristici del Sud, come la religiosità popolare, la vivacità edu-cativa e la persistenza della tradizione asso-ciativa - si legge nel comunicato - sono beni a disposizione di tutti”, ma “non vanno sotto-valuti i segnali di un degrado che non è solo sociale e economico”. Di qui “la necessità di un forte appello alla conversione”, per far sì che la nota “non resti un intervento isolato”, ma si inserisca nella “sfida educativa” al cen-tro degli Orientamenti Cei del prossimo de-cennio. Di seguito, alcuni “spunti” tratti dal comunicato finale.

Non “censurare” la morte. “La sensibilità culturale prevalente tende oggi a censurare la morte”, mentre l’esigenza di annunciare la

“buona notizia” della morte e risurrezione di Gesù Cristo è il “primo servizio da ren-dere a una sensibilità assopita e dissimula-trice, che coinvolge in particolare le giovani generazioni in un processo di rimozione collettiva”. Secondo i vescovi, oggi “occorre aiutare le persone a guardare in modo meno evasivo alla prospettiva della fine, conside-randola parte integrante dell’esistenza, con l’intento di sollevare lo sguardo a quanto la speranza cristiana confida al cuore umano”. Nella nuova edizione del Rito delle Esequie - approvato dai vescovi ad Assisi, e che ver-rà pubblicato una volta ottenuta l’approva-zione (“recognitio”) della Santa Sede - sarà previsto un formulario specifico per quan-ti scelgono la cremazione. “La Chiesa, pur preferendo la sepoltura tradizionale - pre-cisa la Cei - non riprova tale pratica, se non quando è voluta in disprezzo della fede, cioè quando si intende con questo gesto postula-re il nulla a cui verrebbe ricondotto l’essere umano”. All’interno di questa prospettiva, “la memoria dei defunti attraverso la preghie-ra liturgica e personale e la familiarità con il camposanto costituiranno la strada per contrastare, con un’appropriata catechesi, la prassi di disperdere le ceneri o di conservar-le al di fuori del cimitero o di un luogo sacro”. Ciò che sta a cuore ai vescovi, in modo parti-colare, è che “non si attenui nei fedeli l’attesa della risurrezione dei corpi, temendo invece che la dispersione delle ceneri affievolisca la memoria dei defunti, a cui siamo indelebil-mente legati nella partecipazione al destino

comune dell’umanità”.I media e il “nichilismo pratico”. L’attua-

le contesto mediatico, “segnato dai caratteri del linguaggio digitale che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione”, è un con-testo “inedito” che “rappresenta una sfida e un’opportunità per l’annuncio cristiano”. Ne sono convinti i vescovi italiani, che parla-no del mondo virtuale come di “una sfida”, perché “la cultura dominante promuove forme di nichilismo pratico, in cui i media non sono canali neutri, ma contribuiscono a creare consenso nei confronti di una menta-lità basata sull’intensità e sul pathos più che sull’adesione al bene comune e al logos”, ma anche come “opportunità”, perché la Chiesa stessa può “ far ricorso alla ricchezza del suo linguaggio, che è simbolico e paradossale”. Proprio sul tema “Testimoni digitali: volti e linguaggi nell’era ipermediale” la Cei ha in programma un importante convegno, che si

svolgerà a Roma dal 22 al 24 aprile 2010. Per i vescovi, inoltre, è urgente “un’antropologia unitaria che non separi artificialmente l’etica individuale dall’etica sociale”.

Il prete, uomo della “misericordia”. Una delle “qualità” fondamentali del prete è la “misericordia”, di cui, “paradossalmente, proprio la cultura trasgressiva e intolleran-te oggi così diffusa sente drammaticamente nostalgia”. “Nonostante circoscritti casi di controtestimonianza”, riferiscono i vescovi a proposito del dibattito svoltosi ad Assisi, “più voci” hanno fatto notare come “la presenza del sacerdote sia oggi richiesta con specia-le attenzione, spesso anche dai cosiddetti lontani”. Di qui la “gratitudine ammirata per il servizio discreto e nascosto di tanti preti nelle parrocchie e nei diversi ambiti pastora-li, strada sicura per assicurare la prossimità della Chiesa in ogni realtà”.

assemblea cei� A gennaio sarà licenziato il testo definitivo su Chiesa e Mezzogiorno

Sud, media e preti nell’agenda dell’episcopato

“I migranti ed i rifugiati minorenni”: sarà que-sto il tema della prossima giornata Mondiale delle Migrazioni che si celebrerà il prossimo

17 gennaio. Per l’occasione papa Benedetto XVI ha scritto un messaggio nel quale sottolinea che si tratta di un fenomeno che «impressiona per il numero di persone coinvolte, per le problematiche sociali, eco-nomiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità na-zionali e a quella internazionale». Il messaggio è sta-to presentato nella Sala Stampa della Santa Sede da mons. Antonio Maria Vegliò, mons. Agostino Mar-chetto e mons. Novatus Rugambwa, rispettivamente presidente, segretario e sottosegretario del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti.

Migrante, persona da rispettare. Il pensiero del Papa va ai “più piccoli” ricordando che «Gesù stesso da bambino ha vissuto l’esperienza del migrante». Ed osserva: «Se la Convenzione dei Diritti del Bambino afferma con chiarezza che va sempre salvaguardato l’interesse del minore», purtroppo «nella realtà que-sto non sempre avviene». «Mentre cresce nell’opinio-ne pubblica – spiega - la consapevolezza della neces-sità di un’azione puntuale e incisiva a protezione dei minori, di fatto tanti sono lasciati in abbandono e, in vari modi, si ritrovano a rischio di sfruttamento». Da qui l’auspicio «che si riservi la giusta attenzione ai migranti minorenni, bisognosi di un ambiente sociale che consenta e favorisca il loro sviluppo fi-sico, culturale, spirituale e morale». Il Papa cita poi «un aspetto tipico della migrazione minorile» che è costituita dalla situazione dei ragazzi nati nei paesi ospitanti oppure da quella dei figli che non vivono con i genitori emigrati: «questi adolescenti fanno parte di due culture con i vantaggi e le problemati-che connesse alla loro duplice appartenenza, condi-zione questa che tuttavia può offrire l’opportunità di sperimentare la ricchezza dell’incontro tra differenti tradizioni culturali». Per questo è «importante che ad essi sia data la possibilità della frequenza scolastica e del successivo inserimento nel mondo del lavoro e che ne vada facilitata l’integrazione sociale grazie a opportune strutture formative e sociali. Non si di-mentichi mai che l’adolescenza rappresenta una tap-pa fondamentale per la formazione dell’essere uma-no». Benedetto XVI ricorda poi i minori rifugiati che chiedono asilo, il cui numero è in aumento. «Si tratta – scrive - di un fenomeno da valutare con attenzione e da affrontare con azioni coordinate, con misure di prevenzione, di protezione e di accoglienza adatte, secondo quanto prevede anche la stessa Convenzio-

ne dei Diritti del Bambino». I diritti dei minori migranti. Il papa invita poi le

parrocchie e le associazioni cattoliche a compiere «grandi sforzi per venire incontro alle necessità di questi nostri fratelli e sorelle», esprimendo “gratitu-dine” per quanto si sta facendo con “grande genero-sità” ed invita i cristiani «a prendere consapevolezza della sfida sociale e pastorale che pone la condizione dei minori migranti e rifugiati».

Presentando il messaggio il presidente del Ponti-ficio Consiglio, mons. Vegliò ha sottolineato l’impor-tanza di «facilitare l’integrazione sociale dei migranti minorenni«. E rispondendo ad una domanda dei giornalisti ha detto: «Qual è la difficoltà di concedere la cittadinanza a persone straniere presenti in Italia da un po’ di tempo, e che hanno un lavoro, pagano le tasse e hanno dei figli che degli figli che frequentano le scuole italiane?», sottolineando che «fissare i tem-pi per ottenere la cittadinanza è una questione che riguarda la politica». E’ «importante – ha poi aggiun-to – e positivo che comunque se ne parli e se ne di-scuta». Ad un’altra domanda sull’iniziativa promos-sa dal comune di Coccaglio (Bs), su un censimento degli immigrati nel proprio territorio, denominata “White Christmas” mons. Marchetto ha sottolinea-to che è una vicenda «dolorosa»: il Natale «celebra il mistero dell’annunciazione alla Vergine e chiama all’accoglienza».

I volti e le storie. Il messaggio del Papa, spiega al Sir mons. Giancarlo Perego, neo direttore generale della Fondazione Migrantes «ci aiuta a guardare ai volti dei minori migranti e rifugiati. Sono i volti di almeno 850.000 minori immigrati in Italia, che crescono ogni anno di circa 100.000, tra nuovi nati e ricongiunti alle famiglie; sono i volti dei 650.000 minori italiani emigranti; sono i volti degli oltre 7500 minori non ac-compagnati e lontani dalla famiglia; sono i volti dei circa 300 minori richiedenti asilo e rifugiati in Italia nel 2008. Questi volti e storia chiedono anzitutto la tutela di diritti fondamentali, primo fra tutti, la pro-tezione soprattutto nelle situazioni di sfruttamento, di abbandono».

Per il direttore della Migrantes la conoscenza di questo mondo, «senza pregiudizi e superficialità, oltre che essere un impegno per le istituzioni, è an-che un compito pastorale importante per le nostre comunità parrocchiali, soprattutto da parte delle co-munità giovanili e degli oratori, della pastorale sco-lastica e familiare, per costruire modelli di casa e di famiglia, di città che sappiano tradurre in esperienze coerenti di cura e di inclusione ‘il Vangelo della soli-darietà’».

mi�grazi�oni� Messaggio per la Giornata Mondiale 2010

Le attese dei piccoli migranti

Benedetto XVI: «Serve la bella

notizia»

La ripetitività è una delle carat-teristiche più evidenti del siste-

ma della comunicazione (e del con-sumo) globalizzato. La smentita, recita un vecchio adagio della pro-fessione giornalistica, è una notizia data due volte. Oggi la ripetitività è strutturale: una notizia ripetuta continuamente ed intensamente per un periodo breve, nella per-cezione del singolo utente, genera fatti molteplici. Così un omicidio, riproposto dagli angoli visuali più diversi, diventa tanti omicidi, gene-rando un evidente effetto nell’opi-nione pubblica, un effetto ad un tempo di ansia e di banalizzazione. Se poi aggiungiamo alla cronaca (nera) la fiction, la dieta mediatica quotidiana di grandi e piccini so-vrabbonda di un “male raccontato, ripetuto, amplificato”.

Lo ha ricordato l’8 dicembre, con grande semplicità, il Papa, al cen-tro del suo discorso dell’Immacola-ta. L’analisi di Benedetto XVI è sta-ta breve ed intensa, mettendo in luce un effetto di assuefazione, per cui “il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono”.

Che fare allora? Nessun anatema,

nessuna censura. Piuttosto un ap-pello (implicito) alla responsabili-tà, alla consapevolezza, all’educa-zione. E una risposta più radicale. Serve la “bella notizia”. Che non è buonismo o moralismo di maniera: la comunicazione ha le sue leggi tecniche. La “bella notizia” è Maria che ripete agli uomini ed alle don-ne del nostro tempo: non abbiate paura, Gesù ha vinto il male; l’ha vinto alla radice, liberandoci dal suo dominio”.

È un appello alla realtà. Ed è que-sta in fondo la caratteristica del cristiano nella moderna “città”, nel vortice di tanti meccanismi disu-manizzanti, in un grande frullato-re che rende tutto precario, fram-mentario.

Ritorna l’appello che Benedetto XVI ha ripetuto in diversi contesti, a tenere conto, nel mondo di oggi, per muoversi nella società di oggi, non solo dell’ecologia ambientale, ma anche di quella umana. È la certezza serena, da vivere quotidia-namente, conoscendo bene i mec-canismi, della “bella notizia”, ascol-tata, vissuta, testimoniata, messa in pratica: “Non serve condannare, lamentarsi, recriminare, ma vale di più rispondere al male con il bene. Questo cambia le cose; o meglio, cambia le persone e, di conseguen-za, migliora la società”. Una sereni-tà che diventa vita vissuta.

Benedetto XVI a Piazza di Spagna nel giorno dell’Immacolata

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915 dicembre 2009 Chiesa & Territorio

Una Chiesa attenta alle necessità della comunità loca-le e impegnata verso le fasce più deboli della socie-tà, gli anziani ed i lavoratori in difficoltà: l’impegno

delle forze ecclesiali, e dell’arcivescovo Mons. Talucci in pri-ma persona, oltre alla generosa disponibilità di Don Franco Blasi, responsabile della Fondazione “Madonna Pellegrina”, hanno permesso la soluzione della vicenda legata alla casa di riposo “Solari”di Ostuni, che andava avanti da otto mesi e sembrava un groviglio inestricabile.

Nel marzo scorso le suore “Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori” annunciarono l’intenzione di chiudere la casa di riposo “Il Focolare-Onofrio e Celidea Solari” a cau-sa delle difficoltà gestionali legati ai necessari adeguamenti degli impianti della struttura e per la mancanza di vocazio-ni, che impediva di destinare alle attività del Centro suore di giovane età.

Tale chiusura è in effetti avvenuta il 30 settembre, con la de-stinazione degli ospiti ad altre case per anziani e con la con-seguente perdita del posto di lavoro per quindici dipendenti che assicuravano i servizi del “Solari”.

Nel frattempo la Chiesa diocesana si è subito mossa per ga-rantire una soluzione che assicurasse la continuità del Cen-tro, e sono state valutate più di quaranta offerte di gestione, alcune senza fondamento, mentre altre non hanno comun-que portato ad alcun risultato concreto.

E’ stato allora che la Fondazione “Madonna Pellegrina” ha

inteso farsi avanti con un gesto di carità, nello spirito di ge-nerosa attenzione ai problemi sociali che aveva il suo fonda-tore, Don Italo Pignatelli, figura esemplare di amore verso i poveri.

«La Fondazione- scriveva il responsabile Don Franco Blasi- si predispone alla possibilità di rilevare il Centro e di gestirlo in continuità, assicurando, per quanto possibile, il manteni-mento dei livelli occupazionali, con l’impegno di adeguar-lo alla normativa di legge. L’impegno profuso dalla Chiesa diocesana trova la sua ragion d’essere più sulla fiducia nella Provvidenza che sulle proprie forze, nell’intento di persegui-re quel bene comune che va sempre difeso e promosso».

Don Franco, oltre a far capo alla “Banca della Provvidenza” che sempre sostiene le imprese della Fede, ha scrupolosa-mente seguito delicatissimi passi amministrativi, contabili, fiscali, bancari e finanche tecnici, quando sono stati eseguiti in sole due settimane i lavori che hanno permesso la riaper-tura il 28 di novembre, con l’ingresso dei primi quattro an-ziani nel Centro rinnovato e funzionante a regola d’arte.

Oggi Don Franco, consapevole che molto resta da fare an-cora per completare l’opera (ora il Centro ha 30 posti letto ma la capienza prevista a breve di 99 posti, tutti in camere estremamente confortevoli, con bagno e mobili nuovi) in-tende ringraziare di vero cuore tutti coloro che hanno per-messo che la maxi operazione si concretizzasse, dall’Arcive-scovo che ha tenacemente seguito la questione al Presidente

della Banca di Credito Cooperativo di Ostuni, Trinchera, dal notaio Michele Errico all’im-presa di Angelo Ayroldi, al commercialista Pasquale Prudentino.

La Fondazione è assistita da un gruppo di volontari che curano i vari aspetti tecnici dell’attività, tra i quali figurano il Presiden-te del Consiglio comunale di Ostuni Ange-

lo Melpignano, il professor Armando Saponaro, l’esperta di Servizi Sociali Bernadette Giovene, l’ingegnere Giuditta Moro, i medici Nicolino Pecoraro e Mariangela Rendina, il consulente Pietro Rosselli, Domenico Melpignano Massimo Casciano, (direttore tecnico).

Altri due medici (i dottori Ghionda e Saponaro) seguono periodicamente gli ospiti, mentre due infermieri sono stati assunti ex novo e lavorano insieme ai dipendenti ai quali è stata riconfermata l’assunzione a tempo indeterminato, con il pagamento di tutte le spettanze arretrate e dei TFR. Il per-sonale è così esperto e ben formato, ed ha garantito fin dal primo giorno della nuova attività un servizio qualificato.

La “Madonna Pellegrina” ha fatto il suo solenne ingresso nella Cappella del Centro Solari, e Don Franco ha immedia-tamente dato corso a quelle attività di incontro intergenera-zionale tra giovani ed anziani che sono negli obiettivi di co-stituzione della Fondazione, coinvolgendo gruppi ecclesiali come gli Scout e “Comunione e liberazione”.

Il sogno lungimirante del Cavaliere Solari, così, non si è in-terrotto: il “Focolare” continuerà a riscaldare la vita di tanti anziani (il Centro ne ha ospitato nella sua storia moltissimi, e provenienti da varie parti d’Italia) che beneficiano del con-forto morale e materiale di una comunità attenta a loro che non abbandona chi ha più bisogno degli altri.

Ferdinando Sallustio

ostuni Riaperto da pochi giorni il Centro residenziale per anziani Il Focolare

Il sogno di Solari non si infrange

Aurea, Borsa internazionale del Turismo Religioso e delle Aree Protette. Dal 26 al 28 novembre scorso si è tenuta, presso la Fiera di Foggia, Aurea 2009, orga-

nizzata da Spazio Eventi in collaborazione con la Cei – Uffi-cio Nazionale della Pastorale del Tempo libero, del Turismo e dello Sport e del Pontificio Consiglio della Cultura. In que-sta edizione hanno partecipato incaricati diocesani, agenzie viaggio specializzate, animatori parrocchiali e rappresen-tanti del clero, che hanno incontrato in un’area esclusiva i maggiori esponenti della miglior offerta internazionale di tu-rismo religioso: organizzatori di pellegrinaggi, centri religio-si di accoglienza, luoghi di culto, case per ferie, ostelli della gioventù, hotel, associazioni religiose e movimenti ecclesia-li . Aurea 2009 ha esaltato il valore ed il richiamo dei luoghi di culto, con particolare riguardo a quelli meno conosciuti, questo il tema centrale del convegno inaugurale – Sulle Stra-de dell’uomo e dello spirito, per mettere in risalto che arte e spiritualità possono creare eccezionali opportunità di svi-luppo per una comunità. «Una rete di fede e spiritualità, - ha sottolineato nel suo intervento Don Mario Lusek, Direttore dell’Ufficio Nazionale della Cei – diffusa su tutto il territorio nazionale, con oltre 3500 santuari definiti minori solo per-ché registrano afflussi inferiori rispetto ad altri, ma non per questo meno interessanti dal punto di vista religioso, artisti-

co, culturale». Ed ancora, un focus specifico è stato dedicato ai beni culturali di interesse religioso sia attraverso l’analisi

curata dal Prof. Maurizio Boiocchi, docente dell’Università IULM , sul tema “Il turismo religioso: la valorizzazione dei beni ecclesiastici come esperienza di fede e cultura”, e sia at-traverso la riflessione sulle figure professionali specializzate, nel seminario “Professionalità e carismi nel Turismo Religio-so”.

Per la nostra Diocesi ha partecipato una delegazione dell’Ufficio diocesano della Pastorale del Tempo libero, del Turismo e dello Sport – prendendo parte ai lavori della Bor-sa e pubblicizzando i propri Luoghi di Accoglienza (www.luoghidellaccoglienza.it). L’iniziativa ha messo in evidenza l’evoluzione di un fenomeno internazionale di grandi di-mensioni, nel quale l’Italia e la Puglia hanno una posizione di primo piano. È possibile affermare, pertanto, che in questi decenni molti cristiani hanno acquisito una visione più com-pleta del turismo, non più come realtà marginale, ma come opportunità di evangelizzazione, e prendendo spunto dagli Orientamenti per la Pastorale del Turismo si può concludere che il turismo potrebbe diventare “fattore di primaria impor-tanza per un mondo aperto alla cooperazione fra tutti, grazie alla conoscenza reciproca e all’accostamento diretto di realtà diverse” .

Antonio Petraroli

aurea 2009 Si è svolta a Foggia la Borsa internazionale del Turismo Religioso e delle Aree Protette

Turismo religioso, tra arte e spiritualità

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1115 dicembre 2009 Bioetica & Educazione

L’apertura del convegno nazionale © Hobby Foto

Il giorno 5 dicembre 2009, presso l’Hotel Incanto in Ostu-ni, si è svolto un convegno nazionale della Società Italia-na di Bioetica e Comitati Etici sul tema: “Etica e prassi

medica”.Il saluto inaugurale ai convenuti è stato rivolto dal presidente della società Prof. Filippo M. Boscia di Bari, mentre le ragio-ni che hanno motivato il convegno sono state illustrate del Dott. Pietro Lacorte, Vicepresidente della società.

Alcuni dei più rinomati cultori della Bioetica si sono suc-ceduti nella trattazione di varie problematiche etiche che si prospettano, nel momento storico attuale, nell’esercizio di una professione che non è più caratterizzata da quella “al-leanza medico-paziente” che l’ha contraddistinta nel corso dei secoli.

Il medico, oggi, è condizionato, sempre più, da direttive verticistiche e, spesso, da insufficienti mezzi operativi che non gli lasciano serenità, tempo e spazio per svolgere, in un clima di libertà interiore, la propria nobile professione in fa-vore dei pazienti che gli sono affidati. Egli viene lasciato solo di fronte alle proprie responsabilità in un clima crescente di sfiducia che, spesso, genera rivendicazioni sempre più esa-gerate.

“Prendersi cura” di un paziente significa partecipare em-paticamente alla sua situazione di precarietà esistenziale, aiutarlo a viverla il più possibile serenamente, alleviandogli la sofferenze con l’impiego di tutte le proprie capacità pro-fessionali al fine di assicurargli una piena guarigione, ove possibile, e restituirlo alla famiglia, alla società ed al lavoro.

Al giorno d’oggi la maturata coscienza dei diritti della per-sona impone a tutti, medici, amministratori e cittadini il do-vere di farsi carico di ogni cura per servire chi vive in stato di bisogno e di sofferenza con tutti i mezzi che la modernità pone a disposizione.

Non è più possibile accettare condizioni di operatività pre-carie né che i medici, ai quali è giusto pretendere seria ed indiscutibile professionalità operino senza quella serenità necessaria per prendere decisioni importanti per la vita degli altri e senza il conforto di esperti che possano consigliarlo in momenti particolarmente difficili.

Tali sono i motivi che giustificano la necessità, non più de-rogabile, dell’istituzione in ogni AUSL di “Comitati Etici per la pratica clinica” , ai quali affidare il compito di consiglia-re e sostenere gli operatori medici nel loro difficile compito

di prendersi cura delle persone sofferenti, alle quali garan-tire negli ospedali condizioni di vita rispettose della dignità e della privacy, nonché la partecipazione e il conforto delle persone a loro care. «Il malato» ha affermato E. Mounier, «è un mistero di sacrificio, un sacramento nascosto in un letto di malattia, in mezzo a tutte le grandi cose vicino alle quali gli uomini passano senza voltarsi».

Un sistema di assistenza siffatto può essere garantito solo dal concorso unanime dei medici, degli amministratori, del-le istituzioni locali nonché, in modo particolare, dei “mon-di vitali” del territorio, nell’osservanza di quel “principio di sussidiarietà” , tanto declamato nella revisione del capitolo V della Costituzione. In proposito, è stata ancora una vol-ta affermato con estrema serietà che non è più accettabile che la amministrazioni regionali gestiscano in esclusività le AUSL, tramite direttori generali che esercitino le loro funzio-ni monocraticamente.

Nella prima sessione i Professori A. Bompiani, GB. Cavaz-zuti e L. Prenna hanno delineato i principi filosofici e morali che sono alla base del codice etico di assistenza al paziente, mentre il Prof. A. Novarini ha illustrato problematiche varie che si prospettano nell’esercizio pratico della professione medica. La Prof. M.B. Saponaro ha diretto il dibattito che ne è seguito.

Nel pomeriggio, dopo un’introduzione del Prof. A Leocata, il Prof. A. Spagnolo, ordinario di Bioetica presso la facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma, ha esposto le

modalità di funzionamento dei Comitati Etici, mentre il Prof. N. Zamperetti ha ri-ferito sulle modalità opera-tive del Comitato Etico per la pratica clinica esistente presso la AUSL di Vicenza. Il Prof. F. Galluppi, dopo un approfondito dibattito ha tratto le conclusioni della ta-vola rotonda, affidando poi al Prof. F.M. Boscia il saluto finale e il ringraziamento a quanti hanno partecipato al convegno.

Giova riflettere, a fron-te dell’attenzione mostrata dai vari mass media della regione,sulla poca sensibilità mostrata dalle istituzioni del territorio nei riguardi di temi tanto importanti per i citta-dini, illustrati da competenti relatori, convenuti da sedi lontane, in estrema disponi-bilità, i quali hanno offerto il contributo del loro sapere e della loro esperienza.

In un clima di disinteresse dei responsabili della cosa pubblica, e quel che è peg-gio, di alcune aggregazioni laicali cattoliche che opera-no nel settore, verso proble-matiche afferenti il rispetto della dignità dei cittadini, il nostro territorio dovrà for-se attendere ancora molto per un servizio alla persona all’altezza di tempi e delle re-lative acquisizioni in campo etico.

L’«aspirazione ad una vita felice con e per gli altri in istituzioni giuste» del filoso-fo P. Ricoeur rischia di conti-nuare ad essere vissuta come illusorio auspicio.

E’ necessario prenderne coscienza, per decidersi ad esercitare una vera “cittadi-nanza attiva”.

Pietro Lacorte

convegno nazionale Riunita a Ostuni la Società italiana di bioetica e Comitati etici (Sibce)

Etica a prassi medica, gli interrogativi e le urgenze

La sfida educativa: famiglia e

scuola

Di grande attualità, questo argomento

ha molto interessato noi dell’Ufficio Scuola Diocesa-no e, quale rappresentante, ho partecipato all’incontro promosso dal Rotary In-ternational il 16 ottobre ultimo scorso, presso l’Au-ditorium della Biblioteca Comunale di Ostuni.

Relatori sono stati: Pao-la Bignardi, direttrice del-la rivista Scuola Italiana Moderna, già Presidente Nazionale dell’Azione Cat-tolica, e Silvano Marseglia Dirigente scolastico. Di grande rilievo, a conclusio-ne, l’intervento del nostro Arcivescovo mons. Rocco Talucci.

Paola Bignardi ha esor-dito affermando che la Famiglia è il primo e più naturale luogo in cui av-viene l’educazione an-che se constatiamo come l’educazione familiare stia attraversando un momen-to difficile. «Il modo di vi-vere il rapporto di coppia, la solitudine nelle prove e nelle difficoltà, il mutare stesso dell’idea di famiglia e dell’atteggiamento di fronte alla generazione, i cambiamenti sociali in atto sono alcuni motivi che de-terminano probabilmente la fatica e l’incertezza di un valido rapporto educativo». Di qui i genitori si pongono degli interrogativi: abbia-mo dato ai nostri figli le re-gole necessarie per vivere? Abbiamo offerto loro una proposta di vita significa-tiva? Li abbiamo aiutati a valutare criticamente l’am-biente circostante?

Paola Bignardi ha rispo-sto affermando che «non si uscirà dall’attuale situazio-ne di crisi se non attraver-so l’impegno da parte degli adulti a prendere in mano la loro vita, a recuperare il senso stesso dell’educare inteso come sostegno ed accompagnamento forte e autorevole». Ciò chiede naturalmente impegno e fatica ma porta anche a vi-vere «una avventura uma-na appassionante, in cui si sperimenta la bellezza di crescere da adulti insieme ai propri figli. In famiglia, infatti, si educa attraver-

so l’affetto, la fiducia, la cura, il calore, espressi nella forma paterna e ma-terna», perché la famiglia trasmette valori importanti attraverso lo stile della vita familiare ancora prima che attraverso le parole, pur necessarie in un dialogo educativo.

Infatti, «la conversazione che si fa a tavola, il modo con cui si racconta ciò che è accaduto durante la gior-nata, le valutazioni che si danno di situazioni e per-sone», orientano verso un modo di vivere che pone sé, gli altri e Dio al centro o ai margini dell’esistenza umana.

Se la famiglia è il primo luogo in cui avviene l’edu-cazione, la Scuola è chia-mata a collaborare in que-sto processo educativo, per formare personalità matu-re, responsabili, capaci di compiere scelte autonome e di esprimere giudici cri-tici. In questo itinerario la Scuola e la Famiglia devo-no necessariamente colla-borare. Tutta la vita della scuola deve concorrere in-vece a dare senso alla vita dei giovani spesso priva di motivazioni interiori. Gli adolescenti trascorrono più della metà del loro tempo di crescita nella scuola, ed è perciò indispensabile che famiglia e scuola si aiutai-no reciprocamente nel so-stenere questo cammino faticoso e bello della loro crescita.

E la Chiesa? L’Arcivesco-vo Rocco Talucci interve-nendo ha sottolineato la fondamentale importanza dell’impegno educativo della comunità ecclesiale. E’ necessario che la Chiesa si ponga accanto alle fami-glie, per offrire loro occa-sioni di incontro, di appro-fondimenti dei problemi e di aiuto reciproco. Paola Bignardi ha evidenziato che non si può educare oggi se non insieme ad altri, cre-ando reti di sostegno e di reciproco aiuto. Occorre che tutti coloro che hanno una responsabilità educati-va, inizino a “costruire dei ponti” verso chi ha a cuore la crescita serena, globale, ricca di futuro e di speran-za dei nostri giovani. La co-munità cristiana potrebbe quindi promuovere questo movimento di vita familia-re e sociale, per il bene di tutti.

Cosimina Tarantino

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12 15 dicembre 2009Dossier 1315 dicembre 2009 DossierMirna, una vicenda che fa riflettere sul dono della vita

L’opinione pubblica locale, nei giorni passati, è stata costretta a riflettere su temi serissimi. La vicenda di Mirna, la

donna di 60 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica, giunta all’ospedale “Perrino” per una crisi respiratoria e nell’impossibilità di tornare nella sua residenza in una casa di cura senza prima essere sottoposta a trache-otomia; la questione di chi debba decidere, e in base a quali criteri, per chi è impossibilita-to dal corpo a fornire queste indicazioni sul-la propria vita; la questione più generale di cosa sia biotestamento e come vada affron-tata, sono interrogativi diventati pane quo-tidiano: nessuno può dire di non sapere, di non aver mostrato un minimo di attenzione all’intera vicenda, oltre le frasi di circostan-za relative alla condizione in cui riducono la persona simili malattie.

I riflettori si accendono il 15 novembre. I media informano che una malata di Sla ri-fiuta le cure e sarebbe «decisa a morire piut-tosto che assistere, consapevole, al lento spegnersi delle sue funzioni vitali». È stata intubata, ma la sua è una condizione transi-toria, perché «dovrà sottoporsi a una trache-otomia». Il medico legale nominato dalla fa-miglia dice che è lucida nella sua decisione, ma «vorrebbe a conforto del suo parere la consulenza di uno psichiatra».

Il 16 novembre i giornali informano che «la malata di Sla è lucidissima e può decidere le cure». Lo psichiatra, perito nominato dal sostituto procuratore De Nozza, interessato dai medici al caso, non ha avuto dubbi. «Se la situazione clinica della donna è quella che mi è stata riferita, nessuno può imporle di sottoporsi ad una procedura terapeutica - dichiara Emanuele Vinci, direttore sanitario

della Asl di Brindisi -. Lo stabilisce l’art. 32 della Costituzione che sancisce il diritto del cittadino ad esprimere il proprio consenso o dissenso a qualsiasi procedura diagnostica e terapeutica».

Ed inevitabilmente, il titolo dei giornali è: «Brindisi, la donna malata di Sla: “Voglio morire”». Riferiscono che «battendo le pal-pebre in corrispondenza delle singole lette-re dell’alfabeto che il marito le mostrava ha espresso la sua terribile decisione, la stessa che poi, raccolta su un foglio, il procuratore della Repubblica mostra, visibilmente com-mosso in conferenza stampa. «Non sarà condannata a vivere», scrivono i giornali e: «”Vuole sottoporsi a tracheotomia?”, ha chie-sto lo psichiatra alla donna ricoverata l’8 no-vembre scorso, nell’Unità di Rianimazione dell’ospedale Perrino a seguito di una crisi respiratoria alla presenza del marito e dei fi-gli - raccontano -. Lei ha abbassato le palpe-bre due volte: ha detto no».

Ed intanto, il tribunale civile di Brindisi no-mina il giudice tutelare incaricato di seguire la vicenda. Dopo la visita – prevede la legge – il giudice tutelare può procedere alla no-mina di un amministratore di sostegno che dovrà esprimere la volontà della donna, la quale è solo in grado di battere le palpebre per comunicare con i propri famigliari e con il personale medico e paramedico.

In quelle ore, però, siamo tra il 17 ed il 18 novembre, la svolta: «“Sì, curatemi”, la ma-lata di Sla non vuole più morire», titolano i giornali e riferiscono come in quelle ore Sara Foderaro, «il giudice tutelare incaricato dal Tribunale di Brindisi di nominare l’ammi-nistratore di sostegno che avrebbe avuto il compito di apporre la firma in calce al foglio

di rinuncia all’operazione», fosse «andata a trovare la donna nella stanza di rianimazio-ne del “Perrino” di Brindisi e ne è uscita nel primo pomeriggio con la notizia che Mirna ha cambiato idea. La donna ha deciso di sot-toporsi all’intervento di tracheotomia che le eviterà di contrarre le infezioni derivanti dal-la ventilazione artificiale cui è sottoposta».

Le famiglie dei malati di Sla in Provincia, intanto - ventidue - lamentano l’abbandono da parte del pubblico e a stretto giro di stam-pa, l’assessore regionale ai Servizi sociali, Elena Gentile, risponde di aver «provveduto già a liquidare alle Asl pugliesi tutte le som-me riconosciute sulla base delle domande acquisite e istruite dalle Asl stesse». «Per la Asl Brindisi - specifica - sono stati richiesti euro 102.000,00 per 17 pazienti affetti da Sla e in gravi condizioni di non autosufficienza».

Non va sottovalutato l’apporto dato al po-sitivo evolvere della situazione da uno da strumento elettronico: un comunicatore a scansione oculare, che ha permesso alla donna di dialogare con i medici e con giudi-ce circa l’intervento. Non è lo strumento in sè, che pure è stato importante a determina-re la svolta, ma ciò che ha rappresentato: la capacità per Mirna di esprimersi in maniera compiuta, più autonoma, più articolata. Di riconquistare, in una parola, un centro di at-tenzione che lei stessa forse aveva pensato di aver perduto, a causa di un corpo che non ri-spendeva alle volontà della mente.

E nei giorni successivi Mirna è stata sotto-posta a tracheotomia: ora va affrontato il de-corso post operatorio.

Il fatto� Le tappe di un’avventura complessa

Come si può mutare decisione

Nella foto in alto ospiti della mensa Caritas. Nella foto qui sopra la presentazione del IX Rapporto Caritas-Zancan

La vita, vissuta in qualsiasi circostanza e a qualunque condizione, rimane pur sempre il bene più grande dell’uomo. Oggi, tra pole-miche e accesi dibattiti, l’opinione pubblica è divisa tra il voler

interrompere l’esistenza di una persona di fronte ad uno stato di non- vita, come spesso viene definito in tutti quei casi in cui sono la malat-tia e il dolore a farla da padroni, e la scelta, invece di conservare quel dono inestimabile, dandogli quel senso che gli appartiene, nonostante tutto. Tante le storie, diversi i drammi vissuti da numerose famiglie che ogni giorno si ritrovano a dover affrontare questa realtà. Come la sto-ria di Mirna, la donna di San Giorgio Jonico affetta da SLA (sclerosi la-terale amiotrofica) da circa 15 anni, ricoverata all’ospedale Perrino di Brindisi dove è stata sottoposta, dopo la decisione iniziale di voler mo-rire, ad un intervento di tracheotomia che le consente di continuare a vivere artificialmente. Una vicenda di grande sofferenza ma anche di grande coraggio e che inevitabilmente conduce a riflettere sul senso e sull’importanza della vita, seppur nel dolore. Ne abbiamo parlato con don Giuseppe Satriano, Vicario generale, che ha compiuto un percor-so di studio presso la facoltà di bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Desiderio di morte e improvvisamente desiderio di vita: la storia di Mirna, come tante altre che esistono in Italia, rappresenta una grande testimonianza di vita, vissuta, comunque, proprio per il va-lore che caratterizza qualsiasi esistenza, seppur nel dolore. Qual è il messaggio che dovremmo cogliere da chi vive questa realtà?

«Proprio nel giorno dell’Immacolata Concezione di Maria, il Santo Pa-dre ha affermato che “ogni storia umana è una storia sacra, e richiede il più grande rispetto”.Dinanzi al dolore e alla sofferenza di un essere umano l’atteggiamento credo sia quello della compassione, non intesa nell’accezione pietisti-ca, quanto nella capacità di porsi accanto e condividere con rispetto quanto viene vissuto. Accanimento terapeutico e mediatico non sono rispettosi della persona. Viviamo in una cultura che pur affermando la

positività del vivere è una cultura di morte. Edonismo, individualismo esasperato, negazione e rifiuto della morte sono realtà che connotano un percorso che rifiuta di considerare come la sofferenza, il dolore e la morte sono ingredienti che appartengono al vivere e la connotano nella sua interezza. Non dimentichiamo che la morte ha sempre occupato un posto cen-trale nella riflessione che l’Umanità ha progressivamente sviluppato allo scopo di comprendere meglio sé stessa ed il proprio posiziona-mento sulla scena del mondo».

“Ogni vita”, scrivono i vescovi nel messaggio per la XXXII Giornata per la Vita (7 febbraio 2010), “è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande povertà”, e in molti casi anche in una condi-zione di estrema sofferenza e disperazione. Quanto, invece, oggi si rischia di perdere il senso della vita di fronte ad una realtà così drammatica, che per molti è difficile da accettare?

«Certamente il dolore e la sofferenza costituiscono elementi di grande povertà nell’esperienza esistenziale di ciascuno. Sfogliando il libro di Giobbe cogliamo con chiarezza come l’entrare nella sofferenza corri-sponda ad un autentico solcare una “terra straniera” dove diviene dif-ficile ogni forma di comunicazione con l’esterno, con i propri cari, con gli amici e tante sono le reazioni che si accumulano e si accavallano nel cuore di colui che viene segnato e di quanti lo circondano. Guar-dare alla vita e al suo valore deve tradursi in una sana e reale capacità di accompagnamento dell’ammalato o del morente. Se si vuole salva-guardare il rispetto della vita e la dignità del morire siamo chiamati a ridefinire il contesto in cui avviene la cura del malato terminale chia-mando in causa la medicina che se ne occupa, e la società che di quel-la cura si fa carico. C’è bisogno di un “approccio olistico”, che si faccia carico di tutta la persona e non solo della malattia, vivendo un “pren-dersi cura che non ha fine” anche quando la cura della malattia sem-bra una partita persa».

Qual è la posizione della Chiesa in merito all’accanimento tera-peutico, al centro del dibattito in questi ultimi tempi?

«La posizione della Chiesa, rispettosa della centralità della persona, è di netta chiarezza riguardo all’accanimento terapeutico e lo trovia-mo nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n°2278: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzio-nate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ra-gionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. “Il paziente può rinunciare all’accanimento terapeutico, che va distin-to dall’eutanasia passiva, la quale al contrario non è mai ammessa. In questa linea è anche lecito l’uso di analgesici e sedativi per il controllo del dolore anche se ciò dovesse comportare − come effetto secondario e non desiderato − l’accorciamento della vita del paziente. Le cure, che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata, invece non posso-no essere legittimamente interrotte, anche se la morte è imminente; per questa ragione se la morte dovesse, ad esempio, conseguire alla sospensione di idratazione e nutrizione si configurerebbe un’eutana-sia per omissione. La persona è un bene inestimabile e non possiamo sempre invocare il diritto per salvarla e tutelarla. Ribadisco perciò che il processo del morire, appartiene ancora al vivere, ed al vivere insieme, l’accompa-gnamento dell’ammalato permane la strada privilegiata. In tal senso è importante ridare vigore all’etica, riscoprendo una capacità fonda-mentale di ogni uomo, che è al tempo stesso fondativa dell’esistere: il rispetto e il valore dell’altro da me».

Daniela Negro

dentro� la no�tIzIa Nostra intervista al Vicario generale

Mons. Satriano: «E’ necessario ridare valore all’etica»

una lettura Oltre le notizie, Mirna ci dice molto di più

Creare una “società che cura”

Il 3 dicembre è stato reso pubblico il Mes-saggio del Papa in occasione della cele-brazione della XVIII Giornata Mondiale

del Malato, in programma l’11 febbraio 2010, memoria della Beata Maria Vergine di Lou-rdes.

Nel ricordare che quest’anno coincide con il XXV anniversario dell’istituzione del Pon-tificio Consiglio della Pastorale Sanitaria, il Santo Padre scrive: «La fe-lice coincidenza con il 25° anniversario dell’istituzio-ne del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanita-ri costituisce un motivo ulteriore per ringraziare Dio del cammino sinora percorso nel settore del-la pastorale della salute. Auspico di cuore che tale ricorrenza sia occasione per un più generoso slan-cio apostolico al servizio dei malati e di quanti se ne prendono cura».

«Nel mistero della sua passione, morte e ri-surrezione, l’umana sofferenza attinge senso e pienezza di luce»- scrive Papa Benedetto XVI - «Il Signore Gesù nell’Ultima Cena, pri-ma di ritornare al Padre, si è chinato a lavare i piedi agli Apostoli, anticipando il supremo atto di amore della Croce. Con tale gesto ha invitato i suoi discepoli ad entrare nella sua medesima logica dell’amore che si dona spe-cialmente ai più piccoli e ai bisognosi (cfr Gv 13,12-17). Seguendo il suo esempio, ogni cristiano è chiamato a rivivere, in contesti diversi e sempre nuovi, la parabola del buon Samaritano».

«A conclusione della parabola, Gesù ci esorta a chinarci sulle ferite del corpo e dello spirito di tanti nostri fratelli e sorelle che in-

contriamo sulle strade del mondo; ci aiuta a comprendere che, con la grazia di Dio accol-ta e vissuta nella vita di ogni giorno, l’espe-rienza della malattia e della sofferenza può diventare scuola di speranza». «Nell’attuale momento storico-culturale» - continua il Papa - «si avverte anche più l’esigenza di una presenza ecclesiale attenta e capillare accan-to ai malati, come pure di una presenza nella

società capace di trasmet-tere in maniera efficace i valori evangelici a tutela della vita umana in tutte le fasi, dal suo concepimento alla sua fine naturale».

«Ringrazio di cuore le persone che, ogni giorno» - ha detto infine il Papa - «svolgono il servizio verso i malati e i sofferenti», fa-cendo in modo che «l’apo-stolato della misericordia di Dio, a cui attendono, ri-sponda sempre meglio alle nuove esigenze».

«In quest’Anno Sacerdotale, il mio pensiero si dirige particolarmente a voi, cari sacerdo-ti, ‘ministri degli infermi’, segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giun-gere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza. Vi invito, cari presbiteri, a non risparmiarvi nel dare loro cura e conforto. Il tempo tra-scorso accanto a chi è nella prova si rivela fe-condo di grazia per tutte le altre dimensioni della pastorale».

«Mi rivolgo infine a voi, cari malati, e vi domando di pregare e di offrire le vostre sofferenze per i sacerdoti, perché possano mantenersi fedeli alla loro vocazione e il loro ministero sia ricco di frutti spirituali, a bene-ficio di tutta la Chiesa».

celebrazIo�nI Il Papa sulla prossima Giornata del Malato

Con slancio accanto a chi soffre I medici cattolici: Insieme al malato

con scienza e coscienza

Mai come in questi tempi di grandi trasformazioni al me-

dico compete raccontare la medici-na, la sua complessità tecnologica, le sue straordinarie potenzialità di curare ma anche i suoi limiti e i conflitti etici che accende per fu-gare ogni volon-tà di potenza.

Il medico non può curare ad ogni costo, né può essere ac-condiscendente alla rassegna-zione del mala-to. Nel rispetto della persona e delle sue scelte è chiamato a personalizzare e uma-nizzare le cure sino a riconoscere anche il diritto di morire, ma «in tutta serenità e dignità umana e cri-stiana».

Il caso di Mirna non è solo una vicenda personale che ha com-mosso l’opinione pubblica ma è una chiara testimonianza della estrema problematicità che ac-compagna il fine vita tra la deriva eutanasica e quella dell’accani-mento terapeutico.

Mirna, una donna come tante, con la sua storia. In questa parte della sua vita la malattia, inesora-bile, progressiva, che toglie il re-

spiro. Il rifiuto della tracheotomia e la disperazione prima, e la scelta dell’intervento dopo. Ci sentiamo scossi, medici e non, quando ci proiettiamo sul limite sottile che separa la vita dalla morte. Con quanta cautela, rispetto e atten-zione si dovrebbe, pertanto, pen-sare a una “legge sul fine vita” quando sul confine tutto cambia e ci diciamo invece quanto possa essere vitale, al pari dell’ossigeno, della tracheotomia, del respirato-re, imparare ad amare, da medici,

da madri, da padri, da fi-gli, lavoratori, sofferenti, per poter accom-pagnare e farci accompagnare da quell’Ab-braccio vitale che non teme la morte o che non lascia alla

morte l’ultima parola.Nel rispetto dell’articolo 32 della

Carta Costituzionale e degli artico-li 16, 17 e 38 del Codice di Deon-tologia Medica si auspica che si ri-conosca al medico non il ruolo di semplice esecutore della volontà del paziente o del tutore ma la re-sponsabilità sua propria di opera-re, insieme al malato e ai suoi fa-miliari, con “scienza e coscienza”, rispettoso del suo limite di fronte al mistero della vita umana mi-nacciata più che dalla morte dalla infelicità per il “senso di vuoto”, il “vuoto di senso” e la mancanza di amore.

Arcangela Donno

Mirna è ammalata di s.l.a. (sclerosi laterale amiotro-fica) da quindici anni. Questa malattia l’ha portata progressivamente alla paralisi, sicchè da qualche

tempo Mirna è ospite di una casa di cura di Mesagne. Di re-cente, le sue condizioni si sono aggravate ed è stata ricovera-ta nell’Ospedale “Perrino” di Brindisi. Qui, i medici hanno ri-tenuto che, per salvarle la vita, fosse necessario un intervento di tracheotomia, poiché, diversamente, Mirna non avrebbe potuto più respirare. A questo atto medico vi è stata oppo-sizione. Ma, successivamente, Mirna, messa in condizione di esprimere la sua volontà mediante un comunicatore a co-mando oculare (uno strumento di alta tecnologia, che è in grado di analizzare, attraverso un telecamera digitale, i mo-vimenti dell’occhio) ha dato il suo consenso all’intervento di tracheotomia ed alla applicazione di una p.e.g. (gastrostomia endoscopica percutanea ) che le permette di alimentarsi.

Così, Mirna ha detto di sì alla vita. E lo ha detto in uno stato che viene definito “vegetativo persistente”, uno stato psicofi-sico, cioè, che, secondo molti (purtroppo), giustifica l’euta-nasia, vale a dire l’uccisione diretta e volontaria di un pazien-te terminale in condizioni di grave sofferenza, il quale abbia chiesto (quando era ancora capace di intendere e di volere e, magari, anche in piena salute ) o (quando non è più capace di esprimersi) si presuma che chiederebbe di morire.

Il gesto di Mirna induce ad alcune riflessioni sul valore del-la vita e sul pressappochismo con il quale, a volte, si ritiene di interpretare la volontà del malato.

Mirna ha impartito, anzitutto, una lezione di altissimo livel-lo etico sulla dignità della vita umana, affermando, in buona sostanza, che il diritto alla vita, peraltro costituzionalmen-te protetto (art. 2 della Costituzione Italiana, ma anche art. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata in Italia con Legge n. 848/ 1995), resta un diritto personalissimo ed indisponibile anche quando l’esistenza è trafitta dai chiodi della sofferenza più degradan-te.

Non solo. Nella sua semplicità, questa donna -impotente di fronte ad una malattia che progressivamente le divora ogni

facoltà, ma vera- ha ricordato a tutti che c’è una gerarchia naturale ed insuperabile di diritti da rispettare quando, nel conflitto tra il diritto di libertà e di autodeterminazione della persona (garantito dall’art. 13 della Costituzione Italiana) e il diritto alla vita, ha privilegiato quest’ultimo, riconoscendogli una indiscutibile superiorità e prevalenza.

Infine, le lodevoli modalità seguite dai medici per consen-tire a Mirna di esprimere la sua volontà sul trattamento sani-tario propostole dimostrano inequivocabilmente che spesso i malati in “ stato vegetativo persistente” sono perfettamente coscienti e che gli strumenti tecnologici che la scienza oggi offre consentono di acquisirne in modo chiaro la determina-zione, evitando,così, di ricorrere a pericolose quanto deboli ed incerte presunzioni.

Ora, Mirna ha bisogno solo di affetto e di cure che ne mi-gliorino quanto più è possibile la qualità della vita.

In fondo, la sua scelta di vivere è un appello forte e chiaro, una domanda di aiuto rivolta non solo a chi le sta già vicino e la ama, ma anche alla comunità della quale essa è parte, le cui Istituzioni civili devono farsi carico di sostenere la fami-glia con una assistenza domiciliare integrata e di realizzare, ove manchino, dignitose e attrezzate strutture di accoglienza permanente, oltrechè alla politica, che deve progettare e co-struire una “società che cura”, in cui vi sia una disponibilità diffusa a prendersi carico delle fragilità dell’esistenza, dalla nascita alla morte.

Lorenzo Maggi

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Alle coppie di sposi che hanno avuto la sensibilità di accogliere l’invito, don Lorenzo Elia, delegato vescovile

per la Pastorale della famiglia nella Diocesi di Oria, ha donato, con gioiosa delicatezza e luminosa profondità, un momento di pre-ghiera in occasione dell’Avvento.

L’annunciazione, brano tratto dal vange-lo di Luca, è stata oggetto della riflessione dell’incontro, promosso dalla Commissione Famiglia della nostra Diocesi e svoltosi pres-so l’auditorium della scuola elementare don Lorenzo Milani, in S. Vito dei Normanni il 6 dicembre 2009. L’analisi del testo mirata a riscoprire gli elementi fondamentali del bra-no ed a metterne in luce numerosi altri che il lettore comune, privo di preparazione non coglie, ha messo in evidenza come Dio, pur scegliendo luoghi e persone sconosciuti e agli occhi del mondo privi di importanza, ha «coniugato l’ordinario della nostra vita con lo straordinario dell’annuncio di Dio». L’in-cipit del brano: “Al sesto mese…”, che ci ri-manda al sesto giorno della creazione in cui Dio creò l’uomo, manifesta la volontà di dare all’uomo un’altra possibilità nella sua gran-de bontà. E la condizione di verginità che nel mondo antico era privo di valore, viene da Dio resa preziosa, poiché una situazio-ne di momentaneo vuoto da colmare, viene trasformata per Maria, l’Arca dell’alleanza, in un momento di attesa nella fede, nella spe-ranza, quindi, delle cose che non si vedono. Dio si “contamina” con l’uomo donando a Maria una verginità feconda, gratuita, sorri-dente, affettuosa.

“Rallegrati”, il saluto che l’arcangelo Gabrie-le rivolge a Maria, entrando nel suo cuore, è un invito alla gioia, la stessa gioia donata agli sposi: essi si uniscono per rallegrarsi, com-pletando l’uno la vita dell’altro. E Dio, pieno

di grazia e di gloria dona questa sua ricchez-za a Maria colmando di grazia ogni sua vuo-tezza e consegnando a Lei per sempre, ed anche a noi, la sua compagnia. Dio, attraver-so l’angelo (“Non temere…”), rassicura Ma-ria che, pur restando turbata, non dubita, si chiede solo “come” avverrà ciò che le è stato annunciato.

Maria viene invasa da Dio che fa riposare la sua presenza in Lei diventando carne: è la tenerezza di Dio, che l’uomo cerca nella propria umanità e che abita in tutti. Quando l’angelo dice “Lo Spirito santo scenderà su di Te… la potenza dell’Altissimo Ti coprirà con la sua ombra”, Dio si consegna a Maria (quin-di, a noi) e Lei dona a Lui la sua stessa libertà consegnandosi come serva. Si compie così l’inizio della salvezza ed il termine delle pro-messa: noi siamo in Maria. Dobbiamo vivere l’aspetto ordinario e straordinario del matri-monio, conservando la verginità del cuore cercando ogni giorno di scoprire e riscoprire l’altro senza pregiudizi vedendo in lui o lei il completamento della propria vita.

Nulla è impossibile a Dio, e noi, uomini, solo se ci vestiamo della sua umiltà potremo diventare grandi come Lui ci vuole e Maria è l’esempio cui quotidianamente possiamo e dobbiamo attingere. La riflessione di don Lorenzo ha avuto delle risonanze che egli ha opportunamente approfondito e riversa-to nella nostra vita di famiglia aiutandoci a leggere sempre più il nostro amore alla luce della Parola di Dio, giacché Lui abita la no-stra interiorità di coppia.

La serata si è conclusa con un momento di condivisione nei locali della parrocchia S. Rita: famiglie provenienti da diversi città della diocesi che si sono ritrovate per vivere insieme la gioia dell’attesa, come Maria.

Maria Pennella

C arissime famiglie,la festa del Natale che si avvicina allie-

ta le nostre case e il mondo intero: l’Onni-potente che nessun luogo avrebbe potuto contenere si è fatto Uomo con un impensa-to gesto di amore, ridonandoci la luce della creazione: “sia la luce” (Gn 1,1) “nella pienez-za del tempo” (Gal 4,4).

Oggi, come i pastori, avvolti di luce (cf. Lc 2,9), con il cuore colmo di gratitudine, vor-remmo condividere con voi, il Natale, festa della Luce, che porta con se gioia e realizza il sogno di Dio: “pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).

Il Natale infatti non è una festa come le altre, riesce a coinvolgere l’animo di ogni uomo e di ogni donna e a renderlo più buo-no, trasalendo di esultanza indicibile all’an-nuncio dell’angelo: “Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutta la vostra fami-glia. Oggi vi è nato … un salvatore, che è il Cri-sto Signore” (cf. Lc 2,10-11).

Perciò il compito delle famiglie cristiane non è quello della lagnanza, ma della te-stimonianza di una vita intrisa di doni che superano la materia. Il Card. Angelo Bagna-sco nel suo messaggio di Natale , infatti, af-ferma: «Sarà un Natale più ristretto, come è noto a tutti, ma proprio per questo … mi auguro, che sia un Natale più ricco di bontà, perché più attento a chi, vicino a noi, ha più bisogno di noi, di un intervento, di una pa-rola, di un gesto di attenzione, di amore, di comprensione, di presenza, e che tutto que-sto possa tradursi in un Natale più bello in modo particolare per le famiglie, i bambini, i malati, coloro che, specialmente in que-sti giorni di festività, purtroppo sentiranno maggiormente il peso della solitudine e an-che di ristrettezze economiche aggiunte».

Perciò, come famiglie credenti, “senza in-dugio” (Lc 2, 16) abbiamo il compito di in-nervare questi valori nella società e nella famiglia, perchè ogni famiglia è in grado di esprimere un tratto della ricchezza dell’amo-re di Dio ed ha il potenziale di rendere pre-senti questi doni.

Nelle nostre famiglie, infatti, la nascita di un figlio è un’esperienza forte per ogni mamma e papà: per chi attende con speran-za un bambino, per chi è ormai anziano e ri-sente in cuore la tenerezza della vita offerta ai propri figli, per ogni figlio che ringrazia i genitori per il dono dell’esistenza.

Ma anche a chi non ha più i propri cari o vive situazioni di famiglia difficili, a chi vive solo, non ha famiglia o ce l’ha nel proprio Paese …a tutti è annunciata la gioia.

Come i pastori, usciamo dalle tenebre dell’egoismo che ci tengono prigionieri, dal-le comodità dei nostri recinti, dalle sicurez-ze dei nostri affetti e “senza indugio” (Lc 2, 16) corriamo verso la Luce che ci ha avvolti perché insieme abbiamo un Figlio da festeg-giare, un Bambino da accogliere e da amare, un dono prezioso da scoprire nel profondo del cuore. Gesù, il Figlio di Dio, il Figlio di Maria, nostro fratello appartiene a tutte le nostre famiglie.

L’augurio a tutti e a ciascuno è che, come scrisse don Tonino Bello “i pastori vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gau-dio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desi-derio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi”.

Anna Maria, Arturo e don Massimo

AU G U R I D I BU O N NATA L E

La Pastorale Familiare, solidale con ogni famiglia, attenta ad ogni situa-zione, con spirito di carità e speranza

viva cerca “nel Dio di ogni consolazione, la consolazione con cui consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (cfr. 2Cor 1,3-5). Ogni anno sulle strade italiane si conta-no migliaia di morti in incidenti stradali, spesso causati da altri. Molte di queste vit-time sono giovani o giovanissimi. Inoltre, ci sono tanti altri giovani che perdono la vita per cause diverse. Per tutti questi giovani, come diocesi abbiamo offerto una solenne celebrazione eucaristica presieduta da S.E. Mons. Rocco Talucci l’ultima domenica di novembre nella Chiesa di San Benedetto in Brindisi. Alla celebrazione hanno preso parte numerose famiglie ascritte nei gruppi Genitori in cammino e familiari delle vitti-me della strada, tra questi i componenti del gruppo Genitori in Cammino della Parroc-chia SS Resurrezione di Brindisi, da cui sca-turisce la testimonianza di Dorina Laneve, mamma di un giovane vittima della strada: «Molteplici sono le riflessioni che scaturi-scono dopo anni di esperienza all’interno del gruppo dei Genitori in cammino, ma il comune denominatore, il filo rosso che uni-sce noi genitori e che ci dà la forza di conti-nuare a vivere, è la consapevolezza che tutti i sentimenti che noi proviamo riguardo a questo terribile dolore non sono di natura individuale, ma appartengono a tutti co-loro che si trovano nella stessa condizione

e perciò possono essere condivisi. Queste sofferenza comune ci porta a pregare per i nostri figli e sperare, perché la vera speran-za, quella che salva è un dono della fede, che ci viene fatto da Dio, attraverso il suo unico Figlio Gesù. Con questo spirito anche quest’anno con l’Associazione vittime della strada, ci siamo ritrovati per la celebrazione della S. Messa in suffragio dei nostri figli. Per noi importante è stata anche la presenza di Padre Arcivescovo che ancora una volta non ci ha lasciati da soli con il nostro dolore, ma continua a guidarci e a sostenerci con la sua parola, rafforzando nei nostri cuori la fede, la speranza e l’amore».Infatti, Padre Arcivescovo ha accarezzato i cuori afflitti dei presenti con parole forti e tenere allo stesso tempo, lasciando messag-gi di speranza. La presenza di Dio si avverte nel dare speranza a chi perde un figlio e si sente solo e disperato. E’ proprio in questi momenti che l’uomo si domanda: “Dove era Dio?”, non comprendendo che Dio non è laddove c’è il male, non è la causa del male, non vuole il male. Egli è presente nel Bene ed interviene per il Bene, misericordioso e consolatore della sofferenza dei genitori, i quali devono pensare “Dio non mi ha ab-bandonato, Dio abita in mio figlio”. Perciò, pur nel dolore cresce la speranza e si raf-forza l’amore che ognuno di noi ha verso la persona cara che ha perduto che è un amo-re che sopravvive alla morte, perché amare vuol dire “Tu non morirai!”.

Mirella e Nicola Distante

Domenica 15 novembre 2009, ripren-dendo il cammino dell’anno passato,

si è svolto il 1° incontro di formazione sulla Bioetica, animato da don Giuseppe Satriano, sul tema: “La fine della vita e la dignità del vivere e del morire.”

Come sempre l’interessante tema che ha sottolineato due aspetti quali l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, già dall’anno scorso, ha portato ad una ricca partecipa-zione la maggior parte dei presenti: coppie accompagnatrici dei percorsi in preparazio-ne al matrimonio e responsabili dei gruppi famiglia di tutta la nostra Diocesi.

In questo primo incontro è stata presenta-ta la visione del film Million Dollar Baby che ci ha fatto comprendere come la sofferenza, quando ci visita, chiede di essere accolta, ci sradica dalla nostra realtà e dalle relazioni che ci coinvolgono. Il film si presta a molte interpretazioni, ma non è un inno all’euta-nasia e offre interessanti spunti di riflessio-ne. Million Dollar Baby, in prima istanza, presenta l’eutanasia come una scelta uma-namente possibile. Forse anche come un atto di amore. Un atto però sicuramente portatore di infelicità. La felicità è ciò per cui la pugile Meggie ha lavorato sodo per tanti anni per raggiungere il suo sogno di vincere il titolo mondiale. Ma quale felicità? Poiché molti sono i problemi che ostacolano il cam-mino verso la felicità.

E per i protagonisti di Million Dollar Baby, i problemi (situazioni) della vita sono oggetti-vamente grossi. Ma il problema vero, sembra dire il finale del film, non sono le difficoltà in sé stesse, ma il modo con cui si affrontano.

Il problema, sembra suggerire il film, non sono “i problemi”, cioè la disabilità nel caso di Meggie. Infatti, subito dopo l’incidente, Frank continua a frequentare la palestra e cura amorevolmente Meggie. Dopo l’eutan-sia, però Frank non mette più piede in pale-stra e lo si intravede solo dietro il vetro di un bar nella foresta, davanti a una fetta di torta al limone di cui Meggie era ghiotta.

Ma il luogo della felicità, il dolce rifugio in cui aveva agognato di ritirarsi con Meg-gie è ora un luogo desolato, in cui Frankie è un’ombra solitaria avvolta dalle nebbie della morte.

Con questa conclusione, il film suggerisce che chi fa il bene è lieto anche nelle difficol-tà. Perché ciò che condanna l’uomo, ciò che gli rovina la vita, è l’accettazione del male e il conseguente convivere con i sensi di colpa, non l’affrontarlo.

La cultura del benessere brucia i bisogni marginali molto più in fretta di quanto prov-veda a soddisfarli, negandoci nello stesso tempo, ogni giorno di più, la soddisfazione dei bisogni reali e veri, elementari, indispen-sabili, come l’aria da respirare, l’acqua da bere, un cibo sano e genuino.

L’eutanasia è uno dei temi di bioetica che ci verranno proposti in maniera specifica negli incontri che seguiranno, ci ha detto don Giu-seppe Satriano.

Nel dibattito subito dopo il film tanti sono intervenuti proprio sull’eutanasia, ma l’emo-tività non può far propendere per una scelta – il dare la morte -, spesso spacciato come l’unico gesto d’amore possibile. In realtà è solo la scelta più immediata, la più spiccia, che ignora il problema, il male.

Teresa e Gennaro Romano

Un ricordo particolare

S E D I O A B I TA L’ I N T E R I O R I TA’ D I C O P P I AL’A M O R E

G I US T I F I C A L A V I TA

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Opera Vocazioni Ecclesiastiche 1515 dicembre 2009

Sabato 21 novembre, nei Primi Vespri della solennità di Cristo Re dell’Uni-verso, presso il Seminario di Brindisi si

è celebrato il Convegno annuale diocesano dell’Opera Vocazioni Ecclesiastiche (O.V.E.) alla presenza del Padre Arcivescovo mons. Rocco Talucci il quale ha guidato una rifles-sione biblico-spirituale (lectio) sull’evento speciale ed unico della “lavanda dei piedi” nell’Ultima Cena di Gesù, narrato da San Giovanni.

L’icona biblica scelta per il Convegno è la stessa che ha accompagnato il Sinodo dioce-sano – tuttora in corso - e che ha come motto la splendida frase detta da Gesù al termine di quel gesto tanto alto quanto significativo della lavanda dei piedi: “Come ho fatto io”.

Al Convegno erano presenti i rappresen-tanti di quasi tutte le parrocchie della dioce-si, delegati, responsabili e semplici apparte-

nenti all’O.V.E. Ad accoglierli vi era la Comunità del Semi-

nario: il Rettore don Alessandro Luperto, gli educatori don Cosimo Zecca e don Claudio Galizia ed i nove giovanissimi seminaristi.

La bella e semplice chiesa del Seminario era gremita di persone desiderose di vivere una ricca esperienza ecclesiale.

Quest’anno il consueto Convegno che in autunno puntualmente inaugura l’Anno Pastorale si inseriva nell’Anno Sacerdota-le indetto dal Papa, perciò si arricchiva di un significato del tutto speciale poiché l’ O.V.E. ha come carisma proprio quello di “promuovere, custodire ed aiutare tutte le vocazioni ecclesiastiche per divulgare la retta conoscenza del sacerdozio cattolico” (dallo Statuto). Inoltre quest’anno il raduno diocesano ha offerto la opportunità a tutti i membri dell’O.V.E. lì convenuti di salutare e

ringraziare la Presidente diocesana uscente la sig.na Nicolina Melcore, laica consacrata nell’Istituto delle “Missionarie del Sacerdo-zio Regale di Cristo”, ed offrire un benvenuto fraterno a me come nuova presidente desi-gnata dall’Arcivescovo.

L’incontro è terminato in serata con la pro-iezione di un breve video, realizzato dalla stessa Comunità del Seminario, nel quale è presentato il progetto educativo-spirituale che la diocesi intende offrire, attraverso l’im-pegno degli educatori preposti, ai giovani se-minaristi.

In questo particolare anno di Grazia il Si-gnore doni a tutti coloro che collaborano all’Opera Vocazioni Ecclesiastiche, copiosi frutti spirituali.

Anna Maria De MatteisPresidente Diocesana O.V.E.

Il convegno annuale dell’Opera Voca-zioni Ecclesiastiche ha avuto come momento centrale l’ascolto della Paro-

la di Dio, attraverso la lectio divina guidata dall’Arcivescovo. Il brano preso in questio-ne è stato quello della “lavanda dei piedi”, da cui è stato tratto anche il titolo del con-vegno stesso: “Come ho fatto io” (Gv 13, 15). Tale scelta è stato davvero provvidenziale, in quanto ci ha fatto riflettere sul significato del sacerdozio nel contesto dell’anno sacer-dotale, come il ministero di Cristo Servo che dona la sua vita per amore, e anche perché tale brano, icona biblica del Sinodo dioce-sano, ci ha permesso di sintonizzarci con questo cammino così importante che tutta la diocesi sta compiendo.Il vescovo l’ha definito il «vangelo dell’Amo-

re», nel quale appare un servizio umile da parte di Gesù verso i suoi, mosso da tanto affetto. E’ l’amore incondizionato che domi-na questa pagina di vangelo! E’ quell’amore che Gesù dona ai suoi discepoli senza limiti, arrivando anche fino all’atto estremo: la sua morte in croce: “li amò sino alla fine”. E’ una cena di amore che dà senso alla sua passio-ne, cioè a quel grande dono che Egli di lì a poco farà per salvare tutti gli uomini.In questa cena si nota una presenza carica

d’amore di Gesù anche verso Giuda, no-nostante questi viva un rifiuto verso di Lui. Gli altri quasi non si accorgono di questa

“presenza del male”, perché traspare di più l’amore di servizio di Gesù. Questo servizio si fa visibile attraverso alcuni atteggiamen-ti: si alza, si cinge il grembiule e si dispone a lavare i piedi. E’ un servizio umiliante, un’azione mortificante quella che vediamo nel Signore, ma che rende davvero liberi i suoi. Gesù presenta così simbolicamente, attraverso questi gesti, la sua morte a cui se-guirà la sua resurrezione. Successivamente il vescovo ha descritto i

diversi personaggi che sono messi in luce in questo vangelo: Pietro e Giuda. Pietro, come sempre, assume un comportamento diverso dagli altri o diverso da come Gesù lo vuole; infatti egli è contrario al fatto che Gesù, il Signore gli lavi i piedi. Gesù però intervie-ne, bloccandolo: “Non avrai parte con me”. Qui il Signore fa notare che è quello l’unico modo possibile per entrare nella gloria che egli stesso vuole per i suoi. Grazie all’educa-zione attenta di Gesù, Pietro ha capito che il suo Maestro stava per donare la vita, stava per donare tutto se stesso e lui doveva im-parare a lasciarsi amare.Al termine si fa avanti un grande rammari-

co per Gesù, un angoscia che affligge il Suo animo: “Ora siete puri, ma non tutti”; infatti Gesù scorge quella “presenza del male” in Giuda, che pur avendo ricevuto la lavanda, non è puro; ha chiuso il suo cuore all’amo-re, all’accoglienza, e all’amicizia con Cristo.

E’ un grande esempio quello che il Signo-re ci lascia, che può essere seguito da noi: “Come ho fatto io, così fate anche voi”. Noi siamo chiamati ad assomigliare del tutto a Lui, e come ci ricorda San Paolo: “Abbiate gli stessi sentimenti …”. La nostra vita, solo così, può diventare autentico servizio. L’ora del servizio, del dono, dell’amore è ogni ora che noi viviamo, ogni persona che noi in-contriamo. In altre parole questo significa essere chiamati alla santità. Concludendo, il vescovo, ha sottolineato

che Gesù, il Figlio di Dio, conosce il cuo-re dell’uomo e questa conoscenza diviene amore che bussa ai nostri cuori; un amore che sa tutto, un amore che ha saputo legge-re ogni cuore dei suoi discepoli e ha saputo anche intravedere quale cuore l’avrebbe tra-dito: “Ve lo dico fin d’ora prima che accada, perché quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono” (vv. 19). Ecco la grande rivelazione che Gesù manifesta all’uomo e da questa ri-velazione, che è amore, nasce la missione: “Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. Da qui i discepoli imparano che bisogna vivere nella libertà di Dio. Se noi crediamo in Dio avremo la vera libertà e Dio manifesterà la sua bontà, attraverso di noi e mediante il nostro umile servizio.

Riccardo Rizzato

IL CONVEGNO Nel giorno della Solennità di Cristo Re dell’Universo

Vocazioni, impegno di tutti

Il dono della preghiera per le vocazioni

L’ Anno Sacerdotale che stiamo vivendo costituisce senz’altro un’occasione pri-vilegiata per riproporre, nelle parroc-

chie, l’attualità e la bellezza del servizio che i membri dell’O.V.E. da sempre offrono a favore delle vocazioni sacerdotali. Appartenere all’O.V.E. non significa innan-zitutto dover “fare” qualcosa, ma condi-videre una passione, una sensibilità e un impegno di preghiera per le vocazioni. Tale obiettivo che è tipico dell’O.V.E., su invito del Papa quest’anno si estende a tutti i cristiani e agli operatori pastorali delle nostre comu-nità, affinché non manchi mai nella Chiesa la disponibilità a pregare e a lavorare, per-ché siano molte e generose le risposte alla chiamata del Signore.Si potrebbe dire che l’O.V.E. costituisce come la famiglia allargata del Seminario, il grup-po silenzioso, ma operoso, di tanti fratelli e sorelle che concretizzano il proprio amore per la Chiesa vivendo una vicinanza ca-rica di preghiera e di attenzione verso i se-minaristi e il loro cammino formativo. Essi si occupano, nel loro piccolo, di sostenere e promuovere le attività vocazionali del Semi-nario facendosene portavoce, ma soprattut-to di tenere desta, nella propria comunità, attraverso semplici iniziative, la sensibilità vocazionale.Il convegno è stato un’occasione privilegiata per attingere entusiasmo e per rafforzare le motivazioni che animano il nostro essere e il nostro operare nella Chiesa. Il momento centrale è stato quello della lec-tio divina tenuta dall’Arcivescovo, sul brano della lavanda dei piedi, icona biblica del Sinodo Diocesano e punto di riferimento fondamentale per cogliere il senso del Sa-cerdozio di Gesù e della Chiesa. Ogni anno l’Arcivescovo tiene molto ad essere presente al Convegno e questo oltre ad esprimere la sua vicinanza e la sua attenzione, conferi-sce un grande senso di ecclesialità al nostro convenire, in quanto è il pastore stesso della diocesi ad offrire le linee guida per il percor-so annuale.Subito dopo la lectio, in un clima spirituale davvero molto intenso, abbiamo salutato e ringraziato la presidente uscente, Nicolina Melcore, tornata nella propria diocesi di Milano, e accolto la nuova presidente, Anna Maria De Matteis, laica consacrata nell’Or-do Virginum, insegnante di Religione. L’af-fetto della famiglia dell’O.V.E. si è espresso in modo semplice ed intenso, sia nei con-fronti di Nicolina e di Anna Maria, sia nei confronti dei giovani seminaristi, che hanno condiviso con gioia e gratitudine il conve-gno, vera e propria tappa formativa all’in-terno del loro cammino.L’augurio è per tutti di vivere con gioia la propria vocazione nella chiesa, per poter essere testimoni credibili di quella gioia che il Signore sa donare a chi lo segue senza ri-serve.

don Alessandro Luperto

Come ho fatto io

La neo presidente dell’O.V.E. con l’Arcivescovo

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Vicarie & Città16 15 dicembre 2009

avvento PadreArcivescovo incontra i giovani in diverse città della Diocesi

Un cammino tra spiritualità e presenza vivaEster, Giobbe, Epulone, Maria, Cristo. Il

cammino di Avvento dei giovani della Vicaria di Mesagne si compie con loro,

uomini e donne che sono diventati ricchi coltivando la povertà più vera: la consapevo-lezza del bisogno di Dio. Uomini e donne po-veri ognuno a modo proprio, ma ricchi tutti dello stesso tesoro: una fede che è, insieme, speranza e affidamento.

Per cinque venerdì consecutivi, a partire dal 20 novembre per arrivare al 18 dicembre, i giovani e i giovani adulti del paese si in-contrano nella piccola chiesa di Sant’Anna, nel cuore del centro cittadino: qui si avverte forte la gioia del condividere la fede e di ma-nifestare l’appartenenza a Cristo, ma anche la “soddisfazione”, tutta umana, dell’essere riusciti a coinvolgere qualcuno che si era al-lontanato dalla vita parrocchiale, o che, per-sino, era sempre stato distante dalla fede. La cappella è affollatissima, e allora dentro si fa strada il pensiero che nella comunità ci sia un fermento cristiano, una ricerca di senso e un’ansia di risposte che finalmente la chiesa locale è riuscita ad intercettare con un’inizia-tiva dei giovani per i giovani, portata avanti con metodi adatti all’età e alle esigenze dei partecipanti, pubblicizzata, oltre che nelle parrocchie attraverso una capillare opera di volantinaggio e l’affissione di manifesti, per-sino su Facebook, oramai diventato il più diffuso strumento di comunicazione per una generazione che, spesso, vive il virtuale come fosse reale. Rispetto alle catechesi bibliche

che si sono tenute nel periodo di Quaresima, la grande novità di quest’anno è rappresen-tata dalla testimonianza, al termine di ogni lectio, di laici o religiosi le cui esperienze di fede richiamano in qualche modo l’esperien-za del personaggio protagonista della serata: le monache carmelitane di clausura, come modello di vita contemplativa e di preghiera, nel caso della regina Ester; i genitori di una vittima della strada, la cui tragedia è assimi-labile a quella di Giobbe, vessato dalle prove drammatiche a cui il Signore lo sottopone; il Vescovo, Sua Eccellenza Monsignor Rocco Talucci, esempio di scelta radicale nella se-quela di Cristo, così come il ricco Epulone; la madre di un giovane prematuramente scom-parso, che condivide con Maria l’immenso dolore del sopravvivere al proprio figlio; e, infine, l’attrice Claudia Koll, eccezionale te-stimone di un percorso di conversione che, si spera, potrà servire da monito a chi stenta a trovare la via della fede.

L’assistente della commissione vicariale giovani, il giovanissimo don Claudio Cenac-chi, viceparroco della parrocchia di San Pio, è coadiuvato quest’anno da don Pietro De Punzio, personalità estremamente carisma-tica della chiesa mesagnese. Sono entrambi molto bravi nel rendere attuali le vicende e i dissidi interiori dei personaggi scelti: colora-no i racconti biblici con espressioni del gergo giovanile, focalizzano il significato di queste esperienze cercando di convogliare l’atten-zione dell’uditorio sul senso della povertà, che si esprime in modo diverso in ognuno dei personaggi presi in considerazione, lan-ciano provocazioni che lasciano il segno e, in alcuni, portano alla svolta.

Un cammino spirituale di fede, dunque, a cui però si affianca una scelta, concreta, di carità: un salvadanaio posto all’ingresso del-la chiesa conserva tutto quanto verrà raccol-to nel corso dei cinque incontri per destinar-lo alla condivisione con i poveri della vicaria, dando voce a quello spirito di solidarietà che racchiude il senso più profondo del Natale.

Marina Poci

Un momento intenso e vero di dialogo, riflessione e preghiera. Si potrebbe sintetizzare in queste parole l’incon-

tro che il nostro arcivescovo ha avuto lo scor-so 1 dicembre con i giovani e giovanissimi delle comunità di Veglie e Leverano, insieme ai loro educatori, ai loro animatori ed ai loro sacerdoti presso il Convento “Santa Maria delle Grazie” a Leverano.

Poco più di un’ora insieme per ricordare, anche e soprattutto alle nuove generazioni, la bellezza della santità, certi che tutti siamo chiamati ad essere santi e tutti, partendo dai piccoli gesti di ogni giorno, possiamo aspira-re ad esserlo.

Dopo la preghiera iniziale è il Padre Arci-vescovo che tiene una breve ma significativa catechesi partendo da tre aspetti: la man-canza di veri modelli alla quale i giovani oggi possano ispirarsi; la difficoltà nel rap-porto con il mondo degli adulti; la chiama-ta ad essere santi.

Sono parole sentite, quelle di mons. Taluc-ci, che portano a conclusioni utili per arric-chire, continuare o cominciare un proprio cammino di fede: essere missionari non vuol dire fare grandi cose, per esserlo davvero ba-sterebbe anche parlare della propria espe-rienza di fede e di gruppo agli amici e coeta-nei che sono lontani da Cristo.

Prima, però, di essere “apostoli di speranza tra i coetanei”, bisogna saper essere discepo-li, cioè “farsi ammaestrare dal Signore Gesù”.

È qui che sembra diventare utile ad ogni giovane e giovanissimo il volumetto che l’Ar-civescovo ha preparato e regalato a tutti loro come dono di Natale al termine dell’incon-tro. “Santi giovani per giovani santi”: cioè ripercorrere la vita di alcuni santi giovani, appunto, facendoli diventare il proprio mo-dello “di vita e di fede, di civiltà e di santità, di solidarietà e di carità”. È seguendo questi campioni di santità che potremmo percorre-re anche noi strade di conversione, e magari, perché no, diventare dei modelli da seguire.

Mons. Talucci nella sua introduzione al volumetto ci ricorda che “abbiamo tutti bi-

sogno di essere santi, perché chi ci incontra sia contento di averci incontrati”. E speriamo possa essere davvero così.

Al termine dell’incontro, prima dei saluti e della benedizione, spazio a due importanti comunicazioni: l’udienza a Roma dal Santo Padre con tutti i giovani e giovanissimi del-la nostra diocesi il prossimo 10 febbraio e la tradizionale Gmg diocesana il prossimo 27 marzo a Brindisi.

Poi tutti a casa, con un impegno in più: di-ventare giovani santi ispirati da santi gio-vani.

Gianluca Marcucci

Un’Azione Cattolica sempre propositiva, aperta al dialogo, testimone della chiamata dei

laici ad un’esistenza cristiana fondata sull’essenziale, pronta ad interrogarsi e a coltivare la coscienza di appartenere alla Chiesa, fedele all’invito del Signore “Andate in tutto il mondo...” spinta dal-la gioia di comunicare il Vangelo cam-minando tra gli uomini.

Questi, i connotati di una realtà asso-ciativa cittadina, che sentendosi “nel mondo ma non del mondo”, ha accol-to un testimone di una chiesa che vive le situazioni, i travagli e le gioie di un post-concilio. Su iniziativa dell’Azione Cattolica della Parrocchia S. Giuseppe e S.Maria Assunta, l’intera comunità di Salice Salentino ha calorosamente incontrato, il 14 novembre scorso, S.E. Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea già presidente nazionale ed in-ternazionale di Pax Christi, membro di AC, presidente della FUCI e padre con-

ciliare del Vaticano II. Una personalità dinamica, aperta al

dialogo e pronta a mettersi in discus-sione, a cambiare mantenendo pur sempre le cose essenziali e seguendo i segni di Dio, a ironizzare anche sui sot-tili dettagli del concilio e più in generale sui particolari autobiografici. La serata, pensata come “un incontro tra amici”, con interventi di Maria Tondo e Luigi Palazzo, si è rivelata un ottimo stimolo per la riflessione e la meditazione sulla rilevanza del laicato oggi, anche in virtù dell’ultimo lavoro editoriale dello stes-so mons. Bettazzi “In un dialogo con i lontani-Memorie e riflessioni di un ve-scovo un po’ laico”.

Solitamente si associa l’idea di laico con quella di “antireligioso” mentre, in realtà, guardando all’etimologia del ter-mine, di origine greca, se ne compren-de il significato: “membro del popolo di Dio” chiamato, quindi, ad agire in modo umano e ragionevole perchè anche vi-vendo bene la vita da laici si può salva-re il mondo. «Partecipando al Concilio ho imparato cos’è la Chiesa»: così reagi-sce ad un interrogativo: occorre sempre guardare al futuro e non chiudersi in se stessi, ma testimoniare i propri principi con la vita in modo da spingere anche i “non cristiani” dopo al miglioramento. Così come Dio è “una natura a tre per-sone”, semplificata, dal suo predecesso-re alla guida di pax Christi, don Tonino Bello, con una banale ma significativa operazione aritmetica “uno per uno per uno uguale ad uno” piuttosto che “uno più uno più uno uguale tre” come molti intendono alludere, così “l’uomo deve

essere l’uno per l’altro” e non “uomo per se” ragion per cui anche il concilio fu concepito non in maniera dogmati-ca ma pastorale per partire dal basso, e seguendo un percorso ascetico, salire fino a Dio. Attraverso l’intermediazio-ne di Gesù Cristo anch’egli “vero Dio e vero uomo”. Rivolgendo uno sguardo ai nostri tempi e partendo da una diversa interpretazione dell’espressione evan-gelica “chi crede, in Cristo sarà salvo”, Mons. Bettazzi non si è fermato alla dif-ferenza tra credenti e non credenti ma tra pensanti e non pensanti: il Signore ci ha invitati ad imparare l’amore da esseri umani e per decodificare il suo messaggio occorre imparare la sua lin-gua, è necessario “familiarizzare” con il Vangelo e la Bibbia per essere in grado di ascoltare.

Continui i riferimenti al passato ed i rimandi alla società attuale, troppo meccanizzata, automatizzata, in cui tutto è già pensato. Un invito: “pruden-ti come i serpenti ma semplici come la colomba”. Spesso si è tentati come i farisei a guardare l’esterno ma questo esporsi deve essere espressione, mani-festazione dell’interno.

L’ideale dell’essere umano non sono i ricchi e i potenti ma Gesù Cristo. Ecco che quindi a 40 anni dal Concilio, sono ancora attualizzabili le due “rivoluzio-ni”: non mondo per la Chiesa ma Chie-sa per il mondo e nella Chiesa; non la gerarchia e il laicato ma il popolo di Dio e la Gerarchia al servizio del popo-lo di Dio.

Valentina Perrone

salice salentino Incontro interparrocchiale con il vescovo Bettazzi

La Chiesa e il mondo a 40 anni dal Concilio Voltarsi indietro per guardare avanti

Un percorso foto-grafico alla ricerca delle nostre radici,

delle nostre tradizioni ma soprattutto di noi stessi. Vedere ciò che eravamo per paragonarlo a ciò che siamo: un paese pieno di tradizioni, sorrisi, speran-ze. È questo ciò che Angelo Arcobelli, insieme alla col-laborazione di moltissimi altri compaesani, ha voluto rappresentare nella mostra “Cilinari” tenutasi a Cellino San Marco, dal 22 al 29 No-vembre, presso il vecchio palazzo comunale sito in piazza Aldo Moro. È straor-dinario pensare come la ri-scoperta di antichi valori e vecchi sentimenti sia stata resa possibile da un moder-nissimo mezzo di comuni-cazione quale Facebook, che è diventato sia il luogo dove ritrovare amici vicini e lontani, sia il posto dove condividere antiche foto che rappresentano attimi di vite semplici, radicate in quei valori tipici della cul-tura contadina basata sul rispetto delle tradizioni, sull’amore per la famiglia e su una profonda religiosità. L’esposizione ha riscosso un grandissimo successo in

tutta la popolazione; inol-tre anche il nostro amato vescovo è stato lieto di ri-percorrere, attraverso le foto, la storia del nostro paese lasciando un mes-saggio che racchiude in se il vero intento di tutta que-sta mostra: «è bello vedere la storia di vita e di fede del passato per saper orientare al meglio il futuro, seguito dalla speranza cristiana» L’evento sarà ripetuto du-rante il periodo natalizio su grande richiesta di tutti co-loro che, essendo lontani, non hanno potuto parteci-pare.

Ludovica Vergari

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Vita Diocesana 1715 dicembre 2009

Se i necrologi possono scadere nel for-malismo, fare memoria di un testimone che, ispirato dai principi della dottrina

sociale cristiana, ha segnato una stagione dell’impegno sociale della nostra comunità, è degno di particolare attenzione, ora che sommessamente ha chiuso la sua esperienza terrena.

È doveroso ricordare, su queste pagine, il dott. Errico Malvarosa, fondatore e presi-dente della «Comunità dei Braccianti». Gli anziani lavoratori della terra della Diocesi e della Provincia lo ricordano con gratitudine e quasi con venerazione, per la dedizione premurosa e disinteressata, con cui ha servi-to la causa del bracciantato agricolo, in tem-pi difficili come quelli del dopoguerra.

La sensibilità della Chiesa ha rivolto lo sguardo «agli ultimi» con senso di giustizia per restituire dignità e speranza a lavoratori e famiglie, spesso strumentalizzati dalla de-

magogia ideologica.L’annosa questione del Mezzogiorno era

sempre più grave sulla precarietà di chi vi-veva «alla giornata» e ogni sera si presentava in piazza, nella speranza di essere ingaggiato per un lavoro precario, detto appunto «occa-sionale».

In Puglia, nel capoluogo regionale, fu mons. Michele Mincuzzi, poi vescovo di Lecce, che promosse la costituzione della «Comunità dei braccianti» ed Errico Malvarosa, divenu-to suo diretto collaboratore per la Provincia di Brindisi, scrisse certamente la storia della organizzazione sul nostro territorio.

Chi scrive fu, negli anni ‘50 e ‘60, l’assisten-te ecclesiastico delle Comunità bracciantili e, con animo grato, attesta il generoso ser-vizio sociale offerto dal caro Errico.

Dopo le mutate condizioni sociali scaturite dalla rico-struzione del Paese e dalla Riforma agraria leggiferata dall’on. Alcide De Gasperi, Errico Malvarosa continuò a servire la nostra gente con il patronato, che volle a Brindi-si in piazza Cairoli, in conti-nuità con lo spirito di servi-zio che lo contraddistinse.

Se il clamore di alcune for-mazioni sindacali e politiche dispiegano slogan e cartello-ni nelle piazze, da persone di Chiesa non possiamo sotta-cere il contributo umile e si-lenzioso, ma fecondo, offerto da testimoni della tempra di Errico Malvarosa. Chi voles-se documentarsi su questa realtà che non va dimenti-cata e magari, per superare il rischio dell’indifferenza assai diffuso nella cultura contemporanea, è invitato a consultare gli atti della «Co-munità dei Braccianti», de-positati presso la Biblioteca

arcivescovile «Annibale De Leo», in piazza Duomo.

Errico godeva di una personalità, che si nutriva dei grandi ideali cristiani, ispirati all’amore evangelico. Alla competenza pro-fessionale nel campo dell’agraria, aggiunge-va la contemplazione della natura, espressa nei versi di una sua composizione poetica che, a conclusione, mi piace citare: «Apri le finestre ai raggi del sole/ senti la natura tutta ridestarsi/ vedi i fiori dischiudersi nelle aiuo-le/ é un inno osannante alla bellezza...».

La bellezza infinita di Dio, che egli ora con-templa nella beatitudine del cielo.

Angelo Catarozzolo

18 dicembre 2009Ritiro spirituale del clero

18 dicembre 2009Vicaria di OstuniIncontro dei giovani con l’Arcivescovo

27 dicembre 2009Concattedrale OstuniCresime in vicaria

30 dicembre 2009Parrocchia Sacro CuoreConcerto di Natale del Coro Arcivescovile “San Leucio”

1 gennaio 2010Giornata Mondiale della Pace

7 gennaio 2010Ostuni. Ass. “La Missione”Incontro per giovani

7 gennaio 2010Seminario ArcivescovileAdorazione Eucaristica giovani

8 gennaio 2010Brindisi - S.Maria del CasaleSinodo diocesano

10 gennaio 2010 Seminario ArcivescovileGruppo Samuel

10 gennaio 2010Ostuni. Ass. “La Missione”Incontro per giovani

11 gennaio 2010San Leucio Patrono della Diocesi

11 e 12 gennaio 2010Vicaria del SalentoLaboratorio di formazione Operatori Caritas Parrocchiali

13 gennaio 2010Brindisi - S.Maria del CasaleSinodo diocesano

14 gennaio 2010Ostuni. Ass. “La Missione”Incontro sulla Bibbia

14 e 15 gennaio 2010Santuario di JaddicoCorso base Pastorale Salute

16 gennaio 2010Auditorium “M.E.Antelmi”Scuola socio-politica

17 gennaio 2010Veglie Gruppo Emmaus

17 gennaio 2010Giornata Mondiale Migrazioni

17 gennaio 2010Giornata approfondimento e dialogo tra ebrei e cristiani

18 gennaio 2010Inizio Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani

19 e 22 gennaio 2010Vicaria di MesagneLaboratorio di formazione Operatori Caritas Parrocchiali

20 gennaio 2010Brindisi - S.Maria del CasaleSinodo diocesano

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anniversari L’annuncio fu dato il 15 dicembre 1969: era un lunedì

Mons. Todisco, vescovo da 40 anniLunedì 15 dicembre 1969, in coinci-denza con l’annuncio dato dal Papa al Concistoro dei Cardinali, l’arcivescovo mons. Orazio Semeraro comunicava al capitolo ed al Clero di Ostuni l’ele-zione di mons. Settimio Todisco a Ve-scovo titolare di Bigastro e ad Ammi-nistratore “sede plena” delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi.Nel rinnovare a mons. Todisco il no-stro augurio e i nostri sentimenti di fi-liale devozione, vi proponiamo (nella foto) la pagina di Pastorale Diocesana (Ottobre-Dicembre 1969 N. 4) con una lettera di mons. Semeraro e un breve profilo biografico del nostro arcivesco-vo emerito tratto dal mensile cattolico Lo Scudo (Anno XLIX – N. 12 – 22 Di-cembre 1969).

Don Settimio è nato a Brindi-si il 10-5-1924. Compiuti gli studi nel Seminario dioce-

sano di Ostuni ed in quello regionale di Molfetta veniva ordinato sacerdo-te da mons. Francesco De Filippis, il 27-7-1947. Iniziava il ministero in qualità di docente e di vice rettore nel Seminario di Ostuni; contem-poraneamente insegnava religione nelle classi del Ginnasio e coadiu-vava nella cura d’anime il parroco della Cattedrale, can. Antonio Giglio. Nell’ottobre del 1950, per il trasfe-rimento del Seminario nella rinno-vata sede di Brindisi, con la nomina di rettore, tornava nella città natale. Furono anni di intenso lavoro svol-to da Don Settimio tra i ragazzi che si preparavano al sacerdozio e tra i

giovani che frequentavano la FUCI e l’Istituto Magistrale.

Nel giugno del 1957, per l’elezione di mons. Orazio Semeraro a vescovo di Cariati, l’arcivescovo mons. Mar-giotta lo richiamava in Ostuni nomi-nandolo canonico teologo, prefetto di curia, delegato vescovile per l’A.C. ed assistente del Movimento Lau-reati. Nel 1962 Gli veniva affidato il compito di Vicario Generale e, l’anno successivo, riceveva la nomina pon-tificia di Protonotario Apostolico.

Attualmente Don Settimio è Arci-prete del Capitolo Cattedrale, inse-gnante di religione nel Liceo classico e membro della Consulta dell’Isti-tuto pastorale pugliese. Infine, que-sta redazione ama ricordarlo quale prezioso collaboratore del giornale. Una molteplicità di compiti che, con molti altri impegni, in questi anni, hanno reso Don Settimio presente ed operante nella vita della diocesi.

L’annuncio della Sua nomina giun-ge gradito ma non inatteso. La cor-dialità e la distinzione del tratto, l’autentico spirito sacerdotale, la fe-deltà ai principi, l’apertura alle istan-ze del tempo e la feconda incidenza dell’azione Lo avevano posto all’at-tenzione e all’ammirazione comune.

La Sua elevazione alla dignità epi-scopale, mentre premia e corona una eccezionale testimonianza sa-cerdotale, apre nuovi spazi ed offre altre espressioni al Suo amore per la Chiesa nell’esercizio dell’altissimo ministero pastorale.

il ricordo Visse con coerenza la dottrina sociale cristiana

Errico Malvarosa e i braccianti di Brindisi

Pubblicazione quindicinaleReg. Tribunale Brindisi n. 259 del 6/6/1978

Direttore Responsabile: Angelo Sconosciuto

Vice Direttore: Mino MiccoliCoordinatore di Redazione: Giovanni Morelli

Hanno collaborato a questo numero:Danilo Di Leo, Daniela Negro, Cecilia Farina, Katiuscia Di RoccoFoto: SIR, Mario Gioia, Giovanni Morelli, Ivano Rolli, Antonella Iurlaro, Gianni Di Campi

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Questo periodicoè associato alla

Federazione ItalianaSettimanali Cattolici

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Parrocchie & Associazioni18 15 dicembre 2009

san leucio� Festa del catechismo

Incontro al MaestroDove possiamo incontrare Gesù gio-

ioso, disponibile, accogliente, che promette il regno di Dio a chi, svuo-

tandosi completamente di se stesso, riempie il proprio cuore di purezza? Ovviamente nei bambini! Nei loro sguardi, nella loro gioia, nei loro sorrisi. Questo è quello che la no-stra parrocchia ha vissuto, domenica 22 no-vembre u.s. con l’iniziativa della “Festa del catechismo”, in collaborazione con il Comi-tato provinciale del Centro Sportivo italiano. Questa iniziativa rientra nella prima tappa polisportiva “Sport in piazza”. L’iniziativa è stata dedicata a tutti i bambini del catechi-smo, ricca di giochi, sport e divertimento. La manifestazione ha avuto inizio alle ore 15.00, dopo un breve saluto da parte del parroco don Claudio Macchitella e del presidente del CSI Brindisi a tutti i genitori ed in particola-re ai ragazzi presenti che erano in fermento e in attesa di giocare. I ragazzi di scuola me-dia, si sono dilettati nella pallavolo, mentre i bambini di scuola elementare, si sono diver-titi con i giochi ludici e di movimento come: caccia alla coda, la volpe tra i birilli, ruba bandiera, palla alla corda e tanti altri. Ad al-lietare questo momento di aggregazione, in un clima invernale, sono state le gustose tor-te e caldarroste preparate durante la festa dai catechisti e collaboratori parrocchiali. Don Claudio Macchitella è con noi da due anni e sta cercando di portare avanti diverse inizia-tive , per un progetto di missionarietà della parrocchia, per una presenza sul territorio in mezzo alla gente, progetto, tanto agognata dalla Cei, nell’ambito dell’orientamento pa-storale di questo primo decennio del 2000, teso a far riscoprire il “primo annuncio “, non

solo ai cristiani praticanti, ma anche a chi è lontano dalla esperienza ecclesiale. Oltre ai momenti celebrativi vissuti in parrocchia, ri-entra nelle intenzioni del Parroco evangeliz-zare il territorio con una presenza visibile. In quest’ottica è nata l’iniziativa della Festa del Catechismo. Dopo aver infatti vissuto, duran-te la celebrazione della S. Messa dei ragazzi, il momento del mandato ai catechisti, è sta-ta organizzata, per le ore pomeridiane, per il secondo anno consecutivo, questo momento di convivialità insieme alla famiglie dei nostri ragazzi, utilizzando una via del nostro quar-tiere Minnuta. Iniziative di questo tipo sono fondamentali , in quanto favoriscono anche la conoscenza e la comunione tra noi opera-tori pastorali, primi, dopo il Parroco, a dare testimonianza viva della nostra fede comu-nicandola con la nostra esperienza persona-le, avvicinando le famiglie, per far sentire la presenza viva di Gesù, che accoglie, e che va ancora oggi incontro agli uomini.

Il Gruppo Catechisti

Centotrent’anni di presenza a Brindisi: le Figlie della Carità dell’Istituto San Vincenzo De Paoli hanno celebrato

l’anniversario dell’arrivo della comunità in città con la solenne celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo, l’8 dicembre, in Cattedrale.La comunità, fondata da San Vincenzo De Paoli insieme con Santa Luisa De Marillac nel 1633, nel corso degli anni si è diffusa in tutto il mondo dove le suore vincenziane af-frontano, soprattutto nei paesi più poveri, la lotta alla fame, occupandosi di immigrati, malati, anziani, giovani e bambini. A Brindisi giunsero, nel 1879, su invito di Mons. Anguil-lar, di aprire nel territorio della Diocesi un la-boratorio per le figlie del popolo e la visita dei poveri malati a domicilio. Nel 1886 venne af-fidato alle suore l’ospedale di Piazza Duomo e l’orfanotrofio accanto che sorgeva nell’an-tico convento delle clarisse. E nel 1887, con l’acquisto di Palazzo De Marco, sito in piazza Duomo, proprietà dell’Istituto San Vincenzo, le sorelle proseguirono e ampliarono le ope-re di carità iniziate sin dal loro arrivo a Brin-disi. Da allora, il loro servizio è sempre stato incessantemente presente nel territorio. Alcuni momenti significativi, che la comu-nità ha vissuto e che meritano di essere ri-cordati, furono la donazione, da parte delle suore, nel 1955, della statua della Madonna al Monumento al Marinaio d’Italia, che do-mina sul porto di Brindisi, per celebrare so-lennemente l’anno mariano e affidare la città a Maria Stella Maris; ed anche, in tempi più vicini, il soccorso che le sorelle prestarono ai profughi albanesi sbarcati in migliaia sulla costa brindisina nel 1991: in quell’occasione, che ha segnato la storia della città, le suore e il Volontariato Vincenziano si prodigarono per garantire il sostentamento e il soccorso sanitario ai profughi.Nel corso degli anni, l’Istituto è divenuto punto di riferimento nell’esercizio delle ope-re di carità attraverso alcuni servizi che la co-munità offre, quali il Centro socio-educativo rivolto ai ragazzi dai 6 ai 14 anni per un cam-mino di formazione e di amicizia, favorendo la loro crescita integrale ed equilibrata, coin-volgendo la famiglia nel percorso; il Centro Ascolto costituito da un’equipe ben affiata-

vincenziane Giunsero a Brindisi su invito di mons. Aguilar

Sempre accanto agli ultimi da 130 anni

Si è conclusa da pochi giorni nella no-stra Parrocchia una mini missione ad opera delle Suore Francescane Missio-

narie di Maria in occasione del 25° anniver-sario di vita religiosa di Suor Rosalba Penta f.m.m., nostra parrocchiana. È stato un breve ma intenso e felice ritorno delle care suore che fino al 2002 erano presenti nel nostro Quartiere e nella nostra Comunità.La mini-missione è stata preparata dai nostri operatori pastorali portando il Vangelo pres-so ogni famiglia e rivolgendo a quanti incon-travano l’invito agli incontri di preghiera e di catechesi.Dal 2 al 5 Dicembre, poi, le suore hanno ani-mato momenti di condivisione della Parola, incontri con i giovani e facendo visita alle scuole hanno incontrato bambini e adole-scenti.In cinque luoghi differenti del nostro quar-tiere si sono tenuti i centri d’ascolto per gli adulti, in contemporanea con l’aiuto di due giovani suore si sono tenuti gli incontri per i giovanissimi (presso il Cen-tro di aggregazione giova-nile) e in tarda serata con i giovani; felice è stata la ri-sposta anche da parte della Pastorale Giovanile vicariale. Il tutto è stato accompagnato dalla preghiera di adorazione continua dinanzi a Gesù Sa-cramentato. Ogni momento libero della giornata è stato per le suore occasione di vi-sita e incontro con numero-se famiglie del quartiere in particolar modo con le fami-

glie che da qualche anno popolano la nuova zona “Paradiso”.Questo tempo di grazia è stato arricchito dal-la festa di San Nicola, nostro protettore, dal-la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria e dal rinnovo della professione religio-sa di Suor Rosalba Penta.“Lo accolse con gioia”, era il titolo della Mini Missione, ma allo stesso tempo la nostra pro-vocazione agli abitanti del quartiere.Un vero desiderio di ricerca e di mettersi in gioco è stata la gioiosa risposta di quanti hanno accolto questo annuncio.Abbiamo, così, rinnovato l’impegno missio-nario come dono e servizio da rendere alla Chiesa grazie alla testimonianza di vita di queste sorelle.Vocazione – Missione, binomio inscindibile della vita di ogni cristiano e per noi parroc-chiani realtà da vivere mediante l’ascolto e l’annuncio della Parola e da condividere con l’Umanità.

La Comunità Parrocchiale

san nico�la Una mini missione popolare

Così abbiamo accolto Gesù

Tutte le volte che l’Azione Cattolica chiama, gli educatori rispondono … e la formazione continua! Non im-

porta che siano giovani o adulti, che si oc-cupino di ragazzi o giovani, che compiano i “primi passi” nel servizio educativo o siano “più allenati”; gli educatori che lavorano quotidianamente nelle parrocchie rispon-dono ancora una volta “si” all’Associazione e all’impegno formativo.

In tanti hanno accolto l’invito offer-to dalle equipe diocesane dell’Acr e del Settore Giovani di vivere una due giorni di formazione e di impegno, ma anche di condivisione, di allegria e di preghiera. Ed ecco il 21 e 22 novembre scorsi, in Villa della Speranza in Ostuni, si è data acco-glienza agli educatori della scuola base e ai responsabili educativi dell’Acr e del Settore Giovani. Tante le tematiche affrontate: nella Scuola Base dell’Acr si è lavorato su come è strutturata la proposta formativa che l’Azione Cattolica propone ai ragazzi, partendo dal Progetto Formativo fino ad arrivare all’utilizzo delle guide annuali; nella Scuola Responsabili dell’Acr, nuo-va di nascita, si è analizzata la figura del Responsabile associativo come colui che è innanzitutto testimone di una Chiesa che genera alla fede, che è capace di suscitare vocazioni educative e che ha il compito di

accompagnare gli educatori della propria parrocchia nel loro servizio e nella loro formazione; il Settore Giovani invece ha la-vorato sulla cura delle relazioni e su come queste vanno gestite responsabilmente con i giovani e i giovanissimi di oggi.

Ci ha aiutati nella riflessione Giovan-ni Morelli, Consigliere Nazionale per il Settore Giovani di Azione Cattolica, che ha tenuto una relazione intitolata “A servizio della formazione - il carisma della respon-sabilità per la cura dell’Associazione”, in cui è stato sottolineato quanto sia impor-tante il ruolo dei responsabili educativi ed associativi nel curare, come afferma il Progetto Formativo «che il carisma dell’AC venga vissuto nella sua autenticità e che possa essere proposto e comunicato in modo vero alle persone e alla comunità». Educare alla fede e alla vita è una cosa bellissima,difficile ma bellissima! Il Signore ci chiede tanto ma ci dona anche tantissi-mo; l’impegno, la voglia di fare, la gioia, la stanchezza di questo momento della vita di ciascuno di noi sono un dono immenso, ma ancora più grande è l’amore di Dio ri-flesso negli occhi di ogni ragazzo, giovane e giovanissimo che incontriamo! Con questa consapevolezza e con la gioia nel cuore andiamo avanti!

Pamela Flore

Formazione per educatori di Ac IL CARISMA DELLA RESPONSABILITA’

ta composta da psicoterapeuta, mediatrice familiare e volontari a disposizione dei più poveri attraverso l’ascolto e l’orientamento; il Servizio Domiciliare rivolto alla cura degli anziani. Una comunità operosa, aperta al territorio e alle sue problematiche, così come era de-siderio di San Vincenzo: non donne sole ma sorelle di tutti, aperte alle esigenze degli altri non solo spiritualmente ma anche nella con-cretezza della quotidianità, stimolo costante alla solidarietà e alla fratellanza. In occasione dell’anniversario, le Figlie della Carità hanno realizzato un opuscolo che in-tende fare memoria dei 130 anni di missione a Brindisi: “oltre un secolo di presenza cari-tativa, una testimonianza di continuità, un esempio di perseveranza, una speranza col-laudata a favore dei poveri, a stimolo di chi rimane ancora nell’indifferenza”, scrive l’Ar-civescovo nella presentazione dell’opuscolo. Un momento importante per la comunità e la cittadinanza, come ci racconta suor Gio-vanna Fanuli, Suora Servente dell’Istituto : «Ogni anniversario è sempre un momento di riflessione sul passato e di prospettive per il futuro. Fare memoria della storia del pas-sato, per noi significa dire grazie al Signore e alla sua divina Provvidenza per essere state, insieme a tanti laici che hanno collaborato con noi, strumenti della carità di Cristo in questi anni». Un anno di grazia per la famiglia vincenziana dal momento che quest’anno si ricorda an-che il 150° della nascita al Cielo di san Giusti-no de Jacobis, divenuto sacerdote vincenzia-no nella Cattedrale di Brindisi, titolare della parrocchia del quartiere Bozzano in Brindisi e che è ricordato da una statua marmorea posta in cima alla facciata della Cattedrale, insieme ai patroni della città.L’Istituto San Vincenzo è stato e continua ad essere punto di riferimento per tutti, soprat-tutto per chi ha bisogno di essere ascoltato, accolto, accompagnato nelle ricerca di Dio, nel discernimento del senso da dare alla pro-pria vita e al proprio lavoro. E a questo proposito suor Giovanna ci dice: «l nostro impegno sarà quello di far trovare ai fratelli un ambiente sempre più accoglien-te, familiare e poltrone sempre comode dove il fratello possa sentirsi di casa e soprattutto amato».

Daniela Negro

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Territorio & Attualità 1915 dicembre 2009

formazione� Il presidente Fini ha inaugurato l’anno accademico all’Università del Salento

Brindisi ha desiderio di UniversitàSi è svolta il 3 dicembre, presso il Nuovo

Teatro Verdi di Brindisi, la cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico

2009/2010 dell’Università del Salento, alla presenza del Presidente della Camera dei De-putati Gianfranco Fini, dei Rettori di alcuni atenei italiani, del Rettore dell’Università del Salento Domenico Laforgia, dei Consiglieri didattici delle facoltà, delle autorità civili, mi-litari e religiose e di numerosi studenti.

La cerimonia, dopo l’ingresso del corteo accademico e l’esecuzione dell’inno d’Italia e dell’inno europeo, è stata introdotta dalla relazione tenuta dal Rettore dell’Università del Salento, il quale ha affermato che «nella storia dell’accademia italiana, la cerimonia di inaugurazione è sempre stata intesa come momento di letizia, per l’apertura di un nuo-vo anno di studi, di ricerca, di cultura. Ma in questi ultimi anni, la cerimonia ha assunto più il segno di una riflessione sullo stato di salute dell’istituzione universitaria che vive la sua stagione più critica, umiliata dalle diverse misure as-sunte dai diversi governi che si sono succeduti».

Attraverso un’analisi dei dati degli ultimi anni, sul nume-ro di studenti fuori corso e sull’aumento notevole di corsi di laurea, Domenico Laforgia ha voluto esprimere il tota-le fallimento della riforma universitaria del 3+2 che non ha consentito ai laureati triennali, come era stato previsto, un adeguato inserimento nel mondo del lavoro, e che, invece, non solo ha determinato forzatamente il proseguimento de-gli studi nei due anni successivi, ma anche il prolungamento di un anno dello stesso corso di laurea. «La nostra universi-tà migliora, ha dichiarato il Rettore, ma è soggetta a tagli di risorse» che, comunque, non hanno impedito all’ateneo sa-lentino di progredire e migliorare il servizio agli studenti. In-fatti Laforgia non ha mancato di elencare gli importanti passi compiuti verso il cammino di modernizzazione, tra i quali la riformulazione dell’offerta formativa con 63 corsi di laurea anziché i 73 precedenti, il potenziamento dei servizi per gli studenti diversamente abili, il completamento della fase di ammodernamento del sistema informatico per una migliore

qualità del portale universitario, la ristrutturazione dell’am-ministrazione centrale, la costruzione di due nuovi edifici per la facoltà di Beni culturali ed Ingegneria, nonché la costi-tuzione e la resa operativa dell’osservatorio di ricerca.

Inoltre, non meno rilevante, è stato il ruolo del Comune di Brindisi che si avvale ora di due facoltà, Ingegneria indu-striale e Scienze sociali politiche e del territorio, fortemente volute dalla città, e a tal proposito il Rettore si è così espresso: «Il territorio brindisino che, voglio sottolineare si è distinto a livello nazionale anche per aver saputo proteggere la pro-spettiva di uno sviluppo all’insegna della legalità, è un buon esempio di sinergia progettuale tra università e territorio, a sostegno della propria popolazione».

A seguire, dopo gli interventi del Presidente della Consul-ta del personale tecnico-amministrativo Antonio Melcar-ne e del Presidente del Consiglio degli studenti Francesco Marzotta, ha preso la parola il Presidente della Camera Fini il quale, all’inizio del suo discorso, ha sottolineato di esse-re particolarmente lieto di partecipare all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università del Salento, «un ate-

neo giovane che rappresenta una prestigiosa realtà accademica e culturale ma anche un buon modello per lo sviluppo economico – sociale del nostro meridione». «La scelta di svolgere la cerimonia di inaugurazione qui a Brindisi- ha detto il Presidente- rappresenta simbolicamente l’aspirazione della vostra cit-tà per costruire un solido pilastro del sapere nel campo scientifico e tecnologico, quasi a complemento naturale di quella grande tra-dizione di studi umanistici e giuridici di cui è permeata la storia di tutte le istituzioni uni-versitarie d’Italia».

Un’occasione prestigiosa per la città di Brin-disi, scelta come teatro per questa importan-te cerimonia: «una scelta strategica che può rivelarsi vincente per ampliare l’offerta for-mativa e contribuire a superare quello stere-otipo che, nella realtà non ha motivo più di esistere, di una cultura meridionale orientata più ai fasti della Magna Grecia che alle sfide della modernità», ha commentato Fini. Non

può sfuggire, infatti, che nel patrimonio del Mezzogiorno esiste una tradizione scientifica che risale, all’inizio dell’800, al modello di una scuola politecnica di matrice napoleonica.

Certamente, come il Rettore ha pubblicamente manifesta-to, l’Università necessita il bisogno di maggiori risorse, e in risposta al grido di aiuto di Laforgia, il Presidente ha affer-mato che «le risorse devono essere reperite, per evitare che i nostri giovani lascino l’Italia per formarsi, la ricerca necessita di adeguati investimenti finanziari. La diffusione della cultu-ra scientifica- ha aggiunto Fini al termine del discorso- rap-presenta un fattore determinante per la piena ripresa dello sviluppo del Mezzogiorno».

L’auspicio, dunque, resta soltanto questo, e cioè che le isti-tuzioni e il mondo politico più in generale possano saper ascoltare e, dopo aver ascoltato, meditare e decidere per il modo migliore, guardando al futuro dei giovani di questo Paese.

Daniela Negro

comunicazione� Pubblicati i dati dell’8° Rapporto Censis-Ucsi

Più televisione, meno giornaliCrescono i “consumi mediatici” degli italiani, si espan-

dono in particolare quei media la cui fruizione è gra-tuita, la televisione si conferma come il mezzo di co-

municazione con cui si ha più familiarità, mentre al “digital divide” si contrappone un “press divide”. Sono alcuni dei ri-sultati dell’8° Rapporto sulla comunicazione Censis-Ucsi, “I media tra crisi e metamorfosi”, presentato il 19 novembre a Roma. L’indagine, nata per iniziativa del presidente del Cen-sis Giuseppe De Rita e del compianto presidente dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) Emilio Rossi, da dieci anni “monitora l’evoluzione della comunicazione” in Italia, ha ri-levato Giuseppe Roma, direttore generale del Censis.

Al centro la tv. Come già ricordato da recenti ricerche al riguardo, la televisione resta il mezzo centrale, utilizzato dal 97,8% della popolazione, con un affermarsi delle nuove for-me di tv: da quella satellitare (+8,1% nel biennio 2007-2009) al digitale terrestre (+14,6%), dalla tv via internet (che passa dal 4,6% della popolazione al 15.2%) alla mobile tv (guardata dall’1,7% degli italiani). Tuttavia “la televisione tradiziona-le - ha osservato il direttore del Censis - perde la sua unici-tà e monoliticità”. Non solo perché con più modi di accedere

alla tv si crea “una competizione” e una “ristrutturazione dei consumi”, ma anche per l’affermarsi di strumenti differenti, vecchi e nuovi: la radio (+12,4% di utenti) da una parte, in-ternet (+26,9%) e i cellulari (+12,2%) dall’altra. Si affermano come fenomeni di massa i social network, utilizzati in Italia da quasi 20 milioni di persone. I più popolari sono Facebook (conosciuto dal 61,6% degli italiani), YouTube (60,9%), Mes-senger (50,5%), Skype (37,6%) e MySpace (31,8%). Ma, se si guarda ai giovani tra i 14 e i 29 anni, per nove ragazzi su die-ci Facebook (90,3%), YouTube (89,2%) e Messenger (89,1%) rappresentano mondi ben noti.

La crisi della carta stampata. Tra il 2007 e il 2009, rileva la ricerca, è evidente “la generale espansione dei mezzi gratu-iti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento”: fanno eccezione la tv satellitare e digitale, che continua a crescere, e i quotidiani on line (-3,4% nonostante la fruizio-ne gratuita). I dati più significativi riguardano i cellulari e la carta stampata. Sui primi, a fronte di un uso complessivo che rimane pressoché stabile e che nel 2009 interessa l’85% de-gli italiani, si nota un crollo di smartphone (-15,8%) e vide-ofonini (-7,2%, ora con una percentuale di appena lo 0,8% di

utenti). Nel triennio 2006-2009, invece, se il “digital divide” riguarda la metà degli italiani (il 48,7% de-gli italiani ha accesso a internet mentre tre anni fa era il 29%), è andato cre-scendo il “press divide”, con un 39,3% di persone che non utilizzano la carta stampata. In particolare è quasi triplicata, arrivando al 12,9%, la percentuale di quanti usano internet, ma non i giornali su carta, ed è significativo che tale in-cremento riguardi “uomi-ni, giovani e istruiti”. “Non si tratta - ha rilevato Roma - solo di una questione di costi”, ma di una disaffe-zione verso lo strumento:

il settore più incerto è quello dei quotidiani, dove il calo del-le pubblicazioni a pagamento (-12,2%) non viene compensa-to dalla free press (+1%).

Nessuna mediazione. Il bisogno di avere, da parte del sin-golo, “una diretta accessibilità alle notizie” è il segnale di “un cambiamento profondo della nostra società” che è an-dato affermandosi in questo primo decennio del Duemila, ha commentato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, a proposito del crescente ricorso ai nuovi media e ai social network. “Sembra che il prefisso «ri» - riconoscere, ripensa-re, riflettere - venga eliminato”, ha aggiunto. Un’analisi che va al di là della “crisi della carta stampata”. “Oggi gli interessi si autorappresentano direttamente senza ricorrere alla media-zione delle grandi organizzazioni sindacali” o di categoria, ha osservato il sociologo facendo riferimento ai “big players” dell’economia. Tale “tendenza ad agire direttamente per i propri interessi - ha riconosciuto - è parallela a quella di ac-cedere ai fatti senza mediazioni, né opinioni”.

La qualità dei media. Il presidente nazionale dell’Ucsi, Andrea Melodia, parlando della televisione si è interrogato sul “bisogno di aggregazione comunitaria attorno a palinse-sti ragionati ed equilibrati” e sulla possibilità che essa abbia un ruolo “socialmente utile”. Di sicuro, ha rimarcato, ser-vono “uno spirito nuovo” e “buone soluzioni legislative nei prossimi anni” affinché i mezzi d’informazione mantenga-no dei “punti fermi”, poiché “il livello di un Paese si misura dalla qualità dei suoi media”. Guardando a internet, invece, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e l’amministra-tore delegato di Mondadori Maurizio Costa hanno chiesto interventi per “proteggere il copyright”. Mentre il presidente della Federazione degli editori (Fieg), Carlo Malinconico, ha sottolineato il ruolo della carta stampata, che “consente ri-flessione e maggiore approfondimento”, ricordando che “se lavoriamo bene la prospettiva non è quella di una morte an-nunciata”.

Francesco Rossi

Il Presidente della Camera accanto al Rettore dell’Università del Salento © M. Gioia

Nella foto Marco Tarquinio, nuovo direttore di Avvenire

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Speciale Giustizia20 15 dicembre 2009 Speciale Giustizia 2115 dicembre 2009

Da poco più di un mese Brindisi ha un nuovo Procu-ratore della Repubblica presso il Tribunale. Si tratta del dottor Marco Dinapoli, originario di Barletta, ma

residente a Bari. In magistratura dal 1975, il dottor Dinapo-li, nella sua lunga carriera, ha svolto le funzioni di Pretore a Sarzana e a Trinitapoli, di Giudice del lavoro e Sostituto alla Procura circondariale di Bari, e in applicazione per 6 mesi a Brindisi, di magistrato della Corte d’Assise e della Corte d’As-sise d’Appello a Lecce, di Procuratore aggiunto a Bari.Sposato sin da giovanissimo, «il mio è un matrimonio soli-dissimo» ci ha confidato, 4 figli maschi, 5 nipoti, il sesto in arrivo, si definisce «un nonno molto affettuoso che ha sem-pre educato i suoi nipotini a distinguere, in ogni situazione, quali sono le cose giuste e quali le cose sbagliate».Il dottor Marco Dinapoli ci ha accolti nel suo ufficio al quinto piano del Palazzo della Procura rispondendo con passione e garbo alle nostre domande.

Signor Procuratore, cos’è la giustizia?«E’ una domanda a cui non è semplice rispondere. Da uomo di legge vedo la giustizia come un’esigenza insopprimibile degli uomini. Tutti desiderano una giustizia sociale, cioè la suddivisione equa delle risorse fra le persone e le popolazio-ni; tutti hanno l’esigenza di una giustizia morale, il riuscire cioè a distinguere le cose giuste da quelle sbagliate, cosa che è molto più difficile di quanto non si pensi. E poi c’è la giu-stizia del diritto che è un complesso di regole elaborate da-gli uomini per servire altri uomini. Ci sono però persone che credono ci sia solo un sistema di regole perdendo di vista il secondo aspetto della questione, che si tratta, cioè, di un si-stema di regole al servizio degli uomini. Quando si parte da questa premessa è chiaro che l’interpretazione del sistema di regole deve essere orientata verso la promozione e lo svilup-po dell’uomo e non verso una interpretazione che lo oppri-me».

Siamo nel pieno del dibattito sulla cosiddetta riforma della giustizia. In cosa consistono le novità che il legi-slatore ha intenzione di introdurre? Come valuta queste proposte?

«Sono diversi anni che vengono proposte riforme della giu-stizia senza ascoltare l’opinione dei giudici. Anzi, quando questi manifestano le loro opinioni c’è quasi una sorta di fastidio da parte della maggioranza di turno che le propone. Lo scollegamento che, da diversi anni, esiste fra le persone che decidono la politica della giustizia e quelle che devono mettere in pratica le decisioni prese altrove, credo sia uno scollegamento assolutamente dannoso. Da questo punto di vista non vedo, nel breve periodo, un possibile miglioramen-to, cioè una ripresa di un dialogo più efficace. Negli ultimi tempi non ho visto riforme dirette a migliorare l’efficienza del servizio; essendo la giustizia un servizio reso all’uomo, mi piacerebbe che fosse un servizio efficiente, che i cittadini possano trovare delle risposte rapide secondo criteri di ci-viltà giuridica. Ma le ultime riforme non vanno verso questa direzione anche se vengono presentate bene utilizzando slo-gan che riassumono in poche parole ad effetto il contenuto della riforma che si sta per proporre. I cittadini, invece di ap-profondire le questioni, che sono tecniche e difficili da com-prendere fino in fondo, si accontentano dello slogan. Quando è stata fatta la riforma che affrontava la modifica dell’art. 111 della Costituzione sul giusto il processo, non si è tenuto conto delle conseguenze pratiche di tale riforma, per-ché se è giusta l’assoluzione degli innocenti non altrettanto può essere l’assoluzione dei colpevoli per motivi procedura-li. Ora viene proposta una nuova riforma sotto la definizione di “processo breve”: anche qui lo slogan utilizzato è efficacis-simo. Quale cittadino vorrebbe un processo lungo invece di uno breve? Il problema è che si vuole introdurre il “processo breve” utilizzando solo le risorse attualmente disponibili. Si parla anche della separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri e anche questa è una riforma che non in-contra il consenso della stragrande maggioranza dei giudici italiani. Si parla di togliere al pubblico ministero il potere di iniziativa; è in atto cioè una tendenza a trasformare il pubbli-co ministero in una sorta di avvocato dell’accusa, togliendo-gli l’iniziativa delle indagini. Sarebbe lungo esaminare i mo-tivi per cui questa soluzione è sbagliata ma io le dico soltanto questo: ho fatto il pubblico ministero per tantissimi anni e mi sono sempre trovato nella situazione in cui hai la disponibi-lità completa della prova. Nei primi momenti dell’indagine, quando accade un fatto, arriva il pubblico ministero, il difen-sore non c’è ancora perché non è previsto dalla legge; se in quel momento abbiamo un pubblico ministero giudice, sia-mo abbastanza tranquilli sul fatto che il pubblico ministero cercherà di raccogliere tutte le prove, quelle a carico e quelle a discarico. Se invece, abbiamo un pubblico ministero avvo-cato dell’accusa il pericolo di deformazione professionale è altissimo, perché potrebbero raccogliersi solo elementi a ca-

rico e, sottovalutare, magari in buona fede, quelli a discarico. Facendo il pubblico ministero mi porto la cultura garantista del giudice e quando ho fatto il giudice mi portavo la capaci-tà di interpretare la prova del pubblico ministero».

Un giudizio sostanzialmente negativo, dunque…«Il mio è un giudizio negativo perché non migliora il servizio, non affretta la soluzione dei problemi, ma semmai riduce l’efficienza dell’azione penale e anche le garanzie. Basti pen-sare alla questione delle intercettazioni telefoniche: limitar-ne l’uso vuol dire rinunciare a punire certi reati. Pensiamo al reato di corruzione che si consuma in un ambiente chiuso: ci sono due o più persone che si scambiamo delle utilità per un atto pubblico, diciamo di favore, non c’è nessun altro ol-tre loro. I documenti, se si va a controllarli, sono tutti i regola, l’unica possibilità di provare che c’è stato un accordo consi-ste nel fatto che a quel colloquio siamo presenti anche noi, pubblica accusa, tramite le intercettazioni telefoniche».

Oggi si discute sempre più spesso di diritti, rivendicati o negati. Si parla, per esempio, di un “diritto alla morte”, oppure del riconoscimento di nuovi diritti civili. Qual’è il suo parere in merito?

«Si tratta di un argomento estremamente delicato. Da uomo di legge e da giurista dico che nel nostro ordinamento non è previsto un “diritto alla morte”. Questo lo si desume con cer-tezza dal fatto che è punito il reato di istigazione al suicidio. Se il suicidio fosse attività lecita non potrebbe essere punita l’attività di chi istiga. È pur vero, però, che la materia è in pro-fonda evoluzione e, probabilmente, c’è la necessità di una nuova legislazione che affronti le situazioni più complesse. Una legislazione non è facile da realizzare perché qui si con-frontano culture diverse e sentimenti religiosi contrastanti. Rilevo soltanto che c’è una grande differenza fra la situazio-ne di chi cerca la morte con un comportamento attivo e la situazione di chi si limita a rifiutare le cure perché, probabil-mente, per questa persona l’esistenza è soltanto sofferenza. Penso che le due cose siano completamente diverse e quindi vanno regolate in maniera differente».

Nelle aule di tribunale è presente il crocifisso. Cosa ne pensa della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo?

«I giudici sono abituati a rispettare le sentenze: l’ho detto recentemente anche ai giovani avvocati. Inoltre, è comple-tamente sbagliato ragionare in termini localistici dato che il nostro Paese è inserito in una comunità supernazionale. Quelle che sono le nostre tradizioni si devono confronta-re con le tradizioni degli altri Paesi e, dunque, un organo di giustizia sovranazionale serve anche a questo. Dobbiamo abituarci a pensare ad un organo di giustizia sovranazionale perché ormai con la globalizzazione dell’economia e dell’oc-cupazione, con i problemi planetari relativi all’inquinamen-to, è superata l’idea di affrontare determinate questioni solo con i tribunali locali.Sull’oggetto di quella sentenza non ho condiviso i toni apo-calittici utilizzati, in maniera strumentale, da esponenti an-che molto noti. Mi sembra sia stato un fenomeno esagera-tamente amplificato; penso, infatti, che i valori della croce i fedeli se li portino dentro, fanno parte della loro spiritualità indipendentemente dal fatto che ci sia un simbolo visibile»

Procuratore, l’abbiamo vista emozionarsi durante la con-ferenza stampa in cui ha reso nota la decisione di Mirna di non volersi sottoporre a tracheotomia. Questo signifi-ca che nell’amministrazione della giustizia è indispensa-bile una buona dose di umanità?

«Sono contento di come sia finita questa storia perché se la signora si è sottoposta alle cure vuol dire che ha trovato an-cora un interesse alla vita, nonostante sia una vita molto li-mitata. Già il buon esito della storia mi rallegra molto. Fare questo mestiere costituisce un vero osservatorio privilegia-to sull’umanità, perché il giudice, e ancor di più il pubblico

ministero, vede con i suoi occhi tutte le cose che gli altri leggono sui giornali. Questo ti mette a contatto direttamente con tutto quel-lo che gli uomini sanno fare, prevalentemente di male, ti fa crescere e ti fa realizzare esperienze straordinarie, mi sembra di galleggiare sulle miserie degli uomini, e ciò lo trovo di straordinario inte-resse. Non sono mai riuscito a considerare le questioni di cui mi sono occupato come pratiche da smaltire, nei fa-scicoli ci sono i sentimenti, le passioni, le pulsazioni, le motivazioni, non sono solo carte, ci vogliono orecchie e occhi attenti per coglie-re questo aspetto. Niente impedisce al pubblico ministero di interagire, di chiedersi perché succedono le cose, perché gli uomini si comportano in un certo modo, se si è arrivati in tempo o se si poteva arrivare prima. Credo sia necessario capire le motivazioni degli uomini anche per dare una rispo-sta giusta. La legge si muove entro un certo limite di pena, ci sono criteri fissati dal codice, ma se non riusciamo a capire le vere motivazioni non riusciremo neanche ad interpretare il fatto concreto e a dare al fatto stesso la giusta risposta tra-mite le decisioni giudiziarie».

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002, Giovanni Paolo II di v.m. affermava che “non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Cosa significa questa affermazione rapportata all’ammi-nistrazione quotidiana della giustizia?

«La giustizia non può permettersi il lusso del perdono, ma si deve muovere nell’ambito dei principi codificati. Per quanto riguarda i minorenni c’è già la figura del perdono giudizia-le, per quanto riguarda i maggiorenni ci sono alcune norme promozionali che consentono comunque di commisurare la pena sulla personalità della persona che ha commesso il reato e quindi di tener conto di eventuali mutamenti di com-portamento, del pentimento, della collaborazione. Credo che più di questo non si possa fare perché quando si parla di giustizia umana, ci dobbiamo attenere alle previsioni di leg-ge e non possiamo sostituire la nostra volontà personale alla volontà del legislatore».

Qual’è il compito di un Procuratore della Repubblica?«Il Procuratore della Repubblica è il coordinatore dell’Uffi-cio della Procura. La Procura deve sostenere l’accusa e rac-cogliere le prove di colpevolezza, ma anche di innocenza, sostenere l’accusa giuridica, presentarsi al dibattimento per confrontarsi con gli avvocati: questo è il nostro sistema ispi-rato a principi di civiltà giuridica. Il confronto con la difesa è oggi l’aspetto più complesso perché la difesa è l’organismo che ha il compito di mettere in dubbio la tesi accusatoria. Se ci pensiamo un attimo, non c’è sistema migliore di questo, per quanto certe volte la difesa possa sembrare un ostaco-lo all’affermazione della tesi accusatoria, ma è un ostacolo necessario e indispensabile perché in questa materia non si può sbagliare, bisogna ridurre al minimo il rischio degli errori e, dunque, la tesi accusatoria deve necessariamente confrontarsi con la tesi difensiva per consentire al giudice di arrivare alla sintesi e cercare di trovare la soluzione più giu-sta. Sono fermamente convinto di questo principio».

Come le è parsa la realtà di Brindisi?«Penso che la situazione sia migliorata moltissimo rispet-to all’ultima volta che ho lavorato a Brindisi. Tanti anni fa la città era pesantemente gravata dall’esistenza di una cap-pa di mafiosità che faceva affari d’oro con il contrabbando di tabacco e con tutto quello che arrivava dall’altra parte dell’Adriatico. Purtroppo alcuni comuni della provincia sono stati gravemente afflitti da questi conflitti di mafia. Devo dire che la situazione è cambiata anche grazie al lavoro della po-lizia giudiziaria e alle sentenze della magistratura brindisina e leccese. Occorre però vigilare perché non si verifichi più questo grosso problema che ostacolava l’economia sana e la vita delle persone per bene riducendo la qualità della vita. Vedo un momento molto favorevole per la comunità brindi-sina, un coagularsi di energie sane e di persone seriamente motivate a perseguire il bene comune».

Procuratore, benvenuto a Brindisi e buone feste!«Grazie»

Giovanni Morelli

E i cittadini si chiedono: «Giustizia, cosa (e dove) sei?»Dinapoli: «Un sistema orientato alla promozione dell’uomo»

Dal 16 settembre scorso il Tribunale di Brindisi ha un nuovo presidente. Si tratta del dottor Francesco Giardino, 58 anni, originario di Lecce, che ha preso

il posto di Vincenzo Fedele. Per il dottor Giardino si tratta di un ritorno nella città adriatica: dato che dalla fine del 1998 ai primi mesi del 2001, aveva ricoperto l’incarico di Presidente di sezione.In magistratura da oltre 31 anni, il dottor Giardino proviene dalla seconda sezione civile del Tribunale di Lecce. La sua carriera di magistrato, quasi tutta in ambito civile, è iniziata nelle aule giudiziarie del Veneto, ma si è svolta per la gran parte a Lecce, dove attualmente vive con la sua famiglia. Fer-mento lo ha incontrato nel suo ufficio al quinto piano del Pa-lazzo di Giustizia.

Signor Presidente, cos’è la giustizia?«Non è semplice rispondere a questa domanda: certamente la giustizia è uno dei primi interrogativi che hanno appassio-nato l’uomo da quando questi ha raggiunto consapevolezza di sé e dell’ambiente sociale che lo circondava. Esistono vari concetti di giustizia: quella divina è un concetto immobi-le nel tempo e nello spazio, mentre la giustizia umana è un concetto relativo, nel senso che si considera giusto quello che in un determinato periodo di tempo e di luogo risponde alla concezione che l’uomo e la società hanno in quel mo-mento.Se facciamo riferimento alla cultura italiana e occidenta-le possiamo definire la giustizia con i tre concetti dell’agire correttamente, del non danneggiare nessuno e dell’attribuire a ciascuno il suo. Concetti che, tra l’altro, si trovano, seppur con modifiche lessicali, anche nel Vangelo e nella tradizione del cristianesimo.Al concetto generale di giustizia, inoltre, si affiancano quelli di giustizia giusta, di giustizia sociale e di giustizia retributi-va, i quali sono tutti aspetti e sfaccettature del concetto più ampio. Funzione della giustizia è quella di regolare i rapporti tra le persone in modo che ciascuno, nell’ambito della pro-pria sfera di libertà, sia libero ma rispettoso della libertà al-trui. La giustizia, cioè, deve salvaguardare i limiti di queste reciproche libertà, che non possono mai essere considerate libero arbitrio. Persino i diritti assoluti hanno elementi di do-verosità nei confronti dell’altro».

Siamo nel pieno del dibattito sulla cosiddetta riforma della giustizia. In cosa consistono le novità che il legi-slatore ha intenzione di introdurre? Come valuta queste proposte?

«E’ bene precisare che l’attenzione di questa riforma, così come tutte quelle degli ultimi anni, sembrerebbe più focaliz-zata sulla giustizia penale ed in particolare sul versante pro-cessuale.Questa proposta di riforma prevede di introdurre il cosid-detto “processo breve”, il quale in linea di principio rispon-de alle convenzioni internazionali e al dettato costituzionale che, con la riforma dell’art. 111 della nostra Costituzione, ha elevato a rango costituzionale il concetto di ragionevole du-rata del processo.Il problema di questa riforma è tipico di tutti gli interventi

legislativi in materia di giustizia. È certamente doveroso che il processo sia contenuto in tempi ragionevoli, ma le modifi-che proposte mal si raccordano con il funzionamento gene-rale della giustizia. Il nostro processo penale è stato in gran parte mutuato da quello americano senza però prevedere i contrappesi propri di quel processo: il nostro è un processo bellissimo che però non si cala in un contesto che ne garanti-sca l’efficacia ed il funzionamento. Basti pensare all’estrema polverizzazione degli uffici giudiziari, alla facilità del ricorso in Cassazione con tutti gli effetti di inflazione e carichi di la-voro che ciò comporta, mentre negli USA davanti alla Corte

Suprema si va solo in casi eccezionali. Questa riforma, inol-tre, mantiene tutto il sistema delle notifiche e le farraginosità esistenti, che non sono compatibili con i tempi brevi proces-suali che invece si vogliono introdurre.Esistono poi problemi di ordine tecnico: che fine fa la pre-scrizione dei reati con il processo breve, come si concilia la decadenza del processo con la prescrizione del reato…?».

Oggi si discute sempre più spesso di diritti, rivendicati o negati. Si parla, per esempio, di un “diritto alla morte”, oppure del riconoscimento di nuovi diritti civili. Qual’è il suo parere in proposito?

«Il nostro ordinamento positivo non riconosce un “diritto alla morte”, perché punisce i vivi che hanno cagionato o ten-tato di cagionare la morte di un altro soggetto. La legge, per esempio, non punisce il suicida, o chi lo tenta, ma colui che istiga o induce al suicidio.La nostra Carta Costituzionale sancisce un diritto diverso dal cosiddetto “diritto alla morte”; all’articolo 32, infatti, ricono-sce il diritto di una persona a non sottoporsi agli interventi medico-chirurgici, salvo i casi previsti per legge come le ma-lattie contagiose o il trattamento sanitario obbligatorio».

Nelle aule di tribunale è presente il crocifisso. Cosa ne pensa della sentenza della Corte europea dei diritti

dell’uomo?«I magistrati della Repubblica hanno l’obbligo di rispettare le decisioni di un altro giudice. Tra l’altro la sentenza in ogget-to non è precettiva immediatamente, né nei confronti dello Stato, né di singole strutture dello Stato, né di privati citta-dini. È il governo italiano la parte processuale a cui spetta di verificare se c’è un obbligo di conformarsi o meno».

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002, Giovanni Paolo II di v.m. affermava che “non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Cosa significa questa affermazione rapportata all’ammi-nistrazione quotidiana della giustizia?

«Penso sia riduttivo calare queste parole di Giovanni Paolo II, che certamente hanno una portata universale, nella realtà quotidiana dell’amministrazione della giustizia. È evidente, altresì, che laddove la giustizia funziona poco o male ci sono effetti negativi sulla stessa convivenza, per cui un’organizza-zione statale deve prevedere gli strumenti che garantiscano la pace sociale tra gli uomini ed evitare che questi si facciano giustizia da sé.Per quel che riguarda il rapporto tra giustizia e perdono, sono convinto che il perdono è un fatto assolutamente pri-vato. Anche nell’ordinamento giuridico ci sono forme di per-dono, basti pensare all’istituto dell’amnistia e dell’indulto, o al perdono giudiziale per i minori, ma in questi casi si tratta di un perdono di tipo politico: lo Stato, cioè, valuta positivo l’interesse a “mettere una pietra sopra” quel reato. Da questo punto di vista rimane emblematico il perdono concesso, agli uccisori di suo padre, dal figlio di Vittorio Bachelet (vicepre-sidente del Consiglio Superiore della Magistratura assassina-to dalle Brigate Rosse nel febbraio 1980, ndr) nel corso dei funerali. Il giudice deve verificare, non perdonare».

Qual’è il compito di un Presidente di Tribunale?«Per alcuni versi continuo a fare il giudice, occupandomi di affari giudiziari in materia familiare e societaria. Poi c’è l’aspetto amministrativo che consiste nel dirigere una strut-tura complessa con 37 magistrati, con tutto il personale am-ministrativo e gli ufficiali giudiziari: il Tribunale è un micro-sistema soggetto ad alcune norme di cui il Presidente deve assicurare il suo buon funzionamento.Ma questo non sempre è facile a causa, soprattutto, della ca-renza di risorse economiche».

Qual’è lo stato di salute della giustizia in Provincia di Brindisi?

«Fondamentalmente non dissimile, dal punto di vista della giustizia civile, ad altre strutture del meridione contigue ter-ritorialmente o per sistema sociale.È bene ricordare che, specialmente la giustizia civile, risente dello stato dell’economia: se questa va male la giustizia va in sofferenza perché vede aumentare i carichi di lavoro».

Buon lavoro e buon Natale, Signor Presidente.«Grazie…»

Giovanni Morelli

Giardino: «Uno dei primi interrogativi che hanno appassionato l’uomo»

Il Procuratore della Repubblica Marco Dinapoli

Il Presidente del Tribunale Francesco Giardino

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Chiesa & Arte - Salento22 15 dicembre 2009

san donaci Bisogna andare indietro nel tempo, già prima del secolo XVI

Santa Maria delle Grazie, le origini della comunità

La chiesa madre di Guagna-no è dedicata a Santa Maria Assunta, è a pianta longi-

tudinale con navata centrale, due minori laterali e transetto; 1798 è la data che sancisce la fine dei lavori di ricostruzione solennizzata dalla consacrazione da parte dell’arci-vescovo Annibale De Leo che pose sull’altare maggiore le reliquie dei martiri Urbano, Donato e Crescen-zio. Un’epigrafe attesta gli avveni-menti; essa è però mutila di due ri-ghe nelle quali erano scritti il nome e i titoli di Ferdinando IV di Borbo-ne e che presumibilmente furono cancellate o nel 1799 ad opera di rivoluzionari della repubblica par-tenopea (a Guagnano vi erano gio-vani che, seguita la restaurazione si ritrovarono accusati di complotto contro i sovrani), o nel 1860 con la caduta della dinastia dei Borboni e la fine del regno delle Due Sicilie. I lavori si protrassero per quasi mezzo secolo probabilmente dal 1743; in quell’anno, il 20 febbraio, il terremoto danneggiò talmente la precedente parrocchiale del XIV-

XV secolo da ritene-re opportuno l’avvio di una nuova fabbri-ca con il contributo economico dell’am-ministrazione civi-ca; ciò anche in con-siderazione che, per la continua crescita demografica la pic-cola chiesa sarebbe risultata largamente insufficiente. Il sa-cro edificio era sta-to eretto sul luogo del rinvenimento di un’immagine della Vergine del Rosario; come spesso acca-de il rinvenimento è accompagnato da un fatto prodigioso: qui, un toro stacca-tosi dalla mandria fu trovato genufles-so dinnanzi a un cespuglio di macchia mediterra-nea con una corona di rosario tra i denti: tra i rovi i bovari scorsero la

sacra immagine. L’icona, del XIV o XV secolo, è una pittura parieta-le a intonaco asciutto sul tipo della

tempera a calce che segue il noto schema della Madonna in trono con bambino e due angeli di carat-tere bizantino a te-stimoniare la persi-stenza della maniera greca anche oltre il medioevo. Oggi è mutila sui quat-tro lati e collocata al centro di una tela in cui sono dipinti i misteri del Rosario. Per fare in modo che l’antica immagine non fosse spostata dal luogo originario si realizzò la nuova chiesa in funzione di essa, volgendo quin-di la nuova facciata ad oriente. Erra la tradizione popolare che tale orientamen-

to immaginò quale segno di sfida verso i Turchi che si pensò sconfitti nello scontro navale di Lepanto per

la protezione accordata alla flotta cristiana dalla Vergine del Rosario. Il dipinto si trova ora nel lato ter-minale destro del nuovo transetto; la facciata antica rimase a ponente della sacrestia di cui si scorgono ancora tracce di due finestre mo-nofore all’esterno. All’interno della chiesa sono l’orga-no e gli altari settecenteschi: quello del Crocefisso con la tela, trafugata, del Convito in casa di Levi sostitu-ita dalla Cena in Emmaus di Um-berto Colonna, di San Francesco Saverio, Sant’Oronzo, della Madon-na del Carmine, dei Santi Cosma e Damiano, di San Francesco d’Assisi e di San Giuseppe.Il battistero, in pietra, è di epoca ri-nascimentale. La facciata, divisa in due ordini e tripartita verticalmen-te, presenta nell’ordine superiore elementi concavi laterali e termi-na con un fastigio semiellittico che ricorda gli elementi convessi del portale.

Ilaria Demitri

La chiesa cimiteriale di San Donaci sorge sulla strada per Guagnano ed è dedicata a Santa Maria delle Gra-

zie. Le vicende di questa piccola chiesa e del culto per la Madonna delle Grazie risalgono ad ancor prima del XVI secolo. Come rilevano gli atti di Santa Visita del 1570, all’interno della chiesa sono presen-ti già molti segni della devozione popolare e molta cura degli altari.

In quell’anno doveva essere presente e molto sentita la devozione per l’immagi-ne di Santa Maria delle Grazie. Le origi-ni dell’immagine sacra non sono molto chiare; la sua riscoperta si vuole dovuta alla circostanza che una donna, residente nella zona, si sia accorta della fuga dal re-cinto di un toro. Immediatamente si diede inizio alle ricerche insieme ai proprietari della masseria da cui il toro era fuggito. L’animale fu ritrovato in contrada Monte-coco, immobile e silenzioso, quasi come

se fosse in preghiera innanzi l’immagine di Santa Maria delle Grazie. Il raccon-to, nella sua dinamica, si lega al ritorno dell’uomo in aree un tempo coltivate e poi abbandonate per il regredire della li-nea dei coltivi. Le circostanze del ritrova-mento presentano alcune caratteristiche in comune con a leggenda di fondazione del santuario della Madonna del Belvede-re in Carovigno.

L’icona carovignese, infatti, fu scoper-ta cercando una giovenca. Il mandriano che l’aveva persa la ritrovò “ginocchioni” all’interno di una grotta in agro di Carovi-gno di fronte al dipinto della Madonna.

L’affresco sandonacese, quattrocentesco, presenta un’impostazione prettamente medievale, simile ad altre icone maria-ne molto venerate nel territorio diocesa-no, come quella celebre della Madonna di Jaddico in Brindisi. È’ chiaro come sia i colori che l’espressione della Madonna

abbiano subito modifiche nel corso degli anni.

Frequentata e meta di pellegrinaggi nel corso del XVI secolo, nella seconda metà del successivo fu rinnovata conferendole, come rileva il Bacci, un impianto barocco.

Di grande rilevanza furono i lavori ese-guiti il 1935, ricordati in un’epigrafe posta in controfacciata dettata dallo stesso pa-dre Bacci. In quest’occasione fu riscoperto l’affresco mariano cui era stata sovrappo-sta una tela avente soggetto la Madonna del Rosario.

Oggi la chiesa si presenta con la sempli-ce facciata della seconda metà del 1600. L’interno è ad aula unica e ed ha corona-mento nell’altare dedicato a Santa Maria delle Grazie.

Nel 1965 mons. Nicola Margiotta, arci-vescovo di Brindisi (1953-75), incoronava la statua della Madonna delle Grazie con il diadema d’argento benedetto da papa

Paolo VI. L’8 Maggio del 1998, mons. Set-timio Todisco, arcivescovo di Brindisi-Ostuni (1975-2000) proclamava santa Ma-ria delle Grazie, patrona di San Donaci, conferendo così alla data del 5 Agosto, sua ricorrenza, il grado di solennità liturgica.

Antonella Golia

Lungo un remoto itinerario messapico, sorge la chiesa in grotta di Santa Maria,

più nota oggi con la tarda denominazione Favana, nei pressi dell’attuale cimitero di Veglie, di fronte al convento dei Francesca-ni Conventuali, fondato il 1579, con annessa chiesa nota per i suoi notevoli affreschi. La

cripta della Favana o della Furana, come la definì Cosimo De Giorgi, oggetto di studio fin dall’Ottocento e meta di credenti, ricer-catori e curiosi, può considerarsi “notevole testimonianza di architettura rupestre le-gata alla cultura religiosa e alle forme litur-giche dell’area grecanica della Puglia”. Sul periodo di costruzione e sulla derivazione del nome sono state fatte molte congettu-re; certamente la chiesa in grotta doveva essere funzionale a un insediamento rurale articolato sullo schema del casale e utiliz-zato, nel tempo sia da greci che da latini. Riguardo alla derivazione del nome, alcuni ritengono che l’appellativo Favana derivi da una delle immagini dipinte nel sotter-raneo, in particolare quella raffigurante la Madonna che allatta il suo Bambino. Da qui il nome Favana che sta, nel volgare salenti-no, per “Residuo di latte cagliato”; potrebbe anche riferirsi ad altra immagine a mezzo busto di una Madonna con Bambino, che si trova nell’attigua chiesa del convento, verso la quale accorrevano i fedeli per impetrare grazie contro il male della fava ossia il favi-smo. Ciò si evince dalla «Platea del Venera-bile Convento di S. Maria della Favana dei Frati Minori Conventuali in Veglie del 1735».

Per la descrizione si farà qui riferimento essenziale al fondamentale testo di Luigi Mazzotta. La struttura presenta una forma architettonica di origine greco-orientale, risalente ai secoli IX-XI. Vi si accede lateral-mente, attraverso un dromos in cui è stata ricavata una scala; è ad unica navata con una piccola abside. Entrando, a sinistra è un piccolo vano comunicante con la Crip-ta; probabilmente serviva da Pastophòrion, locale adibito alle cerimonie preparatorie delle funzioni religiose. Nell’abside vi è ad-dossato un altare di recente fattura a destra del quale si nota una nicchia che serviva probabilmente da diakonicòn, cioè deposito di arredi sacri. L’interno della cripta è deco-rato da un ciclo pittorico di natura sacra, evidenziando la funzione cultuale del luo-go. Tali affreschi, che risalgono per la gran parte al XV secolo, sono in continuo deterio-ramento a causa dell’eccesso di umidità. La figura meglio conservata, è quella, trecente-sca, della Vergine, la cui dolcezza e vivacità è espressa dagli occhi e dai tratti delicati e fini del volto. Il suo capo è leggermente reclinato verso il Bambino Gesù benedicen-te. Seguono le immagini di Santo Stefano Protomartire e Sant’Antonio da Padova. Sulla

parete di fondo dell’abside è rappresentata la Santissima Trinità: Dio Padre, vestito di bianco è assiso sul trono; le braccia esage-ratamente lunghe si abbassano a sostenere la croce sulla quale è una piccola e tozza figura del Cristo. Ai lati vi sono raffigurati San Giovanni Evangelista e San Giovanni Bat-tista, considerata, quest’ultima, la più antica immagine del santo patrono di Veglie. Al di sopra di una nicchia, è raffigurato San Fran-cesco d’Assisi inginocchiato nell’atto di rice-vere le stimmate dal crocifisso. Nella parte destra, vi è un’altra Madonna che, assisa in trono, tra le braccia stringe il Bambino che allatta. La scena successiva vede raffigurato il piccolo Cristo, a mezzo busto, tra gli apo-stoli Pietro e Paolo che per contrasto appa-iono enormi. In un altro riquadro Sant’An-drea e da ultimo Sant’Antonio Abate. Nelle scene sono presenti iscrizioni sia greche che latine. La cripta un tempo aveva il soffitto completamente affrescato; se ne scorgono frammenti che rimandano alla rappresenta-zione entro un cerchio del Cristo Pantocrato-re attorniato da quattro angeli con i simboli degli Evangelisti.

Anna Candelieri

Veglie, la chiesa in grotta di Santa Maria della Favana

guagnano Nel 1798, a lavori di ricostruzione finiti, fu consacrata da mons. Annibale De leo

Un’intera cittadina che guarda alla Vergine

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Libri & Cultura 2315 dicembre 2009

cultura Il 21 novembre Benedetto XVI ha incontrato gli artisti nella Cappella Sistina

Bellezza, percorso artistico e itinerario di fede

La “via della bellezza” come “percorso artistico, estetico” ma anche come “itinerario di fede”. A riproporla agli artisti è stato Benedetto XVI,

incontrando il 21 novembre circa 300 esponenti del mondo dell’arte nella Cappella Sistina. Occasio-ne dell’incontro, promosso dal Pontificio Consiglio della cultura, il decennale della Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti (4 aprile 1999) e il 45° anniversa-rio dell’incontro di Paolo VI con gli artisti (7 maggio 1964). Il SIR ha rivolto alcune domande a Maria-no Apa, docente di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti de L’Aquila, che ha parte-cipato all’evento.

“Rinnovare l’amicizia della Chiesa con il mondo dell’arte”: con questo intento Benedetto XVI si è inserito nel “solco” tracciato da Paolo VI e Gio-vanni Paolo II…

«A mio avviso, la cifra dell’incontro di papa Bene-detto XVI con gli artisti sta nella volontà di ribadire un’intera tradizione, che dal II Concilio di Nicea ar-riva fino al Concilio Vaticano II, passando per l’ul-tima giornata del Concilio di Trento, dedicata alla questione delle immagini. Ribadire la centralità del-la tradizione, tuttavia, non è sinonimo – come talu-ni vorrebbero – di ideologia del tradizionalismo: è la Chiesa che, depositaria del magistero, esplicita nei segni dei tempi la condizione attraverso cui si svolge il nostro cammino di fede, all’insegna dello stretto le-game tra arte e liturgia. Nella Chiesa vive la bellezza e la verità: ciascun artista di ogni tempo è chiamato a farci i conti, attraverso le modalità espressive che gli sono proprie. È nel tesoro della tradizione che l’ar-tista trova la sua libertà: nelle parole del Papa trova eco la tradizione anche recente della Chiesa, da Pio XI a Pio XII, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo I – che ha aperto la strada alla beatificazione del Beato Angelico, patrono dei pittori, e di Claudio Granzotto, patrono degli scultori, da parte del suo successore – fino a Giovanni Paolo II, che oltre alla Lettera agli ar-tisti ha dedicato un’opera intera al valore dell’arte: il Trittico Romano».

La “via della bellezza” è la proposta del Papa come antidoto alla “disperazione”: come evitare che il nostro tempo cada nella trappola di una bellezza “seducente e ipocrita”?

«La proposta che fa Benedetto XVI agli artisti è quel-la di camminare non tanto sul terreno della memo-ria, ma di qualcosa che è perennemente vivo: Cristo morto e risorto. Il profondo legame tra arte e liturgia

è, dunque, il presupposto non dichiarato, ma impre-scindibile, delle parole pronunciate dal Papa nella Cappella Sistina. È il movimento liturgico che con-duce al Concilio Vaticano II, come Joseph Ratzinger dimostra nella sua opera sullo spirito della liturgia».

Nella coscienza di ciascun artista, la bellezza è un appello ad un “oltre”: un forte richiamo per un dialogo anche con i non credenti…

«Quello che ogni artista dovrebbe evitare è l’auto-referenzialità. Un’opera d’arte è tale nella misura in cui si confronta con la questione del senso, e dunque indaga sul mistero. Anche attraverso i propri dubbi, i propri malumori, le proprie nevrosi, il proprio disa-gio, l’arte può definirsi tale se conduce alle domande sul senso della morte e della rinascita. Se l’artista non si fa carico della bellezza che pone la domanda, fa del decorativismo e diviene preda dell’autoreferen-zialità. L’inquietudine, la condizione esistenziale ai limiti dell’esistenza stessa: tutto ciò conduce alla ra-dicalità della domanda. È una via dolorosa che han-no percorso molti artisti, anche non credenti, che a volte nella loro strada hanno trovato un compagno di viaggio capace di dialogare con loro a partire dal proprio vissuto di fede».

Cosa dice il simbolo delle cattedrali, “bibbie di pietra”, all’Europa, dove – denuncia il Papa – l’ar-te rischia di essere incomprensibile, se non si tie-ne conto della sua anima religiosa?

«Si tratta di una questione delicatissima, e decisiva per il futuro del nostro continente. In un’epoca di globalizzazione come la nostra, dove con estrema facilità si innalza un minareto, per erigere un campa-nile occorre ancora – come per le antiche cattedrali – che si instauri un corretto rapporto, fatto di dialogo ma a volte anche di salutari contrasti, tra il vescovo e l’artista. Il riferimento, nel discorso del Papa, alle cattedrali è un invito per l’artista a pensare nel con-cetto dell’opera totale, che trova il suo simbolo nella cattedrale come cantiere dove lavora tutto il popolo di Dio. L’Europa delle cattedrali è un’Europa fatta di chiese che non si chiudono il giorno dell’inaugura-zione, ma che nei secoli camminano, si evolvono, si restaurano. Ancora una volta, arte come metafora della liturgia: l’artista non può pensarsi come sin-golo individuo, deve vedere riflesso in se stesso tutti quanti e capire che nella propria espressione artisti-ca c’è tutto il popolo di Dio. Quello che si è succedu-to nei secoli, ma anche quello che non si è ancora convertito».

Metti una sera di gennaio ed un messaggio sul telefonino,

inviato da “Giovanni” che ti dice: «Sono stato trapiantato al fegato: va tutto bene. Baci». Si prova un tonfo al cuore incredibile e inenar-rabile, soprattutto se pensi che, chi scrive, nei continui colloqui si fre-giava di essere, dell’amico e colle-ga, «il biografo autorizzato» e con lui si era scambiato, come sempre, gli auguri per Natale e per il nuovo anno. Di più - è ricordo dettaglia-to - lui aveva commentato gli ulti-mi pezzi della rubrica «Quattro stagioni», che tanta fortuna ha avuto - come del resto i suoi reportages da invia-to - sulle colonne del giornale «Avvenire» ed aveva ricordato alcuni avvenimenti vissuti in comune, riguardanti l’immigrazione dall’Al-bania ed il recente cammino di questo po-polo, oggetto anche dei suoi studi recenti.

Ad un «sms» così non puoi rispondere: il telefonino è spento. E attendi... L’attesa è sta-ta per tutti diversa ed alla fine, cos’ha fatto Giovanni Ruggiero? Il viaggio più importante della sua vita - «questo della sua malattia», dice - lo ha condensato in un libro a quattro mani, realizzato assieme ad Antonio Ascione, medico epa-tologo, che ha sempre curato con grande impegno la comunicazione con i pazienti. Due comunicatori nati hanno così dato alle stampe «Abbiamo vinto. Insieme» e le Edi-zioni Messaggero di Padova, hanno inserito il libro nella collana «Terra & cielo», quella che ha come pro-pria mission, pubblicare «parole che fanno riflettere. Libri che siano compagni delle domande dell’uo-mo. Provocazioni che aiutino a riscoprire una parte di noi». E così ecco che Giovanni Ruggiero ed il dott. Ascione, dialogano nel libro: il giornalista è il paziente malato che porta le sue emozioni e tutte le sue domande (non solo quelle sul-la malattia); il medico è invece nel suo ruolo, ma sceglie di scrivere in corsivo con tutta la leggerezza e l’efficacia che questo carattere ti-pografico comportano: chiarezza e precisione, mai scevre da un’in-descrivibile carica di umanità, che resta dall’una e dall’altra ottica, il

leit motiv di queste pagine che si leggono d’un soffio (e non solo per-chè sono le più belle tra le migliaia scritte dall’amico).

In questo viaggio, che porta dal-la cirrosi, al tumore, al trapianto, Giovanni Ruggiero ricorda il primo giorno in cui scopre di essere por-tatore sano, senza sapere che l’an-nunciatore di tale notizia sarebbe diventato suo suocero, mentre il dottore lo riconosce subito come «Un uomo di fegato (ma malato)», poi c’è il «contrordine: non esi-

ste il portatore sano», quindi c’è l’inizio di un percorso alla ricer-ca dalla soluzione in diversi modi ed in di-versi luoghi, attraverso analisi cliniche e rico-veri, ecografie e volti di medici che tradiscono la diagnosi anche con una smorfia. E c’è so-prattutto il ritorno ad dialogo costante con il medico dalle poche ed efficaci parole, che ti fa attendere nelle viste

programmate perchè il paziente sia l’ultimo ed il discorso si faccia più ampio, complesso, totale, sapendo che un simile tipo di malattia, as-sorbe quasi totalmente l’energia di una persona. E dalla cirrosi al tumore al trapianto, Giovanni Rug-giero ed Antonio Ascione descrivo-no un percorso umano, talmente toccante e coinvolgente che medi-cina e mondo sanitario sembrano passare in secondo piano quando invece sono l’argomento entro cui ci si muove. Gli autori paragonano questo cammino ad una scalata: non una scalata in solitaria, ma una cordata. «Con te devono starci tutti i tuoi, moglie o marito, figli, amici, colleghi di lavoro e il tuo medico, che a metà percorso, quasi sempre, fa già parte del gruppo degli amici e viaggia insieme a te», si legge nel libro. E Giovanni Ruggiero da uomo di fede ha anche qualcuno in più che lo accompagna, pronto a stare con lui e a «dialogare con le stelle», qualora qualcosa non fosse andata per il verso giusto.

E invece Giovanni e i suoi ce l’han-no fatta ed ora, «penso solo che occorre raccontare tutto questo - scrive -. Spero che la mia avven-tura, che si è chiusa positivamente, possa aiutare altre persone».

Angelo Sconosciuto

abbiamo vinto insieme

Ne uccide più la lingua che la spada, si dice, e per estensione si può dire

che qualcuno può essere ucciso, almeno professionalmente, anche dalla stampa. Quattro mesi dopo il responsabile del de-litto perfetto si dice ammirato del com-portamento della vittima e, senza chiede-re scusa, ammette di aver esagerato, come quegli assassini delle barzellette che dico-no che gli era soltanto scappato un colpo.

I protagonisti di questo sgradevole “noir” si chiamano Vittorio Feltri, direttore de “Il Giornale”, e Dino Boffo, ex direttore de “L’Avvenire”. Boffo, il 3 settembre scorso, si dimise dalla direzione del quotidiano ecclesiale dopo una durissima campagna di stampa orchestratagli contro da Feltri; “Il Giornale” pubblicò una sentenza pe-nale di condanna per un caso di molestia

telefonica risalente a otto anni fa che Bof-fo aveva preferito chiudere senza ulteriori gradi di giudizio; a tale documento si ac-compagnava una oscena e falsa informati-va della Polizia, che demoliva moralmente il direttore de “L’Avvenire”. L’informatore di allora viene definito ancor oggi da Feltri “attendibile e insospettabile” nonostante lo squallore delle notizie false fornite, e quindi il caso viene derubricato da “scan-dalo” a “bagatella” e Boffo viene riconsi-derato da Feltri stesso “giornalista presti-gioso ed apprezzato” ma “senza scuse né lacrime, tantomeno retromarce, solo con una doverosa precisazione”. Il comporta-mento di Boffo ora suscita “ammirazione” in Feltri. Ovviamente la parziale e tardi-va smentita di Feltri non ha avuto l’ono-re delle prime pagine dei giornali (ma “Il

Giornale” l’ha messa in prima pagina) né la risonanza televisiva dell’estate scorsa (ne ha parlato solo il TG3).

Pare che l’Ordine dei giornalisti, che si era già mosso per condannare il bislacco servizio di “Mattino 5” che definiva “stra-vagante” il giudice che aveva condannato la Fininvest a risarcire con 750 milioni di euro il gruppo De Benedetti, stesse per in-tervenire su Feltri: fatto sta che ora come non mai risuonano severe e di alto profilo le parole del Presidente della CEI, Cardina-le Bagnasco: «Quando la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al con-trollo sociale finisce per non tenere più in conto la centralità e la dignità inviolabile dell’uomo». «Tutto il Paese- conclude Ba-gnasco - ha bisogno di un linguaggio serio e sereno».

Da parte politica è intervenuta la più alta autorità dello Stato, il Presidente della Re-pubblica Napolitano, che ha dichiarato: «I mezzi di comunicazione e noi stessi che lavoriamo nelle istituzioni, siamo troppo spesso assorbiti dai comportamenti liti-giosi, che caratterizzano la nostra società politica, e non guardiamo con sufficiente attenzione alle espressioni della nostra società civile».

Basta, quindi ,anche con gli articoli det-tagliati sulle abitudini intime del Premier (a me personalmente anche le accuse di connivenza con la mafia sembrano fanta-sie, se non calunnie) e spazio, per favore, da destra e da sinistra, ai problemi della comunità ed al modo per risolverli.

Ferdinando Sallustio

almanacco Per favore, solo notizie!

Il Santo Padre saluta gli artisti convenuti nella Cappella Sistina